- Parrocchia San Paolo
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2. Davanti all’ingiustizia, la domanda al Dio giusto (Ger 11,18-12,5) Invocazione iniziale Vieni, Spirito santo, suscita in me un cuore sensibile all’ingiustizia e capace di lottare contro ogni realtà che ferisce l’umano. Mi domando… Quali sono le realtà che ritengo essere un’«ingiustizia»? Come reagisco alle ingiustizie che mi riguardano direttamente? Nella mia vicenda personale riesco a identificare un’occasione nella quale ho operato fattivamente davanti a un’ingiustizia (subita da me o da altri)? Come mi pongo davanti a quelle situazioni ingiuste di cui sono a conoscenza attraverso i media? A confronto con il testo biblico (Ger 11,18-12,5) 18 Il Signore me lo ha manifestato e io l’ho saputo; allora ha aperto i miei occhi sui loro intrighi. 19 Ero come un agnello mansueto che viene portato al macello, non sapevo che essi tramavano contro di me, dicendo: «Abbattiamo l’albero nel suo rigoglio, strappiamolo dalla terra dei viventi; il suo nome non sia più ricordato». 20 Ora, Signore degli eserciti, giusto giudice, che scruti il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa. 21 Perciò dice il Signore riguardo agli uomini di Anatòt che attentano alla mia vita dicendo: «Non profetare nel nome del Signore, se no morirai per mano nostra»; 22 così dunque dice il Signore degli eserciti: «Ecco, li punirò. I loro giovani moriranno di spada, i loro figli e le loro figlie moriranno di fame. 23Non rimarrà di loro alcun superstite, perché manderò la sventura contro gli uomini di Anatòt nell’anno del loro castigo». 12,1Tu sei troppo giusto, Signore, perché io possa discutere con te; ma vorrei solo rivolgerti una parola sulla giustizia. Perché le cose degli empi prosperano? Perché tutti i traditori sono tranquilli? 2Tu li hai piantati ed essi hanno messo radici, crescono e producono frutto; tu sei vicino alla loro bocca, ma lontano dai loro cuori. 3 Ma tu, Signore, mi conosci, mi vedi, tu provi che il mio cuore è con te. Strappali via come pecore per il macello, riservali per il giorno dell’uccisione. 4 Fino a quando sarà in lutto la terra e seccherà tutta l’erba dei campi? Per la malvagità dei suoi abitanti le fiere e gli uccelli periscono, poiché essi dicono: «Dio non vede i nostri passi». 5 «Se, correndo con i pedoni, ti stanchi, come potrai gareggiare con i cavalli? Se non ti senti al sicuro in una regione pacifica, che farai nella boscaglia del Giordano?». Preghiamo con il Sal. 9 - Rit. Tu, Signore, mi conosci, mi vedi. Perché, Signore, stai lontano, nel tempo dell’angoscia ti nascondi? Il misero soccombe all’orgoglio dell’empio e cade nelle insidie tramate. L’empio si vanta delle sue brame, l’avaro maledice, disprezza Dio. L’empio insolente disprezza il Signore: «Dio non se ne cura: Dio non esiste»; questo è il suo pensiero. Le sue imprese riescono sempre. Son troppo in alto per lui i tuoi giudizi: disprezza tutti i suoi avversari. Egli pensa: «Non sarò mai scosso, vivrò sempre senza sventure». Di spergiuri, di frodi e d’inganni ha piena la bocca, sotto la sua lingua sono iniquità e sopruso. Egli pensa: «Dio dimentica, nasconde il volto, non vede più nulla». Sorgi, Signore, alza la tua mano, non dimenticare i miseri. Perché l’empio disprezza Dio e pensa: «Non ne chiederà conto»? Eppure tu vedi l’affanno e il dolore, tutto tu guardi e prendi nelle tue mani. Il Signore è re in eterno, per sempre: dalla sua terra sono scomparse le genti. Tu accogli, Signore, il desiderio dei miseri, rafforzi i loro cuori, porgi l’orecchio per far giustizia all’orfano e all’oppresso; e non incuta più terrore l’uomo fatto di terra. Spunti di riflessione – Nei cc. 10-20 del libro di Geremia veniamo posti davanti a cinque brani di tratto autobiografico, una sorta di «diario intimo» con cui il profeta ci permette di penetrare nel suo mondo interiore, di conoscere i dilemmi che lo segnano, la protesta che avverte sorgere in sé davanti a ciò che vive. Sono la testimonianza del suo passaggio drammatico alla maturità, alla piena consapevolezza che non c’è un facile happy end nelle nostre esistenze; sono l’attestazione della «perdita dell’innocenza» da parte del profeta. Il contatto con la malvagità e la cattiveria di tanti, lo scontro con il potere che ferisce e aliena, la scoperta di se stesso fallibile e peccatore, lo addolorano e lo segnano profondamente, ma dentro di sé – a confronto con la parola di Dio – Geremia trova le parole sia per dire la sua sofferenza e angoscia, sia la scoperta di una «grazia a caro prezzo». Sono parole espressione di un dolore che chiede di essere assunto e liberato, senza sublimazioni. La sofferenza interiore è attraversata, non elusa; sa essere detta nei toni della denuncia di un silenzio insopportabile, di una passione capace di ribellarsi e nel registro di una ricerca di autenticità e verità senza rassegnazioni. È il passaggio chiave dell’esistenza del profeta: proprio nelle parole di lamento e di protesta, di bestemmia e di maledizione, delle «confessioni», che potrebbero apparire atto di pura ribellione, noi comprendiamo perché Dio abbia scelto proprio Geremia. – In queste requisitorie contro Dio, nel suo urlare che sembra senza vie di uscite, Geremia si mostra nudo davanti a noi, uomo tra gli uomini, capace di esprimere tutta l’angoscia e la ribellione di cui anche noi siamo portatori. Le confessioni ci conducono in questo cammino quaresimale: non possiamo sottacere le nostre parole di ribellione, di rifiuto, di rabbia, non possiamo sottrarci alla dura e dilaniante sfida del silenzio di Dio, non possiamo sorvolare la sete di giustizia, spesso delusa, che ci segna. Geremia le affronta, senza fare sconti, né a se stesso né a Dio, e ci insegna la faticosa ricerca di Dio, laddove troppo spesso l’esperienza cristiana è dominata da una sorta di galateo religioso, che ci spinge a ricorrere a parole di consolazione, a spiegazioni religiose del dolore o, peggio, a forme di sua sublimazione. – Geremia è provocato a divenire consapevole della fragilità e finitudine dell’esistenza dal contesto di vita sociale e familiare di cui è partecipe: la sua vita si trova esposta a un rischio di morte e le relazioni portanti della sua esistenza (gruppo di appartenenza, sfera religiosa, gruppo familiare) manifestano in modo insospettabile un carico di ambiguità e falsità. Geremia dichiara tutto lo sconcerto del passaggio dall’infanzia, dalle sue fiduciose certezze che aprono alla disponibilità piena e immediata all’altro, alla maturità propria di chi ha conosciuto doppiezza e sotterfugio, spesso mascherati con motivazioni religiose. Il risultato di questa esperienza, di disvelamento della complessità del reale, è l’emergere impellente di una domanda su Dio e sulla sua giustizia. La fiducia in Dio del profeta si mostra in fondo nell’interrogare senza sosta il Signore stesso e chiedere a lui conto di ciò che avviene. Pensare la vita Una delle leggi che i Balek avevano dato al villaggio era: nessuno deve avere in casa una bilancia. La legge era vecchia tanto che nessuno sapeva più quando e come essa fosse sorta, ma bisognava rispettarla, perché chi la violava sarebbe stato licenziato dal lavoro. […] Mio nonno stava seduto sulla stretta panca di legno, nella piccola stanza dei Balek e si faceva contare da Gertrud, la ragazza di servizio, i pacchetti già fatti da centoventicinque grammi; quattro pacchetti, e guardava la bilancia sul cui piatto di sinistra era rimasto il peso da mezzo chilo. La signora Balek von Bilgan era occupata nei preparativi della festa. Quando Gertrud volle prendere il vaso delle caramelle per darne una a mio nonno, si accorse che era vuoto: veniva riempito una volta all’anno, ne conteneva un chilo, di quelle da un marco. Gertrud disse ridendo: «Aspetta, prendo quelle nuove», e mio nonno restò davanti alla bilancia con i quattro pacchetti da centoventicinque grammi che erano stati impacchettati e incollati alla fabbrica, restò davanti alla bilancia su cui qualcuno aveva lasciato il peso da mezzo chilo e mio nonno prese i quattro pacchetti, li mise nel piatto vuoto della bilancia e il suo cuore batté forte quando vide che la lancetta della giustizia rimaneva a sinistra del segno, che il piatto con il peso da mezzo chilo restava in basso e il mezzo chilo di caffè restava in aria, abbastanza in alto. Il suo cuore batté più forte, come se nel bosco, dietro un cespuglio, avesse aspettato Bilgan il gigante: cercò nelle tasche dei sassolini che portava sempre con sé per tirare con la fionda agli uccelli che beccavano i cavoli di sua madre – tre, quattro, cinque sassolini dovette mettere vicino ai pacchetti di caffè perché il piatto della bilancia con il peso da mezzo chilo si alzasse e finalmente l’ago della bilancia coincidesse esattamente con la lineetta nera. Mio nonno prese il caffè dalla bilancia, avvolse i cinque sassolini nel suo fazzoletto e quando Gertrud ritornò con il grosso sacchetto pieno di caramelle… il ragazzino pallido era ancora là e sembrava che non fosse cambiato nulla. Mio nonno prese soltanto tre pacchetti, e Gertrud guardò stupita e spaventata il ragazzino pallido che buttò la caramella per terra, la calpestò… Lui tornò al villaggio nel buio, portò il caffè ai Cech, ai Weidler, e ai Wohla il loro caffè e diede ad intendere che doveva ancora andare dal parroco. Invece, coi suoi cinque sassolini nel fazzoletto, camminò nel buio della notte. Bisognò che camminasse molto prima di trovare chi avesse una bilancia, chi potesse averla… Dopo due ore di marcia arrivò nella piccola cittadina di Dielheim dove abitava il farmacista Honig. «Non vengo per la medicina, volevo...». Mio nonno slegò il fazzoletto, tirò fuori i cinque sassolini, li tese a Honig e disse: «Vorrei che mi pesaste questi… è quello che manca alla giustizia». […] I genitori di mio nonno dovettero lasciare il villaggio…: si misero a intrecciare cesti di vimini, non restarono a lungo in nessun luogo perché li addolorava vedere come dappertutto il pendolo della giustizia battesse falso e sbagliato. Dietro il carro che strisciava lentamente sulla strada, si tiravano dietro le loro magre capre e chi passava vicino al carro poteva sentire qualche volta dentro cantare: «O Signore, la giustizia della terra ti ha ucciso»... (HEINRICH BÖLL, La bilancia dei Balek)