sociologia giuridica della devianza e del mutamento sociale

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sociologia giuridica della devianza e del mutamento sociale
INSEGNAMENTO DI
SOCIOLOGIA GIURIDICA DELLA DEVIANZA E DEL
MUTAMENTO SOCIALE
LEZIONE V
“TEORIE DELLA SUBCULTURA E CONTROLLO SOCIALE”
PROF. ALFREDO GRADO
Sociologia Giuridica della devianza e del mutamento sociale
Lezione V
Indice
1 Le teorie della subcultura ------------------------------------------------------------------------------- 3 2 Il controllo sociale --------------------------------------------------------------------------------------- 8 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Sociologia Giuridica della devianza e del mutamento sociale
Lezione V
1 Le Teorie della subcultura
Proseguendo sull’orda delle teorie sociologiche che hanno integrato prospettive teoriche
diverse, quella della sottocultura delinquenziale di Cohen sembra necessitare di una attenzione
particolare. Infatti, come lo stesso Cohen afferma in “Delinquent Boys” (1955), «vi sono certi tipi
di comportamento che vanno spiegati e che il concetto di subcultura è lo strumento adatto alla loro
comprensione». Tuttavia, va detto che molti hanno considerato il lavoro di Cohen come una fusione
tra la teoria dell’anomia e la tradizione della Scuola di Chicago, ma per quanto corretta possa
essere tale ipotesi, resta il fatto che in “Delinquent Boys” è contenuta solo una citazione all’opera di
Merton, ed in una nota a piè pagina. Detto ciò, andiamo a conoscere il pensiero di Albert K.
Cohen(1955).
Egli crede che la società americana sia caratterizzata al suo interno da trasformazioni sociali
che pongono le basi per una netta contrapposizione tra la cultura dominante, quella borghese,
portatrice dei valori dominanti e la cultura deviante, quella che predomina tra i ceti sociali meno
abbietti. Ebbene, una struttura sociale così definita quali conseguenze può generare? Quali reazioni
può provocare negli individui che fanno parte dei ceti più svantaggiati, separati economicamente e
culturalmente dal resto della società? E’ ipotizzabile una pacifica cooperazione tra i soggetti
dell’intero sistema sociale, unita ad una mesta accettazione del proprio essere e dei valori dominanti
o è più verosimile l’ipotesi di un netto rifiuto degli standard di vita della classe media?
Una convivenza tranquilla tra culture diverse non è assolutamente possibile per Cohen, anzi
la cultura deviante nasce proprio dal conflitto tra classi agiate e classi povere, tra chi ha tutto,
compresi i mezzi e le possibilità per arrivare ove si desidera e chi invece vive in condizioni
disagiate, sempre alla ricerca di mezzi per raggiungere efficacemente mete sociali tanto ambite,
spinti essenzialmente dal desiderio di mutare il proprio status sociale. Per Cohen queste
ineguaglianze sociali, fonti di disagio, costituiscono i motivi per cui molti giovani, appartenenti alle
classi sociali inferiori scelgono di entrare a far parte di una sottocultura poco o per nulla ligia alla
legge. Parliamo di individui il cui stato d’animo è caratterizzato da una molteplicità di sentimenti
negativi poiché essi si sentono esclusi dalla cultura di massa dominante e dai meccanismi che
portano al successo economico e sociale; si sentono umiliati, frustrati, incapaci di raggiungere
determinate mete culturali, insoddisfatti per quello che si è. Tutto ciò porta i membri della
subcultura deviante, più i giovani maschi che le femmine, a sviluppare una reazione negativa verso i
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valori che non possono raggiungere. L’insoddisfazione la si avverte già da piccoli, quando si è
costretti a frequentare scuole pubbliche giudicate poco adatte a fornire un’adeguata istruzione per
tentare la cosiddetta scalata sociale, e continua da grandi.
Questo miscuglio di sentimenti, al limite dell’accettazione, induce i soggetti ad optare per
quelle che gli stessi giudicano delle scorciatoie legittime: come l’ingresso in una sottocultura
delinquenziale. Quello che non può essere ottenuto per nascita, fortuna, destino, sacrificio o
temperamento, lo si può ottenere con la trasgressione. I devianti arrivano addirittura a provare
soddisfazione e piacere nel causare disagio a chi è più fortunato di loro. Non disdegnano neppure il
tentativo di calpestare e schernire i valori della classe media attraverso pratiche umilianti e violente.
Prediligendo specifiche forme di violenza, la loro condotta diventa un mezzo attraverso cui
catturare l’attenzione di quel mondo a loro ostile, rifiutato e disprezzato; un mondo rappresentato ed
avvertito come ingiusto, disuguale in quanto non garante delle medesime opportunità di crescita
economica e sociale. A tale proposito, Cohen introduce il concetto di “formazione reattiva”, per
indicare il rifiuto e il rovesciamento dei valori e delle norme giuridiche dominanti con il relativo
emergere di fenomeni quali la formazione di bande delinquenziali, l’emergere del teppismo e di atti
di vandalismo, più in generale il profilarsi di atteggiamenti distruttivi. Di fatto, la sottocultura
criminale tende a legittimare la propria aggressività ravvisabile sotto le più svariate forme: violenza
negli stadi, negli istituti scolastici, atti di vandalismo nei confronti di opere d’arte, di beni pubblici,
come muri, cabine telefoniche, treni, autobus ecc. E’ per questo motivo che le sottoculture
delinquenziali, che costituiscono oramai un fenomeno ampiamente noto e diffuso, suscitano
nell’opinione
pubblica
rammarico
e
profonda
preoccupazione.
Quest’ultima,
riguarda
principalmente quella violenza ostentata senza nessun timore di subire adeguati provvedimenti
sanzionatori, una violenza che rischia di diventare un’abitudine.
Nel 1960, riprendendo e sviluppando le interpretazioni di Cohen circa la natura delle bande
delinquenziali, R. Cloward e L. Ohlin ribadiscono, nella loro teoria delle opportunità differenziali,
che la struttura sociale non è omogenea in termini di opportunità, non conferisce le stesse
possibilità di autoaffermazione e di promozione socio-culturale. La loro analisi del contesto sociale
americano li porta ad asserire che l’esistenza di una sottocultura deviante dipende
fondamentalmente dal grado di integrazione degli individui all’interno della società stessa. Se
manca l’integrazione tra gli uomini le possibilità di successo si riducono ulteriormente e si è
maggiormente propensi ad intraprendere strade illegali. Essi interpretano il fenomeno della
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devianza essenzialmente in termini di determinismo economico, portando avanti l’ipotesi che a
scatenare un comportamento antisociale vi siano motivazioni di carattere economico.
Infatti, secondo R. Cloward e L. Ohlin, chi vive in zone più svantaggiate dal punto di vista
economico ha maggiori difficoltà nel raggiungere le proprie mete, trova più ostacoli nel soddisfare
le proprie ambizioni rispetto a chi vive in zone più all’avanguardia, più attrezzate in termini di
risorse e strumenti. Questo dislivello economico pregiudica il successo sociale, successo che è
ancor più compromesso se si tiene conto della razza.
Significativa è poi l’immagine che R. Cloward e L. Ohlin elaborano delle bande criminali.
Nel loro immaginario la banda può essere concepita come un guscio protettivo, un guscio in cui i
membri, che vivono ai margini della società, ricercano una risposta ai propri bisogni di
aggregazione e di riconoscimento reciproco, arrivando persino a giustificare e ad avvalorare la loro
condotta antigiuridica. A questo punto, pur ammettendo l’esistenza di più bande criminali che
minano l’ordine sociale, è opportuno interrogarsi su cosa contraddistingue una banda criminale da
un’altra. E chiedersi inoltre se i reati commessi rientrano tutti nella stessa categoria o se esiste una
sorta di gerarchia del crimine.
In “Delinquency and Apportunity: A Theory of Delinquente Gangs” (1960), i due studiosi
sostengono che per i giovani la realizzazione delle loro aspirazioni passa attraverso diverse
modalità. Le possibilità di autoaffermazione e di promozione socio-culturale non sono equamente
distribuite all’interno delle varie classi sociali : chi vive in zone economicamente meno sviluppate
ha molti più problemi nel raggiungere le mete delle proprie ambizioni, rispetto a coloro che invece
risiedono in zone più ricche di risorse e di strumenti adatti. Questi fattori rappresentano una
limitazione delle opportunità obiettive di riuscita sociale, dove la razza, il ceto, la classe sociale
costituiscono i principali elementi di tale impedimento. I due studiosi sostengono così che il
concetto di attività criminale nelle classi inferiori crea una forma di sub-cultura delinquenziale la
cui esistenza dipende dal grado di integrazione presente nella comunità e senza la quale ( struttura
criminale instabile ) avrebbero meno possibilità di successo utilizzando canali criminali rispetto a
quelle che avrebbero utilizzandone di legittimi . Le bande criminali nascerebbero allora come
risposta ai bisogni di aggregazione e di riconoscimento reciproco di questi giovani devianti,
costretti al margine dalla società . Sulla base dell‘esistenza di un abuso di sostanze stupefacenti,
del ricorso alla violenza o della modalità di esercitare la loro delinquenza, i due autori distinguono
tre diversi modelli di banda:
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a) "Le bande criminali , costituite da soggetti inizialmente dediti alle più comuni attività
appropriative illecite, quali furti e rapine, che poi, con l’inserimento nella sottocultura della
delinquenza abituale , amplificano e perfezionano la loro attività criminale con l’estorsione , il
racket , lo sfruttamento della prostituzione , il gioco clandestino etc. Questi giovani diventano in tal
modo criminali professionisti , realizzando una più facile acquisizione degli status symbol proposti
dalla cultura della classe media. Queste bande presentano un grado elevato di integrazione sociale.
b)” le bande conflittuali” sono invece dedite alla violenza e al vandalismo sistematico, senza
finalità primariamente appropriative, mirando a distruggere i simboli irraggiungibili e ad esprimere
così irrazionalmente, con la violenza gratuita appunto, la protesta per esserne esclusi. Effettuano
così in tal modo un’aggressione violenta nei confronti del sistema: con l’associazione in queste
bande infatti i giovani esprimono una ribellione e un’opportunità che combatte, ancorché secondo
modalità del tutto acritiche e irrazionali, gli emblemi e le mete che la società propone. Questa banda
è una Comunità disgregata poco organica e composta spesso da criminali falliti.
c) “le bande astensionistiche”, infine, sono composte da quei giovani nei quali la
frustrazione ha provocato una fuga che si esprime attraverso il rifiuto globale della cultura stessa,
dalla quale cercano di evadere mediante la tossicomania o l’alcolismo. Tali bande sono costituite da
emarginati sociali o da soggetti che vengono definiti: “doppiamente falliti”. Robert Merton, nella
sua teoria della devianza, definisce questi soggetti “rinunciatari”. Essi commettono reati per
procurasi droga e alcol di cui non riescono a fare a meno. A seconda delle possibilità di accesso a
questi differenti “realtà”, l’individuo risolverà il suo conflitto tra mete e mezzi, adattandosi ad una
delle tre sottoculture.
In generale, per Cloword e Ohlin esiste più di un modo attraverso il quale i giovani possono
realizzare le loro aspirazioni. Nelle aree urbane abitate da classi inferiori, dove le opportunità
legittime sono poche, se ne trovano altre; ma, a loro volta, queste sono limitate nell'accesso, come
nel caso della struttura legittima. Così, la posizione sociale determina la capacità di utilizzare sia i
canali legittimi che quelli illegittimi verso il successo.
Il lettore avrà compreso che la teoria delle opportunità differenziali amplia l’approccio
anomico di Merton, e include le osservazioni sulla comunità della Scuola di Chicago. Inoltre,
sostiene che sono i modelli subculturali a determinare le forme di comportamento delinquenti.
Cloward e Ohlin sostengono che il vero problema nel definire la devianza consiste nella spiegazione
del mondo in cui avvengono le differenti reazioni alle tensioni, e nel delineare il contesto in cui
queste compaiono. La teoria delle opportunità differenziali, quindi, ritiene che le tensioni all’interno
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delle classi inferiori siano un dato di fatto, e tenta di spiegare l’esistenza di varie forme di
delinquenza come forme di adattamento ad esse, basate sulla stabilità delle comunità e sulla
presenza di modelli adulti.
Prima di concludere, è mia intenzione riportare l’ultima delle principali teorie
della
subcultura, sviluppata nel 1967 da Marvin Wolfgang e Franco Ferracuti. Il loro lavoro differisce in
maniera sostanziale dagli altri approcci, forse perché elaborato diversi anni dopo che le teorie della
subcultura delinquenziale e la criminologia avevano sviluppato nuovi concetti. In generale, gli
autori ha messo in evidenza come la sottocultura della violenza in gruppi delinquenziali contenga
specifici atteggiamenti e comportamenti violenti che sono considerati criteri costitutivi ed espressivi
dell'appartenenza al gruppo, del riconoscimento reciproco, dell'assunzione di status, ruoli, di
conferma degli obiettivi del gruppo e di affermazione dell'esistenza e dell'identità stessa del gruppo.
Da parte sua, la leadership del gruppo adolescenziale va qui intesa non nel senso riduttivo delle
caratteristiche di personalità del leader ma, secondo l'ottica più complessa degli approcci
situazionali e contingenti, come funzione interattiva fra il leader, i suoi comportamenti "efficaci"
negli specifici contesti, le caratteristiche emergenti del gruppo, le caratteristiche degli
obiettivi/compiti che il gruppo persegue e realizza. In tale prospettiva, i gruppi adolescenziali
dovrebbero costituire bersagli cruciali di ogni politica di prevenzione della devianza minorile
almeno in due ambiti sociali: a) il quartiere, la strada, lo spazio di vita quotidiana informale degli
adolescenti, dove si formano le aggregazioni "naturali" più o meno stabili, articolate e dove si
svolgono le basilari esperienze di socializzazione sia alla prosocialità che alle varie forme di rischio;
b) la scuola come primo e basilare ambito di socializzazione istituzionale, dove nascono forme di
gruppalità e reti di relazioni fra pari, parallele al percorso scolastico istituzionale, ma capaci di
produrre propri
valori culturali, criteri regolativi comportamentali, sempre diversi e spesso
conflittuali rispetto a quelli istituzionali, talvolta contrapposti, alternativi o ostativi rispetto ad essi,
come nel caso del bullismo (Olweus, 1996; Fonzi, 1997). Nelle recenti e importanti ricerche su
quest'ultimo tema, viene fatto riferimento alla dimensione gruppale come fattore di possibile
deindividuazione dei soggetti e di deresponsabilizzazione dei partecipanti agli episodi di bullismo
(Olweus, 1996), ma non sono state analizzate in modo specifico le modalità attraverso le quali il
gruppo svolge importanti funzioni di mediazione e di regolazione delle interazioni e delle
dinamiche che fanno emergere il bullo, la vittima, i vari ruoli di gregari, la qualità e la gravità delle
vittimizzazioni, operando come una sorta di organizzatore che seleziona e ricombina le differenti
caratteristiche e potenzialità personali degli individui all'interno del processo gruppale.
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2 Il controllo sociale
Alla teoria della subcultura si contrappone l'approccio alla devianza basato sul concetto di
controllo sociale. Ma prima di accostarci alle teorie che hanno dato lustro a tale orientamento, va
detto con forza che ogni società è retta da regole di comportamento, parte non codificate, parte
tradotte in norme legali (fra le quali quelle penali) al fine di assicurare coesione fra i suoi membri e
stabilità sociale: senza regole, infatti, qualsiasi contesto, dl più arcaico al più evoluto, non può
esistere. Questi obiettivi sono assicurati dalla esistenza di sistemi di controllo che hanno lo scopo,
appunto, di assicurare la coesione e la salvaguardia di ogni dato contesto sociale. Il termine
“controllo sociale” va pertanto spogliato dal pensiero che si tratti di qualcosa di opprimente e va
inteso, invece, in modo neutrale, avendo la consapevolezza che nessun sistema sociale può esistere
senza l’osservanza di regole.
Isaiah Berli, uno dei maggiori rappresentanti del liberalismo europeo, scriveva, giustamente,
che “la libertà è l’area entro cui una persona può agire senza esser ostacolata dagli altri” ma per
fruire di questo bene fondamentale necessario che la libertà dei singoli sia garantita appunto dai
sistemi di controllo che, senza per ciò essere necessariamente oppressivi, ne assicurano la
salvaguardia. Fra gli strumenti di controllo sociale distinguiamo: quelli istituzionalizzati o di
“controllo formale” - che sono cioè organizzati e regolamentati da specifici organismi. Controllo
formale è il controllo esercitato dagli organi pubblici in base a norme giuridiche che ne prevedono
esplicitamente le competenze e le procedure. I controllo formale è quello esercitato dalle forze di
polizia, dalle sanzioni detentive e pecuniarie, dalle misure di sicurezza, ecc.; Quelli di controllo
informale istituzionalizzato – sono organismi fondamenti che, pur avendo diversi fini istituzionali,
rappresentano anche importantissime fondi di informazione normativa e canali di comunicazione
dei valori fondamentali, e che quindi fungono anche da agenzie di controllo del comportamento. Il
controllo informale è rappresentato dall’azione di strutture riconosciute dal diritto per finalità
diverse dalla lotta alla criminalità (ad esempio, la famiglia, la scuola, la chiesa, il sindacato) o anche
indifferenti al diritto (es: le comunità abitative e le associazioni spontanee) che, intenzionalmente o
meno, concorrono a determinare l’adattamento degli individui agli schemi delle società in cui
vivono o anche a correggere situazioni , comportamenti e abitudini di vita che fanno temere
un’esposizione al rischio di divenire delinquenti o una inclinazione in tal senso; Quelli di controllo
informale non istituzionalizzato (o di gruppo) – Si tratta di un sistema di controllo che non si
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esercita mediante le istituzioni ma da persona a persona nel contesto stesso dei vari gruppi sociali Il
vicinato, le persone che si frequentano, gli amici e i colleghi, l’ambiente di studio e di lavoro).
Ciascun individuo è infatti costantemente sottoposto al giudizio di coloro con i quali vive a contatto
e, attraverso una fitta rete di messaggi, constata continuamente il grado di accettazione ovvero di
critica e di riprovazione che la sua condotta suscita. Questo tipo di controllo viene esercitato con
l’approvazione o l’elogio pubblico ovvero con la riprovazione: quest’ultima si manifesta attraverso
una gradualità di atteggiamenti proporzionali alla gravità con cui viene giudicata la condotta
(riprovazione verbale in privato; rimprovero pubblico; severa censura; derisione; temporaneo
allontanamento dal gruppo; isolamento; emarginazione; stigmatizzazione). In sintesi, dunque, il
controllo sociale consiste nell’azione di tutti i meccanismi che controbilanciano le tendenze
devianti, o impedendo del tutto la deviazione o, cosa più importante, controllando/capovolgendo
quegli elementi della motivazione che tendono a produrre il comportamento deviante. La nostra
analisi, ai fini del raggiungimento dei nostri obiettivi, partirà proprio da qui: come è possibile
spiegare la delinquenza dal punto di vista del controllo sociale?
Colui che ha anticipato la grande mole delle teorie del controllo sociale è senz’altro Albert
J. Reiss Jr (1951). Malgrado egli usasse la teoria psicoanalitica e scrivesse a lungo sulla importanza
della personalità, la prospettiva da lui adottata spiegava la delinquenza attraverso tra componenti del
controllo sociale: il mancato sviluppo di un adeguato auto controllo; allentarsi di questo
autocontrollo; assenza di quelle regole sociali introiettate mediante l’influenza dei gruppi sociali
importanti. L’approccio successivo venne sviluppato da Walter Reckless (1961). Questa teoria,
definita come teoria dei contenitori, mira a spiegare in generale il comportamento sociale
identificando quei fattori che favoriscono il contenimento della condotta nell’ambito della legalità:
viceversa la carenza di questi fattori di contenimento (cioè dei “contenitori”, da cui prende il nome
la teoria) costituisce elemento significativo nel favorire la scelta criminale. Reckless distinse:
•
contenitori interni – rappresentati da quegli aspetti della struttura psicologica più
significativi per favorire l’integrazione sociale. Essi consistono in : buon autocontrollo, buon
concetto di sé, forza di volontà, buon sviluppo delle istanza etiche, buona socializzazioni, forte
resistenza agli stimoli disturbanti, senso di responsabilità, orientamento verso fini ben chiari.
•
Contenitori esterni – rappresentati dall’insieme delle caratteristiche dell’ambiente
nel quale il singolo soggetto si trova a vivere. Le variabili psicologiche non sono infatti di per sé
sufficienti a render conto, da sole, del comportamento socialmente conforme (ovvero di quello
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criminoso) perché esse agiscono in modo differenziale a seconda dello status del soggetto e delle
caratteristiche peculiari del suo ambiente. I contenitori esterni rappresentano i freni strutturali che,
operanti nell’immediato contesto sociale di una persona, o agenti in senso più lato nella società, gli
permettono di non oltrepassare i limiti normativi. Detti contenitori sono rappresentati da fattori
molteplici: da un ragionevole insieme di aspettative di successo sociale, nel senso che quanto
maggiori sono le prospettive di successo legate al ceto, alle relazioni, alle qualificazioni
professionali, tanto più agevole sarà mantenersi nella conformità e non usare mezzi illegittimi per
affermarsi; l’opportunità di incontrare consensi nel proprio ambiente, il disporre di figure capaci di
offrire coerenti modelli di identificazione e una salda guida di condotta morale.
Si rende dunque necessario “considerare contemporaneamente l’integrazione e la
correlazione tra le variabili psicologiche e quelle ambientali”. Esiste cioè tutto un “complesso
sistema di correlazioni fra i vari contenitori che consente di comprendere come l’accentuata
carenza di taluni di essi renda proporzionalmente meno rilevante la mancanza degli altri”: in
genere, quanto più difettano i contenitori esterni, tanto minore importanza nel condurre alla
criminalità viene ad assumere la carenza di quelli interni e viceversa. Ma il concetto di controllo
sociale esterno assume un ruolo primario grazie al lavoro di David Matza (1964), il quale critica
l'assunto centrale della teoria della subcultura, in quanto «la devianza dà luogo ad un mondo
indipendente regolato da norme autonome e l'individuo che viola la legge - ovvero le norme
dell'ordine legittimo - è totalmente estraneo a questo ordine». Per Matza, in sostanza, la definizione
sociale della devianza discende dal conflitto fra il senso attribuito all'atto deviante dai devianti e il
senso dato allo stesso atto dagli altri soggetti. Nel suo studio sui giovani delinquenti Matza vede nel
deviante un individuo che partecipa al sistema dei valori legittimo e si pone il problema di spiegare
perché il deviante è tale, pur conoscendo e condividendo le regole di comportamento degli altri
membri della società. Sykes e Matza (1957) sostengono che, in un contesto in cui i valori e le
norme rappresentano delle guide per l'azione di carattere flessibile, il deviante può elaborare delle
giustificazioni della propria azione, adducendo motivazioni che legittimano dal suo punto di vista la
sospensione di una norma morale o legale e gli consentono di sentirsi autorizzato a trasgredire. In
quest'ottica l'ingresso nella devianza non implica l'interiorizzazione dei valori di una sottocultura
contrapposta all'ordine sociale dominante, ma l'apprendimento delle “tecniche di neutralizzazione”
che consentono all'individuo di continuare a considerare legittime le regole che sta violando. Le
tecniche di neutralizzazione individuate sono cinque:
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•
la negazione della responsabilità
•
la negazione del danno
•
la negazione della vittima
•
la condanna di chi condanna
•
il richiamo a lealtà di ordine più elevato
Lezione V
La neutralizzazione spiegherebbe l'inclinazione di un individuo a compiere atti devianti in
quanto la sospensione della fedeltà ai valori sociali libera l'individuo e lo pone alla deriva. La
condizione di deriva è aperta sia al reingresso nella conformità sia al proseguimento sulla strada
della devianza. Al centro di tale teoria, a differenza delle precedenti, c’è l’individuo, un soggetto
capace di orientarsi, di scegliere e decidere, un soggetto che costruisce la propria realtà, che si
confronta con i propri condizionamenti, elaborandoli cognitivamente senza subirli. La devianza,
come diceva Matza, fa sempre succedere qualcosa, ha il vantaggio selettivo di amplificare la
comunicazione, di aumentarne la portata. Per l’autore del comportamento, infatti, la scelta della
devianza è una modalità per rendere più evidente il suo messaggio, per aumentare la probabilità di
diffondere i significati, ma anche per affermare e difendere la propria identità. Come viene messo
in evidenza dalle teorie che inquadrano la devianza all’interno di un processo di comunicazione, i
comportamenti devianti richiamano inevitabilmente l’attenzione dei sistemi di controllo istituzionali
ed hanno la capacità di sollecitare risposte di reazione sociale.
Anche il controllo sociale può essere inteso come una forma di comunicazione, e parte di
questa ritorna al soggetto deviante attraverso un processo circolare: il soggetto ha provato a
mandare dei messaggi e riceve a sua volta, da parte del controllo sociale, dei messaggi che
riguardano la sua azione, messaggi che riguardano lui e il significato sociale di se stesso Il soggetto
che mette in atto il comportamento deviante cerca di affermare messaggi e altri effetti comunicativi
pragmatici e simbolici, ma il feed back che riceve dalle interazioni sociali può restituirgli
un’interpretazione in termini di disturbo senza senso. Infatti, il controllo sociale tende a
ridimensionare la comunicazione entro il confine della definizione negativa,
la svalutazione,
costringendo l’attore e l’azione devianti in una rete di significati che ne impediscono la
comprensione e favoriscono interventi paradossali. A volte può succede di fatto che il controllo
sociale, invece di scoraggiare la devianza, paradossalmente finisce per amplificarla, mantenendo
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un’attenzione privilegiata su certe categorie sociali, orientando lo sguardo su certe
caratteristiche culturali.
La versione più recente della corrente sociologica che legge la devianza in termini di
controllo sociale è la teoria del legame sociale di Hirschi (1969). Similmente a Durkheim, Hirschi
pone i comportamenti su di una scala che va dalla conformità alla devianza. Il comportamento
convenzionale è il frutto dell'influenza delle norme interiorizzate, della coscienza e del desiderio di
approvazione. L'individuo è libero di accedere alla devianza, ma, mentre Sykes e Matza spiegano
l'orientamento alla devianza con il ricorso da parte dell'individuo alle tecniche di neutralizzazione,
Hirschi chiama in causa la natura dei legami sociali e associa la devianza al loro indebolimento o
alla rottura. Un individuo compie un reato quando i vincoli che lo legano alla società perdono di
forza e di efficacia nel trattenerlo dal seguire le proprie inclinazioni e i propri interessi. I legami
sociali sono costituiti da quattro elementi: l'attaccamento, il coinvolgimento, l'impegno e la
convinzione. L'attaccamento è dato dalla forza dei legami verso altri significativi (i genitori, gli
amici, i modelli di ruolo) o verso le istituzioni (la scuola, l'associazione); il coinvolgimento è
espresso dal tempo e dalle risorse dedicate alla partecipazione ad attività convenzionali (tanto più
tempo è dedicato allo studio, allo svago, ecc. tanto meno ne resta per compiere atti devianti);
l'impegno è costituito dall'investimento sotto forma di istruzione, reputazione, posizione economica;
la convinzione, infine, consiste nel riconoscimento della validità delle norme vigenti. La libertà di
adottare comportamenti devianti si riduce o si estende a seconda della presenza e dell'intensità degli
elementi costitutivi dei legami sociali.
La teoria del controllo sociale pone, dunque, in relazione l'aumento dei comportamenti
devianti con l'indebolimento della coesione sociale. La devianza è assunta come un dato naturale in
una società. Gli individui agiscono spinti dalla ricerca dell'autoconservazione e della gratificazione;
il vivere sociale è reso possibile dall'ordine morale formato dalle regole, che gli individui
interiorizzano nel corso della socializzazione; il legame con l'ordine sociale, imperniato sui quattro
elementi individuati, è la condizione per il mantenimento della conformità. In quest'approccio, che
si fonda su di una concezione pessimistica della natura umana, ritenuta moralmente fragile e
bisognosa di freni e di controlli, è proprio la conformità a dover essere spiegata, piuttosto che la
devianza.
Una versione più recente della teoria del controllo sociale è stata elaborata da Gottfredson e
Hirschi (1990) con la denominazione di “Teoria generale della criminalità” o “Teoria del basso
autocontrollo”. Il crimine non nasce da motivazioni o bisogni specifici ma dalle pulsioni di tipo
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Sociologia Giuridica della devianza e del mutamento sociale
Lezione V
egoistico quando vi è un basso grado di autocontrollo. I tratti della personalità individuale - come
l'impulsività, l'insensibilità, l'egocentrismo e le capacità intellettive - assunti in età precoce durante
il processo di socializzazione influenzano la capacità di autocontrollo degli individui. Se le
caratteristiche potenzialmente criminali sono parte costitutiva della natura umana, la possibilità di
intraprendere una carriera deviante viene a dipendere dal successo o dal fallimento del processo di
socializzazione. All'interno della loro teoria gli autori ricomprendono anche gli assunti di altre
correnti teoriche; l'atto deviante, da un lato, è compiuto dal soggetto sulla base di un'aspettativa di
gratificazione e del calcolo dei costi e dei benefici che ne scaturiscono, che configurano una
disposizione razionale da parte del deviante, e, dall'altro, presuppone delle condizioni favorevoli
esterne e interne al soggetto.
Secondo Gottfredson e Hirschi il crimine esercita una attrazione sugli individui che ne sono
protesi, di conseguenza la propensione al crimine tenta gli individui e promette loro piacere.
Pertanto, qualunque misura presa per aumentare l’autocontrollo non solo influenza il crimine, ma ha
anche l’effetto di ridurre altri comportamenti sociali indesiderati.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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