La Rassegna d`Ischia 5/2015

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La Rassegna d`Ischia 5/2015
Anno XXXVI
N. 5
Ottobre / Novembre 2015
Euro 2,00
Mostra fotografica
Perché il legame Museo - Villa Arbusto
Il sito di Mazzola a Lacco Ameno
Due sculture di Francesco Messina a Ischia
(Chiesa di Gesù Buon Pastore)
Alla scoperta
delle bellezze
dell'isola d'Ischia
I luoghi degli antichi Bagni
Il Castiglione (II)
Ex Libris
1853 Scipione Volpicella
Gita a Ischia
Associazione "Ragazze baranesi anni '60"
Tradizioni e cultura popolare
Fonti documentarie
La Chiesa di S. Anna
presso gli scogli
Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi
Dir. responsabile Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
Periodico bimestrale di ricerche e di temi
turistici, culturali, politici e sportivi
Anno XXXVI - n. 5
Ottobre / Novembre 2015
Euro 2,00
Editore e Direttore responsabile
Raffaele Castagna
In questo numero
3 Ischia - Castello Aragonese - Cappella Bulgaro
3 Festival
La Filosofia, il Castello e la Torre
4
- Amalfi : Meeting culturale italo-russo
- Borsa mediterranea del Turismo archeologico
5
Ischia Teatro : Premio Aenaria
6
La Rassegna d’Ischia
Via IV novembre 19
80076 Lacco Ameno (NA)
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Chiuso in redazione il 30 settembre 2015
Andar per cantine
7 Il contributo di don Pietro Monti alla
conoscenza della coroplastica di Pitecusa
11
Mostra fotografica al Castello Aragonese
Rivelazioni notturne
15
Le famiglie dell'isola d'Ischia (II)
Cossa - Coscia - Salvacossa - Salvacoscia
18 I luoghi degli antichi bagni (II)
Il Castiglione
22 Perché il legame Museo-Villa Arbusto
Intervista 1980 - Il sito di Mazzola
26 Pe' terre assaje luntane
27
Scripta manent
28 Alla scoperta delle bellezze dell'isola d'Ischia
30 Due sculture di F. Messina a Ischia
32 Ass. Ragazze baranesi anni '60
Tradizioni e cultura popolare
Scintillio di lucciole... il risveglio
38 La Chiesa di Sant'Anna presso gli Scogli
43 Gita a Ischia di Scipione Volpicella (1853)
49 Medaglioni isolani
Dottor Vincenzo Morgera
50 Rx libris
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Restaurati gli affreschi della Cappella Bulgaro
al Castello Aragonese
Ischia – Castello Aragonese – Cappella Bulgaro
Si sono conclusi i restauri
degli affreschi della Cappella Bulgaro al Castello Aragonese d’Ischia, ad opera
delle esperte dell’Istituto
Europeo del Restauro, che
ha sede nello stesso Castello e che costituisce un polo
di eccellenza per il settore
del restauro e della conservazione dei Beni Culturali
che opera nel campo della
formazione, ricerca e specializzazione professionale.
Un punto di riferimento internazionale nato dall’intesa e dalla collaborazione di importanti
partners del mondo della cultura e dell’industria. L’Istituto è oggi acquisito e diretto dalla AAC,
associazione destinata alla tutela,
valorizzazione e promozione dei
beni culturali che ne garantisce
oltre il sostentamento economico,
anche quello tecnico-scientifico,
promuovendo progetti di ricerca,
interventi di restauro e corsi di alta
specializzazione.
L’Istituto, oltre ad offrire un articolato programma didattico, è luogo ove si realizzano punti d’incontro e di scambio tra realtà italiane e straniere, attinenti non solo
all’ambito della conservazione dei
Beni Culturali ma anche a realtà
provenienti dal mondo dell’Industria. Lo scopo è di favorire un rapporto di sinergia tra i due settori,
La Filosofia il Castello e la Torre
Ischia International
Festival of Philosophy 2015
Si è svolto ad Ischia dal 24
al 27 settembre 2015 il Festival Internazionale della
filosofia, organizzato dal
Circolo Georges Sadoul con
l’Istituto Italiano per gli Studi Fiosofici e denominato
“La filosofia, il Castello e la
Torre”; sedi dei lavori il Castello Aragonese, la Torre
Guevara e la Biblioteca Antoniana.Sul sito del Circolo Sadoul si leggeva:
Cos’è la filosofia? Chi è il
filosofo oggi? Sin dall’antica
Grecia, a partire da Platone, la
filosofia si è costituita intorno a
luoghi recintati (l’Accademia, Il
Giardino, Il Liceo, Il Portico) limitrofi ma sostanzialmente separati
rispetto alla realtà comune. Eppure Socrate era solito filosofare,
conversare nell’agorà, senza operare distinzioni di sorta intellettuale o sociale. La sua condanna
a morte ha disegnato con molta
probabilità nell’animo del filosofo
una ferita indelebile, un trauma
che egli stesso ha voluto rimuovere con forza dalla memoria storica inconscia. Forse Platone, forte
della vicenda affrontata dal suo
maestro, ha voluto salvaguardare
i filosofi, creando un luogo sicuro
onde poter fare filosofia senza essere condannati? Che la condanna di Socrate abbia rappresentato
la condanna, in parte, della stessa idea di una filosofia pubblica,
libera, popolare? Il Festival mira
alla divulgazione della filosofia
fuori dall’ambito tecnico. Scopo
principale è quello di far capire
al pubblico chi è oggi il filosofo e
cosa fa il filosofo. Non vi è alcuna
restrizione del campo filosofico a
cui gli interventi possono essere
indirizzati. Ogni filosofo, ogni filosofia, potranno essere utilizzati
come mezzo di comunicazione
e diffusione di idee sullo statuto
volano di opportunità socio-culturali.
Importanti Partners del campo
industriale offrono il loro contributo economico, scientifico ed
etico a sostegno delle iniziative
svolte dall’Istituto e dei giovani
che vi partecipano.
La dott.ssa Serena Pilato, storico
dell'arte dell'Istituto, sta portando avanti lo studio della cappella
in oggetto e della inedita cappella n° 8 i cui risultati verranno
resi noti nella pubblicazione che
verrà stampata per questo dicembre.
Vedi pagina 55
e i compiti della filosofia oggi. Il
festival vuole inoltre mettere in
luce dei caratteri fondamentali
della filosofia odierna quali: esiste una professione per il filosofo commisurata alla modernità?
Nonostante la pluralità degli approcci educativi e professionali
odierni, la figura del filosofo non
trova effettivo riscontro o sbocco
professionale ad hoc. Quanti sono
i giovani che oggi decidono di intraprendere questa strada colma
di incertezze? Cosa rappresenta
la filosofia come segno culturale
nell’attualità? A cosa serve – se
“serve” – ancora la filosofia? Scopo del Festival è proprio quello di
far conoscere la filosofia al pubblico attraverso il canale turistico
e permettere il libero accesso alla
filosofia a tutti. In queste giornate
che Ischia vuole dedicare alla filosofia saranno proprio gli esperti insieme a tutte le categorie del
settore (studenti, scrittori, artisti)
a permettere l’interazione filosofica con il pubblico. In questo modo
la filosofia farà della semplicità e
dell’immediatezza linguistica la
sua tecnica più evoluta.
*
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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Amalfi, 15 – 21 ottobre 2015
Meeting culturale
italo-russo
Dal 15 al 21 ottobre 2015 si svolgerà ad Amalfi un
meeting culturale interdisciplinare italo-russo con
l’Istituto Filosofico – Accademia delle Scienze di
Mosca sul tema Tra Arte e Spiritualità - Odeporica,
pittura e studi storico-filosofici comparati.
L’inizio di giovedì 15 vedrà anche l’apertura della mostra artistico-documentaria I Russi ad Amalfi. Suggestioni mediterranee e storie di vita, oltre
che la presentazione dei volumi: I Russi ad Amalfi.
Suggestioni mediterranee e storie di vita di Michail G. Talalay, Aleksej A. Kara-Murza – Ol’ga A.
Žukova (Amalfi, 2015); La Sicilia dei Russi di AA.
VV. (Palermo-Mosca, anno 2015); Don Basilio Russo. Il destino e l’opera di Vasilij Nečitajlov di Yurij
Nečitajlov e Michail Talalay (Mosca, 2014); Lettere
e rapporti dall’Italia di S. F. Ṧčedrin (1818-1839) di
Michail Evsev’ev (San Pietroburgo, 2014)
Venerdì 16 escursione a Cava de’ Tirreni e visita
a I tesori culturali’ della Abbazia Benedettina di
Cava, Monumento Nazionale.
Sabaro 17 Seminario di Studi sul tema: La Chiesa
di Amalfi nel Medioevo fra Oriente e Occidente: interrelazioni religiose e storico-filosofiche. Presiede e
coordina Michail G. Talalay. Interventi: Aleksej A.
Kara-Murza: Il cattolicesimo romano e la filosofia
russa; Giuseppe Gargano, Gli Amalfitani nella mediazione religiosa tra Chiesa d’Oriente e d’Occidente nel Medioevo; Marco Merlini, Athos e Bisanzio: i
santi narrati dai monaci amalfitani all’Occidente.
Previste anche escursioni a Ravello, Capri ed Ercolano Martedì 20 ottobre tavola rotonda sul tema: Una
cappella per la ‘Riconciliazione’ tra due Chiese. Sacre reliquie, agiografi, prodigi religiosi dall’Oriente cristiano: semi di nuova fratellanza tra popoli.
Presiede e coordina Giuseppe Gargano. Interventi:
Mons. Orazio Soricelli – Arcivescovo di Amalfi-Cava
dei Tirreni, Don Stefano Caprio - Pontificio Istituto
Orientale di Roma, Padre Edward Farrugia - Pontificio Istituto Orientale di Roma, Antonio Amatruda
- Centro di Cultura e Storia Amalfitana, Michail G.
Talalay, Istituto Filosofico – Accademia delle Scienze di Mosca.
Seguiranno nel pomeriggio la presentazione del
volume Sant’andrea, un Apostolo per l’Occidentee
l’Oriente di Don Stefano Caprio, Michail Talalay,
Irina Yazykova (Mosca, 2011) a cura di Don Antonio
Porpora; e la visita guidata alla Cappella della Riconciliazione e alla Tomba di Sant’Andrea Apostolo
a cura di Tudor DINCA e Candida Asmaro Malinconica.
Paestum 29 ottobre / 1 novembre 2015
Borsa Mediterranea
del Turismo Archeologico
Paestum - Tempio di Cerere
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La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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L’area archeologica della città antica di Paestum, patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO dal 1998, sarà la location della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, in
programma da giovedì 29 ottobre a
domenica 1 novembre 2015.
La BMTA, oltre ad essere l’unico
salone espositivo internazionale dedicato alla promozione del turismo
archeologico - con 100 espositori di
cui 25 Paesi Esteri e circa 40 buyers
europei – è assurta a punto di riferimento per importanti confronti
istituzionali - tra cui il Consiglio
Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici che quest’anno si terrà il
29 ottobre in seduta straordinaria. E
per rendere gli incontri alla portata
di tutti, i visitatori potranno interagire direttamente con i protagonisti,
tra cui noti divulgatori e conduttori della TV come Alberto Angela e
Syusy Blady.
La BMTA è anche e soprattutto innovazione: la mostra ArcheoVirtual
è da alcuni anni la nuova frontiera
dell’archeologia virtuale, grazie all’ITABC (Istituto Tecnologie Applicate
ai Beni Culturali del CNR), che apre
a incredibili possibilità in termini
di diffusione di contenuti storici e
scientifici: attraverso alcune originali produzioni virtuali (tra cui Labirinto di Versailles, il Foro romano
di Augusto, l’Oppidium di Numancia e l’applicazione KIVI), i visitatori
saranno catapultati nell’antichità,
vivendo un’esperienza affascinante,
unica ed originale.
Tra le novità di quest’anno il nuovo
format Paestum Digital Storytelling
School, ovvero il suggestivo corso di
narrazione digitale sul campo, che
si svolgerà dal 28 al 31 ottobre 2015
tra i templi di Paestum e l’area archeologica di Velia; tornerà, inoltre,
seguita soprattutto dai più giovani,
l’Archeologia Sperimentale, con i
suoi laboratori dove i visitatori possono cimentarsi nella produzione
artigianale di utensili e manufatti di
uso quotidiano, con tecniche utilizzate nell’antichità.
Ampio spazio anche al mondo del
lavoro e alla formazione, con le sezioni ArcheoStartup (evento duran-
te il quale verranno presentate le nuove imprese culturali e i progetti
innovativi nelle attività archeologiche) e Archeolavoro (l’orientamento post diploma e post laurea con
presentazione dell’offerta formativa
a cura delle Università presenti nel
Salone). In quest’ultima sezione, il
giovanissimo Direttore del Parco
e del Museo Archeologico di Paestum, il tedesco Gabriel Zuchtriegel,
presenterà la figura professionale
dell’archeologo (comunicato).
Sito www.bmta.it
*
Ischia (Teatro Polifunzionale)
Imprevisti e Probabilità – Formia
Premio Aenaria
La gamba di Sarah Bernhardt
26 settembre – 6 dicembre 2015
In programma dieci spet-
tacoli: otto in concorso e due
fuori concorso, con inizio il
26 settembre (L’ultimo volo
di Gianni Clementi) e conclusione il 6 dicembre con la
premiazione del miglior spettacolo Premio Aenaria), che
avranno luogo al Teatro Polifunzionale di Ischia. Premiati anche il migliore attore, la
migliore attrice, la migliore
regia, il miglior esordiente. Gli
spettacoli saranno giudicati
da una giuria tecnica, formata da: Salvatore Ronga (presidente), Isabella Marino, Isabella, Puca, Milena Cassano,
Gianni Vuoso, Valerio Buono,
Nick Pantalone, e da una giuria popolare.
Il programma
del Premio Aenaria 2015
26 Settembre
La bottega di RebArdò – Roma presenta
L’ultimo volo di Gianni Clementi
di Soledad Agresti
31 Ottobre
Ass. Culturale Povera – Magliano
Veneto (TV)
Le troiane di Euripide
7 Novembre
TeatRing – Milano
Tu, mio di Erri De Luca
2, 3, 4 Ottobre
Uomini di mondo – Ischia
L’isola dei morti di Corrado Visone
14 Novembre
Compagnia di Teatro del Bianconiglio – Eboli (SA)
Settaneme di Bruno Di Donato
10 Ottobre
Luna Nova (vincitore Premio Aenaria 2014) – Latina
La costruzione di Roberto Russo
21 Novembre
Compagnia degli Evasi – Castelnuovo Magra (SP)
Mandragola di Niccolò Machiavelli
17 Ottobre
Ansiteatro – Aversa
Don Peppe Diana – Per non
dimenticare – Il musical di Giuseppe Capoluongo
24 Ottobre
28 Novembre
Gli Amici di Jachy – Genova
Tango di Francesca Zanni
6 Dicembre
Premiazione
Forio – I luoghi della tragedia
Il 9 settembre 2015 si è svolta a Forio, organizzata dal Centro di Ricerche Storiche d’Ambra, una visita ai luoghi
della tragedia conseguente al bombardamento aereo su Forio nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1945 (dopo la festa
dell’armistizio), con un tragico bilancio: 13 morti, 20 case distrutte e molti feriti.
Mostra documentaria sulle Quattro Giornate di Napoli
Presso la Sede del Centro di Ricerche Storiche d’Ambra (Forio) è stata inaugurata un’ampia mostra documentaria e
fotografica sulle Quattro Giornate di Napoli, visitabile liberamente, previo appuntamento telefonico (081997117),
fino al 17 ottobre 2015. Vi parteciparono anche tre ischitani: Rocco d’Ambra, Nicola Monti e Mario Onorato.
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Pro Loco Panza
Andar per cantine
nel cuore delle
tradizioni isolane
Organizzata dalla Pro Loco
di Panza (frazione del Comune
di Forio) si è svolta dal 13 al 20
settembre 2015 la manifestazione “Andar per canine”, giunta
quest’anno all’VIII edizione: un
itinerario storico culturale alla
ricerca delle tradizioni nascoste
attraverso degustazioni e visite
guidate nelle cantine più antiche
e tenute agricole dell’isola d’Ischia; quest’anno anche escursioni a piedi, vendemmia, cucina
e tanto altro!
«L’evento – scrive la Pro Loco - è dedicato a tutti coloro che amano
Ischia, isolani e non, che la vogliono
riscoprire sotto il suo profilo più autentico. Questo evento diventa ogni
anno più atteso e sentito. Affinate
i sensi… ascoltate il vocio di lingue
diverse che decantano Ischia, respirate a pieni polmoni l’odore del-
le vecchie cantine di tufo, gustate i
prodotti locali che accompagneranno i calici, toccate le antiche botti e
degustate il vino da esse custodito
per tanti mesi.
“Andar per Cantine” vi propone
oltre ai classici percorsi da effettuare
nell’arco della settimana anche attività alternative; percorreremo infat-
ti stupendi sentieri tra il tufo verde e
la macchia mediterranea».
Gli itinerari effettuati sono stati segnalati con i nomi dei vitigni
autoctoni che hanno maggiore diffusione sull’isola d’Ischia: percorsi
Biancolella, Forastera, Frassitelli,
Per’e palummo, Don Lunardo.
A Casamicciola Terme il 24 settembre 2015
Esecuzione di inni e marce della
Fanfara del Comando Scuole dell'Aeronautica Militare
3.a Regione Aerea (Bari) diretta dal M° P. M. Legt Nicola Cotugno
6
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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Lacco Ameno - Omaggio a Don Pietro Monti
Le ricerche di Don Pietro Monti
ed il suo contributo alla conoscenza
della coroplastica di Pitecusa
di Lucia A. Scatozza Höricht 1
I risultati delle ricerche di Pietro Monti, sacerdote archeologo e storico, sono stati resi pubblici
e fruibili a molti mediante l’allestimento del Museo di S. Restituta e sono stati oggetto di lavori
scientifici di ricercatori e attuali Docenti di Archeologia delle Università italiane, oltre ad essere stati argomento di svariati lavori di laurea e di
specializzazione di giovani archeologi, ma prima
ancora sono stati pubblicati in opere dello stesso don Pietro, corredate da un’accurata raccolta
della bibliografia scientifica e da un’approfondita
documentazione. In esse si colgono l’assidua frequentazione e l’amicizia con Giorgio Buchner, il
grande archeologo scomparso, come rivela la dedica dello stesso don Pietro, Ispettore onorario,
del prezioso ed agile volumetto Ischia preistorica,
greca, romana, paleocristiana (1968): «A Giorgio Buchner, che dell’antiche ricerche d’Ischia accese in me ardente brama2» .
Fu proprio Buchner a suggerirmi (1995) lo studio delle terrecotte figurate di Pitecusa e ad avviarmi alla conoscenza della sua straordinaria figura di sacerdote e di studioso3.
Alle tenaci ed abili ricognizioni condotte da don
Pietro su Monte Vico risale infatti un gruppo numeroso di terrecotte figurate ed un altro gruppo
consistente risale alle ricerche condotte dallo stesso sacerdote nel grandioso complesso delle fornaci
di S. Restituta.
1 Sono stata particolarmente felice di offrire il mio contributo all’Omaggio per don Pietro, che ricordo con particolare
affetto per la sua grande umanità e sensibilità, oltre naturalmente che per le sue straordinarie ricerche, su cui sono stata
invitata a soffermarmi per quanto attiene alla mia esperienza.
2 Pietro Monti, Ischia, preistorica, greca, romana, paleocristiana, Napoli 1961.
3 Lo stesso Buchner in anni giovanili mi aveva avviata
allo studio delle terrecotte architettoniche pitecusane di
età arcaica per la mia tesi di laurea e sotto la sua guida
magistrale avevo preso parte, insieme alle altre assistenti
dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Napoli,
all’esperienza di scavo nella necropoli di S. Montano (1977).
Il primo gruppo va ad integrarsi col nucleo risalente alle ricerche condotte negli anni ’30 da
Buchner su Monte Vico ed al successivo scavo nel
1965, di uno scarico antico venuto alla luce in cima
alla falesia del versante orientale del promontorio,
in occasione della costruzione della villa Gosetti in
proprietà Castagna i cui materiali verisimilmente
erano stati scaricati da una parte più alta dell’acropoli.
Nell’estate del 1994 la Soprintendenza archeologica ha effettuato un nuovo saggio di scavo sul
margine settentrionale del promontorio, lì dove
grossi blocchi di tufo già ritenuti “in situ” sembravano suggerire la presenza di un edificio templare, ma venivano alla luce soltanto i resti di una
villa romana, che doveva essersi impiantata, distruggendola, nell’area della costruzione sacra di
età greca: i resti dell’ipotetico basamento (foto 1)
sono visibili in una preziosa e rara fotografia nel
volume citato di Don Pietro4.
Con certezza un edificio di culto era presente sull’acropoli almeno dal Tardo-arcaismo (fine
VI-inizi V sec. a.C.), cui si riferiscono terrecotte
architettoniche appartenenti ad un primo coerente sistema decorativo, che da Pithecusa-Cuma si
diffonde nell’entroterra della Campania: antefisse nimbate ascrivibili a tale sistema decorativo
sono custodite nel Museo di S. Restituta, oltre
che a Villa Arbusto. È sorprendente la sensibilità di don Pietro verso il campo attualissimo della
ricerca archeometrica, quando afferma in merito, seguendo l’ipotesi di Buchner, che «le terrecotte architettoniche della regione campana,
come risulterebbe dall’impasto dell’argilla dei
rinvenimenti eseguiti a Cuma quanto a Pompei
di pezzi identici a quelli trovati a Monte Vico,
provenivano dalle fabbriche di Pitecusa5».
Mentre le terrecotte architettoniche da Monte
Vico coprono un arco cronologico dal VI al III sec.
a.C., il materiale coroplastico si colloca in mag4 Ibidem, p. 63.
5 Ibidem, p. 68
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
7
Foto 1 - Lacco Ameno, Monte Vico, resti di un basamento di tempio greco
gioranza, con l’eccezione di pochi
esemplari, tra il IV e il II secolo
a.C., che coincidono anche con il
periodo di massima attività delle
fornaci di S. Restituta.
Per l’ubicazione delle fornaci,
addossate alle pendici di Monte
Vico, è lecito pensare a una possibile destinazione di una parte
della produzione delle fornaci ad
usi votivi. Nell’ambito dello stesso quartiere artigianale esisteva
una produzione molto vasta ed
articolata, come indica la presenza di matrici connesse all’attività dei coroplasti e di scarti di
fornace. Leggiamo in Don Pietro6: «Certamente le fornaci più
piccole dovevano essere adibite
per statuine e per vasi più delicati, mentre le grandi per i vasi
in serie e di ammasso». Oltre ai
materiali ceramici ed anforici, vi
si producevano terrecotte architettoniche, louteria, sostegni di
bracieri, pesi da telaio e terrecotte
figurate.
Accanto ad esemplari di medio modulo - tra cui si segnalano
una splendida testa femminile sormontata da una stephane
6 Ibidem p. 40.
8
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
dentata, frammenti di statue sia
maschili che femminili - nel Museo di S. Restituta sono presenti
figurine di Tanagrine e relative
matrici, di Eroti con vari attributi
(cornucopia, oca, forse maschera), maschere e mascherette con
relative matrici riferentisi a personaggi della Commedia Nuova
ben noti dal repertorio liparese,
qualche frammento di bambola,
derivante dagli stessi prototipi di
numerosi esemplari della stipe
di S. Aniello a Caponapoli, e infine anche qualche rara testina
maschile. Il contesto comprende
anche animali (tra i quali un torello, forse una colomba) e frutta, tra cui melograni e fichi, che
si riferiscono al culto di divinità femminili.
I materiali custoditi nel Museo
di S. Restituta concorrono, insieme a quelli di Villa Arbusto, a definire processi formativi e componenti della cultura artistica di
Pitecusa, dove fiorì una grande
scuola di coroplasti.
È questo il filone delle ricerche
di Don Pietro che vorrei ripercorre in questa sede, per poi soffermarmi con alcune considerazioni sul loro contributo alla cono-
scenza dei culti. Uno dei risultati
di maggiore impatto scientifico
del complesso di ricerche di Don
Pietro è stata sicuramente l’individuazione del quartiere “ceramico” dell’antico insediamento greco. Il procedere degli scavi ha mostrato in maniera evidente come
l’artigianato avesse un’importanza fondamentale nella complessa
dinamica dell’insediamento euboico.
Nell’ordine gerarchico degli ateliers greci, l’attività dei coroplasti
pithecusani rientra in una produzione di una certa importanza, nel
cui ambito il coroplasta crea i tipi
e modella i prototipi delle matrici
e non si limita a ricavare delle submatrici sulle figurine esistenti. A
tali conclusioni indirizza il probabile raro prototipo di matrice (ovvero una rara probabile patrice)
di terrecotte figurate o architettoniche tardo-arcaiche, costituito
da una protome fittile femminile
in argilla grossolana, modellata
a mano, rinvenuta nell’area delle
fornaci (Area del Comune, presso S. Restituta, reparto M, strato
superiore, “tra la fornace ed il laboratorio di VI sec. a.C. con tegole dipinte”). Il livello degli ateliers
pitecusani è documentato anche
da una testina femminile con caratteri post-prassitelici in nenfro,
rinvenuta a Lacco Ameno (Corso Rizzoli, recupero G. Buchner
anni ‘40), un raro esempio di
modellino creato da uno scultorecoroplasta, donde trarre matrici
in terracotta.
Le ricerche condotte da don
Pietro hanno confermato ed in
alcuni casi aperto una nuova
prospettiva sulla circolazione dei
modelli della coroplastica pitecusana, che ci permette di risalire ai
rapporti che l’isola intratteneva
con gli altri centri.
La bella testa femminile, sormontata da stephane dentata,
di S. Restituta, trova confronto
in esemplari sicelioti degli inizi
del III sec. a.C., ma non ha repliche fedeli, rivelando l’indipendenza della coroplastica pitecusana rispetto al modello siceliota (da S. Restituta,
reparto C, presso le fornaci). Allo stesso modo,
un gruppo di sostegni fittili mobili di bracieri, con
decorazione figurata sulla fronte realizzati nelle fornaci di S. Restituta, verosimilmente di uso votivo
oltre a quello primario, pur trovando confronto in
ambito siceliota, si qualificano di sicura produzione
locale per la presenza nel gruppo di un esemplare
invetriato, rinvenuto nel quartiere artigianale, evidentemente scarto di lavorazione.
La bella testa femminile menzionata, insieme,
ad un busto acefalo a Villa Arbusto e a frammenti
simili di S. Restituta mostra l’identità della cultura artistica neapolitana e di quella pithecusana:
pochi ma significativi esemplari, tratti dalla stessa matrice dell’esemplare di Villa Arbusto, provengono dalla stipe di S. Aniello a Caponapoli. I
busti pithecusani e neapolitani sono sicuramente
all’origine dell’ampia diffusione del busto modiato,
adattato al gusto locale, nell’entroterra campano.
In età ellenistica la gamma dei prototipi, che venivano riprodotti negli ateliers pithecusani, abbracciano l’intero mondo ellenistico. A partire dal III
sec. a.C. sono ben documentati dagli esemplari di
S. Restituta i rapporti con l’area tarantina (come
indicano la figura di Afrodite (Foto 2) ed Eroti),
con Capua (alcune delle Tanagrine) e con Cuma
(uno degli Eroti è tratto da matrice identica a
quella di esemplari cumani).
Particolari motivi di interesse offrono le arulae
rinvenute da don Pietro su Monte Vico e custodite a
S. Restituta data la loro tematica: esse sono infatti
decorate sulla fronte con busti di Athena in elmo
frigio emergenti da un cespo di acanto fra racemi,
alternati a fiori di loto. Lo stesso fregio dell’arula pitecusana si ripete nelle sime fittili del tetto dell’edificio templare di Fratte di Salerno, anche se le
protomi hanno forma abbreviata, e ricorre nelle
sime del sistema di rivestimento della fase sannitica del tempio dorico di Pompei, con la variante della stephane in luogo dell’elmo delle protomi
femminili.
La medesima iconografia ritorna su antefisse con
protomi di Athena entro girali di acanto e relative matrici rinvenute da don Pietro nell’area delle
fornaci, databili al IV-III sec. a.C. La formulazione del tipo di antefissa con testa di Athena in elmo
orientale e cornice di foglie potrebbe essere avvenuta proprio a Pithecusae. Le antefisse pitecusane menzionate hanno aperto nuovi spazi di dibattito sul significato della presenza di tale iconografia nelle terrecotte architet-
Foto 2 - Afrodite col peplo e collana a grani aghiformi; ricostruzione. Dagli scavi di Santa Restituta, Lacco Ameno
toniche e figurate dei santuari campani. Prima del
confronto con la documentazione di Pitecusa, era
stato osservato che le stesse matrici sono utilizzate in un’area che nel periodo in questione risulta
occupata della federazione capeggiata da Nocera,
comprendente il retroterra nucerino, Stabiae e
l’intera penisola sorrentina, nonché Pompei e l’iconografia in esame era stata ricondotta alla propaganda politica dei popoli italici. La presenza della
medesima iconografia in una fornace di Pitecusa,
parte integrante del territorio neapolitano fino a
Silla, documenta piuttosto l’esistenza di una comune cultura figurativa le cui origini vanno spiegate
attraverso Neapolis: è verosimile che la diffusione
dell’iconografia di Athena debba ricercarsi nella
propaganda politica di ambiente italiota, collegata
alle vicende del IV secolo, che segnano la ripresa
dell’elemento greco, con epicentro in Neapolis, nei
confronti dei comprensori italici.
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
9
Fornace a forma rettangolare (se. II-III a. C.)
Basilica di S. Restituta - Lacco Ameno
Infine, le ricognizioni condotte
da don Pietro su Monte Vico ed
i materiali raccolti concorrono
alla conoscenza delle pratiche rituali e delle funzioni dell’area sacra ubicata sul promontorio.
Bisogna premettere che le particolari iconografie della coroplastica non rappresentano la divinità, ma ne illustrano differenti
funzioni e rituali ad esse collegati,
mentre d’altro canto le stesse aree
di culto non hanno necessariamente una continuità cultuale.
Nel complesso, le terrecotte votive pervenuteci di Monte Vico,
pur nella loro esiguità numerica,
sembrano segnalare rituali femminili, ma le differenti iconografie potrebbero riferirsi a tutte
le divinità del pantheon greco
(Athena, Hera, Demetra, Afrodite) e il loro carattere è mal defini10
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
to e versatile. Sembrerebbe confermare il carattere molteplice di
divinità femminile della natura
e della vita della destinataria del
culto la presenza, ancorché tenue
sia la documentazione, di simboliche offerte di animali fittili,
come vittime sacrificali (i bovidi)
e i frutti, come melograni e fichi,
custoditi a S. Restituta.
Ad Athena rimanda direttamente, invece, l’iconografia presente sulle arule fittili menzionate
rinvenute su Monte Vico e custodite nel Museo di S. Restituta,
nonché sulle antefisse e relative
matrici e sembra ritornare anche
sui sostegni mobili di bracieri realizzati nelle stesse fornaci, alcuni
rinvenuti su Monte Vico, risalenti alla fine IV- inizi III sec. a. C.
Dunque non è del tutto improbabile che il complesso dei diversi
materiali, coerente per cronologia
ed iconografia, faccia sistema e
vada riferito ad una fase di rinnovamento e di sviluppo dell’area
sacra.
D’altro canto, sono da valutare
due possibili ipotesi: da un lato la
verosimile pluralità di aspetti della
stessa divinità femminile, dall’altro l’accostamento alla divinità
principale di altre divinità, con
diverso ruolo.
Le cronologie degli esemplari
più recenti dei materiali esaminati non sono posteriori al I sec.
a. C., che segna anche la cessazione della vita dell’abitato di Monte Vico e la cessazione dell’attività delle fornaci.
Scomparso Don Pietro, resta il
suo generoso lascito agli studiosi, che possono continuare a far
lievitare i semi gettati. Concludo
ricordando, come testimone, la
gioia che si leggeva nel suo sguardo penetrante e limpido allorché
si accingeva a far diventare di
tutti il patrimonio che era frutto
della sua operosa e appassionata
ricerca: egli ne ha fatto dono a
piene mani.
Lucia A. Scatozza Höricht
Testa fittile dipinta della stirpe votiva di
Demetra, IV sec. av. C. - Dagli Scavi di
Santa Restituta in Lacco Ameno.
Mostra fotografica di Florian Castiglione
(5 settembre - 5 ottobre 2015)
di Giuseppe Castiglione
Allontanarsi
dal Castello,
luogo magico per eccellenza,
attraversando quel ponte che
lo unisce all’”Insula maior”, è sempre una sorta di distacco
che turba: si lasciano alle spalle secoli di storia. E specialmente dopo aver preso visione delle diciotto foto in bianco
e nero di Florian Castiglione,
che ritrae il Castello nel suo
aspetto notturno. Quali requisiti possa avere il fascino della
notte per ridonare allo spettatore qualcosa che il giorno
non ha? La stessa domanda se
la pone la curatrice della mostra, Loredana De Pace, nella
brillante introduzione al catalogo. Il profilo delle “rovine”,
intonato sempre con la volta
del cielo stellato, vive di nuova materia: si pensa alla luce
anche in assenza di luce. Ecco
quindi che l’oscurità diventa
pretesto per creare atmosfere
e suggestioni oppure l’allestimento scenografico di particolari effetti, sempre in nome di
un ineluttabile realismo. L’imperativo è cogliere l’”attimo di
luce”, quell’istante particolare
nel continuo variare delle condizioni luminose, precorrendo
la capacità propria dello scatto
fotografico e del relativo fotogramma.
Il Carcere borbonico, nella sua
nudità, ha accolto il 5 settembre
2015 stupendamente queste foto,
tutte nella misura di 150 x100
cm., con consenso e sincera ammirazione.
Il giovane Florian, ischitano
del 1986, è laureato in Architettura, con la passione dello scatto
fotografico, scatto che dimostra
una maturità acquisita attraverso una visitazione ripetuta e
frequente del maniero, fatta di
paziente attesa del momento giusto, ricavandone un tratto conoscitivo che poco ha da vedere con
una “opera prima”. S’intuisce subito che il fotografo-architetto ha
maturato dentro, grazie alle sue
continue sperimentazioni con
l’obiettivo, un condensato di nozioni perentorie per consegnare
alle foto un taglio di tipo storicodescrittivo, oltre che psicologico;
e a tal proposito non c’è nulla
meglio del bianco e nero per sviluppare sia la solennità sia la sa-
Florian Castiglione
cralità dei luoghi presi in esame.
Sì, il Castello è luogo sacro e solenne, e così l’autore l’ha inteso.
La prima foto che colpisce il visitatore, sulla sinistra entrando,
è proprio quella del Castello nella sua interezza, nella maestosità dell’abbraccio con un mare placido solcato dal raggio di luna,
e sullo sfondo le isole dell’arcipelago flegreo. Primo impatto
con la maestosità della struttura,
che si stempera nella luce notturna in tutta la sua bellezza: e
si rimane stupiti e muti di fronte al notturno, pur fatto di luce.
Le soffusioni d’essa sono pacate, tant’è che il chiaro e lo scuro
precipitano nella scala del grigio,
colore-non colore che predomina e ci conduce con mano lesta
nei labirinti d’una memoria antica. All’improvviso ci s’immerge
nell’altrove di un sogno. Sorge la
conferma mistica di come in questo mistero insondabile, che è la
percezione, si possa considerare
come ogni cosa sia al suo posto,
meravigliosamente, in accordo
con gli elementi circostanti. Questo il preambolo iconografico di
Florian, che con questa foto ci
consente l’immersione nelle sue
“rivelazioni notturne”, titolo felicissimo per andamento e sviluppo.
L’autore punta a una rarefazione del linguaggio fotografico
tutto risolto all’interno di una
materia cromatica notturna,
densa e luminosa. Anche laddoLa Rassegna d’Ischia n. 5/2015
11
Mostra fotografica di Florian Castiglione al Castello Aragonese - Foto n. 1
ve è il nero ad addensarsi sulla superficie della
tela e a chiudere nella sua uniformità contorte e al
contempo armoniose stilizzazioni, c’è sempre un
polo di luce, un grumo esploso di colore (il grigio
appunto) ad animare dinamicamente la scena. È
forse questo il segno di una lontana speranza che
non si dà per vinta, è forse questo ciò che rifugge
da ogni equivoco?
La materia fotografica, se osservata da vicino, si
rapprende in una corposità densa, ma poi si spiana in una levigatezza sfumata, e talvolta il dato oggettivo si risolve in una sintesi puramente ritmica
e tonale. In altre composizioni la presenza del reale diviene allusiva fino all’astrazione; succede che
la luce trapassa e sbalza dall’incerto al nitido, sino
a un chiaroscuro abbagliante che dà al particolare ingigantito la forza quasi surreale di un fatto
emozionale che – fortemente sentito - non è altro
che la presa di possesso, violenta, ossessiva di un
particolare del mondo su cui l’attenzione dell’artista si è concentrata. E allora quel particolare, da
veduta diventa visione, diventa esso stesso mondo.
Prendiamo in visione la seconda foto: ritrae una
parete dalle linee armoniose che separa, attraverso una porta, la vista di un panorama, forse il var12
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
Mostra di F. Castiglione al Castello Aragonese - Foto n. 2
Mostra di Florian Castiglione al Castello Aragonese - Foto n. 3
co del finito per giungere all’infinito. Dalla foto emana un forte
senso d’immobilità, di preghiera,
laica o religiosa non importa, che
ci induce a pensare alla separazione e alla contrapposizione
tra il noto e l’ignoto: per l’occhio
moderno il mondo noto ha tratti
negativi mentre il varco verso l’ignoto si presenta quasi come una
via di salvezza.
Volendo allargare il discorso
alla pittura, siamo ancora nella
scia caravaggesca, ma qui la luce
non serve a strutturare le forme,
piuttosto a creare struggenti atmosfere ed effetti notturni. Da
questo momento il paesaggio
smette di essere un semplice
sfondo, divenendo il protagonista di un vero e proprio genere.
La notte, anche se rischiarata
dalla mutevole luce lunare, dà vita a oscure presenze, diventa
il luogo dove l’uomo, solo con se
stesso, si confronta con ciò che
si nasconde dentro di sé. Si potrebbe anche aderire, nel caso
dell’opera di Florian, all’idea che
il buio sveli ciò che la luce na-
sconde, traducendo così il sogno
prettamente romantico.
La terza foto è intimamente
legata all’Architettura; rappresenta un fregio che manifesta
lo scorrere del tempo e l’intervento posticcio dell’uomo. Qui
il “bianco e nero” risulta evocativo, giacché le forme emergono
maggiormente grazie ai passaggi
chiaroscurali. La tridimensionalità è più evidente, i volumi si
fanno più puri. Le ombre assumono la stessa importanza degli
oggetti che le producono e diventano parte fondamentale della
composizione. La luce, accarezzando la materia, ne svela la trama di superficie, così da rendere
la tessitura dei materiali molto
ricca e tattile.
La quarta foto presenta una
grande via di fuga rappresentata
dal cielo stellato, con due punti
focali evidenziati dalla presenza
dei due pilastri in pietra comprensivi di archi. Più che in altre
foto, in questa si evidenziano le
componenti fondamentali della luce: tonalità, saturazione e
luminosità. Si esaltano forme
geometrizzanti che gli architetti
hanno sempre sfruttato nei loro
progetti. Pur essendo presente
un effetto grana voluto, si possono osservare i riflessi della luce
su ogni singola foglia, suggerendo il dettato che è possibile guardare il mondo attraverso le sue
sfumature e le sue tonalità invece
che attraverso i colori.
Per noi si tratta invece di un’altra occasione per affrontare il
tema dell’oscurità, che confonde
i sensi e apre le porte verso un
mondo diverso. Un mondo in
cui i naturali strumenti della conoscenza umana si arrendono e
che perciò da sempre affascina e
spaventa, in quanto inafferrabile
e forse più vicino all’anima: punto di accesso per comunicare col
divino o punto critico per un conLa Rassegna d’Ischia n. 5/2015
13
Mostra di Florian Castiglione al Castello Aragonese - Foto n. 4
fronto con se stessi.
In conclusione si può tranquillamente affer-
mare che in tutte le diciotto foto è presente
la stessa costante forza ispiratrice, la stessa
tensione nello svelare quello che prima non
c’era.
L’augurio è che Florian sia l’architetto di se
stesso, senza la minima deroga al senso della
giusta misura, visto che l’unico disincanto si
chiama Bellezza.
Giuseppe Castiglione
Florian Castiglione nasce ad Ischia nel 1986. Si laurea a Napoli in Architettura nel 2012 presso
l'Università Federico II e dal 2013 è dottorando in Storia dell'Architettura, incentrando il suo
tema di ricerca sulla Fotografia di Architettura.
Dal punto di vista fotografico cresce da autodidatta durante gli studi universitari per poi seguire un corso col maestro Mimmo Jodice che gli servirà per la formazione della sua identità
fotografica.
Ha partecipato al workshop e alla mostra collettiva itinerante "Dalla mitologia alla contemporaneità attraverso il nostro sguardo" progetto M.A.F. promosso dall'Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Napoli.
È specializzato nella fotografia di architettura. Ha collaborato, tra gli altri, per l'ANIAI Campania. Tra vari premi vinti si segnala il 4° premio alla seconda edizione del concorso fotografico
Italian Liberty su 18.374 foto partecipanti.
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La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
Le famiglie dell'isola d'Ischia
Cossa / Coscia / Salvacossa / Salvacoscia *
II **
Di Pietro di Procida III
Niuna scrittura mi sono abbattuto a vedere di Pietro oltre la detta di sopra; se non che certa cosa è, lui
haver havuto per moglie donna di casa Caracciola;
esser vivuto à tempi del Re Ladislao, & per quel che
si vede dall’investitura del figliuolo essersi morto
l’anno 1416, havendo labiato un figliuolo detto Michele.
Di Michele signor di Procida IIII
Michele essendo investito dell’isola di Procida
dalla Reina Giovanna s’accostò poscia per l’inimicizia che haveva con Sergianni Caracciolo ad Alfonso
Re d’Aragona. Dice di lui Bartolommeo Fatio, che
egli venne nel 1423 al Re, & promisegli di far venire Ischia all’imperio suo: perciò che essendo la città divisa in due fattioni, l’una che seguitava i Cosci, &
l’altra i Manotij, Michele: il quale era capo dell’una
& havea in tutta l’isola grande autorità non solo per i
partigiani & seguaci suoi, ma per la vicinità di Procida; di cui egli era signore; mostrava al Re facilmente potersi prender la terra, se si andava ad assalire
all’improviso, conciosiacosa che i cittadini muniti
dalla fortezza del luogo, fosser divenuti alquanto
trascurati alle guardie, & se ‘l ponte: con che la città si congiugnea all’isola, si potesse; occupato che fosse; tagliare; facilmente sarebbe avvenuto, che tolta
la speranza del soccorso degl’Isolani, essendo eglino
d’ogni luogo cinti di mare, si fosser potuti vincere,
ò per assedio, ò per forza. Et così avvenne appunto, come Michele havea disegnato; havendo il Re in
poco spazio di tempo assai felicemente presa la città, la fortezza, & insignoritosi di tutta l’isola; onde al
fine della narrazione di quel successo, dice il Fatio,
Alfonso essersene ritornato a Napoli con reputazione, & gloria infinita per haver guadagnato un luogo
di tanta importanza. Il che, come s’è veduto, tutto
successe per opera di Michele. Mi ricorda haver letto lui essere stato molto esperto nelle cose marittime, & per questo essere stato general di mare. Visse
nella signoria 26 anni, & di Sabia Galeota lasciò più
figliuoli, come che di niuno habbia notizia particolare che di Pietro suo primogenito.
* Delle famiglie nobili napoletane di Scipione Ammirato,
1580.
** La prima parte è stata pubblicata nel n. 4/2015
Di Pietro signor di Procida V
Pietro ottiene l’investitura per la morte del padre
l’anno 1441. Hebbe ancor egli di Maria Caraccioia,
si come il padre, molti figliuoli, & venne vivendo
infino all’anno 1466. Fa di lui menzione il Pontano
quando travagliato dall’armi di Giovan Toreglia fu
in manifesto pericolo di perder l’isola. Era costui cognato di Lucrezia d’Alagna illustre per gli amori del
Re Alfonso, & essendo posto da lei per governatore
dell’isola d’Ischia la quale il Re l’haveva donata, essendosene egli dopo la morte d Alfonso insignorito;
pensava levare anco Procida a Pietro, & già l’havea
in modo stretto; che egli per mancamento di vettovaglia era vicino ad arrendersi: ma il Re Ferdinando
dopo che vide gittate le parole al vento col Toreglia
confortandolo, che di questa impresa si rimanesse,
gli prese al fin l’arme contro, & non solo liberò Pietro
dalle molestie, che egli li dava, ma tolto Ischia al Toreglia il costrinse à tornarsene povero a Barzelona,
come dice il Pontano, per la leggierezza, per la perfidia, & per la malvagità della sua natura meritevole
d’ogni grande, & estremo supplizio. Accadde questo
intorno l’anno 1464 verso il fine della prima congiura fatta da baroni contro il Re Ferdinando, dietro al
quale accidente Pietro come si è detto non sopravvisse molto tempo lasciando la signoria di Procida a
Michele suo primogenito.
Di Michele signor di Procida VI
Si può dire de signori di Procida in un certo modo
quel, che fu osservato della famiglia Domitia in
Roma; che usò i prenomi di Gneo, & di Lucio con
notabile varietà, hora continuando ciascuno di essi
per tre persone, hora scambiandolo per ciascuna.
Perciò che chiamati tre di essi per ordine Lucij, & poscia tre altri Gnei, gli altri hor Lucij, & hor Gnei una
volta per uno furono appellati. Così i Cosci sei volte
per ordine hor Pietri, & hor Micheli con perpetua, &
constante diversità si nominarono. Hora questo Michele hebbe l’investitura dal Re Ferdinando l’anno
1466. Et havendo veduto non solo la morte sua, ma
anchora di tre altri Re, due suoi figliuoli, & un nipote, finalmente veggendosi vecchio donò sotto il Re
Cattolico l’anno 1510 Procida a Pietro suo figliuolo,
& a Michele figliuolo di Pietro, dicendo, il suo nipote
Michele esser in quel tempo di anni undici. Hebbe
egli per moglie Lucretia di Mila fecondissima per i
molti figliuoli, che gli fece. De quali, prima che del
primogenito si parli, Gio. Paolo si morì in Francia.
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
15
Gio. Carlo fu Abate di Pasitano. Gio. Vincenzo hebbe
molta esperienza nel mestier della guerra, & perciò
da Prospero Colonna adoperato per maestro di campo de suoi eserciti. Fecene di costui menzione il Giovio nella vita del Marchese di Pescara: quando disse
che tornato di Spagna portò i privilegi del generalato
di Prospero. De gli altri non trovo altra memoria.
Di Pietro signor di Procida VII
Pietro hebbe due mogli, ammendue Carrasesche;
ma l’una della Spina detta Lucretia, & l’altra della
Statera sorella d’Antonio Principe di Stigliano, &
costei hebbe nome Cammilla. Dalla prima nacque
Michele signor di Procida, & della seconda Gio Jacopo, & Gio. Antonio. Questi combattè da solo a solo
a Santa Maria delle Paludi fuor delia porta Nolana
con Gio. Batista Marramaldo zio cugin di Fabrizio,
cavaliere molto stimato a suoi tempi non solo per
l’opinion del valore, a che aggiugneva eccellente, &
egregia disposizione di corpo, ma per la eloquenza
del parlare, & per la cognizione de casi duellati, il
qual vinse, & uccise. Fur la cagion della lite alcune
parole passate tra loro nella piazza di Nido: per giustificazion delle quali essendosi accordati insieme di
ritrovarsi con armi da offesa fuor della città, & come
allor si costumava dir nella macchia, hebbe il Coscia
per padrino Giovanni Carrafa quel, che fu poi Duca
di Palliano, & il Marramaldo Ettorre di Noi. Dicesi
che temendo il Carrafa di non essere il suo campione
preso in parole dall’avversario, gli diè per consiglio
che in conto alcuno non entrasse seco in ragionamento, ma che dettogli, quello esser luogo da fatti,
& non da parole attendesse a menar le mani, nel che
interamente l’ubbidì; & ben negli avvenne. Ma in
processo di tempo, mentre più trascuratamente che
non dovea, usava con persona la quale nell’honore
havea offeso, fu anchor egli, senza poter far alcuna
difesa miseramente ucciso.
Di Michele signor di Procida VIII
Michele come fu l’ultimo de signori di Procida,
così s’interroppe nel figliuolo di lui il continuato ordine de Pietri, e de Micheli, però che fu chiamato
Gio. Vincenzo natogli d’Isabella Galerata di sangue
Milanese. Questi nella venuta di Lautrech nel reame, ò che pur in palese, ò di cheto havesse favorito le parti Franzesi, fu giudicato l’anno 1529 a 4 di
maggio haver commesso ribellione. Onde toltagli
Procida fu data al Marchese del Vasto, essendo stata nella casa de Cosci cento ottanta anni. Io conobbi Gio. Vincenzo suo figliuolo: il quale nato a 3 di
marzo dell’anno 1523 si morì essendo anchor molto
giovane, havendo di Giulia Caracciola lasciato i figliuoli, che nell’albero si veggono. De quali Michele,
& per doti d’ingegno, & per pregio d’esercizij cavale16
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
reschi non ottiene fra la nobiltà Napoletana piccolo
luogo. È restata in casa la signoria di Vairano, con la
quale benché perduta Procida si sostiene lo splendore della cavalleria. Gio.Iacopo nato di Pietro, & di
Cammilla Carrafa di Stigliano huomo intendente, &
capace delle azioni del mondo quanto altri, ha mostrato a dì nostri, & confermato con troppo ampie
pruove quanto è vero quel, che disser gli antichi, Tra
le grandissime rendite doversi annoverare la parsimonia. Percioche essendo egli dal padre come secondo genito, stato lasciato povero cavaliere, & non
havendo potuto prender secondo il costume de gli
anni passati troppo gran dote ha infino a questi dì,
ne quali anchor vive fresco, & gagliardo,, ammassato secondo la comune opinione la somma di trecento mila fiorini d’or . Di Giovanna Mastrogiudice sua moglie ha così maschi come femmine generato bellissimi figliuoli: i quali havendo tutti fatto nobili,&
illustri parentadi accennano con le ricchezze paterne di dover di nuovo havere a inalzar la casa a quella
grandezza, onde malvagia fortuna l’haveva gittata.
Dico di Gio. Tommaso, & di Gio. Paolo essendosi gli
altri morti, o fanciulli, o giovani: ma è tempo di ragionar di Gasparro, il cui nome è da Toscani detto
Guasparri, ma la tema di non esserci opposto, che
noi ribattezziam le persone come molti si dolgon del
Giovio, ci fa star in questo, massimamente favellando de Napoletani dentro i termini dell’uso Napoletano. Il che per ciascun altro così fatto nome sia detto.
De Conti di Troia
Gasparro dunque figliuol di Giovanni che fu secondo signor di Procida, hebbe si come molti di questa
famiglia grande esperienza nelle cose marittime. Et
a tempo che alcuni Romani havean congiurato contra la persona di Papa Bonifazio IX, egli armò due
galee del suo, & due altre co’ denari del Papa non
solo per esser presto a bisogni, che poteano occorrere in que malagevoli tempi, ma per raffrenare le
ruberie, & prede che facevano i Mori per tutte quelle
marine con gran danno, & vergogna dello stato ecclesiastico, di che l’historia del Duca di Montelione
fa mentione. Di costui, & di Loise Imbriaca, nacque Giovanni huomo per valore, & per grandezza d’animo, ma oltre 0gni credenza per la fedeltà grande verso il suo signore usata molto notabile.
Fa di esso primieramente memoria Bartolommeo
Facio: quando havendo il Re Alfonso vinto Napoli,
& non rimanendogli di vincer altro che le fortezze,
cioè Castelnuovo, nel quale Renato era rifuggito,
Sant’Ermo, & Capoana; dice (però che si pativa di
vettovaglia, & era impossibil colà, che lungo tempo
si potesser tenere) che Giovanni Coscia il quale era
castellano della fortezza di Capoana se ben si trovava con la persona appresso Renato nel Castelnuovo,
havendo in quel luogo lasciato la moglie, & i figliuoli,
pregò Renato, che gli permettesse di poter venire a
patti con Giovanni Carrafa circa il fatto della fortezza, a cui veggendo veramente, che ogni provisione
era indarno, concedette; che potesse domandar tregua per alcuni giorni: la qual da Alfonso, tutto che
nel principio si mostrasse alquanto duro, fu acconsentita, & ultimamente cavatane la moglie, e i figliuoli con tutto il presidio, e le robe senza altro indugio Giovanni rendè la fortezza ad Alfonso del 1442.
Renato ancora non molto dopo disperato di poter
far cosa che buona fosse, lasciato nel castel nuovo
Antoni» Calvo, a cui per denari da lui havuti, di gran
somma era debitore, montò in nave, seguitato da
Giovanni, & da alcuni altri suoi pochi fedeli, co’ quali
in Firenze, ove allora Eugenio si ritrovava arrivato,
& quivi havendo inteso come il Castel di Sant’Ermo
si era già reso, & che il Castelnuovo non era per potersi più lungo tempo difendere, permise al Coscia
che potesse ancor egli render la fortezza di Capuana
ad Alfonso: havendo prima voluto per ispetial patto;
che si perdonasse così al Coscia, come a gli altri, che
l’havevano accompagnato. Nondimeno secondo dal
Pontano si trahe, vedesi chiaramente lui non esser
voluto restar a Napoli, percioche in questa guerra,
che egli scrisse del Duca Giovanni contra il Re Ferdinando; diciassett’anni dopo le cose scritte di sopra, che fu l’anno 1459 così di lui ragiona. Presa che
fu Napoli da Alfonso seguì Giovanni il Re Renato
in Provenza; ove per la lunga pratica delle cose, per
l’eloquenza sua grande, & per esser tenuto huomo
assai savio, & prudente s’havea gran riputazione, &
credito acquistato appresso tutti i Principi, & signori
Franzesi.
Et per questo era stato da Renato mandato in Genova col figliuolo; quo (dicono l’istese parole del
Pontano) tanquam magistro uteretur. Questo Giovanni è quello: il quale in tutta la guerra fu di grandissimo conto, & stima appresso il Duca, & a tutto
l’esercito. Anzi nella rotta data a Ferdinando a Sarno, egli fu di opinione, che si dovesse subito assalir
Napoli. Et se bene Giovanni Antonio Orsino Principe di Taranto persuase il contrario; & come quelli in
cui era collocata tutta la speranza della vittoria, era,
come fu necessario, che si mandasse ad esecuzione
il parer suo, nondimeno tutti benché tacitamente parve, che approvassero la sentenza del Coscia. Finalmente havendo l’impresa del Duca Giovanni havuto infelice successo, trovandosi egli dentro
il castel di Troia, sopra la qual città havea titolo di
Conte, si rese ad Alessandro Sforza, ma tutto che
condotto alla presenza di Ferdinando, lodasse il Re
grandemente la sua virtù, & invitasselo a rimanere
a casa sua; volle in ogni modo partirsi per Francia,
& seguir la fortuna del Duca Giovanni suo signore,
ma in Francia nella sede del Duca Giovanni, & di
Renato suo padre, che sopravvisse al figliuolo perse-
verando, raccontasi di lui un nobilissimo atto; & ciò
fu, che essendo imputato a Renato, che egli volesse
lasciare la sua eredità al Duca di Borgogna, il Coscia
venuto alla presenza del Re Lodovico nipote per lato
di sorella di esso Renato, così gli parlò, come le medesime parole di Paolo Emilio, che questo scrisse,
suonano. Sire vi è stato rapportato, che questo mio
Re & signore habbia dato speranza al Duca di Borgogna di lasciarlo herede, & evvi stato detto il vero;
percioche io sono stato autore di questa fama, & di
questo consiglio, non perchè la cosa dovesse venire
ad effetto, ma perché a gli orecchi vostri pervenuta
vi si rammemorasse costui esservi zio & voi con esso
lui dovervi più dolcemente portare ne fatti del Ducato d’Angiò di quel che non fate, il quale sapete a
lui appartenersi; se questa cosa è mancamento, imputisi a me, & non al vostro zio. Il Re preso piacere
della honorata, & magnanima libertà del Coscia, &
lui amò grandemente, & il zio hebbe per l’avvenire
in somma venerazione. Un nipote di Giovanni detto
Antonio nato d’un suo figliuolo il cui nome fu Rinieri
venne a tempi di Carlo VIII nel regno, & appellossi
Conte di Troia. Ho sentito dire, che Monsignor di
Brisac mentionato nelle passate guerre discendea
da costoro; ma il non haver io havuto tempo di penetrar nelle notizie delle famiglie Franzesi non mi
lascia sopra ciò affermar cosa alcuna per vera. Ma
poi che di Troia, & de suoi Conti si è ragionato, non
mi par del mio proposito deviare, se io aggiugnerò
quello, ò per virtù occulta del nome fatale di questa
città, ò qual altra se ne sia la cagione, infortunato
essere stato per lo più il dominio di questa signoria
a suoi possessori. Imperoche donata dal Re Ladislao
a Perretto d’Andreis non passò a figliuoli. Dal Re Renato data à Giovanni Coscia in lui terminò, & hebbe
il suo fine. Non molto si distese ne’ discendenti di
Don Garzia Cavaniglia, a cuì fu donata dal Re Alfonso. Recò danni grandissimi a Luigi Martino Conte
d’Altavilla che ne fu compratore. Talché e pare che
di essa si possa propriamente dire quel che del cavallo Seiano, & dell’oro Tolofano scrisser gl’antichi:
ma poi che tanto di lei si è detto, non credo, che recherà noia a lettori il far veder a loro due belli ritratti, che fecer di esso due de nostri scrittori dovendosi
meritamente questa memoria, quando per niuna
altra cagione, all’ignudo, & semplice nome di sì illustre, & gloriosa città.
Di Baldassarre chiamato poi
Giovanni XXIII Papa
Baldassarre uno dei figliuoli di Giovanni secondo
signor di Procida con quali ragioni dal Panvinio sia
stato detto esser disceso di mediocre lignaggio io
non veggo.
*
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
17
I luoghi degli antichi Bagni
Il Castiglione
II1
Le acque e le stufe
Testimonianze
Venanzio Marone2
Acqua di Castiglione - Quest’acqua rampolla nella piccola marinetta di Castiglione, tenimento del Comune di Casamicciola, alla parte orientale in vicinanza
del lido del mare.
Proprietà medicinali. L’acqua di Castiglione può
chiamarsi la panacea generale di tutti gl’infermi, che
si portano in Ischia per avvalersi de’ bagni minerali;
prima d’incominciarne l’uso, soglionsi preparare almeno per un paio di giorni, la mattina, colle bibite di
quest’acqua, che promuove leggiermente il ventre. Oltre a ciò è molto valevole per guarire le affezioni nefritiche, per smugnere gl’inzuppamenti biliosi, per la
risoluzione delle ostruzioni, ed altri infarcimenti addominali, per dissipare l’itterizia, gli edemi ai piedi, ecc.
Giuseppe d’Ascia3
Acqua del Castiglione - Scorre nella marina di
Casamicciola a pié del fianco orien­tale del promontorio che appunto ha il nome di Castiglione, corrotto
di Castellone, che ha tradotto Castelion fortezza edifi­
cata dai vaganti Greci quivi fermatisi. L’acqua di cui è parola vien raccolta in una piccola camera di fabbrica
ov’è una conga lunga 6 piedi e larga 5; un’altra camera
contigua, elevata di qualche gradino sulla prima, è destinata al riposo degl’infermi che vanno a beverne.
L’acqua di Castiglione è limpida senza odore, e di sapor salino.
Da saggi fatti su quest’acqua da’ professori Guarini e
Covelli si ha ch’essa, eccetto le proporzioni, sia presso
a poco simile alle altre dell’isola d’Ischia, contenendovisi gas acido-carbonico, bicarbonati di soda, allumina,
ossido di ferro, e tracce d’idrosodati.
Sogliono prescriversi con vantaggio agl’itterici,
agl’ipo­condriaci, agli emorroidari, ed a coloro che sono
abitualmente stitici, e per virtù rivulsiva diventano utilissime contro gl’ingorghi cronici delle viscere, le vertigini, le idropisie, e le oftalmie antiche.
1 La prima parte è stata pubblicata nel n 4/2015
2 V. Marone, Memoria contenente un breve ragguaglio
dell’Isola d’Ischia e delle acque minerali, arene termali e
stufe vaporose...., Napoli 1847.
3 G. d’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia, 1867
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La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
A dì nostri quest’acqua si usa a sola bevanda, ma altra volta adoperavasi anche esternamente, il che per
altro sarà forse ora impedito dalla posizione disastrosa
della sorgente, che il mare ogni giorno rende più dirupata.
Il d’Ascia dice inoltre che sul promontorio di Castiglione si trova la stufa consistente di due casipole
dette superiore e inferiore, nel cui interno si veggono
dei crepacci pei quali esce il vapore. Nella prima il termometro si estolle a 45 gradi e nell’altra a 40, stando
l’atmosfera a 21.
Guglielmo Jervis4
L’Acqua salino-alcalina di Castiglione nasce al livello
del mare, cui comunica in immediata vicinanza il proprio calore. Raccogliesi in una vasca, rinchiusa in una
piccola fabbrica an­tica a vòlta, il cui muro è bagnato
dal mare ed è situata imme­diatamente sotto le stufe di
Castiglione, dalle quali si scende per mezzo di viottolo
ripido, appena praticabile, attraverso le vigne.
Al tempo di Jasolino la sorgiva era ostruita dalla rovina di antichi bagni, sicché si era obbligati di attingere
l’a­cqua e fare il bagno a casa del malato; ciò nondimeno se ne faceva allora molto uso. Nell’anno 1698 il dott.
d’Aloisio vi fece costruire una convenevole fabbrica per
uso di bagni.
Andrea Giuochi5
Lungo la strada che dal porto d’Ischia conduce a Casamicciola e alla destra, ad un chilometro si trova la
contrada detta Castiglione. Alla base orientale di questo promontorio esiste una sor­gente di acqua termominerale detta purgativa del Castiglione. Sorge dalla
trachite, dista dal lido del mare non più di tre metri; vi
si accede per un lungo e incomodo sentiero. È limpida,
ha sapore molto salato, non disgustevole; segna al termometro 78° C. Contiene solfato di soda e potassa, cloruro di sodio: tracce di bicarbonati di soda e potassa,
di bromuri e ioduri alcalini. L’effetto medicamentoso
principale è purgativo; si usa alla dose di una libbra a
due e mezza, presa ad intervalli. È consigliata al giorno
d’oggi come una preparazione alla cura de’ bagni. Già
da gran tempo godeva favore, perché riconosciuta utile
a combattere la stitichezza pertinace, l’epatite, l’itterizia, le stasi emorroidarie, le idropisie e l’ipocondria.
4 Guglielmo Jervis, Guida alle Acque Minerali d’Italia,
Province meridionali, Torino 1876.
5 Andrea Giuochi, Ischia dalla sua origine ai giorni nostri,
Napoli 1884
Vladimiro Frenkel6
L’Acqua del Castiglione, un tempo rinomatissima,
aspetta, nell’abbandono più perfetto, il proprio “risorgimento”. Essa «non solo purga e netta per da basso
- scrive il Jasolino - ma anche in parte per l’urina..;
fortifica e corrobora lo sto­maco e le altre viscere, slarga
le ostruzioni dei reni e della vescica... scaccia fuori la
renella, uccide i vermi... giova grandemente alle difficoltà dell’urinare, alle piaghe nate (che sono di difficile curatione), alla lepra, alla inflatione e ventosità del
ventre... toglie via la morfea... sana le macchie e le pustole della pelle e molti altri morbi cutanei... conforta il
cuore, aguzza la vista, eccita l’appetito».
Illustrando una lunga serie di guarigioni ottenute, il
Jaso­lino soggiunge: «...Gli abitanti dell’Isola usano di
questo bagno continuamente, come di cosa per sanare qualsivoglia specie di rogna... e noi ogni dì vediamo
operazioni e virtù di quest’acqua, così meravigliose e
stupende, che veramente bisogna credere essere stata
data dal Cielo per la salute degli uomini».
Presso la sorgente esistono tuttora le famose Stufe
del Castiglione (anche esse abbandonate), descritte e
sperimentate dal Jasolino7, decantate dal De Quintiis8
e illustrate dal D’Aloisio9.
La Grotta della Sibilla
Il lido del Castiglione è conosciuto e citato anche
perché vi si può rintracciare la cosiddetta Grotta
della Sibilla. «Essa – scrive Wladimiro Frenkel10
- non rassomiglierà certo all’autentica e splendida
Grotta di Cuma con “le cento vie e i cento antri”,
situata sotto il Tempio di Apollo, né a quella falsa e modesta, presso il Lago d’Averno, al “primo
entrar nel doloroso regno”... È una grotta ben
semplice, rustica, di... villeggiatura, ma, per contro, il luogo è oltremodo romantico e suggestivo,
come lo è tutta la riviera del Comune di Casamicciola. La Sibilla veniva qui, secondo alcuni, nella
stagione estiva, attratta dalle acque e dalle stufe
medicamentose. Altri, invece, alludono ad un suo
soggiorno forzato fra questi mirti, viti e ginestre...
Essa sarebbe stata perseguitata dal tiranno Aristodemo e si sarebbe rifugiata presso il Castiglione, come tante famiglie cumane che si erano ri6 Vladimiro Frenkel – L’Isola d’Ischia e le sue sorgenti
termali, 1924
7 Giulio Jasolino, De' Rimedi naturali che sono nell'isola
d'Ischia, hoggi detta Iscchia, 1588.
8 Camillo Eucherio de Quintiis, Inarime seu de Balneis Pithecusarum, 1726.
9 Giovanni Andrea d'Aloisio, L'Infermo istruito nel vero
salutevole uso dei rimedi minerali dell'isola d'Ischia, 1757.
10 W. Frenkel, L’Isola d’Ischia, nuova guida, II edizione
1928.
bellate contro i noti metodi di governo introdotti
dal suddetto padrone del Regno di Cuma: nella
gioventù egli eccitava passioni sensuali; negli uomini maturi uccideva, con lavoro e con tasse, tutte le aspirazioni; nei vecchi provocava sentimenti
religiosi... Il “carnevale” di Aristodemo durò circa
quattordici anni. Dopo la fine del mostro - fu ucciso dalla bella Senocrita - la Sibilla, senza dubbio,
ritornò nella sua dimora principesca sotto l’Acropoli di Cuma. Ma, secondo la tradizione, essa, in
questa stessa grotta, avrebbe annunziato la venuta del Redentore. Il rev. Onofrio Buonocore, nelle sue Leggende Isclane, afferma che i pescatori
avevano raccolto i seguenti responsi “sulle foglie
mezzo aggrinzite dal sole e inzuppate d’acqua”:
“una vergine concepirà e partorirà un Figlio... e
rifioriranno i tempi di Saturno... farà trionfare la
giustizia... pieno di mansuetudine... tornerà l’ordine dal mare al mare”11.
Coloro che avranno dimenticato il vero essere
della Sibilla o delle Sibille troveranno nella seguente “carta d’identità” elementi sufficienti, per
poter eventualmente più o meno emanciparsi
dalla scienza dei ciceroni e dei “conoscitori non
autorizzati”. Eccola in poche parole: Si contano
parecchie Sibille. Quella detta Eritrea o cumana,
proveniente dall’Asia Minore, si chiamava Deifobe o Erofile (cara a Era, a Giunone). Secondo altri:
Cassandra (allora figlia di Priamo?) o Amaltea...
Era figliuola di Glauco. Vergine, secondo alcuni.
Secondo altri: Apollo non poté essere da lei corrisposto che al patto di farla vivere tanti anni quanti granelli di arena avrebbe potuto tenere in una
mano. Visse molti secoli. Infine non le rimase che
la voce per profetare. Eraclito ricorda che la Sibilla parlava senza sorridere, non si truccava e non
adoperava profumi... Grazie a Eraclito le profezie
della Sibilla furono lanciate nel gran torrente del
pensiero filosofico. Essa scriveva i vaticini sulle
foglie degli alberi. Una raccolta di tali oracoli, in
versi greci, fu, per mezzo d’una vecchia sconosciu11 I vaticini della Sibilla cumana intorno alla nascita del
Redentore, tradotti dal greco e riportati dal D’Aloisio nel
suo Infermo istruito, ci appaiono, nel loro testo latino, più
dettagliati, più eloquenti, più categorici... Questa bellissima
e pia leggenda isclana, ricordata nelle opere del Jasolino,
del Capaccio, del D’Aloisio, ha ispirato, oltre il sunnominato
Buonocore, anche il Podestà del Comune di Casamcciola,
Cav. Conte, il quale sostenne di aver autenticato la grotta
della figlia di Glauco appunto nelle vicinanze del Castiglione,
dove regna, come il Jasolino, “eterna primavera”. La curiosa
ed interessante relazione del Conte in proposito, intitolata
Cristo Idrologo (Cristo, in verità, non è idrologo: è Divino),
fu letta e molto applaudita al XIX Congresso Nazionale di
Idrologia nei Campi Flegrei: giugno 1928.
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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ta, venduta a Tarquinio il Superbo, ma andò perduta nell’82 durante l’incendio del Campidoglio.
Fu formata una nuova collezione, scritta da ebrei
ellenizzati, ma questa venne distrutta per ordine
del celebre generale Stilicone nel 405. La Sibilla
divenne famosa soprattutto per aver accompagnato Enea nell’inferno e, come abbiamo detto
sopra, per aver annunziato il ritorno dei tempi di
Saturno: la venuta di Cristo. Gli oracoli sibillini,
esistenti tuttora, sarebbero, secondo il Reinach,
imitazioni giudeo-cristiane, sebbene sian citati
come testi ispirati dai SS. Isidoro e Girolamo e
ricordati nella messa cattolica dei defunti: Teste
David cum Sibylla».
Il D’Aloisio nel suo Infermo istruito12 del 1757
così menziona la leggenda della Sibilla: «L’umana ambizione, e l’ingordigia di regnare, e il mal
talento in tal uno forte, e potente di opprimere i
deboli, sono state cagioni in ogni tempo di funeste
rivoluzioni in ogni ben regolata Repubblica. Questi vizi signoreggiando nell’animo di Aristodemo
Cumano l’indussero a maltrattar, e soverchiare
li Primati della Cumana Repubblica, che per liberarsi da un sì potente Nemico si ridussero al
punto di tramarli la vita. Ma scoperta da esso una
tale trama, preso da essa il motivo di vendicarli, e
di rendersi con ciò scopertamente Tiranno, molti di essi ne fece barbaramente trucidare, ed altri
per iscampare la di lui inumanità celatamente da
Cuma fuggendo, nell’isola d’Ischia si ricovrarono,
e propriamente in quelle contrade, ove i loro progenitori Calcidesi ed Eritresi la prima volta avevano abitato, cioè presso di Casanizzula, quale luogo
ancora oggi giorno in loro memoria Casacumana
è chiamato.
Ivi si crede che in altri tempi si trasferisse anche
la celebre Cumana Sibilla a tenere soggiorno; mostrandosi oggidì la di lei sotterranea stanza13 in cui
le predizioni, dicono, che avesse vaticinate della
maniera che siegue per rapporto alla nascita del
nostro Divino Redentore:
Tunc ad mortales veniet mortalibus ipsis
In terris similis, natus Patris Omnipotentis,
Corpore vestitus, vocales quatuor autem
Fert, non vocalesq; duas binum Genitorem.
Sed quae sit numeri, totius summa docebo:
12 Giannandrea D’Aloisio, L’Infermo istruito nel vero
salutevole uso dei rimedi minerali dell’isola d’Ischia,
Napoli 1757.
13 Questa stanza da nostri Vecchi al dì oggi si mostra nella
Terra di Casanizzula, e propriamente nell’atrio delli Signori
Garriga a Casacumana.
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La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
Namqu; octo monodas, tantidem decades super [ista,
Atq; hecantodas octo, infidis significabis
Humanis nomen: tu vero mente teneto
Aeterni natum Christum summiq; Parentis.
Dagli ammaestramenti della Sibilla, essendo
forse resa quella gente perita in rinvenire nella
nostra Terra delle miniere di finissimo oro, o pure
istruttasi in formare vasi di creta, o in fare l’alume, molto ricca divenne, di maniera che vivendo
quella nuova Colonia lieta, e felice, per rendersi
sicura dagl’insulti de’ nemici si fortificò su la Rocca di Castiglione; siccome avevano fatto quegli altri primi Calcidesi ed Eritresi. Ma in progresso di
tempo invogliandosi Gerone Tiranno di Siracusa
delle ricchezze di essa all’improvviso la sorprese,
la assaltò, e la vinse, affatto cacciandola dalla nostra Isola. Fra tanto il Tiranno con farsi Signore
ancora del vicino continente, rinforzò la Rocca di
Castiglione con grosse muraglie dalla parte del
mare e, postovi a guardarla con valido presidio di
Siciliani, se ne ritornò in Siracusa».
Mons. Onofrio Buonocore, che tanto scrisse sulla storia e sulle leggende dell’isola d’Ischia, ci offre una esauriente pagina in proposito14.
«La storia delle Sibille non è poca né trascurabile; i cristiani le ravvi­cinarono ai profeti; l’arte
sacra non ebbe a disdegno di profilarle nei sog­
getti religiosi; Michelangelo, nella Sistina, mette a
trionfare quattro Sibille nel Giudizio Universale.
Tommaso da Celano, nella cupa sequenza del
Dies irae, richiama il pen­siero alla Sibilla; Teste
David cum Sibilla!
La sacerdotessa cumana, la veggente figlia di
Glauco, divinità marina, va innanzi le altre per
l’abbondanza degli ora­coli e per la fortuna che
toccò di cantori sonori.
Le accese fantasie dei poeti descrissero la dimora di lei, la longevità fuori uso, la via che teneva
quando, agitata dal nume, si porgeva docile alle
ispi­razioni.
Teneva dimora in profonde grotte: correvano
dal lago Averno al colle sopra il quale ergevasi il
tempio di Apollo.
Dal lato dell’Averno accoglieva quelli che si recavano per responsi; sotto il tempio si elevava l’ara
del nume; nella parte interna, scavate nel masso,
si allargavano tre camerette; abituale dimora del14 Onofrio Buonocore, Leggende isclane, Rispoli Ed.
Napoli, 1949.
la pitonessa. Nella prima si dispiegava un giaciglio lapideo; nella più intema tondeggia una buca,
at­traverso la quale venivano trasmessi i responsi.
Apollo le fece dono di longevità fuori usanza: le
diede vivere tanti anni quanti granelli di sabbia
sapesse stringere nel pugno. Si ridusse a buccia
estrema; le restava solo la voce! Quando mancò ai
vivi, chiusa in urna di bronzo, fu lasciata a dormire nella grotta accennata.
Il responso di lei veniva sempre accolto in tremore. Enea le si porse obbediente ad ogni cenno;
Tarquinio il Superbo si condusse in caso di cedere
alle misteriose imposizioni.
La leggenda racconta che la sacerdotessa, con
nove volumi di sua fat­tura, contenenti i destini
di Roma, se ne andò all’Urbe; li offrì al re dietro
richiesta di prezzo esagerato. Si mise al diniego
quegli; ed ella, venuta fuori, diede tre volumi alle
fiamme. Ritornò all’offerta con i sei, richie­dendo
lo stesso prezzo. Il re trovò la cosa più eccessiva; ed ella gettò in pasto alle fiamme tre volumi
ancora. Per i tre restanti mosse la medesima richiesta. Il re viene in pensiero e interroga gli auguri. Questi danno in­coraggiamento a comprare
ad ogni costo. E i tre volumi andarono riposti nel
Campidoglio, in un’arca marmorea, in custodia di
un collegio di sacer­doti. E il popolo romano, nelle
ore oscure, pigliò usanza a consultare i vo­lumi; e,
dalle parole sibilline, dispiccava luce e valore.
***
Al cospetto di Cuma si leva superba l’isola d’Ischia, la terra cosparsa d’incanto, l’isola verde per
antonomasia, il rifugio degli assetati di calma, la
terra che diede le più soavi ispirazioni a Vittoria
Colonna, a Lamartine, a Ibsen, per passarci di altri antichi e moderni. D’ogni intorno è una vera
festa di natura, dai monti, dai piani, dal mare. Regnante Aristodemo in Cuma, la Sibilla ebbe molestie; una matta vo­lontà di persecuzione religiosa
si attaccò all’anima del tirannello; la sacerdotessa,
in modo semplice, diede a vedere il disgusto suo.
Fermò in cuore di lasciare Cuma; uscì dalle grotte
claustrali; avanzò verso il mare di Torregaveta in
compagnia di due vestali.
Rideva il sole di primavera avanzata; dove la
sacerdotessa posava il piede i fiori reclinavano
appesantiti; s’inchinavano col moto delle onde le
biade, come la Sibilla menava l’occhio a destra e a
sinistra. Dispiegò il velo su le onde; le vestali descesero ai lembi; una bava di vento soffiò dentro e
via alla volta di Ischia che torreggiava a vista.
Tra la cittadina di Villa dei Bagni e quella di
Casamicciola, dove, ora, spiegasi la necropoli, si
leva un promontorio rivestito di mirti, di ginestre,
di viti; nel petroso seno s’infossa una grotta: qui
mise soggiorno la Sibilla.
Riluceva un giorno pieno di sole; correva per
l’aria una festa di na­tura; gli uccelli canori ripetevano il verso loro su per le rame rigide. La Sibilla viene fuori dall’antro, dispicca dal caprifico
sporgente dal crepaccio larghe foglie, le segna di
stile, le dispiega su per lo scoglio che le si ap­punta
davanti.
I pescatori tenevano d’occhio la donna misteriosa, colei che tutti no­minavano con riverenza;
e quando la vedono ritornare all’antro, danno di
lena sui remi: li punge curiosità, segreto istinto,
desiderio irrefrenabile.
Quando sono da presso, una subita folata di vento sparpaglia le foglie in parte aggrinzite; vanno a
posare nella sabbia, cadono in balia delle onde. I
pescatori ne raccolgono inzuppate di acqua, mezzo frantumate... e ri­tuffano il remo in fretta.
E i dotti del paese decifrarono i frammenti:
- «La Vergine e il Figlio... i regni di Saturno...
il lupo e l’agnel­lo... il Re pacifico... dal mare al
mare».
***
E dopo tanto fluire di secoli, sulla plaga incantevole dove la veggente vaticinò il Redentore, tra
Villa dei Bagni e Casamicciola, si allarga ancora la
grotta della Sibilla!
Leggete e diffondete
La Rassegna d'Ischia
Periodico di ricerche e di temi culturali, turistici, politici e sportivi
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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In Ischia Oggi n. 2/1980
Intervista al sindaco Mennella
Perché il legame Museo-Villa Arbusto?
Ritorniamo sull’argomento riguardante il Museo archeologico di Lacco Ameno e sulle relative
vicende per cercare di comprendere alcuni motivi e alcune premesse che hanno spinto l’Amministrazione comunale verso determinate scelte
e che hanno trovato subito unanimi consensi in
altri enti (Provincia, Regione, Soprintendenza).
A tale scopo ci siamo rivolti al sindaco professor
Vincenzo Mennella, prospettandogli la necessità che il problema sia discusso in tutti i suoi aspetti,
anche quelli controversi, al fine di offrire un quadro chiaro e completo della complessa situazione.
D’altra parte l’opera è di quelle che sono destinate ad esercitare una grande influenza sul turismo
non solo di Lacco Ameno, ma anche dell’isola intera.
Innanzitutto ricordiamo che nel 1974 il Comune approvò un progetto per la realizzazione del
museo in località «Mazzola», già sede di scavi
archeologici da parte del prof. Buchner. Perché
poi tutto l’interesse si è rivolto verso l’acquisizione del complesso Villa Arbusto?
«La soluzione di Villa Arbusto - chiarisce il prof.
Mennella – di gran lunga più idonea ed interessante di quella ipotizzata nel 1974, non è in contrasto con la precedente scelta, ma può essere ben
considerata lo sviluppo e la integrazione della
stessa, resisi possibili per fortunate congiunture
e per le mutate condizioni socioculturali. La località Mazzola resta ugualmente acquisita al patrimonio pubblico come parco archeologico e sarà
collegata al complesso di Villa Arbusto attraverso
un sottopassaggio alla via di circumvallazione che
oggi divide le due zone.
La scelta di Villa Arbusto, conseguente alla
chiara disponibilità degli eredi Rizzoli a vendere
la stessa all’ente pubblico, è stata portata avanti
con la convinta e responsabile partecipazione della Soprintendenza, la quale era a perfetta conoscenza dell’ impegno posto dal Comune di Lacco
Ameno anche per la soluzione precedente, che
purtroppo non aveva avuto esito positivo».
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La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
Allora si parlava soltanto del museo, oggi si
aprono prospettive più ampie e diverse che impegnano l’amministrazione.
«C’è il vantaggio, non configurabile nel 1974, di
assicurare alla libera fruizione uno storico complesso e la realizzazione di un parco pubblico attrezzato. Gli oltre diecimila metri quadrati di zona
archeologica, per i quali è in avanzato corso l’esproprio da parte del Ministero P.I. nella citata località Mazzola, e i circa dodicimila metri quadrati
del complesso di Villa Arbusto, costituiranno una
struttura unica che, opportunamente articolata,
rappresenterà un’attrattiva turistico-ambientale
di notevole rilievo. Attraverso Villa Arbusto si
mette in diretta comunicazione inoltre la zona di
Mazzola con il centro di Piazza S. Restituta, dove
hanno sede i ben noti scavi che prendono il nome
dal Santuario e che hanno messo in luce una importante pagina di storia paleocristiana».
Si dice anche che sono state trascurate le indicazioni del Piano Regolatore Generale.
«La scelta del Piano per una struttura pubblica
di tanto rilievo non può che essere indicazione di
massima, per cui localizzare la struttura ad una
decina di metri di distanza dalla indicazione di
Piano, quando a tale distanza si ha la fortuna di
trovare la possibilità di una soluzione ideale, quale, nel caso specifico, quella di Villa Arbusto, non
significa tradire la scelta del P.R.
Vi è di più: la zona dove il P.R. prevede come indicazione di massima il museo è stata ugualmente
interessata nel progetto di acquisizione del complesso di Villa Arbusto per la realizzazione di un
parcheggio al servizio di tutta la struttura. Quindi
nessuna incoerenza e nessuna devianza dalle scelte di Piano Regolatore».
È possibile una trattativa con i nuovi proprietari, al fine di permettere che le varie esigenze siano soddisfatte?
«Al di là del programma completo da realizzare e che ha la sua validità nella complessità e
nella articolazione delle varie strutture, occorre
aggiungere che, per rendere possibile una diversa destinazione, l’ente pubblico, dal Ministero al
Comune, passando per la regione, dovrebbe cancellare tutti i vincoli che tutelano il complesso Villa Arbusto. Tali vincoli sono di natura storica ed
artistica in base alla legge 1089, come da decreto
del Ministero P.I. del 24 novembre 1952, e di natura urbanistica in base al PRG: in tale piano la
zona libera da costruzioni è in parte destinata a
verde pubblico e in parte dichiarata di rilevante
interesse ambientale e già considerata satura per
le costruzioni esistenti».
Il sito di Mazzola
a Mezzavia (Lacco Ameno)
L’insediamento di Pithekoussai
non era limitato al promontorio
di Monte di Vico, ma si estendeva
anche sul versante nordest della
collina di Mezzavia (sopra l’attuale strada di circumvallazione), di faccia al fianco orientale
dell’acropoli al di là di una zona
bassa e pianeggiante che si prolunga verso nordovest nella valle
di San Montano. Dalla raccolta
sistematica di cocci in superficie
risulta che il complesso suburbano di Mezzavia si estendeva
per una lunghezza di almeno
500 metri in una serie di nuclei
distinti, tre dei quali sono stati
accertati, fondati tutti nella fase
LGI. Di questi, uno solo è stato
meglio definito e parzialmente
scavato dal 1969 al 1971 nella località detta Mazzola, in un’area
a emiciclo chiusa su entrambi i
lati da più alti livelli di terreno. Il
quartiere metallurgico di Mazzola, con tutto ciò che esso implica
per la raison d’ètre di Pithekoussai, deve alla sua posizione il fatto
di essersi conservato, e di essere
stato scavato: la posizione periferica è del resto proprio quella che
dovremmo aspettarci, giacché gli
antichi fabbri avevano bisogno di
stare vicini alle fonti di carbone
(di legna) che usavano in quantità enormi, mentre i concittadini
erano comprensibilmente ansiosi di evitare i rischi di incendi nel
nucleo abitato principale.
Pithekoussai, complesso industriale suburbano, Mezzavia
Particolare dell'area di Mazzola
Le ricerche hanno messo in luce
i resti di un complesso di strutture databili in base ai ritrovamenti
di ceramica al periodo compreso
tra la metà dell’VIII e gli inizi del
VII secolo: contemporanee quindi del periodo euboico già esaminato nella necropoli e sull’acropoli. Sembra che il sito sia stato
abbandonato completamente nel
primo quarto del VII secolo, sal-
vo per un’area limitata rioccupata nella prima metà del VI secolo, come indicano i muri di una
struttura costruita con blocchi
squadrati di tufo verde dell’Epomeo. In netto contrasto con questo, i muri del periodo precedente sono fatti di pezzi di trachite
locale legati con terra; essi appaiono ben conservati, e non sono
stati disturbati dall’uomo dall’eLa Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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Pithekoussai, complesso industriale suburbano, Mezzavia
Pianta dell'area di Mazzola
poca dell’abbandono, tranne per
il danno superficiale causato dai
terrazzamenti e la viticoltura di
epoca relativamente recente.
Delle quattro strutture riconoscibili, sembra che fosse destinato ad abitazione solo l’edificio
absidato I, composto di un grande ambiente rettangolare e un
ambiente più piccolo con parete
esterna curva sul lato nordoccidentale. Questo è anche l’unico
edificio che non mostri segni di
ricostruzione; frammenti di vasi
pressoché completi (compreso
un bel cratere dipinto geometrico) raccolti dal pavimento, nel
quale era anche interrato un intero tegame da cucina di argilla
grezza, suggeriscono un abbandono repentino in seguito a distruzione, in un momento provvisoriamente datato da J.J. Klein
intorno al 720 a.C. Non è forse
24
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
troppo fantasioso ricordare che
Strabone menziona specificamente i terremoti come uno dei
preoccupanti fenomeni naturali
che indussero gli Eubei ad abbandonare Pithekoussai.
Nella parte occidentale dell’area di Mazzola movimenti sismici avrebbero presto portato
massi enormi a rotolare giù dal
costone di Mezzavia.
Le altre strutture erano tutte
adibite in un modo o nell’altro
alla lavorazione dei metalli. I due
successivi pavimenti della struttura in hanno restituito molti
pezzi di massello e scorie di ferro,
e la superficie del pavimento era
impregnata di schegge e frammentini di ferro: l’ipotesi che
si tratti di un’officina di fabbro
ferraio trova ulteriore conferma
nella presenza, nel contiguo cortile aperto, di un’area fortemente
bruciata che può essere ragionevolmente identificata come la fucina.
La struttura IV, originariamente ovale, appare modificata a un
certo punto durante il periodo
euboico per farne un edificio
rettangolare: all’interno si trova
una disposizione rettangolare di
mattoni crudi molto bruciati, che
è probabilmente un’altra fucina,
e vicino a questa si rinvennero
due grandi pezzi piatti e lisci di
fonolite assai dura, che potevano essere usati come incudini (da
L’Alba della Magna Grecia di David Ridgway, Longanesi editore,
febbraio 1984).
Non propriamente pertinente
ad un contesto urbano è il complesso produttivo noto in località
Mazzola (Lacco Ameno), sull’isola di Ischia. Si hanno resti di
strutture, databili dalla metà dell’VIII al VI secolo: alcune di esse
costituivano laboratori di fabbri,
che sottoponevano ad una prima
lavorazione il minerale di ferro.
Recenti analisi delle scorie hanno indicato, con quasi assoluta
certezza, che il minerale grezzo proveniva dall’isola etrusca
dell’Elba. Intorno ai laboratori si
hanno semplici strutture, costruite con scheggioni di trachite o di
tufo, a seconda delle epoche, con
pianta rettangolare. La forma più
antica pare, tuttavia, ovoidale.
Delle strutture di Mazzola una
sola sembra esser stata destinata ad abitazione: è composta da
un vano rettangolare, di circa 5
metri di lunghezza, con un vano
minore aggiunto su un lato corto,
di forma absidale.
La non pertinenza del complesso metallurgico alla città di
Pithecusa, oltre che dalla specializzazione produttiva delle strutture lì rinvenute, è chiaramente
indicata dalla sua lontananza
dalla località Monte di Vico, ai
piedi della quale si trova la necropoli di San Montano, e che era
il luogo più densamente e continuativamente abitato, anche per
la sua morfologia favorevole, che
ne permetteva la difesa, e la sua
posizione, a ridosso di due porti
d’approdo (da Le città sommerse
della Magna Grecia di Pier Giovanni Guzzo, Newton Compton
Editori, 1982).
Milano – Al Palazzo Reale
Mostra : Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei
Esposto il Cratere del Naufragio
del Museo Archeologico di Lacco Ameno
La mostra Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei, prodotta ed organizzata da Palazzo Reale (Milano) con la casa editrice Electa, ideata in occasione
di Expo 2015, aperta il 31 luglio 2015 si protrarrà sino al 10 gennaio 2016; essa intende presentare,
attraverso più di 200 opere d’arte greca, magnogreca e romana, un aspetto poco noto del mondo
classico: la rappresentazione della natura nei suoi
vari aspetti, l’azione dell’uomo sulla realtà naturale
e sull’ambiente.
La mostra, curata da Gemma Sena Chiesa e Angela Pontrandolfo, allestita da Francesco Venezia,
ha avuto il patrocinio del Mibact (Ministero dei
Beni e delle Attività Culturali e del Turismo).
Vasi dipinti, terrecotte votive, statue, affreschi e
oggetti di lusso come argenterie e monili aurei sono
ordinati cronologicamente (dall’VIII sec. a. C. al II
sec. d. C.) e per temi in 6 sezioni nelle sale di Palazzo Reale, con un’attenzione maggiore sulla produzione artistica magnogreca e in generale dell’Italia
meridionale, a quella ellenistica e romana. Un focus particolare viene dedicato ai reperti archeologici di area vesuviana con una selezione di capolavori
di pittura parietale pompeiana.
Le prime raffigurazioni di età arcaica (nella sezione Lo spazio della natura) rappresentano una natura selvaggia: rocce, alberi,
caverne ma soprattutto frequenti scene marine come nel caso del famoso naufragio,
dipinto in maniera grandiosa e inquietante,
del vaso della fine dell’VIII secolo a. C. dal
Museo di Ischia, decorato con una famosa
scena di naufragio dipinta in maniera grandiosa e inquietante.
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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L’emigrazione ischitana verso le Americhe
Pe’ terre assaje luntane
Si è svolta a Ischia Ponte (11/13 settembre 2015),
a cura dell’Associazione Ischitani nel mondo, la
XII edizione di Pe’ terre assaje luntane – l’emigrazione ischitana verso le Americhe.
A bordo delle città galleggianti, ufficiali, cabinisti, fuochisti, cuochi e camerieri sono un esercito
in continuo movimento, dalle viscere della stiva
alle vertiginose altezze dei ponti. La traversata
transoceanica si trasforma così in un viaggio tra
rituali di aristocrazia marinara, eccellenze di tradizione gastronomica e moderni modelli di accoglienza.
Sulle stesse rotte, gli emigranti ischitani, contadini, artigiani e pescatori, s'imbarcano per il Nuovo Mondo, dove sviluppare l'antica sapienza di
tecniche e mestieri nella ricerca di altre "isole".
I Mestieri dell'emigrante
Il Mestiere dell'emigrante
La storia della nostra emigrazione si biforca:
ischitani in cerca di terre e ischitani in cerca di
mari. I contadini s'imbarcano quando l'economia
legata ai vitigni entra in crisi, come si racconta
nello spettacolo "Di vino, di mare e di zolfo" che
recupera la memoria di un legame con un'altra
isola, Salina, intorno alla metà dell'Ottocento. Il
destino dei contadini non è diverso da quello degli
altri emigranti: la pura manovalanza nei grandi
centri industriali, o il bracciantato.
I pescatori, invece, a cui la mostra documentaria è stata in larga parte dedicata, passano dalla
migrazione stagionale a quella stanziale, dalle coste algerine a quelle sull'oceano Pacifico. Trovano
porti, realtà multietniche, senza rinunciare a quel
senso di appartenenza che li tiene ancorati all'isola d'origine.
È ancora una migrazione periodica, quella degli
ischitani che lavorano a bordo delle navi mercantili e dei transatlantici. Essi acquisiscono competenze nel campo della ristorazione e dell'accoglienza che poi metteranno a frutto nella nuova
stagione del turismo che cambia il volto dell'isola.
Abilità marinare e di ospitalità che, nell'ambito
della manifestazione, sono state rinnovate con il
laboratorio a bordo della lancia d'epoca e con la
26
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
partecipazione degli studenti dell'Istituto Nautico
e dell'Istituto Alberghiero.
Tra i mestieri dell'emigrante c'è quello di essere emigrante. Il tema, tra letteratura e cinema, è stato approfondito nell'incontro in collaborazione
con il Circolo Sadoul e l'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, che ha chiuso la manifestazione.
Ischia - Emigrazione. «Tra il 1840 e il 1900
le correnti migratorie si dirigevano verso le coste settentrionali dell’Africa francese e verso la
Francia. Dalle trascrizioni, numerosissime, de-
gli atti anagrafici provenienti
dall’estero, si desumono utili
indicazioni circa le mete più frequenti, che erano Philippeville,
Algeri, Costantina, Stora, Bona,
Tunisi, Biserta. Nell’ultimo ventennio del secolo XIX parte della
corrente migratoria si spostava
verso la madrepatria delle colonie, la Francia, e mete erano
Marsiglia, Agde, dove gli ischitani erano impiegati nei cantieri
navali. La saturazione di questi
paesi più vicini e il migliora-
mento delle comunicazioni con
l’America fecero mutare la direzione generale dell’emigrazione
e così all’inizio del 1900 il maggior contingente di emigranti
dell’isola si spostò verso gli Stati
Uniti, specialmente negli stati di
New York (New York), Rhode
Island (Providence), California
(Los Angeles e San Pedro); anche l’Argentina (Buenos Aires e
Bahia Blanda) e il Brasile (Rio de
Janeiro e S. Paolo) costituirono
mete frequenti degli emigranti
ischitani. Successivamente sono
diventate mete di emigrazioni
temporanee, spesso stagionali,
la Svizzera e la Germania cui si
dirigono, nell’inverno quando
la stagione turistica ad Ischia è
conclusa, numerosi isolani, impiegandosi come camerieri ed
operai» (da uno studio di Dora
Buchner Niola : L’isola d’Ischia,
srudio geografico, Istituto Geogrfico dell’Università, Napoli, 1965 ).
Mostra documentaria a Panza
Scripta manent
Lettere, documenti e
manoscritti del passato
Dal 13 al 20 settembre 2015 si è svota a Panza la
mostra documentaria “Scripta manent – Lettere,
documenti e manoscritti del nostro passato”, allestita dall’Associazione culturale Moveo.
Dopo le precedenti edizioni della mostra fotografica, i giovani Panzesi hanno proposto una variazione, mantenendo però inalterato il legame
con la tradizione: non fotografie ma documenti.
Tante curiosità sono emerse agli occhi dei ragazzi dell’Associazione impegnati nella ricerca
e selezione dei documenti sia negli archivi pubblici che nei cassetti delle famiglie della frazione:
pergamene per meriti di guerra, pagelle scolastiche dell’inizio del Novecento, documenti ufficiali
scritti con calligrafia elegantissima, lettere incerte
di contadini, ecc.
Particolarmente ricche le sezioni dedicate alla
Congrega SS. Annunziata e alla Parrocchia San
Leonardo Abate di Panza, grazie al priore Aniello
D’Abundo, all’amico Gioacchino Polito e al parroco Don Cristian Solmonese che hanno concesso la
fruizione degli archivi ai soci della Moveo.
Presenti nella mostra alcuni stralci de “La frazione di Panza nell’impugnato del Comune di
Forio d’Ischia” del 1903, conosciuto dai Panzesi
come lo scritto in cui si riportano i confini del paese. Le parti scelte dagli organizzatori evidenziano
l’ancestrale contrapposizione tra i cittadini della
frazione e quelli di Forio capoluogo, attraverso
accuse reciprocamente scambiate tra i consiglieri
comunali rappresentanti delle due parti.
Ma la sezione che ha colpito maggiormente è stata quella riguardante i due conflitti mondiali:
libretti della regia marina, documenti di riconoscimento di prigionieri di guerra, lettere dal fronte; toccante l’epistolario di Paolo Morgera, nato
nel 1896 e ritrovatosi in guerra appena maggiorenne, in un paese lontano da casa, senza nemmeno conoscerne i motivi.
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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Alla scoperta delle bellezze
Il Castello Aragonese d'Ischia
Negombo segnalati da più siti
www.skyscanner.it
Il primissimo Castello sull’isola di Ischia risale al tiranno di Siracusa, Gerone. In seguito, dopo Partenopei e Romani, e dopo
moltissime altre vicende storiche nel mezzo, furono gli Aragonesi a donare alla fortezza la fisionomia attuale, che ricalca il
Maschio Angioino a Napoli
Accanto a Ischia, un posto coloratissimo: Procida.
28
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
Castello Aragonese. Isolotto, un prodotto di eruzione vulcanica, che si erge per circa 113 metri
di altezza, «fu il primo nucleo dello
sviluppo etnico dell’isola tutta, di
cui può dirsi che compendi la vita
preistorica e storica e ne conservi
e tramandi il ricordo perenne».
Spesso è detto anche Castello di
Gerone. Nel 1438 Alfonso I d’Aragona se ne impadronì e ne fece la
sua sede preferita. Il maniero visse il periodo di maggiore splendore nella prima metà del sec. XVI,
quando vi dimorarono Vittoria
Colonna ed una schiera di donne
belle, colte e cortesi, intorno alle
quali si radunavano cortigiani e rimatori. Nel 1874 e sino al 1890 il
Ministero degli Interni abolì la colonia dei coatti e restituì al Demanio il Castello con tutti i fabbricati
e all’Orfanatrofio Militare tutto il
territorio coltivato, principalmente, a frutta e a vigne. Successivamente il Castello divenne proprietà di un privato cittadino, i cui
eredi peraltro ne hano fatto la sede
di manifestazioni artistiche e culturali. «Oggi - si legge in un libro
di Enzo Mancini (1980) - visitare
il Castello non è più arida passeggiata tra mura e luoghi lasciati
all’usura del tempo e degli agenti
atmosferici. Oggi tutto ha riacquistato, pur nell’antica veste, nuovo
splendore, con sempre più ampi
spazi offerti in visione al pubblico, ad eccezione del Maschio, che
svetta sempre là superbo a coronare il masso trachitico. Peraltro
a richiamare qui visitatori sono
anche manifestazioni varie, come
mostre, convegni, raccolte museali...» (r.c.).
dell'isola d'Ischia
i giardini La Mortella e il
internet tra i più belli d'Italia
www.paesionline.it
Tra le meravigliose isole dell'arcipelago campano, Ischia spicca - tra le altre cose! - per questo castello arroccato a strapiombo sul mare.
www.zingarate.com
Agli inizi del '500 ebbe il suo periodo di massima gloria. Qui soggiornarono importanti artisti e letterati, tra cui Vittoria Colonna. Oggi
è un castello molto ben tenuto con giardini ed
elementi dell'antico borgo ancora intatti.
www.grandigiardini.it
Giardini
La Mortella
È un capolavoro paesaggistico e botanico
contemporaneo, creato e curato da Susana,
moglie di William Walton, uno dei più importanti musicisti inglesi del Novecento. Progettata in parte da Russell Page, La Mortella
occupa un'area di circa 2 ettari divisa in due
zone, giardino a valle e giardino superiore, che
ospitano più di 3.000 specie di piante.
Parco idrotermale
Il Negombo
Nel 1946 arriva ad Ischia il duca Luigi Silvestro
Camerini; umanista e viaggiatore, è alla ricerca di
un luogo dove realizzare un parco che esprima la
sua grande passione per la botanica. L'incanto del
posto e l'analogia con la baia di Negombo, fanno
cadere la scelta sulla baia di San Montano. Qui la
natura trova una delle sue più significative espressioni nelle sorgenti termali, testimonianza della
storia vulcanica dell'isola d'Ischia.
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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XX Anniversario della morte (1995-2015)
Due inedite sculture di Francesco Messina ad Ischia
(Chiesa parrocchiale di Gesù Buon Pastore)
di Ernesta Mazzella
Nella chiesa parrocchiale di
Gesù Buon Pastore in Ischia1
sono custodite due preziose sculture opera dell’artista Francesco
Messina. Le statue sono di media
grandezza, raffigurano la Vergine Maria e San Giovanni ai piedi
della Croce. Esse sono collocate ai
lati dell’altare, poste specularmente l’una all’altra, donate alla chiesa
parrocchiale dal compianto Cardinale Virgilio Noè, arciprete della Basilica Vaticana. Le due opere
purtroppo sino ad ora non sono
state oggetto di studio e di pubblicazione. Sculture preziose sia per il
loro intrinseco valore artistico che
per la loro bellezza, ma soprattutto
per la firma posta dal loro Autore.
Francesco Messina è stato un
grande sperimentatore di stili e
linguaggi navigando tra il gusto
verista e secessionista. È ritenuto
dalla critica tra i maggiori scultori
figurativi del Novecento italiano,
insieme a Giacomo Manzù, Arturo
Martini, Mariano Mariani e Felice
Mina.
Nasce a Linguaglossa, in provincia di Catania, il 15 dicembre 1900,
da Angelo e Ignazia Cristaldi. Con
la speranza di emigrare in America,
agli inizi dell’anno successivo i genitori si imbarcano alla volta della
città di Genova, ma sono costretti
a stabilirsi nella città ligure, dove,
dal 1907 al 1909, il fanciullo Messina frequenta le scuole elementari
ed inizia a lavorare come garzone
marmista nel laboratorio Rigacci
e Callegari. Vero talento precoce,
egli trascorre un’adolescenza se1 A. Di Lustro – E. Mazzella, Insulanae Ecclesiae Pastores, I pastori della
Chiesa di Ischia, in Quaderni dell’Archivio Storico Diocesano di Ischia, Gutenberg Edizioni, Fisciano 2014, p. 163.
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La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
gnata dalla povertà, dividendosi
tra il lavoro e la frequentazione di
una scuola serale di disegno tenuta dallo scultore Tassara. Nel 1913
si iscrive all’Accademia ligustica di
belle arti. L’anno seguente entra
nella bottega dello scultore cimite-
riale Scanzi, dal quale apprende la
tecnica del modellato.
Nell’autobiografia2 si legge che
dal 1915 il Messina inizia a rea2 F. Messina, Poveri giorni. Frammenti autobiografici incontri e ricordi, Rusconi Editore, Milano1974, pp. 52, 54 s.
Ischia -Parrocchia di Gesù Buon Pastore
La Vergine Maria e particolare della statua (opera dello scultore F. Messina)
Ischia -Parrocchia di Gesù Buon Pastore
San Giovanni e particolare della statua (opera dello scultore F. Messina)
lizzare in modo autonomo e ad
esporre le prime sculture in gesso
e in marmo.
Fondamentale è la prima serie
di medaglie dedicate ai personaggi
illustri, ove l’Artista si imbatte nel
rilievo, risolvendolo con un disegno sinuoso e levigato di tradizione simbolista3.
Il suo stile cambia rotta dopo
l’incontro con Arturo Martini, avvenuto alla I Mostra del Novecento italiano nel 1926. Il rapporto tra
i due scultori è di grande stima e
amicizia, e contribuisce a rafforzare nel Messina il mito della statuaria primitivista e classicista.
Nel 1929 partecipa alla II Mostra del Novecento italiano e tiene
la prima personale alla galleria di
Milano, presentato in catalogo dal
Carrà4.
Rappresentativi del cambiamento maturato dall’Artista in questi
anni sono: la prima versione degli
Amanti dove il modello arcaico
ed etrusco d’impronta martiniana
appare sostanziato da un impeto
formale di ascendenza picassiana,
e il ritratto di Piero Marussig nel
quale l’espressività del volto segna
la matura svolta antiaccademica.
Si trasferisce a Milano dove, nel
1934, vince la cattedra di scultura
all’Accademia di Brera della quale,
due anni dopo, ne diviene il direttore.
Lo studio, mai interrotto, dell’arte antica e del Quattrocento, lo
conduce a declinare nelle sue opere verso un riesame storicista di
tipo realista, secondo cadenze intime e personali, attenendosi a pochi temi che caratterizzano l’intera
produzione successiva: il ritratto,
gli atleti e le giovani figure femminili.
Tra le opere si ricordano: Il pugile, Il pugile caduto, i quali impres3 Le medaglie di Francesco Messina,
introduzione di C. Bertelli, testi di J.
Cocteau, E. Montale, S. Quasimodo,
Editore Credito Artigiano, Milano 1986.
4 C. Carrà, Francesco Messina scultore,
catalogo, Editore Galleria Milano, Milano 1929.
sionano i contemporanei per l’eloquente ricercatezza dei corpi e per
la capacità di esprimere il senso
della forza attraverso il modellato
morbido e la tenerezza della carne.
Esemplari sono il Galetto e il Nuotatore in cui l’analisi realistica e la
vitalità espressiva del modellato
ricordano le statue di Donatello e
del Verrocchio.
Tra il 1932 e il 1938 il Messina realizza le prime sculture policrome con le quali, superando
l’asciuttezza dei ritratti virili, sviluppa il tema della grazia e dell’eleganza femminile, coniugando la
verità della forma con l’invenzione
irreale del colore.
L’attività del Messina non si interrompe durante la guerra anzi
continua ad esporre alla III Quadriennale, nel 1939; XXII Biennale
di Venezia, nel 1940, ed ha l’incarico di realizzare una quadriga in
bronzo per il prospetto del palazzo
delle Esposizioni, che a causa del
conflitto non riesce a concludere.
Il Messina non sempre è stato
compreso dalla critica italiana più
modernista. Egli conduce con intima sicurezza un percorso estetico
autonomo e coerente. Lo studioso
Cocteau, in un saggio, rintraccia
persino nelle opere più abbozzate
la sostanza mediterranea della sua
scultura, caratterizzata non tanto
dalla somiglianza figurativa, quanto da quella particolare vibrazione
con cui risolveva il modellato, senza sfiorare mai il deforme e cedere al rischio della caricatura. La
ricerca del dinamismo gli ispira il
tema dei cavalli in movimento nel
quale la critica rileva il passaggio
da una plastica intesa come armonia, «sotto il segno di Apollo»,
a una dinamica e «dionisiaca» in
cui colpiscono il ritmo ininterrotto
dei dati scultorei e la potenza fremente che rispecchia «la terribile
vitalità della natura5».
La sua grande padronanza di gestire i diversi materiali permette
al Messina di esprimersi con ogni
5 G. Bazin, Francesco Messina, Fratelli
Fabbri Editore, Milano 1966, pp. 8 ss.
dimensione, da quelle minime dei
bronzetti a quelle monumentali in
marmo.
Gli anni Sessanta sono ricchi di
sperimentazioni sul piano stilistico, prosegue nella ricerca di forme
naturali dal modellato solido e vibrante, realizza la monumentale
statua in marmo di Santa Caterina
da Siena posta nei giardini di lungotevere Castello in Roma. Per la
basilica di S. Pietro realizza il Monumento a Pio XII, una grande
scultura concepita per rendere in
pieno, nella verticalità dei volumi
e nella vitalità cromatica della superficie, la statura ecclesiastica del
pontefice benedicente. Paolo VI
afferma «siamo contenti di vedere
sigillata nel bronzo dalla perizia,
dall’arte dello scultore Messina,
la maestosa e qui impressionante
figura del Papa Pio XII. E siamo
contenti perché ci sembra che il
monumento non sia uno sfoggio
di fasto vanitoso, ma un segno di
pietà, di bellezza e di storia, che
reca non solo decoro nuovo alle
pareti di questa Basilica …6». Negli anni seguenti aumenta sempre
di più l’impegno in opere a carattere monumentale; nel 1966 realizza per il palazzo della Rai (viale
Mazzini - Roma), la monumentale
scultura del Cavallo morente, diventata poi un vero e proprio simbolo dell’azienda televisiva.
Le opere isclane si presentano
modellate in un morbido panneggio. Sono creature caratterizzate, pur nella sinuosità quasi impressionista del modellato e nella
suggestiva tecnica delle striature,
come immagini plastiche forti e vitali. Il loro espressivo e struggente
dolore è reso con la massima compostezza. Le opere sono riconducibili alla scultura della Santa Caterina da Siena.
Il Messina muore a Milano il 13
settembre 1995.
Ernesta Mazzella
6 Discorso di Paolo VI per il XXV
anniversario della incoronazione di Pio
XII. http://www.vatican.va
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
31
Associazione culturale
"Le ragazze baranesi anni '60"
Tradizioni e cultura popolare
di Antonio Schiazzano
Alla ricerca della memoria perduta…e ritrovata!
Sembra essere proprio questo il motivo conduttore che ha ispirato l'Associazione culturale “Le
ragazze baranesi anni '60” a profondere tutte
le loro energie nell’allestimento, con cadenza annuale nel mese di agosto, di una bellissima mostra
che ripercorre nel tempo tra foto, ricordi, documenti e testimonianze la vita culturale, economica, politica e sociale del comune baranese. Un
gruppo di amiche che hanno trascorso insieme la
loro infanzia - spesso spensierata e talvolta anche
un poco bohemienne - e che occasionalmente si
ritrovano nell’agorà di Piazza S. Rocco, cuore pulsante del paese natio, a rivivere e rinverdire gli innocenti giochi di un tempo che fu. Incentivate da
entusiasmo e passione, si sono dunque dedicate
alla creazione di una vera e propria associazione
culturale, il cui scopo precipuo diventa la ricerca
della propria identità ed il recupero della memoria perduta, attraverso la valorizzazione di luoghi
e personaggi caratteristici e caratterizzanti del
proprio paese. “Le tradizioni e la cultura popolare
sono la ricchezza di un popolo, tramandarle vuol
32
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
dire conservare la ricchezza di quel popolo…” recita sul frontespizio l’opuscolo della manifestazione, che ogni anno propone temi diversificati. Lo
sforzo delle Ragazze baranesi, ovvero ritagliare
una finestra sul passato per riscoprire le emozioni del presente, merita un sincero encomio ed
apprezzamento, se non altro per la capacità e la
competenza con cui hanno promosso, realizzato
ed abbellito questa mostra, unica nel suo genere.
Un’associazione nata quasi per gioco, ma nel tempo diventata una vera e propria fucina di creatività, un laboratorio tangibile e multimediale di
valorizzazione di luoghi storici o semplicemente
scorci di vita quotidiana, che punta lo sguardo
sulla gente comune, immortalata nelle foto spesso ingiallite dal tempo, nei momenti più familiari,
intimi, nelle proprie attività lavorative o semplicemente nei momenti di riposo o di svago. Dal 2011
le Ragazze baranesi ripropongono temi di vita
passata e nella V edizione appena conclusa hanno
rievocato attraverso foto, documenti, scenografie
e letteratura d’autore alcuni personaggi di indiscusso rilievo e prestigio del paese; il risultato è un affresco attraente e gradevole che valorizza e
ripaga ampiamente gli sforzi degli organizzatori.
La V edizione di “Barano si ricorda…”, che ha avuto come titolo “E di essi … si illuminò il paese”,
è stata curata in ogni dettaglio, grazie anche alla
perizia artistica del maestro Antonio Cutaneo, che
ha saputo ricostruire mirabilmente case, edifici
pubblici, monumenti, pezzi architettonici e storici, spaccati classici di Piazza S. Rocco.
La mostra era articolata in quattro sezioni: nella
prima è stato rievocato il mondo economico del
paese ed i suoi esercenti durante gli anni 50/60;
nella seconda si è ripercorsa la vita di uomini che
si sono distinti per le loro capacità artistiche, professionali ed impegno civile; nella terza è stata ricordata Stella Conte, sarta e ricamatrice del paese
da anni immemorabili, scomparsa questa primavera; nella quarta è stato possibile assistere alla
proiezione di un video che sintetizzava la storia
politica di Barano dal 1946 al duemila, attraverso
l’opera dei suoi sindaci.
Un momento intenso e particolarmente suggestivo si è avuto sabato 22 agosto nella scuola
elementare di Barano, sede della mostra, allor-
quando sono stati ricordati tre baranesi illustri:
il dottor Michele Garofalo, farmacista storico di
Barano centro nonché ispirato rimatore, Michele
Amalfitano, dipendente comunale ma soprattutto
fine musicante, ed Alfonsiano Iacono, poliedrico
intellettuale fondatore dell’Atletica Isola d’Ischia
ed organizzatore della mitica Straischia degli anni
’70; tutti personaggi noti ai più per la loro bonomia, signorilità e professionalità, ma anche autori
di testi letterari, dei cui brani è stata proposta la
lettura con l’accompagnamento della chitarra di
una memoria storica del paese, Vincenzo Lombardi. La serata è stata impeccabilmente condotta
dall’avv. Giuseppe Di Meglio, relatore, e dai lettori
Anna Maria Agostino e Crescenzo Versiero.
La manifestazione è stata seguita da un folto e
partecipativo gruppo di visitatori, isolani e turisti,
che non si è risparmiato nell’esternare il proprio
gradimento ed apprezzamento per l’iniziativa, incoraggiando le ragazze a proseguire nell’attività di
recupero e valorizzazione delle tradizioni popolari.
Scintillio di lucciole… il risveglio
ancora meno; ci si curava con rimedi naturali, utilizzando erbe e prodotti che le nostre terre offrivano.
In questa stagione la natura si risveglia, la campagna
si ripopola di lucertole, insetti, serpenti ed i cieli sono
nuovamente popolati da farfalle e splendidi uccelli: è tempo di straordinarie avventure. Mentre le bambine vanno a raccogliere viole e ciclamini, i maschietti
vanno alla conquista di prede succulenti; sono ormai
giunti gli uccelli da trappola, così si va alla ricerca delle
esche da usare con le trappole, carùle e vesacce. Non
appena si vede qualcuno di questi uccelli, giù a preparare le chiazze ed apparare le trappulelle per catturare
cularosse, favaiole, rescignuole, scellaiatte, petaruozze, colaianche... e che gioia se nella trappola rimane
incastrato il re di questi uccelli: ‘u crasteco. Gli uccelli
catturati costituivano un’ottima pietanza in tempi in
cui il secondo non era presente tutti i giorni sulla tavola. Sempre per procurarsi un po’ di cibo in più, anche
i grandi andavano a caccia e, mentre facevano la posta
alle tortore, a molti ragazzi veniva data la possibilità di sparare alle fucetole con dosi dimezzate di piombo
(mezza botta).
Un tempo le stagioni, il clima e le tradizioni scandivano l’alternarsi di ritmi ed abitudini; ogni stagione
era caratterizzata dai propri sapori, lavori, giochi, intrattenimenti, consuetudini e tempi.
In questo terzo fascicolo1 vogliamo rievocare il risveglio della natura e l’inizio della vita all’aria aperta,
quando finalmente si poteva uscire nei cortili e svolgere tutte le attività della giornata nel caldo tepore del
sole primaverile. Le ore di luce sono tante e ancora di
più le cose da fare, in campagna, in casa e in paese.
San Benedetto, la rondine sotto il tetto - La primavera è già arrivata da alcuni giorni e la temperatura
comincia a salire. Si aspetta con ansia di poter toglier
dai piedi gli ingombranti scarponi invernali e calzare i
semplici zoccoli di legno costruiti in maniera artigianale dal proprio padre con il legno dei pioppi delle Chianole e con tante centrelle per impedirne una rapida
consumazione. E che gioia quando, alla fine di aprile,
arriva l’agognato permesso: “guagliù, potete andare
scalzi”. E allora via a correre a piedi nudi per terreni e
viottoli ed anche su strade più grandi percorse da qualche carretta, da non troppe macchine e da qualche pullman della SEPSA, stando ben attenti a non incocciare
in un pezzo di vetro: nel caso c’era sempre a casa un po’
di vino con cui disinfettare l’eventuale ferita. Dal medico si andava raramente e i medicinali si compravano
1 Associazione culturale “Le ragazze baranesi anni
’60”, Scintillio di luce… il risveglio – Ricordi, ricette e
rimedi naturali, 2014.
C’era poi chi preferiva la cattura di alcuni uccelli con
le pesaròle, sorta di trappola posta in cima ad un palo,
e con le gabbie. Una volta avvistata una lucertola, ci
si appostava tenendole sospeso il cappio davanti ed
appena questa vi infilava la testa, si tirava stringendo,
quando la malcapitata cercava di allontanarsi. A volte
la crudeltà dei bambini era esasperata agli estremi; difatti si portava la povera lucertola agonizzante in giro
per spaventare i compagni di gioco.
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
33
Come già negli anni precedenti, l’associazione
ha incorniciato l’evento con la pubblicazione di
un opuscolo, in cui sono stati assemblati detti,
racconti, ricette e memorie del passato, tutti legati
in questa edizione al tema della stagione estiva.
Presidente e anima dell’associazione è la signora
Lina Balestrieri, che ha illustrato la storia di una
manifestazione che merita a pieno titolo di avere
un posto di rilievo nel panorama culturale isolano.
“Tutto cominciò per caso la sera di S. Sebastiano del 2005 quando ci ritrovammo in Piazza S.
Rocco, un gruppo di amiche, dopo tanto che non
ci vedevamo. Ci scambiammo un po’ di notizie e
cominciammo a ricordare episodi dell’infanzia
e dell’adolescenza vissuti nei vicoli baranesi. I
ricordi erano tantissimi ma tutte rievocammo
le giornate precedenti il Natale quando ci divertivamo a giocare a nocelle, fu così che decontinua a pagina 37
Con l’allungarsi delle giornate la sera ci si ritrovava
in piazza per giocare al trentuno a squadre. Divisi in
due squadre, stabiliti i confini entro cui il gioco doveva svolgersi, a turno ci si nascondeva e l’altra squadra
doveva trovare tutti coloro che si erano nascosti, in
particolare il capo. Talvolta la ricerca durava alcune
ore - non era facile trovare chi si era nascosto bene nella cava di Barano o a Rosanuvella - e qualche volta il
caposquadra rimaneva nascosto senza rendersi conto
che tutti gli altri erano andati via.
Oltre al trentuno a squadre c’era il trentuno individuale che si giocava nelle corteglie; si iniziava nel tardo pomeriggio e si finiva a tarda serata, ma prima del
ritorno a casa un menale in un orto vicino era dovuto.
Ci si intrufolava nel campo e giù a fare una bella scorpacciata di piselli, fave, ciliegie, a volte però la serata
finiva con le grida del padrone e qualche minaccia di
una “schioppettata” e allora via a gambe levate, tra risate a crepapelle e batticuore.
Se per i bambini la primavera era solo fonte di gioia rinnovata, di giochi e avventure all’aria aperta, per
gli adulti segnava l’inizio di un nuovo ciclo di lavori in
campagna. Si suddivideva la giornata in due parti: nella prima si andava a servizio presso proprietari di altri
terreni dietro compenso, mentre nella seconda parte si
svolgevano le stesse attività ma nel proprio terreno.
Fave, piselli e carciofi costituiscono gli ingredienti
della cianfotta2, un piatto molto comune e frequentemente presente a tavola in questo periodo. Spesso
2 Zuppa composta da varie verdure ed ortaggi che,
accompagnata dal pane, è un piatto unico.
34
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
veniva arricchita anche con pancetta affumicata di
casa, quella preparata qualche mese prima in occasione dell’uccisione del maiale cresciuto nel casiello poco
distante da casa. Che dire poi di “fave e ventresca” assieme a un bel bicchiere di vino bianco!
Col passare dei giorni i tralci delle viti continuano a
crescere ed il numero delle foglie ad aumentare. San
Giorgio si avvicina ed è tempo di pensare ad irrorare
le viti con poltiglia bordolese, a base di solfato di rame
e calce, in idonea proporzione; in ogni campo, anche
lontano da casa, c’è una vasca costruita per questo scopo: lì si prepara la “zurfata” che viene poi distribuita
sulle viti usando pesanti pompe di rame: anche la donna deve contribuire al lavoro, correndo a riempire la
pompa ogni qualvolta essa si svuota.
Intanto si seminano i legumi che saranno consumati
anche secchi in autunno ed in inverno. Sono in genere
fagioli ma c’è chi non disdegna di seminare anche ceci,
lenticchie e chichierchie.
Più o meno nello stesso periodo si trapiantano le
piantine di pomodoro prendendole dalla piecia dove i
semi erano stati messi a dimora qualche mese prima.
Le ciliegie intanto cominciano ad ingrossarsi ed a mostrare il loro colorito rosso: gli uccelli, in particolare le
fucetole, sono i primi ad accorgersene ed allora è una
corsa a riempire le piante con carte, stoffe, pupazzi e
qualsiasi altra cosa che possa spaventare gli uccelli.
Non è raro raccogliere ciliegie su una scala, che può
essere anche di dodici gradini, mentre una “fucetola”
accanto a te tranquillamente continua a beccare la ciliegia più bella!
Una volta raccolte le ciliegie (napulitane, tustarelle,
cannamel, mulignane) vanno scelte: si tolgono quelle non perfettamente mature o pizzicate dagli uccelli
e si prepara la cufanella per poter andare a venderle
a Ischia. Alle quattro di notte ci si sveglia (in genere la
donna con qualche figlio), ci si prepara e ci si avvia alla
volta di Ischia, al mercato. Lungo la strada si incontrano altre donne, ciascuna con la sua cufanella di ciliegie
in testa o qualche altro prodotto nel cesto (fave, piselli,
limoni, origano...).
Non è raro incontrare qualcuno che viene in particolare da Buonopone o Fontana che in testa ha un fascio
di rampegne (gramigna), cibo molto gradito ai cavalli
dei “signori” o di quelli che hanno carrozza e cavallo
per portare in giro i primi turisti. Con l’avanzare della
bella stagione il lavoro nei campi si intensifica.
Alla fine di maggio cominciano a maturare le albicocche e le prime pesche, le maggesi, che sostituiranno a tavola ciliegie e nespole che ormai stanno per
terminare. Qualche pioggia primaverile ha favorito la
crescita sul terreno di erba che deve essere eliminata :
s’adda scorre ‘a terra, non è una zappatura profonda
come quella di marzo, ma è comunque faticosa, non
fosse altro che per il sole che comincia a picchiare. L’uva intanto inizia a sfiorire e bisogna effettuare la lotta
contro l’oidio; ecco allora che si tira fuori il mantice,
nel quale viene messo lo zolfo che viene soffiato abbondantemente sulle viti. Più tardi, dopo aver opportunamente sfrunnato ‘e vvite si fa la seconda menata ‘e
zurfe, questa volta molto più leggera: si deve “sciuscià”
l’uva. A sera, comunque, è un continuo stropicciarsi gli
occhi che chiàgnene per l’irritazione causata dallo zolfo e non c’è acqua o sapone che tenga per farla passare.
È una corsa continua per il contadino: tra la cura delle
viti e del terreno (e non dimentichiamo che allora non
si usava buttare insetticidi sulle piante da frutto, per
cui delle magnifiche pesche gialle, ideali per mettere
nel vino, si prendeva solo una piccola parte e si buttava
il fraceto) non c’è un attimo di tregua: è questo il periodo in cui a terr t’atterre.
Arriva finalmente il 24 giugno, l’estate è già iniziata
da tre giorni e si può smettere con i trattamenti, fedeli
al detto: A San Giuvanne s’appenne ‘o mantice. Si può
finalmente correre ai Maronti, stendere un lenzuolo
fra due barche e godersi qualche giornata di meritato
riposo.
Come per i loro uomini, anche per le donne la fatica
aumentava, anzi per esse triplicava, infatti si dovevano destreggiare nelle lunghe giornate primaverili, tra
casa, terra, figli e conserve. Per i bambini la primavera
rappresentava un importante periodo dell’anno, come
per tutta la natura, ad essa si associava la ripresa della
crescita che il lungo inverno aveva rallentato. Per dare
un aiuto in questa importante fase della vita le mamme
erano solite effettuare una sorta di purificazione generale dell’organismo, cominciando con la somministrazione di due cucchiai di olio di fegato di merluzzo che
garantivano rinforzo fisico e riequilibrio intestinale, vigore e pulizia interna prima della bella stagione. L’ultimo venerdì del mese di marzo poi, a primavera appena
iniziata, tutti i bambini della famiglia, di ogni genere
ed età, erano sottoposti al rituale taglio di capelli fatto
dalla mamma: si trattava di una sommaria spuntatina
fatta in casa propria, con estrema economia, con molta
approssimazione e strumenti di fortuna, qualsiasi paio
di forbici che si trovava in casa andava bene. Purtroppo non sempre il risultato era perfetto, non era difficile
incontrare, in quel periodo, bambine con la frangetta
sbilenca o capelli che toccavano la spalla soltanto da un
lato, ma era una operazione indispensabile in questo
periodo per rinforzare e rinfoltire i capelli.
Col bel tempo anche la casa veniva rinnovata con
le grandi pulizie pre-pasquali. Si toglieva ‘a cuperta
‘mbuttita, u mullettone, che per più giorni veniva stesa
al sole e scossa con il battipanni. Bisognava eliminare
gli odori ed i malanni dell’inverno! Si sostituiva con coperte più leggere, molto simili alle coperte militari. Si
tiravano fuori da scatole di cartone, di solito nascoste
sotto i letti, e si lavavano gli indumenti estivi di tutta
la famiglia conservati l’inverno precedente. Il focolare
veniva tirato a lucido e tutti gli oggetti in rame sceriati
con cenere e limone.
Si tiravano fuori i tegami scheggiati perché era ormai
prossimo l’arrivo ‘u congia tiane, che con uno speciale
mastice ed un trapano li riparava in modo da essere di
nuovo pronti per il pranzo pasquale a cui ci si preparava per tempo. Bisognava inoltre dare una affilata a tutti
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
35
i coltelli di casa, soprattutto a quelli che si usavano per
macellare polli e conigli.
In un grande cassetto di legno si conservavano le
uova che sarebbero servite per i vari piatti pasquali e
per le ceste che le ragazze erano solite preparare per
portarle in dono alla futura suocera. Si lavavano i vetri con acqua e aceto facendo attenzione a non ferirsi
con i divisori in ferro. Se era possibile si tinteggiava la
casa con calce bianca e si dava una mano di pittura alle
porte. Non si fermava il lavoro di cucito, dei cesti in raffia o del ricamo, ma ormai si lavorava all’aperto, nella
curteglia chiacchierando con le amiche fino a quando
la luce del sole lo permetteva.
Tanti erano i fiori coltivati: fucsie, fiori d’angelo, piselli odorosi, garofani di montagna, gerani, bocche di
lupo, malvoni, gardenie, dalie, camelie, ortensie, belle
di notte, glicini, gelsomini, ed altri ancora, tuttavia, nonostante la bellezza di tutti questi fiori, le rose risultavano sempre i fiori più pregiati.
Molteplici erano gli usi cui esse erano destinate, se
ne raccoglievano grandi fasci per addobbare tombe ed
altari, questi ultimi in modo particolare per tutta la durata del mese di maggio; i petali, invece, erano raccolti
per la festa dell’Ascensione. In quest’occasione, la sera
precedente si ponevano i petali in una bacinella con
acqua, lasciata all’aperto sui balconi o in giardino passava l’angelo e la benediceva durante la notte. La mattina seguente tutti i componenti della famiglia utilizzavano l’acqua benedetta con i petali profumati per
lavarsi il viso. E che divertimento per i bambini lavarsi
in compagnia e strofinare quei petali profumati sul
viso, magari lasciandoli attaccati qualche secondo in
più del necessario! Quanta gioia in queste piccole cose
che magicamente si trasformavano in divertimento per
gli animi semplici dei bimbi di quel tempo genuino.
Durante i lavori all’aria aperta il profumo intenso dei
fiori di camomilla essiccati al sole contrastava con l’acre odore delle alici messe sotto sale.
Le donne “testaccesi”, per permettere ai mariti pescatori di riposare, raccoglievano il pescato in tini e
posti in testa sopra ‘u turtielle, giravano per le strade
vendendo e dando la voce aluzze, accattateve aluzze.
36
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
Le fave e i piselli non consumati freschi giacevano al
sole in mezzo alle corteglie, mentre le piante venivano
utilizzate come mangime per gli animali; i semi, sgranati, venivano ben riposti in sacchi di iuta, una parte
veniva consumata d’inverno in gustose zuppe o minestre, un’altra serviva per la semina del nuovo anno. Gli
ultimi carciofi raccolti si mondavano e si conciavano in
vasetti con olio e aromi per essere consumati d’inverno, arricchendo le insalate serali.
In maggio la devozione a Maria era anche motivo di
uscite serali in piazza per partecipare alla messa a cui
seguiva una processione dalla chiesa di San Sebastiano
alla congrega, durante la quale si recitava il rosario.
In casa i bimbi preparavano e curavano tutti i giorni
gli altarini, allestiti per onorare e pregare la mamma di
Gesù.
Uno scatolo di scarpe vuoto era ottimo per l’utilizzo,
giacché capovolto era un perfetto altare su cui poter
poggiare la statuina della Madonna, davanti alla quale
si offrivano quotidianamente i fiori freschi e la luce di
una piccola candela, la cui fiamma non si lasciava mai
spegnere. Spesso la fantasia dei piccoli dava un tocco
personale alla tradizione, aggiungendo all’altarino le
lucciole che rubavano alla corteglia offrendole alla Madonna per allietare i suoi occhi di uno spettacolo che
giudicavano imperdibile. Le mettevano sotto un barattolo capovolto, spegnevano la luce e guardavano estasiati la bellezza del piccolo trono mariano. Ma, meraviglia delle meraviglie, al mattino seguente non c’era più
nessuna lucciola, né viva né morta, sotto il barattolo
o nei dintorni: sicuramente appena i bimbi andavano
a letto qualcuno in famiglia, mosso da pietà verso le
povere malcapitate, le aveva rimesse in libertà.
La processione del Corpus Domini era l’occasione
per addobbare balconi, strade e portoni, dove si improvvisavano piccole cappelle per permettere, durante
il percorso, al “Santissimo” una sosta di preghiera.
All’alba ci si ritrovava, piccoli e grandi, per andare a
raccogliere ginestre e fiori di campo che servivano per
le “infiorate” lungo le strade. Per allestire le cappelle
tutte le donne delle diverse contrade tiravano fuori
dalle casse i capi più belli del proprio corredo.
segue da pagina 34
cidemmo di ritrovarci il Natale successivo con
un sacchetto di nocciole a riprovare a giocare
istituendo un torneo. Così fu e quando nei freddi
giorni di dicembre scavammo la fossa a “mern’
a cava” fu un tripudio di emozioni. Trascorremmo momenti di grande complicità e gioia nello stare insieme. Di anno in anno il torneo si è
sempre più arricchito e perfezionato mettendo
anche in palio coppe per ricordare alcuni nostri
amici scomparsi. Il gruppo si incontrava anche in altri momenti dell’anno per trascorrere
piacevoli serate fino a che, ad un certo punto,
si pensò di non tenere i ricordi come patrimonio esclusivo ma di metterli a disposizione di chi
voleva mantener viva la memoria di un tempo
passato. Fu così che nacque l’associazione culturale “Ragazze baranesi anni ‘60”, senza scopo
di lucro ma con la finalità di promuovere l’aggregazione sociale attraverso lo svolgimento di
attività atte soprattutto alla valorizzazione e
alla riscoperta delle nostre tradizioni. Il torneo
natalizio rimane ancora oggi molto importante e da alcuni anni l’associazione partecipa ai
giochi natalizi di Panza, sfidando un gruppo di
colleghe panzesi. Nel 2011 mettemmo in atto il
primo evento estivo.
Dopo un’accurata ricerca organizzammo una
mostra fotografica nello storico portone in
piazza, accanto alla farmacia. Ciò suscitò molto interesse e nel 2012 negli spazi della scuola
elementare, messi gentilmente a disposizione
dalla direttrice scolastica, oltre ad ampliare la
mostra fotografica, ricostruimmo una casa ed
una cantina degli inizi del secolo con oggetti originali ed altri fedelmente riprodotti. Nel 2014
fu il momento di ricordare un baranese che ha
immortalato visivamente la storia del paese,
il fotografo Angioletto Di Scala. Tutto l’evento
raccontava con oggetti e foto la vita di questo
personaggio legata indissolubilmente alla vita
di tanti altri. L’evento del 2014 è stato dedicato
alla storia politica del comune dal dopoguerra
al 2000, sempre con foto, aneddoti e documenti
originali. Nel 2015 è stato bello ricordare alcuni baranesi, commercianti e uomini di cultura.
Abbiamo inoltre cercato di riprodurre alcuni
portoni storici della piazza. Ogni anno, sempre
negli ambienti della scuola, oltre all’evento in
corso, è possibile assistere alla proiezione di un
video che sintetizza i lavoro dell’anno preceden-
te. Negli ultimi quattro anni le ragazze hanno
creduto opportuno realizzare anche degli opuscoli che raccolgono ricordi, ricette antiche di
una cucina povera, racconti, filastrocche, etc.
Il primo racchiude essenzialmente proverbi baranesi, il secondo nenie, giaculatorie e la vita
legata all’inverno, il terzo rimedi naturali e ciò
che si faceva in primavera, il quarto conserve e
ricordi d’estate. I progetti e il desiderio di poterli realizzare sono ancora tanti, purtroppo, non
avendo una sede diventa tutto più difficile ma le
ragazze non si arrendono e già guardano oltre.
Altra iniziativa dell’associazione che va avanti
già da alcuni anni è quella di organizzare corsi gratuiti per il recupero delle arti che vanno
estinguendosi. Da novembre a marzo è possibile partecipare a corsi di ricamo, uncinetto, maglia, cestini con la raffia, canestri e chiacchierino.”
Appuntamento, immancabile e diremo d’obbligo, è per il prossimo agosto per ravvivare la memoria con nuovi personaggi, nuove riscoperte,
nuove emozioni…
***
Opuscoli
2011- Barano si ricorda
Tra i sapori della saggezza popolare Ricette antiche, detti popolari, ricordi e curiosità dei tempi
andati
2012 I luoghi le attività di un tempo
Alla fioca luce del lume - Nenie, preghiere e racconti dei tempi andati
2013- Un paese attraverso l’arte di un
suo fotografo: Angioletto Di Scala
Scintillio di lucciole…il risveglio - Ricordi, ricette
e rimedi naturali
2014- I Sindaci del Comune di Barano
dal 1946 al 2000 foto ricordi, documenti della vita politica passata
Stridon le cicale…è estate! - Ricordi, ricette e conserve
2015- E di essi… si illuminò il paese
Cadono le foglie...è tempo di castagne!
Antonio Schiazzano
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
37
Colligite fragmenta, ne pereant
Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia
A cura di Agostino Di Lustro
La Chiesa di Sant'Anna
presso gli scogli
Sul lato destro della prima cappella della
cripta della cattedrale del Castello sono affrescate tre figure di Santi i cui nomi si leggono
sulla base. Sono: S. Francesco, Sant’Anna,
San Ferdinando. Discutere sull’epoca alla
quale assegnare questi affreschi non rientra
nelle finalità di questa rubrica, ma ci rendiamo conto che non tutti gli studiosi che si sono
interessati dei cicli di affreschi presenti nella
cripta della cattedrale del castello, sono riusciti a dare una datazione certa né una valutazione sicura del loro valore artistico.
La presenza di San Ferdinando re potrebbe
far pensare alla seconda metà del secolo XV,
cioè alla presenza aragonese a Napoli, visto
che si tratta di un Santo venerato dai sovrani
aragonesi che più volte ne portano il nome.
A noi interessa maggiormente la presenza di
Sant’Anna della quale, se questa è la più antica raffigurazione della Santa che troviamo
in Ischia, non è certamente il documento più
antico che attesti il suo culto. Infatti nell’antica cattedrale, già dalla fine del secolo XIV,
esisteva una cappella dedicata alla Santa sulla
quale, tra l’altro, l’Onorato ci fa sapere che
«nel 1396 trovandosi di già morto in Ischia Guidone Massa, si venne ad estinguere, e finire la di
lui famiglia, la quale possedeva nella cattedrale
con titolo di patrono la cappella di Sant’Anna.
Esso vescovo fra Nicola Tinto appunto nell’anzidetto anno 1396 avendo stimato essersi a sé come
vescovo devoluto il jusso del patronato dell’altare di Sant’Anna, lo conferisce, lo cede a Nicola di
Massa Primicerio dell’anzidetta cattedrale, ed al
di lui fratello Petrillo, asserendo, che gli antenati
de’ prefati Primicerio, e Petrillo, erano, stavano
sepolti nella cattedrale. Cotale notizia si osserva
rilevata, e notata fin dal 1788, all’orchè ricercandosi per vantaggio e per l’onore di esso Capitolo
38
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
le antiche pergamene, s’incontrò un’istromento
in pergamena scritto e distinto colla lettera B,
ove venivano significate l’enunciate cose1».
Il culto di Sant’Anna è stato sempre presente
nella nostra chiesa cattedrale ed è stato zelato
particolarmente dal Capitolo. Oltre alla cappella
della cattedrale, questo ha curato,forse, anche la
costruzione di una cappella fuori le mura della
città, presso il mare e appena fuori il borgo di Celsa, verso la parte orientale, a pochissima distanza dagli scogli oggi chiamati, appunto, «scogli di
Sant’Anna» . Non ci dato conoscere l’epoca della
costruzione di questa cappella, ma possiamo affermare che essa era proprietà del capitolo della
cattedrale. Lo rileviamo da quanto ci fa sapere un
documento giunto in copia sino a noi che costituisce anche l’unica testimonianza che possediamo
su questa cappella. Infatti il 15 settembre 1519, sesto del pontificato di papa Leone X, Giovanni Marino Amalfi, canonico procuratore della cattedrale d’Ischia, e Berardino Galatola , in presenza del
«nobilissimo Berardino Galatola» afferma che
negli anni passati fu redatto un documento ufficiale a proposito di una concessione fatta dal Capitolo il 18 aprile 1498 per mano del notar Baldassarre Mellusi2. La sopraggiunta morte del notaio
1) V. Onorato, Ragguaglio istorico-topografico dell’Isola
d’Ischia, manoscritto 439 del fondo San Martino della Biblioteca Nazionale di Napoli, ora in E. Mazzella, L’Anonimo
Vincenzo Onorato e il Ragguaglio dell’Isola d’Ischia, Fisciano Gutemberg Edizioni 2014 p. 218.
2) Tra XV e XVI secolo sono almeno cinque i notai esponenti della famiglia Mellusi dei quali possediamo qualche
notizia. Il primo del quale abbiamo notizia è Antoniello del
quale sono attestati atti rogati tra il 18 gennaio 1448 (CRS
fascio 90 bis, f. 289), e il 14 aprile 1476 (ibidem, f. 243). Il
secondo è Gasparro del quale sono attestati atti rogati dal
1472 (CRS fascio 90 bis f. 291 n. 197) al 1496 (ibidem, f.
294). Poi abbiamo il nostro Baldassarre del quale ho trovato citato atti rogati tra il 28 agosto 1487 (ibidem, f. 291)
e il presente atto su Santa’Anna del 18 aprile 1498. Poi viene Giovanni del quale possediamo una pergamena originale inserita nel fascio 110 del CRS con la quale Antoniello
però non permise la stesura pubblica e ufficiale
dell’atto di concessione per cui tale operazione fu condotta a termine dal notaio Marzio de Madio3
che, per concessione apostolica, aveva ottenuto la
facoltà di compulsare gli atti del notaio Baldassarre Mellusi nei luoghi ove fossero conservati e
di redigere gli atti non ancora forniti delle solennità del rito. Il de Madio, dopo aver consultato i
protocolli notarili del notar Baldassarre Mellusi
e in forza del potere a lui concesso da Leonardo,
cardinale presbitero del titolo di Santa Susanna e
penitenziere di papa Leone X, redige gli atti ufficiali di tale concessione secondo le norme stabilite
dalla consuetudine, così da avere valore come se
fossero stati redatti dal notar Baldassarre Mellusi.
Gli atti nuovi furono redatti in presenza dei testimoni a tale scopo convocati, e cioè il venerabile
fra Giacomo di San Bernardo, guardiano di Santa
Maria della Misericordia, Don Giacomo Arcuccio,
Pietro de Arzes. La redazione del pro memoria è stata redatta dall’originale in pergamena esibito
dal chierico D. Antonio Albano al quale è stato restituito dal notar Giovanni Aniello de Francesco4
il 26 agosto 16255.
Il documento del 1498, confermato nel 1519, ci informa che in quell’anno i canonici della cattedrale
Giovanni Marino Amalfi, procuratore del capitolo, a nome di tutti gli altri canonici: Bernardino de
Arze, Merlino Albano, Carlo della Valle, Giovanniello Melluso, Andrea della Candida, Colangelo
Russo, Giovanni Santo Maglio, chierico Raffaele
Malfitano vende al convento di Santa Maria della Scala una
terra posta a Forio dove si dice «la Buccha juxta li beni di
S. Vito. San Tommaso, per il prezzo di ducati 15. Copia semplice nel libro delle cautele segnato D pagina 244». Di un
secondo Baldassarre, vissuto circa un secolo dopo, ho trovato atti tra il 23 novembre 1589 (ADI,, P.C. f.234) e il 1597
(CRS fascio 90 bis f. 29). Poi abbiamo Giovanni del quale
in un fascio del fondo CRS fascio110 vi è una pergamena. Gasparro Mellusi del quale riscontriamo atti rogati tra il 1472
(Archivio di Stato di Napoli fondo Corporazioni Religiose
Soppressi – d’ora in poi citato con la sigla: CRS- fascio 110 vi
è una pergamena originale. Non sappiamo se si tratta della
stessa persona del precedente Antoniello del quale conosciamo atti rogati tra il 18 gennaio 1448 (CRS fascio 90 bis f. 289)
e il 14 aprile 1476 (ibidem, f. 243). Per il secolo XVI abbiamo
un Baldassarre, attivo dalle notizie reperite dai documenti,
almeno dal 23 novembre 1589 (ADI, Platea Corrente di Santa Maria della Scala, d’ora in segnata con la sigla: P.C.- f.
234) al 1597 (CRS fascio 90 bis f. 20).
3) Del notar Martio de Madio sono stati riscontrati atti rogati
tra il 9 gennaio 1506 (CRS. fascio 87 f. 1) e il 28 agosto 1520
(P.C. f. 197).
4) Il notaio Giovanni Aniello di Francesco era di Napoli, ma
ha rogato, almeno dell’11 agosto 1627 (Ibidem, f. 224) anche
a Ischia. La sua scheda notarile si conserva nel fondo Notai
sec. XVI n. 522).
5) Una copia di questo documento si conserva nell’ADI.
de Bossa, concedono in enfiteusi perpetuo a Beradino Galatola «certas domos per viridaria cum
cortilis in ea sistentibus sitas in Sancta Anna
cum parata delle quaglie, iuxta bona heredum
quondam Colelle Galatola, viam publicam et
alios confines que dederunt eidem Berardino in
enphiteusim sub annuo redditu sive censu tarenorum quinque anno quolibet imperpetuum solvendorum in festo omnium Sanctorum incipiendo ab isto festo omnium Sanctorum pro futuro
in pace et reservantes dicti canonici cortilium
ante dictam cappellam et quod in cortilio potestatem habeant ipsi canonici eundi et redeundi
et cum pacto quod vitium et fructuum sint ipsius
berardini donec perducantur ipsi fructus, et cum
pactis enphiteuticis sub pena unciarum viginti
quinque… presenti bus donno Antonio de Albano
clerico Baldaxar de Albano, Vincentio Sposiali,
Baptista de zona testibus»6. Il Capitolo, quindi,
non concesse la cappella in enfiteusi alla famiglia
Guevara, bensì a quella Galatola, e solo sulla casa
e il terreno circostante sul quale, comunque, può
andare e venire a suo piacimento per accedere
alla cappella. A conferma di quanto detto, abbiamo il seguente documento nel quale leggiamo:
In nomine Domini nostri Iesu Christi Amen Pateat Universis. Et singulis publici instrumenti inspecturis… presentibus et futuris quod anno... a
Nativitate ipsius Domini quingentesimo decimo
nono presens Sanctissimi in Christo patris Domini Nostri Leonis divina providentia Pape decimi anno sexto die primo vero mensis septembris
decima quarta indictionis vero septime Ischie in
mei notarij publici testimonii infrascriptorum
ad hoc specialiter vocatorum, et rogatorum presentia constituti… Dominus Joannes Marinus
Amalfi canonicus majoris ecclesie isclane, et
procurator ut dixit in presenti ecclesie canonicorum nec non, et… ac nobilis vir bernardinum
Galatola de eadem civitate Isclana presenti vero
partes ipse asserunt olim anni preteritis per reverendos dominos canonicos concessa fuisse nomine suorum… cappelle ipsius cum domis, cum
cortilibus situs in Sancta Anna infra suos fines
eidem berardino emphiteusim ad censum perpetuum tarenorum quinque solvendorum per ipsum berardinum et eredes, et… dictis canonicis,
seu quibus pro tempore fuerunt et de hiusmodi
concessionis confectum fuisse publicum instrumentum olim die decimo octavo mensis aprilis presentis 1498. In quo quidem instrumento
concessionis pro notaro publico intervenit, ro6) Cfr. in ADI, Cartella Sant’Anna.
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
39
gatus egregius vir quondam notarius Baldaxar
Mellusius de civitate Iscle qui ante quod dictum
instrumentum in publicam formam redigeretur
et compleverat sicut Domino placuit vita… perpetua presentis… nomine quo supra, et berardino conduttori quod dictum instrumentum in
publicam formam reddiggeretur pro eorum et
cuiuslibet ipsorum ac posterum in dicta eorum
cappella, et heredum cautela ideo requisiverunt
infrascriptum notarium quod perquirere deberem acta, et protocolla ditti quodam notarij
baldaxarri que conservantur penes eiusdem notarij baldaxarris filios et heredes ipsisque actis
perquisivit, et invento dicto contractu illud in
publicam formam virtutis brevis apostolici mihi
concessere… in strumenta, et acta dicti quondam
notarij baldaxattis de verbo ad verbum veritatis
et facti sabuttia non mutata,… debere inde vero
precibus et requisitionibus ipsarum presentium
tamquam… et onestissimam pro una cum infrascriptis testibus accessi ad domum ditti quondam
notarij baldaxarris sitam in civitate predicte, et
in parrochia Sancte barbare infra bona Joannis
francisci melmosi via publica, et alios confines,
et perquisitis dittis attis, et protocollis ditti quondam notarij baldaxaris inter alia invenimus
dittum instrumentum in quodam… sunt solitum
stilum ipsius quondam notarij baldaxaris notum, et eique et vera manu scriptum cuius tenor sequitur est talis Pro berardino galatola die
XVIII mensis aprilis prime indictionis 1498 constitutis in maiori ecclesia isclana infrascritis canonicis ad sonum campanelle donno berardino
de Arze, donno merlino de Albana, donno Carlo della Valle, donno Ioannello Melluso, donno
Andrea della Candida, donno Colangelo Russo,
donno Ioanne Battista Manglio, Clerico Rafaele
de Bozza, canonicis maioris ecclesie agentibus
nomine canonicorum per se suisque posteris ex
parte una, et berardino galatola ex parte altera
presenti vero caninici nomine et pro parte… omnium suorum asseruerunt habere certas domos
et viridaria cum cortilijs in ea sistentibus sitas in
Sancta Anna cum la parata delle quaglie iuxta
bona heredum quondam Colelle Galatola viam
publicam, et alios confines que dederunt eidem
berardino in emphiteusim perpetuum sub annuo
redditu sive censu tarenorum quinque annuo
quolibet imperpetuum solvendorum in festo omnium sanctorum primo futuro in pace et reservantes ditti canonici cortilium ante dittam cappella et quod in cortilio potestatem habeant ipsi
canonici eundi et redeundi et cum pacto quod vitium et fructuum sint ipsius berardini donec per40
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
ducantur ipsi fructus, et cum pattis enphiteutis
ad penam unciarum viginti quinque… presentibus donno Antonio de Albana clerico baldaxar
de albana inde par tacto Vincentio sposiali, inde
Battista del Iona testibus cum consensu Domini
Ioannis episcoli Isclani tenor vero brevis apostolicis mihi infrascripto notario concessi de verbo
ad verbum sequitur et talis est, Leonardus miseratione divina tituli Sancte Susanne presbiter
cardinalis dilecto in Christo Martio de Madio notario Civis Isclanus salutem in Domino ex parte
una fuit propositum coram nobis pro nunc quandam baldaxar mellusius dum viveret ditte terre
plures et diversos contractus, et instrumentum
nondum in publica forma redactos, et stipulatos fuit, et illa quandocumque a contrahentibus
….. fueris in formam publicam non mutata facta substantia reddigere copias supradicti fuisse
humiliter tibi super hijs per sedem Apostolicam
misericorditer provideri nos igitur autem Domini Nostri Pape penitentiarie coram genua que de
eis speciali mandato super hos vive notis oraculo
nobis pacto tibi ut quecumque instrumentum et
contractus, et abbreviaturas et clausolas in eis
contentas per dictum quondam baldaxarem in
notas scriptas et stipulatas, et non dum in forma publica redacta quoties, et quandocumque
a partibus et contrahentibus et aliis personis
utque habentibus… super hoc fueris in formam
publicam iuxta stilum, et consuetudinem illius
loci non mutata fattis substantia redigere, et redacta subscribere et signare libere, et licite postis
et valeas, et dictis instrumentis super te redaptis, et subscriptis talis, et tanta fides in subdicto
et extra ordineatur qualis, et quanta adibereatur
super dictum baldaxarem subscripta et in publicam formam redapta fuissent tenore presentium
indulgemus in obstantibus incontrarium facientibus quibuscumque. Datum Rome apud Sanctum Petrum sub siggillo officij penitentiare decimo septimo Kalendas julij Pontificatus Domini
Leonis Pape decimi anno tertio.
Locus signi et quia predictus quondam egregius
notarius baldaxar mellosius de civitate Iscle publicus apostolica et regia autoritatibus notarius
dum.. dictis concessioni, et conventioni ceterisque premissis tibi sic ut… et gerenter et fierent
una cum prenominatis pro loco positis presens
fuit ex quo omnia, et singulis sic fieri.. et audivi
prout ex eis aspectu apparuit et apparet, id circo
ego notarius Martij de madio de civitate predicta
apostolica et regia autoritatibus… notarius ex…
Apostolicam litteram mihi specialiter concessarium contentis proprie ipsius qunodam notarius
baldaxar morentis hoc presens publicum instrumentum manu propria fideliter scriptum a notis
et protocollis ac scripture ipsius quondam notarij baldaxaris veritatis, et facti subscripta non
mutata una cum infrascriptis testibus publicam
formam redigi publicumque in scripturis postremo positis assumpti et extra meis solitis et
consueti ac in hanc publicum meis solitis, et consuetis signavi in fidem ac testimonium omnium
et singulorum omnium premissorum subrogatus
et signatus. Presens copia extracta est a suo proprio originali a me notario Antonius Albano die
vigesima sexta augusti 1625
Molto Illustre et Reverendissimo Signore
Li canonici della città d’Ischia esponeno a Vostra
Signoria Reverendissima come tenendono essi
ab antico una cappelae vicino le mura di detta
città sotto il titolo di Sant’Anna, come appare
dalli atti della corte vescovale; compete molto ad
essi che nessuno possi in quella celebrare messa
senza il loro consenzo, et beneplacito: però supplicano Vostra Signoria Reverendissima ordinar che nessuno ardischa in quella andare a celebrare senza loro consenso, et licenza di Vostra
Signoria Reverendissima che oltre che giusto lo
riceverando a gratia.
Et per Reverendissimum Vicarium Isclanum fuit
provisum et decretum quod circa predictum cuiuscumque interesse predentis mandetur omnibus et singulis personis ecclesiasticis ne audeant
in dicta cappella missam celebrare aut alia divina officia absque expresso consensu predictorum
omnium canonicorum et licentia prefati Reverendissimi Domini sub pena suspensionis a divinis ipso facto incurrenda, ita tamen quod si quis
sensuit se gravatum compareat infra decem dies
pro ut presenti decreto mandari iam dictis edictum hoc fuit. Archipresbiter Joseph Mellusius
Vicarius Generalis . Lectum et latum in civitate
Isclana die prima augusti 1615 presentibus testibus opportunis. Joannes Petrus de Manso actuarius.
La Platea d’Avalos non cita questa cappella, né
si riscontrano documenti che la riguardino nel
«Notamento degli atti beneficiali» dell’ADI. Per
questo non sappiamo quando la famiglia Guevara
abbia acquisito il diritto di patronato sulla cappella. Fino ad oggi nessun documento è stato trovato che lo registri. Di sicuro sappiamo che questa
famiglia possedeva il diritto di patronato sulla
cappella perché così si esprime il vescovo Nicola
Antonio Schiaffinati nella relazione ad limina del
1741: «Altera cappella sub titulo Sancte Anne de
jure patronatus Illustris Familie Guevara e ducibus Bovini, que similiter non habet redditus,
et in festivis diebus missa inibi celebratur ex devotione circumstantium incolarum7». La visita
successiva del vescovo Felice Amato del 12 aprile
1747 si limita a citarla solamente: «alia cappella
sub invocazione Sancte Anne sita in territorio Illustris Ducis Bovini 8». L’Onorato ci fa solo sapere
che «nel ninfario vi è la cappella di Sant’Anna, in
dove dal Duca di Bovino in ogni festa si fa celebrare la messa 9» . Il d’Ascia, da parte sua, ricorda
gli scogli di Sant’Anna e «l’abbandonato campo
santo 10» nel quale erano stati sepolti negli anni
precedenti i morti di colera.
Dagli atti della visita pastorale del vescovo Felice Romano veniamo a sapere che il diritto di patronato sulla cappella era passato, non è detto da
quanto tempo, alla famiglia Mancusi. Infatti leggiamo che il vescovo il 9 luglio 1855 dalla chiesa
di San Domenico,«discendit ad publicum oratorium sub titulo Sanctae Annae propre litus, olim
spectans ad familiam Ducis Vibinensis, ac nunc
Familiae Mancusi. Visitavit dictam ecclesiam, et
praecepit, ut reparetur altare in partibus, quae
opus habent reparatione, et ut oculus fractus in
icona Sanctae Annae renovetur 11».
Negli atti della successive visita del vescovo
Francesco di Nicola, avvenuta il 3 dicembre 1872,
leggiamo che il vescovo e i convisitatori «accessit
ad capellam sub titulo Anctae Annae de jure patronatus….12 ut eam visitaret, Capellam ingressus invenit unicum altare lapideum quem visitavit, et haec edidit decreta:
1= quod supponatur suppedaneum lignum in
altari;
2= missale accomodatur, et adiungantur Missae, in novis foliis super impressi;
3= mappae remaneant interdictae pro Missis;
4= conficiantur tres casulae, una nempe coloris
rubri, altera violacei et tertia nigri coloris;
5= aedicula Sanctae Annae instauratur in partibus confractis;
6= parvae fenestrae vetris muniantur;
7= dictae capellae assignetur aliquis sacerdos,
7) ACC. Relazione ad limina del vescovo d’Ischia.
8) Ibidem.
9) V. Onorato, op. cit. f. 163 r.
10) G. d’Ascia, op. cit. p. 439.
11) ADI, Atti della visita pastorale di Felice Romano del 1855,
f. 23 r.
12) ADI, Atti della visita pastorale del vescovo Francesco di
Nicola f. 67. Qui vi è uno spazio bianco e manca il nome della
famiglia alla quale dovrebbe spettare il diritto di patronato.
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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qui curam suscipiat de omnibus occurrentIbus,
tam pro manutentione quam pro sacro cultu».
Il verbale della contro visita, effettuata nel maggio 1876, non è stato completato ed è rimasto lo
spazio vuoto nel volume degli atti per cui ignoriamo se le cose prescritte nel 1872 fossero state eseguite, ma quasi sicuramente tali lavori non furono
eseguiti per cui la chiesetta rimase abbandonata.
Nel 1956 il vescovo Antonio Cece, informato che
alcune ossa erano disseminate nella cappella che
si presentava priva di porta e di finestre, incarico il sacerdote D. Camillo d’Ambra di effettuare
un sopralluogo e di presentargli una relazione
sullo stato dei luoghi. Il d’Ambra rilevò che spesso nell’attiguo campo, di proprietà comunale, si
attendavano giovani campeggiatori. Inoltre alcuni vandali avevano manomesso una tomba nella
parete di destra della chiesetta e diverse ossa di
morti erano sparse all’interno dell’ambiente. Il
Vescovo ordinò di ricomporre tutte quelle ossa e
portarle al cimitero comunale. Inoltre spinse il
sindaco Vincenzo Telese e altre personalità che
avevano realizzato la loro casa di villeggiatura nei
dintorni, ad impegnarsi per effettua bis f. 291 n. re
i necessari restauri alla chiesetta. Tali lavori terminarono nel 1964 e così il 26 luglio di quell’anno il vescovo Dino Tomassini, subentrato al Cece
nel 1962, potè riaprire la chiesetta e fu celebrata
la messa la domenica dei mesi estivi. Purtroppo ci
furono altre profanazioni a causa della posizione
solitaria della chiesa per cui nel 1975 furono necessari altri restauri effettuati a spese dei Signori Grimaldi- Arcidiacono che avevano acquistato
la villa dell’On. Fortini. Così la cappella fu nuovamente officiata nei mesi estivi13. Presto però la
cappella subì altre profanazioni per cui fu sospesa
la celebrazione della messa nei mesi estivi. Oggi
la chiesetta, che è affidata al Capitolo della cattedrale, necessita di un accurato restauro per il quale mancano i fondi economici, Nella chiesetta non
si officia più, ad eccezione della sera del 25 luglio,
vigilia della festa di Sant’Anna, viene celebrata
la messa in genere dal vescovo d’Ischia, ma non
nella chiesetta, ma nel campo antistante. I fedeli,
come nei tempi andati, vi si recano in barca al tramonto, rendendo più suggestiva la celebrazione
che apre ufficialmente la festa folkloristica «agli
scogli di Sant’Anna» con la sfilata delle barche
allegoriche che si svolgerà l’indomani attirando
decime di migliaia di persone dell’Isola e turisti in
vacanza a Ischia.
Agostino Di Lustro
13) ADI, breve memoria di Mons. Camillo d’Ambra nella
cartella sulla chiesa.
Ischia - Castello e Scogli di Sant'Anna
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La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
Albo storico napoletano pubblicato a cura di Mariano Lombardi, Napoli 1853
Gita di Scipione Volpicella1
Ischia — Bagni — Casamicciola — Lacco — Forio
Essendo dalla natura sospinto a star volentieri tra le
persone gentili ed oneste , mi sono nella state di questo
anno 1853 condotto più volte nell’isola d’Ischia a visitare un gentiluomo inglese ed una dama Napolitana
sua moglie , simili a cui per isquisita cortesia e grande
amicizia m’è occorso d’incontrar poche coppie sotto le
stelle. Ho per siffatta cagione avuto l’opportunità d’osservare quest’ isola, la quale, essendo un alto e scabro
monte , per le cui falde si posano montagnette, ove più
verdeggianti ove meno, può essere figurata, siccome
si mostra in una piazzetta di Napoli l’antico simulacro
del Nilo, in sembianza di veneranda ed adusta matrona, che, distesa sopra uno scoglio circondato dalle acque, amorosamente riguarda alle liete sue figliuolette
adagiate con le cornucopie alle mani su per le sue ginocchia e presso alle vesti all’intorno. Della terra e delle acque di questa regione spesso hanno fatto e tuttavia
fanno discorso chimici, geologi e medici con notevole
vantaggio delle fisiche scienze: né manca chi, di tratto
in tratto , tenendo dietro al Capaccio, ne va ricordando
la storia. Onde io, pigliando a narrare le cose che vi ho
scorte degne di considerazione nel cammino che corre
dal forte d’Ischia a Forio, mi credo nel debito d’avvertire, come, non essendo di quelli che rimescolando e
rimestando l’altrui si studiano d’acquistar nome, non
farò della terra, né dell'acque, né della storia dell’isola
motto alcuno, e solo dirò brevemente di taluni particolari, che o sono stati affatto trasandati, o solo un tantinetto e poco diligentemente accennati.
Ischia Ponte - Osservato nel forte d’Ischia come
la novella civiltà del secolo decimonono, disfatte o rimosse le stupende vestigia della invecchiata civiltà de’
precedenti sei secoli, comincia a mostrarsi nella riedificazione d’un tempio, discesi nel viottolo, che, quasi
a testimoniare la potenza dell’ingegno umano a frenar
gli elementi, calpesta le acque del mare, e ti mena all’isola con le piante asciutte dallo scoglio del forte. Quindi, compreso da quello indeterminato sentimento di
dolore e consolazione che l’avvicendarsi del distruggimento e della rigenerazione produce negli animi, pervenni dopo non molti passi alla città, la quale Ischia,
1) Volpicèlla Scipione - Storico (Napoli 1810 - ivi 1883); primo bibliotecario nella Biblioteca Nazionale di Napoli, scrittore di novelle e poesie; per impulso di C. Troia e come presidente (dal 1876) della Società napoletana di storia patria si
occupò della storia dei viceré del Mezzogiorno d’Italia. Curò
l’edizione di molti testi, tra cui il Regis Ferdinandi Instructionum liber, portata poi a compimento dal figlio Luigi.
non altrimenti che tutta l’isola, è detta. Fermatomi nella piazza del duomo innanzi ad una meschina fontana,
vidi infissa in un muro sotto un orologio e sopra una
nicchia una lapide di marmo bianco, ove si leggono
queste parole intagliate.
D. O. M.
Aquam ex fonte Buceti
ad IV m. p. publico aere derivatam
labroque ex tiburtino lapide ornatam
et turri in qua concilia fierent adposita
addito horario
decuriones pithecusani
utendam fruendam civibus dederunt
a. MDCCLVIIII
A me, cui non è venuta ancor meno l’immaginativa,
parve vedere a quella novella vaghezza d’horario in
cambio d’horologio saltar la muffa al naso di monna
Filologia, e leggere quel turri in qua concilia fierent
nelle carte del libro che il preterito rassegna
Il duomo d’Ischia, stato lungamente chiesa de’ frali dell’ ordine di Santo Agostino. e succeduto presso
a quaranta anni addietro all’abbandonato duomo del
forte, è un sufficiente edificio a croce latina ed a tre
navi, con tribuna in testa e porta a piede nella maggiore e nelle minori due navi. Il numero tre, mistico sì per
gli antichi pagani e sì per i presenti cristiani, s’incontra
eziandio negli arcuati vani delle laterali due navi in dirittura delle arcate della nave del mezzo. Sono questi
vani, eccetto il primo che entrando si trova nella navata sinistra, cappelle con altari di marmi di più colori.
Di marmi di più colori sono altresì l’aitar maggiore, e
quelli delle laterali e piccole due tribune e de’ due cappelloni della crociera, e le balaustrate della maggiore e
delle due minori tribune. Ai fianchi di parecchi altari
ed in altri siti s’osserva un’arme di marmi commessi,
ch’è in campo bianco o d’argento un cuore fiammeggiante sostenuto da fiamma di color vermiglio. Presso
a quest’arme sta impresso uno degli anni 1833, 1834 e
1836 con l’indicazione del vescovado dell’ isola. E qui
bisogna avvertire, che l’anno 1645 la città d’Ischia, la
quale era in quel tempo nel forte, aveva per arme, siccome si mostra nella descrizione del reame di Napoli
d’Ottavio Beltrano, un mucchio di dieci monti, cinque
sopra cinque, sostenuto dalle acque, con una regal corona al disopra. Si vuole por mente alla fonte battesimale di marmo bianco allogata nel vano, che è primo
entrandosi a mano manca. A questa fonte adorna di
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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quattro scolpiti capi di cherubini sottostanno tre congiunte ed addossate statuette, l’una delle quali tiene la
bilancia e la spada, porta l’altra la serpe ed il libro, ed
ha la terza le braccia, per usare alcune parole del carme
di Claudiano nelle nozze d’Onorio e Maria,
. . . lanigeri suis ostentantia pellem.
Lasciando il discorrere delle due prime statuette, le
quali per i loro simboli chiaramente appariscono le
immagini della giustizia e della sapienza, non si deve
tacere della terza statuetta, che giudico, a dirla secondo il sistema di quell’altissimo e dottissimo intelletto
di Cataldo Iannelli, un troposchema ideosintetico della
magnanimità, perciò che Claudio Mignault, commendando l’emblema di Milano trovato dall’Alciato, c’insegna, che la pecora per la lana indica la copiosità , ed il
porco per lo strepito il risuonar della fama. Sta la fonte
sotto un baldacchino fatto in volta, sostenuto da quattro basse colonne lavorate a larghe e concave spire, per
le quali sono intagliati mazzetti di fiori e mazzetti di foglie. Di mazzetti di foglie è composto il capitello dell’una delle anteriori colonne, laddove il capitello dell’altra
è composto di mazzetti di fiori: e nel mezzo delle facce
di questo capitello e di quello sono scudetti sannitici,
ove si vede l’arme d’una fascia, e spesso l’arme di tre
sbarre rilevate al disotto e d’uno stivale abbozzato anzi
che inciso al disopra. Il che ricorda la storica famiglia
dei Cossa o Coscia, la quale ebbe anticamente l’insegna , siccome afferma Francesco de’ Pietri, d’un campo partito in fascia, vermiglio al disopra, e d’argento
al disotto con tre bande verdi, e dipoi vi aggiunse lo
stivale d’oro nella superior parte del campo. A somiglianza dei descritti due capitelli di marmo sono fatti
di stucco quelli delle due posteriori colonne. Sicché è giuocoforza attribuire l’opera di questo battistero al
secolo decimoquarto, in cui l’architettura e la scultura, smarrito il buon modo antico, si mostravano, secondo la qualità degl’ingegni che vi attendevano, simili
a vispe e capricciose fanciulle: il che se le fa ai critici
riputare inferiori all’architettura e scultura del secolo
decimosesto, le quali, essendosi ritrovata l’antica miglior maniera, furono simiglianti a discrete ed eruditissime donne; tanto le fa giudicar superiori a quelle
sformate e disordinate de’ secoli decimosettimo e decimottavo, ed a quelle secche e troppo imitatrici degli
ultimi tempi, quanto è da preferire il singolare al deforme, ed il lavorar d’invenzione al copiare dagli altrui
originali. E qui è a proposito il dire, che, narrandosi
essere state queste colonne e statuette del sacro fonte
trasportate nel presente duomo dall’ antico del forte, le
si può credere spoglie del superbo sepolcro di marmi
elevato in quello, secondo che narra il soprannomato
de’ Pietri, a Giovanni Cossa d’Ischia, milite protontino
e signore dell’ isola di Procida, passato nel 1343 dalla
mortal vita all’eterna. Sono in questo duomo d’Ischia
parecchi dipinti di Giacinto Diano, il quale, come che
avesse seguito il cattivo vezzo delle forzate e contorte
attitudini delle figure ed anteposto al gagliardo colorito uno scialbo e leggiadro, fu tuttavolta de’ migliori
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La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
che dipinsero nel reame di Napoli nella seconda metà
del secolo scorso, in cui tanto declinarono le arti, che
fu proprio una vituperevole maledizione. E forse non
mi diparto dal vero congetturando che a siffatti dipinti del Diano cedettero il posto altri eccellenti dipinti,
perciò che nella sagrestia di questa chiesa tuttavia si
conserva una sì bella tavola del simbolo di San Giorgio
a cavallo col trafitto dragone e con la liberata donzella,
che qualche intendentissimo della storia della pittura sostiene essere della valorosa’ scuola di Andrea di
Salerno, che fu degli ottimi discepoli del divino Raffaello. Vi si vede ancora fitta in un muricciuolo, onde
la maggior tribuna è divisa dalla minore sinistra, una
pregevolissima tavola di san Tommaso inginocchiato
innanzi all’altare del Crocifisso con bella prospettiva di
chiesa e coi frati che osservano di lontano. Parecchie
lapidi con armi ed epitaffi, molte delle quali forse già furono nel primiero duomo del forte, si vede in questo
tempio, e massime nel pavimento della maggior tribuna, che per avventura troppo tornerebbe sazievole
il minutamente descrivere. Ma non posso tenermi di
riferire la seguente iscrizione, piena, per usar le parole
d’Aulio Gellio, superbiae campanae, la quale si legge
in una lapide allogata nella nave del mezzo innanzi all’
usciuolino della balaustrata della tribuna, e fa temere,
chi ben considera, non s abbia a rinnovar la vendetta
del superbo strupo.
D. O. M.
Hic Diis atque Filiis Dei excelsis
honore doctrina meritis
natura mortalibus
commune manet sepulchrum.
Sic nemini parcis amara mors.
A me quasi pare che l’autore di queste parole, ricordando che gli uomini, nel tempo che composti d’anima
e corpo vivono in terra, debbono rendersi, secondo la
sapiente espressione del beato apostolo Pietro, divinae
consortes naturae, abbia giudicato lecito usar la frase
detta da Dio ai giudici Dii estis et filii Excelsi omnes,
che si trova nel salmo LXXXI, e sia poco giudiziosamente, trattandosi de’ corpi disgiunti dall’anima e
seppelliti, trascorso con Lucifero a dire, come narra il
profeta Isaia, Ascendam super altitudinem nubium,
similis ero Altissimo. Né vale il rammentare il Deum te
igitur scito esse del sogno di Scipione, perciò che saviamente Macrobio interpetra quelle parole, affermando che gli antichi filosofi e Tullio dettero alla sola anima
dell’uomo il nome di Dio per la simiglianza delle prerogative, con le quali par che l’anima imiti Dio; e però al
Diis attribuito agli uomini, cioè alle loro anime, empio
è l’aggiugnere natura mortalibus e commune manet
sepulchrum. Onde stimo opportuno il ripetere ciò che
si legge aver detto un giullare ad un altro in una delle
cento novelle antiche: Or cui chiami tu Iddio? egli non
è ma che uno.
Alquanto più innanzi, presso che incontro al duomo,
sta un’altra chiesa , delta la Collegiata dello Spirito
Santo, con la sacra immagine della colomba scolpita
di basso rilievo in marmo bianco nel prospetto sopra
la porta. Questa chiesa, fatta ex aere nautarum secondo che nella sua volta si legge, è ad una nave sufficientemente spaziosa con un cappellone ed una cappella
per ciascuna banda, con gli altari e con la balaustrata della tribuna di marmi di più colori. Tra i quadri,
che vi sono sospesi, convien notare quello delle anime
del Purgatorio che pregano alla Madre di Dio seduta
sopra le nubi, lavorato, secondo che direbbe il Vasari,
miracolosamente da Paolo de Matteis, ed allogato in
sull’altare del cappellone al lato destro della tribuna:
quello di Nostro Signore tra i suoi discepoli, posto in
al lato manco dell’ organo sopra la porta: ed una piccola tavola della discesa dello Spirito Santo in lingue
di fuoco dentro il cenacolo, che sta nel fondo della sagrestia e ricorda la buona scuola del Sanzio d’Urbino.
Ma chi desidera scorgere che possano l’ignoranza e la
goffezza congiunte insieme, deve por mente al nome
d’Alessandro Fischetti con l’anno 1831 sottoposto nella
volta della nave ad un dipinto, in cui si vede rappresentato Gesù ritto sulle acque del mare distendere, in
conformità della narrazione di san Matteo, la mano
e prendere Pietro presso a sommergersi al cospetto
de’ discepoli raccolti nella navicella travagliata dalla
tempesta. Tra le immagini de’ quattro evangelisti, che
sono con poca ragione condotti negli spigoli della cupola, notai san Luca in atto di ritrarre in tela Nostra
Donna: e rammentando le dispute intorno alla facultà del dipingere attribuita per tradizione a questo medico, elegante scrittore e divino narratore della vita del
Cristo, pensai che per aver quegli più largamente che
gli altri tre evangelisti discorso le cose concernenti alla
Vergine Madre, assai bene se ne può metaforicamente
chiamare il pittore, non altrimenti che fu detto Omero
dal Petrarca, "Primo pittor delle memorie amiche".
Da ultimo, quasi a testimoniare la ruina delle magnificenze terrene, osservabile è in questo tempio il capitello corintio d’un antica marmorea colonna, posto ad
uso di sgabello presso la porta.
Villa de' Bagni - Lasciate stare altre cose di poca
importanza, ed uscito della piccola città d’Ischia, come
fui dopo breve cammino al villaggio de’ Bagni, m’introdussi nella parrocchiale sua chiesa, la quale è d’elegante forma ovale, ed ha tribuna e quattro cappelle. Vi si
vede a pié del fonte battesimale e sopra le due pile dell’
acqua benedetta scolpito uno scudo con dentrovi l’arme del luogo, cioè una corona sopra un piantato monte
a tre cime. Vi si legge ancora al sommo della porta la
seguente iscrizione.
A Dio Ottimo Massimo
alla beatissima Vergine delle Grazie
alla eterna requie delle purganti anime
ed al pubblico comodo
nella villa de’ Bagni
la fedelissima città d’Ischia
che ne gode il patronato
soprantendente l’ill. sig. march. di Vatolla
D. Francesco Vargas Macciucca
con la diligenza e cura del D. Ferdinando Buccalaro
avvocato dell’isola
negli anni del Signore
MDCCLXXXI
questo tempio dedica e consacra.
Il contento prodottomi dalla favella italiana usata in
questa iscrizione l’anno 1781, quando ancora l’ignoto
latino s’insegnava ai fanciulli con grammatiche dettate
in latino, mi venne amareggiato e volto in sollazzo ad
un tempo, osservando il pubblico comodo messo alla
pari con Domineddio, con la Vergine delle Grazie e con
la requie delle anime del Purgatorio. Così fatta iscrizione e quella riferita del duomo d’Ischia sembrano
ispirate dal gigante Tifeo, la cui smodata superbia fu
fiaccata ed oppressa Jovis imperiis sotto questa isola
d’Inarime.
Laddove la verdeggiante e sinuosa valle della città
d’Ischia, traversata dal ferrugigno torrente dell’ultimo vulcanico incendio dell’isola, è chiusa verso la
plaga dell’ occidente dalle colline che l’attorniano sino
al mare, s’erge sopra un poggetto l’ornatissima regal
villa, tutta cinta di fioriti ed odorosi giardini, che ordinatamente digradando discendono presso alla riva
d’un limpido e vago laghetto, il quale al presente, tagliato quel po’di terra che il separava dal mare, è in sul
punto di trasmutare affatto nell’artificiosa comodità d’un porto la natural sua bellezza. Quindi per le falde
di montagnette, ombrate da pergolati di viti e da boschetti d’aranci, castagni ed ulivi, si muove la via: la
quale, tramezzando di tratto in tratto vulcanici borri,
il cui pristino orrore si vede per la vetustà dell’origine
dall’agricoltura, addolcito, procedendo quasi sempre a
cavaliere alle piagge dell’isola, e discendendo da ultimo fra ardenti fornaci di mattoni, tralignata progenie
di quelle di vasi che, anzi che le bertucce, generarono
secondo alcuni il greco nome di Pitecusa, mena dopo il
corso d’intorno a.due miglia ad un aggregalo di casette
in sul lido, che dicesi la Marina di Casamicciola.
Casamicciola - Entrato nella piccola e rettangola
chiesa parrocchiale di questa borgata posi mente al
ternario numero degli altari di marmi, torsi lo sguardo
dagli sconci e mostruosi dipinti soprapposti agli altari,
e fui forte compreso dal desiderio che il volgo intendesse il latino, leggendo queste parole intagliate in marmo
nel mezzo del pavimento.
Siste navita
qui delubrum istud collato aere struxisti:
memento
huc intro labor huc quoq. fortunae manebunt:
consule
pie vivere, ut sancte obeas feliciterq. resurgas
A. R. S. MDCCCXXIV. m. m. f.
Dalla marina di Casamicciola ascesi alle soprastanti
colline, tra le quali in uno stretto piano, ove corrono
« spicciano acque salutarissime, i gentiluomini napoLa Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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litani del Pio Monte della Misericordia innalzarono
l’anno 1605 co’ danari di Fabio Pignatelli de’ marchesi
di Cerchiara e rinnovarono nel 1778 uno spedale a pro
dei poveri infermi, e presentemente con tanta solerzia
s’edifica e chiesa e terme e case e strade, che vi si vedrà in breve tempo un ragguardevol villaggio. Essendomi
proposto di riferire le cose non osservate dagli altri,
lascio il far larghe parole dello spedale, una cui descrizione fu data per Giuseppe Palma l’anno 1847 alla luce,
e mi ristringo a pur dire quello che seguita. Vi si scorge
l’arme del Pio Monte della Misericordia, cioè di sette
monti congiunti, con una croce al colmo del più alto
ch’è in mezzo, e con le lettere F. A. E. O. G. ne’ cinque
monti mediani: il che per fermo significa, se non mi si
fa velo al giudizio, le sette opere della Misericordia fecondate dalla religione del Cristo, col motto Fluunt ad
eum omnes gentes, che si vede intagliato in Napoli sopra il portico della chiesa del Monte della Misericordia.
Sotto un oriuolo a sole vi si legge presso all’ingresso
dello spedale:
Sensim sed propere fluit irremeabilis hora;
Consule ne perdas absque labore diem
consiglio che certamente sarà da pochi abbracciato.
E nella chiesa detto spedale, la quale è rettangola ed
ha tre altari di marmo, si conservano due buone tavole: l’una all’altar maggiore, l’altra dentro la sagrestia.
Quella dell’altar maggiore è del busto della Vergine
Madre con Nostro Signore bambino al collo dentro
un quadro, il quale vien sostenuto in compagnia d’alquanti angeletti da san Girolamo, che sta quasi del tutto nudo, mostra in una mano la pietra onde in Calcide
percuotevasi il petto, ed ha presso ai piedi più libri e
l’anacrologico porpureo cappello de’ cardinali. E quella
della sagrestia è del busto di Dio Padre, maggiore che
il naturale degli uomini, condotto con tanta maestria
e con sì maestosa e viva attitudine, che si può bene attribuire al felicissimo secolo del risorgimento delle arti
in Italia.
Alquanto più sopra, ove il maggior monte Epomeo
s’avvalla in piccolo spazio presso la cima d’una montagnetta, si distende il paesello, che volgarmente è detto
Casamicciola, ed ha tolto il nome dalla casa d’una famiglia Nizzola che dapprima vi stette. Nella piazza di
questa terricciuola surge la decente facciata della chiesa parrocchiale intitolata a Santa Maria Maddalena.
A croce latina è la chiesa, a tre navi, e con la tribuna
girata in mezzo cerchio alla maniera dell’antica basilica
de’ gentili greci e romani. Il che ricorda il manubrio
della geroglifica croce egiziana, la quale, secondo Rufino d’Aquilea e più altri, s’interpetra la vita avvenire.
Tre sono gli altari nella crociera, cioè il maggiore della
tribuna e quelli de' laterali due cappelloni: e tre sono
le cappelle co’ loro altari in ciascuna delle minori due
navi. Tutti gli altari e la balaustrata della tribuna sono
di marmi di più colori. All’un fianco ed all’altro dell’altar maggiore sta dentro uno scudo l’arme d’un campo
bianco o d’argento con una fiamma vermiglia sopra tre
monti verdi: il che forse significa le vulcaniche e col46
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tivate colline di Casamicciola. Ci ha in testa della tribuna appiccato al muro in alto un assai bel quadro di
santa Maria Maddalena menata dagli angeli al cielo, a
cui quella tien fissi gli occhi, coprendo col bellissimo
braccio destro il tumido petto, e sollevando nella palma sinistra, siccome il mezzo di sua salute l’alberello
dell’olio odorifero. Sospinto da me a vedere una così
fatta immagine il valoroso dipintore Camillo cavalier
Guerra, che si trovava nell’isola, si compiacque permettermi di riferire ch’ei la stima opera del cavalier
Giacomo Farelli, il quale fu degli eccellenti nostri pittori del secolo decimosettimo. Ci ha ancora all’un lato
della porta un dipinto di Nostra Donna col bambino
Nostro Signore in braccio sopra san Sebastiano legato all’ albero e san Rocco impiagato, con aureole dorate e con l’anno 1565, che si vuole per la sua bontà giudicare della nobile scuola del salernitano Andrea
Sabbatini. E ci ha all’altro lato presso alla porta anco
un pregevole dipinto dell’abate santo Antonio inginocchiato tra i ritti san Matteo apostolo e san Vincenzo
martire sotto il busto della Vergine Madre col divino
pargoletto in sul seno, che conviene attribuire al secolo
decimosettimo. Ma, quasi perché meglio s’argomenti
intorno alla bassezza, in cui dai secoli decimosesto e
decimosettimo venne presso noi la pittura nel secolo
decimottavo, si legge il nome d’Antonio Sarnelli sotto
un dipinto di santo Antonio di Padova di brutto disegno e di peggior colorito nella terza cappella, andando
verso la tribuna a man ritta. Tra le lapidi disposte per
il pavimento è una nella crociera con arme al disopra
ed epitaffio al disotto, che stimo per la sua singolarità meritevole di speciale menzione. È l’arme una fascia
distinta di tre stelle a sei punte, alla quale soprastanno
una luna crescente nel mezzo e due stelle a sei punte
nei lati, e sottostà una pecora, detta volgarmente manso, andante sopra tre monti congiunti. L’iscrizione, la
quale (Qual’ella sia parole non ci appulcro), è questa
che seguita.
Maria Francesca Mansi
umil modesta e pia
a’ suoi amorevole e benefica
de’ poveri l’amica
ver tutti affabile e cortese,
tra lo splendore dell’augusta corte
sol di claustral virtude vaga
e d’ogni vanitade schiva
di camerista nell’orrevol posto
l’alto favor mertò di più regine
ed in quest’isola
u’ già riebbe la salute
e invan sperolla poi
del giusto nella pace
terminò i giorni suoi.
A perenne memoria
il dolore
della sorella e de’ fratelli
questa lapide
pose.
Nacque in Napoli il dì 13 novembre 1795.
Morì in Casamicciola il dì 31 agosto 18,..
Lacco - Discendendosi di Casamicciola verso maestrale si giugne ad una verdeggiante valletta in pendio,
ove s’insinua il mare e fa piccolo golfo, la cui leggiadria
viene accresciuta da uno scoglio in guisa di grosso fungo che vi si bagna nel mezzo. In sul lido ed alquanto
su per le circostanti pendici è un paesello, il quale si
dice Lacco, forse dalla lacca in cui si ritrova, ed è di
tanto uniforme vaghezza che invoglia l’animo a contemplarlo e ricercarvi il riposo. Due chiese vi si vuole
principalmente osservare: l’una quasi nel mezzo del
paesello in sul lido: l’altra all’estremità occidentale a
pié d’un monticello che si dice di Vico. La prima, intitolata alle Anime del Purgatorio, ha in sulla porta
l’arme di tre stelle filanti sopra un albero piantato in
cima d’un monte della casa de’ Monti Ravelo, ed è di sì
goffa e disordinata architettura che non so dirla se ad
una od a tre navi. Ci ha vecchi e laceri dipinti degni di
miglior sorte, tra’ quali mi par notevole quello di san
Sebastiano messo in mezzo de’ santi Giovanni Battista ed Andrea apostolo, che sta nella tribuna incontro
al corno dell’ evangelo. Meritevole ancora di qualche
lode è il quadretto di figure picciole soprapposto all’altare all’un de’ capi della crociera, il quale è della predicazione di san Vincenzo, lavorato, come vi si legge
al disotto, nel 1724 dal Siscara. Ma ciò che veramente
rende questa chiesa importante, è un marmoreo simulacro della civile teologia de’ gentili, che vi si trova, entrando a man destra, sottoposto siccome piede alla pila
dell’acqua santa. Questo è, senza por mente alle ciance
del dottor fisico don Francesco de Siano, il pilastrino
simbolico di Mercurio sottomesso al busto dell’Ercole
barbato con la pelle del leone sul dorso e con la clava
nell’una mano, cioè l’Ermeracle, che gli Ateniesi collocarono nei ginnasi ed i Romani accettarono , ad indicare, siccome narra Ateneo, che col congiungimento
della bene espressa ragione rappresentata da Mercurio
e della forza rappresentata da Ercole, è solo possibile
il regolare reggimento de’ popoli. Nell'altra chiesa, la
quale è al di fuori più che al didentro decente, ed ha,
oltre all’altar maggiore, tre altari per ciascun lato, si
vuol notare due cose. L’una è in testa della tribuna un
moderno quadro del santo dottore Agostino in atto di
calpestar l’Eresia scrivendo ciò che la Romana Religione del Cristo gli va dettando, fatto da un Filippo Balbi,
il quale vi si mostra affatto lo stesso artefice, che adornò alquanti anni addietro di fauni le bande della porta
alla bottega dell’ aromatario Profeta in Napoli incontro
al Museo. L’altra è la latina iscrizione posta nel pavimento sopra la sepoltura de’ visceri del siciliano Francesco Landolina duca della Verdura, andato l’anno
1786 a vita più salda. Ma non mi avrebbero le dette due
cose sospinto a far discorso di questo tempio, se non
gli stesse congiunto al lato manco una pulita cappella,
ove si crede, non senza opposizione di molti, che in sul
cadere del terzo secolo della Chiesa una pietosa Lucina
seppellì il corpo dell’africana santa martire Restituta,
quivi menato dall’angelo nella barca. Presso all’uscio
di questa cappella sta infissa nel muro ad uso di pila
dell’acqua benedetta la piccola urna di marmo bianco
fatta dalla liberta Tiche ai mani del benemerito suo
consorte Lucio Feno Ursione, della quale è stato de’
primi a discorrere il sopraccennato dottor fisico don
Francesco di Siano. I due cornuti capi d’arieti o caproni, che sono scolpiti agli estremi della faccia dell’urna,
mi fanno raggirar per la mente, come il becco distruggitore de’ germogli delle viti è acconcio a significare la
morte distruggitrice delle vite degli uomini: come non
si può filologicamente considerare i dei Mani senza la
famiglia, la cui propagazione è rappresentata dall’irco
incontinente: come Bacco, il quale ebbe il caprone e
l’ariete per simboli, fu, secondo il Protreptico di Clemente Alessandrino, lo stesso che Plutone, la cui consorte Proserpina nacque dai granelli dell’ariete gittati
da Giove nel grembo di Cerere: come si vede dipinte
negli antichissimi vasi funebri e sepolcrali le storie del
cabirico Bacco, cioè del nume, col quale riposatamente
e soavemente si stanno le anime de’ defunti: e come,
volendosi prestar fede agli studi di valenti glossosofi,
capra e fortuna, capra e sterpamelo, capra ed espiazione, ariete e Dio, capo d’ariete e principio di memoria e
di nuova vita, agnello e divina manifestazione del vero,
irco e propagazione, corna e cominciamento di luce,
sono significali di voci provvenienti da comuni radici
nella primitiva lingua semitica. Ma già mi par di vedere
taluni cipigliosi baccalari rizzarsi dagli accademici loro
scanni e gridarmi: Chi se’ tu, profano, che ardisci di
profondarti nel nostro cripticismo archeologico? Ed io,
che per semplice amore e non per professione o guadagno attendo alle lettere, commosso a tanto grido mi arresto, e lascio la cura di largamente trattar queste cose,
non che della disputata greca iscrizione impressa nel
monte di Vico, ai chiarissimi Agostino Gervasio, Bernardo commendator Quaranta, Domenico Guidobaldi,
Giacomo Rucca, Giovanni canonico Scherillo, Giulio
Minervini, Giuseppe Fioretti, Onorato d’Albret duca di
Luynes e Troiano conte Marulli, i quali, altrimenti che
quelli, disposando al sapere l’urbanità ed onorandomi
della loro amicizia, m’incitano a pubblicare, quando
l’opportunità mi si porge, le svariatissime memorie del
corso ed incivilimento delle nazioni, senza la cui piena
conoscenza mai non potrà splendere la fiaccola della
storia ideale eterna del genere umano.
Forio - Ripresa la strada maestra, la quale , dopo
essere alquanto salila dalla marina di Casamicciola
, ove l’ebbi lasciala , traversa e dismonta la prossima
montagnetta , e, corso presso che un miglio, si trova
a Lacco alla riva del mare, mi detti ad ascendere con
quella per le falde d’un monte detto Marecoco, poste
a cavaliere d’una piccolissima e coltissima vallettina,
che giace al pie’ manco dell’isolato monticello di Vico,
e lascia vedere non senza diletto il mare all’un suo confine ed all’altro. Quindi, valico il Marecoco, mi si spiegò
innanzi una bellissima e più larga vallea, chiusa a levante dai monti, e bagnata ad occidente dalle acque del
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mare, la quale ritiene il nome dalla terra di Forio, che
in sulla sinistra sua punta s’eleva e biancheggia. Giunto
che fui a questa maggiore e più popolosa terra dell’isola, entrai in molte chiese, le quali ove volessi minutamente raccontare, tornerei, rivangando un medesimo
campo, notevole più che troppo. E però imprendo a far
come quegli, che,
Poggi ed onde passando, e l’onorate
Cose cercando, il più bel fior ne colse.
Nella chiesa di Santo Vito, ch’è l’una delle due parrocchie di Forio, si vede nel pavimento della maggior
navata l’arme della terra, ch’è un campo azzurro col
giallo fior dell’ortensia piantata sopra un verde monte
a tre cime. Il che, siccome ho fatto ragionando degli
altri luoghi, per tanto riferisco, perché spero che chi
non è sì privo d’intelletto da desiderare il pieno rinnovamento della barbarie e della vita bestiale, non stimerà vano ai nostri giorni, in cui poco discretamente
si dileggia chi fa conto delle armi e de’ distintivi delle
famiglie, il ricordare almeno le insegne, onde una città,
ch’è l’aggregato di più famiglie, si ravvisa e si distingue
dalle altre. In questa chiesa di Santo Vito mi par molto
notevole ancora un bel dipinto della Sacra Famiglia,
sotto cui si legge il nome di Anna Maria Manecchia,
che, quantunque dal de Dominici non ricordata e dal
Grossi, si vuole essere stata discepola del Solimena. In
un’altra chiesa a tre navi, detta di Santa Maria di Loreto, la quale ha le facce de’ pilastri adorne d’incrostature
di marmi, si vede più tavole col nome di quel Cesare
Calense della provincia di Lecce, fiorito in sul principio
del secolo decimosettimo, di cui fa il de Dominici molte lodi ed indica una sola opera di pittura dentro una
chiesa di Napoli. Ma più che questi due templi, i quali
sono i principalissimi di Forio, degna di considerazione è la chiesetta della famiglia dei Regina, la quale è di
tanta e sì ricca eleganza, che assai bene starebbe unita
al palagio d’alcuno de’più magnifici signori che si sapesse nel Reame. Vi è a diligentemente osservare sì la
chiesetta e sì la sagrestia, ed a notare alcun che intorno
alla sua sepoltura. La chiesetta, ch’è di forma rettangola, ha le mura coperte con croste di pregiatissimi marmi, le due pile dell’acqua benedetta di marmo bianco
lavorate assai sottilmente, ed il mezzo busto d’un Gaetano Regina maestrevolmente scolpito di mezzo rilievo
in un tondo. Lo splendore di queste cose, le quali, non
ostante la loro maniera consona all’Imperfezione dello
scorso secolo decimottavo, chiaro appalesano La man
che obbedisce all’intelletto dell’ottimo artista, rimane
in parte offuscato da una brutta immagine di san Filippo Neri, ch’è sopra l’altare, tinta piuttosto che dipinta nel 1776 da Antonio Samelli di poco avventurosa
memoria. Nella sagrestia per l’opposito sta un quadro
eccellentemente disegnato e colorito di Nostro Signore
tratto con la croce addosso al Calvario, di figure sino a
mezza coscia, sotto cui è notato il nome del fiamingo
Giovanni Don, le cui opere non si sa spesso distinguere da quelle del famosissimo suo maestro Giuseppe di
Ribera detto lo Spagnoletto. Sono ancora nella sagre48
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stia due stupende sculture di tersissimo marmo bianco, l’una incontro all’altra, lavorate da quel Giuseppe
Sammartino, che, nato intorno al 1728 e morto nel
1800, ha fatto in Napoli fede della virtù dell’ ingegno
ne’ tempi della decadenza delle arti. L'una di queste
sculture è la statua della Religione del Cristo, figurata
siccome donna anzi piccina che grande, panneggiata e
velata, la quale, in atteggiamento poco acconcio, calpesta col piè sinistro sopra la pietra quadra della Chiesa
la maschera dell’ipocrisia e le carte delle false dottrine
ed i serpentelli de’ vizi, sostiene con la mano stanca
una croce di tronchi posata sopra il libro degli evangeli a cui sottostanno ritte le mosaiche tavole della legge, solleva con la destra mano il cuore fiammeggiante
della carità, ed ha presso al piè dritto il profano amore
bendato e senza ali rovescio e capovolto. Il nome dello
scultore e l’anno 1786 si legge all’un lato nell’orlo superiore del piedistallo, il quale ha le facce ritondate, si
vede listato d’oro, ed è adorno d’una storia di vecchi
e donne con lampada egregiamente condotta di basso
rilievo. Questa opera, che per essere ricca di simboli e
con grande diligenza eseguita si debbe col cadavere di
Nostro Signore avvolto dentro il lenzuolo nella cappella de’ principi di San Severo e col sepolcro del principe
di San Meandro in Santa Maria della Stella in Napoli
annoverare tra le nobilissime sculture del medesimo
autore, troppo s’allontana, secondo la maniera del
secolo decimottavo, dalla semplicità e purgatezza del
concetto, con cui Luigi Persico, imitando la grandiosità se non l’esquisitezza di Fidia, ha recentemente modellato una statua della Religione del Cristo, la quale è di
donna matura, gagliarda, bellissima, con raggi uscenti
intorno del capo, con largo panneggiare e pieghe severe, e con gli occhi rivolti al vertice d’un’alta croce ch’ella col braccio manco ricigne e sostiene. L’altra scultura,
fatta di linee miste e con listre d’oro, è la pila dell’acqua
sotto un piede che sostiene una lapide. Ha questo piede scolpito nella faccia assai bene di basso rilievo in un
tondo il mezzo busto del sacerdote Pietro Regina fondatore della chiesetta, e sottostà alla figura d’un nudo
fanciullo, in cui si dice ritratto di naturale il nipote ed
erede del fondatore. La storia della descritta chiesetta
è narrata nella seguente iscrizione posta nella lapide:
Qui se suaque omnia Deo o. m.
inde a teneris vovit ac destinavit,
pridem sacellum hoc secundum Deum
d. Philippo Nerio dicatum
a fundamentis excitari,
tum deinde elegantiori omne genus
supellectili signis argentiis
tabulis scite pictis
instrui ditari inlustrari,
denique his nondum adquiescens
statua Religionis marmorea
exquisite operoseq. elaborata
conlocupletari insuper curavit
Petrus Reginaeus Nicol. i. c. f.
sacerdos pithecusanus
anno a C. n. MDCCLXXXVl.
Heus tu quisquis es,
in Religionis maxime signum
oculos fige tuos:
si parum adhuc pietatem coluisti,
illud contemplatus
adprime religiosus abibis.
Per ciò che concerne al familiar sepolcro ch’è in questa chiesetta, ove si consideri ch’ei si trovi al livello delle attigue camere e sale de’ Regina, s’ammira l’accorgimento, con cui, senza uscire da’ termini della religione
cristiana, sono stati imitati i prischi Egiziani ed Italiani, i quali usarono di conservare nelle loro case i ca-
daveri degli amati congiunti. E qui mi pare da ultimo,
prima eh’ io ponga fine a questa relazione, non doversi
tacere, che nel pavimento d’una loggetta , onde si passa
dalla sagrestia all’abitazione dei Regina, si vede dipinte
le storie della creazione del mondo e della salvezza degli animali nell’arca di Noè in mattoni, invetriati, che
ricordano quelle celebratissime fabbriche di maioliche
di Castelli di Abruzzo, le cui opere sono tanto pregiate
che, a dirla con l’enfatica frase d’un Fabio Placidi vissuto nel principio dello scorso secolo, possono stare a
tavola rotonda con tutte le porcellane europee ed oltramarine.
*
Medaglioni isolani
Dottor Vincenzo Morgera
Trasse i natali in Forio d’Ischia, dove esplicò
attività varie e passò di vita in ancora valida età,
l’anno 1891. Fu medico di valore; la buona rinomanza uscì dalla cerchia municipale; pigliò forte
addentato a Lacco Ameno e in Casamicciola; non
mancarono i contatti con la restante isola. Allora questa terra vaga era divisa in scompartimenti
stagni: le due circoscrizioni mandamentali si polarizzavano in Ischia e in Forio.
La fervida attività dell’ingegno del Morgera andò
frazionata tra il trasporto scientifico e le cure amministrative Nei piccoli centri capita sempre casi;
il medico che si rispetti e l’avvocato che meglio
cavi d impiccio addiventano i capi naturali degli
orientamene politici. E il Morgera trovò seguito
nel popolo; fu primo cittadino della terra natale;
ebbe peso nelle direttive del Mandamento; non
restò estraneo nell’orientamento del Collegio politico.
Pigliò iniziative che oltre mezzo secolo addietro
erano rarità, diede incoraggiamento alla cultura
popolare ed eresse di pianta a Forio il primo asilo
in infantile dell’isola.
E il popolo perennò la memoria di lui in un busto di bronzo eretto nell’aula consiliare. Come
sempre, anche a lui, l’applicazione politica recò
pochi consensi e dolori parecchi.
Quello che più resta è il frutto dell’ingegno. Medico desiderato e uomo d iniziative, tolse a cuore lo studio intorno alle acque termali dell’isola,
e fermò i risultati in un volume di quattrocento
pagine, il quale offre, a chi verrà dopo, preziosi
elementi: Le terme dell’isola d’Ischia; il tomo sta
a fianco dei ben famosi studi di Giulio Iasolino e
di Andrea d’Aloisio.
E lasciò un volume inedito, nel quale, con cura
minuziosa e serena, raccolse la cronaca particolareggiata di quello scotimento tellurico che, l’anno
1883, gettò tanta desolazione nell’isola.
Episodi ignorati, atti generosamente cristiani,
arruffio di mestatori si rilevano solo da quel lavoro paziente: soprattutto campeggia la commozione europea, e, saremmo per dire, mondiale. Il volume è catalogato tra i manoscritti dell’Antoniana
d’Ischia.
E la memoria di lui, sopra ogni altro ricordo, è rinnovata dalla eletta corona di figli; dei maschi
uno è medico di buona rinomanza, con larghe
aderenze in Napoli dove si spande da anni: il
dottor Francesco; due altri sono avvocati. Luigi,
ben noto nei tribunali della Metropoli, è dotato
di squisito tratto amministrativo; ha retto la terra
sua natale in qualità di Sindaco; è stato Consigliere provinciale; è Commissario prefettizio dall’isola d’Ischia. Le più lucide illustrazioni dei padri
sono i figli meritevoli.
Onofrio Buonocore
(in Ischia Nuova, anno II n. 5 / 30 gennaio 1944)
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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Ex libris
Joseph Addison
Note su vari paesi d’Italia, 1722
Si possono ancora vedere alcuni resti dell’antica Miseno; ma
l’antichità più notevole di questo
luogo è costituita da alcune gallerie scavate nella roccia, e che
sono molto più ampie della Piscina mirabilis; alcuni vogliono
che si trattava di un serbatoio
d’acqua; ma altri con maggiore
probabilità pensano che esse formassero i Bagni di Nerone. Ho
dormito la prima notte nell’isola
di Procita, che è abbastanza ben
coltivata, e conta circa quattromila abitanti, che sono tutti vassalli del Marchese del Vasto.
Il giorno dopo sono andato
all’Isola di Ischia, che è più lontana nel mare. Gli antichi poeti
la chiamano Inarime, e mettono
Tifeo sotto di essa, a causa dei
suoi vulcani di fuoco. Sono qua-
si 300 anni che non vi avviene
nessuna eruzione. L’ultima è stata terribile, e distrusse un’intera
città. Ora non si può vedere quasi
nessun segno di un fuoco sotterraneo; perché la Terra è fredda
e coperta d’erba e di arbusti là
dove le rocce lo permettano. Vero
è che ci sono qua e là varie piccole crepe, donde esce del fumo;
ma è probabile che ciò provenga dalle sorgenti di acqua calda,
che alimentano i vari bagni, di
cui quest’isola è molto ricca. Ho
visto presso una di queste fumarole un tratto di terra coperto di
mirti, che fioriscono nel fumo e
nell’umidità costante di questi
vapori. A mezzogiorno di Ischia
c’è un lago di circa tre quarti di
miglio di diametro, separato dal
mare. Anticamente esso era un
Joseph Addison
Remarques sur divers endroits
de l’Italie, 1722
On peut voir encore quelques ruines de l’ancien Misenum; mais l ‘Antiquité la plus considérable de ce lieu
consiste en quelques Galeries creusées dans le Rocher,
& qui sont beaucoup plus spacieuses que la Piscina mirabilis; quelques uns veulent que ce fut un Réservoir
d’eau ; mais d’autres avec plus de probabilité supposent qu’elles faisoient les Bains de Neron. Je couchai
la première nuit dans l’Isle de Procita, qui est passablement bien cultivée, & contient environ quatre mille
habitans, qui sont tous vassaux du Marquis del Vasto.
Le lendemain j'allai voir l’Isle d'Ischia, qui est plus
loin dans la Mer. Les anciens Poëtes l’appellent Inarime, & mettent Typhée dessous, à cause de ses Volcans de feu. Il y a près de trois cents ans, qu'il ne s'y est
fait aucune Eruption. La dernière fut très horrible, &
détruisit une Ville entière. A présent, on n'y voit guères
de marques d'un feu souterrain; car la Terre est froide
& couverte d'herbe & d'Arbrisseaux, là où les Rochers
le permettent. II est vrai qu'il y a diverses petites fentes
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La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
porto per i romani. A settentrione di quest’isola, c’è la Città &
Castello su un’alta roccia separato dal resto dell’isola, e da tutte le
parti inaccessibile ai nemici. Questa isola è più ampia, ma più
rocciosa e più sterile di Procita.
Virgilio le considera tutte e due
derivate dalla caduta di una parte del molo di Baia, che era ad alcune miglia di distanza:
(... Barcollando cadde di Bizia la
smisurata mole) e tal dié crollo
che il terren se ne scosse, e il suo
gran scudo gli tonò sopra. In tal
guisa di Baia sull'Euboica riva il
grave sasso, che è sopra l'onde a
fermar l'opre eretto, dall'alto ordigno ov'era appreso, si spicca e
piomba, e fin nell'imo fondo ruinando si tuffa e frange il mare,
e disperge l'arena: onde ne tremano l'alta Procida ed Inarime,
e il gran Tifeo se n'ange, cui sì
duro covile ha Giove imposto
(Aen., 9).
çà & là, par où il sort une fumée; mais il est probable
que cela vient des sources chaudes, qui fournissent les
divers Bains, dont cette Isle est fort pourvue. J'observai auprès d'un de ces soupiraux, un morceau de Terre
couvert de Myrtes, qui fleurissent dans la fumée &
dans l'humidité continuelle de ces Vapeurs. Il y a au
midi d'Ischia un Lac qui a environ trois quarts d'un
mile de diamètre, séparé de la Mer par une petite étendue de Païs. C'étoit autrefois un Port pour les Romains.
Au Septentrion de cette Isle, est la Ville & le Château
sur un Rocher extremément haut séparé du Corps de
l’isle, & de tous côtes inaccessible à des Ennemis. Cette
Isle est plus large mais plus pleine de Rochers, & plus
stérile que celle de Procita.
Virgile les fait toutes deux branles à la chute d'une
partie du môle de Baye, qui en étoit éloigné de quelques miles:
Qualis in Euboico Bajarum littore quondam
Saxea pila cadi, magnis quam molibus ante,
Constructam jaciunt pelago : Sic illa ruinant
Prona trahit, penitusque vadis illisa recumbit,
Miscent se maria & nigra attolluntur arena :
Tum sonitu Prochita aita tremit, durumqne cubile
Inarime, Jovis Imperiis imposta Typhao (Aen., 9)
Non so perché Virgilio, in questo bellissimo confronto, abbia
dato l’epiteto di alta a Procita,
perché non solo essa non è di per
sé elevata, ma è molto più bassa
d’Ischia e di tutte le punte che
sono nelle sue vicinanze. Dovrei
pensare che Alta sia da unirsi
avverbialmente con tremit, se
Virgilio avesse potuto usare una
sintassi così equivoca.
Je ne sai pourquoi Virgile dans
cette belle comparaison, a donné
l’épithète d'alta à Procita, car non
seulement elle n'est pas haute d'elle
même, mais elle est beaucoup plus
basse qu’Ischia & que toutes les
pointes de Terre qui sont dans son
voisinage. Je croirois qn'Alta est
joint adverbialement avec tremit, si
Virgile eût pû se servir d'une Syntaxe si équivoque.
Antoine Claude Pasquin
detto Valery (-? 1847)
Viaggi storici e letterari in Italia
durante gli anni 1826, 1827 e 1828,
o L’Indicatore italiano, 1831-1833
breggiati da alti castagni; e sulle
prime pendici, che si abbassano
sino al mare, crescono le vigne a
cui si deve l’ottimo vino bianco di
Ischia. Sulla collina della Sentinella, una dei punti più incantevoli di tutta l’isola, c’era una bella
casa affittata ad alcune signore
straniere, e qui ho avuto l’onore
di cenare in buona compagnia.
Questa casa apparteneva al fratello del primo medico dei bagni
del Monte della Misericordia, un
importante centro termale; perché le acque di Ischia sono molto
salutari, soprattutto per le lesioni.
Il costume nazionale dei contadini è ricco e abbastanza elegante; anche le donne non l’hanno
lasciato; esso varia in ogni paese;
Il mio viaggio ad Ischia è stato
un passaggio di un giorno fatto col piroscafo a vapore; ma ho
potuto respirare l’aria deliziosa di quest’isola, e contemplare
il suo meraviglioso panorama,
considerato come uno dei più
belli d’Italia, e anche di tutte le
coste e le isole del Mediterraneo.
Il diapason degli abitanti mi è sembrato ancora più lampante
di quello del popolo napoletano.
All’avvicinarsi delle barche, essi
si gettarono in acqua, sollevarono i viaggiatori in spalla, al fine
di affittare loro gli asini che guidavano da tergo con grida e agilità incredibili. Il superbo Epomeo, vulcano spento, più antico,
si dice, del Vesuvio, appare come
una guglia colpita dai raggi del
sole di Napoli.
La sua base è solcata da burroni profondi, romantici, om-
Antoine Claude Pasquin
dit Valery (? – 1847)
Voyages historiques et littéraires en Italie pendant les années
1826, 1827 et 1828, ou l’Indicateur italien, 1831-1833
Mon voyage à Ischia n'a été qu'un passage d'un jour
fait par le bateau à vapeur; mais j'ai pu respirer l'air
délicieux de cette île, et contempler son merveilleux
panorama, regardé comme un des plus beaux de l'Italie, et même de toutes les côtes et îles de la Méditerranée. Le diapason des habitans m'a semblé encore plus
éclatant que celui du peuple napolitain. A l'approche
des barques, ils se jetèrent dans l'eau, enlevèrent les
voyageurs sur leurs épaules, afin de leur louer des ânes
qu'ils conduisaient par derrière avec des cris et une
*
*
agilité incroyables. Le superbe Epoméee, volcan éteint,
plus ancien, dit-on, que le Vésuve, paraît une aiguille
des Alpes frappée par les rayons du soleil de Naples.
Sa base est sillonnée de ravins profonds, romantiques, ombragés de hauts châtaigniers; et sur les coteaux inférieurs qui s'abaissent jusqu'à la mer croissent
ces vignes auxquelles on doit l'excellent vin blanc
d'Ischia. Sur la colline de la Sentinella, un des plus
ravissans points de vue de l'île, était une jolie maison
louée à des dames étrangères, et où j'eus l'honneur de
dîner en excellente compagnie. Cette maison appartenait au frère du premier médecin des bains del Monte
della Misericordia, établissement thermal important;
car les eaux d'Ischia sont très salutaires, particulièrement pour les blessures. Le costume national des paysannes est riche et assez élégant; les dames même ne
l'ont point quitté; il varie selon chaque endroit; mais
le mouchoir de soie de couleurs brillantes, et roulé en
forme de turban, est à peu près universel. Nous avions
passé devant l'île de Procida, dont les filles ne mettent
La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
51
ma il fazzoletto di seta dai colori
brillanti, e arrotolato in forma di
turbante, è quasi universale. Avevamo superato l’isola di Procida,
le cui ragazze non mettono più
i loro famosi abiti greci, tranne
che la domenica e i giorni festivi,
come gli Highlanders scozzesi, il
loro cosiddetto costume romano.
Queste ragazze erano accorse al
lido per vedere il battello a vapore, mezzo del commercio e
dell’industria moderna, che faceva un vero e proprio contrasto
con i costumi poetici dell’antichità.
L’isola di Nisida, oggi Lazzaretto di Napoli, vide la fine di
Bruto e Porzia. Ischia, nei tempi
moderni, è diventata il rifugio di
un’altra degna romana, Vittoria
Colonna, marchesa di Pescara,
la vedova inconsolabile del vincitore di Pavia, donna illustre per
le sue virtù, per la bellezza, per
il suo alto talento poetico, e che
divenne la santa musa di Michelangelo e la Beatrice di questo
Dante delle arti.
1 Il raffronto di Porzia e di Vittoria Colonna è stato elegantemente
plus leurs fameux habits grecs que les dimanches et
fêtes, comme les highlanders écossais, leur soi-disant
costume romain. Ces filles étaient accourues sur le rivage pour voir le bateau à vapeur, instrument du commerce et de l'industrie moderne, qui formait un vrai
contraste avec les costumes poétiques de l'antiquité.
L'île de Nisida, aujourd'hui lazaret de Naples, vit les
adieux de Brutus et de Porcie. Ischia, dans les temps
modernes, devint la retraite d'une autre digne Romaine, Vittoria Colonna, marquise de Pescaire, la veuve
inconsolable du vainqueur de Pavie, femme illustre
par ses vertus, sa beauté, la supériorité de ses talens
poétiques, et qui devint comme la muse sainte de Michel-Ange et la Béatrice de ce Dante des arts.
espresso in versi latini da Ariosto,
che aveva già celebrato la marchesa
di Pescara nell’Orlando (XXXVII, st
XVI ss .): Non vivrò senza te, Bruto
mio, disse costernata Porzia e inghiottì carboni ardenti; o Avalos, te
morto, disse Vittoria, vivrò sempre
addolorata mesti giorni. Romane
l’una e l‘altra, ma in ciò Vittoria più
grande: morta non può dolersi affatto, viva ne soffre.
Sappiamo che Michelangelo fece per
Vittoria vari disegni citati dal Vasari,
come opere ammirevoli; egli corrispondeva con lei, e lei gli ispirò dieci
bei sonetti e diversi madrigali pieni
di sentimento e passione.
élégamment exprimé dans des vers latins de l'Arioste, qui
avait déjà célébré la marquise de Pescaire dans l’Orlando
(XXXVII, st. XVI, suiv.):
Non vivam sine te, mi Brute, exterrita dixit
Portia, et ardentes sorbuit ore faces;
Avale, te extincto, dixit Victoria, vivam
Perpetuo moestas sic dolitura dies.
Utraque romana est, sed in hoc Victoria major:
Nulla dolere potest mortua, viva dolet.
On sait que Michel-Ange fit pour Victoria divers dessins cités
par Vasari comme des ouvrages admirables; il correspondait
avec elle, et elle lui inspira dix beaux sonnets et plusieurs madrigaux remplis de sentiment et de passion.
1 Le rapprochement de Porcie et de Vittoria Colonna a été
Jerome Maurand - Recueil de voyages et de documents – Itinérai-
re d’Antibes à Constantinple (1544) – Texte italien publié pour la première
fois avec une traduction par Léon Dorez, Paris 1901.
Raccolta di viaggi e di documenti - Itinerario da Antibes a Costantinople
A lì 13 di zugno, di notte, Sala Rais partite de Porto Herculi et andò al insula del Ziglio (1), discosta
di terra ferma 15 miglie, subdita a li Senesi. Questa
insula è habitata. La terra è asai forte, ma il castello fortissimo. Gionto Sala Rais al Ziglio con 40 que
galere et galeote, assediò la terra. Vedendo questo,
quelli de la terra tuti se retirorono nel castello. Visto
Sala Rais que con sì pocha gente non era possibile
prendere il castello, mandò una galiota a Porto Herculi dal signor Bassan. Ali 15 di zugno de matin, il
signor Bassan con 15 galere partite di Port’Herculi et
andò al Ziglio. Gionto che fu, subito intrò ne la terra
et non vi trovando persona, vi fece metere il focho.
Da poy fece descendere certi canoni in terra, et tirati
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La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
Le 13 juin, de nuit, Salah Rais partit de Portercole
et alla à l’île du Giglio (1), éloignée de la terre ferme
de quinze milles et soumise aux Siennois. Cette île
est habitée. La place est très forte; le château est
plus fort encore. Salah Rais, arrivé à Giglio avec 40
galères et galiotes, assiégea la place. Voyant cela,
ceux du pays se retirèrent tous dans le château. Salah Rais, voyant qu’avec si peu de gens il n’était pas
possible de prendre le château, envoya une galiote au seigneur Bassan, à Portercole. Le 15 juin au
matin, le seigneur Bassa partit de Portercole avec
quinze galéres et alla au Giglio. Arrivé là, il entra
aussitôt dans la place, et n’y trouvant personne, il y
fit mettre le feu. Ensuite, il fit descendre à terre un
su al castelo, comandò il castelo fuse batuto. Ali 17
di zugno, a 12 bore, il castel del Ziglio fu preso da li
Turchi d’asalto, et vi morite 30 Turchi. Furono prese
anime cristiane utriusque sexus 632 (2). Intrato il
signor Bassan nel castelo, comandò li fuseno menati
dinansi tuti li primi de la terra; amenati che li furono, fese tagliar la testa a tuti in sua presentia, et
anchora a un prete. Questo fatto, fesse brusar et arruinar il castelo. Cossa certo mirabille que el nome
Turche[s]co sia apresso de Cristiani cussi horribile
et tremendo, que se facia perdere non sollo le forse, ma anchora l’inteletto, che essendo in fortissimi
castelli non manchi lion contra di loro a difenderse.
Certo ad judicio mio altro non è l’ causa salvo li peccati de li Cristiani, quia omnis caro corrupit viam
suam (3). A quel giorno medes(s)mo, circa l’hora di
sera, il signor Bassan insieme con Sala Rais et tute
le galere partite dil Ziglio arrivorono a Port’Herculi.
Ali 18 di zugno, il signor Bassan andò in terra et fese
menar in terra tuti li prisoni christiani que erano
stati presi, tanto di…. (4)
se era partito con 60 galere di Porto Ilerculi. A quel
gorno medes(s)mo, l’armata giunse in mezo de doe
insole non troppo grande, l’una chiamata Maldeventre (5), et l’altra Bentiten (6), et quivi dete fondo
et stete fine a la diana.
Quelle insole sonno fatte cussi et sonno nel mare
Tirreno, deshabitate.
Ali 23, a la diana, l’armata partite de l’insula di
Bentiten et venete apresso d’una isola ancora lei nel
mar Tirreno, propingha a la famosa cità de Napoli a
20 miglia, chiamata Iscla (7). Questa insola è grande
certain nombre de canons, les fit traîner jusqu’au
château et commanda de le battre. Le 17 juin, à
douze heures, le château du Giglio fut pris d’assaut
par les Turcs, et il y mourut trente Turcs. Furent
faites prisonnières 632 âmes chrétiennes utriusque
sexus (2). Le seigneur Bassan, une fois entré dans le
château, ordonna que l’on amenât devant lui tous
les principaux du pays; dès qu’ils furent amenés,
il leur fit couper la tête à tous en sa présence, et
même à un prêtre. Cela fait, il fit brûler et démolir le château. C’est une chose vraiment étonnante
que le nom turc soit pour les chrétiens si horrible
et si terrible qu’il leur fasse perdre non seulement
les forces, mais encore l’intelligence, puisque même
dans de très forts châteaux, il n’est lion qui ne faille à se défendre contre eux. Certes, à mon avis, il
n’y a pas à cela d’autre raison que les péchés des
chrétiens, quia omnis caro corrupit viam suam (3).
Ce jour même, vers l’heure du souper, le seigneur
Bassa et Salah Rais, partis du Giglio avec toutes
les galères, arrivèrent à Portercole. Le 18 juin, le
seigneur Bassa alla à terre et y fit mener tous les
prisonniers chrétiens qui avaient été capturés tant
de.... (4)
était parti de Portercole avec 60 galères. Ce jour
même, la flotte arriva entre deux îles assez peu
grandes, l’une appelée Maldeventre (5) et l’autre
Ventotene (6); elle jeta l’ancre à cet endroit et y
mouilla jusqu’à la diane. Ces îles sont faites ainsi et
sont dans la mer Tyrrhénienne, non habitées.
Le 23, à la diane, la flotte partit de l’ile de Ventotene et arriva près d’une ile (7). située aussi dans
1) Cfr. Jove (Giovio), lib. XLV, fol. 339
2) Adriani (Storia, p. 103), porte le nombre des prisonniers à 700. Segni (Istorie fior., t. II, p. 324) dit seulement : «Vi fé molta preda d’anime».
3) Ces réflexions fort justes de Maurand se terminaient d’abord ainsi: «que certe ogidì totus mundus est
in maligno possitus». Quant à la seconde citation, elle
est tirée de la Genèse, VI, 12: «omnis quippe caro corruperat viam suam super terram».
4) Il manque encore ici un feuillet au moins du manuscrit de Maurand. Ce feuillet devait contenir le récit
du voyage de la flotte de l’île du Giglio à Civitavecchia
et le long des côtes des États de l’Église. Adriani dit (t.
II p. 10) qu’après avoir brûlé la forteresse et la ville du
Giglio, Barberousse tourna la proue vers Civitavecchia
sans causer le moindre dommage aux terres de l’Église; et p. 120: «trascorrendo le marine della Chiesa senza far danno alcuno, era passato nel Regno di Napoli». — Segni, toujours moins sûr qu’Adriani, s’étonne
de la conduite étrange de Barberousse et prétend que
le Pape lui fit faire de magnifiques présents, de sorte
qu’il semblait que le Pape et Barberousse fussent de
vieux amis: «di sorte che pareva che il Papa e Barbarossa si fussono conosciuti gran tempo». Storie fior.,
t. II, p. 324. — La vérité est qu’il avait sur ce point des
instructions précises; il avait été convenu, entre Soliman II et François Ier, que la flotte turque ne fournirait
aucun prétexte personnel de plainte au Pape, chef de
la Chrétienté, si lesée par cette alliance imprévue. Il en
avait déjà été ainsi lors de l’arrivée de la flotte turque.
5) Ecueil situé à l’Ouest de la Sardaigne, d’une longueur de 2 kilomètres environ.
6) L’île de Ventotene, appelée aussi Vendotena ou Pandataria, se trouve dans la mer Tyrrhénienne (golfe de
Gaète); elle est de forme à peu près circulaire et presque partout inaccessible.
7) En marge, on lit, de troisième main, la note suivante: «Phitecusa insula, quae et Aenaria a statione
navium Aeneae dicta est. Homerus Inarime vocat; a
Grecis Pithecusa [a] figlinis liariorum [doliorum], Plin.
3, 6» - L’île d’Ischia est située entre le golfe de Naples
et celui de Gaète, à 12 kilomètres du cap Misène. —
Suivant Jove (lib. XLV, fol. 340), la ville de Centocelle
n’échappa au pillage et à l’incendie que grâce aux supplications de Leone Strozzi: «Indeque directo cursu
in Aenariam delatus, odii sui ad Nicem in Alfonsum
Davalum concepti omnem acerbitatem effudit, quam
nocturna descensione facta, undique insulam comLa Rassegna d’Ischia n. 5/2015
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asai, habitata, frutifera, et n’è signore il Marchese dil
Guasto (8). Vi sono 8 cassali ; lo principale |è| qualle
se chiama Iscla, dove è uno castello insieme con la
terra fortissimo. Qui la più parte dil tempo se tiene
la signora Marchisa insieme con le sue riquesse. In
uno porto da tramontana d’Iscla a 3 miglia, dove
sonno certi maguaseni, trovassemo Sala Rais. il
quallen avea brusato la notte inanti certi casali in
questa insola et preso anime utriusque sexus doe
milia et 40 (9).
Il castello et la vila sonno fatti cussi (10).
Inanti di questo castello d’Iscla, l’armata stete uno
poccho in giolio (11), et poy andò far fondo sotto
di la terra de l’insola chiamata Progita (12), insola
belissima, abondante de frute d’ogni sorte. Questa
insolla è piana et sufficientemente grande, subdita
(chomo me fu ditto) al marchese dil Guasto, et distante di terra ferma uno miglio, de la cità de Napoli
12 miglie. In questa insola vi sonno belissimi giardini di diversi gentil’homini Napolitani. Vi sno certi
cassali specialli. Vi è la terra chiamata Progita (13),
la qualle è fatta cussi.
la mei Tvrrhénienne, distante de 20 milles de la
fameuse cité de Naples, et nommée Iscla (7). Cette île est très grande, habitée, fertile, et le marquis
del Vasto (8) en est le seigneur. Il y a huit villages,
dont le principal se nomme Iscla, où est un château très tort comme le pays lui-même. C’est là que
la plupart du temps se tient Madame la marquise
avec ses richesses. Dans un port qui est a trois milles au nord d’Iscla et où sont des magasins, nous
trouvâmes Salali Rais qui, la nuit précédente, avait
brûlé plusieurs villages de l’île et y avait pris 2,040
âmes utriusque sexus.
Le château et la ville sont ainsi faits.
Devant ce château d’Iscla la flotte se tint quelque
temps au roulis, puis alla jeter l’ancre sous la ville
de l’île appelée Procida (12), très belle île, abondante en fruits de toute sorte. Cette île est plate et suffisamment grande, soumise (comme il me fut dit)
au marquis del Vasto, et éloignée de la terre ferme
d’un mille, de la cité de Naples de douze milles. En
cette île il y a de très beaux jardins appartenant à
divers gentilshommes napolitains. Il s’y trouve certains villages particuliers et la terre nommée Procida (13), qui est faite ainsi.
plexus, omnes prope incolas, nequicquam in altissima
Abacoeti montis culmina evadentes intercepisset, tresque praecipuos ejus insulae pagos, Forinum, Pansam
et Varranium, evastasset. Ipsum vero oppidum Pythacusas, Davali sedem, abrupto in colle disjunctaque a
mari positum, quum tormentis egregie esset permunitum, aggredi non potuit. Exinde abradens Prochitam,
illato minore detrimento, quod incolae demigrantes
magna ex parte Pythacusas confugisscnt, in Puteolanum sese intulit sinum, eo ordine ut classis a Miseno
ad Avernum toto Baiano litore extenderetur, tutaque
esset a tormentis ejus excelsae arcis, que est ad Baulos,
antiquis Hortensii oratoris delicis nobilis».
8) Le marquis de Pescara, Ferdinando Francesco d’Avalos, mari de Vittoria Colonna, était mort à 32 ans, en
1525, laissant ses biens à son cousin Alfons d’Avalos,
marquis del Vasto, celui-là même qui fit traîtreusement assassiner Antoine Rincon et Cesare Fregoso en
1541.
9) Vittoria Colonna avait fait plusieurs séjours à Ischia;
sa correspondance l’atteste pour les années 1525, 1526,
1528, 1530, 1532 et 1533 (V. Carteggio di V. Colonna…,
raccolto e pubblicato da Ermanno Ferrero e Giuseppe
Müller, Torino, 1889 et Supplemento de Tordi, 1892).
Mais il s’agit ici de la femme de son cousin Alfonso (cf.
la note précédente), Marie d’Aragon.
10) Selon Adriani (t. II, p. 121), qui place le pillage et
les incendies de Procida avant l’attaque d’Ischia, Barberousse prit dans cette dernière île «plus de 1500
personnes», et n’osa pas entreprendre l’assaut de la
forteresse qui passait pour expugnable. Segni (t. II, p.
324) dit, comme Paul Jove, que le Bassa pilla et dévasta Ischia et Procida pour se venger du renfort amené
aux Niçois assiégés par le marquis del Vasto.
11) Giolio, pour giolito. Cf. Jal, Gloss. naut., p. 783, 1.
12) L’île de Procida, située à une demi-lieue environ du
château d’Ischia.
Premi di Poesia
Il poeta prof. Pasquale Balestriere di Barano ha vinto ultimamente i seguenti premi:
- Sezione delle liriche inedite al Premio Internazionale di Borgo d’Alberona (Foggia)
- Premio Mimesis per la poesia “Era l’età del Sapias vina…”
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La Rassegna d’Ischia n. 5/2015
Restaurati gli affreschi della Cappella
Bulgaro nella cripta del Castello Aragonese
Rispetto al clamore mediatico
che aveva circondato, almeno all’inizio, il restauro dei due sarcofagi
egizi, è passato pressoché inosservato il restauro degli affreschi
della cappella Bulgaro. . Eppure,
è quello l’intervento che ha più
valore, per l’isola. Perché riguarda
un’opera che, pur essendo molto
più “giovane” dei due antichi reperti arrivati dal Belgio, non è di
passaggio, ma è parte integrante
del patrimonio storico-artistico
ischitano che continuerà degnamente a rappresentare. Tanto più
adesso che il delicato restauro a
cui è stata sottoposta è completato. E così eccola, la Cappella Bulgaro nella Cripta della Cattedrale
del Castello rifulgere quasi nel suo
originario splendore. Di nuovo
leggibile, in quasi tutte le sue parti,
non più deturpata da scritte e graffiti, finalmente recuperati i delicati
e caldi colori con cui si presentò
ai committenti quando poterono
ammirarla per la prima volta. E
manifestare il loro compiacimento
all’autore, su cui però non sappiamo nulla. A parte il fatto, deducibile dall’analisi dei suoi dipinti,
che doveva trattarsi di un artista
di buon livello, scelto sicuramente
tra quelli allora attivi nella capitale, dall’altra parte del mare.
La squadra delle quattro giovani
esperte dell’Istituto Europeo del
Restauro ha lavorato ogni giorno
in quella seconda cappella della
cripta negli ultimi sei mesi, prendendosi cura di ogni millimetro
della superficie affrescata. Il lavoro da fare era notevole, nonostante
gli interventi effettuati negli anni
passati all’interno della struttura della cripta avessero garantito
condizioni discrete di base alle
otto cappelle che vi si aprono. Delle quali, finora, sono state restaurate solo in due. A cui va aggiunta
l’altra cappella completamente affrescata riemersa del tutto casualmente qualche anno fa al di sotto
del pavimento, quando ci si accorse dell’esistenza del vuoto dietro
una parete che custodiva una fossa
comune ricavata in quell’ambiente
in occasione di una pestilenza. Anche la cappellina ritrovata è oggi
aperta al pubblico.
Ed era rimasta fruibile, la cripta,
anche nei mesi passati, mentre le
restauratrici erano all’opera. Secondo il sistema di lavoro caratteristico dell’Istituto Europeo del
Restauro (che sarà ora utilizzato
anche a Bruxelles per il prosieguo
del restauro dei sarcofagi), lo spazio interessato dall’intervento era
stato protetto da uno schermo di
cristallo, che consentiva ai visitatori di seguire “live” la complessa
opera di recupero. Per la quale ci
si è avvalsi delle strumentazioni
diagnostiche più all’avanguardia
e anche della consulenza di esperti dell’Opificio delle pietre dure di
Firenze, il top per il restauro di affreschi e pitture a livello mondiale.
«Abbiamo iniziato asportando i sali e rimuovendo le resine e
le stuccature fatte in passato che
erano particolarmente invadenti – spiega Eleonora Cerra, che ha
guidato il gruppo delle restauratrici – Abbiamo consolidato la superficie e rigenerato le stuccature
secondo le tecniche attuali che
sono molto più discrete. Abbiamo
anche lavorato sulle scritte e sulle incisioni lasciate nel tempo dai
visitatori, riuscendo a renderle
appena visibili. E poi ci siamo occupate del ritocco pittorico, che ha
riguardato non solo le parti con
le figure, ma anche la parte bassa della cappella, in finto marmo
dipinto». E il risultato è sorprendente. Tranne alcune parti già perdute da tempo, molto dei dipinti
è ancora visibile, come quasi tutti
i volti, di cui ora si può cogliere
anche l’espressione. I soggetti in
sequenza sono: l’adorazione dei
Magi, una Madonna con Bambino e Santi, una teoria di Santi,
quattro Angeli e un Cristo Pantocrator. Opere trecentesche, con
figure ancora abbastanza ieratiche
e con scarsa profondità, ma di un
notevole livello. «Già dalla preparazione dell’intonaco, si può dire
che si tratta di dipinti di buona
qualità e, nonostante la semplicità del segno, lo si nota soprattutto
nelle figure della Madonna e del
Bambino», afferma Cerra, che ha
analizzato approfonditamente la
tecnica dell’artista in tutti i suoi
aspetti. Nessuna ipotesi su una
possibile attribuzione, però, che è un problema che si sta tuttavia affrontando e che è oggetto di studi,
tuttora in corso.
Dopo il completamento dei lavori nella cappella 2, nota come Bulgaro per la presenza dello stemma
di una delle famiglie nobiliari più
potenti sull’isola nel XIV secolo,
restano da restaurarne altre sei.
«Ma per adesso sospendiamo
l’attività nella cripta, dove non
vi è più alcun rischio per le pitture – anticipa Nicola Mattera –
per concentrare l’attenzione sulla
Cattedrale, dove invece vi è urgenza di intervenire. D’altronde,
grazie alla presenza sul Castello
dell’Istituto Europeo del Restauro, sarà possibile garantire un restauro continuo nella cripta e intervenire con tempestività lì dove
man mano si renderà necessario,
anche sulle parti già trattate. E
speriamo che anche i visitatori
siano più rispettosi di quanto non
è accaduto nel passato, con scritte e incisioni perfino sui dipinti».
Comunque, presto sarà installato
un impianto di videosorveglianza.
Merita la maggiore cura e tutela
possibile, la cripta, che, insieme
alla cappella laterale da poco restaurata dell’antica Cattedrale,
custodisce le uniche testimonianze
pittoriche sull’isola del Trecento,
periodo di straordinaria fioritura
artistica nella Napoli angioina. Da
dove giunse anche l’autore anonimo degli affreschi sul Castello.
(dal sito www.quischia.it
di Isabella Marino)