Il club di investitori lancia il fondo green
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Il club di investitori lancia il fondo green
[ GREEN ECONOMY ] Il club di investitori lancia il fondo green A lle sfide è abituata. Perché Giovanna Dossena è l’unica donna in Italia ad avere fondato e a essere a capo di una società di private equity, la Avm Associati, di cui è presidente. Ma più che una società è un vero e proprio business club, dove Dossena ha riunito imprenditori di primo piano che investono nelle imprese degli altri. Ha cominciato all’inizio degli anni 90 con un primo fondo da 25 miliardi di lire che investiva in start up. Da allora non ha più smesso, concentrandosi soprattutto sulle aziende a piccola e media capitalizzazione (da 10 a 150 milioni di fatturato) in Italia e nell’area mediterranea. La prossima sfida è un fondo tutto dedicato alle imprese che fanno energia verde, con un risvolto particolare. «C’è una corsa all’investimento in questo settore perché tutti sono sensibili all’opportunità che rappresenta» dice a Economy Dossena. «Ho pensato che si doves- se fare qualcosa in più, coniugando la possibilità di impiegare il denaro in imprese verdi con la riqualificazione dell’ambiente e il recupero di aree dismesse». Il primo closing del fondo a fine luglio, con l’obiettivo di arrivare a 40 milioni di euro entro un anno. Accanto a Dossena nella selezione delle società c’è Stefano Filippini, presidente di Avm private equity. Ma questa non è l’unica attività di Dossena, che insegna economia delle imprese all’Università di Bergamo, è direttrice dell’Osservatorio crisi e risanamento delle imprese (Ocri), dell’Enterpreneurial Lab e dell’Incubatore d’Impresa Parco Kilometro Rosso di Bergamo. E dopo il fondo green ha già in agenda la prossima sfida: aprire il primo corso universitario di imprenditorialità, che è tutto dedicato a come si diventa imprenditori e a che cosa significa farlo oggi, in Italia. Lo farà a settembre all’Università di Bergamo, corso di laurea di economia. ROBERTO ARCARI PRIVATE EQUITY A fine mese Giovanna Dossena punta al closing del primo prodotto Avm per energie verdi e aree dismesse, con una raccolta di 40 milioni di euro. Con l’aiuto dei soci, tutti imprenditori di razza. di Roberta Caffaratti La nostra turbina ha conquistato Trent’anni fa al Politecnico di Milano il professor Gianfranco Angelino diede vita a un think tank con i colleghi Ennio Marchi e Mario Gaia. Fu quest’ultimo, poi, a fondare nel 1980 Turboden, oggi leader in Europa nella produzione di turbine a fluido organico che conta 155 impianti nel mondo. Un bell’esempio di come il connubio impresa, università e ricerca possano lavorare insieme. Il gruppo ha appena messo a segno un importante successo: fornirà un turbogeneratore geotermico da 5 38 GREEN ECONOMY Mw alla Swm di Monaco, una delle più grandi aziende di pubblico servizio in Germania. «L’avvio è previsto per l’ultimo trimestre del 2011. L’impianto diventa un significativo punto di riferimento sia per noi sia per l’industria geotermica europea» commenta Paolo Bertuzzi (foto), responsabile dell’area finanziaria, marketing, commerciale e socio dal 1999. Accanto a lui ci sono Gaia (presidente onorario) e Roberto Bini, in azienda sin dalle origini, che è general manager. Il business della Turboden è decollato alla fine degli anni 90. «Una volta perfezionato il prodotto per la cogenerazione, il gruppo è stato in grado di far fronte a una domanda crescente, diversificata, riuscendo a espandersi in mercati molto sensibili al tema della cogenerazione di energia come quello austriaco e tedesco prima, e italiano poi» continua. L’azienda fattura 37 milioni di euro, ha 120 dipendenti tra le sedi di Brescia e Milano. È stata acquistata (51%) lo scorso giugno da Pratt & PRESIDENTE Giovanna Dossena, alla guida di Avm associati. Al tavolo di Avm Associati siedono molti nomi dell’imprenditoria italiana soprattutto familiare. Alfredo Cazzola, ex gestore del MotorShow di Bologna ed ex candidato sindaco della città, Giancarlo Dallera, imprenditore di Cromodora Wheels Spa oltre che presidente degli industriali bresciani, Alberto Bombassei (Brembo), la famiglia Lombardini (Gros Market, LD Market Discount), la famiglia Parravicini del Gruppo Parà (tessuti per tende, arredamenti e nautica), la famiglia Bardelli (Centri commerciali), la famiglia Cimolai (acciaio), la famiglia Snaidero dell’omonimo gruppo di cucine basato a Udine, la famiglia Messina (attività armatoriali), la famiglia Mondini (gruppo Erg) e la famiglia Marsiaj (gruppo Sabelt). anche la Germania Whitney, il gruppo americano che produce i motori dei Boeing e che fa parte del colosso Utv, United Technologies. Dei 155 impianti sparsi per il mondo, 117 sono all’estero: 66 in Germania, 32 in Austria. Mentre il primo in Nordamerica (Canada) è un impianto per il recupero calore appena avviato e che sarà operativo alla fine del 2010. In questo caso, è stata essenziale la partnership con Pratt&Whitney interessata a estendere la sua presenza nella generazione di energia rinnovabile. «Questo progetto, che prende il nome di Transgas, aprirà nuovi orizzonti di business. Non è certo nostra intenzione fermarci qui. Vogliamo sfruttare il vento del cambiamento attraverso la trasmissione di una nuova consapevolezza energetica» precisa Bini. Tra i campi applicativi dei turbogeneratori ci sono la cogenerazione da biomassa con 139 impianti, il recupero calore con 13 impianti e la geotermia Francesca Vercesi con 3. PARERI SOSTENIBILI La better city dell’Expo cinese non deve dimenticare la centralità dell’uomo di Alessandro Cecchi Paone C he una «better city», produca una «better life» è poco ma sicuro. Ci credono tutti, in particolare i 70 milioni di cinesi e non che alla data di chiusura del 31 ottobre avranno visto l’Expo di Shanghai richiamati proprio dallo slogan ufficiale appena ricordato. Il bello è che i vari Paesi coi loro padiglioni lo hanno interpretato in modi così diversi e lontani che c’è da chiedersi se ancora una volta il «better» non sia effettivamente l’eterno nemico del «good». BLACKARCHIVES I nomi noti di Avm Per esempio il Giappone ha preso di petto la questione ecosostenibile risolvendola brillantemente all’insegna del green power. E presentandosi con una megastruttura alimentata a sole, rinfrescata a vento, con materiali e risorse varie tutte riciclabili, a partire dall’acqua piovana per finire coi rifiuti. Il tutto governato dai robot. Ma da parte sua la Terna cinese fa toccare con mano le meraviglie di un mix energetico incentrato sulla crescita esponenziale di rinnovabili e nucleare e l’abbandono progressivo e rapido dei combustibili fossili, che però non ha fretta per il carbone abbondantemente presente in casa. Ben diverso l’approccio british, con il Regno Unito presente con un’arca di Noè di superdesign hi-tech a base di fibre ottiche chiamate a custodire al loro interno la biodiversità di decine di migliaia di semi delle specie vegetali viventi sulla Terra, ma non certo in città. Che si siano tirati avanti per l’Expo di Milano sull’alimentazione? A proposito, noi italiani abbiamo fatto la nostra gran bella figura col bianco padiglione di cemento trasparente che al suo interno ricorda, fra passato e futuro, che non ci sono città e vita migliori senza tenere conto della lezione del Rinascimento. Grazie a Palladio, Brunelleschi e Leonardo è tra i più visitati, forse perché ci ricordano la centralità dell’uomo. Sarà mica un caso? GREEN ECONOMY 39