La Notte di Caravaggio

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La Notte di Caravaggio
La Notte di Caravaggio Schede delle opere esposte nelle “chiese del Caravaggio” 17|18 Luglio Santa Maria del Popolo, Sant’Agostino, San Luigi dei Francesi BASILICA DI SANTA MARIA DEL POPOLO cappella Cerasi A soli due mesi dalla consegna dei dipinti per la cappella Contarelli, Caravaggio si vede assegnare un altro prestigioso incarico: la realizzazione delle due tele laterali per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Tiberio Cerasi, tesoriere generale della Camera Apostolica sotto papa Clemente VIII, nelluglio del 1600 aveva acquistato in Santa Maria del Popolo la cappella Foscari (dedicata ai Santi Pietro e Paolo e situata nel transetto accanto allʹaltare maggiore), con il diritto di modificarla a suo piacimento. Cerasi si era rivolto ai massimi artisti di quegli anni: unʹAssunta per la pala dʹaltare viene commissionata ad Annibale Carracci, mentre a Caravaggio si richiedono due dipinti laterali, da eseguire su tavola di cipresso, raffiguranti la Crocifissione di san Pietro e la Conversione di Paolo, i due santi ai quali la cappella era dedicata. Alla morte di Cerasi, il 3 maggio 1601, ne diventa erede universale 1ʹospedale della Consolazione. Probabilmente a causa di un rallentamento nellʹesecuzione dei lavori di ampliamento della cappella, affidati allʹarchitetto Carlo Maderno, le due opere eseguite da Caravaggio furono sistemate nella cappella soltanto nella primavera del 1605. Tuttavia, i dipinti tuttʹora visibili nella cappella Cerasi non sono su tavola di cipresso, ma su tela. Delle due tavole, che già nel Seicento presero la via della Spagna, ne sopravvive oggi solo una, la Conversione di Paolo, confluita a Roma nella collezione Odescalchi. Della seconda, la Crocifissione di san Pietro, si persero le tracce molto presto. Il biografo Baglione, suggerisce che il motivo della sostituzione delle prime versioni su tavola fu il rifiuto del committente rimasto insoddisfatto. Suggestiva è lʹipotesi che Caravaggio stesso abbia percepito lʹinadeguatezza dei dipinti da lui eseguiti su tavola rispetto allo spazio ristretto, da poco restaurato, della cappella, dove si sarebbero trovate fianco a fianco con la magnifica e innovativa pala dʹaltare di Carracci, lʹAssunta che a braccia aperte sembra volere uscire dalla tela per correre incontro ai visitatori. Caravaggio avrebbe quindi concepito le due nuove versioni tra il 1601 e il 1605. Di recente si è cercata una strada più concreta per risolvere 1ʹenigma: il confronto diretto, avvenuto nel 2006, tra la tavola Odescalchi e la Conversione di Paolo su tela, entrambe collocate nellʹangusto spazio della cappella di Maderno. Il confronto ha evidenziato tra le due versioni profonde differenze dal punto di vista stilistico e compositivo, mostrando una serie di significative evidenze: nel dipinto su tela, sia la disposizione sia le dimensioni delle figure, ingrandite rispetto alla tavola, facilitano la visione da una posizione molto ravvicinata e consentono una migliore fruizione del quadro nella cappella Cerasi. Se tale ipotesi è corretta, Caravaggio avrebbe deciso di eseguire una seconda versione solo al termine dei lavori di ampliamento della cappella e dopo la collocazione della pala dʹaltare dellʹAssunta, con la 1
quale sembra rapportarsi la figura di san Paolo nella Conversione (Vodret). Sia la struttura compositiva sia la corrispondenza dei gesti tra la pala centrale di Carracci e i due dipinti laterali di Caravaggio creano nella piccola cappella una spazialità particolare, quasi teatrale, una suggestione in cui viene potentemente coinvolto, da protagonista, chiunque entri in quellʹesiguo spazio. Conversione di Paolo, 1604‐1605 olio su tela, 230 X 175 cm Roma, chiesa di Santa Maria del Popolo, cappella Cerasi La Conversione di Paolo venne collocata sulla parete della chiesa nel 1605. Fondamentali sono i cambiamenti compositivi della Conversione rispetto alla versione su tavola della collezione Odescalchi. Minor numero di personaggi e meno movimento, nessun paesaggio, mentre la disposizione delle figure suggerisce un punto di vista molto ravvicinato, ottenuto ingrandendo le figure, distanziandole tra loro e ʺschiacciandoʺ la prospettiva. Questo particolare accorgimento ottico, presente anche nella Crocifissione di san Pietro, tiene conto degli angusti spazi della cappella, che obbligano lo spettatore a una visione molto ravvicinata. Tale osservazione sembra suggerire che la seconda versione del dipinto sia stata realizzata dopo che Caravaggio poté aver modo di tener conto dei lavori architettonici completati sulla cappella, spostando quindi in avanti di qualche anno (al 1604‐1605) la datazione delle due tele: ipotesi che consente di inserirle più coerentemente nel percorso stilistico del grande genio lombardo. Nella composizione della scena, lʹasse verticale costituito dallʹimmenso corpo del cavallo esalta il ruolo del santo caduto in terra, in cui lo spettatore si immedesima; un cerchio immaginario parte dalle braccia aperte del santo, per chiudersi con il dorso del cavallo, che abbassando il muso sembra volgere lo sguardo su Saulo disarcionato. Rispetto alla tavola Odescalchi, questa seconda versione smorza il clamore della scena in una dimensione più intima, che fa della Grazia divina un evento interiore più che la manifestazione di segni visibili allʹesterno. Crocifissione di san Pietro, 1604‐1605 olio su tela, 230 X 175 cm Roma, chiesa di Santa Maria del Popolo, cappella Cerasi Pochi artisti avevano raffigurato, prima di Caravaggio, la Crocifissione di san Pietro: tra questi, con analogo pendant, Michelangelo, nellʹaffresco della cappella Paolina. Una differenza macroscopica tra la Conversione di Paolo e la Crocifissione di san Pietro è nella distribuzione della luce: nella prima è diretta verso chi osserva, nella seconda avvolge il santo ribaltandolo verso lʹalto. L’postolo, con le mani già trafitte dai chiodi, è poggiato sulla croce che sta per essere innalzata. Pietro volge lo sguardo nella direzione opposta a quella 2
in cui i tre carnefici, disposti intorno a lui a raggiera sul lato sinistro della scena, sono impegnati nellʹultimo atto dellʹesecuzione: lʹuomo in basso innalza con la forza delle spalle lʹasse della croce; quello al centro assicura al legno lʹestremità della corda con cui sono legati i piedi di Pietro; un terzo carnefice sta per tirare il capo della corda per sollevare la croce, da cui lʹapostolo, per sua volontà, sarà appeso a testa in giù. Simbolo salvifico della fede cristiana, la croce è per Caravaggio il fulcro della scena: il suo innalzamento rappresenta simbolicamente la costruzione della Chiesa, affidata da Cristo a Pietro, su cui si concentra la luce. Il sasso in primo piano è da interpretarsi come un crittogramma del nome (Pietro/pietra). L’ambientazione della scena corrisponderebbe al luogo storicamente indicato come sede del martirio: il Gianicolo. Il tema del dipinto influì successivamente sulla scelta di Rubens nel dipinto nella cappella di SantʹElena in Santa Croce in Gerusalemme e di Guido Reni nella pala già allʹabbazia delle Tre Fontane. CHIESA DI SANTʹAGOSTINO Madonna dei pellegrini, 1604‐1605 olio su tela, 260 x 150 cm Roma, chiesa di SantʹAgostino Il dipinto fu commissionato a Caravaggio dalla nobildonna Orinzia deʹ Rossi, vedova ed esecutrice testamentaria del marchese Ermete Cavalletti, morto il 21 luglio 1602. Nel 1603 la famiglia Cavalletti, attuando le volontà testamentarie del defunto marchese, aveva acquistato una cappella allʹinterno della chiesa di SantʹAgostino, che a Roma era molto frequentata dai pellegrini. A Caravaggio fu commissionata la pala dʹaltare, eseguita probabilmente tra il 1604 e la prima metà del 1605. Il soggetto del quadro era specificato nel contratto del 1603 come ʺuna Madonna di Loretoʺ, legandosi alla devozione del marchese defunto per la Madonna di Loreto e alla leggenda diffusasi sin dalla fine del Duecento: la casa di Maria Vergine sarebbe fuggita da Nazareth sulle ali degli angeli per mettersi al riparo dai pericoli della guerra, approdando a Loreto. Dagli ultimi anni del Cinquecento questa devozione si era diffusa a Roma e aveva riportato in auge la pratica religiosa del pellegrinaggio, rafforzando così il culto di Maria, messo in discussione dal Protestantesimo. I riferimenti alla leggenda sono qui appena accennati: la Vergine, che ha in braccio il Bambino, poggia il piede sullʹuscio della misera casa, volgendo lo sguardo ai due pellegrini inginocchiati davanti a lei, con i piedi nudi e sporchi e gli abiti consunti. Alla monumentale bellezza della Vergine potrebbe aver prestato il volto una modella reale, Lena, ʺdonna di Michelangeloʺ, mentre i due pellegrini, dai tratti popolari, stanno a simboleggiare lʹintera umanità che si accosta al miracolo della visione divina. Alcuni studiosi hanno identificato nelle due figure il marchese Ermete Cavalletti e sua madre, devoti della Vergine lauretana. Il vero soggetto del dipinto è comunque il pellegrinaggio, metafora della vita terrena, in linea con la spiritualità oratoriana di cui questʹopera è intrisa. Il biografo Baglione (1642) 3
non mancò di sottolineare le ʺvolgaritàʺ riprodotte da Caravaggio nel dipinto: i piedi fangosi del pellegrino, la cuffia sdrucita e sudicia della sua compagna, che suscitarono allʹepoca ʺestremo schiamazzoʺ. In effetti, poté delinearsi qui per la prima volta quella spaccatura tra la riconosciuta abilità di Merisi e lo scarso decoro delle sue opere. CHIESA DI SAN LUIGI DEI FRANCESI cappella Contarelli Le due tele laterali della cappella Contarelli di seguito schedate costituiscono il primo incarico pubblico di Caravaggio, un vero e proprio debutto nellʹambiente artistico romano: la commissione gli è affidata a fine luglio 1599 dai rettori della chiesa di San Luigi dei Francesi, dietro un compenso di 400 scudi e con lʹimpegno di terminarli entro un anno, in vista del Giubileo del 1600. Si tratta di tele di formato enorme (circa 323X343 cm), da dipingere in fretta e, secondo le indicazioni ricevute, con molte figure, caratteristica inconsueta per il modo di operare del pittore. Caravaggio seleziona con cura i modelli da utilizzare, dalle statue antiche alle opere dei grandi maestri, tra cui si riconoscono gli affreschi di Michelangelo Buonarroti nella Sistina. Lʹanalisi di taluni dettagli tecnici fa pensare che lʹesecuzione del Martirio di san Matteo debba ritenersi precedente alla Vocazione di san Matteo. Lʹespediente delle ʺincisioniʺ, ovvero i segni tracciati da Caravaggio come punti di riferimento per la composizione della scena sulla preparazione della tela ancora fresca, viene messo a punto gradualmente e appare molto più usato nella Vocazione rispetto al suo pendant. Anche nella luministica cʹè unʹinnovazione: Caravaggio ignora tutto ciò che non riceve la luce e concentra la sua attenzione solo ed esclusivamente sulle parti illuminate. Martirio di san Matteo, 1599‐1600 olio su tela, 323 X 343 cm Roma, chiesa di San Luigi dei Francesi, cappella Contarelli L’episodio rappresentato è tratto dai Vangeli apocrifi, e nelle chiese romane erano visibili molti dipinti dello stesso soggetto. Matteo è aggredito mentre sta battezzando i neofiti, il carnefice, nudo al centro della tela, brandisce lʹarma che sta per colpire il santo. Intorno i personaggi si ritraggono inorriditi, a sinistra figure riccamente abbigliate e così pure un giovane seminudo a terra. Tra queste, a sinistra, nellʹatto di allontanarsi rattristato dalla violenza che si sta compiendo, Caravaggio ritrae anche se stesso. A destra un chierichetto fugge terrorizzato, mentre in basso chiudono la composizione due giovani neofiti seminudi. Sospeso in alto, al di sopra del santo, lʹangelo, chino verso di lui, gli porge la palma del martirio. La scena è impostata sul contrasto luministico: le masse si aprono verso lʹesterno come in un moto centrifugo che proviene dal centro della tela, dove a terra 4
lʹapostolo che sta per essere colpito irradia una luce che va a illuminare lo stesso suo carnefice, dal volto quasi stupito. La magnifica e atletica corporatura di questʹultimo deriva dalle celebri sculture classiche del Discobolo di Mirone e del Torso del Belvedere. Il Martirio fu dipinto in due redazioni diverse, una sopra lʹaltra, sulla stessa tela, come sosteneva allʹepoca Bellori e come confermano le radiografie eseguite nel 1951. La prima versione aveva figure più piccole del naturale. L’insoddisfazione e lʹansia di portare a termine in tempo lʹimpresa spinsero lʹartista a reimpostare completamente la composizione, nella versione tuttʹora visibile. Vocazione di san Matteo, 1599‐1600 olio su tela, 322 X 340 cm Roma, chiesa di San Luigi dei Francesi, cappella Contarelli La scena della Vocazione di san Matteo dipinta negli stessi anni del Martirio, ma già più matura di questo, rappresenta un gruppo di figure sedute intorno a un tavolo, come nei Bari, mentre sono intente a contare il denaro delle gabelle: fra essi lʹesattore delle tasse Matteo. A questo gruppo, che costituisce il blocco orizzontale a sinistra della tela, si contrappone il blocco verticale delle due figure collocate a destra: Cristo e Pietro. Il fulcro dellʹintera composizione è la splendida mano del Cristo che indica il gabelliere Matteo, sottolineata dal raggio di luce: qui è evidente il richiamo alla celeberrima mano di Dio nella michelangiolesca Creazione di Adamo nella cappella Sistina, vero e proprio mito di Caravaggio. Il gesto è esaltato dalla posizione isolata della figura e dal suo riecheggiamento nei gesti di Pietro e dello stesso Matteo, che risponde con uno sguardo interrogativo, stupito e incredulo. La gamma cromatica è molto più vivace rispetto al Martirio e assume cadenze di gusto veneziano (giallo, verde, rosso), forse per rendere più visibile la tela nel buio della cappella. La Vocazione, così come il Martirio, ha unʹintensa notazione controriformistica e antiluterana, enfatizzando il tema della redenzione e della salvezza e il ruolo di Gesù e della Chiesa (attraverso lʹapostolo Pietro), simbolo terreno di Cristo: la chiamata di Levi, pubblicano, viene ad assumere quasi il significato di conversione. Allʹepoca i toni realistici del dipinto suscitarono qualche disappunto, mentre la modernità degli abiti dei personaggi sottolinea volutamente come la ricerca di redenzione sia perenne. Dal punto di vista tecnico Caravaggio introduce unʹinnovazione: le figure sono realizzate per sovrapposizione, come se ognuna fosse stata eseguita come elemento singolo e poi, partendo dal fondo, inserita nella composizione. San Pietro è sovrapposto a Cristo, il tavolo è sovrapposto a san Matteo, il giovane seduto a sinistra è sovrapposto al vecchio in piedi, così la sedia, il giovane di spalle al centro ha un tratto scuro che definisce il braccio sinistro sul quale è dipinta la manica, che a sua volta si sovrappone alla veste gialla del ragazzo in secondo piano. A differenza del Martirio, i pentimenti individuati nella Vocazione sono scarsissimi. 5
San Matteo e lʹangelo, 1602 olio su tela, 296,5 X 195 cm Roma, chiesa di San Luigi dei Francesi, cappella Contarelli Caravaggio ricevette la commissione della tela centrale della cappella Contarelli nel 1602, a seguito del clamoroso insuccesso dellʹopera originariamente prevista per lʹaltare: una scultura del fiammingo Jacob Cobaert raffigurante Matteo e lʹangelo. Il pittore lombardo ebbe a disposizione poco tempo per eseguire lʹopera, da consegnare il 23 maggio, giorno della Pentecoste, per la somma di 150 scudi. La prima versione eseguita da Caravaggio fu rifiutata dalla congregazione di San Luigi dei Francesi, per giungere in seguito nella collezione Giustiniani e di lì a Berlino, ove fu distrutta nel 1945. In quella tela lʹangelo era seduto accanto al santo e guidava nella scrittura del Vangelo la mano dellʹapostolo, dallʹaspetto di un contadino. Con ogni probabilità il tono intimo e dimesso e taluni particolari, come il piede nudo del santo a vista proprio sopra lʹaltare, non soddisfacevano le esigenze di monumentalità solenne che i committenti esigevano per il soggetto (ʺQuella figura non aveva decoro, né aspetto di Santoʺ, riferiva Bel lori), ma è possibile anche che motivi più contingenti abbiano dettato la richiesta di una nuova versione: probabilmente per adattarne meglio le din1ensioni al piccolo vano destinato a ospitarla. Caravaggio si affretta dunque a realizzare una seconda redazione enfatizzando gli aspetti solenni della scena: il santo perde i connotati contadineschi per apparire qui come un colto personaggio coperto da una lunga veste, in posa stante con il ginocchio poggiato su uno sgabello presso lo scrittoio, la penna tenuta in mano e lo sguardo rivolto verso lʹangelo a cercare lʹispirazione divina per la scrittura; lʹangelo, dalle vesti drappeggiate, sospeso nellʹaria, sta enumerando, con le labbra e con le dita, le cose da trascrivere. L’atto dellʹangelo di contare sulle dita alluderebbe proprio allʹinizio del Vangelo di Matteo, che enumera le tappe della discendenza di Abramo. In elementi come le pieghe della veste appare la suggestione della scultura classica. Nellʹarredo scarno della scena spicca lo sgabello su cui il santo poggia il ginocchio: uno dei suoi appoggi puntato verso lo spettatore è in bilico nel vuoto. È un artificio che Caravaggio usa frequentemente per annullare la barriera tra lo spazio reale e lo spazio dipinto, creando un ponte tra due realtà del tutto diverse con lo scopo di coinvolgere emotivamente lo spettatore nella scena raffigurata. 6