I MONTI DELLA LUNA – ALPI APUANE
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I MONTI DELLA LUNA – ALPI APUANE
I MONTI DELLA LUNA – ALPI APUANE 01 – 02 - 03 LUGLIO 2014 I monti della Luna, Lunae montes, come li chiamava lo storico e geografo greco Strabone (ca 63 a.C. – 20 d.C.), esaltandone il particolare aspetto, sono conosciuti come Alpi Apuane, anche se il termine “Alpi”, è bene ricordarlo, ha origine turistica, e certo non geografica. Estese su una superficie di circa 1000 km. quadrati, le Alpi Apuane sorgono sulle provincie di Massa- Carrara e di Lucca, e sono racchiuse dalle subregioni della Lunigiana, della Garfagnana e della Versilia. Sono caratterizzate dall’asprezza e dalla severità dei suoi paesaggi, tanto diversi da quelli del vicino Appennino, più dolci e arrotondati. Per comprendere il perché di tale diversità bisogna innanzitutto pensare che le Apuane si sono formate in tempi più antichi rispetto agli Appennini, e su una struttura geologica assai diversa, le cui rocce (quasi tutte di origine sedimentaria e formatasi in ambiente marino) hanno subito profonde mutazioni dovute alle elevate pressioni e temperature durante le ere geologiche. Ed è per questa particolarità che si è venuto a formare nella parte settentrionale della catena quel prezioso calcare metamorfico, meglio conosciuto come marmo (99% di carbonato + 1% di ferro). Nell’immaginario comune le Alpi Apuane sono indissolubilmente legate all’estrazione del marmo, o come dicono i Carraresi alla “coltivazione del marmo”, come se il marmo fosse qualcosa da seminare e poi raccogliere. Forse non ce ne siamo mai accorti, ma le Alpi Apuane le calpestiamo, le tocchiamo, le respiriamo, addirittura le mangiamo ogni giorno. Infatti il prezioso calcare serve a rivestire il pavimento della banca, la soglia della porta di casa, è servito e serve anche a dare forma alle intuizioni degli artisti. Negli ultimi decenni il marmo purissimo di Carrara, opportunamente trattato, ha trovato nuove e molteplici applicazioni: come sbiancante per la carta, come base per cosmetici, per mangimi e dentifrici, ed anche per abbattere l’acidità delle piogge . E’ un paesaggio grandioso e impressionante, quello che si vede salendo verso Campocecina, con un suo fascino particolare, un fascino perverso, che da il senso di una grande e irrimediabile perdita, di ciò che è stato e che non sarà più. E’ una visione terribile vedere quelle montagne sventrate dalle cave , con strade che servono a portare in quota i pesanti camion per prelevare il prezioso minerale. Sembra di essere davanti ad un disegno di Escher, una costruzione dalle geometrie impossibili, con la linea del mare, sullo sfondo, a rendere tutto ancora più surreale. Nonostante che le 170 cave presenti occupino solamente il 5% del territorio e tutto il resto sono boschi, praterie, grotte sotterranee e montagne da cui si vede il mare. E’ un quadro molto eloquente di come l’uomo sia riuscito, nel corso dei secoli, addirittura millenni, a modificare, a piegare la natura ai suoi fini, alle sue necessità; non bisogna dimenticare, infatti, che per la gente del luogo l’industria del marmo equivale al pane, essendo essa una grande fonte di reddito. Date le premesse, va da se che il nostro viaggio ci porta in un mondo dove fruizione della natura e l’escavazione del marmo sono sempre alla ricerca di un difficile equilibrio. Ed è un territorio, quello delle Alpi Apuane, dove fiorisce quasi la metà delle specie botaniche presenti in Italia, alcune delle quali sono specie endemiche, cioè presenti e legate strettamente a quella area. Chi vuole trovare montagne più naturali deve andare nella parte meridionale della catena, dalle Panie in giù, dove a causa dell’assenza del marmo, il paesaggio è stato risparmiato dalla mano dell’uomo. Uno dei motivi del nostro breve viaggio, durato tre giorni, è stato proprio la ricerca e l’osservazione di quelle pregiate specie botaniche, senza tralasciare, tuttavia, la visita di quei particolari ambienti. Tre giorni, un nulla, in termini di spazio temporale, ma che ci ha permesso di apprezzare la bellezza dei luoghi e dei fiori in essi presenti. Il primo giorno è trascorso tra il trasferimento da Brescia e l’arrivo a Campocecina, in Lunigiana, presso il rifugio Carrara, m. 1318, di proprietà del C.A.I. di Carrara, poi il resto della giornata, tra il monte Borla, m. 1469, la Foce di Pianza, m. 1289, il monte Spallone, m. 1560, e il monte Sagro, m. 1749, dove abbiamo potuto osservare e fotografare molte di quelle particolari e rare specie endemiche: Aquilegia bertolonii, Centaurea arachnoidea, Centaurea montis-borlae, Globularia incanescens, Moltkia suffruticosa, Rhinantus apuanus, Santolina leucantha, Silene lanuginosa, Silene pichiana, Saxifraga lingulata subspecie lingulata. Naturalmente le specie che erano in fioritura in quel periodo di tempo. Il giorno seguente, dopo aver passato la notte al rifugio Carrara, un ottimo rifugio con una ospitalità rimarchevole, siamo partiti seguendo il percorso della tappa n.2 dell’Alta Via delle Apuane, quella che dal rifugio Carrara conduce al rifugio Orto di Donna, in alta Val Serenaia, in Garfagnana. Lasciata l’auto presso la Foce di Pianza, m. 1289, abbiamo seguito il sentiero n.173, che facendo un largo giro alla base del monte Sagro, passa sopra il bacino marmifero e conduce alla Foce del Fanaletto, m. 1426, con un percorso a tratti esposto, ma attrezzato con opportune corde fisse. Dalla Foce del Fanaletto il sentiero si abbassa, attraversa alcuni macereti, poi riguadagna quota passando per la Foce di Vinca, di Navola e poi Rasori, m.1320, dove abbiamo lasciato il sentiero n. 173 per seguire il n. 186, che attraverso la finestra del Grondilice permette di scendere al rifugio Orto di Donna. Dalla Foce Rasori il sentiero si impenna decisamente prima di portare alla base dei ripidi pendii rocciosi del monte Grondilice, che abbiamo risalito seguendo i numerosi e provvidenziali segnavia, la mancanza dei quali ed in presenza di forti nebbie, qui molto spesso frequenti, può portare a sbagliare direzione con conseguenze a volte tragiche. Dopo un ultimo strappo siamo alla famosa finestra, m.1770, ed in Val Serenaia. Una valle molto bella racchiusa tra il Pizzo d’Uccello, da un lato, e il Monte Pisanino dall’altro, e poi dai monti Contrario, Cavallo e Grondilice. Anche questa valle ha subito un profondo dissesto ed è stata deturpata dalle cave di marmo. Dopo una buona mezz’ora di discesa siamo arrivati al rifugio Orto di Donna, m. 1500, di proprietà privata. Il rifugio è una costruzione moderna in stile alberghiero, con ottimi servizi e ottima cucina garfagnina, ed è posto di fronte al Monte Pisanino, che con i suoi 1947 m. è la montagna più alta delle Alpi Apuane. E’ anche un ottima base di partenza per le ascensioni ai monti Pisanino, Grondilice, Contrario e Cavallo, nonché punto di appoggio per escursioni nell’area circostante e come posto tappa dell’Alta Via delle Apuane. Nei dintorni del rifugio abbiamo potuto osservare altre specie endemiche come: Cerastium apuanum, Galium paleoitalicum, Pinguicola apuana, Silene pichiana. Il terzo giorno, lasciato il rifugio, abbiamo seguito il sentiero n. 179 fino alla Foce di Giovo, m. 1495, proprio di fronte alla mole del Pizzo d’Uccello, m. 1791, poi alla Foce di Giovetto, dove abbiamo fatto una digressione salendo per un buon tratto la normale del Pizzo d’Uccello. Dalla Foce di Giovetto si può scendere allo storico rifugio Donegani, nella parte bassa della Val Serenaia, ottimo punto di partenza per le salite al Pizzo d’Uccello, soprattutto per la sua parete nord, alta 700 metri, dove sono stati tracciati importanti itinerari alpinistici. Ritornati alla Foce di Giovo, abbiamo seguito il sentiero n. 175, che ci ha condotti a Vinca, m. 738, un paese adagiato alle pendici del Pizzo d’Uccello, in Lunigiana. E’ difficile pensare, oggi, che Vinca possa essere stato, nel periodo medioevale, un fiorente centro, tanto che si mosse da Firenze persino Niccolò Macchiavelli, l’autore del Principe, per dirimere alcune controversie di pascolo e di confine. Da Vinca seguendo il sentiero n. 39, chiamato il Sentiero dei Cavatori, un sentiero di servizio per chi andava a lavorare nelle cave del Sagro, siamo ritornati alla Foce di Pianza, dove recuperata l’auto abbiamo potuto far ritorno a Brescia in tarda serata.