La Rassegna d`Ischia 5/2015
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La Rassegna d`Ischia 5/2015
Anno XXXVI N. 5 Ottobre / Novembre 2015 Euro 2,00 Mostra fotografica Perché il legame Museo - Villa Arbusto Il sito di Mazzola a Lacco Ameno Due sculture di Francesco Messina a Ischia (Chiesa di Gesù Buon Pastore) Alla scoperta delle bellezze dell'isola d'Ischia I luoghi degli antichi Bagni Il Castiglione (II) Ex Libris 1853 Scipione Volpicella Gita a Ischia Associazione "Ragazze baranesi anni '60" Tradizioni e cultura popolare Fonti documentarie La Chiesa di S. Anna presso gli scogli Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna La Rassegna d’Ischia Periodico bimestrale di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Anno XXXVI - n. 5 Ottobre / Novembre 2015 Euro 2,00 Editore e Direttore responsabile Raffaele Castagna In questo numero 3 Ischia - Castello Aragonese - Cappella Bulgaro 3 Festival La Filosofia, il Castello e la Torre 4 - Amalfi : Meeting culturale italo-russo - Borsa mediterranea del Turismo archeologico 5 Ischia Teatro : Premio Aenaria 6 La Rassegna d’Ischia Via IV novembre 19 80076 Lacco Ameno (NA) Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.02.1980 Registro degli Operatori di Comunicazione n. 8661. Stampa : Press Up - Ladispoli (Roma) Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista - La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente - Manoscritti, fotografie ed altro (anche se non pubblicati), libri e giornali non si restituiscono - La Direzione ha facoltà di condensare, secondo le esigenze di impaginazione e di spazio e senza alterarne la sostanza, gli scritti a disposizione. Non si pubblicano pubblicità a pagamento. Nomi, ditte, citazioni sono riferiti a puro titolo informativo, ad orientamento del lettore. conto corr. postale n. 29034808 intestato a Raffaele Castagna - Via IV novembre 19 80076 Lacco Ameno (NA) www.ischiarassegna.com www.larassegnadischia.it www.ischiainsula.eu [email protected] [email protected] Chiuso in redazione il 30 settembre 2015 Andar per cantine 7 Il contributo di don Pietro Monti alla conoscenza della coroplastica di Pitecusa 11 Mostra fotografica al Castello Aragonese Rivelazioni notturne 15 Le famiglie dell'isola d'Ischia (II) Cossa - Coscia - Salvacossa - Salvacoscia 18 I luoghi degli antichi bagni (II) Il Castiglione 22 Perché il legame Museo-Villa Arbusto Intervista 1980 - Il sito di Mazzola 26 Pe' terre assaje luntane 27 Scripta manent 28 Alla scoperta delle bellezze dell'isola d'Ischia 30 Due sculture di F. Messina a Ischia 32 Ass. Ragazze baranesi anni '60 Tradizioni e cultura popolare Scintillio di lucciole... il risveglio 38 La Chiesa di Sant'Anna presso gli Scogli 43 Gita a Ischia di Scipione Volpicella (1853) 49 Medaglioni isolani Dottor Vincenzo Morgera 50 Rx libris 55 Restaurati gli affreschi della Cappella Bulgaro al Castello Aragonese Ischia – Castello Aragonese – Cappella Bulgaro Si sono conclusi i restauri degli affreschi della Cappella Bulgaro al Castello Aragonese d’Ischia, ad opera delle esperte dell’Istituto Europeo del Restauro, che ha sede nello stesso Castello e che costituisce un polo di eccellenza per il settore del restauro e della conservazione dei Beni Culturali che opera nel campo della formazione, ricerca e specializzazione professionale. Un punto di riferimento internazionale nato dall’intesa e dalla collaborazione di importanti partners del mondo della cultura e dell’industria. L’Istituto è oggi acquisito e diretto dalla AAC, associazione destinata alla tutela, valorizzazione e promozione dei beni culturali che ne garantisce oltre il sostentamento economico, anche quello tecnico-scientifico, promuovendo progetti di ricerca, interventi di restauro e corsi di alta specializzazione. L’Istituto, oltre ad offrire un articolato programma didattico, è luogo ove si realizzano punti d’incontro e di scambio tra realtà italiane e straniere, attinenti non solo all’ambito della conservazione dei Beni Culturali ma anche a realtà provenienti dal mondo dell’Industria. Lo scopo è di favorire un rapporto di sinergia tra i due settori, La Filosofia il Castello e la Torre Ischia International Festival of Philosophy 2015 Si è svolto ad Ischia dal 24 al 27 settembre 2015 il Festival Internazionale della filosofia, organizzato dal Circolo Georges Sadoul con l’Istituto Italiano per gli Studi Fiosofici e denominato “La filosofia, il Castello e la Torre”; sedi dei lavori il Castello Aragonese, la Torre Guevara e la Biblioteca Antoniana.Sul sito del Circolo Sadoul si leggeva: Cos’è la filosofia? Chi è il filosofo oggi? Sin dall’antica Grecia, a partire da Platone, la filosofia si è costituita intorno a luoghi recintati (l’Accademia, Il Giardino, Il Liceo, Il Portico) limitrofi ma sostanzialmente separati rispetto alla realtà comune. Eppure Socrate era solito filosofare, conversare nell’agorà, senza operare distinzioni di sorta intellettuale o sociale. La sua condanna a morte ha disegnato con molta probabilità nell’animo del filosofo una ferita indelebile, un trauma che egli stesso ha voluto rimuovere con forza dalla memoria storica inconscia. Forse Platone, forte della vicenda affrontata dal suo maestro, ha voluto salvaguardare i filosofi, creando un luogo sicuro onde poter fare filosofia senza essere condannati? Che la condanna di Socrate abbia rappresentato la condanna, in parte, della stessa idea di una filosofia pubblica, libera, popolare? Il Festival mira alla divulgazione della filosofia fuori dall’ambito tecnico. Scopo principale è quello di far capire al pubblico chi è oggi il filosofo e cosa fa il filosofo. Non vi è alcuna restrizione del campo filosofico a cui gli interventi possono essere indirizzati. Ogni filosofo, ogni filosofia, potranno essere utilizzati come mezzo di comunicazione e diffusione di idee sullo statuto volano di opportunità socio-culturali. Importanti Partners del campo industriale offrono il loro contributo economico, scientifico ed etico a sostegno delle iniziative svolte dall’Istituto e dei giovani che vi partecipano. La dott.ssa Serena Pilato, storico dell'arte dell'Istituto, sta portando avanti lo studio della cappella in oggetto e della inedita cappella n° 8 i cui risultati verranno resi noti nella pubblicazione che verrà stampata per questo dicembre. Vedi pagina 55 e i compiti della filosofia oggi. Il festival vuole inoltre mettere in luce dei caratteri fondamentali della filosofia odierna quali: esiste una professione per il filosofo commisurata alla modernità? Nonostante la pluralità degli approcci educativi e professionali odierni, la figura del filosofo non trova effettivo riscontro o sbocco professionale ad hoc. Quanti sono i giovani che oggi decidono di intraprendere questa strada colma di incertezze? Cosa rappresenta la filosofia come segno culturale nell’attualità? A cosa serve – se “serve” – ancora la filosofia? Scopo del Festival è proprio quello di far conoscere la filosofia al pubblico attraverso il canale turistico e permettere il libero accesso alla filosofia a tutti. In queste giornate che Ischia vuole dedicare alla filosofia saranno proprio gli esperti insieme a tutte le categorie del settore (studenti, scrittori, artisti) a permettere l’interazione filosofica con il pubblico. In questo modo la filosofia farà della semplicità e dell’immediatezza linguistica la sua tecnica più evoluta. * La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 3 Amalfi, 15 – 21 ottobre 2015 Meeting culturale italo-russo Dal 15 al 21 ottobre 2015 si svolgerà ad Amalfi un meeting culturale interdisciplinare italo-russo con l’Istituto Filosofico – Accademia delle Scienze di Mosca sul tema Tra Arte e Spiritualità - Odeporica, pittura e studi storico-filosofici comparati. L’inizio di giovedì 15 vedrà anche l’apertura della mostra artistico-documentaria I Russi ad Amalfi. Suggestioni mediterranee e storie di vita, oltre che la presentazione dei volumi: I Russi ad Amalfi. Suggestioni mediterranee e storie di vita di Michail G. Talalay, Aleksej A. Kara-Murza – Ol’ga A. Žukova (Amalfi, 2015); La Sicilia dei Russi di AA. VV. (Palermo-Mosca, anno 2015); Don Basilio Russo. Il destino e l’opera di Vasilij Nečitajlov di Yurij Nečitajlov e Michail Talalay (Mosca, 2014); Lettere e rapporti dall’Italia di S. F. Ṧčedrin (1818-1839) di Michail Evsev’ev (San Pietroburgo, 2014) Venerdì 16 escursione a Cava de’ Tirreni e visita a I tesori culturali’ della Abbazia Benedettina di Cava, Monumento Nazionale. Sabaro 17 Seminario di Studi sul tema: La Chiesa di Amalfi nel Medioevo fra Oriente e Occidente: interrelazioni religiose e storico-filosofiche. Presiede e coordina Michail G. Talalay. Interventi: Aleksej A. Kara-Murza: Il cattolicesimo romano e la filosofia russa; Giuseppe Gargano, Gli Amalfitani nella mediazione religiosa tra Chiesa d’Oriente e d’Occidente nel Medioevo; Marco Merlini, Athos e Bisanzio: i santi narrati dai monaci amalfitani all’Occidente. Previste anche escursioni a Ravello, Capri ed Ercolano Martedì 20 ottobre tavola rotonda sul tema: Una cappella per la ‘Riconciliazione’ tra due Chiese. Sacre reliquie, agiografi, prodigi religiosi dall’Oriente cristiano: semi di nuova fratellanza tra popoli. Presiede e coordina Giuseppe Gargano. Interventi: Mons. Orazio Soricelli – Arcivescovo di Amalfi-Cava dei Tirreni, Don Stefano Caprio - Pontificio Istituto Orientale di Roma, Padre Edward Farrugia - Pontificio Istituto Orientale di Roma, Antonio Amatruda - Centro di Cultura e Storia Amalfitana, Michail G. Talalay, Istituto Filosofico – Accademia delle Scienze di Mosca. Seguiranno nel pomeriggio la presentazione del volume Sant’andrea, un Apostolo per l’Occidentee l’Oriente di Don Stefano Caprio, Michail Talalay, Irina Yazykova (Mosca, 2011) a cura di Don Antonio Porpora; e la visita guidata alla Cappella della Riconciliazione e alla Tomba di Sant’Andrea Apostolo a cura di Tudor DINCA e Candida Asmaro Malinconica. Paestum 29 ottobre / 1 novembre 2015 Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico Paestum - Tempio di Cerere 4 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 * L’area archeologica della città antica di Paestum, patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO dal 1998, sarà la location della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, in programma da giovedì 29 ottobre a domenica 1 novembre 2015. La BMTA, oltre ad essere l’unico salone espositivo internazionale dedicato alla promozione del turismo archeologico - con 100 espositori di cui 25 Paesi Esteri e circa 40 buyers europei – è assurta a punto di riferimento per importanti confronti istituzionali - tra cui il Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici che quest’anno si terrà il 29 ottobre in seduta straordinaria. E per rendere gli incontri alla portata di tutti, i visitatori potranno interagire direttamente con i protagonisti, tra cui noti divulgatori e conduttori della TV come Alberto Angela e Syusy Blady. La BMTA è anche e soprattutto innovazione: la mostra ArcheoVirtual è da alcuni anni la nuova frontiera dell’archeologia virtuale, grazie all’ITABC (Istituto Tecnologie Applicate ai Beni Culturali del CNR), che apre a incredibili possibilità in termini di diffusione di contenuti storici e scientifici: attraverso alcune originali produzioni virtuali (tra cui Labirinto di Versailles, il Foro romano di Augusto, l’Oppidium di Numancia e l’applicazione KIVI), i visitatori saranno catapultati nell’antichità, vivendo un’esperienza affascinante, unica ed originale. Tra le novità di quest’anno il nuovo format Paestum Digital Storytelling School, ovvero il suggestivo corso di narrazione digitale sul campo, che si svolgerà dal 28 al 31 ottobre 2015 tra i templi di Paestum e l’area archeologica di Velia; tornerà, inoltre, seguita soprattutto dai più giovani, l’Archeologia Sperimentale, con i suoi laboratori dove i visitatori possono cimentarsi nella produzione artigianale di utensili e manufatti di uso quotidiano, con tecniche utilizzate nell’antichità. Ampio spazio anche al mondo del lavoro e alla formazione, con le sezioni ArcheoStartup (evento duran- te il quale verranno presentate le nuove imprese culturali e i progetti innovativi nelle attività archeologiche) e Archeolavoro (l’orientamento post diploma e post laurea con presentazione dell’offerta formativa a cura delle Università presenti nel Salone). In quest’ultima sezione, il giovanissimo Direttore del Parco e del Museo Archeologico di Paestum, il tedesco Gabriel Zuchtriegel, presenterà la figura professionale dell’archeologo (comunicato). Sito www.bmta.it * Ischia (Teatro Polifunzionale) Imprevisti e Probabilità – Formia Premio Aenaria La gamba di Sarah Bernhardt 26 settembre – 6 dicembre 2015 In programma dieci spet- tacoli: otto in concorso e due fuori concorso, con inizio il 26 settembre (L’ultimo volo di Gianni Clementi) e conclusione il 6 dicembre con la premiazione del miglior spettacolo Premio Aenaria), che avranno luogo al Teatro Polifunzionale di Ischia. Premiati anche il migliore attore, la migliore attrice, la migliore regia, il miglior esordiente. Gli spettacoli saranno giudicati da una giuria tecnica, formata da: Salvatore Ronga (presidente), Isabella Marino, Isabella, Puca, Milena Cassano, Gianni Vuoso, Valerio Buono, Nick Pantalone, e da una giuria popolare. Il programma del Premio Aenaria 2015 26 Settembre La bottega di RebArdò – Roma presenta L’ultimo volo di Gianni Clementi di Soledad Agresti 31 Ottobre Ass. Culturale Povera – Magliano Veneto (TV) Le troiane di Euripide 7 Novembre TeatRing – Milano Tu, mio di Erri De Luca 2, 3, 4 Ottobre Uomini di mondo – Ischia L’isola dei morti di Corrado Visone 14 Novembre Compagnia di Teatro del Bianconiglio – Eboli (SA) Settaneme di Bruno Di Donato 10 Ottobre Luna Nova (vincitore Premio Aenaria 2014) – Latina La costruzione di Roberto Russo 21 Novembre Compagnia degli Evasi – Castelnuovo Magra (SP) Mandragola di Niccolò Machiavelli 17 Ottobre Ansiteatro – Aversa Don Peppe Diana – Per non dimenticare – Il musical di Giuseppe Capoluongo 24 Ottobre 28 Novembre Gli Amici di Jachy – Genova Tango di Francesca Zanni 6 Dicembre Premiazione Forio – I luoghi della tragedia Il 9 settembre 2015 si è svolta a Forio, organizzata dal Centro di Ricerche Storiche d’Ambra, una visita ai luoghi della tragedia conseguente al bombardamento aereo su Forio nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1945 (dopo la festa dell’armistizio), con un tragico bilancio: 13 morti, 20 case distrutte e molti feriti. Mostra documentaria sulle Quattro Giornate di Napoli Presso la Sede del Centro di Ricerche Storiche d’Ambra (Forio) è stata inaugurata un’ampia mostra documentaria e fotografica sulle Quattro Giornate di Napoli, visitabile liberamente, previo appuntamento telefonico (081997117), fino al 17 ottobre 2015. Vi parteciparono anche tre ischitani: Rocco d’Ambra, Nicola Monti e Mario Onorato. La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 5 Pro Loco Panza Andar per cantine nel cuore delle tradizioni isolane Organizzata dalla Pro Loco di Panza (frazione del Comune di Forio) si è svolta dal 13 al 20 settembre 2015 la manifestazione “Andar per canine”, giunta quest’anno all’VIII edizione: un itinerario storico culturale alla ricerca delle tradizioni nascoste attraverso degustazioni e visite guidate nelle cantine più antiche e tenute agricole dell’isola d’Ischia; quest’anno anche escursioni a piedi, vendemmia, cucina e tanto altro! «L’evento – scrive la Pro Loco - è dedicato a tutti coloro che amano Ischia, isolani e non, che la vogliono riscoprire sotto il suo profilo più autentico. Questo evento diventa ogni anno più atteso e sentito. Affinate i sensi… ascoltate il vocio di lingue diverse che decantano Ischia, respirate a pieni polmoni l’odore del- le vecchie cantine di tufo, gustate i prodotti locali che accompagneranno i calici, toccate le antiche botti e degustate il vino da esse custodito per tanti mesi. “Andar per Cantine” vi propone oltre ai classici percorsi da effettuare nell’arco della settimana anche attività alternative; percorreremo infat- ti stupendi sentieri tra il tufo verde e la macchia mediterranea». Gli itinerari effettuati sono stati segnalati con i nomi dei vitigni autoctoni che hanno maggiore diffusione sull’isola d’Ischia: percorsi Biancolella, Forastera, Frassitelli, Per’e palummo, Don Lunardo. A Casamicciola Terme il 24 settembre 2015 Esecuzione di inni e marce della Fanfara del Comando Scuole dell'Aeronautica Militare 3.a Regione Aerea (Bari) diretta dal M° P. M. Legt Nicola Cotugno 6 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 * Lacco Ameno - Omaggio a Don Pietro Monti Le ricerche di Don Pietro Monti ed il suo contributo alla conoscenza della coroplastica di Pitecusa di Lucia A. Scatozza Höricht 1 I risultati delle ricerche di Pietro Monti, sacerdote archeologo e storico, sono stati resi pubblici e fruibili a molti mediante l’allestimento del Museo di S. Restituta e sono stati oggetto di lavori scientifici di ricercatori e attuali Docenti di Archeologia delle Università italiane, oltre ad essere stati argomento di svariati lavori di laurea e di specializzazione di giovani archeologi, ma prima ancora sono stati pubblicati in opere dello stesso don Pietro, corredate da un’accurata raccolta della bibliografia scientifica e da un’approfondita documentazione. In esse si colgono l’assidua frequentazione e l’amicizia con Giorgio Buchner, il grande archeologo scomparso, come rivela la dedica dello stesso don Pietro, Ispettore onorario, del prezioso ed agile volumetto Ischia preistorica, greca, romana, paleocristiana (1968): «A Giorgio Buchner, che dell’antiche ricerche d’Ischia accese in me ardente brama2» . Fu proprio Buchner a suggerirmi (1995) lo studio delle terrecotte figurate di Pitecusa e ad avviarmi alla conoscenza della sua straordinaria figura di sacerdote e di studioso3. Alle tenaci ed abili ricognizioni condotte da don Pietro su Monte Vico risale infatti un gruppo numeroso di terrecotte figurate ed un altro gruppo consistente risale alle ricerche condotte dallo stesso sacerdote nel grandioso complesso delle fornaci di S. Restituta. 1 Sono stata particolarmente felice di offrire il mio contributo all’Omaggio per don Pietro, che ricordo con particolare affetto per la sua grande umanità e sensibilità, oltre naturalmente che per le sue straordinarie ricerche, su cui sono stata invitata a soffermarmi per quanto attiene alla mia esperienza. 2 Pietro Monti, Ischia, preistorica, greca, romana, paleocristiana, Napoli 1961. 3 Lo stesso Buchner in anni giovanili mi aveva avviata allo studio delle terrecotte architettoniche pitecusane di età arcaica per la mia tesi di laurea e sotto la sua guida magistrale avevo preso parte, insieme alle altre assistenti dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Napoli, all’esperienza di scavo nella necropoli di S. Montano (1977). Il primo gruppo va ad integrarsi col nucleo risalente alle ricerche condotte negli anni ’30 da Buchner su Monte Vico ed al successivo scavo nel 1965, di uno scarico antico venuto alla luce in cima alla falesia del versante orientale del promontorio, in occasione della costruzione della villa Gosetti in proprietà Castagna i cui materiali verisimilmente erano stati scaricati da una parte più alta dell’acropoli. Nell’estate del 1994 la Soprintendenza archeologica ha effettuato un nuovo saggio di scavo sul margine settentrionale del promontorio, lì dove grossi blocchi di tufo già ritenuti “in situ” sembravano suggerire la presenza di un edificio templare, ma venivano alla luce soltanto i resti di una villa romana, che doveva essersi impiantata, distruggendola, nell’area della costruzione sacra di età greca: i resti dell’ipotetico basamento (foto 1) sono visibili in una preziosa e rara fotografia nel volume citato di Don Pietro4. Con certezza un edificio di culto era presente sull’acropoli almeno dal Tardo-arcaismo (fine VI-inizi V sec. a.C.), cui si riferiscono terrecotte architettoniche appartenenti ad un primo coerente sistema decorativo, che da Pithecusa-Cuma si diffonde nell’entroterra della Campania: antefisse nimbate ascrivibili a tale sistema decorativo sono custodite nel Museo di S. Restituta, oltre che a Villa Arbusto. È sorprendente la sensibilità di don Pietro verso il campo attualissimo della ricerca archeometrica, quando afferma in merito, seguendo l’ipotesi di Buchner, che «le terrecotte architettoniche della regione campana, come risulterebbe dall’impasto dell’argilla dei rinvenimenti eseguiti a Cuma quanto a Pompei di pezzi identici a quelli trovati a Monte Vico, provenivano dalle fabbriche di Pitecusa5». Mentre le terrecotte architettoniche da Monte Vico coprono un arco cronologico dal VI al III sec. a.C., il materiale coroplastico si colloca in mag4 Ibidem, p. 63. 5 Ibidem, p. 68 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 7 Foto 1 - Lacco Ameno, Monte Vico, resti di un basamento di tempio greco gioranza, con l’eccezione di pochi esemplari, tra il IV e il II secolo a.C., che coincidono anche con il periodo di massima attività delle fornaci di S. Restituta. Per l’ubicazione delle fornaci, addossate alle pendici di Monte Vico, è lecito pensare a una possibile destinazione di una parte della produzione delle fornaci ad usi votivi. Nell’ambito dello stesso quartiere artigianale esisteva una produzione molto vasta ed articolata, come indica la presenza di matrici connesse all’attività dei coroplasti e di scarti di fornace. Leggiamo in Don Pietro6: «Certamente le fornaci più piccole dovevano essere adibite per statuine e per vasi più delicati, mentre le grandi per i vasi in serie e di ammasso». Oltre ai materiali ceramici ed anforici, vi si producevano terrecotte architettoniche, louteria, sostegni di bracieri, pesi da telaio e terrecotte figurate. Accanto ad esemplari di medio modulo - tra cui si segnalano una splendida testa femminile sormontata da una stephane 6 Ibidem p. 40. 8 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 dentata, frammenti di statue sia maschili che femminili - nel Museo di S. Restituta sono presenti figurine di Tanagrine e relative matrici, di Eroti con vari attributi (cornucopia, oca, forse maschera), maschere e mascherette con relative matrici riferentisi a personaggi della Commedia Nuova ben noti dal repertorio liparese, qualche frammento di bambola, derivante dagli stessi prototipi di numerosi esemplari della stipe di S. Aniello a Caponapoli, e infine anche qualche rara testina maschile. Il contesto comprende anche animali (tra i quali un torello, forse una colomba) e frutta, tra cui melograni e fichi, che si riferiscono al culto di divinità femminili. I materiali custoditi nel Museo di S. Restituta concorrono, insieme a quelli di Villa Arbusto, a definire processi formativi e componenti della cultura artistica di Pitecusa, dove fiorì una grande scuola di coroplasti. È questo il filone delle ricerche di Don Pietro che vorrei ripercorre in questa sede, per poi soffermarmi con alcune considerazioni sul loro contributo alla cono- scenza dei culti. Uno dei risultati di maggiore impatto scientifico del complesso di ricerche di Don Pietro è stata sicuramente l’individuazione del quartiere “ceramico” dell’antico insediamento greco. Il procedere degli scavi ha mostrato in maniera evidente come l’artigianato avesse un’importanza fondamentale nella complessa dinamica dell’insediamento euboico. Nell’ordine gerarchico degli ateliers greci, l’attività dei coroplasti pithecusani rientra in una produzione di una certa importanza, nel cui ambito il coroplasta crea i tipi e modella i prototipi delle matrici e non si limita a ricavare delle submatrici sulle figurine esistenti. A tali conclusioni indirizza il probabile raro prototipo di matrice (ovvero una rara probabile patrice) di terrecotte figurate o architettoniche tardo-arcaiche, costituito da una protome fittile femminile in argilla grossolana, modellata a mano, rinvenuta nell’area delle fornaci (Area del Comune, presso S. Restituta, reparto M, strato superiore, “tra la fornace ed il laboratorio di VI sec. a.C. con tegole dipinte”). Il livello degli ateliers pitecusani è documentato anche da una testina femminile con caratteri post-prassitelici in nenfro, rinvenuta a Lacco Ameno (Corso Rizzoli, recupero G. Buchner anni ‘40), un raro esempio di modellino creato da uno scultorecoroplasta, donde trarre matrici in terracotta. Le ricerche condotte da don Pietro hanno confermato ed in alcuni casi aperto una nuova prospettiva sulla circolazione dei modelli della coroplastica pitecusana, che ci permette di risalire ai rapporti che l’isola intratteneva con gli altri centri. La bella testa femminile, sormontata da stephane dentata, di S. Restituta, trova confronto in esemplari sicelioti degli inizi del III sec. a.C., ma non ha repliche fedeli, rivelando l’indipendenza della coroplastica pitecusana rispetto al modello siceliota (da S. Restituta, reparto C, presso le fornaci). Allo stesso modo, un gruppo di sostegni fittili mobili di bracieri, con decorazione figurata sulla fronte realizzati nelle fornaci di S. Restituta, verosimilmente di uso votivo oltre a quello primario, pur trovando confronto in ambito siceliota, si qualificano di sicura produzione locale per la presenza nel gruppo di un esemplare invetriato, rinvenuto nel quartiere artigianale, evidentemente scarto di lavorazione. La bella testa femminile menzionata, insieme, ad un busto acefalo a Villa Arbusto e a frammenti simili di S. Restituta mostra l’identità della cultura artistica neapolitana e di quella pithecusana: pochi ma significativi esemplari, tratti dalla stessa matrice dell’esemplare di Villa Arbusto, provengono dalla stipe di S. Aniello a Caponapoli. I busti pithecusani e neapolitani sono sicuramente all’origine dell’ampia diffusione del busto modiato, adattato al gusto locale, nell’entroterra campano. In età ellenistica la gamma dei prototipi, che venivano riprodotti negli ateliers pithecusani, abbracciano l’intero mondo ellenistico. A partire dal III sec. a.C. sono ben documentati dagli esemplari di S. Restituta i rapporti con l’area tarantina (come indicano la figura di Afrodite (Foto 2) ed Eroti), con Capua (alcune delle Tanagrine) e con Cuma (uno degli Eroti è tratto da matrice identica a quella di esemplari cumani). Particolari motivi di interesse offrono le arulae rinvenute da don Pietro su Monte Vico e custodite a S. Restituta data la loro tematica: esse sono infatti decorate sulla fronte con busti di Athena in elmo frigio emergenti da un cespo di acanto fra racemi, alternati a fiori di loto. Lo stesso fregio dell’arula pitecusana si ripete nelle sime fittili del tetto dell’edificio templare di Fratte di Salerno, anche se le protomi hanno forma abbreviata, e ricorre nelle sime del sistema di rivestimento della fase sannitica del tempio dorico di Pompei, con la variante della stephane in luogo dell’elmo delle protomi femminili. La medesima iconografia ritorna su antefisse con protomi di Athena entro girali di acanto e relative matrici rinvenute da don Pietro nell’area delle fornaci, databili al IV-III sec. a.C. La formulazione del tipo di antefissa con testa di Athena in elmo orientale e cornice di foglie potrebbe essere avvenuta proprio a Pithecusae. Le antefisse pitecusane menzionate hanno aperto nuovi spazi di dibattito sul significato della presenza di tale iconografia nelle terrecotte architet- Foto 2 - Afrodite col peplo e collana a grani aghiformi; ricostruzione. Dagli scavi di Santa Restituta, Lacco Ameno toniche e figurate dei santuari campani. Prima del confronto con la documentazione di Pitecusa, era stato osservato che le stesse matrici sono utilizzate in un’area che nel periodo in questione risulta occupata della federazione capeggiata da Nocera, comprendente il retroterra nucerino, Stabiae e l’intera penisola sorrentina, nonché Pompei e l’iconografia in esame era stata ricondotta alla propaganda politica dei popoli italici. La presenza della medesima iconografia in una fornace di Pitecusa, parte integrante del territorio neapolitano fino a Silla, documenta piuttosto l’esistenza di una comune cultura figurativa le cui origini vanno spiegate attraverso Neapolis: è verosimile che la diffusione dell’iconografia di Athena debba ricercarsi nella propaganda politica di ambiente italiota, collegata alle vicende del IV secolo, che segnano la ripresa dell’elemento greco, con epicentro in Neapolis, nei confronti dei comprensori italici. La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 9 Fornace a forma rettangolare (se. II-III a. C.) Basilica di S. Restituta - Lacco Ameno Infine, le ricognizioni condotte da don Pietro su Monte Vico ed i materiali raccolti concorrono alla conoscenza delle pratiche rituali e delle funzioni dell’area sacra ubicata sul promontorio. Bisogna premettere che le particolari iconografie della coroplastica non rappresentano la divinità, ma ne illustrano differenti funzioni e rituali ad esse collegati, mentre d’altro canto le stesse aree di culto non hanno necessariamente una continuità cultuale. Nel complesso, le terrecotte votive pervenuteci di Monte Vico, pur nella loro esiguità numerica, sembrano segnalare rituali femminili, ma le differenti iconografie potrebbero riferirsi a tutte le divinità del pantheon greco (Athena, Hera, Demetra, Afrodite) e il loro carattere è mal defini10 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 to e versatile. Sembrerebbe confermare il carattere molteplice di divinità femminile della natura e della vita della destinataria del culto la presenza, ancorché tenue sia la documentazione, di simboliche offerte di animali fittili, come vittime sacrificali (i bovidi) e i frutti, come melograni e fichi, custoditi a S. Restituta. Ad Athena rimanda direttamente, invece, l’iconografia presente sulle arule fittili menzionate rinvenute su Monte Vico e custodite nel Museo di S. Restituta, nonché sulle antefisse e relative matrici e sembra ritornare anche sui sostegni mobili di bracieri realizzati nelle stesse fornaci, alcuni rinvenuti su Monte Vico, risalenti alla fine IV- inizi III sec. a. C. Dunque non è del tutto improbabile che il complesso dei diversi materiali, coerente per cronologia ed iconografia, faccia sistema e vada riferito ad una fase di rinnovamento e di sviluppo dell’area sacra. D’altro canto, sono da valutare due possibili ipotesi: da un lato la verosimile pluralità di aspetti della stessa divinità femminile, dall’altro l’accostamento alla divinità principale di altre divinità, con diverso ruolo. Le cronologie degli esemplari più recenti dei materiali esaminati non sono posteriori al I sec. a. C., che segna anche la cessazione della vita dell’abitato di Monte Vico e la cessazione dell’attività delle fornaci. Scomparso Don Pietro, resta il suo generoso lascito agli studiosi, che possono continuare a far lievitare i semi gettati. Concludo ricordando, come testimone, la gioia che si leggeva nel suo sguardo penetrante e limpido allorché si accingeva a far diventare di tutti il patrimonio che era frutto della sua operosa e appassionata ricerca: egli ne ha fatto dono a piene mani. Lucia A. Scatozza Höricht Testa fittile dipinta della stirpe votiva di Demetra, IV sec. av. C. - Dagli Scavi di Santa Restituta in Lacco Ameno. Mostra fotografica di Florian Castiglione (5 settembre - 5 ottobre 2015) di Giuseppe Castiglione Allontanarsi dal Castello, luogo magico per eccellenza, attraversando quel ponte che lo unisce all’”Insula maior”, è sempre una sorta di distacco che turba: si lasciano alle spalle secoli di storia. E specialmente dopo aver preso visione delle diciotto foto in bianco e nero di Florian Castiglione, che ritrae il Castello nel suo aspetto notturno. Quali requisiti possa avere il fascino della notte per ridonare allo spettatore qualcosa che il giorno non ha? La stessa domanda se la pone la curatrice della mostra, Loredana De Pace, nella brillante introduzione al catalogo. Il profilo delle “rovine”, intonato sempre con la volta del cielo stellato, vive di nuova materia: si pensa alla luce anche in assenza di luce. Ecco quindi che l’oscurità diventa pretesto per creare atmosfere e suggestioni oppure l’allestimento scenografico di particolari effetti, sempre in nome di un ineluttabile realismo. L’imperativo è cogliere l’”attimo di luce”, quell’istante particolare nel continuo variare delle condizioni luminose, precorrendo la capacità propria dello scatto fotografico e del relativo fotogramma. Il Carcere borbonico, nella sua nudità, ha accolto il 5 settembre 2015 stupendamente queste foto, tutte nella misura di 150 x100 cm., con consenso e sincera ammirazione. Il giovane Florian, ischitano del 1986, è laureato in Architettura, con la passione dello scatto fotografico, scatto che dimostra una maturità acquisita attraverso una visitazione ripetuta e frequente del maniero, fatta di paziente attesa del momento giusto, ricavandone un tratto conoscitivo che poco ha da vedere con una “opera prima”. S’intuisce subito che il fotografo-architetto ha maturato dentro, grazie alle sue continue sperimentazioni con l’obiettivo, un condensato di nozioni perentorie per consegnare alle foto un taglio di tipo storicodescrittivo, oltre che psicologico; e a tal proposito non c’è nulla meglio del bianco e nero per sviluppare sia la solennità sia la sa- Florian Castiglione cralità dei luoghi presi in esame. Sì, il Castello è luogo sacro e solenne, e così l’autore l’ha inteso. La prima foto che colpisce il visitatore, sulla sinistra entrando, è proprio quella del Castello nella sua interezza, nella maestosità dell’abbraccio con un mare placido solcato dal raggio di luna, e sullo sfondo le isole dell’arcipelago flegreo. Primo impatto con la maestosità della struttura, che si stempera nella luce notturna in tutta la sua bellezza: e si rimane stupiti e muti di fronte al notturno, pur fatto di luce. Le soffusioni d’essa sono pacate, tant’è che il chiaro e lo scuro precipitano nella scala del grigio, colore-non colore che predomina e ci conduce con mano lesta nei labirinti d’una memoria antica. All’improvviso ci s’immerge nell’altrove di un sogno. Sorge la conferma mistica di come in questo mistero insondabile, che è la percezione, si possa considerare come ogni cosa sia al suo posto, meravigliosamente, in accordo con gli elementi circostanti. Questo il preambolo iconografico di Florian, che con questa foto ci consente l’immersione nelle sue “rivelazioni notturne”, titolo felicissimo per andamento e sviluppo. L’autore punta a una rarefazione del linguaggio fotografico tutto risolto all’interno di una materia cromatica notturna, densa e luminosa. Anche laddoLa Rassegna d’Ischia n. 5/2015 11 Mostra fotografica di Florian Castiglione al Castello Aragonese - Foto n. 1 ve è il nero ad addensarsi sulla superficie della tela e a chiudere nella sua uniformità contorte e al contempo armoniose stilizzazioni, c’è sempre un polo di luce, un grumo esploso di colore (il grigio appunto) ad animare dinamicamente la scena. È forse questo il segno di una lontana speranza che non si dà per vinta, è forse questo ciò che rifugge da ogni equivoco? La materia fotografica, se osservata da vicino, si rapprende in una corposità densa, ma poi si spiana in una levigatezza sfumata, e talvolta il dato oggettivo si risolve in una sintesi puramente ritmica e tonale. In altre composizioni la presenza del reale diviene allusiva fino all’astrazione; succede che la luce trapassa e sbalza dall’incerto al nitido, sino a un chiaroscuro abbagliante che dà al particolare ingigantito la forza quasi surreale di un fatto emozionale che – fortemente sentito - non è altro che la presa di possesso, violenta, ossessiva di un particolare del mondo su cui l’attenzione dell’artista si è concentrata. E allora quel particolare, da veduta diventa visione, diventa esso stesso mondo. Prendiamo in visione la seconda foto: ritrae una parete dalle linee armoniose che separa, attraverso una porta, la vista di un panorama, forse il var12 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 Mostra di F. Castiglione al Castello Aragonese - Foto n. 2 Mostra di Florian Castiglione al Castello Aragonese - Foto n. 3 co del finito per giungere all’infinito. Dalla foto emana un forte senso d’immobilità, di preghiera, laica o religiosa non importa, che ci induce a pensare alla separazione e alla contrapposizione tra il noto e l’ignoto: per l’occhio moderno il mondo noto ha tratti negativi mentre il varco verso l’ignoto si presenta quasi come una via di salvezza. Volendo allargare il discorso alla pittura, siamo ancora nella scia caravaggesca, ma qui la luce non serve a strutturare le forme, piuttosto a creare struggenti atmosfere ed effetti notturni. Da questo momento il paesaggio smette di essere un semplice sfondo, divenendo il protagonista di un vero e proprio genere. La notte, anche se rischiarata dalla mutevole luce lunare, dà vita a oscure presenze, diventa il luogo dove l’uomo, solo con se stesso, si confronta con ciò che si nasconde dentro di sé. Si potrebbe anche aderire, nel caso dell’opera di Florian, all’idea che il buio sveli ciò che la luce na- sconde, traducendo così il sogno prettamente romantico. La terza foto è intimamente legata all’Architettura; rappresenta un fregio che manifesta lo scorrere del tempo e l’intervento posticcio dell’uomo. Qui il “bianco e nero” risulta evocativo, giacché le forme emergono maggiormente grazie ai passaggi chiaroscurali. La tridimensionalità è più evidente, i volumi si fanno più puri. Le ombre assumono la stessa importanza degli oggetti che le producono e diventano parte fondamentale della composizione. La luce, accarezzando la materia, ne svela la trama di superficie, così da rendere la tessitura dei materiali molto ricca e tattile. La quarta foto presenta una grande via di fuga rappresentata dal cielo stellato, con due punti focali evidenziati dalla presenza dei due pilastri in pietra comprensivi di archi. Più che in altre foto, in questa si evidenziano le componenti fondamentali della luce: tonalità, saturazione e luminosità. Si esaltano forme geometrizzanti che gli architetti hanno sempre sfruttato nei loro progetti. Pur essendo presente un effetto grana voluto, si possono osservare i riflessi della luce su ogni singola foglia, suggerendo il dettato che è possibile guardare il mondo attraverso le sue sfumature e le sue tonalità invece che attraverso i colori. Per noi si tratta invece di un’altra occasione per affrontare il tema dell’oscurità, che confonde i sensi e apre le porte verso un mondo diverso. Un mondo in cui i naturali strumenti della conoscenza umana si arrendono e che perciò da sempre affascina e spaventa, in quanto inafferrabile e forse più vicino all’anima: punto di accesso per comunicare col divino o punto critico per un conLa Rassegna d’Ischia n. 5/2015 13 Mostra di Florian Castiglione al Castello Aragonese - Foto n. 4 fronto con se stessi. In conclusione si può tranquillamente affer- mare che in tutte le diciotto foto è presente la stessa costante forza ispiratrice, la stessa tensione nello svelare quello che prima non c’era. L’augurio è che Florian sia l’architetto di se stesso, senza la minima deroga al senso della giusta misura, visto che l’unico disincanto si chiama Bellezza. Giuseppe Castiglione Florian Castiglione nasce ad Ischia nel 1986. Si laurea a Napoli in Architettura nel 2012 presso l'Università Federico II e dal 2013 è dottorando in Storia dell'Architettura, incentrando il suo tema di ricerca sulla Fotografia di Architettura. Dal punto di vista fotografico cresce da autodidatta durante gli studi universitari per poi seguire un corso col maestro Mimmo Jodice che gli servirà per la formazione della sua identità fotografica. Ha partecipato al workshop e alla mostra collettiva itinerante "Dalla mitologia alla contemporaneità attraverso il nostro sguardo" progetto M.A.F. promosso dall'Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Napoli. È specializzato nella fotografia di architettura. Ha collaborato, tra gli altri, per l'ANIAI Campania. Tra vari premi vinti si segnala il 4° premio alla seconda edizione del concorso fotografico Italian Liberty su 18.374 foto partecipanti. 14 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 Le famiglie dell'isola d'Ischia Cossa / Coscia / Salvacossa / Salvacoscia * II ** Di Pietro di Procida III Niuna scrittura mi sono abbattuto a vedere di Pietro oltre la detta di sopra; se non che certa cosa è, lui haver havuto per moglie donna di casa Caracciola; esser vivuto à tempi del Re Ladislao, & per quel che si vede dall’investitura del figliuolo essersi morto l’anno 1416, havendo labiato un figliuolo detto Michele. Di Michele signor di Procida IIII Michele essendo investito dell’isola di Procida dalla Reina Giovanna s’accostò poscia per l’inimicizia che haveva con Sergianni Caracciolo ad Alfonso Re d’Aragona. Dice di lui Bartolommeo Fatio, che egli venne nel 1423 al Re, & promisegli di far venire Ischia all’imperio suo: perciò che essendo la città divisa in due fattioni, l’una che seguitava i Cosci, & l’altra i Manotij, Michele: il quale era capo dell’una & havea in tutta l’isola grande autorità non solo per i partigiani & seguaci suoi, ma per la vicinità di Procida; di cui egli era signore; mostrava al Re facilmente potersi prender la terra, se si andava ad assalire all’improviso, conciosiacosa che i cittadini muniti dalla fortezza del luogo, fosser divenuti alquanto trascurati alle guardie, & se ‘l ponte: con che la città si congiugnea all’isola, si potesse; occupato che fosse; tagliare; facilmente sarebbe avvenuto, che tolta la speranza del soccorso degl’Isolani, essendo eglino d’ogni luogo cinti di mare, si fosser potuti vincere, ò per assedio, ò per forza. Et così avvenne appunto, come Michele havea disegnato; havendo il Re in poco spazio di tempo assai felicemente presa la città, la fortezza, & insignoritosi di tutta l’isola; onde al fine della narrazione di quel successo, dice il Fatio, Alfonso essersene ritornato a Napoli con reputazione, & gloria infinita per haver guadagnato un luogo di tanta importanza. Il che, come s’è veduto, tutto successe per opera di Michele. Mi ricorda haver letto lui essere stato molto esperto nelle cose marittime, & per questo essere stato general di mare. Visse nella signoria 26 anni, & di Sabia Galeota lasciò più figliuoli, come che di niuno habbia notizia particolare che di Pietro suo primogenito. * Delle famiglie nobili napoletane di Scipione Ammirato, 1580. ** La prima parte è stata pubblicata nel n. 4/2015 Di Pietro signor di Procida V Pietro ottiene l’investitura per la morte del padre l’anno 1441. Hebbe ancor egli di Maria Caraccioia, si come il padre, molti figliuoli, & venne vivendo infino all’anno 1466. Fa di lui menzione il Pontano quando travagliato dall’armi di Giovan Toreglia fu in manifesto pericolo di perder l’isola. Era costui cognato di Lucrezia d’Alagna illustre per gli amori del Re Alfonso, & essendo posto da lei per governatore dell’isola d’Ischia la quale il Re l’haveva donata, essendosene egli dopo la morte d Alfonso insignorito; pensava levare anco Procida a Pietro, & già l’havea in modo stretto; che egli per mancamento di vettovaglia era vicino ad arrendersi: ma il Re Ferdinando dopo che vide gittate le parole al vento col Toreglia confortandolo, che di questa impresa si rimanesse, gli prese al fin l’arme contro, & non solo liberò Pietro dalle molestie, che egli li dava, ma tolto Ischia al Toreglia il costrinse à tornarsene povero a Barzelona, come dice il Pontano, per la leggierezza, per la perfidia, & per la malvagità della sua natura meritevole d’ogni grande, & estremo supplizio. Accadde questo intorno l’anno 1464 verso il fine della prima congiura fatta da baroni contro il Re Ferdinando, dietro al quale accidente Pietro come si è detto non sopravvisse molto tempo lasciando la signoria di Procida a Michele suo primogenito. Di Michele signor di Procida VI Si può dire de signori di Procida in un certo modo quel, che fu osservato della famiglia Domitia in Roma; che usò i prenomi di Gneo, & di Lucio con notabile varietà, hora continuando ciascuno di essi per tre persone, hora scambiandolo per ciascuna. Perciò che chiamati tre di essi per ordine Lucij, & poscia tre altri Gnei, gli altri hor Lucij, & hor Gnei una volta per uno furono appellati. Così i Cosci sei volte per ordine hor Pietri, & hor Micheli con perpetua, & constante diversità si nominarono. Hora questo Michele hebbe l’investitura dal Re Ferdinando l’anno 1466. Et havendo veduto non solo la morte sua, ma anchora di tre altri Re, due suoi figliuoli, & un nipote, finalmente veggendosi vecchio donò sotto il Re Cattolico l’anno 1510 Procida a Pietro suo figliuolo, & a Michele figliuolo di Pietro, dicendo, il suo nipote Michele esser in quel tempo di anni undici. Hebbe egli per moglie Lucretia di Mila fecondissima per i molti figliuoli, che gli fece. De quali, prima che del primogenito si parli, Gio. Paolo si morì in Francia. La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 15 Gio. Carlo fu Abate di Pasitano. Gio. Vincenzo hebbe molta esperienza nel mestier della guerra, & perciò da Prospero Colonna adoperato per maestro di campo de suoi eserciti. Fecene di costui menzione il Giovio nella vita del Marchese di Pescara: quando disse che tornato di Spagna portò i privilegi del generalato di Prospero. De gli altri non trovo altra memoria. Di Pietro signor di Procida VII Pietro hebbe due mogli, ammendue Carrasesche; ma l’una della Spina detta Lucretia, & l’altra della Statera sorella d’Antonio Principe di Stigliano, & costei hebbe nome Cammilla. Dalla prima nacque Michele signor di Procida, & della seconda Gio Jacopo, & Gio. Antonio. Questi combattè da solo a solo a Santa Maria delle Paludi fuor delia porta Nolana con Gio. Batista Marramaldo zio cugin di Fabrizio, cavaliere molto stimato a suoi tempi non solo per l’opinion del valore, a che aggiugneva eccellente, & egregia disposizione di corpo, ma per la eloquenza del parlare, & per la cognizione de casi duellati, il qual vinse, & uccise. Fur la cagion della lite alcune parole passate tra loro nella piazza di Nido: per giustificazion delle quali essendosi accordati insieme di ritrovarsi con armi da offesa fuor della città, & come allor si costumava dir nella macchia, hebbe il Coscia per padrino Giovanni Carrafa quel, che fu poi Duca di Palliano, & il Marramaldo Ettorre di Noi. Dicesi che temendo il Carrafa di non essere il suo campione preso in parole dall’avversario, gli diè per consiglio che in conto alcuno non entrasse seco in ragionamento, ma che dettogli, quello esser luogo da fatti, & non da parole attendesse a menar le mani, nel che interamente l’ubbidì; & ben negli avvenne. Ma in processo di tempo, mentre più trascuratamente che non dovea, usava con persona la quale nell’honore havea offeso, fu anchor egli, senza poter far alcuna difesa miseramente ucciso. Di Michele signor di Procida VIII Michele come fu l’ultimo de signori di Procida, così s’interroppe nel figliuolo di lui il continuato ordine de Pietri, e de Micheli, però che fu chiamato Gio. Vincenzo natogli d’Isabella Galerata di sangue Milanese. Questi nella venuta di Lautrech nel reame, ò che pur in palese, ò di cheto havesse favorito le parti Franzesi, fu giudicato l’anno 1529 a 4 di maggio haver commesso ribellione. Onde toltagli Procida fu data al Marchese del Vasto, essendo stata nella casa de Cosci cento ottanta anni. Io conobbi Gio. Vincenzo suo figliuolo: il quale nato a 3 di marzo dell’anno 1523 si morì essendo anchor molto giovane, havendo di Giulia Caracciola lasciato i figliuoli, che nell’albero si veggono. De quali Michele, & per doti d’ingegno, & per pregio d’esercizij cavale16 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 reschi non ottiene fra la nobiltà Napoletana piccolo luogo. È restata in casa la signoria di Vairano, con la quale benché perduta Procida si sostiene lo splendore della cavalleria. Gio.Iacopo nato di Pietro, & di Cammilla Carrafa di Stigliano huomo intendente, & capace delle azioni del mondo quanto altri, ha mostrato a dì nostri, & confermato con troppo ampie pruove quanto è vero quel, che disser gli antichi, Tra le grandissime rendite doversi annoverare la parsimonia. Percioche essendo egli dal padre come secondo genito, stato lasciato povero cavaliere, & non havendo potuto prender secondo il costume de gli anni passati troppo gran dote ha infino a questi dì, ne quali anchor vive fresco, & gagliardo,, ammassato secondo la comune opinione la somma di trecento mila fiorini d’or . Di Giovanna Mastrogiudice sua moglie ha così maschi come femmine generato bellissimi figliuoli: i quali havendo tutti fatto nobili,& illustri parentadi accennano con le ricchezze paterne di dover di nuovo havere a inalzar la casa a quella grandezza, onde malvagia fortuna l’haveva gittata. Dico di Gio. Tommaso, & di Gio. Paolo essendosi gli altri morti, o fanciulli, o giovani: ma è tempo di ragionar di Gasparro, il cui nome è da Toscani detto Guasparri, ma la tema di non esserci opposto, che noi ribattezziam le persone come molti si dolgon del Giovio, ci fa star in questo, massimamente favellando de Napoletani dentro i termini dell’uso Napoletano. Il che per ciascun altro così fatto nome sia detto. De Conti di Troia Gasparro dunque figliuol di Giovanni che fu secondo signor di Procida, hebbe si come molti di questa famiglia grande esperienza nelle cose marittime. Et a tempo che alcuni Romani havean congiurato contra la persona di Papa Bonifazio IX, egli armò due galee del suo, & due altre co’ denari del Papa non solo per esser presto a bisogni, che poteano occorrere in que malagevoli tempi, ma per raffrenare le ruberie, & prede che facevano i Mori per tutte quelle marine con gran danno, & vergogna dello stato ecclesiastico, di che l’historia del Duca di Montelione fa mentione. Di costui, & di Loise Imbriaca, nacque Giovanni huomo per valore, & per grandezza d’animo, ma oltre 0gni credenza per la fedeltà grande verso il suo signore usata molto notabile. Fa di esso primieramente memoria Bartolommeo Facio: quando havendo il Re Alfonso vinto Napoli, & non rimanendogli di vincer altro che le fortezze, cioè Castelnuovo, nel quale Renato era rifuggito, Sant’Ermo, & Capoana; dice (però che si pativa di vettovaglia, & era impossibil colà, che lungo tempo si potesser tenere) che Giovanni Coscia il quale era castellano della fortezza di Capoana se ben si trovava con la persona appresso Renato nel Castelnuovo, havendo in quel luogo lasciato la moglie, & i figliuoli, pregò Renato, che gli permettesse di poter venire a patti con Giovanni Carrafa circa il fatto della fortezza, a cui veggendo veramente, che ogni provisione era indarno, concedette; che potesse domandar tregua per alcuni giorni: la qual da Alfonso, tutto che nel principio si mostrasse alquanto duro, fu acconsentita, & ultimamente cavatane la moglie, e i figliuoli con tutto il presidio, e le robe senza altro indugio Giovanni rendè la fortezza ad Alfonso del 1442. Renato ancora non molto dopo disperato di poter far cosa che buona fosse, lasciato nel castel nuovo Antoni» Calvo, a cui per denari da lui havuti, di gran somma era debitore, montò in nave, seguitato da Giovanni, & da alcuni altri suoi pochi fedeli, co’ quali in Firenze, ove allora Eugenio si ritrovava arrivato, & quivi havendo inteso come il Castel di Sant’Ermo si era già reso, & che il Castelnuovo non era per potersi più lungo tempo difendere, permise al Coscia che potesse ancor egli render la fortezza di Capuana ad Alfonso: havendo prima voluto per ispetial patto; che si perdonasse così al Coscia, come a gli altri, che l’havevano accompagnato. Nondimeno secondo dal Pontano si trahe, vedesi chiaramente lui non esser voluto restar a Napoli, percioche in questa guerra, che egli scrisse del Duca Giovanni contra il Re Ferdinando; diciassett’anni dopo le cose scritte di sopra, che fu l’anno 1459 così di lui ragiona. Presa che fu Napoli da Alfonso seguì Giovanni il Re Renato in Provenza; ove per la lunga pratica delle cose, per l’eloquenza sua grande, & per esser tenuto huomo assai savio, & prudente s’havea gran riputazione, & credito acquistato appresso tutti i Principi, & signori Franzesi. Et per questo era stato da Renato mandato in Genova col figliuolo; quo (dicono l’istese parole del Pontano) tanquam magistro uteretur. Questo Giovanni è quello: il quale in tutta la guerra fu di grandissimo conto, & stima appresso il Duca, & a tutto l’esercito. Anzi nella rotta data a Ferdinando a Sarno, egli fu di opinione, che si dovesse subito assalir Napoli. Et se bene Giovanni Antonio Orsino Principe di Taranto persuase il contrario; & come quelli in cui era collocata tutta la speranza della vittoria, era, come fu necessario, che si mandasse ad esecuzione il parer suo, nondimeno tutti benché tacitamente parve, che approvassero la sentenza del Coscia. Finalmente havendo l’impresa del Duca Giovanni havuto infelice successo, trovandosi egli dentro il castel di Troia, sopra la qual città havea titolo di Conte, si rese ad Alessandro Sforza, ma tutto che condotto alla presenza di Ferdinando, lodasse il Re grandemente la sua virtù, & invitasselo a rimanere a casa sua; volle in ogni modo partirsi per Francia, & seguir la fortuna del Duca Giovanni suo signore, ma in Francia nella sede del Duca Giovanni, & di Renato suo padre, che sopravvisse al figliuolo perse- verando, raccontasi di lui un nobilissimo atto; & ciò fu, che essendo imputato a Renato, che egli volesse lasciare la sua eredità al Duca di Borgogna, il Coscia venuto alla presenza del Re Lodovico nipote per lato di sorella di esso Renato, così gli parlò, come le medesime parole di Paolo Emilio, che questo scrisse, suonano. Sire vi è stato rapportato, che questo mio Re & signore habbia dato speranza al Duca di Borgogna di lasciarlo herede, & evvi stato detto il vero; percioche io sono stato autore di questa fama, & di questo consiglio, non perchè la cosa dovesse venire ad effetto, ma perché a gli orecchi vostri pervenuta vi si rammemorasse costui esservi zio & voi con esso lui dovervi più dolcemente portare ne fatti del Ducato d’Angiò di quel che non fate, il quale sapete a lui appartenersi; se questa cosa è mancamento, imputisi a me, & non al vostro zio. Il Re preso piacere della honorata, & magnanima libertà del Coscia, & lui amò grandemente, & il zio hebbe per l’avvenire in somma venerazione. Un nipote di Giovanni detto Antonio nato d’un suo figliuolo il cui nome fu Rinieri venne a tempi di Carlo VIII nel regno, & appellossi Conte di Troia. Ho sentito dire, che Monsignor di Brisac mentionato nelle passate guerre discendea da costoro; ma il non haver io havuto tempo di penetrar nelle notizie delle famiglie Franzesi non mi lascia sopra ciò affermar cosa alcuna per vera. Ma poi che di Troia, & de suoi Conti si è ragionato, non mi par del mio proposito deviare, se io aggiugnerò quello, ò per virtù occulta del nome fatale di questa città, ò qual altra se ne sia la cagione, infortunato essere stato per lo più il dominio di questa signoria a suoi possessori. Imperoche donata dal Re Ladislao a Perretto d’Andreis non passò a figliuoli. Dal Re Renato data à Giovanni Coscia in lui terminò, & hebbe il suo fine. Non molto si distese ne’ discendenti di Don Garzia Cavaniglia, a cuì fu donata dal Re Alfonso. Recò danni grandissimi a Luigi Martino Conte d’Altavilla che ne fu compratore. Talché e pare che di essa si possa propriamente dire quel che del cavallo Seiano, & dell’oro Tolofano scrisser gl’antichi: ma poi che tanto di lei si è detto, non credo, che recherà noia a lettori il far veder a loro due belli ritratti, che fecer di esso due de nostri scrittori dovendosi meritamente questa memoria, quando per niuna altra cagione, all’ignudo, & semplice nome di sì illustre, & gloriosa città. Di Baldassarre chiamato poi Giovanni XXIII Papa Baldassarre uno dei figliuoli di Giovanni secondo signor di Procida con quali ragioni dal Panvinio sia stato detto esser disceso di mediocre lignaggio io non veggo. * La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 17 I luoghi degli antichi Bagni Il Castiglione II1 Le acque e le stufe Testimonianze Venanzio Marone2 Acqua di Castiglione - Quest’acqua rampolla nella piccola marinetta di Castiglione, tenimento del Comune di Casamicciola, alla parte orientale in vicinanza del lido del mare. Proprietà medicinali. L’acqua di Castiglione può chiamarsi la panacea generale di tutti gl’infermi, che si portano in Ischia per avvalersi de’ bagni minerali; prima d’incominciarne l’uso, soglionsi preparare almeno per un paio di giorni, la mattina, colle bibite di quest’acqua, che promuove leggiermente il ventre. Oltre a ciò è molto valevole per guarire le affezioni nefritiche, per smugnere gl’inzuppamenti biliosi, per la risoluzione delle ostruzioni, ed altri infarcimenti addominali, per dissipare l’itterizia, gli edemi ai piedi, ecc. Giuseppe d’Ascia3 Acqua del Castiglione - Scorre nella marina di Casamicciola a pié del fianco orientale del promontorio che appunto ha il nome di Castiglione, corrotto di Castellone, che ha tradotto Castelion fortezza edifi cata dai vaganti Greci quivi fermatisi. L’acqua di cui è parola vien raccolta in una piccola camera di fabbrica ov’è una conga lunga 6 piedi e larga 5; un’altra camera contigua, elevata di qualche gradino sulla prima, è destinata al riposo degl’infermi che vanno a beverne. L’acqua di Castiglione è limpida senza odore, e di sapor salino. Da saggi fatti su quest’acqua da’ professori Guarini e Covelli si ha ch’essa, eccetto le proporzioni, sia presso a poco simile alle altre dell’isola d’Ischia, contenendovisi gas acido-carbonico, bicarbonati di soda, allumina, ossido di ferro, e tracce d’idrosodati. Sogliono prescriversi con vantaggio agl’itterici, agl’ipocondriaci, agli emorroidari, ed a coloro che sono abitualmente stitici, e per virtù rivulsiva diventano utilissime contro gl’ingorghi cronici delle viscere, le vertigini, le idropisie, e le oftalmie antiche. 1 La prima parte è stata pubblicata nel n 4/2015 2 V. Marone, Memoria contenente un breve ragguaglio dell’Isola d’Ischia e delle acque minerali, arene termali e stufe vaporose...., Napoli 1847. 3 G. d’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia, 1867 18 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 A dì nostri quest’acqua si usa a sola bevanda, ma altra volta adoperavasi anche esternamente, il che per altro sarà forse ora impedito dalla posizione disastrosa della sorgente, che il mare ogni giorno rende più dirupata. Il d’Ascia dice inoltre che sul promontorio di Castiglione si trova la stufa consistente di due casipole dette superiore e inferiore, nel cui interno si veggono dei crepacci pei quali esce il vapore. Nella prima il termometro si estolle a 45 gradi e nell’altra a 40, stando l’atmosfera a 21. Guglielmo Jervis4 L’Acqua salino-alcalina di Castiglione nasce al livello del mare, cui comunica in immediata vicinanza il proprio calore. Raccogliesi in una vasca, rinchiusa in una piccola fabbrica antica a vòlta, il cui muro è bagnato dal mare ed è situata immediatamente sotto le stufe di Castiglione, dalle quali si scende per mezzo di viottolo ripido, appena praticabile, attraverso le vigne. Al tempo di Jasolino la sorgiva era ostruita dalla rovina di antichi bagni, sicché si era obbligati di attingere l’acqua e fare il bagno a casa del malato; ciò nondimeno se ne faceva allora molto uso. Nell’anno 1698 il dott. d’Aloisio vi fece costruire una convenevole fabbrica per uso di bagni. Andrea Giuochi5 Lungo la strada che dal porto d’Ischia conduce a Casamicciola e alla destra, ad un chilometro si trova la contrada detta Castiglione. Alla base orientale di questo promontorio esiste una sorgente di acqua termominerale detta purgativa del Castiglione. Sorge dalla trachite, dista dal lido del mare non più di tre metri; vi si accede per un lungo e incomodo sentiero. È limpida, ha sapore molto salato, non disgustevole; segna al termometro 78° C. Contiene solfato di soda e potassa, cloruro di sodio: tracce di bicarbonati di soda e potassa, di bromuri e ioduri alcalini. L’effetto medicamentoso principale è purgativo; si usa alla dose di una libbra a due e mezza, presa ad intervalli. È consigliata al giorno d’oggi come una preparazione alla cura de’ bagni. Già da gran tempo godeva favore, perché riconosciuta utile a combattere la stitichezza pertinace, l’epatite, l’itterizia, le stasi emorroidarie, le idropisie e l’ipocondria. 4 Guglielmo Jervis, Guida alle Acque Minerali d’Italia, Province meridionali, Torino 1876. 5 Andrea Giuochi, Ischia dalla sua origine ai giorni nostri, Napoli 1884 Vladimiro Frenkel6 L’Acqua del Castiglione, un tempo rinomatissima, aspetta, nell’abbandono più perfetto, il proprio “risorgimento”. Essa «non solo purga e netta per da basso - scrive il Jasolino - ma anche in parte per l’urina..; fortifica e corrobora lo stomaco e le altre viscere, slarga le ostruzioni dei reni e della vescica... scaccia fuori la renella, uccide i vermi... giova grandemente alle difficoltà dell’urinare, alle piaghe nate (che sono di difficile curatione), alla lepra, alla inflatione e ventosità del ventre... toglie via la morfea... sana le macchie e le pustole della pelle e molti altri morbi cutanei... conforta il cuore, aguzza la vista, eccita l’appetito». Illustrando una lunga serie di guarigioni ottenute, il Jasolino soggiunge: «...Gli abitanti dell’Isola usano di questo bagno continuamente, come di cosa per sanare qualsivoglia specie di rogna... e noi ogni dì vediamo operazioni e virtù di quest’acqua, così meravigliose e stupende, che veramente bisogna credere essere stata data dal Cielo per la salute degli uomini». Presso la sorgente esistono tuttora le famose Stufe del Castiglione (anche esse abbandonate), descritte e sperimentate dal Jasolino7, decantate dal De Quintiis8 e illustrate dal D’Aloisio9. La Grotta della Sibilla Il lido del Castiglione è conosciuto e citato anche perché vi si può rintracciare la cosiddetta Grotta della Sibilla. «Essa – scrive Wladimiro Frenkel10 - non rassomiglierà certo all’autentica e splendida Grotta di Cuma con “le cento vie e i cento antri”, situata sotto il Tempio di Apollo, né a quella falsa e modesta, presso il Lago d’Averno, al “primo entrar nel doloroso regno”... È una grotta ben semplice, rustica, di... villeggiatura, ma, per contro, il luogo è oltremodo romantico e suggestivo, come lo è tutta la riviera del Comune di Casamicciola. La Sibilla veniva qui, secondo alcuni, nella stagione estiva, attratta dalle acque e dalle stufe medicamentose. Altri, invece, alludono ad un suo soggiorno forzato fra questi mirti, viti e ginestre... Essa sarebbe stata perseguitata dal tiranno Aristodemo e si sarebbe rifugiata presso il Castiglione, come tante famiglie cumane che si erano ri6 Vladimiro Frenkel – L’Isola d’Ischia e le sue sorgenti termali, 1924 7 Giulio Jasolino, De' Rimedi naturali che sono nell'isola d'Ischia, hoggi detta Iscchia, 1588. 8 Camillo Eucherio de Quintiis, Inarime seu de Balneis Pithecusarum, 1726. 9 Giovanni Andrea d'Aloisio, L'Infermo istruito nel vero salutevole uso dei rimedi minerali dell'isola d'Ischia, 1757. 10 W. Frenkel, L’Isola d’Ischia, nuova guida, II edizione 1928. bellate contro i noti metodi di governo introdotti dal suddetto padrone del Regno di Cuma: nella gioventù egli eccitava passioni sensuali; negli uomini maturi uccideva, con lavoro e con tasse, tutte le aspirazioni; nei vecchi provocava sentimenti religiosi... Il “carnevale” di Aristodemo durò circa quattordici anni. Dopo la fine del mostro - fu ucciso dalla bella Senocrita - la Sibilla, senza dubbio, ritornò nella sua dimora principesca sotto l’Acropoli di Cuma. Ma, secondo la tradizione, essa, in questa stessa grotta, avrebbe annunziato la venuta del Redentore. Il rev. Onofrio Buonocore, nelle sue Leggende Isclane, afferma che i pescatori avevano raccolto i seguenti responsi “sulle foglie mezzo aggrinzite dal sole e inzuppate d’acqua”: “una vergine concepirà e partorirà un Figlio... e rifioriranno i tempi di Saturno... farà trionfare la giustizia... pieno di mansuetudine... tornerà l’ordine dal mare al mare”11. Coloro che avranno dimenticato il vero essere della Sibilla o delle Sibille troveranno nella seguente “carta d’identità” elementi sufficienti, per poter eventualmente più o meno emanciparsi dalla scienza dei ciceroni e dei “conoscitori non autorizzati”. Eccola in poche parole: Si contano parecchie Sibille. Quella detta Eritrea o cumana, proveniente dall’Asia Minore, si chiamava Deifobe o Erofile (cara a Era, a Giunone). Secondo altri: Cassandra (allora figlia di Priamo?) o Amaltea... Era figliuola di Glauco. Vergine, secondo alcuni. Secondo altri: Apollo non poté essere da lei corrisposto che al patto di farla vivere tanti anni quanti granelli di arena avrebbe potuto tenere in una mano. Visse molti secoli. Infine non le rimase che la voce per profetare. Eraclito ricorda che la Sibilla parlava senza sorridere, non si truccava e non adoperava profumi... Grazie a Eraclito le profezie della Sibilla furono lanciate nel gran torrente del pensiero filosofico. Essa scriveva i vaticini sulle foglie degli alberi. Una raccolta di tali oracoli, in versi greci, fu, per mezzo d’una vecchia sconosciu11 I vaticini della Sibilla cumana intorno alla nascita del Redentore, tradotti dal greco e riportati dal D’Aloisio nel suo Infermo istruito, ci appaiono, nel loro testo latino, più dettagliati, più eloquenti, più categorici... Questa bellissima e pia leggenda isclana, ricordata nelle opere del Jasolino, del Capaccio, del D’Aloisio, ha ispirato, oltre il sunnominato Buonocore, anche il Podestà del Comune di Casamcciola, Cav. Conte, il quale sostenne di aver autenticato la grotta della figlia di Glauco appunto nelle vicinanze del Castiglione, dove regna, come il Jasolino, “eterna primavera”. La curiosa ed interessante relazione del Conte in proposito, intitolata Cristo Idrologo (Cristo, in verità, non è idrologo: è Divino), fu letta e molto applaudita al XIX Congresso Nazionale di Idrologia nei Campi Flegrei: giugno 1928. La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 19 ta, venduta a Tarquinio il Superbo, ma andò perduta nell’82 durante l’incendio del Campidoglio. Fu formata una nuova collezione, scritta da ebrei ellenizzati, ma questa venne distrutta per ordine del celebre generale Stilicone nel 405. La Sibilla divenne famosa soprattutto per aver accompagnato Enea nell’inferno e, come abbiamo detto sopra, per aver annunziato il ritorno dei tempi di Saturno: la venuta di Cristo. Gli oracoli sibillini, esistenti tuttora, sarebbero, secondo il Reinach, imitazioni giudeo-cristiane, sebbene sian citati come testi ispirati dai SS. Isidoro e Girolamo e ricordati nella messa cattolica dei defunti: Teste David cum Sibylla». Il D’Aloisio nel suo Infermo istruito12 del 1757 così menziona la leggenda della Sibilla: «L’umana ambizione, e l’ingordigia di regnare, e il mal talento in tal uno forte, e potente di opprimere i deboli, sono state cagioni in ogni tempo di funeste rivoluzioni in ogni ben regolata Repubblica. Questi vizi signoreggiando nell’animo di Aristodemo Cumano l’indussero a maltrattar, e soverchiare li Primati della Cumana Repubblica, che per liberarsi da un sì potente Nemico si ridussero al punto di tramarli la vita. Ma scoperta da esso una tale trama, preso da essa il motivo di vendicarli, e di rendersi con ciò scopertamente Tiranno, molti di essi ne fece barbaramente trucidare, ed altri per iscampare la di lui inumanità celatamente da Cuma fuggendo, nell’isola d’Ischia si ricovrarono, e propriamente in quelle contrade, ove i loro progenitori Calcidesi ed Eritresi la prima volta avevano abitato, cioè presso di Casanizzula, quale luogo ancora oggi giorno in loro memoria Casacumana è chiamato. Ivi si crede che in altri tempi si trasferisse anche la celebre Cumana Sibilla a tenere soggiorno; mostrandosi oggidì la di lei sotterranea stanza13 in cui le predizioni, dicono, che avesse vaticinate della maniera che siegue per rapporto alla nascita del nostro Divino Redentore: Tunc ad mortales veniet mortalibus ipsis In terris similis, natus Patris Omnipotentis, Corpore vestitus, vocales quatuor autem Fert, non vocalesq; duas binum Genitorem. Sed quae sit numeri, totius summa docebo: 12 Giannandrea D’Aloisio, L’Infermo istruito nel vero salutevole uso dei rimedi minerali dell’isola d’Ischia, Napoli 1757. 13 Questa stanza da nostri Vecchi al dì oggi si mostra nella Terra di Casanizzula, e propriamente nell’atrio delli Signori Garriga a Casacumana. 20 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 Namqu; octo monodas, tantidem decades super [ista, Atq; hecantodas octo, infidis significabis Humanis nomen: tu vero mente teneto Aeterni natum Christum summiq; Parentis. Dagli ammaestramenti della Sibilla, essendo forse resa quella gente perita in rinvenire nella nostra Terra delle miniere di finissimo oro, o pure istruttasi in formare vasi di creta, o in fare l’alume, molto ricca divenne, di maniera che vivendo quella nuova Colonia lieta, e felice, per rendersi sicura dagl’insulti de’ nemici si fortificò su la Rocca di Castiglione; siccome avevano fatto quegli altri primi Calcidesi ed Eritresi. Ma in progresso di tempo invogliandosi Gerone Tiranno di Siracusa delle ricchezze di essa all’improvviso la sorprese, la assaltò, e la vinse, affatto cacciandola dalla nostra Isola. Fra tanto il Tiranno con farsi Signore ancora del vicino continente, rinforzò la Rocca di Castiglione con grosse muraglie dalla parte del mare e, postovi a guardarla con valido presidio di Siciliani, se ne ritornò in Siracusa». Mons. Onofrio Buonocore, che tanto scrisse sulla storia e sulle leggende dell’isola d’Ischia, ci offre una esauriente pagina in proposito14. «La storia delle Sibille non è poca né trascurabile; i cristiani le ravvicinarono ai profeti; l’arte sacra non ebbe a disdegno di profilarle nei sog getti religiosi; Michelangelo, nella Sistina, mette a trionfare quattro Sibille nel Giudizio Universale. Tommaso da Celano, nella cupa sequenza del Dies irae, richiama il pensiero alla Sibilla; Teste David cum Sibilla! La sacerdotessa cumana, la veggente figlia di Glauco, divinità marina, va innanzi le altre per l’abbondanza degli oracoli e per la fortuna che toccò di cantori sonori. Le accese fantasie dei poeti descrissero la dimora di lei, la longevità fuori uso, la via che teneva quando, agitata dal nume, si porgeva docile alle ispirazioni. Teneva dimora in profonde grotte: correvano dal lago Averno al colle sopra il quale ergevasi il tempio di Apollo. Dal lato dell’Averno accoglieva quelli che si recavano per responsi; sotto il tempio si elevava l’ara del nume; nella parte interna, scavate nel masso, si allargavano tre camerette; abituale dimora del14 Onofrio Buonocore, Leggende isclane, Rispoli Ed. Napoli, 1949. la pitonessa. Nella prima si dispiegava un giaciglio lapideo; nella più intema tondeggia una buca, attraverso la quale venivano trasmessi i responsi. Apollo le fece dono di longevità fuori usanza: le diede vivere tanti anni quanti granelli di sabbia sapesse stringere nel pugno. Si ridusse a buccia estrema; le restava solo la voce! Quando mancò ai vivi, chiusa in urna di bronzo, fu lasciata a dormire nella grotta accennata. Il responso di lei veniva sempre accolto in tremore. Enea le si porse obbediente ad ogni cenno; Tarquinio il Superbo si condusse in caso di cedere alle misteriose imposizioni. La leggenda racconta che la sacerdotessa, con nove volumi di sua fattura, contenenti i destini di Roma, se ne andò all’Urbe; li offrì al re dietro richiesta di prezzo esagerato. Si mise al diniego quegli; ed ella, venuta fuori, diede tre volumi alle fiamme. Ritornò all’offerta con i sei, richiedendo lo stesso prezzo. Il re trovò la cosa più eccessiva; ed ella gettò in pasto alle fiamme tre volumi ancora. Per i tre restanti mosse la medesima richiesta. Il re viene in pensiero e interroga gli auguri. Questi danno incoraggiamento a comprare ad ogni costo. E i tre volumi andarono riposti nel Campidoglio, in un’arca marmorea, in custodia di un collegio di sacerdoti. E il popolo romano, nelle ore oscure, pigliò usanza a consultare i volumi; e, dalle parole sibilline, dispiccava luce e valore. *** Al cospetto di Cuma si leva superba l’isola d’Ischia, la terra cosparsa d’incanto, l’isola verde per antonomasia, il rifugio degli assetati di calma, la terra che diede le più soavi ispirazioni a Vittoria Colonna, a Lamartine, a Ibsen, per passarci di altri antichi e moderni. D’ogni intorno è una vera festa di natura, dai monti, dai piani, dal mare. Regnante Aristodemo in Cuma, la Sibilla ebbe molestie; una matta volontà di persecuzione religiosa si attaccò all’anima del tirannello; la sacerdotessa, in modo semplice, diede a vedere il disgusto suo. Fermò in cuore di lasciare Cuma; uscì dalle grotte claustrali; avanzò verso il mare di Torregaveta in compagnia di due vestali. Rideva il sole di primavera avanzata; dove la sacerdotessa posava il piede i fiori reclinavano appesantiti; s’inchinavano col moto delle onde le biade, come la Sibilla menava l’occhio a destra e a sinistra. Dispiegò il velo su le onde; le vestali descesero ai lembi; una bava di vento soffiò dentro e via alla volta di Ischia che torreggiava a vista. Tra la cittadina di Villa dei Bagni e quella di Casamicciola, dove, ora, spiegasi la necropoli, si leva un promontorio rivestito di mirti, di ginestre, di viti; nel petroso seno s’infossa una grotta: qui mise soggiorno la Sibilla. Riluceva un giorno pieno di sole; correva per l’aria una festa di natura; gli uccelli canori ripetevano il verso loro su per le rame rigide. La Sibilla viene fuori dall’antro, dispicca dal caprifico sporgente dal crepaccio larghe foglie, le segna di stile, le dispiega su per lo scoglio che le si appunta davanti. I pescatori tenevano d’occhio la donna misteriosa, colei che tutti nominavano con riverenza; e quando la vedono ritornare all’antro, danno di lena sui remi: li punge curiosità, segreto istinto, desiderio irrefrenabile. Quando sono da presso, una subita folata di vento sparpaglia le foglie in parte aggrinzite; vanno a posare nella sabbia, cadono in balia delle onde. I pescatori ne raccolgono inzuppate di acqua, mezzo frantumate... e rituffano il remo in fretta. E i dotti del paese decifrarono i frammenti: - «La Vergine e il Figlio... i regni di Saturno... il lupo e l’agnello... il Re pacifico... dal mare al mare». *** E dopo tanto fluire di secoli, sulla plaga incantevole dove la veggente vaticinò il Redentore, tra Villa dei Bagni e Casamicciola, si allarga ancora la grotta della Sibilla! Leggete e diffondete La Rassegna d'Ischia Periodico di ricerche e di temi culturali, turistici, politici e sportivi La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 21 In Ischia Oggi n. 2/1980 Intervista al sindaco Mennella Perché il legame Museo-Villa Arbusto? Ritorniamo sull’argomento riguardante il Museo archeologico di Lacco Ameno e sulle relative vicende per cercare di comprendere alcuni motivi e alcune premesse che hanno spinto l’Amministrazione comunale verso determinate scelte e che hanno trovato subito unanimi consensi in altri enti (Provincia, Regione, Soprintendenza). A tale scopo ci siamo rivolti al sindaco professor Vincenzo Mennella, prospettandogli la necessità che il problema sia discusso in tutti i suoi aspetti, anche quelli controversi, al fine di offrire un quadro chiaro e completo della complessa situazione. D’altra parte l’opera è di quelle che sono destinate ad esercitare una grande influenza sul turismo non solo di Lacco Ameno, ma anche dell’isola intera. Innanzitutto ricordiamo che nel 1974 il Comune approvò un progetto per la realizzazione del museo in località «Mazzola», già sede di scavi archeologici da parte del prof. Buchner. Perché poi tutto l’interesse si è rivolto verso l’acquisizione del complesso Villa Arbusto? «La soluzione di Villa Arbusto - chiarisce il prof. Mennella – di gran lunga più idonea ed interessante di quella ipotizzata nel 1974, non è in contrasto con la precedente scelta, ma può essere ben considerata lo sviluppo e la integrazione della stessa, resisi possibili per fortunate congiunture e per le mutate condizioni socioculturali. La località Mazzola resta ugualmente acquisita al patrimonio pubblico come parco archeologico e sarà collegata al complesso di Villa Arbusto attraverso un sottopassaggio alla via di circumvallazione che oggi divide le due zone. La scelta di Villa Arbusto, conseguente alla chiara disponibilità degli eredi Rizzoli a vendere la stessa all’ente pubblico, è stata portata avanti con la convinta e responsabile partecipazione della Soprintendenza, la quale era a perfetta conoscenza dell’ impegno posto dal Comune di Lacco Ameno anche per la soluzione precedente, che purtroppo non aveva avuto esito positivo». 22 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 Allora si parlava soltanto del museo, oggi si aprono prospettive più ampie e diverse che impegnano l’amministrazione. «C’è il vantaggio, non configurabile nel 1974, di assicurare alla libera fruizione uno storico complesso e la realizzazione di un parco pubblico attrezzato. Gli oltre diecimila metri quadrati di zona archeologica, per i quali è in avanzato corso l’esproprio da parte del Ministero P.I. nella citata località Mazzola, e i circa dodicimila metri quadrati del complesso di Villa Arbusto, costituiranno una struttura unica che, opportunamente articolata, rappresenterà un’attrattiva turistico-ambientale di notevole rilievo. Attraverso Villa Arbusto si mette in diretta comunicazione inoltre la zona di Mazzola con il centro di Piazza S. Restituta, dove hanno sede i ben noti scavi che prendono il nome dal Santuario e che hanno messo in luce una importante pagina di storia paleocristiana». Si dice anche che sono state trascurate le indicazioni del Piano Regolatore Generale. «La scelta del Piano per una struttura pubblica di tanto rilievo non può che essere indicazione di massima, per cui localizzare la struttura ad una decina di metri di distanza dalla indicazione di Piano, quando a tale distanza si ha la fortuna di trovare la possibilità di una soluzione ideale, quale, nel caso specifico, quella di Villa Arbusto, non significa tradire la scelta del P.R. Vi è di più: la zona dove il P.R. prevede come indicazione di massima il museo è stata ugualmente interessata nel progetto di acquisizione del complesso di Villa Arbusto per la realizzazione di un parcheggio al servizio di tutta la struttura. Quindi nessuna incoerenza e nessuna devianza dalle scelte di Piano Regolatore». È possibile una trattativa con i nuovi proprietari, al fine di permettere che le varie esigenze siano soddisfatte? «Al di là del programma completo da realizzare e che ha la sua validità nella complessità e nella articolazione delle varie strutture, occorre aggiungere che, per rendere possibile una diversa destinazione, l’ente pubblico, dal Ministero al Comune, passando per la regione, dovrebbe cancellare tutti i vincoli che tutelano il complesso Villa Arbusto. Tali vincoli sono di natura storica ed artistica in base alla legge 1089, come da decreto del Ministero P.I. del 24 novembre 1952, e di natura urbanistica in base al PRG: in tale piano la zona libera da costruzioni è in parte destinata a verde pubblico e in parte dichiarata di rilevante interesse ambientale e già considerata satura per le costruzioni esistenti». Il sito di Mazzola a Mezzavia (Lacco Ameno) L’insediamento di Pithekoussai non era limitato al promontorio di Monte di Vico, ma si estendeva anche sul versante nordest della collina di Mezzavia (sopra l’attuale strada di circumvallazione), di faccia al fianco orientale dell’acropoli al di là di una zona bassa e pianeggiante che si prolunga verso nordovest nella valle di San Montano. Dalla raccolta sistematica di cocci in superficie risulta che il complesso suburbano di Mezzavia si estendeva per una lunghezza di almeno 500 metri in una serie di nuclei distinti, tre dei quali sono stati accertati, fondati tutti nella fase LGI. Di questi, uno solo è stato meglio definito e parzialmente scavato dal 1969 al 1971 nella località detta Mazzola, in un’area a emiciclo chiusa su entrambi i lati da più alti livelli di terreno. Il quartiere metallurgico di Mazzola, con tutto ciò che esso implica per la raison d’ètre di Pithekoussai, deve alla sua posizione il fatto di essersi conservato, e di essere stato scavato: la posizione periferica è del resto proprio quella che dovremmo aspettarci, giacché gli antichi fabbri avevano bisogno di stare vicini alle fonti di carbone (di legna) che usavano in quantità enormi, mentre i concittadini erano comprensibilmente ansiosi di evitare i rischi di incendi nel nucleo abitato principale. Pithekoussai, complesso industriale suburbano, Mezzavia Particolare dell'area di Mazzola Le ricerche hanno messo in luce i resti di un complesso di strutture databili in base ai ritrovamenti di ceramica al periodo compreso tra la metà dell’VIII e gli inizi del VII secolo: contemporanee quindi del periodo euboico già esaminato nella necropoli e sull’acropoli. Sembra che il sito sia stato abbandonato completamente nel primo quarto del VII secolo, sal- vo per un’area limitata rioccupata nella prima metà del VI secolo, come indicano i muri di una struttura costruita con blocchi squadrati di tufo verde dell’Epomeo. In netto contrasto con questo, i muri del periodo precedente sono fatti di pezzi di trachite locale legati con terra; essi appaiono ben conservati, e non sono stati disturbati dall’uomo dall’eLa Rassegna d’Ischia n. 5/2015 23 Pithekoussai, complesso industriale suburbano, Mezzavia Pianta dell'area di Mazzola poca dell’abbandono, tranne per il danno superficiale causato dai terrazzamenti e la viticoltura di epoca relativamente recente. Delle quattro strutture riconoscibili, sembra che fosse destinato ad abitazione solo l’edificio absidato I, composto di un grande ambiente rettangolare e un ambiente più piccolo con parete esterna curva sul lato nordoccidentale. Questo è anche l’unico edificio che non mostri segni di ricostruzione; frammenti di vasi pressoché completi (compreso un bel cratere dipinto geometrico) raccolti dal pavimento, nel quale era anche interrato un intero tegame da cucina di argilla grezza, suggeriscono un abbandono repentino in seguito a distruzione, in un momento provvisoriamente datato da J.J. Klein intorno al 720 a.C. Non è forse 24 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 troppo fantasioso ricordare che Strabone menziona specificamente i terremoti come uno dei preoccupanti fenomeni naturali che indussero gli Eubei ad abbandonare Pithekoussai. Nella parte occidentale dell’area di Mazzola movimenti sismici avrebbero presto portato massi enormi a rotolare giù dal costone di Mezzavia. Le altre strutture erano tutte adibite in un modo o nell’altro alla lavorazione dei metalli. I due successivi pavimenti della struttura in hanno restituito molti pezzi di massello e scorie di ferro, e la superficie del pavimento era impregnata di schegge e frammentini di ferro: l’ipotesi che si tratti di un’officina di fabbro ferraio trova ulteriore conferma nella presenza, nel contiguo cortile aperto, di un’area fortemente bruciata che può essere ragionevolmente identificata come la fucina. La struttura IV, originariamente ovale, appare modificata a un certo punto durante il periodo euboico per farne un edificio rettangolare: all’interno si trova una disposizione rettangolare di mattoni crudi molto bruciati, che è probabilmente un’altra fucina, e vicino a questa si rinvennero due grandi pezzi piatti e lisci di fonolite assai dura, che potevano essere usati come incudini (da L’Alba della Magna Grecia di David Ridgway, Longanesi editore, febbraio 1984). Non propriamente pertinente ad un contesto urbano è il complesso produttivo noto in località Mazzola (Lacco Ameno), sull’isola di Ischia. Si hanno resti di strutture, databili dalla metà dell’VIII al VI secolo: alcune di esse costituivano laboratori di fabbri, che sottoponevano ad una prima lavorazione il minerale di ferro. Recenti analisi delle scorie hanno indicato, con quasi assoluta certezza, che il minerale grezzo proveniva dall’isola etrusca dell’Elba. Intorno ai laboratori si hanno semplici strutture, costruite con scheggioni di trachite o di tufo, a seconda delle epoche, con pianta rettangolare. La forma più antica pare, tuttavia, ovoidale. Delle strutture di Mazzola una sola sembra esser stata destinata ad abitazione: è composta da un vano rettangolare, di circa 5 metri di lunghezza, con un vano minore aggiunto su un lato corto, di forma absidale. La non pertinenza del complesso metallurgico alla città di Pithecusa, oltre che dalla specializzazione produttiva delle strutture lì rinvenute, è chiaramente indicata dalla sua lontananza dalla località Monte di Vico, ai piedi della quale si trova la necropoli di San Montano, e che era il luogo più densamente e continuativamente abitato, anche per la sua morfologia favorevole, che ne permetteva la difesa, e la sua posizione, a ridosso di due porti d’approdo (da Le città sommerse della Magna Grecia di Pier Giovanni Guzzo, Newton Compton Editori, 1982). Milano – Al Palazzo Reale Mostra : Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei Esposto il Cratere del Naufragio del Museo Archeologico di Lacco Ameno La mostra Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei, prodotta ed organizzata da Palazzo Reale (Milano) con la casa editrice Electa, ideata in occasione di Expo 2015, aperta il 31 luglio 2015 si protrarrà sino al 10 gennaio 2016; essa intende presentare, attraverso più di 200 opere d’arte greca, magnogreca e romana, un aspetto poco noto del mondo classico: la rappresentazione della natura nei suoi vari aspetti, l’azione dell’uomo sulla realtà naturale e sull’ambiente. La mostra, curata da Gemma Sena Chiesa e Angela Pontrandolfo, allestita da Francesco Venezia, ha avuto il patrocinio del Mibact (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo). Vasi dipinti, terrecotte votive, statue, affreschi e oggetti di lusso come argenterie e monili aurei sono ordinati cronologicamente (dall’VIII sec. a. C. al II sec. d. C.) e per temi in 6 sezioni nelle sale di Palazzo Reale, con un’attenzione maggiore sulla produzione artistica magnogreca e in generale dell’Italia meridionale, a quella ellenistica e romana. Un focus particolare viene dedicato ai reperti archeologici di area vesuviana con una selezione di capolavori di pittura parietale pompeiana. Le prime raffigurazioni di età arcaica (nella sezione Lo spazio della natura) rappresentano una natura selvaggia: rocce, alberi, caverne ma soprattutto frequenti scene marine come nel caso del famoso naufragio, dipinto in maniera grandiosa e inquietante, del vaso della fine dell’VIII secolo a. C. dal Museo di Ischia, decorato con una famosa scena di naufragio dipinta in maniera grandiosa e inquietante. La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 25 L’emigrazione ischitana verso le Americhe Pe’ terre assaje luntane Si è svolta a Ischia Ponte (11/13 settembre 2015), a cura dell’Associazione Ischitani nel mondo, la XII edizione di Pe’ terre assaje luntane – l’emigrazione ischitana verso le Americhe. A bordo delle città galleggianti, ufficiali, cabinisti, fuochisti, cuochi e camerieri sono un esercito in continuo movimento, dalle viscere della stiva alle vertiginose altezze dei ponti. La traversata transoceanica si trasforma così in un viaggio tra rituali di aristocrazia marinara, eccellenze di tradizione gastronomica e moderni modelli di accoglienza. Sulle stesse rotte, gli emigranti ischitani, contadini, artigiani e pescatori, s'imbarcano per il Nuovo Mondo, dove sviluppare l'antica sapienza di tecniche e mestieri nella ricerca di altre "isole". I Mestieri dell'emigrante Il Mestiere dell'emigrante La storia della nostra emigrazione si biforca: ischitani in cerca di terre e ischitani in cerca di mari. I contadini s'imbarcano quando l'economia legata ai vitigni entra in crisi, come si racconta nello spettacolo "Di vino, di mare e di zolfo" che recupera la memoria di un legame con un'altra isola, Salina, intorno alla metà dell'Ottocento. Il destino dei contadini non è diverso da quello degli altri emigranti: la pura manovalanza nei grandi centri industriali, o il bracciantato. I pescatori, invece, a cui la mostra documentaria è stata in larga parte dedicata, passano dalla migrazione stagionale a quella stanziale, dalle coste algerine a quelle sull'oceano Pacifico. Trovano porti, realtà multietniche, senza rinunciare a quel senso di appartenenza che li tiene ancorati all'isola d'origine. È ancora una migrazione periodica, quella degli ischitani che lavorano a bordo delle navi mercantili e dei transatlantici. Essi acquisiscono competenze nel campo della ristorazione e dell'accoglienza che poi metteranno a frutto nella nuova stagione del turismo che cambia il volto dell'isola. Abilità marinare e di ospitalità che, nell'ambito della manifestazione, sono state rinnovate con il laboratorio a bordo della lancia d'epoca e con la 26 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 partecipazione degli studenti dell'Istituto Nautico e dell'Istituto Alberghiero. Tra i mestieri dell'emigrante c'è quello di essere emigrante. Il tema, tra letteratura e cinema, è stato approfondito nell'incontro in collaborazione con il Circolo Sadoul e l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che ha chiuso la manifestazione. Ischia - Emigrazione. «Tra il 1840 e il 1900 le correnti migratorie si dirigevano verso le coste settentrionali dell’Africa francese e verso la Francia. Dalle trascrizioni, numerosissime, de- gli atti anagrafici provenienti dall’estero, si desumono utili indicazioni circa le mete più frequenti, che erano Philippeville, Algeri, Costantina, Stora, Bona, Tunisi, Biserta. Nell’ultimo ventennio del secolo XIX parte della corrente migratoria si spostava verso la madrepatria delle colonie, la Francia, e mete erano Marsiglia, Agde, dove gli ischitani erano impiegati nei cantieri navali. La saturazione di questi paesi più vicini e il migliora- mento delle comunicazioni con l’America fecero mutare la direzione generale dell’emigrazione e così all’inizio del 1900 il maggior contingente di emigranti dell’isola si spostò verso gli Stati Uniti, specialmente negli stati di New York (New York), Rhode Island (Providence), California (Los Angeles e San Pedro); anche l’Argentina (Buenos Aires e Bahia Blanda) e il Brasile (Rio de Janeiro e S. Paolo) costituirono mete frequenti degli emigranti ischitani. Successivamente sono diventate mete di emigrazioni temporanee, spesso stagionali, la Svizzera e la Germania cui si dirigono, nell’inverno quando la stagione turistica ad Ischia è conclusa, numerosi isolani, impiegandosi come camerieri ed operai» (da uno studio di Dora Buchner Niola : L’isola d’Ischia, srudio geografico, Istituto Geogrfico dell’Università, Napoli, 1965 ). Mostra documentaria a Panza Scripta manent Lettere, documenti e manoscritti del passato Dal 13 al 20 settembre 2015 si è svota a Panza la mostra documentaria “Scripta manent – Lettere, documenti e manoscritti del nostro passato”, allestita dall’Associazione culturale Moveo. Dopo le precedenti edizioni della mostra fotografica, i giovani Panzesi hanno proposto una variazione, mantenendo però inalterato il legame con la tradizione: non fotografie ma documenti. Tante curiosità sono emerse agli occhi dei ragazzi dell’Associazione impegnati nella ricerca e selezione dei documenti sia negli archivi pubblici che nei cassetti delle famiglie della frazione: pergamene per meriti di guerra, pagelle scolastiche dell’inizio del Novecento, documenti ufficiali scritti con calligrafia elegantissima, lettere incerte di contadini, ecc. Particolarmente ricche le sezioni dedicate alla Congrega SS. Annunziata e alla Parrocchia San Leonardo Abate di Panza, grazie al priore Aniello D’Abundo, all’amico Gioacchino Polito e al parroco Don Cristian Solmonese che hanno concesso la fruizione degli archivi ai soci della Moveo. Presenti nella mostra alcuni stralci de “La frazione di Panza nell’impugnato del Comune di Forio d’Ischia” del 1903, conosciuto dai Panzesi come lo scritto in cui si riportano i confini del paese. Le parti scelte dagli organizzatori evidenziano l’ancestrale contrapposizione tra i cittadini della frazione e quelli di Forio capoluogo, attraverso accuse reciprocamente scambiate tra i consiglieri comunali rappresentanti delle due parti. Ma la sezione che ha colpito maggiormente è stata quella riguardante i due conflitti mondiali: libretti della regia marina, documenti di riconoscimento di prigionieri di guerra, lettere dal fronte; toccante l’epistolario di Paolo Morgera, nato nel 1896 e ritrovatosi in guerra appena maggiorenne, in un paese lontano da casa, senza nemmeno conoscerne i motivi. La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 27 Alla scoperta delle bellezze Il Castello Aragonese d'Ischia Negombo segnalati da più siti www.skyscanner.it Il primissimo Castello sull’isola di Ischia risale al tiranno di Siracusa, Gerone. In seguito, dopo Partenopei e Romani, e dopo moltissime altre vicende storiche nel mezzo, furono gli Aragonesi a donare alla fortezza la fisionomia attuale, che ricalca il Maschio Angioino a Napoli Accanto a Ischia, un posto coloratissimo: Procida. 28 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 Castello Aragonese. Isolotto, un prodotto di eruzione vulcanica, che si erge per circa 113 metri di altezza, «fu il primo nucleo dello sviluppo etnico dell’isola tutta, di cui può dirsi che compendi la vita preistorica e storica e ne conservi e tramandi il ricordo perenne». Spesso è detto anche Castello di Gerone. Nel 1438 Alfonso I d’Aragona se ne impadronì e ne fece la sua sede preferita. Il maniero visse il periodo di maggiore splendore nella prima metà del sec. XVI, quando vi dimorarono Vittoria Colonna ed una schiera di donne belle, colte e cortesi, intorno alle quali si radunavano cortigiani e rimatori. Nel 1874 e sino al 1890 il Ministero degli Interni abolì la colonia dei coatti e restituì al Demanio il Castello con tutti i fabbricati e all’Orfanatrofio Militare tutto il territorio coltivato, principalmente, a frutta e a vigne. Successivamente il Castello divenne proprietà di un privato cittadino, i cui eredi peraltro ne hano fatto la sede di manifestazioni artistiche e culturali. «Oggi - si legge in un libro di Enzo Mancini (1980) - visitare il Castello non è più arida passeggiata tra mura e luoghi lasciati all’usura del tempo e degli agenti atmosferici. Oggi tutto ha riacquistato, pur nell’antica veste, nuovo splendore, con sempre più ampi spazi offerti in visione al pubblico, ad eccezione del Maschio, che svetta sempre là superbo a coronare il masso trachitico. Peraltro a richiamare qui visitatori sono anche manifestazioni varie, come mostre, convegni, raccolte museali...» (r.c.). dell'isola d'Ischia i giardini La Mortella e il internet tra i più belli d'Italia www.paesionline.it Tra le meravigliose isole dell'arcipelago campano, Ischia spicca - tra le altre cose! - per questo castello arroccato a strapiombo sul mare. www.zingarate.com Agli inizi del '500 ebbe il suo periodo di massima gloria. Qui soggiornarono importanti artisti e letterati, tra cui Vittoria Colonna. Oggi è un castello molto ben tenuto con giardini ed elementi dell'antico borgo ancora intatti. www.grandigiardini.it Giardini La Mortella È un capolavoro paesaggistico e botanico contemporaneo, creato e curato da Susana, moglie di William Walton, uno dei più importanti musicisti inglesi del Novecento. Progettata in parte da Russell Page, La Mortella occupa un'area di circa 2 ettari divisa in due zone, giardino a valle e giardino superiore, che ospitano più di 3.000 specie di piante. Parco idrotermale Il Negombo Nel 1946 arriva ad Ischia il duca Luigi Silvestro Camerini; umanista e viaggiatore, è alla ricerca di un luogo dove realizzare un parco che esprima la sua grande passione per la botanica. L'incanto del posto e l'analogia con la baia di Negombo, fanno cadere la scelta sulla baia di San Montano. Qui la natura trova una delle sue più significative espressioni nelle sorgenti termali, testimonianza della storia vulcanica dell'isola d'Ischia. La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 29 XX Anniversario della morte (1995-2015) Due inedite sculture di Francesco Messina ad Ischia (Chiesa parrocchiale di Gesù Buon Pastore) di Ernesta Mazzella Nella chiesa parrocchiale di Gesù Buon Pastore in Ischia1 sono custodite due preziose sculture opera dell’artista Francesco Messina. Le statue sono di media grandezza, raffigurano la Vergine Maria e San Giovanni ai piedi della Croce. Esse sono collocate ai lati dell’altare, poste specularmente l’una all’altra, donate alla chiesa parrocchiale dal compianto Cardinale Virgilio Noè, arciprete della Basilica Vaticana. Le due opere purtroppo sino ad ora non sono state oggetto di studio e di pubblicazione. Sculture preziose sia per il loro intrinseco valore artistico che per la loro bellezza, ma soprattutto per la firma posta dal loro Autore. Francesco Messina è stato un grande sperimentatore di stili e linguaggi navigando tra il gusto verista e secessionista. È ritenuto dalla critica tra i maggiori scultori figurativi del Novecento italiano, insieme a Giacomo Manzù, Arturo Martini, Mariano Mariani e Felice Mina. Nasce a Linguaglossa, in provincia di Catania, il 15 dicembre 1900, da Angelo e Ignazia Cristaldi. Con la speranza di emigrare in America, agli inizi dell’anno successivo i genitori si imbarcano alla volta della città di Genova, ma sono costretti a stabilirsi nella città ligure, dove, dal 1907 al 1909, il fanciullo Messina frequenta le scuole elementari ed inizia a lavorare come garzone marmista nel laboratorio Rigacci e Callegari. Vero talento precoce, egli trascorre un’adolescenza se1 A. Di Lustro – E. Mazzella, Insulanae Ecclesiae Pastores, I pastori della Chiesa di Ischia, in Quaderni dell’Archivio Storico Diocesano di Ischia, Gutenberg Edizioni, Fisciano 2014, p. 163. 30 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 gnata dalla povertà, dividendosi tra il lavoro e la frequentazione di una scuola serale di disegno tenuta dallo scultore Tassara. Nel 1913 si iscrive all’Accademia ligustica di belle arti. L’anno seguente entra nella bottega dello scultore cimite- riale Scanzi, dal quale apprende la tecnica del modellato. Nell’autobiografia2 si legge che dal 1915 il Messina inizia a rea2 F. Messina, Poveri giorni. Frammenti autobiografici incontri e ricordi, Rusconi Editore, Milano1974, pp. 52, 54 s. Ischia -Parrocchia di Gesù Buon Pastore La Vergine Maria e particolare della statua (opera dello scultore F. Messina) Ischia -Parrocchia di Gesù Buon Pastore San Giovanni e particolare della statua (opera dello scultore F. Messina) lizzare in modo autonomo e ad esporre le prime sculture in gesso e in marmo. Fondamentale è la prima serie di medaglie dedicate ai personaggi illustri, ove l’Artista si imbatte nel rilievo, risolvendolo con un disegno sinuoso e levigato di tradizione simbolista3. Il suo stile cambia rotta dopo l’incontro con Arturo Martini, avvenuto alla I Mostra del Novecento italiano nel 1926. Il rapporto tra i due scultori è di grande stima e amicizia, e contribuisce a rafforzare nel Messina il mito della statuaria primitivista e classicista. Nel 1929 partecipa alla II Mostra del Novecento italiano e tiene la prima personale alla galleria di Milano, presentato in catalogo dal Carrà4. Rappresentativi del cambiamento maturato dall’Artista in questi anni sono: la prima versione degli Amanti dove il modello arcaico ed etrusco d’impronta martiniana appare sostanziato da un impeto formale di ascendenza picassiana, e il ritratto di Piero Marussig nel quale l’espressività del volto segna la matura svolta antiaccademica. Si trasferisce a Milano dove, nel 1934, vince la cattedra di scultura all’Accademia di Brera della quale, due anni dopo, ne diviene il direttore. Lo studio, mai interrotto, dell’arte antica e del Quattrocento, lo conduce a declinare nelle sue opere verso un riesame storicista di tipo realista, secondo cadenze intime e personali, attenendosi a pochi temi che caratterizzano l’intera produzione successiva: il ritratto, gli atleti e le giovani figure femminili. Tra le opere si ricordano: Il pugile, Il pugile caduto, i quali impres3 Le medaglie di Francesco Messina, introduzione di C. Bertelli, testi di J. Cocteau, E. Montale, S. Quasimodo, Editore Credito Artigiano, Milano 1986. 4 C. Carrà, Francesco Messina scultore, catalogo, Editore Galleria Milano, Milano 1929. sionano i contemporanei per l’eloquente ricercatezza dei corpi e per la capacità di esprimere il senso della forza attraverso il modellato morbido e la tenerezza della carne. Esemplari sono il Galetto e il Nuotatore in cui l’analisi realistica e la vitalità espressiva del modellato ricordano le statue di Donatello e del Verrocchio. Tra il 1932 e il 1938 il Messina realizza le prime sculture policrome con le quali, superando l’asciuttezza dei ritratti virili, sviluppa il tema della grazia e dell’eleganza femminile, coniugando la verità della forma con l’invenzione irreale del colore. L’attività del Messina non si interrompe durante la guerra anzi continua ad esporre alla III Quadriennale, nel 1939; XXII Biennale di Venezia, nel 1940, ed ha l’incarico di realizzare una quadriga in bronzo per il prospetto del palazzo delle Esposizioni, che a causa del conflitto non riesce a concludere. Il Messina non sempre è stato compreso dalla critica italiana più modernista. Egli conduce con intima sicurezza un percorso estetico autonomo e coerente. Lo studioso Cocteau, in un saggio, rintraccia persino nelle opere più abbozzate la sostanza mediterranea della sua scultura, caratterizzata non tanto dalla somiglianza figurativa, quanto da quella particolare vibrazione con cui risolveva il modellato, senza sfiorare mai il deforme e cedere al rischio della caricatura. La ricerca del dinamismo gli ispira il tema dei cavalli in movimento nel quale la critica rileva il passaggio da una plastica intesa come armonia, «sotto il segno di Apollo», a una dinamica e «dionisiaca» in cui colpiscono il ritmo ininterrotto dei dati scultorei e la potenza fremente che rispecchia «la terribile vitalità della natura5». La sua grande padronanza di gestire i diversi materiali permette al Messina di esprimersi con ogni 5 G. Bazin, Francesco Messina, Fratelli Fabbri Editore, Milano 1966, pp. 8 ss. dimensione, da quelle minime dei bronzetti a quelle monumentali in marmo. Gli anni Sessanta sono ricchi di sperimentazioni sul piano stilistico, prosegue nella ricerca di forme naturali dal modellato solido e vibrante, realizza la monumentale statua in marmo di Santa Caterina da Siena posta nei giardini di lungotevere Castello in Roma. Per la basilica di S. Pietro realizza il Monumento a Pio XII, una grande scultura concepita per rendere in pieno, nella verticalità dei volumi e nella vitalità cromatica della superficie, la statura ecclesiastica del pontefice benedicente. Paolo VI afferma «siamo contenti di vedere sigillata nel bronzo dalla perizia, dall’arte dello scultore Messina, la maestosa e qui impressionante figura del Papa Pio XII. E siamo contenti perché ci sembra che il monumento non sia uno sfoggio di fasto vanitoso, ma un segno di pietà, di bellezza e di storia, che reca non solo decoro nuovo alle pareti di questa Basilica …6». Negli anni seguenti aumenta sempre di più l’impegno in opere a carattere monumentale; nel 1966 realizza per il palazzo della Rai (viale Mazzini - Roma), la monumentale scultura del Cavallo morente, diventata poi un vero e proprio simbolo dell’azienda televisiva. Le opere isclane si presentano modellate in un morbido panneggio. Sono creature caratterizzate, pur nella sinuosità quasi impressionista del modellato e nella suggestiva tecnica delle striature, come immagini plastiche forti e vitali. Il loro espressivo e struggente dolore è reso con la massima compostezza. Le opere sono riconducibili alla scultura della Santa Caterina da Siena. Il Messina muore a Milano il 13 settembre 1995. Ernesta Mazzella 6 Discorso di Paolo VI per il XXV anniversario della incoronazione di Pio XII. http://www.vatican.va La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 31 Associazione culturale "Le ragazze baranesi anni '60" Tradizioni e cultura popolare di Antonio Schiazzano Alla ricerca della memoria perduta…e ritrovata! Sembra essere proprio questo il motivo conduttore che ha ispirato l'Associazione culturale “Le ragazze baranesi anni '60” a profondere tutte le loro energie nell’allestimento, con cadenza annuale nel mese di agosto, di una bellissima mostra che ripercorre nel tempo tra foto, ricordi, documenti e testimonianze la vita culturale, economica, politica e sociale del comune baranese. Un gruppo di amiche che hanno trascorso insieme la loro infanzia - spesso spensierata e talvolta anche un poco bohemienne - e che occasionalmente si ritrovano nell’agorà di Piazza S. Rocco, cuore pulsante del paese natio, a rivivere e rinverdire gli innocenti giochi di un tempo che fu. Incentivate da entusiasmo e passione, si sono dunque dedicate alla creazione di una vera e propria associazione culturale, il cui scopo precipuo diventa la ricerca della propria identità ed il recupero della memoria perduta, attraverso la valorizzazione di luoghi e personaggi caratteristici e caratterizzanti del proprio paese. “Le tradizioni e la cultura popolare sono la ricchezza di un popolo, tramandarle vuol 32 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 dire conservare la ricchezza di quel popolo…” recita sul frontespizio l’opuscolo della manifestazione, che ogni anno propone temi diversificati. Lo sforzo delle Ragazze baranesi, ovvero ritagliare una finestra sul passato per riscoprire le emozioni del presente, merita un sincero encomio ed apprezzamento, se non altro per la capacità e la competenza con cui hanno promosso, realizzato ed abbellito questa mostra, unica nel suo genere. Un’associazione nata quasi per gioco, ma nel tempo diventata una vera e propria fucina di creatività, un laboratorio tangibile e multimediale di valorizzazione di luoghi storici o semplicemente scorci di vita quotidiana, che punta lo sguardo sulla gente comune, immortalata nelle foto spesso ingiallite dal tempo, nei momenti più familiari, intimi, nelle proprie attività lavorative o semplicemente nei momenti di riposo o di svago. Dal 2011 le Ragazze baranesi ripropongono temi di vita passata e nella V edizione appena conclusa hanno rievocato attraverso foto, documenti, scenografie e letteratura d’autore alcuni personaggi di indiscusso rilievo e prestigio del paese; il risultato è un affresco attraente e gradevole che valorizza e ripaga ampiamente gli sforzi degli organizzatori. La V edizione di “Barano si ricorda…”, che ha avuto come titolo “E di essi … si illuminò il paese”, è stata curata in ogni dettaglio, grazie anche alla perizia artistica del maestro Antonio Cutaneo, che ha saputo ricostruire mirabilmente case, edifici pubblici, monumenti, pezzi architettonici e storici, spaccati classici di Piazza S. Rocco. La mostra era articolata in quattro sezioni: nella prima è stato rievocato il mondo economico del paese ed i suoi esercenti durante gli anni 50/60; nella seconda si è ripercorsa la vita di uomini che si sono distinti per le loro capacità artistiche, professionali ed impegno civile; nella terza è stata ricordata Stella Conte, sarta e ricamatrice del paese da anni immemorabili, scomparsa questa primavera; nella quarta è stato possibile assistere alla proiezione di un video che sintetizzava la storia politica di Barano dal 1946 al duemila, attraverso l’opera dei suoi sindaci. Un momento intenso e particolarmente suggestivo si è avuto sabato 22 agosto nella scuola elementare di Barano, sede della mostra, allor- quando sono stati ricordati tre baranesi illustri: il dottor Michele Garofalo, farmacista storico di Barano centro nonché ispirato rimatore, Michele Amalfitano, dipendente comunale ma soprattutto fine musicante, ed Alfonsiano Iacono, poliedrico intellettuale fondatore dell’Atletica Isola d’Ischia ed organizzatore della mitica Straischia degli anni ’70; tutti personaggi noti ai più per la loro bonomia, signorilità e professionalità, ma anche autori di testi letterari, dei cui brani è stata proposta la lettura con l’accompagnamento della chitarra di una memoria storica del paese, Vincenzo Lombardi. La serata è stata impeccabilmente condotta dall’avv. Giuseppe Di Meglio, relatore, e dai lettori Anna Maria Agostino e Crescenzo Versiero. La manifestazione è stata seguita da un folto e partecipativo gruppo di visitatori, isolani e turisti, che non si è risparmiato nell’esternare il proprio gradimento ed apprezzamento per l’iniziativa, incoraggiando le ragazze a proseguire nell’attività di recupero e valorizzazione delle tradizioni popolari. Scintillio di lucciole… il risveglio ancora meno; ci si curava con rimedi naturali, utilizzando erbe e prodotti che le nostre terre offrivano. In questa stagione la natura si risveglia, la campagna si ripopola di lucertole, insetti, serpenti ed i cieli sono nuovamente popolati da farfalle e splendidi uccelli: è tempo di straordinarie avventure. Mentre le bambine vanno a raccogliere viole e ciclamini, i maschietti vanno alla conquista di prede succulenti; sono ormai giunti gli uccelli da trappola, così si va alla ricerca delle esche da usare con le trappole, carùle e vesacce. Non appena si vede qualcuno di questi uccelli, giù a preparare le chiazze ed apparare le trappulelle per catturare cularosse, favaiole, rescignuole, scellaiatte, petaruozze, colaianche... e che gioia se nella trappola rimane incastrato il re di questi uccelli: ‘u crasteco. Gli uccelli catturati costituivano un’ottima pietanza in tempi in cui il secondo non era presente tutti i giorni sulla tavola. Sempre per procurarsi un po’ di cibo in più, anche i grandi andavano a caccia e, mentre facevano la posta alle tortore, a molti ragazzi veniva data la possibilità di sparare alle fucetole con dosi dimezzate di piombo (mezza botta). Un tempo le stagioni, il clima e le tradizioni scandivano l’alternarsi di ritmi ed abitudini; ogni stagione era caratterizzata dai propri sapori, lavori, giochi, intrattenimenti, consuetudini e tempi. In questo terzo fascicolo1 vogliamo rievocare il risveglio della natura e l’inizio della vita all’aria aperta, quando finalmente si poteva uscire nei cortili e svolgere tutte le attività della giornata nel caldo tepore del sole primaverile. Le ore di luce sono tante e ancora di più le cose da fare, in campagna, in casa e in paese. San Benedetto, la rondine sotto il tetto - La primavera è già arrivata da alcuni giorni e la temperatura comincia a salire. Si aspetta con ansia di poter toglier dai piedi gli ingombranti scarponi invernali e calzare i semplici zoccoli di legno costruiti in maniera artigianale dal proprio padre con il legno dei pioppi delle Chianole e con tante centrelle per impedirne una rapida consumazione. E che gioia quando, alla fine di aprile, arriva l’agognato permesso: “guagliù, potete andare scalzi”. E allora via a correre a piedi nudi per terreni e viottoli ed anche su strade più grandi percorse da qualche carretta, da non troppe macchine e da qualche pullman della SEPSA, stando ben attenti a non incocciare in un pezzo di vetro: nel caso c’era sempre a casa un po’ di vino con cui disinfettare l’eventuale ferita. Dal medico si andava raramente e i medicinali si compravano 1 Associazione culturale “Le ragazze baranesi anni ’60”, Scintillio di luce… il risveglio – Ricordi, ricette e rimedi naturali, 2014. C’era poi chi preferiva la cattura di alcuni uccelli con le pesaròle, sorta di trappola posta in cima ad un palo, e con le gabbie. Una volta avvistata una lucertola, ci si appostava tenendole sospeso il cappio davanti ed appena questa vi infilava la testa, si tirava stringendo, quando la malcapitata cercava di allontanarsi. A volte la crudeltà dei bambini era esasperata agli estremi; difatti si portava la povera lucertola agonizzante in giro per spaventare i compagni di gioco. La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 33 Come già negli anni precedenti, l’associazione ha incorniciato l’evento con la pubblicazione di un opuscolo, in cui sono stati assemblati detti, racconti, ricette e memorie del passato, tutti legati in questa edizione al tema della stagione estiva. Presidente e anima dell’associazione è la signora Lina Balestrieri, che ha illustrato la storia di una manifestazione che merita a pieno titolo di avere un posto di rilievo nel panorama culturale isolano. “Tutto cominciò per caso la sera di S. Sebastiano del 2005 quando ci ritrovammo in Piazza S. Rocco, un gruppo di amiche, dopo tanto che non ci vedevamo. Ci scambiammo un po’ di notizie e cominciammo a ricordare episodi dell’infanzia e dell’adolescenza vissuti nei vicoli baranesi. I ricordi erano tantissimi ma tutte rievocammo le giornate precedenti il Natale quando ci divertivamo a giocare a nocelle, fu così che decontinua a pagina 37 Con l’allungarsi delle giornate la sera ci si ritrovava in piazza per giocare al trentuno a squadre. Divisi in due squadre, stabiliti i confini entro cui il gioco doveva svolgersi, a turno ci si nascondeva e l’altra squadra doveva trovare tutti coloro che si erano nascosti, in particolare il capo. Talvolta la ricerca durava alcune ore - non era facile trovare chi si era nascosto bene nella cava di Barano o a Rosanuvella - e qualche volta il caposquadra rimaneva nascosto senza rendersi conto che tutti gli altri erano andati via. Oltre al trentuno a squadre c’era il trentuno individuale che si giocava nelle corteglie; si iniziava nel tardo pomeriggio e si finiva a tarda serata, ma prima del ritorno a casa un menale in un orto vicino era dovuto. Ci si intrufolava nel campo e giù a fare una bella scorpacciata di piselli, fave, ciliegie, a volte però la serata finiva con le grida del padrone e qualche minaccia di una “schioppettata” e allora via a gambe levate, tra risate a crepapelle e batticuore. Se per i bambini la primavera era solo fonte di gioia rinnovata, di giochi e avventure all’aria aperta, per gli adulti segnava l’inizio di un nuovo ciclo di lavori in campagna. Si suddivideva la giornata in due parti: nella prima si andava a servizio presso proprietari di altri terreni dietro compenso, mentre nella seconda parte si svolgevano le stesse attività ma nel proprio terreno. Fave, piselli e carciofi costituiscono gli ingredienti della cianfotta2, un piatto molto comune e frequentemente presente a tavola in questo periodo. Spesso 2 Zuppa composta da varie verdure ed ortaggi che, accompagnata dal pane, è un piatto unico. 34 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 veniva arricchita anche con pancetta affumicata di casa, quella preparata qualche mese prima in occasione dell’uccisione del maiale cresciuto nel casiello poco distante da casa. Che dire poi di “fave e ventresca” assieme a un bel bicchiere di vino bianco! Col passare dei giorni i tralci delle viti continuano a crescere ed il numero delle foglie ad aumentare. San Giorgio si avvicina ed è tempo di pensare ad irrorare le viti con poltiglia bordolese, a base di solfato di rame e calce, in idonea proporzione; in ogni campo, anche lontano da casa, c’è una vasca costruita per questo scopo: lì si prepara la “zurfata” che viene poi distribuita sulle viti usando pesanti pompe di rame: anche la donna deve contribuire al lavoro, correndo a riempire la pompa ogni qualvolta essa si svuota. Intanto si seminano i legumi che saranno consumati anche secchi in autunno ed in inverno. Sono in genere fagioli ma c’è chi non disdegna di seminare anche ceci, lenticchie e chichierchie. Più o meno nello stesso periodo si trapiantano le piantine di pomodoro prendendole dalla piecia dove i semi erano stati messi a dimora qualche mese prima. Le ciliegie intanto cominciano ad ingrossarsi ed a mostrare il loro colorito rosso: gli uccelli, in particolare le fucetole, sono i primi ad accorgersene ed allora è una corsa a riempire le piante con carte, stoffe, pupazzi e qualsiasi altra cosa che possa spaventare gli uccelli. Non è raro raccogliere ciliegie su una scala, che può essere anche di dodici gradini, mentre una “fucetola” accanto a te tranquillamente continua a beccare la ciliegia più bella! Una volta raccolte le ciliegie (napulitane, tustarelle, cannamel, mulignane) vanno scelte: si tolgono quelle non perfettamente mature o pizzicate dagli uccelli e si prepara la cufanella per poter andare a venderle a Ischia. Alle quattro di notte ci si sveglia (in genere la donna con qualche figlio), ci si prepara e ci si avvia alla volta di Ischia, al mercato. Lungo la strada si incontrano altre donne, ciascuna con la sua cufanella di ciliegie in testa o qualche altro prodotto nel cesto (fave, piselli, limoni, origano...). Non è raro incontrare qualcuno che viene in particolare da Buonopone o Fontana che in testa ha un fascio di rampegne (gramigna), cibo molto gradito ai cavalli dei “signori” o di quelli che hanno carrozza e cavallo per portare in giro i primi turisti. Con l’avanzare della bella stagione il lavoro nei campi si intensifica. Alla fine di maggio cominciano a maturare le albicocche e le prime pesche, le maggesi, che sostituiranno a tavola ciliegie e nespole che ormai stanno per terminare. Qualche pioggia primaverile ha favorito la crescita sul terreno di erba che deve essere eliminata : s’adda scorre ‘a terra, non è una zappatura profonda come quella di marzo, ma è comunque faticosa, non fosse altro che per il sole che comincia a picchiare. L’uva intanto inizia a sfiorire e bisogna effettuare la lotta contro l’oidio; ecco allora che si tira fuori il mantice, nel quale viene messo lo zolfo che viene soffiato abbondantemente sulle viti. Più tardi, dopo aver opportunamente sfrunnato ‘e vvite si fa la seconda menata ‘e zurfe, questa volta molto più leggera: si deve “sciuscià” l’uva. A sera, comunque, è un continuo stropicciarsi gli occhi che chiàgnene per l’irritazione causata dallo zolfo e non c’è acqua o sapone che tenga per farla passare. È una corsa continua per il contadino: tra la cura delle viti e del terreno (e non dimentichiamo che allora non si usava buttare insetticidi sulle piante da frutto, per cui delle magnifiche pesche gialle, ideali per mettere nel vino, si prendeva solo una piccola parte e si buttava il fraceto) non c’è un attimo di tregua: è questo il periodo in cui a terr t’atterre. Arriva finalmente il 24 giugno, l’estate è già iniziata da tre giorni e si può smettere con i trattamenti, fedeli al detto: A San Giuvanne s’appenne ‘o mantice. Si può finalmente correre ai Maronti, stendere un lenzuolo fra due barche e godersi qualche giornata di meritato riposo. Come per i loro uomini, anche per le donne la fatica aumentava, anzi per esse triplicava, infatti si dovevano destreggiare nelle lunghe giornate primaverili, tra casa, terra, figli e conserve. Per i bambini la primavera rappresentava un importante periodo dell’anno, come per tutta la natura, ad essa si associava la ripresa della crescita che il lungo inverno aveva rallentato. Per dare un aiuto in questa importante fase della vita le mamme erano solite effettuare una sorta di purificazione generale dell’organismo, cominciando con la somministrazione di due cucchiai di olio di fegato di merluzzo che garantivano rinforzo fisico e riequilibrio intestinale, vigore e pulizia interna prima della bella stagione. L’ultimo venerdì del mese di marzo poi, a primavera appena iniziata, tutti i bambini della famiglia, di ogni genere ed età, erano sottoposti al rituale taglio di capelli fatto dalla mamma: si trattava di una sommaria spuntatina fatta in casa propria, con estrema economia, con molta approssimazione e strumenti di fortuna, qualsiasi paio di forbici che si trovava in casa andava bene. Purtroppo non sempre il risultato era perfetto, non era difficile incontrare, in quel periodo, bambine con la frangetta sbilenca o capelli che toccavano la spalla soltanto da un lato, ma era una operazione indispensabile in questo periodo per rinforzare e rinfoltire i capelli. Col bel tempo anche la casa veniva rinnovata con le grandi pulizie pre-pasquali. Si toglieva ‘a cuperta ‘mbuttita, u mullettone, che per più giorni veniva stesa al sole e scossa con il battipanni. Bisognava eliminare gli odori ed i malanni dell’inverno! Si sostituiva con coperte più leggere, molto simili alle coperte militari. Si tiravano fuori da scatole di cartone, di solito nascoste sotto i letti, e si lavavano gli indumenti estivi di tutta la famiglia conservati l’inverno precedente. Il focolare veniva tirato a lucido e tutti gli oggetti in rame sceriati con cenere e limone. Si tiravano fuori i tegami scheggiati perché era ormai prossimo l’arrivo ‘u congia tiane, che con uno speciale mastice ed un trapano li riparava in modo da essere di nuovo pronti per il pranzo pasquale a cui ci si preparava per tempo. Bisognava inoltre dare una affilata a tutti La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 35 i coltelli di casa, soprattutto a quelli che si usavano per macellare polli e conigli. In un grande cassetto di legno si conservavano le uova che sarebbero servite per i vari piatti pasquali e per le ceste che le ragazze erano solite preparare per portarle in dono alla futura suocera. Si lavavano i vetri con acqua e aceto facendo attenzione a non ferirsi con i divisori in ferro. Se era possibile si tinteggiava la casa con calce bianca e si dava una mano di pittura alle porte. Non si fermava il lavoro di cucito, dei cesti in raffia o del ricamo, ma ormai si lavorava all’aperto, nella curteglia chiacchierando con le amiche fino a quando la luce del sole lo permetteva. Tanti erano i fiori coltivati: fucsie, fiori d’angelo, piselli odorosi, garofani di montagna, gerani, bocche di lupo, malvoni, gardenie, dalie, camelie, ortensie, belle di notte, glicini, gelsomini, ed altri ancora, tuttavia, nonostante la bellezza di tutti questi fiori, le rose risultavano sempre i fiori più pregiati. Molteplici erano gli usi cui esse erano destinate, se ne raccoglievano grandi fasci per addobbare tombe ed altari, questi ultimi in modo particolare per tutta la durata del mese di maggio; i petali, invece, erano raccolti per la festa dell’Ascensione. In quest’occasione, la sera precedente si ponevano i petali in una bacinella con acqua, lasciata all’aperto sui balconi o in giardino passava l’angelo e la benediceva durante la notte. La mattina seguente tutti i componenti della famiglia utilizzavano l’acqua benedetta con i petali profumati per lavarsi il viso. E che divertimento per i bambini lavarsi in compagnia e strofinare quei petali profumati sul viso, magari lasciandoli attaccati qualche secondo in più del necessario! Quanta gioia in queste piccole cose che magicamente si trasformavano in divertimento per gli animi semplici dei bimbi di quel tempo genuino. Durante i lavori all’aria aperta il profumo intenso dei fiori di camomilla essiccati al sole contrastava con l’acre odore delle alici messe sotto sale. Le donne “testaccesi”, per permettere ai mariti pescatori di riposare, raccoglievano il pescato in tini e posti in testa sopra ‘u turtielle, giravano per le strade vendendo e dando la voce aluzze, accattateve aluzze. 36 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 Le fave e i piselli non consumati freschi giacevano al sole in mezzo alle corteglie, mentre le piante venivano utilizzate come mangime per gli animali; i semi, sgranati, venivano ben riposti in sacchi di iuta, una parte veniva consumata d’inverno in gustose zuppe o minestre, un’altra serviva per la semina del nuovo anno. Gli ultimi carciofi raccolti si mondavano e si conciavano in vasetti con olio e aromi per essere consumati d’inverno, arricchendo le insalate serali. In maggio la devozione a Maria era anche motivo di uscite serali in piazza per partecipare alla messa a cui seguiva una processione dalla chiesa di San Sebastiano alla congrega, durante la quale si recitava il rosario. In casa i bimbi preparavano e curavano tutti i giorni gli altarini, allestiti per onorare e pregare la mamma di Gesù. Uno scatolo di scarpe vuoto era ottimo per l’utilizzo, giacché capovolto era un perfetto altare su cui poter poggiare la statuina della Madonna, davanti alla quale si offrivano quotidianamente i fiori freschi e la luce di una piccola candela, la cui fiamma non si lasciava mai spegnere. Spesso la fantasia dei piccoli dava un tocco personale alla tradizione, aggiungendo all’altarino le lucciole che rubavano alla corteglia offrendole alla Madonna per allietare i suoi occhi di uno spettacolo che giudicavano imperdibile. Le mettevano sotto un barattolo capovolto, spegnevano la luce e guardavano estasiati la bellezza del piccolo trono mariano. Ma, meraviglia delle meraviglie, al mattino seguente non c’era più nessuna lucciola, né viva né morta, sotto il barattolo o nei dintorni: sicuramente appena i bimbi andavano a letto qualcuno in famiglia, mosso da pietà verso le povere malcapitate, le aveva rimesse in libertà. La processione del Corpus Domini era l’occasione per addobbare balconi, strade e portoni, dove si improvvisavano piccole cappelle per permettere, durante il percorso, al “Santissimo” una sosta di preghiera. All’alba ci si ritrovava, piccoli e grandi, per andare a raccogliere ginestre e fiori di campo che servivano per le “infiorate” lungo le strade. Per allestire le cappelle tutte le donne delle diverse contrade tiravano fuori dalle casse i capi più belli del proprio corredo. segue da pagina 34 cidemmo di ritrovarci il Natale successivo con un sacchetto di nocciole a riprovare a giocare istituendo un torneo. Così fu e quando nei freddi giorni di dicembre scavammo la fossa a “mern’ a cava” fu un tripudio di emozioni. Trascorremmo momenti di grande complicità e gioia nello stare insieme. Di anno in anno il torneo si è sempre più arricchito e perfezionato mettendo anche in palio coppe per ricordare alcuni nostri amici scomparsi. Il gruppo si incontrava anche in altri momenti dell’anno per trascorrere piacevoli serate fino a che, ad un certo punto, si pensò di non tenere i ricordi come patrimonio esclusivo ma di metterli a disposizione di chi voleva mantener viva la memoria di un tempo passato. Fu così che nacque l’associazione culturale “Ragazze baranesi anni ‘60”, senza scopo di lucro ma con la finalità di promuovere l’aggregazione sociale attraverso lo svolgimento di attività atte soprattutto alla valorizzazione e alla riscoperta delle nostre tradizioni. Il torneo natalizio rimane ancora oggi molto importante e da alcuni anni l’associazione partecipa ai giochi natalizi di Panza, sfidando un gruppo di colleghe panzesi. Nel 2011 mettemmo in atto il primo evento estivo. Dopo un’accurata ricerca organizzammo una mostra fotografica nello storico portone in piazza, accanto alla farmacia. Ciò suscitò molto interesse e nel 2012 negli spazi della scuola elementare, messi gentilmente a disposizione dalla direttrice scolastica, oltre ad ampliare la mostra fotografica, ricostruimmo una casa ed una cantina degli inizi del secolo con oggetti originali ed altri fedelmente riprodotti. Nel 2014 fu il momento di ricordare un baranese che ha immortalato visivamente la storia del paese, il fotografo Angioletto Di Scala. Tutto l’evento raccontava con oggetti e foto la vita di questo personaggio legata indissolubilmente alla vita di tanti altri. L’evento del 2014 è stato dedicato alla storia politica del comune dal dopoguerra al 2000, sempre con foto, aneddoti e documenti originali. Nel 2015 è stato bello ricordare alcuni baranesi, commercianti e uomini di cultura. Abbiamo inoltre cercato di riprodurre alcuni portoni storici della piazza. Ogni anno, sempre negli ambienti della scuola, oltre all’evento in corso, è possibile assistere alla proiezione di un video che sintetizza i lavoro dell’anno preceden- te. Negli ultimi quattro anni le ragazze hanno creduto opportuno realizzare anche degli opuscoli che raccolgono ricordi, ricette antiche di una cucina povera, racconti, filastrocche, etc. Il primo racchiude essenzialmente proverbi baranesi, il secondo nenie, giaculatorie e la vita legata all’inverno, il terzo rimedi naturali e ciò che si faceva in primavera, il quarto conserve e ricordi d’estate. I progetti e il desiderio di poterli realizzare sono ancora tanti, purtroppo, non avendo una sede diventa tutto più difficile ma le ragazze non si arrendono e già guardano oltre. Altra iniziativa dell’associazione che va avanti già da alcuni anni è quella di organizzare corsi gratuiti per il recupero delle arti che vanno estinguendosi. Da novembre a marzo è possibile partecipare a corsi di ricamo, uncinetto, maglia, cestini con la raffia, canestri e chiacchierino.” Appuntamento, immancabile e diremo d’obbligo, è per il prossimo agosto per ravvivare la memoria con nuovi personaggi, nuove riscoperte, nuove emozioni… *** Opuscoli 2011- Barano si ricorda Tra i sapori della saggezza popolare Ricette antiche, detti popolari, ricordi e curiosità dei tempi andati 2012 I luoghi le attività di un tempo Alla fioca luce del lume - Nenie, preghiere e racconti dei tempi andati 2013- Un paese attraverso l’arte di un suo fotografo: Angioletto Di Scala Scintillio di lucciole…il risveglio - Ricordi, ricette e rimedi naturali 2014- I Sindaci del Comune di Barano dal 1946 al 2000 foto ricordi, documenti della vita politica passata Stridon le cicale…è estate! - Ricordi, ricette e conserve 2015- E di essi… si illuminò il paese Cadono le foglie...è tempo di castagne! Antonio Schiazzano La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 37 Colligite fragmenta, ne pereant Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia A cura di Agostino Di Lustro La Chiesa di Sant'Anna presso gli scogli Sul lato destro della prima cappella della cripta della cattedrale del Castello sono affrescate tre figure di Santi i cui nomi si leggono sulla base. Sono: S. Francesco, Sant’Anna, San Ferdinando. Discutere sull’epoca alla quale assegnare questi affreschi non rientra nelle finalità di questa rubrica, ma ci rendiamo conto che non tutti gli studiosi che si sono interessati dei cicli di affreschi presenti nella cripta della cattedrale del castello, sono riusciti a dare una datazione certa né una valutazione sicura del loro valore artistico. La presenza di San Ferdinando re potrebbe far pensare alla seconda metà del secolo XV, cioè alla presenza aragonese a Napoli, visto che si tratta di un Santo venerato dai sovrani aragonesi che più volte ne portano il nome. A noi interessa maggiormente la presenza di Sant’Anna della quale, se questa è la più antica raffigurazione della Santa che troviamo in Ischia, non è certamente il documento più antico che attesti il suo culto. Infatti nell’antica cattedrale, già dalla fine del secolo XIV, esisteva una cappella dedicata alla Santa sulla quale, tra l’altro, l’Onorato ci fa sapere che «nel 1396 trovandosi di già morto in Ischia Guidone Massa, si venne ad estinguere, e finire la di lui famiglia, la quale possedeva nella cattedrale con titolo di patrono la cappella di Sant’Anna. Esso vescovo fra Nicola Tinto appunto nell’anzidetto anno 1396 avendo stimato essersi a sé come vescovo devoluto il jusso del patronato dell’altare di Sant’Anna, lo conferisce, lo cede a Nicola di Massa Primicerio dell’anzidetta cattedrale, ed al di lui fratello Petrillo, asserendo, che gli antenati de’ prefati Primicerio, e Petrillo, erano, stavano sepolti nella cattedrale. Cotale notizia si osserva rilevata, e notata fin dal 1788, all’orchè ricercandosi per vantaggio e per l’onore di esso Capitolo 38 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 le antiche pergamene, s’incontrò un’istromento in pergamena scritto e distinto colla lettera B, ove venivano significate l’enunciate cose1». Il culto di Sant’Anna è stato sempre presente nella nostra chiesa cattedrale ed è stato zelato particolarmente dal Capitolo. Oltre alla cappella della cattedrale, questo ha curato,forse, anche la costruzione di una cappella fuori le mura della città, presso il mare e appena fuori il borgo di Celsa, verso la parte orientale, a pochissima distanza dagli scogli oggi chiamati, appunto, «scogli di Sant’Anna» . Non ci dato conoscere l’epoca della costruzione di questa cappella, ma possiamo affermare che essa era proprietà del capitolo della cattedrale. Lo rileviamo da quanto ci fa sapere un documento giunto in copia sino a noi che costituisce anche l’unica testimonianza che possediamo su questa cappella. Infatti il 15 settembre 1519, sesto del pontificato di papa Leone X, Giovanni Marino Amalfi, canonico procuratore della cattedrale d’Ischia, e Berardino Galatola , in presenza del «nobilissimo Berardino Galatola» afferma che negli anni passati fu redatto un documento ufficiale a proposito di una concessione fatta dal Capitolo il 18 aprile 1498 per mano del notar Baldassarre Mellusi2. La sopraggiunta morte del notaio 1) V. Onorato, Ragguaglio istorico-topografico dell’Isola d’Ischia, manoscritto 439 del fondo San Martino della Biblioteca Nazionale di Napoli, ora in E. Mazzella, L’Anonimo Vincenzo Onorato e il Ragguaglio dell’Isola d’Ischia, Fisciano Gutemberg Edizioni 2014 p. 218. 2) Tra XV e XVI secolo sono almeno cinque i notai esponenti della famiglia Mellusi dei quali possediamo qualche notizia. Il primo del quale abbiamo notizia è Antoniello del quale sono attestati atti rogati tra il 18 gennaio 1448 (CRS fascio 90 bis, f. 289), e il 14 aprile 1476 (ibidem, f. 243). Il secondo è Gasparro del quale sono attestati atti rogati dal 1472 (CRS fascio 90 bis f. 291 n. 197) al 1496 (ibidem, f. 294). Poi abbiamo il nostro Baldassarre del quale ho trovato citato atti rogati tra il 28 agosto 1487 (ibidem, f. 291) e il presente atto su Santa’Anna del 18 aprile 1498. Poi viene Giovanni del quale possediamo una pergamena originale inserita nel fascio 110 del CRS con la quale Antoniello però non permise la stesura pubblica e ufficiale dell’atto di concessione per cui tale operazione fu condotta a termine dal notaio Marzio de Madio3 che, per concessione apostolica, aveva ottenuto la facoltà di compulsare gli atti del notaio Baldassarre Mellusi nei luoghi ove fossero conservati e di redigere gli atti non ancora forniti delle solennità del rito. Il de Madio, dopo aver consultato i protocolli notarili del notar Baldassarre Mellusi e in forza del potere a lui concesso da Leonardo, cardinale presbitero del titolo di Santa Susanna e penitenziere di papa Leone X, redige gli atti ufficiali di tale concessione secondo le norme stabilite dalla consuetudine, così da avere valore come se fossero stati redatti dal notar Baldassarre Mellusi. Gli atti nuovi furono redatti in presenza dei testimoni a tale scopo convocati, e cioè il venerabile fra Giacomo di San Bernardo, guardiano di Santa Maria della Misericordia, Don Giacomo Arcuccio, Pietro de Arzes. La redazione del pro memoria è stata redatta dall’originale in pergamena esibito dal chierico D. Antonio Albano al quale è stato restituito dal notar Giovanni Aniello de Francesco4 il 26 agosto 16255. Il documento del 1498, confermato nel 1519, ci informa che in quell’anno i canonici della cattedrale Giovanni Marino Amalfi, procuratore del capitolo, a nome di tutti gli altri canonici: Bernardino de Arze, Merlino Albano, Carlo della Valle, Giovanniello Melluso, Andrea della Candida, Colangelo Russo, Giovanni Santo Maglio, chierico Raffaele Malfitano vende al convento di Santa Maria della Scala una terra posta a Forio dove si dice «la Buccha juxta li beni di S. Vito. San Tommaso, per il prezzo di ducati 15. Copia semplice nel libro delle cautele segnato D pagina 244». Di un secondo Baldassarre, vissuto circa un secolo dopo, ho trovato atti tra il 23 novembre 1589 (ADI,, P.C. f.234) e il 1597 (CRS fascio 90 bis f. 29). Poi abbiamo Giovanni del quale in un fascio del fondo CRS fascio110 vi è una pergamena. Gasparro Mellusi del quale riscontriamo atti rogati tra il 1472 (Archivio di Stato di Napoli fondo Corporazioni Religiose Soppressi – d’ora in poi citato con la sigla: CRS- fascio 110 vi è una pergamena originale. Non sappiamo se si tratta della stessa persona del precedente Antoniello del quale conosciamo atti rogati tra il 18 gennaio 1448 (CRS fascio 90 bis f. 289) e il 14 aprile 1476 (ibidem, f. 243). Per il secolo XVI abbiamo un Baldassarre, attivo dalle notizie reperite dai documenti, almeno dal 23 novembre 1589 (ADI, Platea Corrente di Santa Maria della Scala, d’ora in segnata con la sigla: P.C.- f. 234) al 1597 (CRS fascio 90 bis f. 20). 3) Del notar Martio de Madio sono stati riscontrati atti rogati tra il 9 gennaio 1506 (CRS. fascio 87 f. 1) e il 28 agosto 1520 (P.C. f. 197). 4) Il notaio Giovanni Aniello di Francesco era di Napoli, ma ha rogato, almeno dell’11 agosto 1627 (Ibidem, f. 224) anche a Ischia. La sua scheda notarile si conserva nel fondo Notai sec. XVI n. 522). 5) Una copia di questo documento si conserva nell’ADI. de Bossa, concedono in enfiteusi perpetuo a Beradino Galatola «certas domos per viridaria cum cortilis in ea sistentibus sitas in Sancta Anna cum parata delle quaglie, iuxta bona heredum quondam Colelle Galatola, viam publicam et alios confines que dederunt eidem Berardino in enphiteusim sub annuo redditu sive censu tarenorum quinque anno quolibet imperpetuum solvendorum in festo omnium Sanctorum incipiendo ab isto festo omnium Sanctorum pro futuro in pace et reservantes dicti canonici cortilium ante dictam cappellam et quod in cortilio potestatem habeant ipsi canonici eundi et redeundi et cum pacto quod vitium et fructuum sint ipsius berardini donec perducantur ipsi fructus, et cum pactis enphiteuticis sub pena unciarum viginti quinque… presenti bus donno Antonio de Albano clerico Baldaxar de Albano, Vincentio Sposiali, Baptista de zona testibus»6. Il Capitolo, quindi, non concesse la cappella in enfiteusi alla famiglia Guevara, bensì a quella Galatola, e solo sulla casa e il terreno circostante sul quale, comunque, può andare e venire a suo piacimento per accedere alla cappella. A conferma di quanto detto, abbiamo il seguente documento nel quale leggiamo: In nomine Domini nostri Iesu Christi Amen Pateat Universis. Et singulis publici instrumenti inspecturis… presentibus et futuris quod anno... a Nativitate ipsius Domini quingentesimo decimo nono presens Sanctissimi in Christo patris Domini Nostri Leonis divina providentia Pape decimi anno sexto die primo vero mensis septembris decima quarta indictionis vero septime Ischie in mei notarij publici testimonii infrascriptorum ad hoc specialiter vocatorum, et rogatorum presentia constituti… Dominus Joannes Marinus Amalfi canonicus majoris ecclesie isclane, et procurator ut dixit in presenti ecclesie canonicorum nec non, et… ac nobilis vir bernardinum Galatola de eadem civitate Isclana presenti vero partes ipse asserunt olim anni preteritis per reverendos dominos canonicos concessa fuisse nomine suorum… cappelle ipsius cum domis, cum cortilibus situs in Sancta Anna infra suos fines eidem berardino emphiteusim ad censum perpetuum tarenorum quinque solvendorum per ipsum berardinum et eredes, et… dictis canonicis, seu quibus pro tempore fuerunt et de hiusmodi concessionis confectum fuisse publicum instrumentum olim die decimo octavo mensis aprilis presentis 1498. In quo quidem instrumento concessionis pro notaro publico intervenit, ro6) Cfr. in ADI, Cartella Sant’Anna. La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 39 gatus egregius vir quondam notarius Baldaxar Mellusius de civitate Iscle qui ante quod dictum instrumentum in publicam formam redigeretur et compleverat sicut Domino placuit vita… perpetua presentis… nomine quo supra, et berardino conduttori quod dictum instrumentum in publicam formam reddiggeretur pro eorum et cuiuslibet ipsorum ac posterum in dicta eorum cappella, et heredum cautela ideo requisiverunt infrascriptum notarium quod perquirere deberem acta, et protocolla ditti quodam notarij baldaxarri que conservantur penes eiusdem notarij baldaxarris filios et heredes ipsisque actis perquisivit, et invento dicto contractu illud in publicam formam virtutis brevis apostolici mihi concessere… in strumenta, et acta dicti quondam notarij baldaxattis de verbo ad verbum veritatis et facti sabuttia non mutata,… debere inde vero precibus et requisitionibus ipsarum presentium tamquam… et onestissimam pro una cum infrascriptis testibus accessi ad domum ditti quondam notarij baldaxarris sitam in civitate predicte, et in parrochia Sancte barbare infra bona Joannis francisci melmosi via publica, et alios confines, et perquisitis dittis attis, et protocollis ditti quondam notarij baldaxaris inter alia invenimus dittum instrumentum in quodam… sunt solitum stilum ipsius quondam notarij baldaxaris notum, et eique et vera manu scriptum cuius tenor sequitur est talis Pro berardino galatola die XVIII mensis aprilis prime indictionis 1498 constitutis in maiori ecclesia isclana infrascritis canonicis ad sonum campanelle donno berardino de Arze, donno merlino de Albana, donno Carlo della Valle, donno Ioannello Melluso, donno Andrea della Candida, donno Colangelo Russo, donno Ioanne Battista Manglio, Clerico Rafaele de Bozza, canonicis maioris ecclesie agentibus nomine canonicorum per se suisque posteris ex parte una, et berardino galatola ex parte altera presenti vero caninici nomine et pro parte… omnium suorum asseruerunt habere certas domos et viridaria cum cortilijs in ea sistentibus sitas in Sancta Anna cum la parata delle quaglie iuxta bona heredum quondam Colelle Galatola viam publicam, et alios confines que dederunt eidem berardino in emphiteusim perpetuum sub annuo redditu sive censu tarenorum quinque annuo quolibet imperpetuum solvendorum in festo omnium sanctorum primo futuro in pace et reservantes ditti canonici cortilium ante dittam cappella et quod in cortilio potestatem habeant ipsi canonici eundi et redeundi et cum pacto quod vitium et fructuum sint ipsius berardini donec per40 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 ducantur ipsi fructus, et cum pattis enphiteutis ad penam unciarum viginti quinque… presentibus donno Antonio de Albana clerico baldaxar de albana inde par tacto Vincentio sposiali, inde Battista del Iona testibus cum consensu Domini Ioannis episcoli Isclani tenor vero brevis apostolicis mihi infrascripto notario concessi de verbo ad verbum sequitur et talis est, Leonardus miseratione divina tituli Sancte Susanne presbiter cardinalis dilecto in Christo Martio de Madio notario Civis Isclanus salutem in Domino ex parte una fuit propositum coram nobis pro nunc quandam baldaxar mellusius dum viveret ditte terre plures et diversos contractus, et instrumentum nondum in publica forma redactos, et stipulatos fuit, et illa quandocumque a contrahentibus ….. fueris in formam publicam non mutata facta substantia reddigere copias supradicti fuisse humiliter tibi super hijs per sedem Apostolicam misericorditer provideri nos igitur autem Domini Nostri Pape penitentiarie coram genua que de eis speciali mandato super hos vive notis oraculo nobis pacto tibi ut quecumque instrumentum et contractus, et abbreviaturas et clausolas in eis contentas per dictum quondam baldaxarem in notas scriptas et stipulatas, et non dum in forma publica redacta quoties, et quandocumque a partibus et contrahentibus et aliis personis utque habentibus… super hoc fueris in formam publicam iuxta stilum, et consuetudinem illius loci non mutata fattis substantia redigere, et redacta subscribere et signare libere, et licite postis et valeas, et dictis instrumentis super te redaptis, et subscriptis talis, et tanta fides in subdicto et extra ordineatur qualis, et quanta adibereatur super dictum baldaxarem subscripta et in publicam formam redapta fuissent tenore presentium indulgemus in obstantibus incontrarium facientibus quibuscumque. Datum Rome apud Sanctum Petrum sub siggillo officij penitentiare decimo septimo Kalendas julij Pontificatus Domini Leonis Pape decimi anno tertio. Locus signi et quia predictus quondam egregius notarius baldaxar mellosius de civitate Iscle publicus apostolica et regia autoritatibus notarius dum.. dictis concessioni, et conventioni ceterisque premissis tibi sic ut… et gerenter et fierent una cum prenominatis pro loco positis presens fuit ex quo omnia, et singulis sic fieri.. et audivi prout ex eis aspectu apparuit et apparet, id circo ego notarius Martij de madio de civitate predicta apostolica et regia autoritatibus… notarius ex… Apostolicam litteram mihi specialiter concessarium contentis proprie ipsius qunodam notarius baldaxar morentis hoc presens publicum instrumentum manu propria fideliter scriptum a notis et protocollis ac scripture ipsius quondam notarij baldaxaris veritatis, et facti subscripta non mutata una cum infrascriptis testibus publicam formam redigi publicumque in scripturis postremo positis assumpti et extra meis solitis et consueti ac in hanc publicum meis solitis, et consuetis signavi in fidem ac testimonium omnium et singulorum omnium premissorum subrogatus et signatus. Presens copia extracta est a suo proprio originali a me notario Antonius Albano die vigesima sexta augusti 1625 Molto Illustre et Reverendissimo Signore Li canonici della città d’Ischia esponeno a Vostra Signoria Reverendissima come tenendono essi ab antico una cappelae vicino le mura di detta città sotto il titolo di Sant’Anna, come appare dalli atti della corte vescovale; compete molto ad essi che nessuno possi in quella celebrare messa senza il loro consenzo, et beneplacito: però supplicano Vostra Signoria Reverendissima ordinar che nessuno ardischa in quella andare a celebrare senza loro consenso, et licenza di Vostra Signoria Reverendissima che oltre che giusto lo riceverando a gratia. Et per Reverendissimum Vicarium Isclanum fuit provisum et decretum quod circa predictum cuiuscumque interesse predentis mandetur omnibus et singulis personis ecclesiasticis ne audeant in dicta cappella missam celebrare aut alia divina officia absque expresso consensu predictorum omnium canonicorum et licentia prefati Reverendissimi Domini sub pena suspensionis a divinis ipso facto incurrenda, ita tamen quod si quis sensuit se gravatum compareat infra decem dies pro ut presenti decreto mandari iam dictis edictum hoc fuit. Archipresbiter Joseph Mellusius Vicarius Generalis . Lectum et latum in civitate Isclana die prima augusti 1615 presentibus testibus opportunis. Joannes Petrus de Manso actuarius. La Platea d’Avalos non cita questa cappella, né si riscontrano documenti che la riguardino nel «Notamento degli atti beneficiali» dell’ADI. Per questo non sappiamo quando la famiglia Guevara abbia acquisito il diritto di patronato sulla cappella. Fino ad oggi nessun documento è stato trovato che lo registri. Di sicuro sappiamo che questa famiglia possedeva il diritto di patronato sulla cappella perché così si esprime il vescovo Nicola Antonio Schiaffinati nella relazione ad limina del 1741: «Altera cappella sub titulo Sancte Anne de jure patronatus Illustris Familie Guevara e ducibus Bovini, que similiter non habet redditus, et in festivis diebus missa inibi celebratur ex devotione circumstantium incolarum7». La visita successiva del vescovo Felice Amato del 12 aprile 1747 si limita a citarla solamente: «alia cappella sub invocazione Sancte Anne sita in territorio Illustris Ducis Bovini 8». L’Onorato ci fa solo sapere che «nel ninfario vi è la cappella di Sant’Anna, in dove dal Duca di Bovino in ogni festa si fa celebrare la messa 9» . Il d’Ascia, da parte sua, ricorda gli scogli di Sant’Anna e «l’abbandonato campo santo 10» nel quale erano stati sepolti negli anni precedenti i morti di colera. Dagli atti della visita pastorale del vescovo Felice Romano veniamo a sapere che il diritto di patronato sulla cappella era passato, non è detto da quanto tempo, alla famiglia Mancusi. Infatti leggiamo che il vescovo il 9 luglio 1855 dalla chiesa di San Domenico,«discendit ad publicum oratorium sub titulo Sanctae Annae propre litus, olim spectans ad familiam Ducis Vibinensis, ac nunc Familiae Mancusi. Visitavit dictam ecclesiam, et praecepit, ut reparetur altare in partibus, quae opus habent reparatione, et ut oculus fractus in icona Sanctae Annae renovetur 11». Negli atti della successive visita del vescovo Francesco di Nicola, avvenuta il 3 dicembre 1872, leggiamo che il vescovo e i convisitatori «accessit ad capellam sub titulo Anctae Annae de jure patronatus….12 ut eam visitaret, Capellam ingressus invenit unicum altare lapideum quem visitavit, et haec edidit decreta: 1= quod supponatur suppedaneum lignum in altari; 2= missale accomodatur, et adiungantur Missae, in novis foliis super impressi; 3= mappae remaneant interdictae pro Missis; 4= conficiantur tres casulae, una nempe coloris rubri, altera violacei et tertia nigri coloris; 5= aedicula Sanctae Annae instauratur in partibus confractis; 6= parvae fenestrae vetris muniantur; 7= dictae capellae assignetur aliquis sacerdos, 7) ACC. Relazione ad limina del vescovo d’Ischia. 8) Ibidem. 9) V. Onorato, op. cit. f. 163 r. 10) G. d’Ascia, op. cit. p. 439. 11) ADI, Atti della visita pastorale di Felice Romano del 1855, f. 23 r. 12) ADI, Atti della visita pastorale del vescovo Francesco di Nicola f. 67. Qui vi è uno spazio bianco e manca il nome della famiglia alla quale dovrebbe spettare il diritto di patronato. La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 41 qui curam suscipiat de omnibus occurrentIbus, tam pro manutentione quam pro sacro cultu». Il verbale della contro visita, effettuata nel maggio 1876, non è stato completato ed è rimasto lo spazio vuoto nel volume degli atti per cui ignoriamo se le cose prescritte nel 1872 fossero state eseguite, ma quasi sicuramente tali lavori non furono eseguiti per cui la chiesetta rimase abbandonata. Nel 1956 il vescovo Antonio Cece, informato che alcune ossa erano disseminate nella cappella che si presentava priva di porta e di finestre, incarico il sacerdote D. Camillo d’Ambra di effettuare un sopralluogo e di presentargli una relazione sullo stato dei luoghi. Il d’Ambra rilevò che spesso nell’attiguo campo, di proprietà comunale, si attendavano giovani campeggiatori. Inoltre alcuni vandali avevano manomesso una tomba nella parete di destra della chiesetta e diverse ossa di morti erano sparse all’interno dell’ambiente. Il Vescovo ordinò di ricomporre tutte quelle ossa e portarle al cimitero comunale. Inoltre spinse il sindaco Vincenzo Telese e altre personalità che avevano realizzato la loro casa di villeggiatura nei dintorni, ad impegnarsi per effettua bis f. 291 n. re i necessari restauri alla chiesetta. Tali lavori terminarono nel 1964 e così il 26 luglio di quell’anno il vescovo Dino Tomassini, subentrato al Cece nel 1962, potè riaprire la chiesetta e fu celebrata la messa la domenica dei mesi estivi. Purtroppo ci furono altre profanazioni a causa della posizione solitaria della chiesa per cui nel 1975 furono necessari altri restauri effettuati a spese dei Signori Grimaldi- Arcidiacono che avevano acquistato la villa dell’On. Fortini. Così la cappella fu nuovamente officiata nei mesi estivi13. Presto però la cappella subì altre profanazioni per cui fu sospesa la celebrazione della messa nei mesi estivi. Oggi la chiesetta, che è affidata al Capitolo della cattedrale, necessita di un accurato restauro per il quale mancano i fondi economici, Nella chiesetta non si officia più, ad eccezione della sera del 25 luglio, vigilia della festa di Sant’Anna, viene celebrata la messa in genere dal vescovo d’Ischia, ma non nella chiesetta, ma nel campo antistante. I fedeli, come nei tempi andati, vi si recano in barca al tramonto, rendendo più suggestiva la celebrazione che apre ufficialmente la festa folkloristica «agli scogli di Sant’Anna» con la sfilata delle barche allegoriche che si svolgerà l’indomani attirando decime di migliaia di persone dell’Isola e turisti in vacanza a Ischia. Agostino Di Lustro 13) ADI, breve memoria di Mons. Camillo d’Ambra nella cartella sulla chiesa. Ischia - Castello e Scogli di Sant'Anna 42 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 Albo storico napoletano pubblicato a cura di Mariano Lombardi, Napoli 1853 Gita di Scipione Volpicella1 Ischia — Bagni — Casamicciola — Lacco — Forio Essendo dalla natura sospinto a star volentieri tra le persone gentili ed oneste , mi sono nella state di questo anno 1853 condotto più volte nell’isola d’Ischia a visitare un gentiluomo inglese ed una dama Napolitana sua moglie , simili a cui per isquisita cortesia e grande amicizia m’è occorso d’incontrar poche coppie sotto le stelle. Ho per siffatta cagione avuto l’opportunità d’osservare quest’ isola, la quale, essendo un alto e scabro monte , per le cui falde si posano montagnette, ove più verdeggianti ove meno, può essere figurata, siccome si mostra in una piazzetta di Napoli l’antico simulacro del Nilo, in sembianza di veneranda ed adusta matrona, che, distesa sopra uno scoglio circondato dalle acque, amorosamente riguarda alle liete sue figliuolette adagiate con le cornucopie alle mani su per le sue ginocchia e presso alle vesti all’intorno. Della terra e delle acque di questa regione spesso hanno fatto e tuttavia fanno discorso chimici, geologi e medici con notevole vantaggio delle fisiche scienze: né manca chi, di tratto in tratto , tenendo dietro al Capaccio, ne va ricordando la storia. Onde io, pigliando a narrare le cose che vi ho scorte degne di considerazione nel cammino che corre dal forte d’Ischia a Forio, mi credo nel debito d’avvertire, come, non essendo di quelli che rimescolando e rimestando l’altrui si studiano d’acquistar nome, non farò della terra, né dell'acque, né della storia dell’isola motto alcuno, e solo dirò brevemente di taluni particolari, che o sono stati affatto trasandati, o solo un tantinetto e poco diligentemente accennati. Ischia Ponte - Osservato nel forte d’Ischia come la novella civiltà del secolo decimonono, disfatte o rimosse le stupende vestigia della invecchiata civiltà de’ precedenti sei secoli, comincia a mostrarsi nella riedificazione d’un tempio, discesi nel viottolo, che, quasi a testimoniare la potenza dell’ingegno umano a frenar gli elementi, calpesta le acque del mare, e ti mena all’isola con le piante asciutte dallo scoglio del forte. Quindi, compreso da quello indeterminato sentimento di dolore e consolazione che l’avvicendarsi del distruggimento e della rigenerazione produce negli animi, pervenni dopo non molti passi alla città, la quale Ischia, 1) Volpicèlla Scipione - Storico (Napoli 1810 - ivi 1883); primo bibliotecario nella Biblioteca Nazionale di Napoli, scrittore di novelle e poesie; per impulso di C. Troia e come presidente (dal 1876) della Società napoletana di storia patria si occupò della storia dei viceré del Mezzogiorno d’Italia. Curò l’edizione di molti testi, tra cui il Regis Ferdinandi Instructionum liber, portata poi a compimento dal figlio Luigi. non altrimenti che tutta l’isola, è detta. Fermatomi nella piazza del duomo innanzi ad una meschina fontana, vidi infissa in un muro sotto un orologio e sopra una nicchia una lapide di marmo bianco, ove si leggono queste parole intagliate. D. O. M. Aquam ex fonte Buceti ad IV m. p. publico aere derivatam labroque ex tiburtino lapide ornatam et turri in qua concilia fierent adposita addito horario decuriones pithecusani utendam fruendam civibus dederunt a. MDCCLVIIII A me, cui non è venuta ancor meno l’immaginativa, parve vedere a quella novella vaghezza d’horario in cambio d’horologio saltar la muffa al naso di monna Filologia, e leggere quel turri in qua concilia fierent nelle carte del libro che il preterito rassegna Il duomo d’Ischia, stato lungamente chiesa de’ frali dell’ ordine di Santo Agostino. e succeduto presso a quaranta anni addietro all’abbandonato duomo del forte, è un sufficiente edificio a croce latina ed a tre navi, con tribuna in testa e porta a piede nella maggiore e nelle minori due navi. Il numero tre, mistico sì per gli antichi pagani e sì per i presenti cristiani, s’incontra eziandio negli arcuati vani delle laterali due navi in dirittura delle arcate della nave del mezzo. Sono questi vani, eccetto il primo che entrando si trova nella navata sinistra, cappelle con altari di marmi di più colori. Di marmi di più colori sono altresì l’aitar maggiore, e quelli delle laterali e piccole due tribune e de’ due cappelloni della crociera, e le balaustrate della maggiore e delle due minori tribune. Ai fianchi di parecchi altari ed in altri siti s’osserva un’arme di marmi commessi, ch’è in campo bianco o d’argento un cuore fiammeggiante sostenuto da fiamma di color vermiglio. Presso a quest’arme sta impresso uno degli anni 1833, 1834 e 1836 con l’indicazione del vescovado dell’ isola. E qui bisogna avvertire, che l’anno 1645 la città d’Ischia, la quale era in quel tempo nel forte, aveva per arme, siccome si mostra nella descrizione del reame di Napoli d’Ottavio Beltrano, un mucchio di dieci monti, cinque sopra cinque, sostenuto dalle acque, con una regal corona al disopra. Si vuole por mente alla fonte battesimale di marmo bianco allogata nel vano, che è primo entrandosi a mano manca. A questa fonte adorna di La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 43 quattro scolpiti capi di cherubini sottostanno tre congiunte ed addossate statuette, l’una delle quali tiene la bilancia e la spada, porta l’altra la serpe ed il libro, ed ha la terza le braccia, per usare alcune parole del carme di Claudiano nelle nozze d’Onorio e Maria, . . . lanigeri suis ostentantia pellem. Lasciando il discorrere delle due prime statuette, le quali per i loro simboli chiaramente appariscono le immagini della giustizia e della sapienza, non si deve tacere della terza statuetta, che giudico, a dirla secondo il sistema di quell’altissimo e dottissimo intelletto di Cataldo Iannelli, un troposchema ideosintetico della magnanimità, perciò che Claudio Mignault, commendando l’emblema di Milano trovato dall’Alciato, c’insegna, che la pecora per la lana indica la copiosità , ed il porco per lo strepito il risuonar della fama. Sta la fonte sotto un baldacchino fatto in volta, sostenuto da quattro basse colonne lavorate a larghe e concave spire, per le quali sono intagliati mazzetti di fiori e mazzetti di foglie. Di mazzetti di foglie è composto il capitello dell’una delle anteriori colonne, laddove il capitello dell’altra è composto di mazzetti di fiori: e nel mezzo delle facce di questo capitello e di quello sono scudetti sannitici, ove si vede l’arme d’una fascia, e spesso l’arme di tre sbarre rilevate al disotto e d’uno stivale abbozzato anzi che inciso al disopra. Il che ricorda la storica famiglia dei Cossa o Coscia, la quale ebbe anticamente l’insegna , siccome afferma Francesco de’ Pietri, d’un campo partito in fascia, vermiglio al disopra, e d’argento al disotto con tre bande verdi, e dipoi vi aggiunse lo stivale d’oro nella superior parte del campo. A somiglianza dei descritti due capitelli di marmo sono fatti di stucco quelli delle due posteriori colonne. Sicché è giuocoforza attribuire l’opera di questo battistero al secolo decimoquarto, in cui l’architettura e la scultura, smarrito il buon modo antico, si mostravano, secondo la qualità degl’ingegni che vi attendevano, simili a vispe e capricciose fanciulle: il che se le fa ai critici riputare inferiori all’architettura e scultura del secolo decimosesto, le quali, essendosi ritrovata l’antica miglior maniera, furono simiglianti a discrete ed eruditissime donne; tanto le fa giudicar superiori a quelle sformate e disordinate de’ secoli decimosettimo e decimottavo, ed a quelle secche e troppo imitatrici degli ultimi tempi, quanto è da preferire il singolare al deforme, ed il lavorar d’invenzione al copiare dagli altrui originali. E qui è a proposito il dire, che, narrandosi essere state queste colonne e statuette del sacro fonte trasportate nel presente duomo dall’ antico del forte, le si può credere spoglie del superbo sepolcro di marmi elevato in quello, secondo che narra il soprannomato de’ Pietri, a Giovanni Cossa d’Ischia, milite protontino e signore dell’ isola di Procida, passato nel 1343 dalla mortal vita all’eterna. Sono in questo duomo d’Ischia parecchi dipinti di Giacinto Diano, il quale, come che avesse seguito il cattivo vezzo delle forzate e contorte attitudini delle figure ed anteposto al gagliardo colorito uno scialbo e leggiadro, fu tuttavolta de’ migliori 44 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 che dipinsero nel reame di Napoli nella seconda metà del secolo scorso, in cui tanto declinarono le arti, che fu proprio una vituperevole maledizione. E forse non mi diparto dal vero congetturando che a siffatti dipinti del Diano cedettero il posto altri eccellenti dipinti, perciò che nella sagrestia di questa chiesa tuttavia si conserva una sì bella tavola del simbolo di San Giorgio a cavallo col trafitto dragone e con la liberata donzella, che qualche intendentissimo della storia della pittura sostiene essere della valorosa’ scuola di Andrea di Salerno, che fu degli ottimi discepoli del divino Raffaello. Vi si vede ancora fitta in un muricciuolo, onde la maggior tribuna è divisa dalla minore sinistra, una pregevolissima tavola di san Tommaso inginocchiato innanzi all’altare del Crocifisso con bella prospettiva di chiesa e coi frati che osservano di lontano. Parecchie lapidi con armi ed epitaffi, molte delle quali forse già furono nel primiero duomo del forte, si vede in questo tempio, e massime nel pavimento della maggior tribuna, che per avventura troppo tornerebbe sazievole il minutamente descrivere. Ma non posso tenermi di riferire la seguente iscrizione, piena, per usar le parole d’Aulio Gellio, superbiae campanae, la quale si legge in una lapide allogata nella nave del mezzo innanzi all’ usciuolino della balaustrata della tribuna, e fa temere, chi ben considera, non s abbia a rinnovar la vendetta del superbo strupo. D. O. M. Hic Diis atque Filiis Dei excelsis honore doctrina meritis natura mortalibus commune manet sepulchrum. Sic nemini parcis amara mors. A me quasi pare che l’autore di queste parole, ricordando che gli uomini, nel tempo che composti d’anima e corpo vivono in terra, debbono rendersi, secondo la sapiente espressione del beato apostolo Pietro, divinae consortes naturae, abbia giudicato lecito usar la frase detta da Dio ai giudici Dii estis et filii Excelsi omnes, che si trova nel salmo LXXXI, e sia poco giudiziosamente, trattandosi de’ corpi disgiunti dall’anima e seppelliti, trascorso con Lucifero a dire, come narra il profeta Isaia, Ascendam super altitudinem nubium, similis ero Altissimo. Né vale il rammentare il Deum te igitur scito esse del sogno di Scipione, perciò che saviamente Macrobio interpetra quelle parole, affermando che gli antichi filosofi e Tullio dettero alla sola anima dell’uomo il nome di Dio per la simiglianza delle prerogative, con le quali par che l’anima imiti Dio; e però al Diis attribuito agli uomini, cioè alle loro anime, empio è l’aggiugnere natura mortalibus e commune manet sepulchrum. Onde stimo opportuno il ripetere ciò che si legge aver detto un giullare ad un altro in una delle cento novelle antiche: Or cui chiami tu Iddio? egli non è ma che uno. Alquanto più innanzi, presso che incontro al duomo, sta un’altra chiesa , delta la Collegiata dello Spirito Santo, con la sacra immagine della colomba scolpita di basso rilievo in marmo bianco nel prospetto sopra la porta. Questa chiesa, fatta ex aere nautarum secondo che nella sua volta si legge, è ad una nave sufficientemente spaziosa con un cappellone ed una cappella per ciascuna banda, con gli altari e con la balaustrata della tribuna di marmi di più colori. Tra i quadri, che vi sono sospesi, convien notare quello delle anime del Purgatorio che pregano alla Madre di Dio seduta sopra le nubi, lavorato, secondo che direbbe il Vasari, miracolosamente da Paolo de Matteis, ed allogato in sull’altare del cappellone al lato destro della tribuna: quello di Nostro Signore tra i suoi discepoli, posto in al lato manco dell’ organo sopra la porta: ed una piccola tavola della discesa dello Spirito Santo in lingue di fuoco dentro il cenacolo, che sta nel fondo della sagrestia e ricorda la buona scuola del Sanzio d’Urbino. Ma chi desidera scorgere che possano l’ignoranza e la goffezza congiunte insieme, deve por mente al nome d’Alessandro Fischetti con l’anno 1831 sottoposto nella volta della nave ad un dipinto, in cui si vede rappresentato Gesù ritto sulle acque del mare distendere, in conformità della narrazione di san Matteo, la mano e prendere Pietro presso a sommergersi al cospetto de’ discepoli raccolti nella navicella travagliata dalla tempesta. Tra le immagini de’ quattro evangelisti, che sono con poca ragione condotti negli spigoli della cupola, notai san Luca in atto di ritrarre in tela Nostra Donna: e rammentando le dispute intorno alla facultà del dipingere attribuita per tradizione a questo medico, elegante scrittore e divino narratore della vita del Cristo, pensai che per aver quegli più largamente che gli altri tre evangelisti discorso le cose concernenti alla Vergine Madre, assai bene se ne può metaforicamente chiamare il pittore, non altrimenti che fu detto Omero dal Petrarca, "Primo pittor delle memorie amiche". Da ultimo, quasi a testimoniare la ruina delle magnificenze terrene, osservabile è in questo tempio il capitello corintio d’un antica marmorea colonna, posto ad uso di sgabello presso la porta. Villa de' Bagni - Lasciate stare altre cose di poca importanza, ed uscito della piccola città d’Ischia, come fui dopo breve cammino al villaggio de’ Bagni, m’introdussi nella parrocchiale sua chiesa, la quale è d’elegante forma ovale, ed ha tribuna e quattro cappelle. Vi si vede a pié del fonte battesimale e sopra le due pile dell’ acqua benedetta scolpito uno scudo con dentrovi l’arme del luogo, cioè una corona sopra un piantato monte a tre cime. Vi si legge ancora al sommo della porta la seguente iscrizione. A Dio Ottimo Massimo alla beatissima Vergine delle Grazie alla eterna requie delle purganti anime ed al pubblico comodo nella villa de’ Bagni la fedelissima città d’Ischia che ne gode il patronato soprantendente l’ill. sig. march. di Vatolla D. Francesco Vargas Macciucca con la diligenza e cura del D. Ferdinando Buccalaro avvocato dell’isola negli anni del Signore MDCCLXXXI questo tempio dedica e consacra. Il contento prodottomi dalla favella italiana usata in questa iscrizione l’anno 1781, quando ancora l’ignoto latino s’insegnava ai fanciulli con grammatiche dettate in latino, mi venne amareggiato e volto in sollazzo ad un tempo, osservando il pubblico comodo messo alla pari con Domineddio, con la Vergine delle Grazie e con la requie delle anime del Purgatorio. Così fatta iscrizione e quella riferita del duomo d’Ischia sembrano ispirate dal gigante Tifeo, la cui smodata superbia fu fiaccata ed oppressa Jovis imperiis sotto questa isola d’Inarime. Laddove la verdeggiante e sinuosa valle della città d’Ischia, traversata dal ferrugigno torrente dell’ultimo vulcanico incendio dell’isola, è chiusa verso la plaga dell’ occidente dalle colline che l’attorniano sino al mare, s’erge sopra un poggetto l’ornatissima regal villa, tutta cinta di fioriti ed odorosi giardini, che ordinatamente digradando discendono presso alla riva d’un limpido e vago laghetto, il quale al presente, tagliato quel po’di terra che il separava dal mare, è in sul punto di trasmutare affatto nell’artificiosa comodità d’un porto la natural sua bellezza. Quindi per le falde di montagnette, ombrate da pergolati di viti e da boschetti d’aranci, castagni ed ulivi, si muove la via: la quale, tramezzando di tratto in tratto vulcanici borri, il cui pristino orrore si vede per la vetustà dell’origine dall’agricoltura, addolcito, procedendo quasi sempre a cavaliere alle piagge dell’isola, e discendendo da ultimo fra ardenti fornaci di mattoni, tralignata progenie di quelle di vasi che, anzi che le bertucce, generarono secondo alcuni il greco nome di Pitecusa, mena dopo il corso d’intorno a.due miglia ad un aggregalo di casette in sul lido, che dicesi la Marina di Casamicciola. Casamicciola - Entrato nella piccola e rettangola chiesa parrocchiale di questa borgata posi mente al ternario numero degli altari di marmi, torsi lo sguardo dagli sconci e mostruosi dipinti soprapposti agli altari, e fui forte compreso dal desiderio che il volgo intendesse il latino, leggendo queste parole intagliate in marmo nel mezzo del pavimento. Siste navita qui delubrum istud collato aere struxisti: memento huc intro labor huc quoq. fortunae manebunt: consule pie vivere, ut sancte obeas feliciterq. resurgas A. R. S. MDCCCXXIV. m. m. f. Dalla marina di Casamicciola ascesi alle soprastanti colline, tra le quali in uno stretto piano, ove corrono « spicciano acque salutarissime, i gentiluomini napoLa Rassegna d’Ischia n. 5/2015 45 litani del Pio Monte della Misericordia innalzarono l’anno 1605 co’ danari di Fabio Pignatelli de’ marchesi di Cerchiara e rinnovarono nel 1778 uno spedale a pro dei poveri infermi, e presentemente con tanta solerzia s’edifica e chiesa e terme e case e strade, che vi si vedrà in breve tempo un ragguardevol villaggio. Essendomi proposto di riferire le cose non osservate dagli altri, lascio il far larghe parole dello spedale, una cui descrizione fu data per Giuseppe Palma l’anno 1847 alla luce, e mi ristringo a pur dire quello che seguita. Vi si scorge l’arme del Pio Monte della Misericordia, cioè di sette monti congiunti, con una croce al colmo del più alto ch’è in mezzo, e con le lettere F. A. E. O. G. ne’ cinque monti mediani: il che per fermo significa, se non mi si fa velo al giudizio, le sette opere della Misericordia fecondate dalla religione del Cristo, col motto Fluunt ad eum omnes gentes, che si vede intagliato in Napoli sopra il portico della chiesa del Monte della Misericordia. Sotto un oriuolo a sole vi si legge presso all’ingresso dello spedale: Sensim sed propere fluit irremeabilis hora; Consule ne perdas absque labore diem consiglio che certamente sarà da pochi abbracciato. E nella chiesa detto spedale, la quale è rettangola ed ha tre altari di marmo, si conservano due buone tavole: l’una all’altar maggiore, l’altra dentro la sagrestia. Quella dell’altar maggiore è del busto della Vergine Madre con Nostro Signore bambino al collo dentro un quadro, il quale vien sostenuto in compagnia d’alquanti angeletti da san Girolamo, che sta quasi del tutto nudo, mostra in una mano la pietra onde in Calcide percuotevasi il petto, ed ha presso ai piedi più libri e l’anacrologico porpureo cappello de’ cardinali. E quella della sagrestia è del busto di Dio Padre, maggiore che il naturale degli uomini, condotto con tanta maestria e con sì maestosa e viva attitudine, che si può bene attribuire al felicissimo secolo del risorgimento delle arti in Italia. Alquanto più sopra, ove il maggior monte Epomeo s’avvalla in piccolo spazio presso la cima d’una montagnetta, si distende il paesello, che volgarmente è detto Casamicciola, ed ha tolto il nome dalla casa d’una famiglia Nizzola che dapprima vi stette. Nella piazza di questa terricciuola surge la decente facciata della chiesa parrocchiale intitolata a Santa Maria Maddalena. A croce latina è la chiesa, a tre navi, e con la tribuna girata in mezzo cerchio alla maniera dell’antica basilica de’ gentili greci e romani. Il che ricorda il manubrio della geroglifica croce egiziana, la quale, secondo Rufino d’Aquilea e più altri, s’interpetra la vita avvenire. Tre sono gli altari nella crociera, cioè il maggiore della tribuna e quelli de' laterali due cappelloni: e tre sono le cappelle co’ loro altari in ciascuna delle minori due navi. Tutti gli altari e la balaustrata della tribuna sono di marmi di più colori. All’un fianco ed all’altro dell’altar maggiore sta dentro uno scudo l’arme d’un campo bianco o d’argento con una fiamma vermiglia sopra tre monti verdi: il che forse significa le vulcaniche e col46 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 tivate colline di Casamicciola. Ci ha in testa della tribuna appiccato al muro in alto un assai bel quadro di santa Maria Maddalena menata dagli angeli al cielo, a cui quella tien fissi gli occhi, coprendo col bellissimo braccio destro il tumido petto, e sollevando nella palma sinistra, siccome il mezzo di sua salute l’alberello dell’olio odorifero. Sospinto da me a vedere una così fatta immagine il valoroso dipintore Camillo cavalier Guerra, che si trovava nell’isola, si compiacque permettermi di riferire ch’ei la stima opera del cavalier Giacomo Farelli, il quale fu degli eccellenti nostri pittori del secolo decimosettimo. Ci ha ancora all’un lato della porta un dipinto di Nostra Donna col bambino Nostro Signore in braccio sopra san Sebastiano legato all’ albero e san Rocco impiagato, con aureole dorate e con l’anno 1565, che si vuole per la sua bontà giudicare della nobile scuola del salernitano Andrea Sabbatini. E ci ha all’altro lato presso alla porta anco un pregevole dipinto dell’abate santo Antonio inginocchiato tra i ritti san Matteo apostolo e san Vincenzo martire sotto il busto della Vergine Madre col divino pargoletto in sul seno, che conviene attribuire al secolo decimosettimo. Ma, quasi perché meglio s’argomenti intorno alla bassezza, in cui dai secoli decimosesto e decimosettimo venne presso noi la pittura nel secolo decimottavo, si legge il nome d’Antonio Sarnelli sotto un dipinto di santo Antonio di Padova di brutto disegno e di peggior colorito nella terza cappella, andando verso la tribuna a man ritta. Tra le lapidi disposte per il pavimento è una nella crociera con arme al disopra ed epitaffio al disotto, che stimo per la sua singolarità meritevole di speciale menzione. È l’arme una fascia distinta di tre stelle a sei punte, alla quale soprastanno una luna crescente nel mezzo e due stelle a sei punte nei lati, e sottostà una pecora, detta volgarmente manso, andante sopra tre monti congiunti. L’iscrizione, la quale (Qual’ella sia parole non ci appulcro), è questa che seguita. Maria Francesca Mansi umil modesta e pia a’ suoi amorevole e benefica de’ poveri l’amica ver tutti affabile e cortese, tra lo splendore dell’augusta corte sol di claustral virtude vaga e d’ogni vanitade schiva di camerista nell’orrevol posto l’alto favor mertò di più regine ed in quest’isola u’ già riebbe la salute e invan sperolla poi del giusto nella pace terminò i giorni suoi. A perenne memoria il dolore della sorella e de’ fratelli questa lapide pose. Nacque in Napoli il dì 13 novembre 1795. Morì in Casamicciola il dì 31 agosto 18,.. Lacco - Discendendosi di Casamicciola verso maestrale si giugne ad una verdeggiante valletta in pendio, ove s’insinua il mare e fa piccolo golfo, la cui leggiadria viene accresciuta da uno scoglio in guisa di grosso fungo che vi si bagna nel mezzo. In sul lido ed alquanto su per le circostanti pendici è un paesello, il quale si dice Lacco, forse dalla lacca in cui si ritrova, ed è di tanto uniforme vaghezza che invoglia l’animo a contemplarlo e ricercarvi il riposo. Due chiese vi si vuole principalmente osservare: l’una quasi nel mezzo del paesello in sul lido: l’altra all’estremità occidentale a pié d’un monticello che si dice di Vico. La prima, intitolata alle Anime del Purgatorio, ha in sulla porta l’arme di tre stelle filanti sopra un albero piantato in cima d’un monte della casa de’ Monti Ravelo, ed è di sì goffa e disordinata architettura che non so dirla se ad una od a tre navi. Ci ha vecchi e laceri dipinti degni di miglior sorte, tra’ quali mi par notevole quello di san Sebastiano messo in mezzo de’ santi Giovanni Battista ed Andrea apostolo, che sta nella tribuna incontro al corno dell’ evangelo. Meritevole ancora di qualche lode è il quadretto di figure picciole soprapposto all’altare all’un de’ capi della crociera, il quale è della predicazione di san Vincenzo, lavorato, come vi si legge al disotto, nel 1724 dal Siscara. Ma ciò che veramente rende questa chiesa importante, è un marmoreo simulacro della civile teologia de’ gentili, che vi si trova, entrando a man destra, sottoposto siccome piede alla pila dell’acqua santa. Questo è, senza por mente alle ciance del dottor fisico don Francesco de Siano, il pilastrino simbolico di Mercurio sottomesso al busto dell’Ercole barbato con la pelle del leone sul dorso e con la clava nell’una mano, cioè l’Ermeracle, che gli Ateniesi collocarono nei ginnasi ed i Romani accettarono , ad indicare, siccome narra Ateneo, che col congiungimento della bene espressa ragione rappresentata da Mercurio e della forza rappresentata da Ercole, è solo possibile il regolare reggimento de’ popoli. Nell'altra chiesa, la quale è al di fuori più che al didentro decente, ed ha, oltre all’altar maggiore, tre altari per ciascun lato, si vuol notare due cose. L’una è in testa della tribuna un moderno quadro del santo dottore Agostino in atto di calpestar l’Eresia scrivendo ciò che la Romana Religione del Cristo gli va dettando, fatto da un Filippo Balbi, il quale vi si mostra affatto lo stesso artefice, che adornò alquanti anni addietro di fauni le bande della porta alla bottega dell’ aromatario Profeta in Napoli incontro al Museo. L’altra è la latina iscrizione posta nel pavimento sopra la sepoltura de’ visceri del siciliano Francesco Landolina duca della Verdura, andato l’anno 1786 a vita più salda. Ma non mi avrebbero le dette due cose sospinto a far discorso di questo tempio, se non gli stesse congiunto al lato manco una pulita cappella, ove si crede, non senza opposizione di molti, che in sul cadere del terzo secolo della Chiesa una pietosa Lucina seppellì il corpo dell’africana santa martire Restituta, quivi menato dall’angelo nella barca. Presso all’uscio di questa cappella sta infissa nel muro ad uso di pila dell’acqua benedetta la piccola urna di marmo bianco fatta dalla liberta Tiche ai mani del benemerito suo consorte Lucio Feno Ursione, della quale è stato de’ primi a discorrere il sopraccennato dottor fisico don Francesco di Siano. I due cornuti capi d’arieti o caproni, che sono scolpiti agli estremi della faccia dell’urna, mi fanno raggirar per la mente, come il becco distruggitore de’ germogli delle viti è acconcio a significare la morte distruggitrice delle vite degli uomini: come non si può filologicamente considerare i dei Mani senza la famiglia, la cui propagazione è rappresentata dall’irco incontinente: come Bacco, il quale ebbe il caprone e l’ariete per simboli, fu, secondo il Protreptico di Clemente Alessandrino, lo stesso che Plutone, la cui consorte Proserpina nacque dai granelli dell’ariete gittati da Giove nel grembo di Cerere: come si vede dipinte negli antichissimi vasi funebri e sepolcrali le storie del cabirico Bacco, cioè del nume, col quale riposatamente e soavemente si stanno le anime de’ defunti: e come, volendosi prestar fede agli studi di valenti glossosofi, capra e fortuna, capra e sterpamelo, capra ed espiazione, ariete e Dio, capo d’ariete e principio di memoria e di nuova vita, agnello e divina manifestazione del vero, irco e propagazione, corna e cominciamento di luce, sono significali di voci provvenienti da comuni radici nella primitiva lingua semitica. Ma già mi par di vedere taluni cipigliosi baccalari rizzarsi dagli accademici loro scanni e gridarmi: Chi se’ tu, profano, che ardisci di profondarti nel nostro cripticismo archeologico? Ed io, che per semplice amore e non per professione o guadagno attendo alle lettere, commosso a tanto grido mi arresto, e lascio la cura di largamente trattar queste cose, non che della disputata greca iscrizione impressa nel monte di Vico, ai chiarissimi Agostino Gervasio, Bernardo commendator Quaranta, Domenico Guidobaldi, Giacomo Rucca, Giovanni canonico Scherillo, Giulio Minervini, Giuseppe Fioretti, Onorato d’Albret duca di Luynes e Troiano conte Marulli, i quali, altrimenti che quelli, disposando al sapere l’urbanità ed onorandomi della loro amicizia, m’incitano a pubblicare, quando l’opportunità mi si porge, le svariatissime memorie del corso ed incivilimento delle nazioni, senza la cui piena conoscenza mai non potrà splendere la fiaccola della storia ideale eterna del genere umano. Forio - Ripresa la strada maestra, la quale , dopo essere alquanto salila dalla marina di Casamicciola , ove l’ebbi lasciala , traversa e dismonta la prossima montagnetta , e, corso presso che un miglio, si trova a Lacco alla riva del mare, mi detti ad ascendere con quella per le falde d’un monte detto Marecoco, poste a cavaliere d’una piccolissima e coltissima vallettina, che giace al pie’ manco dell’isolato monticello di Vico, e lascia vedere non senza diletto il mare all’un suo confine ed all’altro. Quindi, valico il Marecoco, mi si spiegò innanzi una bellissima e più larga vallea, chiusa a levante dai monti, e bagnata ad occidente dalle acque del La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 47 mare, la quale ritiene il nome dalla terra di Forio, che in sulla sinistra sua punta s’eleva e biancheggia. Giunto che fui a questa maggiore e più popolosa terra dell’isola, entrai in molte chiese, le quali ove volessi minutamente raccontare, tornerei, rivangando un medesimo campo, notevole più che troppo. E però imprendo a far come quegli, che, Poggi ed onde passando, e l’onorate Cose cercando, il più bel fior ne colse. Nella chiesa di Santo Vito, ch’è l’una delle due parrocchie di Forio, si vede nel pavimento della maggior navata l’arme della terra, ch’è un campo azzurro col giallo fior dell’ortensia piantata sopra un verde monte a tre cime. Il che, siccome ho fatto ragionando degli altri luoghi, per tanto riferisco, perché spero che chi non è sì privo d’intelletto da desiderare il pieno rinnovamento della barbarie e della vita bestiale, non stimerà vano ai nostri giorni, in cui poco discretamente si dileggia chi fa conto delle armi e de’ distintivi delle famiglie, il ricordare almeno le insegne, onde una città, ch’è l’aggregato di più famiglie, si ravvisa e si distingue dalle altre. In questa chiesa di Santo Vito mi par molto notevole ancora un bel dipinto della Sacra Famiglia, sotto cui si legge il nome di Anna Maria Manecchia, che, quantunque dal de Dominici non ricordata e dal Grossi, si vuole essere stata discepola del Solimena. In un’altra chiesa a tre navi, detta di Santa Maria di Loreto, la quale ha le facce de’ pilastri adorne d’incrostature di marmi, si vede più tavole col nome di quel Cesare Calense della provincia di Lecce, fiorito in sul principio del secolo decimosettimo, di cui fa il de Dominici molte lodi ed indica una sola opera di pittura dentro una chiesa di Napoli. Ma più che questi due templi, i quali sono i principalissimi di Forio, degna di considerazione è la chiesetta della famiglia dei Regina, la quale è di tanta e sì ricca eleganza, che assai bene starebbe unita al palagio d’alcuno de’più magnifici signori che si sapesse nel Reame. Vi è a diligentemente osservare sì la chiesetta e sì la sagrestia, ed a notare alcun che intorno alla sua sepoltura. La chiesetta, ch’è di forma rettangola, ha le mura coperte con croste di pregiatissimi marmi, le due pile dell’acqua benedetta di marmo bianco lavorate assai sottilmente, ed il mezzo busto d’un Gaetano Regina maestrevolmente scolpito di mezzo rilievo in un tondo. Lo splendore di queste cose, le quali, non ostante la loro maniera consona all’Imperfezione dello scorso secolo decimottavo, chiaro appalesano La man che obbedisce all’intelletto dell’ottimo artista, rimane in parte offuscato da una brutta immagine di san Filippo Neri, ch’è sopra l’altare, tinta piuttosto che dipinta nel 1776 da Antonio Samelli di poco avventurosa memoria. Nella sagrestia per l’opposito sta un quadro eccellentemente disegnato e colorito di Nostro Signore tratto con la croce addosso al Calvario, di figure sino a mezza coscia, sotto cui è notato il nome del fiamingo Giovanni Don, le cui opere non si sa spesso distinguere da quelle del famosissimo suo maestro Giuseppe di Ribera detto lo Spagnoletto. Sono ancora nella sagre48 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 stia due stupende sculture di tersissimo marmo bianco, l’una incontro all’altra, lavorate da quel Giuseppe Sammartino, che, nato intorno al 1728 e morto nel 1800, ha fatto in Napoli fede della virtù dell’ ingegno ne’ tempi della decadenza delle arti. L'una di queste sculture è la statua della Religione del Cristo, figurata siccome donna anzi piccina che grande, panneggiata e velata, la quale, in atteggiamento poco acconcio, calpesta col piè sinistro sopra la pietra quadra della Chiesa la maschera dell’ipocrisia e le carte delle false dottrine ed i serpentelli de’ vizi, sostiene con la mano stanca una croce di tronchi posata sopra il libro degli evangeli a cui sottostanno ritte le mosaiche tavole della legge, solleva con la destra mano il cuore fiammeggiante della carità, ed ha presso al piè dritto il profano amore bendato e senza ali rovescio e capovolto. Il nome dello scultore e l’anno 1786 si legge all’un lato nell’orlo superiore del piedistallo, il quale ha le facce ritondate, si vede listato d’oro, ed è adorno d’una storia di vecchi e donne con lampada egregiamente condotta di basso rilievo. Questa opera, che per essere ricca di simboli e con grande diligenza eseguita si debbe col cadavere di Nostro Signore avvolto dentro il lenzuolo nella cappella de’ principi di San Severo e col sepolcro del principe di San Meandro in Santa Maria della Stella in Napoli annoverare tra le nobilissime sculture del medesimo autore, troppo s’allontana, secondo la maniera del secolo decimottavo, dalla semplicità e purgatezza del concetto, con cui Luigi Persico, imitando la grandiosità se non l’esquisitezza di Fidia, ha recentemente modellato una statua della Religione del Cristo, la quale è di donna matura, gagliarda, bellissima, con raggi uscenti intorno del capo, con largo panneggiare e pieghe severe, e con gli occhi rivolti al vertice d’un’alta croce ch’ella col braccio manco ricigne e sostiene. L’altra scultura, fatta di linee miste e con listre d’oro, è la pila dell’acqua sotto un piede che sostiene una lapide. Ha questo piede scolpito nella faccia assai bene di basso rilievo in un tondo il mezzo busto del sacerdote Pietro Regina fondatore della chiesetta, e sottostà alla figura d’un nudo fanciullo, in cui si dice ritratto di naturale il nipote ed erede del fondatore. La storia della descritta chiesetta è narrata nella seguente iscrizione posta nella lapide: Qui se suaque omnia Deo o. m. inde a teneris vovit ac destinavit, pridem sacellum hoc secundum Deum d. Philippo Nerio dicatum a fundamentis excitari, tum deinde elegantiori omne genus supellectili signis argentiis tabulis scite pictis instrui ditari inlustrari, denique his nondum adquiescens statua Religionis marmorea exquisite operoseq. elaborata conlocupletari insuper curavit Petrus Reginaeus Nicol. i. c. f. sacerdos pithecusanus anno a C. n. MDCCLXXXVl. Heus tu quisquis es, in Religionis maxime signum oculos fige tuos: si parum adhuc pietatem coluisti, illud contemplatus adprime religiosus abibis. Per ciò che concerne al familiar sepolcro ch’è in questa chiesetta, ove si consideri ch’ei si trovi al livello delle attigue camere e sale de’ Regina, s’ammira l’accorgimento, con cui, senza uscire da’ termini della religione cristiana, sono stati imitati i prischi Egiziani ed Italiani, i quali usarono di conservare nelle loro case i ca- daveri degli amati congiunti. E qui mi pare da ultimo, prima eh’ io ponga fine a questa relazione, non doversi tacere, che nel pavimento d’una loggetta , onde si passa dalla sagrestia all’abitazione dei Regina, si vede dipinte le storie della creazione del mondo e della salvezza degli animali nell’arca di Noè in mattoni, invetriati, che ricordano quelle celebratissime fabbriche di maioliche di Castelli di Abruzzo, le cui opere sono tanto pregiate che, a dirla con l’enfatica frase d’un Fabio Placidi vissuto nel principio dello scorso secolo, possono stare a tavola rotonda con tutte le porcellane europee ed oltramarine. * Medaglioni isolani Dottor Vincenzo Morgera Trasse i natali in Forio d’Ischia, dove esplicò attività varie e passò di vita in ancora valida età, l’anno 1891. Fu medico di valore; la buona rinomanza uscì dalla cerchia municipale; pigliò forte addentato a Lacco Ameno e in Casamicciola; non mancarono i contatti con la restante isola. Allora questa terra vaga era divisa in scompartimenti stagni: le due circoscrizioni mandamentali si polarizzavano in Ischia e in Forio. La fervida attività dell’ingegno del Morgera andò frazionata tra il trasporto scientifico e le cure amministrative Nei piccoli centri capita sempre casi; il medico che si rispetti e l’avvocato che meglio cavi d impiccio addiventano i capi naturali degli orientamene politici. E il Morgera trovò seguito nel popolo; fu primo cittadino della terra natale; ebbe peso nelle direttive del Mandamento; non restò estraneo nell’orientamento del Collegio politico. Pigliò iniziative che oltre mezzo secolo addietro erano rarità, diede incoraggiamento alla cultura popolare ed eresse di pianta a Forio il primo asilo in infantile dell’isola. E il popolo perennò la memoria di lui in un busto di bronzo eretto nell’aula consiliare. Come sempre, anche a lui, l’applicazione politica recò pochi consensi e dolori parecchi. Quello che più resta è il frutto dell’ingegno. Medico desiderato e uomo d iniziative, tolse a cuore lo studio intorno alle acque termali dell’isola, e fermò i risultati in un volume di quattrocento pagine, il quale offre, a chi verrà dopo, preziosi elementi: Le terme dell’isola d’Ischia; il tomo sta a fianco dei ben famosi studi di Giulio Iasolino e di Andrea d’Aloisio. E lasciò un volume inedito, nel quale, con cura minuziosa e serena, raccolse la cronaca particolareggiata di quello scotimento tellurico che, l’anno 1883, gettò tanta desolazione nell’isola. Episodi ignorati, atti generosamente cristiani, arruffio di mestatori si rilevano solo da quel lavoro paziente: soprattutto campeggia la commozione europea, e, saremmo per dire, mondiale. Il volume è catalogato tra i manoscritti dell’Antoniana d’Ischia. E la memoria di lui, sopra ogni altro ricordo, è rinnovata dalla eletta corona di figli; dei maschi uno è medico di buona rinomanza, con larghe aderenze in Napoli dove si spande da anni: il dottor Francesco; due altri sono avvocati. Luigi, ben noto nei tribunali della Metropoli, è dotato di squisito tratto amministrativo; ha retto la terra sua natale in qualità di Sindaco; è stato Consigliere provinciale; è Commissario prefettizio dall’isola d’Ischia. Le più lucide illustrazioni dei padri sono i figli meritevoli. Onofrio Buonocore (in Ischia Nuova, anno II n. 5 / 30 gennaio 1944) La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 49 Ex libris Joseph Addison Note su vari paesi d’Italia, 1722 Si possono ancora vedere alcuni resti dell’antica Miseno; ma l’antichità più notevole di questo luogo è costituita da alcune gallerie scavate nella roccia, e che sono molto più ampie della Piscina mirabilis; alcuni vogliono che si trattava di un serbatoio d’acqua; ma altri con maggiore probabilità pensano che esse formassero i Bagni di Nerone. Ho dormito la prima notte nell’isola di Procita, che è abbastanza ben coltivata, e conta circa quattromila abitanti, che sono tutti vassalli del Marchese del Vasto. Il giorno dopo sono andato all’Isola di Ischia, che è più lontana nel mare. Gli antichi poeti la chiamano Inarime, e mettono Tifeo sotto di essa, a causa dei suoi vulcani di fuoco. Sono qua- si 300 anni che non vi avviene nessuna eruzione. L’ultima è stata terribile, e distrusse un’intera città. Ora non si può vedere quasi nessun segno di un fuoco sotterraneo; perché la Terra è fredda e coperta d’erba e di arbusti là dove le rocce lo permettano. Vero è che ci sono qua e là varie piccole crepe, donde esce del fumo; ma è probabile che ciò provenga dalle sorgenti di acqua calda, che alimentano i vari bagni, di cui quest’isola è molto ricca. Ho visto presso una di queste fumarole un tratto di terra coperto di mirti, che fioriscono nel fumo e nell’umidità costante di questi vapori. A mezzogiorno di Ischia c’è un lago di circa tre quarti di miglio di diametro, separato dal mare. Anticamente esso era un Joseph Addison Remarques sur divers endroits de l’Italie, 1722 On peut voir encore quelques ruines de l’ancien Misenum; mais l ‘Antiquité la plus considérable de ce lieu consiste en quelques Galeries creusées dans le Rocher, & qui sont beaucoup plus spacieuses que la Piscina mirabilis; quelques uns veulent que ce fut un Réservoir d’eau ; mais d’autres avec plus de probabilité supposent qu’elles faisoient les Bains de Neron. Je couchai la première nuit dans l’Isle de Procita, qui est passablement bien cultivée, & contient environ quatre mille habitans, qui sont tous vassaux du Marquis del Vasto. Le lendemain j'allai voir l’Isle d'Ischia, qui est plus loin dans la Mer. Les anciens Poëtes l’appellent Inarime, & mettent Typhée dessous, à cause de ses Volcans de feu. Il y a près de trois cents ans, qu'il ne s'y est fait aucune Eruption. La dernière fut très horrible, & détruisit une Ville entière. A présent, on n'y voit guères de marques d'un feu souterrain; car la Terre est froide & couverte d'herbe & d'Arbrisseaux, là où les Rochers le permettent. II est vrai qu'il y a diverses petites fentes 50 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 porto per i romani. A settentrione di quest’isola, c’è la Città & Castello su un’alta roccia separato dal resto dell’isola, e da tutte le parti inaccessibile ai nemici. Questa isola è più ampia, ma più rocciosa e più sterile di Procita. Virgilio le considera tutte e due derivate dalla caduta di una parte del molo di Baia, che era ad alcune miglia di distanza: (... Barcollando cadde di Bizia la smisurata mole) e tal dié crollo che il terren se ne scosse, e il suo gran scudo gli tonò sopra. In tal guisa di Baia sull'Euboica riva il grave sasso, che è sopra l'onde a fermar l'opre eretto, dall'alto ordigno ov'era appreso, si spicca e piomba, e fin nell'imo fondo ruinando si tuffa e frange il mare, e disperge l'arena: onde ne tremano l'alta Procida ed Inarime, e il gran Tifeo se n'ange, cui sì duro covile ha Giove imposto (Aen., 9). çà & là, par où il sort une fumée; mais il est probable que cela vient des sources chaudes, qui fournissent les divers Bains, dont cette Isle est fort pourvue. J'observai auprès d'un de ces soupiraux, un morceau de Terre couvert de Myrtes, qui fleurissent dans la fumée & dans l'humidité continuelle de ces Vapeurs. Il y a au midi d'Ischia un Lac qui a environ trois quarts d'un mile de diamètre, séparé de la Mer par une petite étendue de Païs. C'étoit autrefois un Port pour les Romains. Au Septentrion de cette Isle, est la Ville & le Château sur un Rocher extremément haut séparé du Corps de l’isle, & de tous côtes inaccessible à des Ennemis. Cette Isle est plus large mais plus pleine de Rochers, & plus stérile que celle de Procita. Virgile les fait toutes deux branles à la chute d'une partie du môle de Baye, qui en étoit éloigné de quelques miles: Qualis in Euboico Bajarum littore quondam Saxea pila cadi, magnis quam molibus ante, Constructam jaciunt pelago : Sic illa ruinant Prona trahit, penitusque vadis illisa recumbit, Miscent se maria & nigra attolluntur arena : Tum sonitu Prochita aita tremit, durumqne cubile Inarime, Jovis Imperiis imposta Typhao (Aen., 9) Non so perché Virgilio, in questo bellissimo confronto, abbia dato l’epiteto di alta a Procita, perché non solo essa non è di per sé elevata, ma è molto più bassa d’Ischia e di tutte le punte che sono nelle sue vicinanze. Dovrei pensare che Alta sia da unirsi avverbialmente con tremit, se Virgilio avesse potuto usare una sintassi così equivoca. Je ne sai pourquoi Virgile dans cette belle comparaison, a donné l’épithète d'alta à Procita, car non seulement elle n'est pas haute d'elle même, mais elle est beaucoup plus basse qu’Ischia & que toutes les pointes de Terre qui sont dans son voisinage. Je croirois qn'Alta est joint adverbialement avec tremit, si Virgile eût pû se servir d'une Syntaxe si équivoque. Antoine Claude Pasquin detto Valery (-? 1847) Viaggi storici e letterari in Italia durante gli anni 1826, 1827 e 1828, o L’Indicatore italiano, 1831-1833 breggiati da alti castagni; e sulle prime pendici, che si abbassano sino al mare, crescono le vigne a cui si deve l’ottimo vino bianco di Ischia. Sulla collina della Sentinella, una dei punti più incantevoli di tutta l’isola, c’era una bella casa affittata ad alcune signore straniere, e qui ho avuto l’onore di cenare in buona compagnia. Questa casa apparteneva al fratello del primo medico dei bagni del Monte della Misericordia, un importante centro termale; perché le acque di Ischia sono molto salutari, soprattutto per le lesioni. Il costume nazionale dei contadini è ricco e abbastanza elegante; anche le donne non l’hanno lasciato; esso varia in ogni paese; Il mio viaggio ad Ischia è stato un passaggio di un giorno fatto col piroscafo a vapore; ma ho potuto respirare l’aria deliziosa di quest’isola, e contemplare il suo meraviglioso panorama, considerato come uno dei più belli d’Italia, e anche di tutte le coste e le isole del Mediterraneo. Il diapason degli abitanti mi è sembrato ancora più lampante di quello del popolo napoletano. All’avvicinarsi delle barche, essi si gettarono in acqua, sollevarono i viaggiatori in spalla, al fine di affittare loro gli asini che guidavano da tergo con grida e agilità incredibili. Il superbo Epomeo, vulcano spento, più antico, si dice, del Vesuvio, appare come una guglia colpita dai raggi del sole di Napoli. La sua base è solcata da burroni profondi, romantici, om- Antoine Claude Pasquin dit Valery (? – 1847) Voyages historiques et littéraires en Italie pendant les années 1826, 1827 et 1828, ou l’Indicateur italien, 1831-1833 Mon voyage à Ischia n'a été qu'un passage d'un jour fait par le bateau à vapeur; mais j'ai pu respirer l'air délicieux de cette île, et contempler son merveilleux panorama, regardé comme un des plus beaux de l'Italie, et même de toutes les côtes et îles de la Méditerranée. Le diapason des habitans m'a semblé encore plus éclatant que celui du peuple napolitain. A l'approche des barques, ils se jetèrent dans l'eau, enlevèrent les voyageurs sur leurs épaules, afin de leur louer des ânes qu'ils conduisaient par derrière avec des cris et une * * agilité incroyables. Le superbe Epoméee, volcan éteint, plus ancien, dit-on, que le Vésuve, paraît une aiguille des Alpes frappée par les rayons du soleil de Naples. Sa base est sillonnée de ravins profonds, romantiques, ombragés de hauts châtaigniers; et sur les coteaux inférieurs qui s'abaissent jusqu'à la mer croissent ces vignes auxquelles on doit l'excellent vin blanc d'Ischia. Sur la colline de la Sentinella, un des plus ravissans points de vue de l'île, était une jolie maison louée à des dames étrangères, et où j'eus l'honneur de dîner en excellente compagnie. Cette maison appartenait au frère du premier médecin des bains del Monte della Misericordia, établissement thermal important; car les eaux d'Ischia sont très salutaires, particulièrement pour les blessures. Le costume national des paysannes est riche et assez élégant; les dames même ne l'ont point quitté; il varie selon chaque endroit; mais le mouchoir de soie de couleurs brillantes, et roulé en forme de turban, est à peu près universel. Nous avions passé devant l'île de Procida, dont les filles ne mettent La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 51 ma il fazzoletto di seta dai colori brillanti, e arrotolato in forma di turbante, è quasi universale. Avevamo superato l’isola di Procida, le cui ragazze non mettono più i loro famosi abiti greci, tranne che la domenica e i giorni festivi, come gli Highlanders scozzesi, il loro cosiddetto costume romano. Queste ragazze erano accorse al lido per vedere il battello a vapore, mezzo del commercio e dell’industria moderna, che faceva un vero e proprio contrasto con i costumi poetici dell’antichità. L’isola di Nisida, oggi Lazzaretto di Napoli, vide la fine di Bruto e Porzia. Ischia, nei tempi moderni, è diventata il rifugio di un’altra degna romana, Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, la vedova inconsolabile del vincitore di Pavia, donna illustre per le sue virtù, per la bellezza, per il suo alto talento poetico, e che divenne la santa musa di Michelangelo e la Beatrice di questo Dante delle arti. 1 Il raffronto di Porzia e di Vittoria Colonna è stato elegantemente plus leurs fameux habits grecs que les dimanches et fêtes, comme les highlanders écossais, leur soi-disant costume romain. Ces filles étaient accourues sur le rivage pour voir le bateau à vapeur, instrument du commerce et de l'industrie moderne, qui formait un vrai contraste avec les costumes poétiques de l'antiquité. L'île de Nisida, aujourd'hui lazaret de Naples, vit les adieux de Brutus et de Porcie. Ischia, dans les temps modernes, devint la retraite d'une autre digne Romaine, Vittoria Colonna, marquise de Pescaire, la veuve inconsolable du vainqueur de Pavie, femme illustre par ses vertus, sa beauté, la supériorité de ses talens poétiques, et qui devint comme la muse sainte de Michel-Ange et la Béatrice de ce Dante des arts. espresso in versi latini da Ariosto, che aveva già celebrato la marchesa di Pescara nell’Orlando (XXXVII, st XVI ss .): Non vivrò senza te, Bruto mio, disse costernata Porzia e inghiottì carboni ardenti; o Avalos, te morto, disse Vittoria, vivrò sempre addolorata mesti giorni. Romane l’una e l‘altra, ma in ciò Vittoria più grande: morta non può dolersi affatto, viva ne soffre. Sappiamo che Michelangelo fece per Vittoria vari disegni citati dal Vasari, come opere ammirevoli; egli corrispondeva con lei, e lei gli ispirò dieci bei sonetti e diversi madrigali pieni di sentimento e passione. élégamment exprimé dans des vers latins de l'Arioste, qui avait déjà célébré la marquise de Pescaire dans l’Orlando (XXXVII, st. XVI, suiv.): Non vivam sine te, mi Brute, exterrita dixit Portia, et ardentes sorbuit ore faces; Avale, te extincto, dixit Victoria, vivam Perpetuo moestas sic dolitura dies. Utraque romana est, sed in hoc Victoria major: Nulla dolere potest mortua, viva dolet. On sait que Michel-Ange fit pour Victoria divers dessins cités par Vasari comme des ouvrages admirables; il correspondait avec elle, et elle lui inspira dix beaux sonnets et plusieurs madrigaux remplis de sentiment et de passion. 1 Le rapprochement de Porcie et de Vittoria Colonna a été Jerome Maurand - Recueil de voyages et de documents – Itinérai- re d’Antibes à Constantinple (1544) – Texte italien publié pour la première fois avec une traduction par Léon Dorez, Paris 1901. Raccolta di viaggi e di documenti - Itinerario da Antibes a Costantinople A lì 13 di zugno, di notte, Sala Rais partite de Porto Herculi et andò al insula del Ziglio (1), discosta di terra ferma 15 miglie, subdita a li Senesi. Questa insula è habitata. La terra è asai forte, ma il castello fortissimo. Gionto Sala Rais al Ziglio con 40 que galere et galeote, assediò la terra. Vedendo questo, quelli de la terra tuti se retirorono nel castello. Visto Sala Rais que con sì pocha gente non era possibile prendere il castello, mandò una galiota a Porto Herculi dal signor Bassan. Ali 15 di zugno de matin, il signor Bassan con 15 galere partite di Port’Herculi et andò al Ziglio. Gionto che fu, subito intrò ne la terra et non vi trovando persona, vi fece metere il focho. Da poy fece descendere certi canoni in terra, et tirati 52 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 Le 13 juin, de nuit, Salah Rais partit de Portercole et alla à l’île du Giglio (1), éloignée de la terre ferme de quinze milles et soumise aux Siennois. Cette île est habitée. La place est très forte; le château est plus fort encore. Salah Rais, arrivé à Giglio avec 40 galères et galiotes, assiégea la place. Voyant cela, ceux du pays se retirèrent tous dans le château. Salah Rais, voyant qu’avec si peu de gens il n’était pas possible de prendre le château, envoya une galiote au seigneur Bassan, à Portercole. Le 15 juin au matin, le seigneur Bassa partit de Portercole avec quinze galéres et alla au Giglio. Arrivé là, il entra aussitôt dans la place, et n’y trouvant personne, il y fit mettre le feu. Ensuite, il fit descendre à terre un su al castelo, comandò il castelo fuse batuto. Ali 17 di zugno, a 12 bore, il castel del Ziglio fu preso da li Turchi d’asalto, et vi morite 30 Turchi. Furono prese anime cristiane utriusque sexus 632 (2). Intrato il signor Bassan nel castelo, comandò li fuseno menati dinansi tuti li primi de la terra; amenati che li furono, fese tagliar la testa a tuti in sua presentia, et anchora a un prete. Questo fatto, fesse brusar et arruinar il castelo. Cossa certo mirabille que el nome Turche[s]co sia apresso de Cristiani cussi horribile et tremendo, que se facia perdere non sollo le forse, ma anchora l’inteletto, che essendo in fortissimi castelli non manchi lion contra di loro a difenderse. Certo ad judicio mio altro non è l’ causa salvo li peccati de li Cristiani, quia omnis caro corrupit viam suam (3). A quel giorno medes(s)mo, circa l’hora di sera, il signor Bassan insieme con Sala Rais et tute le galere partite dil Ziglio arrivorono a Port’Herculi. Ali 18 di zugno, il signor Bassan andò in terra et fese menar in terra tuti li prisoni christiani que erano stati presi, tanto di…. (4) se era partito con 60 galere di Porto Ilerculi. A quel gorno medes(s)mo, l’armata giunse in mezo de doe insole non troppo grande, l’una chiamata Maldeventre (5), et l’altra Bentiten (6), et quivi dete fondo et stete fine a la diana. Quelle insole sonno fatte cussi et sonno nel mare Tirreno, deshabitate. Ali 23, a la diana, l’armata partite de l’insula di Bentiten et venete apresso d’una isola ancora lei nel mar Tirreno, propingha a la famosa cità de Napoli a 20 miglia, chiamata Iscla (7). Questa insola è grande certain nombre de canons, les fit traîner jusqu’au château et commanda de le battre. Le 17 juin, à douze heures, le château du Giglio fut pris d’assaut par les Turcs, et il y mourut trente Turcs. Furent faites prisonnières 632 âmes chrétiennes utriusque sexus (2). Le seigneur Bassan, une fois entré dans le château, ordonna que l’on amenât devant lui tous les principaux du pays; dès qu’ils furent amenés, il leur fit couper la tête à tous en sa présence, et même à un prêtre. Cela fait, il fit brûler et démolir le château. C’est une chose vraiment étonnante que le nom turc soit pour les chrétiens si horrible et si terrible qu’il leur fasse perdre non seulement les forces, mais encore l’intelligence, puisque même dans de très forts châteaux, il n’est lion qui ne faille à se défendre contre eux. Certes, à mon avis, il n’y a pas à cela d’autre raison que les péchés des chrétiens, quia omnis caro corrupit viam suam (3). Ce jour même, vers l’heure du souper, le seigneur Bassa et Salah Rais, partis du Giglio avec toutes les galères, arrivèrent à Portercole. Le 18 juin, le seigneur Bassa alla à terre et y fit mener tous les prisonniers chrétiens qui avaient été capturés tant de.... (4) était parti de Portercole avec 60 galères. Ce jour même, la flotte arriva entre deux îles assez peu grandes, l’une appelée Maldeventre (5) et l’autre Ventotene (6); elle jeta l’ancre à cet endroit et y mouilla jusqu’à la diane. Ces îles sont faites ainsi et sont dans la mer Tyrrhénienne, non habitées. Le 23, à la diane, la flotte partit de l’ile de Ventotene et arriva près d’une ile (7). située aussi dans 1) Cfr. Jove (Giovio), lib. XLV, fol. 339 2) Adriani (Storia, p. 103), porte le nombre des prisonniers à 700. Segni (Istorie fior., t. II, p. 324) dit seulement : «Vi fé molta preda d’anime». 3) Ces réflexions fort justes de Maurand se terminaient d’abord ainsi: «que certe ogidì totus mundus est in maligno possitus». Quant à la seconde citation, elle est tirée de la Genèse, VI, 12: «omnis quippe caro corruperat viam suam super terram». 4) Il manque encore ici un feuillet au moins du manuscrit de Maurand. Ce feuillet devait contenir le récit du voyage de la flotte de l’île du Giglio à Civitavecchia et le long des côtes des États de l’Église. Adriani dit (t. II p. 10) qu’après avoir brûlé la forteresse et la ville du Giglio, Barberousse tourna la proue vers Civitavecchia sans causer le moindre dommage aux terres de l’Église; et p. 120: «trascorrendo le marine della Chiesa senza far danno alcuno, era passato nel Regno di Napoli». — Segni, toujours moins sûr qu’Adriani, s’étonne de la conduite étrange de Barberousse et prétend que le Pape lui fit faire de magnifiques présents, de sorte qu’il semblait que le Pape et Barberousse fussent de vieux amis: «di sorte che pareva che il Papa e Barbarossa si fussono conosciuti gran tempo». Storie fior., t. II, p. 324. — La vérité est qu’il avait sur ce point des instructions précises; il avait été convenu, entre Soliman II et François Ier, que la flotte turque ne fournirait aucun prétexte personnel de plainte au Pape, chef de la Chrétienté, si lesée par cette alliance imprévue. Il en avait déjà été ainsi lors de l’arrivée de la flotte turque. 5) Ecueil situé à l’Ouest de la Sardaigne, d’une longueur de 2 kilomètres environ. 6) L’île de Ventotene, appelée aussi Vendotena ou Pandataria, se trouve dans la mer Tyrrhénienne (golfe de Gaète); elle est de forme à peu près circulaire et presque partout inaccessible. 7) En marge, on lit, de troisième main, la note suivante: «Phitecusa insula, quae et Aenaria a statione navium Aeneae dicta est. Homerus Inarime vocat; a Grecis Pithecusa [a] figlinis liariorum [doliorum], Plin. 3, 6» - L’île d’Ischia est située entre le golfe de Naples et celui de Gaète, à 12 kilomètres du cap Misène. — Suivant Jove (lib. XLV, fol. 340), la ville de Centocelle n’échappa au pillage et à l’incendie que grâce aux supplications de Leone Strozzi: «Indeque directo cursu in Aenariam delatus, odii sui ad Nicem in Alfonsum Davalum concepti omnem acerbitatem effudit, quam nocturna descensione facta, undique insulam comLa Rassegna d’Ischia n. 5/2015 53 asai, habitata, frutifera, et n’è signore il Marchese dil Guasto (8). Vi sono 8 cassali ; lo principale |è| qualle se chiama Iscla, dove è uno castello insieme con la terra fortissimo. Qui la più parte dil tempo se tiene la signora Marchisa insieme con le sue riquesse. In uno porto da tramontana d’Iscla a 3 miglia, dove sonno certi maguaseni, trovassemo Sala Rais. il quallen avea brusato la notte inanti certi casali in questa insola et preso anime utriusque sexus doe milia et 40 (9). Il castello et la vila sonno fatti cussi (10). Inanti di questo castello d’Iscla, l’armata stete uno poccho in giolio (11), et poy andò far fondo sotto di la terra de l’insola chiamata Progita (12), insola belissima, abondante de frute d’ogni sorte. Questa insolla è piana et sufficientemente grande, subdita (chomo me fu ditto) al marchese dil Guasto, et distante di terra ferma uno miglio, de la cità de Napoli 12 miglie. In questa insola vi sonno belissimi giardini di diversi gentil’homini Napolitani. Vi sno certi cassali specialli. Vi è la terra chiamata Progita (13), la qualle è fatta cussi. la mei Tvrrhénienne, distante de 20 milles de la fameuse cité de Naples, et nommée Iscla (7). Cette île est très grande, habitée, fertile, et le marquis del Vasto (8) en est le seigneur. Il y a huit villages, dont le principal se nomme Iscla, où est un château très tort comme le pays lui-même. C’est là que la plupart du temps se tient Madame la marquise avec ses richesses. Dans un port qui est a trois milles au nord d’Iscla et où sont des magasins, nous trouvâmes Salali Rais qui, la nuit précédente, avait brûlé plusieurs villages de l’île et y avait pris 2,040 âmes utriusque sexus. Le château et la ville sont ainsi faits. Devant ce château d’Iscla la flotte se tint quelque temps au roulis, puis alla jeter l’ancre sous la ville de l’île appelée Procida (12), très belle île, abondante en fruits de toute sorte. Cette île est plate et suffisamment grande, soumise (comme il me fut dit) au marquis del Vasto, et éloignée de la terre ferme d’un mille, de la cité de Naples de douze milles. En cette île il y a de très beaux jardins appartenant à divers gentilshommes napolitains. Il s’y trouve certains villages particuliers et la terre nommée Procida (13), qui est faite ainsi. plexus, omnes prope incolas, nequicquam in altissima Abacoeti montis culmina evadentes intercepisset, tresque praecipuos ejus insulae pagos, Forinum, Pansam et Varranium, evastasset. Ipsum vero oppidum Pythacusas, Davali sedem, abrupto in colle disjunctaque a mari positum, quum tormentis egregie esset permunitum, aggredi non potuit. Exinde abradens Prochitam, illato minore detrimento, quod incolae demigrantes magna ex parte Pythacusas confugisscnt, in Puteolanum sese intulit sinum, eo ordine ut classis a Miseno ad Avernum toto Baiano litore extenderetur, tutaque esset a tormentis ejus excelsae arcis, que est ad Baulos, antiquis Hortensii oratoris delicis nobilis». 8) Le marquis de Pescara, Ferdinando Francesco d’Avalos, mari de Vittoria Colonna, était mort à 32 ans, en 1525, laissant ses biens à son cousin Alfons d’Avalos, marquis del Vasto, celui-là même qui fit traîtreusement assassiner Antoine Rincon et Cesare Fregoso en 1541. 9) Vittoria Colonna avait fait plusieurs séjours à Ischia; sa correspondance l’atteste pour les années 1525, 1526, 1528, 1530, 1532 et 1533 (V. Carteggio di V. Colonna…, raccolto e pubblicato da Ermanno Ferrero e Giuseppe Müller, Torino, 1889 et Supplemento de Tordi, 1892). Mais il s’agit ici de la femme de son cousin Alfonso (cf. la note précédente), Marie d’Aragon. 10) Selon Adriani (t. II, p. 121), qui place le pillage et les incendies de Procida avant l’attaque d’Ischia, Barberousse prit dans cette dernière île «plus de 1500 personnes», et n’osa pas entreprendre l’assaut de la forteresse qui passait pour expugnable. Segni (t. II, p. 324) dit, comme Paul Jove, que le Bassa pilla et dévasta Ischia et Procida pour se venger du renfort amené aux Niçois assiégés par le marquis del Vasto. 11) Giolio, pour giolito. Cf. Jal, Gloss. naut., p. 783, 1. 12) L’île de Procida, située à une demi-lieue environ du château d’Ischia. Premi di Poesia Il poeta prof. Pasquale Balestriere di Barano ha vinto ultimamente i seguenti premi: - Sezione delle liriche inedite al Premio Internazionale di Borgo d’Alberona (Foggia) - Premio Mimesis per la poesia “Era l’età del Sapias vina…” 54 La Rassegna d’Ischia n. 5/2015 Restaurati gli affreschi della Cappella Bulgaro nella cripta del Castello Aragonese Rispetto al clamore mediatico che aveva circondato, almeno all’inizio, il restauro dei due sarcofagi egizi, è passato pressoché inosservato il restauro degli affreschi della cappella Bulgaro. . Eppure, è quello l’intervento che ha più valore, per l’isola. Perché riguarda un’opera che, pur essendo molto più “giovane” dei due antichi reperti arrivati dal Belgio, non è di passaggio, ma è parte integrante del patrimonio storico-artistico ischitano che continuerà degnamente a rappresentare. Tanto più adesso che il delicato restauro a cui è stata sottoposta è completato. E così eccola, la Cappella Bulgaro nella Cripta della Cattedrale del Castello rifulgere quasi nel suo originario splendore. Di nuovo leggibile, in quasi tutte le sue parti, non più deturpata da scritte e graffiti, finalmente recuperati i delicati e caldi colori con cui si presentò ai committenti quando poterono ammirarla per la prima volta. E manifestare il loro compiacimento all’autore, su cui però non sappiamo nulla. A parte il fatto, deducibile dall’analisi dei suoi dipinti, che doveva trattarsi di un artista di buon livello, scelto sicuramente tra quelli allora attivi nella capitale, dall’altra parte del mare. La squadra delle quattro giovani esperte dell’Istituto Europeo del Restauro ha lavorato ogni giorno in quella seconda cappella della cripta negli ultimi sei mesi, prendendosi cura di ogni millimetro della superficie affrescata. Il lavoro da fare era notevole, nonostante gli interventi effettuati negli anni passati all’interno della struttura della cripta avessero garantito condizioni discrete di base alle otto cappelle che vi si aprono. Delle quali, finora, sono state restaurate solo in due. A cui va aggiunta l’altra cappella completamente affrescata riemersa del tutto casualmente qualche anno fa al di sotto del pavimento, quando ci si accorse dell’esistenza del vuoto dietro una parete che custodiva una fossa comune ricavata in quell’ambiente in occasione di una pestilenza. Anche la cappellina ritrovata è oggi aperta al pubblico. Ed era rimasta fruibile, la cripta, anche nei mesi passati, mentre le restauratrici erano all’opera. Secondo il sistema di lavoro caratteristico dell’Istituto Europeo del Restauro (che sarà ora utilizzato anche a Bruxelles per il prosieguo del restauro dei sarcofagi), lo spazio interessato dall’intervento era stato protetto da uno schermo di cristallo, che consentiva ai visitatori di seguire “live” la complessa opera di recupero. Per la quale ci si è avvalsi delle strumentazioni diagnostiche più all’avanguardia e anche della consulenza di esperti dell’Opificio delle pietre dure di Firenze, il top per il restauro di affreschi e pitture a livello mondiale. «Abbiamo iniziato asportando i sali e rimuovendo le resine e le stuccature fatte in passato che erano particolarmente invadenti – spiega Eleonora Cerra, che ha guidato il gruppo delle restauratrici – Abbiamo consolidato la superficie e rigenerato le stuccature secondo le tecniche attuali che sono molto più discrete. Abbiamo anche lavorato sulle scritte e sulle incisioni lasciate nel tempo dai visitatori, riuscendo a renderle appena visibili. E poi ci siamo occupate del ritocco pittorico, che ha riguardato non solo le parti con le figure, ma anche la parte bassa della cappella, in finto marmo dipinto». E il risultato è sorprendente. Tranne alcune parti già perdute da tempo, molto dei dipinti è ancora visibile, come quasi tutti i volti, di cui ora si può cogliere anche l’espressione. I soggetti in sequenza sono: l’adorazione dei Magi, una Madonna con Bambino e Santi, una teoria di Santi, quattro Angeli e un Cristo Pantocrator. Opere trecentesche, con figure ancora abbastanza ieratiche e con scarsa profondità, ma di un notevole livello. «Già dalla preparazione dell’intonaco, si può dire che si tratta di dipinti di buona qualità e, nonostante la semplicità del segno, lo si nota soprattutto nelle figure della Madonna e del Bambino», afferma Cerra, che ha analizzato approfonditamente la tecnica dell’artista in tutti i suoi aspetti. Nessuna ipotesi su una possibile attribuzione, però, che è un problema che si sta tuttavia affrontando e che è oggetto di studi, tuttora in corso. Dopo il completamento dei lavori nella cappella 2, nota come Bulgaro per la presenza dello stemma di una delle famiglie nobiliari più potenti sull’isola nel XIV secolo, restano da restaurarne altre sei. «Ma per adesso sospendiamo l’attività nella cripta, dove non vi è più alcun rischio per le pitture – anticipa Nicola Mattera – per concentrare l’attenzione sulla Cattedrale, dove invece vi è urgenza di intervenire. D’altronde, grazie alla presenza sul Castello dell’Istituto Europeo del Restauro, sarà possibile garantire un restauro continuo nella cripta e intervenire con tempestività lì dove man mano si renderà necessario, anche sulle parti già trattate. E speriamo che anche i visitatori siano più rispettosi di quanto non è accaduto nel passato, con scritte e incisioni perfino sui dipinti». Comunque, presto sarà installato un impianto di videosorveglianza. Merita la maggiore cura e tutela possibile, la cripta, che, insieme alla cappella laterale da poco restaurata dell’antica Cattedrale, custodisce le uniche testimonianze pittoriche sull’isola del Trecento, periodo di straordinaria fioritura artistica nella Napoli angioina. Da dove giunse anche l’autore anonimo degli affreschi sul Castello. (dal sito www.quischia.it di Isabella Marino)