rassegna internazionale della letteratura in materia di servizi per l

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rassegna internazionale della letteratura in materia di servizi per l
RASSEGNA INTERNAZIONALE DELLA
LETTERATURA IN MATERIA DI
SERVIZI PER L’IMPIEGO
Laura Incagli e Manuel Marocco
“Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego”, n. 12/2003
ISFOL – RP(MDL)-12/03
Elaborazione grafica di ANNA NARDONE
a cura di
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Con le monografie sul Mercato del lavoro e le
politiche per l’impiego, vengono presentati e
divulgati in forma sintetica, i principali risultati
di studi realizzati dall’Area di ricerca “Mercato
del lavoro” e dell’Area “Politiche sociali”,
dell’Isfol.
Direzione scientifica della collana:
Diana Gilli e Antonello Scialdone
Isfol – Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori
Via G. B. Morgagni, 33 - 00161 Roma
Tel. 06/44.59.01 – Fax 06/44.59.06.85
Indirizzo Internet http://www.isfol.it
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
RASSEGNA INTERNAZIONALE
INTERNATIONAL LITERATURE
DELLA LETTERATURA IN
MATERIA DI SERVIZI PUBBLICI
PER L’IMPIEGO
PUBLIC EMPLOYMENT
SERVICES
SINTESI
ABSTRACT
Lo scritto che segue è il risultato
dell’incontro di studi, promosso dall’Isfol – Area
Mercato del lavoro, il 19 marzo 2003, al fine di
discutere le tendenze più recenti riscontrabili
nella letteratura scientifica, avente ad oggetto la
materia dei Servizi per l’impiego. In questo
volume sono stati raccolti i contributi dei relatori
ivi presenti.
Il primo paper presentato è frutto di uno
studio relativo a quella parte della letteratura che
si è principalmente occupata delle riforme di
“adeguamento”, da più parti avviate, dei servizi
all’impiego. Tali riforme possono essere raggruppate in due principali settori di intervento: da
una parte, l’ampliamento del mercato ai privati,
mediante il superamento del monopolio pubblico
del collocamento e, dall’altra, la ristrutturazione
delle forme di organizzazione e di funzionamento
delle istituzioni, soprattutto attraverso il decentramento organizzativo e l’offerta di servizi maggiormente customer oriented.
Il contributo seguente è collegabile a questa
seconda tendenza di riforma e di ammodernamento dei Servizi pubblici per l’impiego.
All’interno di esso, difatti, trova collocazione
quella letteratura scientifica che si è principalmente occupata della adozione di sistemi di
monitoraggio e valutazione delle attività svolte
dagli Spi – con particolare attenzione alla
definizione di appositi indicatori di valutazione
di performance –, necessaria in un rinnovato
sistema pubblico che entra in “concorrenza” con
agenti privati. Segue un’analisi della recente, e
tutt’ora in corso, riforma circa il mercato del
lavoro in Germania.
Tale scelta è riconducibile all’interesse
espresso a riguardo dalla dottrina italiana, che si
avvia ad una profonda modifica della vigente
disciplina in materia, introducendo istituiti che
sembrano ispirati proprio all’esperienza tedesca
(per esempio le cd. agenzie di personal service).
The present publication is the result of a
study meeting, promoted by Isfol – Labour
Market Area, (held on the 19th March 2003),
aimed at a discussion about the most recent
tendencies in the scientific literature concerning
the employment services. In this volume
discussants’ contributions are collected.
The first paper presented is the outcome of a
study on that literature about the PES
modernization reforms, that have taken place
recently in several Countries.
These restructurings can be summarized in
two principal intervention sectors: on one side,
the market opening to private subjects, through
the public monopoly abolition and, on the other,
the PES organization and functions change,
through public service decentralization and the
more customer-oriented services production.
The second document is linked to this last
mentioned PES reform and modernizing
tendency. This paper examines the scientific
literature concerning the adoption of monitoring
and evaluation systems of the Pes activity –
focusing on the specific indicator definition for
the performance evaluation –, necessary in a
modern public system that get into competition
with private agents.
The last contribution focuses on the very
recent, and still going on, German labour
market reform. This choice is due to the
expressed interest in this reorganization by the
Italian law, that is going to deeply modify the
actual regulation on this issue, introducing
elements very similar to the German experience
(such as the personal services agencies).
It has been necessary, for the first two
papers, an analysis on the scientific literature
about Pes, of which the most important
elements (from our point of view) are
reorganized in “reasoned schemes”, collected in
the appendix.
ON
3
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Per la realizzazione dei primi due contributi,
come detto, si è resa necessaria un’analisi della
letteratura scientifica in materia, i cui spunti a
nostro avviso più interessanti sono stati
riorganizzati sotto forma di “schede ragionate”,
allegate in appendice.
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
INDICE
Sintesi – Abstract
pag.
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1
Introduzione
“
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2
Il superamento del monopolio pubblico
“
8
3
Monitoraggio e valutazione delle attività dei Servizi pubblici per
l’impiego
“
32
Indicatori di valutazione di performance dei Servizi pubblici per
l’impiego
“
39
Riforma del collocamento in Germania: maggiore efficienza e
credibilità attraverso la modernizzazione o la privatizzazione
“
42
“
42
“
“
“
“
“
“
“
44
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47
48
49
51
55
Appendice 1: schede relative alle opere consultate
“
56
Riferimenti bibliografici
“
120
4
5
5.1 L’alto tasso di disoccupazione e lo “scandalo del sistema
d’intermediazione” quali motivazioni per l’avvio di riforme delle
politiche del mercato del lavoro
5.2 Problemi d’efficienza e d’immagine, quale incentivo per una
riforma
5.3 Esperienze internazionali
5.3.1 Privatizzazione o modernizzazione?
5.3.2 Riforme mediante la modernizzazione
5.4 Da autorità ad ente erogatore di servizi
5.5 Portata di una riforma globale
5.6 Contributo per il ridimensionamento della disoccupazione
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
1. INTRODUZIONE
Lo scritto che segue è il risultato dell’incontro di studi, promosso dall’Isfol – Area
Mercato del lavoro, il 19 marzo di questo anno, al fine di discutere le tendenze più recenti
riscontrabili nella letteratura scientifica, avente ad oggetto la materia dei Servizi per
l’impiego.
Oltre al paper presentato in tale occasione ed alle schede relative alle opere consultate
(Appendice 1), questa pubblicazione contiene anche uno scritto dal titolo Riforma del
collocamento in Germania: Maggiore efficienza e credibilità attraverso la
modernizzazione o la privatizzazione? di Regina Konle-Seidl e Ulrich Walwei, ricercatori
dell’Istituto di ricerca sul mercato del lavoro e le professioni (Iab) di Norimberga, il
secondo dei quali è intervenuto personalmente al seminario.
La scelta di invitare Ulrich Walwei e di inserire in questa monografia tale ultimo
paper, oltre a discendere dall’importanza del ricercatore appena ricordato, è riconducibile
all’interesse, espresso anche dalla dottrina italiana, verso la riforma del mercato del
lavoro in corso in Germania. Come è noto anche nel nostro paese, a seguito della
approvazione della l. 14 febbraio 2003, n. 30, “Delega al Governo in materia di
occupazione e mercato del lavoro” (cd. legge Biagi), ci si avvia ad una profonda modifica
della vigente disciplina in materia. In particolare anche il provvedimento italiano, all’art.
1, interviene, liberalizzandola, sulla normativa relativa ai servizi privati per l’impiego,
introducendo istituiti che sembrano ispirati all’esperienza tedesca (si intende riferirci
nello specifico alle cd. agenzie di personal service); per taluni altri aspetti – si pensi
soprattutto al cd. staff leasing – la riforma italiana pare addirittura andare oltre1.
Fatta tale premessa, pare necessario, a fini ricostruttivi, affermare sin da subito che le
principali linee di tendenza della letteratura sul tema indagato appaiono coerenti con
quelle già definite come riforme di “adeguamento”, da più parti avviate, dei servizi
all’impiego.
Tali riforme, difatti, possono essere raggruppate in due principali settori di intervento:
da una parte, l’ampliamento del mercato ai privati, mediante il superamento del
monopolio pubblico del collocamento e, dall’altra, la ristrutturazione delle forme di
1
Peraltro, in senso difforme, va segnalato che la nuova disciplina tedesca ha deregolamentato
profondamente alcuni aspetti della disciplina del lavoro temporaneo, tra l’altro, abolendo il regime
autorizzatorio che, invece, il Legislatore italiano ha preferito mantenere.
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
organizzazione e di funzionamento delle istituzioni.
Sommariamente, si ricorda che:
la tendenza generale verso la deregolamentazione e la riduzione del peso dello Stato
nell’economia, prodottasi nella maggior parte dei paesi, ha investito anche il mercato
dei servizi del collocamento, i cui erogatori pubblici sono stati progressivamente, e
con diverse modalità, affiancati da agenzie private;
con riguardo all’altro spettro di intervento, vale a dire il modus operandi dei Servizi
pubblici per l’impiego (Spi), è possibile individuare la tendenza verso un
decentramento organizzativo e l’offerta di servizi maggiormente customer oriented.
Per tale motivo si è inteso in particolare focalizzare l’attenzione su due aspetti, i quali
– ci sembra – rivestono particolare rilevanza, anche alla luce delle riforme che ci si
appresta ad apportare alla organizzazione del mercato del lavoro italiano.
In primo luogo, è stata studiata quella parte della letteratura che si è occupata della
abolizione del monopolio pubblico del collocamento, dei diversi sistemi di coesistenza
pubblico-privato adottati di conseguenza e degli effetti, in termini di efficienza ed
efficacia del mercato lavoro, di tale liberalizzazione.
In secondo luogo, quella parte della letteratura che ha analizzato l’adozione di markettype mechanism nella gestione e nella organizzazione dei Servizi pubblici per l’impiego
modernizzati, in particolare attraverso l’adozione di sistemi di monitoraggio e valutazione
degli stessi, allo scopo definendo appositi indicatori di valutazione di performance.
Si desidera ringraziare nuovamente il Dr. Walwei per la disponibilità e la
comprensione sempre dimostrata, la Dr.ssa Regina Konle-Seidl per l’aiuto e la gentilezza
mostrata ed, infine, il Dr. Gilberto Dall’Agata e il Dr. Filippo Maria Salvo, per l’apporto
fornito nella raccolta e stesura delle schede delle opere consultate.
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
2. IL SUPERAMENTO DEL MONOPOLIO PUBBLICO di Manuel Marocco
Come è noto, a partire dai primi anni 90 e in diversi paesi europei e non, è stato
affrontato il tema della riorganizzazione dell’assetto istituzionale e dei metodi di gestione
dei Servizi pubblici per l’impiego (Public Employment Services, Pes).
L’opportunità di riorganizzare i Pes è stata anche, e continuerà ad essere, fortemente
influenzata dall’ingresso di operatori privati nel mercato dei servizi all’impiego (Private
Employment Services, Pres), condizionando la riconsiderazione del ruolo dei primi. Ciò
se non altro perché le agenzie private possono essere viste come concorrenti,
complementi o, addirittura, cooperanti dei Pes, ma, in ogni caso, la coesistenza dei due
giustifica la concentrazione di limitate risorse pubbliche su quei settori che sono serviti
dal mercato (Walwei, 1996).
Il monopolio dei Pes, mai recepito da alcuni importanti paesi (Australia, Irlanda,
Regno Unito, Svizzera, Stati Uniti) nonostante le indicazioni ricavabili dagli standard Ilo
di cui si dirà, è comunque venuto meno formalmente in un grande numero di nazioni
sviluppate tra la fine degli anni 80 e l’inizio del decennio successivo. Peraltro, in molti
paesi in cui sussiste il monopolio (Francia ad es.) è comunque autorizzata l’attività delle
Temporay work agencies (TWAs), le quali hanno rappresentato la prima fase della
liberalizzazione nei paesi in cui sussisteva detto monopolio (Thuy, Hansen, Price,
2001).
Da un punto di vista teorico l’abolizione del monopolio genera un incremento
dell’offerta complessiva di un dato mercato, la riduzione di prezzi, un incremento della
qualità e una maggiore efficienza del sistema produttivo (De Koning, Denys, Walwei,
1999).
Un primo modo in cui questo può verificarsi deriva dal fatto che le agenzie private
possono inserirsi in segmenti di mercato non coperti dai Pes, dato che non
necessariamente i servizi proposti coincidono con i bisogni, in termini di servizi per
l’occupazione, espressi dalle persone in cerca di lavoro e dagli imprenditori.
Una seconda ragione che sostiene i benefici della rottura del monopolio statale
riguarda l’incentivo alla maggiore efficienza ed efficacia dei Pes che deriva dalla
competizione delle agenzie private.
Un terzo elemento è originato dall’implementazione delle pratiche dell’outsourcing
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
con le quali dei servizi pubblici sono affidati ai privati sulla base di aste competitive. Ciò,
in via di principio, induce una riduzione dei prezzi e un miglioramento della qualità. Ai
Pes in questo caso rimarrebbero delle funzioni di controllo2.
Nella letteratura è sottolineato che la deregolamentazione dei Pes sembra una naturale
conseguenza del ridimensionamento dell’intervento pubblico sul sistema economico e, in
particolare, dell’adozione di politiche di tipo Keynesiano (demand driver policies). Ciò
deriva, sostanzialmente, dal fatto che nonostante il massiccio intervento pubblico la
disoccupazione ha raggiunto, durante gli anni 70 e 80, i livelli più alti a partire dal
dopoguerra (De Koning, Denys, Walwei, 1999).
Gli stessi autori sottolineano inoltre che in molti casi, gli enti territoriali, una volta
entrati sul mercato dei Servizi per l’impiego, in seguito ai processi di decentramento
organizzativo da più parti avviati, non sempre ricorrono ai Pes per l’erogazione dei loro
servizi, anzi, spesso, si avvalgono di agenzie private3.
Dal punto di vista giuridico, la tendenza al superamento del monopolio pubblico,
d’altronde, ha trovato prima riscontro, a livello internazionale, nel VIo Rapporto,
elaborato nella 81ª Conferenza internazionale del lavoro del giugno 1994, The role of
private employment agencies in the functioning of labour markets e poi base giuridica
nella Convenzione Ilo n. 181 del giugno 1997, Private Employment Agencies Convention,
che revisiona la Convenzione n. 96 del 1949, Fee-Charging Employment Agencies
Convention e stabilisce de jure la fine del monopolio dei Pes.
Nel Rapporto citato l’Ilo ha adottato una classificazione di 16 diversi tipi di agenzie,
raggruppate in tre categorie, in base al rapporto tra queste ed il loro cliente. Queste
categorie sono:
intermediaries: il cui fine è il contratto di lavoro tra il datore e il candidato;
skill providers: in questo caso l’agenzia è il datore di lavoro che introduce il suo
impiegato ad una terza parte la quale attribuisce un compito al lavoratore
controllandolo, senza essere il datore di lavoro;
direct service providers: svolge i servizi collegati all’occupazione per un datore di
lavoro o un candidato.
Questa classificazione è stata usata (Sansier M., Boutonnat D., 1997) per esaminare
le modalità di lavoro di questi operatori a favore del candidato e del datore di lavoro, e
stilare la seguente sotto classificazione.
2
3
Si veda in proposito Il processo di modernizzazione dei Servizi pubblici per l’impiego in Europa e in
Italia, in Isfol, Servizi per l’impiego. Rapporto di monitoraggio 2001, di Gilli D., Landi R. e Perri G.,
“Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego”, n. 3/2002, Roma, p. 14 e ss.
Per una dettagliata analisi circa l’evoluzione dell’intermediazione privata di manodopera a livello
internazionale ed italiano si veda lo studio Isfol, I Servizi privati per l’impiego. Il caso delle Agenzie di
collocamento, Linfante G. (a cura di), “Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego”,
n. 4/2002, Roma.
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Intermediaries
Fee-charging agencies: questo tipo di agenzia lavora come intermediaria tra quanti
offrano e quanti cerchino un’occupazione. Non divengono parte del contratto di lavoro e
sono specializzate in particolari tipologie di lavoro, lavoratori o settori dell’economia.
Agencies for employment abroad: sono specializzate nel reclutamento di lavoratori che
devono andare all’estero.
Agencies for the recruitment and placement of foreign nationals: selezionano lavoratori
all’estero per datori di lavoro presenti nella nazione in cui si ritrova l’agenzia.
Executive search and selection agencies (headhunters): sono pagate da parte del datore di
lavoro per le loro ricerche di personale, spesso con una percentuale del salario e, in caso
di servizio prolungato, con una somma diversa.
Training and placement institutions: organizzazioni che offrono agli studenti un servizio
di placement e ricerca di lavoro.
Skill providers
Temporary work agencies: qualunque persona fisica o morale che, in base alle
disposizioni della legge nazionale, svolge un servizio di reclutamento di lavoratori con
l’obiettivo di metterli in contatto con una terza parte, che dirige il lavoro e con cui
l’agenzia ha concluso un contratto specifico.
Manpower lending services: queste agenzie aiutano piccole aziende nella gestione del
loro personale in cambio di una somma prestabilita.
Job shops: sono formate da un personale di varia qualifica, vendono il loro servizio alle
aziende per periodi variabili.
Career management agencies: alcuni tipi di professionisti, quali gli appartenenti al
mondo dell’arte, della moda o dello sport, pagano queste agenzie per gestire la loro
carriera e negoziare i contratti.
Employment companies or intermediary associations: la finalità di queste agenzie è
trovare lavoro per il proprio personale con l’obiettivo di inserirlo nel mercato. Offrono
anche lavoro temporaneo e sono non-profit.
Direct service providers
Outplacement agencies: sotto pagamento e in base alle richieste di un datore di lavoro,
l’agenzia fornisce una serie di servizi ad uno o più lavoratori non più occupati. Aiutano il
lavoratore a potenziare i propri skills e a scegliere un corso di formazione.
Job search consultancies: agenzie che hanno elaborato mezzi e tecniche che guidano chi
cerca un impiego a trovare lavoro e prepararsi al colloquio.
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Staff management consultancies: alcune di queste sono consulenti nei settori manageriali,
ma la maggior parte si limita alla ricerca ed al reclutamento del personale.
Agencies which manage job advertising space: gestiscono spazi in cui compaiono
inserzioni di lavoro.
Agencies using employment databases: si occupano di ricerche e reclutamento utilizzando
sistemi informatici.
D’altronde, l’evoluzione dell’atteggiamento dell’Ilo in materia può essere considerato
sintomatico di quanto avvenuto negli ordinamenti degli Stati.
L’Organizzazione internazionale si è mossa così dalla “Unemployment
Recommendation” 4 del 1919, approvata all’indomani della costituzione della stessa
Organizzazione internazionale, in cui si affermava che: The General Conference
recommends that each Member of the International Labour Organisation take measures
to prohibit the establishment of employment agencies which charge fees or which carry
on their business for profit. Where such agencies already exist, it is further recommended
that they be permitted to operate only under Government licences, and that all
practicable measures be taken to abolish such agencies as soon as possible, sino ad
arrivare, da ultimo, alla Convenzione 181/975, nell’ambito della quale l’attività dei Pres è
sottoposta a dettagliata regolazione e pienamente legittimata.
Sinteticamente si ricorda che essa stabilisce che gli Stati aderenti devono:
scegliere la forma giuridica delle agenzie e le condizioni cui è subordinata la loro
attività;
prevedere misure a tutela della libertà di associazione e del diritto alla contrattazione
collettiva dei lavoratori;
stabilire il divieto di utilizzare lavoro minorile, di discriminazione dei lavoratori e
l’obbligo di protezione dei dati personali dei lavoratori;
disporre la gratuità del servizio per i lavoratori;
assicurare la cooperazione tra Pes e Pres.
Sempre in ambito internazionale, deve considerarsi pure l’attività in materia
dell’Unione europea, anche alla luce degli strumenti di regolazione adottati, di hard o soft
law.
Nel primo ambito devono essere fatte rientrare, innanzi tutto, le pronunce in materia
della Corte di Giustizia: oltre al caso Macroton (n. 41/90) del 23/4/1991, con riguardo al
4
5
L’attività normativa della Conferenza internazionale si realizza a mezzo di:
raccomandazioni, che possono equipararsi a proposte di legge;
convenzioni (rectius progetti di convenzione), che hanno il valore di trattati internazionali, in forza
dei quali però gli Stati sono vincolati all’emanazione, entro un anno, di una legge di ratifica sono
cioè “fonti mediate del diritto del lavoro dei singoli Stati”.
Tale strumento è entrato in vigore il 10.5.2000 ed è stata ratificata dal nostro paese il primo febbraio
2000.
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
monopolio pubblico tedesco, anche la Job Centre II (n. 55/96) del 11/12/19976; la Corte
ha ivi affermato l’illegittimità del monopolio pubblico italiano del collocamento, per
sfruttamento abusivo di posizione dominante. Nel dettaglio, ha dichiarato che: “Lo Stato
membro che vieti qualunque attività di mediazione e interposizione tra domanda e offerta
di lavoro che non sia svolta da uffici pubblici trasgredisce” il combinato disposto dagli
artt. 86 e 90, n. 1, “qualora ricorrano i seguenti presupposti”:
gli uffici pubblici di collocamento non sono palesemente in grado di soddisfare, per
tutti i tipi di attività, la domanda esistente sul mercato del lavoro;
l’espletamento effettivo delle attività di collocamento da parte delle imprese private
viene reso impossibile dal mantenimento in vigore di disposizioni di legge che
vietano le dette attività comminando sanzioni penali e amministrative;
le attività di collocamento di cui trattasi possono estendersi a cittadini o territori di
altri Stati membri”.
Sempre in tale ambito deve essere ricordata la Direttiva 91/383/Cee, del 25 giugno
1991, che stabilisce le disposizioni applicabili ai lavoratori temporanei in materia di
sicurezza e salute sul lavoro, ma soprattutto la proposta di direttiva relativa alle
condizioni di lavoro dei lavoratori temporanei7.
Come il rapporto di lavoro a tempo parziale e quello a tempo determinato sono stati
oggetto di Accordi-quadro ad opera delle parti sociali di livello europeo, poi recepite in
apposite Direttive comunitarie (rispettivamente la n. 97/81/CE del 15 dicembre 1997 e la
99/70/CE del 28 giugno 1999), altrettanto doveva avvenire anche per il lavoro
temporaneo.
Difatti, le organizzazioni intersettoriali a carattere generale – ovvero l’Unione delle
confederazioni dell’industria e dei datori di lavoro dell’Europa (Unice), il Centro europeo
delle imprese a partecipazione pubblica (Ceep) e la Confederazione europea dei sindacati
(Ces) – avevano informato la Commissione circa la loro intenzione di avviare il
procedimento previsto dal Trattato di Amsterdam, il quale riconosce la possibilità che,
appunto, una determinata misura, finalizzata allo sviluppo dell’occupazione, possa essere
definita e perfezionata attraverso un procedimento di elaborazione di natura
convenzionale piuttosto che legislativo.
Tuttavia, il 21 maggio 2001 le stesse hanno riconosciuto che i loro negoziati sul lavoro
temporaneo non avevano condotto ad un accordo.
Sotto l’altro profilo, quello della soft law, rileva soprattutto la Strategia europea per
6
7
Per un commento a tale pronuncia si veda Roccella M., “Il caso Job Center II: sentenza sbagliata, risultato
(quasi) giusto”, in Rivista giuridica del lavoro, 1998, II; Di Francesco A., Liberalizzazione della
mediazione di manodopera: dalla sentenza della Corte di Giustizia europea alla riforma della
legislazione italiana, “Diritto del Lavoro”, 6, 1998.
Per un commento si veda Colucci M., “La proposta di direttiva comunitaria sul lavoro temporaneo”, in
Diritto delle relazioni industriali, 4, 2002.
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
l’occupazione (Ees). In tale ambito, ed in particolare nel pillar dedicato alla occupabilità,
continua a rivestire grande rilevanza l’approccio preventivo: proprio tale opzione
metodologica riverbera i suoi effetti su di un innovativo ruolo affidato ai Pes, vale a dire
quello di fondamentali istituzioni dei mercati del lavoro nazionali, in quanto principali
veicoli di attuazione concreta della strategia occupazionale comunitaria.
Peraltro, proprio nella versione per l’anno 2002 dello stesso pilastro, paiono trovare
riconoscimento i Pres.
Difatti, nella decisione del Consiglio europeo del 18 febbraio 2002, relativa a
orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione per il 2002
(2002/177/CE), gli Stati membri sono invitati a migliorare l’occupabilità dei disoccupati
ed in tale contesto si afferma che essi: “dovrebbero incoraggiare la collaborazione con
altri fornitori di servizi, in modo da rendere più efficace la strategia di prevenzione e i
attivazione”.
Ancor prima nel documento The future of the public employment services. Joint
Mission Statement of Pes in Europe (EU/EEA): a proposal of the High Level Prospect
Group of the Pes, del 5 dicembre 2000, i temi legati alla relazione con i privati erano
ampiamente discussi.
In particolare pare interessante sottolineare quanto affermato sul fronte della domanda
di lavoro. È ivi riconosciuto che, nel momento in cui vi è scarsità di forza lavoro, i servizi
alle imprese dei Pes devono essere in grado di offrire sia più assistenza nella ricerca di
personale sia più consulenza in materia di risorse umane, formazione e qualificazioni
professionali. Ciò richiede l’azione di esperti consulenti per lo sviluppo delle risorse
umane ma anche la capacità di fornire dei consigli per sfruttare al massimo le possibilità
offerte dalle risorse umane disponibili (ad es. utilizzando i lavoratori anziani).
In questo contesto per ottenere la massima efficienza, i Pes devono sempre tenere in
considerazione la possibilità di affidare, in tutto o in parte, l’erogazione dei servizi a terzi,
pur continuando a gestire il processo.
Svolte tali indispensabili premesse, passiamo ora a considerare le modalità con cui
concretamente singoli stati europei hanno implementato il modello di interazione tra Pes
e Pres.
La letteratura (Konle-Seidl, Walwei, 2001) suggerisce in proposito la classificazione
in tre modelli base, variamente articolati: il primo è quello del monopolio statale. Questo
può essere di due tipi differenti. Esiste, infatti, il monopolio in senso stretto, caratterizzato
dalla esclusione totale dei Pres e dall’obbligatorietà della registrazione delle vacancies,
oppure un monopolio moderato, in cui le agenzie private sono tollerate in casi ristretti e
l’uso del Pes non è obbligatorio ma facoltativo.
Il modello della coesistenza legittima la collaborazione tra pubblico e privato. Anche
in questo caso, esistono due sottoclassificazioni: quello della coesistenza regolamentata e
quella libera. Nel primo caso avremo la presenza privata per tutte le forme di
occupazione, ma in base ad una regolamentazione più o meno rigida. Questa consiste
nella previsione di sistemi di licenza e di standards di qualità. I primi sono diretti alla
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
creazione di barriere artificiali al mercato atte ad impedire l’ingresso di soggetti privi di
scrupoli, interessati solo al raggiungimento di profitti nel breve-medio periodo.
Nel secondo caso, il Pres agisce senza alcuna licenza o permesso rilasciato dalla
autorità pubblica ed fa ingresso nel mercato come qualsiasi altra società commerciale.
Un terzo e ultimo modello è quello del sistema di mercato. In tale sistema solo i Pres
erogano i servizi di mediazione di qualsiasi tipo, anche se ciò non comporta la completa
assenza di un intervento statale, ad es. sotto forma di contracting out delle attività di
matching da parte del Pes al favore del Pres.
È possibile comunque distinguere tra sistemi di semi-mercato e di mercato puro. Il
primo implica la presenza pubblica nelle attività di ricerca, al contrario nel secondo è
assente qualsiasi tipo di intervento pubblico.
Utilizzando tale classificazione si ha che negli anni 80 la maggioranza dei paesi
deteneva un sistema di monopolio moderato e pochi erano quelli con sistema di
coesistenza regolata. Negli anni 90, invece, la situazione è cambiata considerevolmente e
i Pres sono ammessi incondizionatamente nei paesi prima dotati di monopolio, con
l’eccezione della Francia. Pure le agenzie di lavoro interinale (TWAs) sono ora
legalizzate in tutti i paesi della Ue, anche se con notevoli differenze. In conclusione allo
stato attuale la maggioranza dei paesi europei detiene un sistema di coesistenza regolata,
ad esclusione della Danimarca.
Un’altra classificazione proposta in letteratura (De Koning, Denys, Walwei, 1999) si
sofferma sui sistemi di regolamentazione di liberalizzazione del mercato, considerando,
oltre al sistema di licenze per l’accesso al mercato già ricordato, la legislazione civilistica;
l’autoregolamentazione attraverso i contratti collettivi e quella attraverso i codici di
comportamento; ed, infine, le pratiche di outsourcing. Difatti, si sottolinea che l’esistenza
della disciplina commerciale, di quella lavoristica, ovvero la presenza di forme di
autoregolamentazione di vario tipo, contribuiscono comunque a definire il quadro di
riferimento entro cui la deregolamentazione si svolge.
Laddove il sistema di licenza esiste, diverse sono le forme di regolamentazione che
sono state sviluppate. In generale, le differenziazioni derivano dalla diversa combinazione
con cui sono applicati tre principi: quello della idoneità, solvibilità e affidabilità. Le
differenze dipendono sia dalla “forza” con cui i criteri sono applicati sia dalla tipologia di
servizi che sono destinati a regolamentare.
Un aspetto importante del sistema è relativo agli obblighi che impone alle agenzie in
termini di protezione dei lavoratori. Quattro appaiono fondamentali:
gratuità del servizio per chi cerca un’occupazione;
divieto di inviare lavoratori presso aziende in sciopero;
divieto di pratiche discriminatorie;
rispetto della privacy delle persone.
Altre differenze sono legate all’ente preposto alla distribuzione delle licenze, che può
essere il Ministero competente per materia, ovvero i Pes stessi.
I codici di comportamento possono essere utilizzati come forma di auto14
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
regolamentazione dalle associazioni rappresentative delle agenzie private. Tali codici
possono avere una funzione complementare rispetto alla normativa vigente o addirittura
possono essere recepiti dalla stessa.
In proposito si suggerisce la diffusione di tale ultimo tipo di regolamentazione nel
futuro. Anche se, a tale scopo, è necessario che i paesi sviluppino delle rappresentanze
forti, dotate di procedure trasparenti idonee a superare le potenziali conflittualità tra gli
associati.
È interessante notare che l’autoregolamentazione non deve essere vista come
alternativa all’intervento pubblico. Si richiama in proposito l’esempio olandese in cui,
accanto a strutture rappresentative forti, sussiste un apparato legislativo altrettanto
efficace.
Mediante la pratica dell’outsourcing l’agenzia pubblica si avvale di aziende private
per erogare i servizi. In Europa solo in Olanda e Belgio si trovano esperienze di questo
tipo. In generale, questo tipo di organizzazione può essere utilizzato per regolare il
mercato attraverso la fissazione di standard.
Si riportano di seguito le schede relative a quattro paesi europei – tratte da KonleSeidl, Walwei (2001) – che rappresentano, utilizzando i modelli all’inizio ricordati, un
esempio di monopolio moderato (Francia), due di coesistenza regolata (Germania ed
Olanda) e uno che pare riconducibile a quello di semi-mercato (Inghilterra).
FRANCIA
In base al Code du travail, il placement privato è proibito tranne che per speciali
categorie professionali, per le agenzie non-profit e per le headhunters.
Le TWAs sono state autorizzate ad operare fin dal 1972. La disciplina della materia è
stata sottoposta nel corso degli anni a notevoli cambiamenti. Sebbene la normativa in
materia di forme di impiego non-standard fosse fortemente rigida, vi furono aperture alle
TWAs negli anni 80.
Prima del 90 l’attività delle TWAs era ammessa in tutti i settori di impiego, non vi
erano limitazioni al numero massimo di rinnovi dei contratti di fornitura e la loro durata
massima consentita era piuttosto alta nel panorama internazionale (24 mesi).
La riforma del 1990 ha limitato i casi di ammissibilità del lavoro temporaneo (solo in
caso di ragioni obiettive), ha previsto solo la proroga dei contratti di fornitura ed ha
limitato la loro durata massima a 18 mesi.
Pur non essendo previsto un sistema autorizzatorio, vi è un obbligo di informare le
autorità e di garanzia finanziaria. È fatto divieto di utilizzare il lavoro temporaneo presso
aziende in sciopero ovvero appartenenti a settori che esercitano attività pericolose. Non
sono ammesse agenzie polifunzionali (ad es. TWAs che svolgono anche attività di
mediazione). Sebbene, la legislazione più recente sia decisamente più restrittiva della
15
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
previgente, ciò non ha influito nella diffusione del lavoro temporaneo nella pratica.
Il Code du Travail vieta ai privati l’esercizio commerciale del collocamento; sono
ammesse eccezioni per alcune categorie professionali:
l’Apec (Agence de placement des cadres). Si tratta di una agenzia non-profit fondata
nel 1996 dalle parti sociali deputata a raccogliere le vacancies e renderle disponibili
ai lavoratori;
recruitment agencies: organizzazioni private per il collocamento di lavoratori
specializzati e del management (headhunters).
Più importanti sono però altri enti autorizzati all’esercizio del collocamento, in quanto
sottoscrittori di un accordo con l’Anpe o perché autorizzati dallo Stato. Si tratta di
istituzioni pubbliche ed enti bilaterali, costituiti dalle parti sociali. Essi sono tenuti al
rispetto delle regole fondamentali proprie dei Pes: gratuità del servizio, divieto di pratiche
discriminatorie.
Tali enti, sebbene possano partecipare al collocamento, non sono responsabili
dell’avviamento di cui rimane competente l’Anpe.
È stato promosso l’outsourcing di parte delle informazioni sulle vacancies e l’Anpe ha
stretto delle partnership con le TWAs.
GERMANIA
Tra il 1931 e il 1994, in Germania vige un regime di monopolio statale del
collocamento affidato al Bundesanstalt für Arbeit (BA), in ossequio al quale le
organizzazione private, specialmente quelle a scopo di lucro, sono proibite; solo nel 1994
il monopolio viene superato e viene introdotto il sistema delle licenze. In particolare, le
TWAs hanno subito diversi trattamenti di maggiore o minore apertura. Queste, infatti,
sono sottoposte ad una nuova disciplina finalizzata al loro monitoraggio a partire dagli
anni Settanta, mentre nel 1981 subiscono nuove restrizioni. Nonostante ciò, oggi le
TWAs sono le strutture di maggiore preferenza e diffusione.
Prima del ‘94 era ammissibile solo:
la delega del collocamento a strutture non-profit, organizzazioni caritatevoli, agenzie
di spettacolo e di moda;
la fornitura di lavoro temporaneo;
l’attività delle agenzie di headhunters.
Come in altri paesi, il lavoro interinale, permesso poiché non considerato
collocamento, è stato regolato con un apposito provvedimento nel ‘72, ispirato
all’esigenza di monitorare l’attività delle agenzie e garantire il rispetto di un livello
minimo di protezione a favore dei lavoratori interinali. Nel 1981, al fine di contrastare
fenomeni di illegalità che si manifestavano nelle costruzioni, fu posto un rigido divieto
16
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
all’utilizzazione del lavoro temporaneo in tale settore.
Altro elemento tipico della disciplina in materia è la previsione di una durata massima
del periodo in cui i lavoratori possono essere ceduti in affitto. Tuttavia detto periodo è
stato nel corso degli anni progressivamente aumentato: da 3 mesi nel ‘72, a 6 nell’85, poi
a 9 nel ‘94 ed, infine, a 12 nel 1997.
Tale apparato normativo non è stato influenzato in maniera notevole dalla
deregolazione del ‘94, sebbene il cd. synchronisation ban sia stato parzialmente
affievolito. Detto divieto impone che la durata del rapporto di lavoro con l’agenzia di
lavoro interinale debba almeno eccedere la durata della prima missione presso l’azienda
utilizzatrice.
La successiva revisione normativa ha considerato non valido detto divieto se il
lavoratore interinale viene assunto dalla azienda utilizzatrice immediatamente dopo la
conclusione della missione e lo stesso lavoratore è considerato di difficile collocazione
dal Pes.
Il Legislatore ha imposto che la relazione tra lavoratore e agenzia di lavoro interinale
fosse a tempo indeterminato, escludendo la possibilità di utilizzare a tal fine un contratto
a termine.
Peraltro, ciò non ha nuociuto all’attrattiva dell’istituto che consentiva comunque di
scavalcare il collocamento pubblico.
La riforma del ‘94 ha previsto una procedura di autorizzazione, gestita dal BA, per le
TWAs e le agenzie di ricerca e selezione.
Per ottenere la licenza all’erogazione di servizi all’impiego devono essere garantite
quattro condizioni:
idoneità personale;
certificazione dell’assenza di carichi pendenti;
assetti societari fissati per legge;
locali commerciali adeguati.
La cooperazione tra Pes e Pres è stata piuttosto rara, ma recentemente è stata
incrementata.
Esistono accordi bilaterali tra BA e Pres in molti settori: come in quello dell’uso dei
data base sui lavoratori e sulle vacancies, fino alla delega delle funzioni di collocamento
ai Pres.
PAESI BASSI
Prima del ‘91 i Pes olandesi erano costituiti da un Direttorato generale del Ministero
degli affari sociali e del lavoro.
Tale istituzione, fondata nel 1940, deteneva un monopolio formale del collocamento,
17
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
gestito centralmente. Nel ‘91, attraverso la riforma dell’Employment Service Act, tale
sistema fu trasformato in una struttura fortemente decentralizzata, non governativa ed in
competizione con le agenzie private.
Prima del 1990, l’Employment Service Act del ‘30 ammetteva solo l’esistenza di
agenzie non-profit, sottoposte ad un regime obbligatorio di autorizzazione, sebbene quelle
di personnel management non fossero mai state espressamente proibite.
Anche prima della fine del monopolio, le TWAs erano diffuse in Olanda, poiché
formalmente la loro attività non era considerata collocamento, sebbene nella pratica molte
imprese le utilizzassero per selezionare i propri futuri dipendenti e i job-seekers come un
canale di ricerca di impiego permanente.
All’epoca della fine del monopolio, l’ingresso di agenzie private era sottoposto al
rilascio di una licenza a condizione che:
i lavoratori non dovessero pagare più del costo reale del servizio di collocamento;
l’attività non fosse esercitata nei confronti di imprese i cui dipendenti fossero in
sciopero;
nessuna discriminazione fosse perpetuata nei confronti dei lavoratori.
L’Employment Service Act del 1991 modificò anche la definizione di collocamento, in
maniera tale che anche altri mediatori, quali le agenzie di outplacement e di ricerca e
selezione fossero soggette ad autorizzazione.
La cooperazione tra TWAs o agenzie private e Pes sta divenendo più comune. In
particolare, due sviluppi possono essere segnalati.
Da una parte si segnala che Pes, Start (che originariamente era una agenzia non profit
ma ora è privata) insieme ad una altra TWA, hanno costituito un alleanza strategica per
competere con altre agenzie, specialmente TWAs di grandi dimensioni.
L’altra area di cooperazione si è sviluppata nell’ambito del nuovo ruolo delle
municipalità nelle politiche dell’impiego. Queste sono legalmente obbligate a cooperare
con i Pes, ma nei fatti anche agenzie for profit sono coinvolte.
REGNO UNITO
Le agenzie private non sono mai state proibite nel Regno Unito. Sino al 1973, i Pres
non erano regolati nonostante le preoccupazioni suscitate da alcune prassi diffuse nel
settore industriale e vari tentativi di introdurre una disciplina normativa in materia. Nel
‘73 fu approvato un Employment Agencies Act. Questo affidava alla autorità pubblica
(fino al ‘75 in sede locale, successivamente il Secretary of State for Employment) le
competenze in materia di rilascio di licenze, irrogazione multe, poteri ispettivi e altri
servizi. Dal 1994, le agenzie private vengono assoggettate al potere autorizzatorio e di
controllo del Department of Employment’s – Employment Agency Licensing Office,
18
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
organizzato su base regionale. Alle TWAs è riconosciuta grande libertà: non esistono
restrizioni circa l’uso del lavoro interinale, né con riguardo al rinnovo ed alla durata del
contratto di lavoro temporaneo.
Il sistema di licenze è stato revocato con effetto dal gennaio 1995 dal Deregulation
and Contracting Out Act del 1994. Ciò nonostante gli standard di condotta del ‘73, in
particolare con riguardo alla gratuità del servizio di collocamento a favore dei lavoratori,
sono rimasti in vigore. In generale, l’impatto della disciplina legale appare minimale e
l’Employment Agency Standards Office, opera solo su iniziativa di parte (non di ufficio)
in materia di violazione degli standard obbligatori.
I dati disponibili circa gli effetti dei processi di deregolazione avviati continuano a
ricavarsi, innanzi tutto, da De Koning, Denys, Walwei (1999) aggiornati, ma solo per i
quattro paesi appena considerati da Konle-Seidl, Walwei (2001).
Riassumendo:
la quota di mercato dei Pes è più alta di quella dei Pres. Solo nei Paesi Bassi negli
ultimi tempi la situazione pare essersi invertita, in particolare grazie allo sviluppo
delle TWAs;
Pes e Pres sembrano svolgere un’attività complementare piuttosto che sostitutiva. Ciò
è sicuramente vero per le agenzie di intermediazione, le quali offrono servizi per
clienti diversi da quelli che si rivolgono ai Pes. In altri termini, tali agenzie, oltre ad
esercitare un ruolo limitato in termini quantitativi, si rivolgono ad una clientela
diversa da quella dei Pes (lavoratori più specializzati);
quest’ultima relazione è meno chiara per le TWAs. Sia i dati amministrativi sia quelli
derivanti da indagini presso gli imprenditori rivelano infatti che ci sono aree non
marginali in cui l’attività delle agenzie di lavoro temporaneo si sovrappone a quella
dei Pes, rafforzando l’impressione che la competizione esista solo tra Pes e TWAs;
il problema di comparare la funzionalità e l’efficacia dei diversi canali di
intermediazione e di avviamento sembra comunque di difficile e, comunque, non
univoca soluzione. Occorre tenere presente, infatti, che indicatori di performance
come le quote di mercato indicano solo quante domande di lavoro sono state
soddisfatte o quante persone sono state assistite. Nulla dicono invece degli effetti
diretti ed indiretti sul mercato del lavoro.
In conclusione, se si può affermare che dopo la deregolamentazione c’è stata
un’espansione di questi servizi, tuttavia non sembra che le agenzie private ne abbiano
particolarmente beneficiato. Infatti, la loro quota di mercato continua a rimanere piuttosto
marginale (ad eccezione delle TWAs), mentre i Pes continuano (ed anzi hanno rafforzato)
la loro posizione. È difficile, tuttavia, capire se questi effetti sono dovuti alla
deregolamentazione o al ciclo economico. Difatti, altri canali (inserzioni sulla stampa e
metodi informali) continuano ad essere i predominanti.
19
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Quel che è certo è che la specifica e generale attenzione indirizzata ai Servizi per
l’impiego da parte dei decisori pubblici nell’ultimo decennio (tutti i paesi europei li
hanno riformati a più riprese, in un’opera di modernizzazione e di infrastrutturazione
massiccia) ha contribuito all’aumento della trasparenza del mercato del lavoro e
all’accelerazione della sua fluidità: tratti, entrambi, che hanno rafforzato il funzionamento
dei Pes e che da questo miglioramento sono stati a loro volta potenziati.
Particolarmente rilevante, anche per le indicazioni di policy che se ne possono trarre
per l’esperienza italiana, ci sembrano le modalità con cui sono sviluppate le strategie di
interazione tra Pes e Pres.
La Commissione europea8 ha identificato tre possibili modalità di tale relazione:
cooperazione nel campo della informazione, nei servizi di matching di base e di
mediazione;
complementarità in particolari segmenti del mercato del lavoro o nella fornitura di
particolari servizi;
competizione nella fornitura di servizi ai datori lavoro, con la possibilità per i Pes di
effettuare tali servizi a pagamento.
Thuy, Hansen, Price (2001) sottolineano come tutte queste modalità di approccio
hanno avuto concreto riscontro nella prassi, peraltro sottolineando i rischi legati a
relazioni basate sulla complementarità, le quali potrebbero sfociare in segmentazione dei
mercati serviti, rispettivamente, da Pes e Pres, con l’effetto di concentrare l’attività dei
primi sui lavoratori meno qualificati. Peraltro, la cattiva reputazione che potrebbe
derivare da ciò a scapito dei Pes, renderebbe ancor più complesso il raggiungimento
dell’obiettivo di collocare proprio i lavoratori con più difficoltà sul mercato del lavoro,
generando un perverso circolo vizioso.
Un importante studio analizza le modalità di coesistenza tra Pes e Pres in Francia,
Olanda e Regno Unito (Sansier M., Boutonnat D., 1997).
Il processo di cooperazione tra pubblico e privato, si nota, conferisce maggiore
credibilità e rispettabilità alle nuove agenzie e migliora l’immagine anche del servizio
pubblico.
Alcuni fattori suggeriscono che la cooperazione sia destinata a crescere, anche se
ancora non sviluppata:
il trasferimento di tecnologia dal pubblico al privato, il che testimonia che taluni
servizi ora utilizzano le stesse basi;
la nascita di consorzi multidisciplinari, al fine di rafforzare gli accordi che
intercorrono tra Pes e Pres;
la nascita di codici di condotta su problematiche del lavoro fanno pensare che, con
8
European Commission: PES-PRES’s relationship in a European framework, presentato al Meeting degli
Heads of Public Employment Services, Baden Austria, 16.11.1998.
20
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
una certa gradualità, la cooperazione si svilupperà.
Quanto alla definizione di un codice etico per operatori pubblici e privati, si dovrebbe
fare riferimento ad una serie di fattori:
riservatezza: mantenere segrete le informazioni su chi cerca lavoro;
gratuità del servizio offerto a chi cerca lavoro;
eguaglianza nel trattamento;
potenziamento dell’informazione sulle carenze di posti di lavoro;
rispetto per il ruolo dei diversi operatori;
penalità in caso di mancato rispetto del codice di condotta.
Si suggerisce l’adozione di un programma comune di misure per combattere la
disoccupazione o potenziare il mercato del lavoro, nel nome di una maggiore trasparenza
che aiuti a mantenere alto il livello di occupazione. Sarebbe utile, inoltre, stabilire quali
operatori possano dare vita ad una proficua cooperazione.
Si nota inoltre che le partnership sono promosse attraverso la stipulazione di una serie
di contratti e di altri accordi. Questi ultimi sono definiti dettagliatamente e il loro prezzo è
stabilito in un allegato finanziario. Essi mostrano il tipo di risultato atteso in relazione alle
misure adottate e alle difficoltà del mercato. Di solito l’operatore adempie i suoi compiti e
la controparte paga dopo aver visto i risultati.
Potrebbe essere possibile utilizzare anche altri sistemi di pagamento.
Vengono richiamate in proposito la tecnica del voucher, che permette di scegliere
l’operatore, ovvero un’altra possibilità, nel settore del placement, è che gli operatori
pubblici e privati vengano pagati, quando trovano lavoro per un disoccupato di lunga
durata o un disabile.
È anche suggerita l’istituzione di Employment Service Councils.
A livello nazionale il Council dovrebbe controllare che le azioni del pubblico e del
privato siano integrate nella politica del mercato del lavoro. Un organismo di questo tipo
dovrebbe avere una sezione tripartita, che comprende Stato e parti sociali ed un’altra in
cui gli operatori pubblici e privati possano esercitare un potere propositivo. Mentre una
terza sezione dovrebbe prevedere persone di rilievo nel mondo del lavoro che prendano
parte alle deliberazioni del Council nazionale. Le decisioni e le raccomandazioni di tale
organismo, che dovrebbero essere successive alle decisioni dell’amministrazione pubblica
circa la sua strategia per l’occupazione, dovrebbero riguardare le regole per l’azione di
servizi pubblici e privati, nonché aiutare gli operatori a trovare una collocazione
strategica nel mercato.
Una quarta sezione dovrebbe rappresentare i Governi regionali. Questi ultimi
dovrebbero riflettere sul punto di vista di chi usa il Servizio per l’impiego, rispondendo
alle necessità del mercato del lavoro locale e fornendo servizi di qualità.
Si potrebbe immaginare che la mission dei Council si organizzi attorno a tre azioni
fondamentali:
assicurare che gli operatori siano riconosciuti come Servizi per l’impiego;
dimostrare la professionalità dei servizi pubblici e privati;
21
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
rispondere alle fondamentali necessità dell’occupazione.
A tal fine questi si dovrebbero occupare di definire le condizioni necessarie per
esercitare la professione di consulente per l’impiego e il giusto livello di competenza che
si deve avere per l’adempimento dei tali compiti.
Si potrebbe prevedere, come logico sviluppo di questi organi, strutture che agiscano
per la formazione professionale, in collaborazione con le strutture scolastiche ed
educative.
Un’azione che davvero potenzierebbe la credibilità di tali strutture sarebbe la
creazione di un repertorio delle occupazioni e delle competenze necessarie per svolgerle.
I consigli regionali potrebbero assolvere questo compito anche per ridurre le distanze tra i
datori di lavoro e i candidati.
I Consigli dovrebbero inoltre emettere una serie di raccomandazioni, basate su un
codice etico, per la pratica delle professioni. Le controversie dovrebbero essere risolte
presso questi corpi, ai livelli appropriati, nazionali o locali.
Infine, un esempio concreto dell’ultima delle modalità di coesistenza ricordate –
competizione nella fornitura di servizi ai datori lavoro – si ritrova in Olanda (Van
Yperen, 2000), ove sono espressamente previsti, oltre ad altre più tradizionali attività
offerte dai Pes, servizi a pagamento, erogati alle imprese che ne facciano richiesta. Essi
comprendono:
l’attività di ricerca e selezione di personale intensiva;
l’addestramento dello staff;
consulenza individuale relativa al reperimento di personale.
Questi servizi dovrebbero autofinanziarsi e possono essere prestati anche attraverso
convenzioni con agenzie private.
Un modello assai particolare di coesistenza, oggetto di grande interesse nella
letteratura, è quello australiano perché esso, di fatto, ha condotto ad una quasi completa
privatizzazione dei servizi di collocamento.
L’impianto teorico in cui si inserisce tale esperienza è ricostruito da Fay G., 1997.
L’autore ricorda come in molti Stati dell’area occidentale, la scelta operata sia stata
quella di introdurre fattori tipici dell’economia di mercato anche nel settore dei Servizi
pubblici per l’impiego; ciò dovrebbe consentire un miglioramento del servizio, attraverso
l’introduzione di un sistema fondato sulla competizione fra pubblico e privato.
La modernizzazione del settore pubblico dei Servizi per l’impiego incomincia,
essenzialmente, dal ripensamento del rapporto “fruitore-produttore” del servizio. In molti
settori, infatti, lo Stato assume il duplice ruolo di produttore di un determinato servizio e
di fruitore dello stesso, determinando in tal modo distorsioni della concorrenza, in quanto
lo stesso centro decisionale può stabilire “cosa” e “quanto” produrre. I mezzi prescelti
sono stati vari: la liberalizzazione del settore, le riforme dell’organizzazione del settore
pubblico e pratiche di outsourcing, con le quali dei servizi pubblici sono affidati ai privati
sulla base di aste competitive.
Il contracting out dei servizi pubblici persegue, generalmente, l’obiettivo di acquisire,
22
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
nell’erogazione degli stessi, alcune delle caratteristiche desiderabili proprie di una
economia di mercato regolata dai principi della concorrenzialità (contestabilità); ad
esempio capacità di produrre al minimo costo, di innovare e di rispondere efficacemente
alle esigenze del mercato stesso.
Se questi guadagni di efficienza possono essere raggiunti senza andare a discapito dei
principi dell’equità sociale e della qualità dei servizi, allora la pratica dell’outsourcing
dovrebbe consentire un accrescimento del benessere sociale e, dunque, dovrebbe
(potrebbe) essere adottata (Webster E., Harding G., 2001).
Viene, comunque, rimarcata la necessità che la responsabilità per i risultati rimanga in
capo all’ente pubblico. Questo dovrebbe essere in grado di esercitare un controllo:
sull’effettiva traslazione degli obiettivi generali d’interesse pubblico in servizi
dettagliatamente specificati;
sull’effettiva produzione dei servizi;
sul rispetto dei principi di equità nell’erogazione.
A tale scopo è necessario fare chiarezza nella formazione dei contratti d’appalto
riguardo alla definizione delle responsabilità e alla valutazione dei risultati. Lo sviluppo
delle tecnologie dell’informazione può fornire un grande apporto in questo senso.
Nel box che segue – costruito sulle indicazioni ricavabili da Riggs L., 2000 – è
descritta tale esperienza.
IL JOB NETWORK AUSTRALIANO
La gestione individualizzata del collocamento viene introdotta per la
prima volta nel 1987 nello stato di Vittoria a seguito del riconoscimento
della poca conoscenza da parte dei disoccupati di lunga durata delle
possibilità offerte dai vari programmi di assistenza nazionali.
Successivamente anche altri stati hanno sviluppato singoli esperimenti di
case management, ciascuno orientato su specifici gruppi di clienti (ad
esempio lo stato del New South Wales ha orientato il servizio verso i giovani
e le persone in età matura dando maggiore importanza alla formazione).
Il Governo nazionale ha invece aumentato la sua presenza sul mercato del
collocamento e dell’incontro tra domanda e offerta a partire dal 1980,
istituendo diversi organismi e dando il via a molteplici programmi di
avviamento al lavoro (si pensi ai Job clubs per l’assistenza alla ricerca del
lavoro, al Old e New Newstart Programme rivolti a sussidiare la formazione
e l’occupazione prima dei disoccupati di lunga durata e successivamente di
tutti i senza lavoro). In particolare, tra il 1994 e il 1996 il Governo
australiano ha rafforzato il suo ruolo nel campo dei servizi di consulenza nel
mercato del collocamento istituendo l’Employment Service Regulatory
Authority, Esra. Nello stesso periodo ha dato il via al processo di
23
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
outsourcing di molte delle sue funzioni di gestione personalizzata dei servizi
di collocamento.
Dal luglio 1995 la gestione dei servizi personalizzati viene svolta sia da
operatori privati che da enti locali. Si tratta nel complesso di 300 agenzie,
attive in 550 località, di cui il 40% private, il 50% di enti locali e il
rimanente 10% di enti statali o regionali ed istituzioni culturali.
Il finanziamento di queste attività, correlato ai risultati ottenuti in termini
di persone collocate, ha rappresentato un incentivo al collocamento di quante
più persone possibile.
Nel maggio 1998 un importante processo di riforma coinvolge il mercato
dei servizi di collocamento. Il Commonwealth Employment Service (Ces)
viene abolito, il Dipartimento di sicurezza sociale (Dss) trasformato e la
grande maggioranza dei servizi di collocamento e dei servizi personalizzati
viene privatizzata. Inoltre, il finanziamento di tutte le attività collegate al
mercato del lavoro viene ridotto di oltre il 50%.
Il vecchio sistema, incentrato sul Ces per l’erogazione dei servizi di
collocamento e sul Dss per il conferimento del diritto di accedere ai servizi
del Ces e la riscossione dei sussidi, viene modificato con la creazione di un
nuovo ente, il CenterLink, che rimane sotto il controllo e la supervisione del
Governo (tale ente valuta l’eligibilità e il livello dei sussidi).
Il diritto all’assistenza viene valutato sulla base di una procedura formale
che mira a classificare le persone secondo una scala a punti. La
classificazione permette anche di quantificare il livello di assistenza. Sulla
base del punteggio, i disoccupati e coloro che sono in cerca di lavoro
vengono indirizzati ad una delle agenzie private che erogano i servizi di
incontro tra domanda e offerta, di formazione e di assistenza personalizzata
finanziati dal Governo. Tali agenzie sono tutte inserite nel così detto Job
Network. Il diritto di accedere a questo network viene accordato sulla base di
bandi le cui variabili discriminanti sono il prezzo di offerta e la qualità del
servizio offerto.
I fornitori dei servizi sono inoltre classificati sulla base di altri criteri:
esperienza;
qualità professionali dello staff;
stabilità;
responsabilità fiscale.
Le agenzie vengono valutate sulla base dei risultati ottenuti (numero di
persone che trovano un’occupazione duratura in lavori non sussidiati).
Quanto alla gestione delle risorse finanziarie, esse hanno una certa
discrezionalità nel come spendere i proventi governativi derivanti dai
successi conseguiti nel collocamento: possono concedere sussidi salariali,
sussidi di formazione e organizzare corsi di formazione. D’altra parte
24
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
possono anche conservare le somme percepite e produrre reddito. Inoltre, i
servizi offerti ad imprenditori e persone in cerca di lavoro possono essere a
pagamento. Queste ultime pratiche, tuttavia, possono influenzare
negativamente i risultati conseguibili e quindi anche le sovvenzioni statali ad
essi collegate.
Il Governo, tramite i Dipartimenti del lavoro, controlla le procedure di
gara per l’affidamento ai privati dei servizi di collocamento e case
management, valuta le performance degli stessi, determina i criteri per
accedere al Job Network, gestisce i sistemi informativi e dispone i pagamenti
ai fornitori dei servizi pubblici.
Occorre notare che tutti i disoccupati (ma anche altre categorie come tutti
i giovani tra i 15 e i 20 anni) hanno il diritto di accedere ai servizi di incontro
tra domanda e offerta. I servizi di case management sono invece riservati
solo ai disoccupati che ottengono punteggi molto bassi (in genere si tratta di
disoccupati di lunga durata o di quelli a rischio di divenirlo).
La prima fase, relativa alla selezione delle organizzazioni sotto la
vigilanza del Job Network, venne condotta nel 1997. Il primo periodo di
contratti si svolse dal 1 maggio 1998 fino al 27 febbraio 2000.
La seconda fase si svolse nella metà del 1999, al fine di selezionare le
organizzazioni chiamate allo svolgimento del servizio per il triennio
successivo; questa seconda offerta era diretta alle selezione delle best
practice e solo le organizzazioni con le migliori performance vennero scelte
per diventare membri del Job Network.
Il Job Network offre un sostegno di tipo flessibile a quanti siano alla
ricerca del lavoro, che muta in base alle diverse necessità. Esso garantisce
cinque servizi fondamentali.
a) Job Matching: servizi per il lavoro accessibili per la maggior parte dei
candidati che lavorano meno di quindici ore alla settimana. Questi
servizi, oltre a sollecitare i datori di lavoro verso i candidati, aiutano
questi ultimi nel prepararsi a rientrare nel mercato del lavoro, sostenendo
circa 400.000 candidati l’anno.
b) Job seekers training: quindici giorni consecutivi di tirocinio nella
tecnica per la ricerca del lavoro, che può includere tecnica per la
presentazione e per il colloquio o altre strategie. Queste strategie, rivolte
soprattutto ai disoccupati dai tre ai dodici mesi, vedono una frequenza
annua di almeno 90 000 partecipanti.
c) Intensive Assistance: assistenza individuale a candidati più svantaggiati.
Ci sono diversi tipi di assistenza di questo genere, in base alle diverse
necessità. Tale servizio ha riscontrato una partecipazione annuale di
circa 235 000 persone.
d) New Enterprise Incentive Scheme (Neis): tirocini, servizi, avvisi e
25
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
notizie per un periodo superiore ai 12 mesi.
e) Project Contracting: un progetto che tende ad assicurare che i coltivatori
di frutta e verdura abbiano accesso al lavoro di mietitura dei campi.
Mentre possono accedere al servizio di Job Matching tutti i disoccupati,
per essere ammessi, invece, al Training ed al servizio di assistenza i
candidati devono essere nella condizione di ricevere i sussidi per la
disoccupazione, o per lo meno avere sostegni speciali per i disabili, ovvero
ancora avere un’età compresa tra i 15 e i 20 anni e non avere un’istruzione
scolastica completa, o essere australiani indigeni.
Nel caso dell’Intensive Assistance, per il secondo periodo di Job
Network, si è stabilita la così detta Declaration of Intent (Doi) che indica i
servizi che gli offerenti pensano di poter offrire ai candidati. Il Doi è parte
integrante del contratto e i fornitori devono sottostare agli impegni presi.
Un codice di condotta del Job Network è stabilito per assistere i membri,
ma anche per assicurare il miglior servizio ai candidati ed ai datori di lavoro.
Il rispetto del codice rientra tra gli impegni sottoscritti nell’ambito del
contratto concluso tra Governo e membri. I principi del codice sono:
rispetto della deontologia professionale;
assistenza accurata;
cortesia del servizio;
dare la possibilità di esprimere insoddisfazione per il servizio;
osservanza del diritto alla privacy;
attenzione e cura dell’informazione.
È previsto anche un sistema di ricezione delle controversie, attraverso il
Customer service Line. All’inizio è prevista la sperimentazione di tentativo
per la risoluzione consensuale della controversia. Qualora questa non
dovesse essere possibile, il candidato ha la possibilità di contattare il
Customer Service Line, che prevede le misure da adottare nei confronti del
candidato o del datore di lavoro inadempiente. Sono previste sanzioni nei
confronti di membri di Job Network che infrangono il codice.
Per assicurare la massima trasparenza e l’equità nel trattamento di
ciascun operatore, è stato istituito il Probity Plan controllato da un Probity
Adviser indipendente.
Il primo contratto di Job Network si concluse il 27 febbraio 2000 e durò
22 mesi, anche al fine di assicurare al Governo la possibilità di mutare, in
caso di necessità, gli accordi. Il secondo Employment Service Request fu
realizzato nel giugno 1999 e concluso il 30 luglio 1999. L’elemento a cui si
attribuì maggior rilievo fu la qualità del servizio che avrebbe dovuto risultare
potenziata. Il più importante cambiamento nel secondo contratto fu
l’introduzione del Management Price Competition per l’Intensive Assistence.
Durante il primo Job Network, per l’Intensive Assistance esisteva un sistema
26
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
a prezzo fisso; nel secondo, al contrario, tutti i servizi di Job Network
adottarono il sistema di Price Competition anche se una soglia minima fu
mantenuta al fine di assicurare una certa qualità del servizio offerto. Nel
periodo del primo contratto si richiedeva ai membri di Job Network di
assistere diverse tipologie di candidati; nel secondo divenne lecita la
specializzazione in un singolo gruppo come, ad esempio, quello dei disabili
o dei candidati più giovani.
Il Centrelink ha il compito di provvedere ai sussidi per i disoccupati che,
a loro volta, vengono monitorati e sottoposti ad un Activity test. Da questo
strumento si desume quale sia la reale propensione del disoccupato a trovare
un lavoro e a seguire i percorsi previsti nel suo Activity Agreement personale.
Queste attività sono di vario tipo e possono prevedere tirocinio, formazione
teorica o ricerca. Il fornitore dell’Intensive Assistance, per esempio, deve
negoziare con ciascun candidato un Activity Agreement in cui si prevedono
le attività che il candidato dovrà svolgere. Ciò accade entro due settimane
dal contatto tra candidato e fornitore del servizio. Nel caso di mancanze del
soggetto all’Activity Test, i membri del Network hanno la possibilità
denunciare al Centrelink comportamenti e inadempienze. Sarà il Centrelink
ad appurare se esiste realmente una mancanza da parte del candidato o quali
siano le reali motivazioni che non gli permettono di assolvere ai propri
compiti. Se l’inadempienza è confermata, si prevede la possibilità di adottare
misure sanzionatorie più o meno rigide che possono prevedere anche la
riduzione dei sussidi.
Ricordano Webster E., Harding G., 2001, che allo stato attuale non esistono studi
che analizzino in modo approfondito gli effetti della riforma del 1998. Si afferma che in
generale, i processi di contracting out portano ad un miglioramento dell’efficienza
quando riescono a modificare il management introducendo una più intensa
specializzazione e un senso del lavoro più orientato al soddisfacimento dei clienti. In caso
contrario una riforma interna dei sistemi di monitoraggio del lavoro e del sistema di
incentivi può condurre a risultati anche migliori. Nel caso dei Servizi pubblici per
l’impiego il processo di outsourcing seguito in Australia suggerisce che da esso non
derivano necessariamente dei miglioramenti delle performance, anche se, allo stato
attuale, non ci sono dati sufficienti in proposito. Questa condizione di incertezza nasce
dalla considerazione che il contracting out dovrebbe condurre a guadagni di efficienza a
parità degli altri fattori i quali, al contrario, non sono mai gli stessi. Da un lato,
rimangono, infatti, dei costi in capo all’amministrazione pubblica (legati alla
sovrabbondanza di personale, alla perdita di conoscenze e di expertise). Dall’altro, si
vengono a formare dei costi per la comunità laddove il mercato competitivo preclude la
cooperazione tra diversi soggetti pubblici e privati.
27
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Vi sono studi dell’Ilo (1999) che sottolineano, inoltre, gli effetti perversi della
deregolazione avviata in taluni paesi, riassunti nei box riportati di seguito.
GIAPPONE
Nonostante in Giappone non vi sia un sistema di monopolio
dell’intermediazione e dei Servizi per l’impiego, la legge di tutela del lavoro
stabilisce una serie di importanti principi e rigide regole in materia di
esercizio dell’attività di intermediazione del lavoro.
Come, peraltro, accade in numerosi altri Stati, l’istituzione di un’agenzia
privata per il collocamento è subordinata al rilascio di una licenza da parte
del Governo.
Non di meno, a dispetto dei – dettagliati – principi enucleati dalla
normativa di riferimento, la prassi ha, sino ad oggi, deluso le aspettative (la
disciplina risulta pressoché uniformemente elusa sia dalle imprese
richiedenti la prestazione lavorativa, sia dalle agenzie di intermediazione, sia
dagli stessi lavoratori).
Lo studio sottolinea che l’introduzione delle Agenzie per l’impiego in
Giappone ha determinato – e contribuisce, tuttora, a determinare – la crescita
esponenziale del lavoro “atipico” o irregolare; tuttavia, ad un incremento
sensibile del numero di lavoratori “atipici”, non fa riscontro un
miglioramento generalizzato delle condizioni di impiego della popolazione.
Per di più, a fronte di un sistema – connotato da evidenti distorsioni – che
garantisce in misura insoddisfacente i lavoratori, sta la sostanziale
impossibilità di controllo e di intervento da parte delle istituzioni pubbliche.
UNGHERIA
Il sistema ungherese è – attualmente – caratterizzato dalla compresenza di
agenzie private e di agenzie non-profit; tale complessità è dovuta,
primariamente, ad un sostanziale fallimento del settore pubblico nella
gestione dei Servizi per l’impiego.
Il sostrato legale della privatizzazione del Servizi per l’impiego, in
Ungheria, è rappresentato dal provvedimento normativo n. VI del 1988
sull’Organizzazione delle imprese private e dal provvedimento normativo n.
V del 1990 sugli imprenditori privati. Infine, l’art. 6 del provvedimento
normativo n. VI del 1991 sulla promozione dell’impiego e sui benefici in
favore della disoccupazione consente a “chiunque” di avviare un’Agenzia
privata per l’impiego, indipendentemente dalla forma giuridica
28
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
dell’esercente (incluse, dunque, le persone fisiche, gli enti religiosi e
caritatevoli e, naturalmente, le agenzie private costituite in forma societaria).
Negli ultimi dieci anni il numero delle Agenzie private per l’impiego è
cresciuto in modo ragguardevole, consentendo, per un verso, la creazione di
un mercato competitivo nel settore dei Servizi per l’impiego e per altro verso
una grande flessibilità delle stesse agenzie in ordine alla tipologia dei servizi
erogati.
Attualmente, vi sono poche agenzie private caratterizzate da una presenza
stabile – normalmente sono agenzie internazionali di Servizi per l’impiego –
ed un ristretto numero di agenzie di medio calibro, normalmente gestite da
personale ungherese; ma la stragrande maggioranza delle Agenzie per
l’impiego è rappresentata dalle agenzie più piccole, solitamente gestite da
una o due persone.
Purtroppo, le agenzie di minori dimensioni – che, come detto,
rappresentano, la maggior parte delle Agenzie private per l’impiego – sono
gestite in modo poco professionale e, qualche volta, anche in modo illegale.
Proprio l’assenza di un sostanziale controllo da parte dello Stato e delle altre
istituzioni pubbliche – si ricordi, in particolare, che in Ungheria non è
necessaria un’autorizzazione per l’esercizio di tale attività, occorrendo la
sola registrazione dell’agenzia stessa – rappresenta terreno fertile per
l’insorgere di un diffuso stato di irregolarità tra le Agenzie per l’impiego
private.
Le agenzie non-profit “laiche” e le istituzioni religiose o caritatevoli
hanno ottenuto un largo numero di consensi tra le persone in cerca di
impiego, principalmente, per due ragioni:
hanno una maggiore capacità delle agenzie pubbliche di avere rapporti e
di accedere alle informazioni riguardanti alcuni settori della popolazione,
particolarmente svantaggiati;
il settore pubblico non è in grado di assecondare o di soddisfare la
domanda delle persone in cerca di lavoro.
L’immaturità del settore pubblico e la quasi completa
deregolamentazione del settore privato hanno, infatti, contribuito a creare un
sistema pressoché incontrollabile. Secondo opinioni di esperti del settore, la
qualità dei servizi offerti è estremamente scadente ed è caratterizzata dal
sospetto reciproco delle parti in causa.
Il resoconto di tali esperienze permette di richiamare, infine, la posizione di coloro
(Walwei, 1996) che continuano a sostenere la necessità della presenza dei Pes
nell’ambito dei servizi forniti dallo Stato.
In un mercato perfetto non ci sarebbe motivo evidente per l’esistenza di Servizi
29
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
pubblici per l’impiego, ma ci sarebbero solo intermediari privati (Pres). L’intervento del
pubblico sarebbe, infatti, richiesto solo se il mercato non producesse livelli di efficienza e
equità sufficienti. Nella realtà, diversi studi hanno evidenziato come gli intermediari
privati tendano a concentrarsi sui lavoratori dotati di esperienza (già occupati) ed a
localizzarsi nelle aree metropolitane. Ne consegue che le loro possibilità di avere
successo crescono in periodi di crescita economica e si riducono in periodi di stagnazione
o recessione.
In queste condizioni la mancanza dei Pes produrrebbe effetti negativi in termini di
efficienza ed equità. Ciò dipende dal fatto che, mentre i Pres tendono a escludere terzi
dall’accesso alle informazioni in loro possesso, i Pes offrono indistintamente a tutti
gratuitamente il bene pubblico che è l’informazione e favoriscono, quindi, la trasparenza
del mercato e l’incontro tra domanda e offerta. Inoltre, mentre i Pres tendono a
localizzarsi nelle regioni più prospere, i Pes coprono l’intero territorio nazionale
indipendentemente dal ciclo economico.
Il fatto che i Pres si concentrino sulle persone in cerca di lavoro più facilmente
collocabili causerebbe una maggiore segmentazione del mercato e un incremento dei
disoccupati con minore probabilità di essere occupati (hard core unemployment). Questo
è uno degli argomenti sociali più forti a sostegno dell’intervento pubblico. Diversi sono,
comunque, i limiti di funzionamento del mercato che rendono indispensabile l’intervento
dei Pes secondo la letteratura cui stiamo facendo riferimento:
l’insufficienza delle informazioni disponibili rende più difficile una ricerca efficace;
la mancanza di conoscenze adeguate spesso induce i disoccupati a non agire nel
proprio interesse;
il comportamento avverso al rischio e la carenza di risorse finanziarie non
favoriscono il perseguimento di una strategia atta ad adeguare le proprie competenze
professionali o ad avviarsi nel lavoro autonomo;
la presenza dei Pes può aumentare le aspettative di trovare un’occupazione;
il persistere della disoccupazione di lunga durata è causa di gravi problemi sociali
(dipendenza dallo stato, criminalità, ecc.).
Inoltre, i problemi strutturali del mercato del lavoro (disoccupazione di lungo periodo
e deficit degli skills richiesti dal mercato) non possono essere risolti solamente dando
maggiore spazio ai Pres, ma richiedono un intervento complesso e “a tutto campo” da
parte del Servizio pubblico, a cominciare dal reperimento e dalla diffusione delle
informazioni sul mercato del lavoro, per finire con la messa in opera di politiche e servizi
che combinino tra loro le differenti politiche attive per il lavoro.
Anche altri (De Koning, Denys, Walwei, 1999), oltre a sottolineare i benefici
ricollegabili alla regolamentata, si soffermano anche su altri rischi, cui abbiamo già fatto
cenno. In primo luogo, vi è l’ipotesi che, a seguito della concorrenza dei privati, i Pes si
rivolgano esclusivamente, o quasi, alle persone che presentano le maggiori probabilità di
trovare un’occupazione al fine di aumentare la loro efficacia in termini di quota di
mercato. Ne conseguirebbe la penalizzazione delle categorie più deboli.
30
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Un secondo fattore di rischio scaturisce dal fatto che l’aumento dei servizi per
l’occupazione non necessariamente conduce ad un aumento dell’occupazione. In altre
parole, non è detto che la demonopolizzazione produca un miglioramento del benessere
sociale. Al contrario, in principio il settore dei servizi di collocamento è caratterizzato da
un gioco a somma zero (a causa degli effetti di sostituzione) e dunque si pone il problema
del perché spendere delle risorse in attività che non producono valore aggiunto per la
società. Occorre sottolineare, tuttavia, che anche se dai servizi per il collocamento non
consegue un beneficio netto positivo per la collettività si possono, comunque, ottenere
degli effetti positivi in termini distributivi.
Un terzo fattore è connesso, infine, alla pratica dell’outsourcing che genera riduzioni
di prezzo e miglioramenti della qualità solo se le autorità pubbliche hanno la capacità di
monitorare e valutare i risultati dell’attività affidata ai privati.
Ci pare, infine, possibile individuare un ulteriore fattore di rischio che sebbene non
esplicitato nella letteratura, pone alcuni rilevanti problematiche, peraltro passibili di
maggiore acutizzazione a seguito dell’introduzione delle tecnologie informatiche, ed in
particolare dell’Internet, nella erogazione di alcuni servizi.
Nell’ambito del più volte richiamato VI Rapporto dell’Oil, grande rilevanza viene
attribuita all’informazione sul mercato del lavoro e sono individuate opzioni concrete per
ovviare ai difetti di circolazione e diffusione della stessa. Innanzi tutto si raccomanda
espressamente di mantenere in capo allo Stato la raccolta e l’elaborazione dei dati, anche
costringendo i detentori di informazioni importanti, siano essi pubblici o privati, a
renderle accessibili. Peraltro, obiettivo non è quello di istituire un nuovo monopolio
sull’uso dei dati, ma quello di realizzarne la massima diffusione, attraverso un ulteriore
obbligo, in capo allo stesso Stato, di cedere le informazioni in suo possesso “a favore di
tutti gli attori del mercato”.
Ebbene, alcuni studi (Konle-Seidl, Walwei, 2001) da ultimo hanno sottolineato che
sul fronte delle agenzie private ci sono pochissime informazioni (persino il numero è
talvolta sconosciuto) e questo sia perché non vi è, quasi mai, un sistema di licenze sia
perché non vi è nessuna norma legislativa in questo senso. Solo in Germania vi è un
qualche obbligo, ma, comunque, le informazioni fornite sono pochissime.
Anche con riguardo alla valutazione della “produzione” dei Pres l’analisi del settore si
scontra con una mancanza d’informazioni che rende impossibile procedere a esaustive
comparazioni a livello internazionale.
31
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
3. MONITORAGGIO E VALUTAZIONE DELLE ATTIVITÀ DEI SERVIZI
PUBBLICI PER L’IMPIEGO di Laura Incagli
La necessità di un Servizio pubblico per l’impiego risponde anche al principio di
assicurare nel campo del mercato del lavoro servizi qualitativamente e quantitativamente
omogenei rispetto al territorio ed agli utenti; a questo fine l’Ocse 9 già nel decennio
passato rilevava la tendenza (e l’opportunità) all’introduzione di nuove tecniche di
management per obiettivi all’interno di queste istituzioni pubbliche. Ciò si traduce,
concretamente, nella fissazione di target delle prestazioni attese dai Pes, la quale
dovrebbe integrare l’emanazione di atti normativi più forti10.
Proprio nell’ottica della progressiva eliminazione degli squilibri territoriali e sociali,
un primo e basilare momento di definizione dei target dovrebbe avvenire a livello
centrale, al fine di mantenere standard minimi comuni nel paese. Ciò non toglie che,
come suggerisce la Commissione europea 11 , l’ulteriore specificazione delle esigenze
locali possa essere comunque assicurata attraverso l’utilizzazione di passaggi definitori e
programmatori decentrati, anche sulla base di processi concertativi. Accordi annuali o
pluriennali tra amministrazione centrale ed enti periferici potrebbero essere utilizzati per
conciliare “direzione programmatica ed indipendenza operativa”.
Per di più, il raggiungimento degli obiettivi sottesi ai target è funzionale anche
all’aumento della credibilità e della qualità dei servizi offerti dai Pes. Infatti, essendo la
loro attivazione richiesta soprattutto nelle regioni meno sviluppate e a favore delle
persone in cerca di lavoro maggiormente in difficoltà, essi rischierebbero, se si
concentrassero esclusivamente su tali “emergenze”, di veder sminuito il proprio interesse
presso le imprese e, conseguentemente, ridimensionata la quantità e la qualità delle
opportunità lavorative offerte. Anche a tal fine è di fondamentale importanza la
definizione di strumenti per la misurazione delle prestazioni dei Servizi pubblici per
l’impiego. Walwei evidenzia inoltre ulteriori vantaggi nell’adozione di un’organizzazione
per obiettivi:
il coinvolgimento di competenze più ampie;
9
10
11
Oecd, Labour market policies: new challenges. Enhancing the effectiveness of active labour market
policies: a streamlined public employment service, 1997.
Cfr. ad esempio Tiraboschi M., “Al lavoro ora serve una svolta coraggiosa”, Il Sole 24 ore, 8.3.2003
Si veda COM (1998) 641 def. del 13.11.1998.
32
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
il maggior spazio per il decision-making a qualsiasi livello e la creazione di un certo
grado di concorrenza tra gli uffici;
le maggiori motivazioni dello staff;
la possibilità di utilizzare i target anche per verificare la soddisfazione dei clienti.
Inoltre, per aver successo i servizi pubblici per il lavoro necessitano di un continuo
processo di confronto con la fiducia del mercato, che non può prescindere dalla diffusione
delle analisi relative alle attività realizzate. Tali informazioni, per di più, possono essere
utilizzabili al fine di combinare le politiche per il collocamento con altre politiche attive,
contribuendo in tal modo alla riduzione della disoccupazione.
Per tutta questa serie di ragioni, un Servizio pubblico per l’impiego moderno ed
efficiente non può fare a meno di una misurazione continua dei livelli delle proprie
performance.
Un processo di valutazione vero e proprio, così come proposto da Walwei (1999),
presuppone tre fasi: la valutazione ex-ante, il monitoraggio e la valutazione ex-post.
La valutazione ex-ante presuppone una preliminare, e quanto più precisa possibile,
individuazione degli obiettivi che ci si propone di perseguire e, conseguentemente, delle
politiche più corrispondenti in termini di efficacia ed efficienza. Qualora le informazioni
risultassero insufficienti per l’espletamento di tale fase, dovrebbero allora essere effettuati
a suo supporto degli esperimenti circoscritti temporalmente e/o localmente12.
Successivamente, si passa alla fase della valutazione delle prestazioni, consistente nel
monitoraggio delle attività svolte, mediante l’uso di semplici indicatori statistici (come il
numero delle persone collocate dai Pes, la loro distribuzione per gruppi specifici, ecc.), al
fine di misurare i risultati e l’importanza relativa delle politiche e la soddisfazione degli
utenti. Tali indicatori permettono, inoltre, una rapida identificazione dei problemi emersi
nell’applicazione delle varie politiche ed aiutano a stimare il livello di efficienza ottenuto
con le risorse disponibili.
Queste informazioni sono, quindi, necessarie per la terza fase, quella di valutazione
ex-post, atta a misurare gli effetti netti delle attività intraprese ed indicare, eventualmente,
modifiche o sostituzioni delle stesse13. Tale valutazione consiste nel confrontare i risultati
ottenuti per mezzo di una determinata politica con una situazione alternativa,
generalmente consistente nell’assenza della politica in esame. Se i primi eccedono i
secondi, allora la politica in questione può essere considerata atta al raggiungimento
12
13
Una recente disamina dei problemi inerenti la valutazione delle politiche per l’impiego è svolta in Isfol,
Mercato, occupazione e salari: la ricerca sul lavoro in Italia, Lucifora C. (a cura di), Milano, Mondadori,
2003. In particolare si veda nel cap. 6 del vol. II “La valutazione delle politiche e degli interventi” di
Curtarelli M. Interessanti interventi ad ampio raggio sul tema anche in Isfol, La valutazione delle
politiche per il lavoro, Curtarelli M. (a cura di), Franco Angeli, Milano, 2001, che riporta gli atti di un
convegno internazionale tenutosi a Roma nel giugno del 2000.
Per un’esposizione più dettagliata del meccanismo di valutazione, si veda Walwei U., Performance
evaluation of public employment services, cap. II Ilo.
33
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
dell’obiettivo preposto. Il complessivo processo di valutazione appena descritto
dovrebbe, inoltre, svolgersi ciclicamente, vale a dire attraverso la ripetizione delle tre fasi,
dando vita ad un meccanismo di trial and error, grazie al quale le politiche introdotte e
gli stessi target sono via via aggiornati e perfezionati.
A ciò si aggiunge la necessità, nel caso di valutazione dell’attività dei Servizi pubblici
per l’impiego, di misurare anche gli effetti di sostituzione e/o di displacement. In altre
parole, se si vuole valutare quanto queste attività contribuiscono alla riduzione della
disoccupazione, bisogna verificare se le persone collocate attraverso i Pes non abbiano
spiazzato altri soggetti presenti sul mercato del lavoro. In tal caso, l’effetto netto a livello
macro potrebbe anche non essere così positivo come emerso dall’intero processo di
valutazione precedentemente descritto.
È ovvio, a questo punto, che la presenza dei Pes è giustificata solo se da essa se ne trae
un beneficio netto per la società, vale a dire se i benefici sociali eccedono i costi sociali
connessi.
Elementi teorici e studi di economia applicata hanno evidenziato che, in questo senso,
il beneficio maggiore si ha quando l’attività dei Pes è diretta verso i disoccupati che
appartengono alle categorie più deboli e verso quelle domande degli imprenditori più
difficili da soddisfare. Oltre a ciò bisogna aggiungere che, comunque, i Pes garantiscono
l’erogazione dei loro servizi senza disparità regionali e indipendentemente dal ciclo
economico.
Questi argomenti implicano che i Pes, nell’organizzazione dei propri servizi,
dovrebbero individuare una scala di priorità. Ad esempio, visto che gli studi mostrano
una maggiore efficacia dei Pes nei periodi di recessione e che tali istituzioni non possono
essere attivate e disattivate da un momento all’altro, sarebbe opportuno che le risorse
fossero comunque reindirizzate in modo da avere degli effetti anti-ciclo. In secondo
luogo, dato che i Pes sono generalmente percepiti dalla letteratura esaminata come
particolarmente importanti nelle regioni meno prospere14, occorrerebbe tenere conto di
questo fattore nell’allocazione delle risorse agli uffici locali.
Infine, una questione politica strategica per i Pes è relativa alla scelta se concentrarsi
sugli utenti più deboli o servire l’intero mercato. Da questo punto di vista, Bishop (1992),
ha evidenziato come negli Stati Uniti l’adozione di strategie di concentrazione degli
sforzi verso i disoccupati di più difficile sistemazione abbia avuto, in effetti, dei risultati
14
Questo ordine di considerazioni è stato, nel periodo più recente, in parte ripensato, soprattutto in seguito
all’emergere di crescenti problemi di difficoltà di reperimento di manodopera in molti sistemi locali del
lavoro europei. Si pensi, ad esempio, che già nel 2000 il Joint Mission Statement of Pes in Europe,
dedicato al “Futuro dei Servizi pubblici per l’impiego”, sottolineava come la strategia messa a punto solo
due anni prima andasse ri-orientata, essendo stata nel passato troppo indirizzata ad un segmento
dell’offerta di lavoro (quello dei disoccupati difficili da occupare), trascurando altri problemi divenuti nel
frattempo di primo piano, quali la carenza di manodopera, la necessità di innalzare i tassi di attività della
popolazione, il sostegno a politiche che favoriscano la mobilità dei lavoratori.
34
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
negativi a causa della perdita di credibilità presso gli imprenditori.
A tale proposito Dercksen e De Koning (1995) hanno sviluppato la teoria denominata
carrier-wave secondo la quale avere un’elevata quota di mercato nel collocamento ed
avere rapporti frequenti con gli imprenditori favorisce il collocamento degli utenti più
difficili. Nonostante l’evidenza confermi questa teoria, i Pes si trovano a dover affrontare
il problema di mantenere un giusto equilibrio tra soddisfare le esigenze degli imprenditori
e perseguire i fini sociali propri della loro attività.
Mantenere una buona reputazione presso i clienti, di entrambi i lati del mercato, è,
dunque, un aspetto essenziale. Imprenditori e persone in cerca di lavoro si rivolgeranno,
infatti, ai Pes solo se si aspettano evidenti benefici, maggiori di quanti non potrebbero
ricavarne per mezzo del ricorso ad altri canali di intermediazione. In questo senso, il
numero delle persone e aziende registrate presso i Pes è da considerarsi un indicatore
importante di efficacia e di performance (ad esempio, un numero elevato di domande
registrate innalza la probabilità di collocare un disoccupato appartenente alle categorie
più difficili). Su questo stesso tema altri indicatori di rilievo (come si vedrà in seguito più
in dettaglio) sono il numero di domande soddisfatte, il tipo di servizio utilizzato e il
soddisfacimento del cliente.
In generale il ruolo degli indicatori di performance è doppio. Da un lato, essi
consentono il monitoraggio sia degli input che degli output del processo produttivo dei
Pes. Ciò consente di costruire la base informativa su cui effettuare studi d’impatto. Questi
a loro volta sono fondamentali per definire il livello di attività e la struttura ottimale dei
Pes. Dall’altro lato, gli indicatori consentono di verificare se gli obiettivi assegnati a tali
strutture sono raggiunti o meno in un determinato periodo di tempo.
Sotto questo profilo particolarmente rilevante sembra l’assegnazione e la sorveglianza
di target di performance poiché offrono una misura visibile dell’efficienza.
L’utilizzo di sistemi basati su obiettivi di performance per la definizione dell’attività
dei Servizi pubblici per l’impiego comporta generalmente l’implementazione di tecniche
del management per obiettivi, in opposizione a quello, prevalente nell’organizzazione
della pubblica amministrazione di tipo tradizionale, basato sulle direttive e le procedure
burocratiche.
L’organizzazione di stampo più recente dei servizi pubblici si basa sulla definizione di
obiettivi, sia quantitativi che qualitativi, per gli uffici operativi locali, per le diverse unità
all’interno di questi e anche per i singoli operatori. Ciò dovrebbe assicurare che l’attività
venga svolta in un modo più orientato al mercato, con relazioni più attente e più strette
con gli utenti.
Dall’applicazione di un simile sistema, si possono ottenere tre principali tipi di
vantaggio: miglioramento del servizio offerto, maggiori motivazioni per il personale
coinvolto e maggior grado di comprensione del livello di soddisfazione degli utenti.
Miglioramento del servizio offerto – Il management per obiettivi, difatti, richiede agli
operatori pubblici coinvolti delle competenze mediamente più elevate, in grado di
consentire una maggiore partecipazione al processo decisionale a tutti i livelli.
35
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Inoltre, l’erogazione di una molteplicità di differenti servizi a livello locale dovrebbe
favorire l’affermarsi di un sistema di competizione tra i vari uffici dislocati sul
territorio; concorrenza necessaria per un miglioramento della qualità del servizio
stesso. Occorre, d’altro canto, evitare di non eccedere in questi tipi di incentivazioni
se non si vogliono creare condizioni di lavoro troppo stressanti, e quindi poco
“redditizie”, a causa della definizione di standard di performance eccessivamente
stringenti.
Maggiori motivazioni per il personale – In secondo luogo, queste tecniche sembrano
aver provato di agire per un innalzamento della motivazione dello staff dei Pes, grazie
soprattutto all’elevato livello di partecipazione che queste comportano. A tale
proposito è però necessario che tutti i soggetti coinvolti siano a conoscenza degli
obiettivi e ne abbiano una ampia comprensione.
Maggiore comprensione del livello di soddisfazione degli utenti – Infine, la
definizione di target e le analisi circa il loro raggiungimento aiutano a comprendere
quanto siano stati soddisfatti i bisogni dei clienti, favorendo un approccio
maggiormente customer-oriented (approccio imprescindibile per un Pes moderno).
Per un’analisi più dettagliata del management per obiettivi si può vedere ad esempio
Breyer et al. (2000).
Nella sua definizione più generale l’Mbo (Management by Objectives) può essere
considerato un sistema di gestione fondato su targets quantitativi, il cui scopo principale
consiste nel miglioramento continuo delle performance. Tale sistema mette in risalto le
formulazioni ex-ante di obiettivi operativi espliciti e la definizione di misure di
output/risultati ex-post. In modo più specifico i principi pratici dell’Mbo consistono:
nella definizione di obiettivi;
nella realizzazione del decentramento operativo;
nel raggiungimento e monitoraggio dei risultati (finali o in atto);
nell’elaborazione di conclusioni pratiche fondate su una valutazione delle
performance finali.
Il primo passo del ciclo di management richiede la definizione di chiare finalità, di ben
identificati obiettivi operativi ex-ante (target) e lo sviluppo di corrispondenti indicatori di
performance che misurino lo stato di raggiungimento del target. Le finalità rappresentano
gli indirizzi generali delle attività, in una prospettiva di medio o lungo termine, e, di
solito, non sono quantificate. Per contro, gli obiettivi (target) definiscono aspettative di
performance o di benchmark in un tempo relativamente breve e sono, di norma, i tipo
quantitativo. Nella sostanza, gli indicatori di performance, definiscono il modo in cui è
possibile misurare il grado di “successo” dell’attività svolta in relazione agli obiettivi
prefissati.
Il secondo elemento cardine dell’Mbo è il decentramento operativo, che si configura
nel ricorso alla delega e alla crescente discrezionalità in relazione al raggiungimento degli
obiettivi. Nel modello Mbo vi sono poche regole e procedure, quali strumenti guida per i
livelli inferiori dell’organizzazione (es. livelli regionali e locali), che possono inoltre
36
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
allocare le varie risorse in maniera flessibile, tra capitoli di bilancio, per variare il mix di
politiche da adottare e disegnarne il contenuto. In contrasto con le tradizionali procedure
amministrative, l’enfasi è posta sull’output piuttosto che sul controllo degli input e sulla
rigida aderenza alle regole.
In terzo luogo l’Mbo richiede un sofisticato sistema di gestione dell’informazione che
rilevi regolarmente lo stato degli indicatori rispetto agli obiettivi preposti. Il sistema deve
fornire le informazioni che consentono regolari monitoraggi in tempo reale, permettendo
in tal modo ai managers d’intervenire immediatamente in caso di under performance
(cioè di una forte deviazione dal target predefinito). Il sistema informativo è, dunque, il
fondamento per la valutazione delle performance dell’organizzazione nel suo complesso
e delle singole unità operative.
Infine, la valutazione delle performance avviene alla conclusione di un periodo
organizzativo (solitamente annuale). A seconda del tipo di Mbo, i risultati delle
performance possono essere discussi tra i diversi livelli dell’amministrazione, o, in
organizzazioni fortemente gerarchiche, le valutazioni sulle performance sono
semplicemente basate su dati e informazioni provenienti dal Management Information
System. Occorre sottolineare che il processo valutativo, nella sua ideale configurazione,
dovrebbe anche includere un meccanismo di ricompense o sanzioni (a seconda della
qualità dei risultati ottenuti), al fine di creare un sistema di incentivi per i soggetti
coinvolti e, quindi, per migliorare la qualità dei servizi offerti.
È importante notare poi che, al termine delle valutazioni le finalità politiche, i target
operativi e gli indicatori di performance devono essere adeguatamente ridefiniti e/o
aggiustati, dando, in questo modo, inizio ad un nuovo ciclo di programmazione.
Nell’applicazione dell’Mbo al caso specifico dei Pes, i fattori nodali sono
rappresentati dal necessario coinvolgimento rispetto al conseguimento degli obiettivi dei
dirigenti, dalla relativa autonomia dei Pes dall’amministrazione centrale, dal superamento
dell’eccesso di regole e dalla creazione di nuove unità operative.
Il coinvolgimento, rispetto al conseguimento degli obiettivi, dei dirigenti è un
elemento imprescindibile per il successo di questo sistema di management, visto che vari
studi, sia nel settore pubblico che in quello privato, hanno evidenziato come l’impegno
esplicato dai vertici delle organizzazioni sia decisivo per il successo dell’approccio Mbo.
Il coinvolgimento personale dei top-managers, tuttavia, non è sufficiente, ma necessita di
una continua interazione con i livelli subordinati. Ciò consente, in particolare, di
monitorare e di fornire linee guida e suggerimenti con un’efficacia che non potrebbe
essere ottenuta con un’interazione indiretta, ad esempio attraverso documenti scritti,
metodo ampiamente diffuso ancor oggi nelle amministrazioni pubbliche.
Per quanto concerne la relativa autonomia delle unità operative dei Pes
dall’amministrazione centrale, le questioni fondamentali da risolvere riguardano la
definizione del limite fino a cui può, o deve, essere coinvolto nel sistema manageriale il
livello politico e l’opportunità, o meno, di un controllo, da parte dell’amministrazione
centrale, nella realizzazione del processo. In generale, occorre notare come, da un lato,
37
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
l’intervento centrale possa aver luogo solo nella fase di formulazione delle finalità e degli
obiettivi generali, all’inizio di ogni ciclo Mbo. Dall’altro, le attività svolte secondo i
principi dell’Mbo possono sempre (cioè durante l’intero ciclo organizzativo) essere
trasparenti in virtù del monitoraggio e della divulgazione dei risultati. Un intervento
“dall’esterno” dell’organizzazione su segmenti specifici di attività sarebbe una
interferenza poco opportuna per un’efficace implementazione dell’Mbo nei Pes, i quali
necessiterebbero di una relativa indipendenza e di un contesto politico stabile, in cui le
finalità e le risorse dei Pes siano definite e certe per tutto il periodo di programmazione.
Solo in questo modo le performance dei Servizi pubblici per l’impiego possono essere
valutate in termini di “obiettivi operativi concordati”.
Data l’esistenza di logiche differenti tra l’attenzione dei decisori, che rispondono agli
elettori, e quella degli organizzatori dei servizi, che perseguono risultati verificabili
secondo cadenze differenti, occorre che vi sia un accordo operativo tra i Pes e
l’amministrazione centrale all’inizio di un periodo di programmazione, che specifichi
dettagliatamente sia i target operativi che le ricorse umane e finanziarie a disposizione del
servizio decentrato.
Condizione necessaria per la creazione di un promettente sistema Mbo nelle agenzie
pubbliche è un’effettiva riduzione delle leggi, regolamenti e procedure amministrative. In
un contesto di disciplina eccessivamente dettagliata, qualsiasi sistema fondato su Mbo
rischia di fallire nel medio periodo (come hanno mostrato vari studi); spesso, inoltre,
nell’ambito delle politiche per il mercato del lavoro agisce ancora una tensione tra le
pratiche di management rule-oriented e quelle goal-oriented (ad es., quasi tutti i paesi UE
condizionano i sussidi di disoccupazione a “diritti/titoli” che, direttamente o
indirettamente, influenzano le allocazioni di risorse alle misure attive).
Dal momento che l’Mbo comporta elementi di programmazione (basti pensare al
management finanziario), una certa formalizzazione del processo è tuttavia inevitabile. Al
fine di evitare perdite di efficienza, il monitoraggio delle informazioni deve essere
predisposto, così come anche una struttura che se ne occupi. Il numero degli obiettivi
operativi e dei corrispondenti indicatori dovrebbe essere limitato: troppi target, difatti,
potrebbero minare l’efficacia dell’Mbo come strumento strategico del management, sia
nella fase di definizione delle priorità organizzative, sia nella fase di controllo della loro
realizzazione. I target quantitativi dovrebbero riflettere le condizioni del mercato del
lavoro locale o regionale, al fine di fornire standard comparabili tra le varie unità
operative. In caso contrario, la comparazione di qualsiasi risultato di performance sarebbe
probabilmente ingannevole e/o iniqua. Inoltre, gli obiettivi dovrebbero essere studiati in
modo tale da non risultare “né troppo ambiziosi, né troppo limitati”. Infatti, target troppo
limitati non forniscono un incentivo reale e sufficiente al miglioramento delle
performance, mentre obiettivi troppo ambiziosi demotivano e possono anche produrre
effetti indesiderati. Una buona regola da seguire, al fine di evitare tali problemi, consiste
nella definizione di obiettivi che riflettono il livello di performance del periodo
precedente.
38
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
4. INDICATORI
DI VALUTAZIONE DI PERFORMANCE DEI
PUBBLICI PER L’IMPIEGO di Laura Incagli
SERVIZI
Fino a questo punto si è discusso molto della necessità di approntare delle misure in
grado di sintetizzare il livello di performance dei Servizi pubblici per l’impiego. Ci
sembra, allora, opportuno delineare un breve quadro circa i possibili indicatori
utilizzabili, facendo riferimento a Walwei (1999).
Per prima cosa è necessario fare riferimento ai dati disponibili (o che dovrebbero
esserlo) presso i Pes, che rappresentano già degli indicatori di per sé, seppur basati su
valori assoluti: le persone in cerca di lavoro, i posti di lavoro non coperti e i matching
effettuati. Questi dati, difatti, permettono un primo esame dell’importanza dei Servizi
pubblici per l’impiego con riferimento a tre distinti concetti: l’uso dei servizi di
collocamento come canale di ricerca di un lavoro, l’uso dei servizi di collocamento come
canale per l’assunzione di nuovo personale e le assunzioni avvenute attraverso i servizi di
collocamento.
Le persone in cerca di lavoro. Nonostante la maggior parte delle persone che si
rivolgono ai Pes siano persone disoccupate, bisogna considerare che le persone in
cerca di lavoro che si registrano ai vari Centri possono essere di diverso tipo:
disoccupati, persone che desiderano cambiare lavoro, persone che dopo un periodo di
inattività desiderano rientrare sul mercato del lavoro, partecipanti a misure attive per
il lavoro, ecc. Ovviamente è utile tenere una distinzione delle varie categorie per
poter diffondere indicatori il più precisi e dettagliati possibile. Con questi dati è
possibile determinare lo stock di persone in cerca di lavoro in un determinato istante,
possibilmente anche disaggregato per i vari sottogruppi. Anche l’afflusso di nuove
registrazioni può essere impiegato come indice del grado di attrazione del Servizio
pubblico nella ricerca di un posto di lavoro. Infine, anche il numero di persone che
sono uscite dal registro dei Pes rappresenta un importante indicatore che offre una
prima misura di quanti soggetti, attraverso un uso più o meno intenso dei servizi
offerti, abbiano trovato un lavoro.
I posti di lavoro. Poiché pochissimi paesi impongono alle imprese di comunicare ai
Pes i posti vacanti, l’afflusso di richieste di personale da parte delle aziende è un buon
indicatore dell’appetibilità del servizio offerto dai Pes. Anche in questo caso sarebbe
interessante suddividere questo dato per varie sottocategorie, in grado soprattutto di
identificare i vari livelli qualitativi dei posti di lavoro. Altrettanto interessante è la
durata media dello stock di posti vacanti, per comprendere il tempo necessario per la
39
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
copertura dei posti di lavoro, come ulteriore elemento in grado di sintetizzare le
performance del servizio pubblico.
I matching. Il numero totale dei collocamenti può essere interpretato come una prima,
rozza ma diretta misura, dell’attività dei Pes. In questo caso, però, è necessaria una
definizione dei collocamenti avvenuti attraverso l’attività dei Pes ed è importante che
essa non sia stabilita in modo troppo ampio o troppo stringente, per evitare sopra o
sotto valutazioni. Anche in questo caso è utile una disaggregazione per
sottocategorie.
Ovviamente, il rischi maggiore nell’utilizzo esclusivo di valori assoluti come
indicatori di performance dei Pes consiste nell’ignorare il mercato del lavoro ed il suo
andamento. Pertanto, è necessario approntare anche indicatori basati su dati relativi.
Tasso di registrazione delle persone in cerca di lavoro. Questo indice è dato dal
rapporto tra afflusso (o stock) di persone in cerca di lavoro registratosi in un certo
periodo di tempo (in un certo istante) presso i Pes e l’aumento (o lo stock) di persone
in cerca di lavoro. Più questo tasso è elevato, maggiore è il grado di attrazione del
servizio pubblico. Tuttavia, non bisogna dimenticare che questo indice è fortemente
influenzato dalla legislazione vigente nel paese (ad es. obbligatorietà di iscrizione per
ricevere il sussidio di disoccupazione).
Tasso di registrazione dei posti di lavoro vacanti. Questo tasso è calcolabile come il
precedente, considerando il numero di posti di lavoro invece di quello delle persone
in cerca di occupazione. Esso indica quanto i Servizi per l’impiego siano chiamati in
causa dal settore pubblico e privato per far fronte al reclutamento di personale.
Tasso di successo. Questo tasso può essere calcolato sia per i posti di lavoro vacanti,
sia per le persone in cerca di lavoro. Esso è dato dalla proporzione di posti vacanti
coperti sul numero di posti vacanti totali o dal numero di persone che hanno trovato
occupazione sul totale delle persone in cerca di occupazione, attraverso l’azione dei
Pes.
Tasso dei tentativi. Esso è rappresentato dal rapporto tra le coperture dei posti di
lavoro proposte ed il numero dei posti di lavoro vacanti. Anche in questo caso il tasso
è calcolabile anche per le persone in cerca di lavoro, sostituendo le coperture dei posti
di lavoro proposti con i collocamenti proposti e i posti di lavoro con il numero delle
persone in cerca di occupazione.
Tasso di successo dei tentativi. Tale tasso si determina attraverso il rapporto dei posti
di lavoro coperti ed il numero delle proposte di copertura. Quando questo indicatore
presenta valori elevati, sottintende un’accurata selezione di candidati per i posti di
lavoro vacanti e, quindi, rappresenta una misura di efficienza del servizio pubblico e
della sua qualità.
Tasso di penetrazione. Anch’esso è calcolabile sia per le persone in cerca di lavoro
che per i posti di lavoro vacanti. Nel primo caso esso è il risultato del rapporto tra
persone collocate attraverso l’azione dei Pes e il numero di persone in cerca di
occupazione registratesi in un certo periodo.
40
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Queste misure relative sono assai utili per una valutazione di quanto le imprese e le
persone in cerca di occupazione si affidano ai Pes e per evidenziare i punti di forza e di
debolezza degli stessi sull’intero mercato o su alcuni suoi segmenti.
Per quanto concerne i problemi per queste misurazioni, essi dipendono principalmente
dalla reperibilità di dati affidabili e dalle differenti fonti informative di riferimento.
Esempio di queste difficoltà possono essere rintracciate nel caso italiano, come
evidenziato da Sestito (2002). Gli iscritti ai Centri per l’impiego, difatti, assai raramente
corrispondono al numero di disoccupati presenti sul territorio così come stimati dalle
Indagini trimestrali delle forze di lavoro, con conseguente impedimento al calcolo degli
indicatori precedentemente menzionati. Tale divario di cifre dipende soprattutto dalla
deteriorata qualità e dalle difficoltà di aggiornamento degli elenchi amministrativi dei
disoccupati.
Pertanto, poiché per una corretta valutazione dell’attività dei Servizi pubblici per
l’impiego non si può prescindere da una base dati affidabili, in molti casi si rende
necessario anche un ammodernamento della struttura, delle informazioni e
dell’aggiornamento degli elenchi in possesso di queste istituzioni.
Infine, è da sottolineare l’opportunità di confrontare questi indicatori relativi
all’attività dei Servizi pubblici per l’impiego con analoghi indici misuranti l’attività delle
agenzie private di collocamento, al fine di favorire un sistema concorrenziale, per quanto
possibile, tra queste due istituzioni.
41
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
5. RIFORMA
DEL COLLOCAMENTO IN GERMANIA: MAGGIORE
EFFICIENZA E CREDIBILITÀ ATTRAVERSO LA MODERNIZZAZIONE O
LA PRIVATIZZAZIONE? di Regina Konle-Seidl e Ulrich Walwei
5.1 L’alto tasso di disoccupazione e lo “scandalo del sistema
d’intermediazione” quali motivazioni per l’avvio di riforme delle
politiche del mercato del lavoro
Negli anni 90, in Germania il tasso di disoccupazione ha fatto registrare nuovi
“record”. Il picco è stato raggiunto nel 1997 con un tasso medio annuo di disoccupazione
pari all’11,4% (su scala nazionale). Con l’ultima ripresa economica, verificatasi tra
l’autunno del 1997 e la primavera del 2001, il livello di disoccupazione si è abbassato
attestandosi su un valore pari al 9,4%. Tuttavia, successivamente a tale periodo, il tasso di
disoccupazione ha subito nuovamente un forte rialzo. Secondo le previsioni avanzate
dall’Istituto di ricerca sul mercato del lavoro e le professioni (Iab), nel 2003 il tasso di
disoccupazione medio annuo raggiungerà il 10,6% (si veda la fig. 1).
Il livello di disoccupazione in Germania è caratterizzato da un andamento pressoché
costante (isteresi). La sottoccupazione – mantenendosi anch’essa costantemente su un
livello elevato nel corso dell’ultimo decennio – ha trasformato una situazione prettamente
congiunturale in una situazione strutturale, dando vita a quel fenomeno denominato
“disoccupazione di lunga durata”. Oltre un terzo dei disoccupati si trova in questa
condizione da un anno o forse più. Nel confronto con l’Italia, la Grecia ed il al Belgio, la
Germania presenta la percentuale più alta di disoccupati di lunga durata.
Una delle principali cause che ha portato ad una persistente disoccupazione in
Germania è stata la mancanza di una dinamica occupazionale, probabilmente
conseguenza d’errori passati legati anche alla riunificazione del paese. Rispetto alla
consistente offerta di lavoro, l’aumento della percentuale di lavoratori occupati tra il 1997
ed il 2001 (si veda la fig. 1) non è stato sufficiente a controbilanciare la scarsa crescita e
la debolezza del mercato del lavoro.
Le attuali riforme del mercato del lavoro tedesco non sono rivolte allo scopo di
favorire un aumento della domanda di lavoro, ma piuttosto sono incentrate sulla riforma
del sistema del collocamento, al fine di raggiungere un migliore equilibrio all’interno del
42
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
mercato stesso. All’inizio del 2002, in ambito politico, si dava per scontato che a fronte di
circa 4 milioni di disoccupati si registrasse un’offerta di circa un milione di posti di
lavoro. In un’indagine condotta tra le imprese, circa i due terzi degli imprenditori avevano
affermato di non riuscire a trovare un’adeguata forza lavoro. L’inefficienza del sistema
d’intermediazione del lavoro era stata bersaglio d’aspre critiche.
Fig. 1 - Percentuale di lavoratori e disoccupati in Germania dal 1991 al 2003
ET - Quote in %
Alo - Quote in %
71
12
70
Percentuale di disoccupati*
11
69
10
68
9
67
8
Percentuale di lavoratori occupati**
66
7
6
65
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
* Percentuale di disoccupati sul totale degli individui in età lavorativa
** Lavoratori nel segmento di popolazione di età compresa tra 15 e 65 anni.
Note: valori relativi al 2003 (variazione media)
Fonte: Iab IV/2
Conseguentemente alla divulgazione dei dati occupazionali “edulcorati” forniti
dall’Ente federale per il lavoro (BA) e dalle autorità ufficiali del sistema del
collocamento, nel febbraio 2002 il miglioramento del matching tra domanda ed offerta di
lavoro divenne il fulcro d’interesse per i decisori politici e l’opinione pubblica. Le
proposte della Commissione “Servizi moderni sul mercato del lavoro”, la cosiddetta
Commissione Hartz, istituita dal Governo federale a seguito dello “scandalo del sistema
del collocamento”, mirano sostanzialmente a ridurre la durata della disoccupazione e ad
avviare una valida attività d’intermediazione, come momenti decisivi per raggiungere un
equilibrio all’interno del mercato del lavoro e dunque sono proiettate a ridurre l’elevato
tasso di disoccupazione (Report of the Commission, 2002).
Oltre alle proposte mirate a garantire una intermediazione più snella e veloce, anche le
strutture organizzative del collocamento sono state messe alla prova. Al fine di ottenere
un inserimento più rapido ed efficiente dei disoccupati nel mondo del lavoro, si è inteso
mettere a regime servizi flessibili, che potessero far fronte alle inefficienze ed alla errata
43
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
allocazione delle risorse da parte dell’autorità statale monopolista. Successivamente
all’entrata in vigore di due leggi di attuazione dei “principi Hartz”, nel corso di
quest’anno il Governo federale provvederà a formulare le direttive per la ristrutturazione
dell’Ente federale per il lavoro. Parallelamente, sempre in seno alla struttura BA, si
stanno attuando iniziative volte ad accelerare il processo di modernizzazione del servizio.
Si tratta di raggiungere una maggiore efficienza operativa mediante un migliore controllo
ed una gestione maggiormente differenziata.
5.2 Problemi d’efficienza e d’immagine, quale incentivo per una
riforma
Con circa 90.000 dipendenti ed un budget superiore a 50 miliardi di Euro, l’Istituto
federale per il lavoro rappresenta non solo uno dei principali enti pubblici in Germania,
ma anche il maggiore “Public Employment Service” (Pes) a livello europeo. I problemi di
immagine e l’insoddisfazione manifestata dagli utenti, già agli inizi degli anni 90,
avevano indotto ad avviare un processo di cambiamento del sistema del collocamento.
Nel 1994, con l’abolizione del monopolio del collocamento e l’ingresso nel mercato delle
agenzie private, si è atteso fiduciosamente un miglioramento in termini di qualità e di
efficienza del sistema, derivante da una maggiore concorrenza tra le agenzie private e gli
uffici pubblici.
Da allora, in Germania vige pertanto un modello di co-esistenza pubblico-privato.
Tuttavia, i loro segmenti di mercato si intersecano appena. Mentre le agenzie private in
genere intermediano figure professionali di alto profilo, quadri, manager, artisti e – in
misura sempre maggiore – anche personale specializzato per il settore amministrativo ed
aziendale, l’utenza del BA si compone essenzialmente di forza lavoro non qualificata e di
operai qualificati dei settori commerciali ed industriali. La credibilità delle agenzie
d’intermediazione “private” da allora è andata crescendo, portando ad una loro rapida
diffusione su tutto il territorio. Secondo stime prudenti, circa il 10% di tutte le
intermediazioni effettuate sono da attribuire ad esse. La loro quota di mercato, relativa a
nuovi rapporti di lavoro instaurati, continua tuttavia ad essere piuttosto bassa (si veda la
tab. 1 e Konle-Seidl/Walwei, 2002).
Tuttavia verso la metà degli anni 90, né la liberalizzazione né i timidi tentativi di
modifica delle organizzazioni in seno al BA sono riusciti ad apportare un miglioramento
duraturo in termini di efficienza e di immagine del sistema d’intermediazione “pubblico”.
Le nuove strutture organizzative degli uffici del lavoro (Arbeitsamt 2000) e
l’introduzione di una gestione economica goal oriented, avevano come obiettivo
principale quello di apportare un miglioramento in termini di efficienza e di redditività.
44
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Germania Est
Tab. 1 - Inserimento lavorativo e risultati delle varie modalità di ricerca del personale da parte delle aziende (1994, 1996 e 2001) - valori %
Germania Ovest
51
6
-
1994
2
38
50
6
-
1996
226
4
27
30
31
-
5
41
50
8
30
2001
100
1
2
12
16
10
1
13
42
3
-
1994
100
1
3
12
15
14
2
13
39
1
-
1996
100
1
3
13
18
7
2
11
37
2
6
2001
132
2
7
18
36
-
2
37
24
6
-
1994
125
1
6
13
28
-
1
49
23
4
-
1996
165
1
9
26
28
-
3
51
25
7
15
2001
100
1
2
17
27
12
1
22
16
2
-
1994
100
0
2
9
18
22
1
34
13
1
-
1996
100
0
2
22
21
9
1
26
14
2
3
2001
Modalità di successo
32
4
17
18
24
-
Modalità intraprese
Inserzioni per ricerca di personale
Risposta ad inserzioni di lavoro
Offerte di lavoro tramite internet senza Sis e Ais
2
159
Modalità di successo
Uffici del lavoro
3
14
18
25
-
Modalità intraprese
Intermediazione privata
151
Modalità di ricerca
Annunci affissi in fabbrica
Concorsi interni
Selezione canadidature
Segnalazioni di colleghi
Nessuna segnalazione
Totale
45
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Tuttavia, tali misure non sono state applicate in modo sufficientemente coerente così
da potere evidenziare risultati positivi e non si è quindi ottenuto il miglioramento
auspicato. Oltre a potenziare il personale degli uffici del lavoro con team di addetti
preposti all’orientamento degli utenti, a tali strutture è stata concessa altresì un’ampia
sfera di azione per l’espletamento delle loro mansioni. Il concetto di offrire un sistema
d’intermediazione ed una consulenza al lavoro avrebbe dovuto dar vita ad una nuova
cultura di “servizio” mirato all’utente. Con l’introduzione delle nuove tecnologie, inoltre i
sistemi di auto-informazione sono stati fortemente potenziati. Per motivi di natura
economica e di competitività, il BA ha cercato di collaborare sempre più con le agenzie
private.
Nonostante tutte le iniziative di modernizzazione avviate, il BA non è stato in grado di
attuare un completo cambiamento, trasformandosi così da agenzia monopolistica in
agenzia di servizi, evidenza ancor più aggravata dalla profonda “crisi di fiducia”
attraversata nella primavera del 2002.
5.3 Esperienze internazionali
Analoghi casi si sono evidenziati anche all’estero. Nella maggior parte degli Stati
membri dell’UE – così come avvenuto in Germania – negli anni 90 il sistema del
collocamento si è evoluto, trasformandosi da un regime monopolistico ad un sistema di
co-esistenza pubblico-privato. Anche negli altri paesi, ben presto si è andata affermando
l’idea che la liberalizzazione di per sé non sarebbe stata sufficiente a promuovere
l’immagine dei “Public Employment Services” e quindi ad assicurare un’offerta di servizi
d’intermediazione qualitativamente elevata. Da diverso tempo, gli Stati membri dell’UE
stanno intraprendendo ogni percorso possibile per trovare una soluzione ai problemi di
efficienza e di immagine. A livello europeo gli interrogativi fondamentali rimangono
comunque gli stessi: quale tipo di struttura organizzativa è in grado di fornire efficienti
servizi pubblici e di contenere, od addirittura eliminare, i limiti di una struttura
monopolista vincolata da influenze di natura politica e, di conseguenza, di risolvere i
problemi della errata allocazione delle risorse e di un sistema inefficiente? Quali approcci
sono maggiormente indicati per un miglioramento dell’efficienza e della credibilità del
settore: più concorrenza, attraverso la privatizzazione o diversa organizzazione mediante
strutture di gestione simili a quelle private, ma operanti all’interno di un sistema pubblico
di amministrazione del lavoro?
Al fine di poter inquadrare la discussione e le proposte di riforma del BA in un
contesto più ampio, è necessario volgere lo sguardo a ciò che accade al di là dei confini.
Quali esperienze e quali approcci di riforma sono stati, di recente, adottati dagli altri
paesi? In quali Stati la trasformazione ha riscosso maggiore successo? Quali insegnamenti
possono essere tratti dagli approcci e dalle esperienze degli altri paesi?
46
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
5.3.1
Privatizzazione o modernizzazione?
Nei Paesi Bassi tali questioni sono state avvertite in modo più pressante ed ancor
prima che in Germania. La gestione pubblica del settore del collocamento da lungo tempo
veniva considerata come una sorta di “archivio delle pratiche abbandonate”. Il monopolio
pubblico venne meno nel 1990. L’anno successivo, le parti sociali avrebbero dovuto
compiere un enorme sforzo di immaginazione (come nel modello tedesco) ed attuare una
decentralizzazione delle risorse finanziarie per evitare che poi la nuova struttura
amministrativa venisse criticata per la sua “pesantezza”. All’inizio degli anni Novanta, i
rapporti conclusivi di molte Commissioni d’inchiesta parlamentari avevano accertato non
solo un evidente abuso nell’erogazione dei sussidi di assistenza sociale e dei contributi di
invalidità, ma avevano altresì constatato i pessimi risultati conseguiti dal sistema statale
del collocamento. Conseguentemente a tali rilevazioni, si avviarono numerose ed
importanti trasformazioni. Tra i principali obiettivi non vi erano solo la ristrutturazione
del servizio d’intermediazione del lavoro, ma anche la riorganizzazione dell’intero
sistema di assistenza sociale.
Con queste premesse, si può facilmente spiegare la radicale riforma
dell’amministrazione del lavoro attuata nei Paesi Bassi attraverso una parziale
privatizzazione. Il 1° gennaio 2002, l’organizzazione pubblica del collocamento, “Arbvo”
venne smantellata e sostituita dai “Centri per il lavoro ed il reddito” (Cwi). I Cwi fungono
oggi da front office per gli uffici del lavoro, gli enti previdenziali ed i municipi. Essi sono
anche considerati “centri di primo contatto” in grado di offrire servizi integrati ai
disoccupati, alle persone in cerca di prima occupazione ed ai datori di lavoro. I Cwi, che
continuano ad essere a gestione pubblica, offrono unitamente a tanti altri servizi anche
quelli di consulenza e di informazione. Tra i loro compiti rientrano la rilevazione e
l’offerta di nuovi posti di lavoro. I servizi di reinserimento dei disoccupati di difficile
collocamento e di aggiornamento professionale, al contrario, sono stati privatizzati. Le
unità attualmente privatizzate concorrono con le altre agenzie del settore per ottenere gli
incarichi. Generalmente viene bandito un concorso per un certo numero di posti di lavoro
presso i quali l’appaltatore deve necessariamente collocare una percentuale minima (ad
esempio il 35%) di lavoratori. Nel caso in cui non riuscisse ad adempiere a tale impegno,
i compensi spettanti saranno consistentemente ridotti. Con l’assunzione di questa forma
di impegno, si vuole incentivare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Il motto è
“reintegrazione nella competitività”. In tal modo si garantisce un’intermediazione
efficiente, soprattutto per i gruppi maggiormente svantaggiati.
Nell’attuazione della riforma, gli olandesi hanno tratto insegnamenti dagli australiani.
Già nel 1998, l’Australia aveva fatto proprio il modello promosso dall’Ocse della
“verifica di mercato”. Al fine di garantire condizioni di competitività nell’ambito della
politica del mercato del lavoro, è necessario operare una netta distinzione tra fornitori
(agenzie d’intermediazione) e gli acquirenti dei servizi d’intermediazione (Esecutivo). Il
Governo stabilisce quali debbano essere gli obiettivi ed i risultati da raggiungere per i
47
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
quali è disposto a pagare e si mette alla ricerca del fornitore più competitivo mediante
bandi di concorso. Il miglior offerente può essere un’organizzazione sia pubblica sia
privata. Mediante questo sistema viene “testata” la competitività del fornitore pubblico.
Una riforma “à la Hollandaise” della gestione del lavoro in Germania indurrebbe una
trasformazione radicale della struttura pubblica, poiché le condizioni istituzionali di base
dei due paesi differiscono enormemente. Mentre nei Paesi Bassi, la gestione pubblica del
lavoro ha una “legittimità istituzionale” piuttosto limitata, in Germania il settore della
assistenza sociale è fortemente “legittimato”. All’amministrazione del BA concorrono a
tutti i livelli le parti sociali. Questa forma di auto-amministrazione discende,
storicamente, dalla natura degli interessi e dalle modalità del finanziamento attuato
mediante i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro (50% ciascuno). Le
autorità competenti in materia di assistenza sociale e collocamento si trovano a dover
operare sotto uno stesso tetto e sono finanziate mediante gli stessi fondi. Al contrario, nei
Paesi Bassi, l’amministrazione statale del lavoro è finanziata con il gettito fiscale, mentre
la politica del mercato del lavoro ed i sussidi di disoccupazione vengono finanziati con i
contributi previdenziali. Nel passato, il sistema del collocamento e quello dell’assistenza
sociale erano spesso lasciati in secondo piano.
Il modello olandese si potrebbe diffondere in Germania soltanto nel caso in cui il BA
venisse scisso in due diversi enti, uno preposto all’intermediazione e l’altro incaricato
dell’assistenza sociale, senza partecipazione alcuna delle parti sociali. Solo attraverso
questo sistema, si riuscirebbe ad ottenere una netta distinzione tra offerenti ed acquirenti
dei servizi d’intermediazione, e si potrebbe delineare così una reale condizione di
competitività nel mercato dell’intermediazione. (Konle-Seidl, 2002).
5.3.2
Riforme mediante la modernizzazione
Per ragioni storico-istituzionali, in Germania si è parlato sempre più di riforme
attuabili attraverso la modernizzazione delle organizzazioni esistenti. Una maggiore
predisposizione ai concetti di servizio pubblico e di qualità implica, innanzi tutto,
l’applicazione di strumenti di economia aziendale e strumenti di gestione imprenditoriale
da parte delle autorità competenti. Dopo l’introduzione del concetto di New Public
Management, le autorità competenti devono essere maggiormente customer oriented. Le
autorità così “modernizzate” preposte al servizio pubblico non opereranno soltanto su
richiesta, ma forniranno attivamente i propri servizi, offriranno consulenza ai loro partner
su eventuali soluzioni, assumeranno incarichi ed offriranno i prodotti più adeguati.
In Austria, verso la metà degli anni 90, sono state messe in pratica forme efficienti di
gestione, controllo e regolamentazione delle istituzioni statali nell’ambito della pubblica
amministrazione del lavoro. Sotto la spinta della “Strategia europea per l’occupazione”,
l’amministrazione austriaca del lavoro si è vista costretta ad intraprendere un sostanziale
processo di “modernizzazione”.
48
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
L’Ams (Servizio del lavoro), insieme al Pes scandinavo, funge da pioniere nella
modernizzazione, sia come modello-guida, sia in materia di gestione dei “servizi” da
parte di un sistema del lavoro pubblico riformato. A seguito della legge sui servizi del
mercato del lavoro del luglio 1994, l’amministrazione è stata riorganizzata dal Ministero
del lavoro e costituita come impresa di servizi di diritto pubblico. Gli uffici territoriali e le
agenzie dell’Ams sono contattate come sempre dagli stessi attori (datore di lavoro,
lavoratore, enti pubblici). Conseguentemente all’accorpamento di determinati compiti
statali concentrati in unità organizzative, si è cercato di adottare un approccio customer
oriented attraverso una nuova stesura del catalogo dei servizi pubblici offerti.
Inoltre, con la riorganizzazione dell’amministrazione federale è stato introdotto un
nuovo concetto di gestione goal oriented, sostanzialmente diverso da quello classico di
amministrazione burocratico-centralizzata. Sin dal 1995, in Austria si è cercato di
orientare il funzionamento dell’Ams verso il mercato del lavoro attraverso una serie di
accordi mirati. A Vienna, il management dell’Ams ha concluso accordi mirati a due
diversi livelli, sia con il Governo federale ed il Parlamento, con riguardo all’aspetto
strategico, sia con le agenzie locali, con riguardo a quello operativo. Gli obiettivi e gli
indicatori relativi ai principi cardine di economia politica sono pertanto rilevanti e si
ispirano alle linee guida in materia di politica del lavoro dell’UE. In Austria, gli enti
preposti all’erogazione dei servizi pubblici hanno compiuti enormi progressi per
affermarsi sul mercato del lavoro. Data la presenza di strutture organizzative private, il
fatto che l’Ams non si sia dovuto occupare di attività diverse dall’intermediazione (ad
esempio, la rilevazione del lavoro sommerso), gli ha consentito di potenziare ampiamente
la sua principale attività moltiplicando in tal modo i contatti con le imprese in cerca di
nuovo personale. Gran parte dello staff dell’Ams è preposto a mansioni di
intermediazione. L’ottimo rapporto di assistenza (1:200) ed una regolamentazione
relativamente semplice delle procedure amministrative offrono i giusti presupposti per
un’efficiente attività di consulenza e d’intermediazione user friendly (Konle-Seidl/
Winkler, 2002).
5.4 Da autorità ad ente erogatore di servizi
A seguito dello “scandalo del sistema del collocamento”, il Governo federale, ha
approvato il 25 febbraio 2002, un “duplice piano di riforma” dei servizi del mercato del
lavoro, mirato ad una maggiore competitività e ad una maggiore attenzione all’utenza.
In primo luogo, il Codice Civile è stato modificato in alcune sue parti (abolizione
dell’obbligo di autorizzazione per le agenzie private, possibilità per queste ultime di
richiedere compensi anche ai lavoratori, introduzione dei cd. buoni del collocamento) e la
struttura organizzativa del BA è stata pressoché rivista. In sostituzione del presidente e di
un dirigente che ricoprivano solo cariche onorarie, dall’aprile del 2002 le agenzie sono
49
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
gestite da un management a tempo pieno composto da tre attori.
Successivamente, sono stati applicati i principi dettati dalla Commissione Hartz, le cui
raccomandazioni per il ridimensionamento della disoccupazione e la ristrutturazione del
BA sono state tradotte in due distinte leggi.
Attraverso il superamento delle tradizionali strutture amministrative, con il
conseguente riorientamento della organizzazione e degli incentivi al lavoro, e mediante
l’acquisizione di una veste di struttura imprenditoriale, il BA dovrebbe diventare l’attore
principale del mercato del lavoro.
Ciò dovrebbe implicare anche una maggiore semplificazione della disciplina
procedurale. L’istituzione del BA, nato per l’adempimento di compiti statali, si fonda
sulla legge fondamentale. Nei suoi 50 anni di vita, il BA si è visto costretto a comprimere
l’organizzazione di tutti i suoi compiti in un ambito sempre più limitato. È ora dunque il
momento riformare non soltanto la struttura del BA, quanto tutto il sistema di norme
secondo le quali operano gli uffici del lavoro. Questo rinnovamento legislativo e dunque
un ridimensionamento della “espertocrazia” potrebbe apportare, di conseguenza, una
maggiore efficienza di tutti gli uffici del lavoro della Germania.
La nuova struttura del BA non rinuncia tuttavia ad essere “auto-gestita” dai lavoratori,
dai rappresentanti dei datori di lavoro e degli enti pubblici, anche se numerose ed
importanti modifiche sono state già apportate. Oltre alla soppressione degli incarichi
onorari, il Consiglio di amministrazione è stato considerevolmente ridotto e le sue
funzioni sono state pressoché modificate.
Il nuovo Cda gestisce l’operatività delle agenzie in modo autonomo ed
imprenditoriale. Oltre ad essere maggiormente libero dal controllo dei “Comitati di
autogestione”, esso sta cercando di operare smarcandosi da eventuali pressioni politiche.
In passato, il Ministero federale del lavoro esercitava sul BA solo un controllo di
legittimità, al fine di garantire il rispetto delle leggi. In realtà, esisteva una profonda
commistione nel modo in cui i compiti venivano espletati.
La maggiore responsabilizzazione che il Consiglio di amministrazione del BA
dovrebbe assumersi implica che il modello britannico di agenzia di “Employment
Service”, il cosiddetto agency model, non può essere preso quale modello per il nuovo
BA. Il modello britannico di “agenzia” funziona sulla base di una netta ripartizione dei
compiti tra il livello strategico (Ministero) e le agenzie (Uffici del lavoro) in quanto unità
operative. Come task force governativa l’“Employment Service” mette in atto una
politica di governo per mezzo di accordi di rendimento orientati alla produzione. Alle
agenzie rimane così da delineare i limitati spazi di gestione dei propri obiettivi o i punti
fondamentali della loro attività.
Un radicale decentramento delle competenze implica per gli uffici del lavoro una
maggiore libertà di gestione attraverso una nuova organizzazione della struttura e delle
procedure di funzionamento. In passato, gli aspetti positivi di una gestione fortemente
decentrata delle misure di inserimento e di politica economica, si limitavano spesso ad un
formalismo numerico che gravava specialmente sugli uffici del lavoro. Ad esempio,
50
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
l’applicazione delle riforme dell’organizzazione “AA 2000” ha imposto agli uffici del
lavoro di costituire team di lavoro organizzati in maniera estremamente dettagliata in
termini di composizione del personale e delle funzioni. Altro ostacolo da superare è anche
la mentalità gerarchica profondamente radicata ed alimentata da un’impostazione
fortemente centralizzata e consolidata del BA.
Gli accordi sugli obiettivi, delineati dall’Ufficio Centrale di Norimberga, e conclusi
con gli uffici del lavoro, devono attribuire a questi ultimi una maggiore libertà di azione
per permettere loro di raggiungere, con propri mezzi, gli obiettivi prefissati. Ciò implica
che un ufficio del lavoro, dotato di un budget per la realizzazione di misure concernenti la
politica del mercato del lavoro, non solo deve godere di autonomia decisionale in merito
al finanziamento di un corso di specializzazione per lavoratori dell’industria metallurgica
piuttosto che di un corso di aggiornamento per segretarie d’azienda, ma deve essere anche
libero di attuare tali misure in maniera completamente autonoma. “L’ideologia della
quantità” – incoraggiata dalla politica e praticata dall’Ufficio centrale – alla fine aveva
portato ad evidenziare cifre “edulcorate” sul collocamento. Cifre elevate vengono
considerate un “successo”, che è sempre servito a legittimare la costituzione del BA.
Da più parti sono state riposte sul BA, in quanto agenzia di servizi, le massime
aspettative. Oltre ai clienti diretti del servizio d’intermediazione, vale a dire persone in
cerca di occupazione ed imprese, anche gli uffici, i comuni, gli enti parastatali e privati, le
società per l’impiego e gli enti di formazione sono interessati alle attività del BA, in
quanto anch’essi sono legati a questo organismo. Questo arduo “Gemengelage” di
shareholder e stakeholder complica in maniera considerevole l’attuazione di una riforma
che mira non soltanto ad una più efficiente amministrazione, ma anche ad uno
smantellamento della burocrazia. In vista di un maggiore orientamento verso gli obiettivi
fondamentali, la “intermediazione nella formazione e nel lavoro”, i “sussidi di
disoccupazione” e la “qualificazione e l’inserimento nel mercato del lavoro” e,
nell’interesse dei contribuenti, le attività legate all’assistenza sociale (come le
sovvenzioni ai disabili), i corsi di lingua per cittadini dell’ex-Rdt o la lotta al sommerso,
non rientrano più nelle competenze del BA, ma vengono finanziate con il gettito fiscale.
5.5 Portata di una riforma globale
Una riforma globale della struttura deve individuare le soluzioni adeguate alla
risoluzione di problemi fondamentali. I principali campi di intervento del BA sono
molteplici: oltre alla adozione di un’organizzazione più snella ed efficiente, finalizzata
maggiormente all’utente, l’obiettivo di assumere il ruolo di “agenzia primaria
nell’erogazione di servizi nell’ambito del mercato del lavoro”, implica non soltanto che i
disoccupati debbano avere la priorità, ma che il BA diventi il “partner di riferimento per
tutte le attività lavorative e per tutti gli attori del mercato”. La più importante espressione
51
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
di questi principali campi di intervento è l’intermediazione. Da un lato, sarà necessario
lavorare in modo “maggiormente orientato al mercato” e, dall’altro, l’intermediazione
dovrà essere considerata strettamente connessa alla concessione di sussidi e di misure,
oltre che al loro controllo. È chiaro che l’ente preposto all’intermediazione necessita di
una più ampia sfera di azione e di un tempo più lungo per attuare l’intermediazione
stessa, mentre non avrà più competenze in materia di sussidi.
Conseguentemente all’ottimizzazione delle risorse nelle operazioni di concessione dei
sussidi, attraverso l’uso di procedure standardizzate e di tecnologie informatiche
avanzate, altre risorse possono essere acquisite al necessario potenziamento dei servizi
d’intermediazione e di consulenza.
In Austria tali procedure sono state dettagliatamente analizzate e si è giunti alla
conclusione che il personale addetto al calcolo dei sussidi può essere ridotto del 30%.
Questo paese rappresenta pertanto un modello valido per la semplificazione della
regolamentazione e l’erogazione dei sussidi su base forfetaria. Secondo le valutazioni del
BA, circa i due terzi dei compiti che non siano l’intermediazione diretta e la consulenza
potrebbero essere delegati al back office degli uffici del lavoro.
Una regolamentazione più semplificata delle disposizioni legali ed amministrative
permette di prestare una maggiore attenzione all’utente. Quasi la metà del tempo di
lavoro di un mediatore viene impiegato per rispondere a questioni di natura giuridica in
relazione alle prestazioni. Ciò dimostra chiaramente che un reale potenziamento delle
attività d’intermediazione e di consulenza può essere raggiunto se il diritto relativo alla
materia sarà consistentemente semplificato.
Per raggiungere la relazione, auspicata dal “Rapporto Hartz”, tra il numero di
intemediatori e le persone in cerca di lavoro, 1 su 200, si renderà necessaria un’ulteriore
ottimizzazione. In passato il rapporto di assistenza, secondo la situazione del mercato,
variava tra 1 a 600 e 1 a 800. Un miglioramento potrebbe essere realizzato mediante un
ulteriore potenziamento dei servizi computerizzati di auto-informazione ed un più esteso
ricorso ad Internet da parte delle agenzie, come ad esempio per la ricerca dei candidati. Si
può avere un’idea di quale sia il potenziale ancora da sfruttare se si analizzano le
esperienze maturate nei paesi scandinavi nordici ed in particolare nei paesi scandinavi,
considerati pionieri del settore. In Svezia è già disponibile su Internet il 40% delle
inserzioni di lavoro e l’80% dei profili dei candidati formulati dagli interessati stessi,
senza dover far ricorso all’assistenza di un solo impiegato della amministrazione
pubblica.
Per attuare una chiara strutturazione dei compiti e delle effettive necessità di
assistenza, sarà necessario differenziare i gruppi di utenza. Nei Paesi Bassi, ciò è stato
realizzato da tempo sulla base del profiling. In seguito ad una delineazione del profilo di
inserimento, si decide se è necessario offrire un servizio di consulenza e/o di assistenza.
Anche in altri paesi, come l’Austria, i gruppi di utenti sono suddivisi a seconda delle
varie problematiche e del grado di assistenza richiesta. Gli “utenti che necessitano di
informazioni” sono persone che possono avvalersi di servizi di auto-informazione, di
52
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
attività assistite o di consulenza di gruppo. Gli “utenti che necessitano di assistenza”
hanno bisogno di un supporto nella ricerca del posto di lavoro. A questi ultimi viene
assegnato un intermediatore che potrà decidere di applicare determinate misure in base ai
problemi di natura professionale o personale dell’utente. Tale ultima tipologia di utenti,
che in Austria rappresentano il 20-25% di coloro che ricorrono ad uno specifico
orientamento, necessitano di una forma di consulenza intensiva da parte di un manager
competente.
La riforma del BA prevede una segmentazione dell’utenza simile a quella già adottata
in Austria. Nell’ambito dell’intermediazione del lavoro, risulta alquanto innovativo anche
l’“approccio del potenziale” proposto dalla Commissione Hartz, che nella pratica si è
dimostrato particolarmente efficace. Ad esempio, il metodo “Maatwerk”
d’intermediazione, rivolto ai beneficiari di sussidi sociali, si basa su questo tipo di
approccio che è finalizzato alla ricerca di posti di lavoro che corrispondano ad un preciso
potenziale.
Anche le misure tese a risolvere i problemi dovranno essere differentemente articolate,
in quanto dovranno prendere in considerazione tutte quelle condizioni di mercato tipiche
delle diverse regioni. È per questo motivo che sono stati creati diversi tipi di uffici
regionali del lavoro che tengono in debita considerazione le diversità territoriali. In
regioni in cui si è registrato un forte aumento dell’occupazione negli ultimi cinque anni, e
dove, a fronte di una elevata disponibilità di posti di lavoro, la forza lavoro risulta
alquanto scarsa – come ad esempio nella zona di Monaco –, si richiede una qualificazione
specifica dei disoccupati ancora presenti nell’area e si presta una particolare attenzione
all’intermediazione. In uffici del lavoro di distretti caratterizzati da un elevato livello di
disoccupazione e con una esigua disponibilità di posti di lavoro – come ad esempio in
Meclemburgo Pomerania Anteriore –, si persegue l’obiettivo di mantenere le qualifiche
professionali già disponibili, introdurre nuovi modelli di by-pass e di favorire la mobilità.
Il nucleo fondamentale delle proposte espresse dalla Commissione Hartz è
indubbiamente il potenziamento dell’efficienza delle attività d’intermediazione. Nella
formula “prima, più rapidamente ed in maniera più professionale” si concentrano i
principi fondamentali delle indicazioni relative alla stessa intermediazione. Dal punto di
vista organizzativo, gli uffici del lavoro saranno collegati con gli organismi comunali,
generando i job center. Inoltre, la clientela dovrà essere ampliata comprendendo, tra
l’altro, anche i beneficiari di sussidi sociali ancora in età lavorativa. Con la più recente
riforma del mercato del lavoro, tutti i lavoratori sono obbligati ad iscriversi in apposite
liste immediatamente dopo un eventuale licenziamento e non dopo l’allontanamento de
facto dal posto di lavoro, in modo da avviare subito l’attività d’intermediazione. Al fine
di promuovere un ruolo più attivo del settore dell’intermediazione, questo sarà tenuto a
promuovere una serie di azioni del disoccupato, che andranno sempre più incentivate,
attraverso – ad esempio – tempestive e continue attività di informazione, profiling,
valutazione delle potenzialità, azioni che dovranno anche dimostrare un forte impegno
nella ricerca del posto di lavoro ed una maggiore disponibilità da parte del disoccupato
53
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
stesso. Anche il servizio di orientamento al lavoro – sovente trascurato in passato – verrà
potenziato mediante l’adozione di servizio di matching “orientato al posto di lavoro”.
Elementi centrali sono l’orientamento aziendale e settoriale delle attività
d’intermediazione, il mantenimento di stretti contatti con le aziende, la realizzazione di
una migliore preselezione dei candidati, l’offerta di consulenza più estensiva per chi avvia
un’attività imprenditoriale ed una consulenza del lavoro in particolare rivolta alle piccole
e medie imprese.
Le “Agenzie di personal service” (Psa), costituite con l’apporto delle agenzie di lavoro
interinale, ubicate presso i 181 uffici del lavoro, costituiranno un ulteriore servizio offerto
ai datori di lavoro.
In ogni riforma bisogna tenere in considerazione che l’intermediazione deve essere in
grado di realizzare il giusto equilibrio tra criteri di efficienza ed omogeneità. Da un lato, il
servizio svolge il compito socio-politico di promuovere l’occupazione di gruppi di
disoccupati in situazione di grave difficoltà e, dall’altro, per migliorare la propria
immagine, è importante che il servizio svolga adeguatamente il proprio compito, in modo
da rispondere alle aspettative delle aziende. Questo difficile equilibrio deve essere
garantito anche dalle Psa di recente costituzione. Il lavoro interinale intermediato dalle
Psa deve svolgere un compito a metà strada tra impegno sociale ed andamento del
mercato. Per avere successo sul mercato, il servizio deve disporre di un pool di
disoccupati qualificati che rispondano alle esigenze del mercato. Rientra nei compiti del
servizio anche quello di occuparsi delle persone di difficile collocamento e di garantire –
oltre ai normali compiti d’intermediazione – servizi supplementari per l’utenza più
difficile, come il coaching, la qualificazione e l’acquisizione attiva del posto di lavoro.
I nuovi provvedimenti che disciplinano l’assistenza sociale, la disoccupazione e
l’istituzione dei job center, quali punti comuni di riferimento degli uffici del lavoro e dei
centri locali di assistenza sociale – frutto dell’applicazione del concetto “moderni servizi
sul mercato del lavoro” –, mirano a concentrare la promozione dell’occupazione
all’interno di un unico organismo. L’obiettivo di creare un punto di riferimento comune,
quale motore e piattaforma per l’integrazione di tutti i beneficiari di sussidi sociali ancora
attivi, è finalizzato alla eliminazione del parallelismo tra due sussidi assistenziali
finanziati con il gettito fiscale (il sussidio sociale gestito dal Comune e quello di
disoccupazione di competenza dello Stato federale) e alla incentivazione all’occupazione
di questo segmento di popolazione, evitando in tal modo ritardi frutto del mancato
coordinamento tra le diverse istituzioni interessate. Anche la prospettiva
dell’affermazione del principio “incentivare ed esigere”, rende necessaria la creazione di
uno sportello unico. Per permettere di fornire un’ampia assistenza ai soggetti di difficile
collocazione, gli uffici del lavoro, in seguito denominati job center, dovranno assumersi i
compiti finora svolti dalle autorità comunali, come ad esempio i centri di assistenza
giovanile, gli uffici per l’assegnazione degli alloggi, i centri di consulenza per i
tossicodipendenti e quelli per la consulenza finanziaria per soggetti con problemi di
insolvenza creditizia. Oltre a ciò verranno ampliate le loro competenze che si
54
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
estenderanno fino all’ambito finanziario, occupandosi altresì dei sussidi di
disoccupazione. Se il BA non dovesse ricevere i mezzi (introiti fiscali) necessari per
adempiere a tali compiti, i contribuenti si vedrebbero costretti a versare altri oneri
contributivi oltre a quelli assistenziali.
5.6 Contributo per il ridimensionamento della disoccupazione
Secondo il rapporto Hartz, i problemi che si ripercuotono sul mercato del lavoro
vengono per lo più considerati come “problemi di sfasatura del mercato”. L’iscrizione
presso gli uffici del lavoro, una riformulazione dei criteri di tollerabilità maggiormente
rigorosa, il ritorno all’onere della prova in caso di rifiuto di un’offerta di lavoro,
l’adozione di un sistema di bonus, quale incentivo per l’intermediatore, oltre alla
riduzione dei tempi di disoccupazione, costituiscono la soluzione migliore per ridurre
drasticamente la disoccupazione.
È stato scientificamente provato che anche una riforma del BA non ha quel margine
d’azione sufficiente per ridimensionare in modo permanente la disoccupazione di massa.
Attraverso una riduzione della durata media della disoccupazione, un efficiente sistema
d’intermediazione ed un potenziamento delle misure preventive, con ogni probabilità il
BA potrà contribuire, seppur parzialmente, al ridimensionamento della disoccupazione. Il
presupposto per una sua riduzione permanente è l’aumento dell’occupazione nel suo
complesso. Questa cresce nell’economia nazionale solo quando l’incremento della
produzione di beni e servizi è superiore a quello della produttività. Quanto più
efficacemente si crea nuova occupazione, tanto più efficienti saranno i servizi dell’Ufficio
federale per il lavoro.
Accanto alla domanda ed all’offerta di lavoro risulteranno decisive tutte quelle
condizioni che mireranno ad un positivo sviluppo dell’occupazione e che saranno
formulate dalle parti sociali e dal legislatore. Una più intensa attività d’intermediazione
ed una politica di livellamento ottimale del mercato potranno sicuramente compensare
una crescita della politica del lavoro, ma sicuramente non potranno sostituirsi ad essa.
Pertanto, un efficace sistema di intermediazione non può essere soltanto valutato in
rapporto alla disoccupazione.
Iniziative volte all’incentivazione dell’occupazione, tra queste quelle di
semplificazione del sistema pubblico e privato dei servizi per il lavoro, non devono essere
né sopravvalutate né sottovalutate. Un’attiva interazione delle proposte di riforma, quali
in particolar modo l’adozione di una strategia di intermediazione preventiva, la creazione
dei job center, in cui l’intermediatore potrà godere di un elevato grado di autonomia, il
rafforzamento delle relative strutture, tra cui le Psa, saranno elementi decisivi per un
efficace cambiamento del BA.
55
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Appendice 1: schede relative alle opere consultate
Breyer N., Mosley H., Schutz H. (2000)
Operational objectives and performance indicators in
European Public Employment Services
European Commission
Il rapporto indaga e compara esperienze nazionali circa l’applicazione di target
operativi e indicatori di performance nel management dei Servizi pubblici per l’impiego
in alcuni paesi europei.
Oltre ad una riproposizione della principale letteratura in materia, il paper presenta sia
i risultati di un’indagine sull’uso delle tecniche del Mbo (Management by Objectives) in
tutti i paesi della Comunità europea, sia un’analisi comparata dell’applicazione delle
medesime nei quattro paesi che hanno una maggiore esperienza al riguardo (Austria,
Francia, Gran Bretagna e Svezia).
In generale, occorre notare che l’uso delle tecniche Mbo è ampiamente diffuso tra i
Spi europei, a causa della disseminazione di tali pratiche nel settore pubblico negli anni
80 e 90 e a causa della politica europea per l’impiego, la quale, fin dal 1998, impone agli
Stati membri di sottoscrivere “Piani d’azione nazionale” annuali, che documentino e
misurino i progressi verso il recepimento delle linee guida sull’impiego.
L’indagine ha rilevato che in ben 10 paesi, dei 18 considerati, i Spi utilizzano il Mbo
(Austria, Danimarca, Belgio-Fiandre, Francia, Germania, Gran Bretagna, Finlandia, Paesi
Bassi, Norvegia e Svezia). Questo esito si fonda sull’applicazione di un duplice criterio:
a) la definizione ex-ante delle finalità, degli obiettivi operativi e di target di performance
quantitativi; b) la misurazione dei livelli reali di performance delle unità operative e la
comparazione rispetto agli obiettivi.
In altri quattro paesi (Spagna Portogallo, Irlanda e Belgio), se pure sono stati
riscontrati elementi di Mbo, comunque, l’uso di target quantitativi ex-ante è selettivo e/o
non c’è chiara evidenza che giochino un ruolo centrale nella guida e nel controllo delle
performance delle unità operative.
L’indagine comparata ha inoltre consentito di individuare tre aree critiche rispetto
all’implementazione del Mbo: i prerequisiti necessari per un Mbo di successo; gli aspetti
progettuali del sistema di obiettivi operativi e di indicatori performance; il decentramento
e l’autonomia politica.
Rispetto alla prima tematica, lo studio conferma sostanzialmente quanto sostenuto
dalla letteratura. In primo luogo, l’impegno del top management e dei poteri centrali dello
stato è condizione necessaria, ma non sufficiente, per il successo del Mbo; l’esistenza di
una forte unità centrale di controllo è comunque importante.
56
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
In secondo luogo, la necessaria autonomia dei Spi non è incompatibile con l’esigenza
di un controllo politico centrale che, nelle esperienze europee, si manifesta con diversi
gradi di rigidità (dal controllo molto stringente del Regno Unito, a quello meno
vincolante dell’Austria). Tuttavia, in molti paesi europei sono stati riscontrati dei
fallimenti del Mbo, a causa soprattutto dell’erroneo utilizzo (ad esempio, incapacità di
fissare target condivisi, interventi ad hoc rispetto a obiettivi già fissati) del potere di
controllo. Ciò appare particolarmente grave, in quanto determina una perdita di credibilità
ed efficacia dell’azione dei Servizi pubblici per l’impiego.
In terzo luogo, va notato che l’evidenza empirica conferma che un eccesso di
regolamentazione può inficiare i risultati del Mbo. Ciò non di meno, un quadro normativo
stringente appare importante per alcuni servizi erogati dai Spi (ad esempio, la
distribuzione dei sussidi).
Infine, sembra esserci una relazione ambigua tra Mbo e quality management. Da un
lato quest’ultimo appare, infatti, come elemento integrante del primo, dall’altro esso
comporta la necessità di definire standard nazionali; ciò può ostacolare l’applicazione del
principio dell’adattamento delle politiche del lavoro ai contesti locali.
Deve anche esse notato, che l’implementazione di un Mbo di successo richiede una
profonda riorganizzazione e ristrutturazione della gestione delle risorse. Ciò,
evidentemente, comporta costi piuttosto elevati, soprattutto a causa della necessità di
dotarsi di un adeguato sistema informativo di controllo e valutazione.
Rispetto alla seconda area critica individuata (progettazione delle finalità, target
operativi e indicatori), lo studio ha evidenziato come un numero non eccessivo di
obiettivi operativi sia un elemento fondamentale per il buon funzionamento del Mbo nei
Spi. Un secondo elemento importante è la definizione di obiettivi “stimolanti”, ma
realistici. Per quanto riguarda il rapporto tra centro e periferia, nella pratica si riscontrano
modelli organizzativi con diverso grado di decentramento della definizione degli
obiettivi.
Il problema principale rimane, comunque, l’individuazione di indicatori che siano
effettivamente rappresentativi degli obiettivi operativi. In particolare, al di là delle
difficoltà relative alla reperibilità delle informazioni necessarie, l’elemento più critico si
riscontra proprio nella definizione di indicatori di facile computo ed interpretabilità.
Un ultimo elemento critico, riscontrato nella progettazione del Mbo, concerne la
compatibilità tra ciclo annuale del management per obiettivi e ciclo pluriennale della
politica. Anche in questo caso, l’evidenza empirica ha permesso di identificare diversi
approcci che si estendono dal maggior peso ai principi del Mbo (Regno Unito) al
preponderante intervento della politica (Francia).
I risultati dello studio suggeriscono che la combinazione della pianificazione su base
annuale con quella a medio termine rappresenti la migliore soluzione. Si tratta di definire
obiettivi operativi annuali sulla base di target di medio termine, concordati in modo da
contemplare le esigenze di pianificazione strategica con quelle della flessibilità.
Rispetto, infine, alla terza questione critica (decentramento e autonomia) lo studio ha
57
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
individuato due modelli chiaramente distinti dell’implementazione del management per
obiettivi: quello di “agenzia”, più centralizzato e gerarchico e quello di “autorità del
mercato del lavoro”, più decentralizzato. L’evidenza, tuttavia, non consente di esprimere
un giudizio di valore sui due modelli.
Lo studio ha, infine, tratto alcune considerazioni sulla comparabilità a livello europeo
dell’azione dei Spi. Anche in questo caso sono stati evidenziati tre argomenti chiave
rispetto ai quali occorre fare attenzione quando si procede ad analisi comparate.
1. Finalità condivise, obiettivi operativi comuni e indicatori concordati. La definizione
di criteri (finalità, obiettivi e indicatori) comuni è essenziale per poter svolgere analisi
comparate. Nonostante i Spi europei manifestino un’elevata eterogeneità, vi è un
sufficiente grado di convergenza sulle finalità specifiche (disoccupazione di lunga
durata, numero di collocamenti e qualità dei servizi) su cui basare uno studio di
benchmarking a livello internazionale.
2. Disponibilità di dati comparabili. A differenza di quanto accade a livello nazionale, la
mancanza di dati comparabili a livello internazionale è il problema critico per
l’effettuazione di studi di benchmarking a livello internazionale. La Commissione
europea ha dato il via a progetti per la realizzazione di una banca dati internazionale
sulle politiche del lavoro e ritiene di giungere alla informatizzazione di dati
comparabili, sia sugli input che sugli output, attraverso i NAPs. Tuttavia, allo stato
attuale le banche dati disponibili hanno diverse lacune e problematiche. Ciò non di
meno, nel lungo periodo gli sforzi della Commissione consentiranno di costruire un
sistema informativo più utile. Al momento, analisi di benchmarking internazionali
sono possibili solo su temi specifici in relazione agli output: a) performance del
mercato del lavoro (dati cross section su occupazione e disoccupazione raccolti
attraverso indagini); b) input delle politiche sul mercato del lavoro (la spesa per le
politiche attive del lavoro, partecipanti e percentuale di questi che sono disoccupati).
Le limitazioni più gravi per la comparabilità dell’attività dei Spi nel complesso
riguardano soprattutto i collocamenti, le vacancies registrate, i disoccupati registrati,
le qualifiche professionali ed altri dati amministrativi.
3. Obiettivi (benchmark) concordati rispetto ai quali effettuare la comparazione e la
valutazione. Nonostante la comparabilità degli uffici operativi dei Spi sia
problematica anche a livello nazionale, in ambito internazionale le difficoltà si
acuiscono a causa della diversità delle funzioni svolte, dei servizi offerti (sia rispetto
al mercato che al tipo di servizio), del grado di outsourcing e dell’ambiente
istituzionale.
Da ultimo, il paper, nell’ambito delle raccomandazioni mette in risalto la necessità di
introdurre il Mbo nei casi in cui non sia implementato in quanto:
aiuta a definire le priorità nell’ambito delle politiche sul mercato del lavoro;
consente di definire chiaramente i parametri rispetto a cui valutare l’azione dei
Spi;
sposta l’enfasi dagli input agli output e all’impatto dell’azione dei Spi, fornendo
58
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
così indicazioni indispensabili al miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia
delle politiche attuate;
è lo strumento più appropriato per implementare la politica europea
dell’occupazione.
Si rileva inoltre l’opportunità di ricorrere alle buone pratiche nell’implementazione del
Mbo evitandone i rischi di fallimento. In particolare, le buone pratiche includono:
l’uso di un numero limitato di obiettivi chiari e interpretabili;
lo sviluppo ed il mantenimento del coinvolgimento dello staff degli uffici
operativi;
la riduzione dell’intensità della regolamentazione;
un sistema informativo affidabile, flessibile e veloce (che produca informazioni
in tempo reale);
procedure corrette e trasparenti per la valutazione e la revisione degli obiettivi;
lo sviluppo di un sistema di quality management complementare.
Per quanto attiene la comparabilità internazionale il paper sottolinea la necessità di:
procedere verso una standardizzazione a livello europeo;
focalizzare l’attenzione sulle attività che più sono simili (servizi di collocamento,
formazione e job creation);
selezionare un insieme limitato di temi su cui effettuare il confronto (efficienza,
soddisfazione dei clienti, collocamenti, ecc.);
effettuare studi a livello regionale;
integrare gli studi quantitativi con analisi qualitative sugli argomenti più rilevanti.
Per quanto concerne le tecniche della gestione delle performance, si possono
considerare quattro categorie: il management by objectives, il monitoraggio, il
benchmarking ed il quality management.
Il monitoraggio e il Mbo sono approcci “puri” del management; mentre però, il
monitoraggio soddisfa i bisogni di coordinamento al fine di raggiungere determinati scopi
e può includere diversi tipi di strumenti e modelli di implementazione, il Mbo si fonda
maggiormente su uno specifico modello incentrato su target e indicatori. Il
coordinamento non è invece un punto esplicito nella filosofia Mbo.
Il benchmarking è un approccio comparativo (non sempre è cosi per il Mbo), con una
forte componente analitica e svolge un importante ruolo per il monitoraggio. In generale,
il framework concettuale del benchmarking e del monitoraggio, include un più ampio
numero di temi e questioni rispetto al Mbo.
Un approccio differente e supplementare a questi tre tipi di performance managing è,
infine, quello del quality management che, come appare evidente dalla sua stessa
definizione, si propone di integrare la valutazione quantitativa con giudizi sulla qualità
dei risultati raggiunti. È opinione diffusa, infatti, che un buon sistema di performance
management non possa basarsi esclusivamente sulla misurazione quantitativa dei risultati,
ma debba anche includerne gli aspetti qualitativi. L’implementazione di questa strategia
manageriale richiede, però, il superamento della questione cruciale di come la qualità dei
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
servizi possa essere misurata. Nella sua definizione più generale il Mbo può essere
considerato un sistema di gestione fondato su target quantitativi, il cui scopo è il
miglioramento continuo delle performance. Esso mette in risalto le formulazioni ex-ante
di obiettivi operativi espliciti e la definizione di misure di output/risultati ex-post. Il primo
passo del ciclo di management richiede la definizione di chiare finalità, di ben identificati
obiettivi operativi ex-ante (target) e lo sviluppo di corrispondenti indicatori di
performance, che misurino il livello di raggiungimento del target prefissato. Le finalità
rappresentano gli indirizzi generali delle attività, in una prospettiva di medio o lungo
termine, e, di solito, non sono quantificate. Per contro, gli obiettivi (target) definiscono
aspettative di performance in un tempo relativamente breve e sono, di norma,
quantitativi. Nella sostanza, gli indicatori di performance, definiscono il modo in cui è
possibile misurare il grado di “successo” dell’attività svolta in relazione agli obiettivi.
Il secondo elemento cardine del Mbo è il decentramento operativo, che si configura
nel ricorso alla delega e alla crescente discrezionalità politica, in relazione al
raggiungimento degli obiettivi. Nel modello Mbo vi sono poche regole e procedure
vincolanti, quali strumenti guida per i livelli inferiori dell’organizzazione (ad esempio per
i livelli regionali e locali), e le unità operative possono allocare le risorse in maniera
flessibile, al fine di variare le combinazioni delle politiche da adottare ed il contenuto di
ciascuna di esse. In contrasto con le tradizionali amministrazioni burocratiche, l’enfasi è
sull’output, piuttosto che sul controllo degli input e sull’aderenza alle regole.
In terzo luogo, il Mbo richiede un sofisticato sistema di gestione dell’informazione
che rilevi regolarmente lo stato degli indicatori rispetto agli obiettivi preposti. Il sistema
deve fornire le informazioni che consentono regolari monitoraggi in tempo reale che, a
loro volta, permettono ai managers d’intervenire immediatamente in caso di under
performance (cioè di una forte deviazione dal target predefinito). Il sistema informativo
è, dunque, il fondamento per lo stadio successivo della valutazione delle performance
dell’organizzazione nel suo complesso e delle singole unità operative.
Quest’ultima fase avviene alla conclusione di un periodo manageriale (solitamente
annuale). A seconda del tipo di Mbo, i risultati delle performance possono essere discussi
tra i diversi livelli, ovvero, in organizzazioni fortemente gerarchiche, le valutazioni sulle
performance sono semplicemente basate su dati e informazioni provenienti del
Management Information System. Occorre sottolineare che il processo valutativo, nella
sua ideale configurazione, dovrebbe includere ricompense o sanzioni (a seconda della
qualità dei risultati). Tuttavia, nella pratica non si assiste ad un approccio uniforme in
merito. È importante notare poi, che al momento delle valutazioni, finalità politiche,
target operativi e indicatori di performance devono essere adeguatamente ridefiniti e/o
adattati, dando, in questo modo, inizio ad un nuovo ciclo di programmazione.
Per quanto concerne il monitoraggio, nella letteratura vi sono diverse definizioni e, in
modo corrispondente, differenti modelli d’implementazione. Sotto il profilo manageriale,
può essere interpretato come un “concetto di management” che si identifica nel
coordinamento di distinte funzioni della gestione, piuttosto che nella ricerca di una
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
qualche garanzia dell’assolvimento di particolari target manageriali (differenziandosi in
ciò dal Mbo).
Concepito in questo modo, lo scopo del monitoraggio è dato dal continuo
mantenimento del processo informativo, necessario a realizzare le funzioni obiettivo
dell’intero sistema, mediante strumenti e metodi di coordinamento.
In questo contesto, si distinguono principalmente le funzioni di monitoraggio systembuilding e system-coupling. La prima riguarda la costituzione delle condizioni necessarie
al coordinamento delle funzioni di management e alla programmazione organizzativa. La
seconda, per contro, concerne la gestione di concreti e specifici compiti di coordinamento
che possono essere conseguenza di cambiamenti o disturbi nell’ambiente. In tal senso,
tale funzione può comprendere l’elaborazione di piani e programmi di coordinamento o
anche sistemi di comunicazione personale.
Il benchmarking, invece, è essenzialmente un approccio valutativo. Indicatori di
performance empirici sono analizzati e comparati con il chiaro intento di migliorare
l’organizzazione e con l’obiettivo implicito di incrementare le performance. In pratica, il
benchmarking comporta:
un inventario analitico per spiegare i gap di performance tra le unità organizzative e
identificare le best practices;
la conversione dei risultati dell’analisi in conseguenze pratiche per la gestione, in termini
di target di performance ottenibili (benchmarks quantitativi e/o qualitativi).
Passando all’applicazione del Mbo al caso specifico dell’attività dei Servizi pubblici
per l’impiego, i fattori più critici sono inerenti:
al coinvolgimento, rispetto al conseguimento degli obiettivi, dei dirigenti. In generale,
sia nel settore pubblico che in quello privato, l’impegno esplicato dai vertici delle
organizzazioni, è decisivo per il successo dell’approccio Mbo. Poiché il processo
Mbo è orientato dall’alto verso il basso, la mancanza di coinvolgimento del topmanagement potrebbe condurre ad un suo fallimento. Il coinvolgimento personale dei
top-managers, però, necessita di una continua interazione con i livelli subordinati. Ciò
consente, in particolare, di monitorare e, se necessario, di fornire linee guida e
consigli con un’efficacia che non potrebbe essere ottenuta con un’interazione
indiretta;
alla relativa autonomia dei Spi dall’amministrazione centrale. Le questioni
fondamentali da risolvere riguardano la definizione del limite fino a cui può, o deve,
essere coinvolto il livello politico nel sistema manageriale e l’opportunità, o meno, di
un controllo da parte dell’amministrazione centrale nella realizzazione del processo.
Rispetto alla prima questione, occorre notare come l’intervento politico debba
(almeno idealmente) aver luogo solo nella fase di formulazione delle finalità e degli
obiettivi, all’inizio di ogni ciclo Mbo. Dall’altro lato, le attività manageriali, svolte
secondo i principi del Mbo, dovrebbero essere trasparenti durante l’intero ciclo
manageriale, in virtù del monitoraggio e della divulgazione dei risultati. Un
intervento politico ad hoc è chiaramente uno stimolo per un’efficace
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
implementazione del Mbo nei Spi, poiché ciò necessita di una relativa autonomia dei
Spi e di un contesto politico stabile, in cui le finalità e le risorse dei Spi rimangano
costanti nel tempo, oltre il ciclo politico. Solo in questo modo le performance dei Spi
possono essere valutate in termini degli obiettivi operativi concordati. Le condizioni a
ciò necessarie dipendono dalla struttura organizzativa sottostante l’implementazione
delle politiche sociali per il mercato del lavoro e dalla cultura politico-amministrativa.
Comunque, data l’esistenza di un conflitto tra la logica politica, che risponde agli
elettori e ai dati elettorali, e il ciclo politico annuale o pluriannuale che il Mbo
presuppone, occorre un accordo operativo tra i Spi e il Governo all’inizio di un ciclo
politico, che specifichi sia i target operativi, sia le ricorse a disposizione del servizio
pubblico;
all’eccesso di regole. Condizione necessaria per la creazione di un promettente
sistema Mbo nelle agenzie pubbliche è un’effettiva riduzione di leggi, regolamenti e
procedure amministrative. In un contesto eccessivamente disciplinato, infatti,
qualsiasi sistema fondato sul Mbo fallisce inevitabilmente nel medio periodo. Per
contro, occorre notare che permane molta incertezza sia rispetto all’individuazione
del contesto politico in cui il Mbo è preferibile ad una gestione burocratica, sia in
relazione alla quantificazione del limite oltre il quale la regolamentazione danneggia
il management per obiettivi. Si può solo osservare come anche nell’ambito delle
politiche per il mercato del lavoro vi sia una tensione tra le pratiche di management
rule-oriented e quelle goal-oriented (ad esempio, quasi tutti i paesi UE condizionano
i sussidi di disoccupazione a “diritti/titoli” che, direttamente o indirettamente,
influenzano le allocazioni di risorse alle misure attive);
alla creazione di strutture burocratiche. Dal momento che il Mbo comporta elementi
di programmazione (basti pensare al management finanziario), una certa
formalizzazione del processo è comunque inevitabile. Al fine di evitare perdite di
efficienza, deve essere predisposto un monitoraggio delle informazioni. La gestione
delle performance quali-quantitative dei Spi richiede la definizione di chiare finalità,
che possono essere rese operative in termini di indicatori di performance concordati,
per i quali il sistema di monitoraggio sia in grado di ottenere dati attendibili;
alla numerosità degli obiettivi operativi. Il numero degli obiettivi operativi e dei
corrispondenti indicatori dovrebbe essere limitato; troppi target potrebbero minare
l’efficacia del Mbo come strumento strategico del management, sia nella fase di
definizione delle priorità organizzative, sia nella fase di controllo della loro
realizzazione da parte dei livelli subordinati;
all’adeguamento dei target, alle condizioni dei mercati locali. I target quantitativi
dovrebbero riflettere le condizioni del mercato del lavoro locale, al fine di fornire
standards comparabili tra le unità operative. In caso contrario, la comparazione di
qualsiasi performance sarebbe ingannevole. Inoltre, gli obiettivi non devono essere né
troppo ambiziosi, né troppo limitati. Infatti, target troppo limitati non forniscono un
incentivo reale al miglioramento delle performance, mentre obiettivi troppo ambiziosi
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
demotivano e possono anche produrre effetti indesiderati. Una buona regola da
seguire, al fine di evitare tali problemi, consiste nella definizione di obiettivi che
riflettono il livello di performance del periodo precedente;
al quadro temporale. La questione temporale nasce dalla diversità della lunghezza del
ciclo politico e di quello manageriale. Il ciclo Mbo è definito per un periodo
relativamente breve (generalmente un anno), mentre le finalità politiche spesso
implicano archi temporali più ampi. Sorge così la questione di come le performance
manageriali di breve periodo e la ricerca di finalità di lungo periodo siano, o possano
essere, effettivamente legate. Da un lato, l’assoluta aderenza ai principi del Mbo
porterebbe alla definizione di un intervallo temporale di riferimento troppo breve.
Dall’altro, cicli di lungo periodo sono maggiormente soggetti a disturbi a causa di
cambiamenti improvvisi del mercato del lavoro e/o all’instabilità del contesto
politico. Una possibile soluzione a questo dilemma, è data dalla combinazione di una
struttura politica di medio termine e di un business plan annuale più dettagliato;
alla corrispondenza di finalità, obiettivi e indicatori. L’aderenza tra finalità, obiettivi e
indicatori, è una questione centrale nel Mbo. È possibile che gli indicatori non
rappresentino adeguatamente gli obiettivi operativi o i target (tra le varie ragioni, ciò
può essere imputabile a problemi di misurazione). Una problematica che spesso
caratterizza l’implementazione del Mbo riguarda il fatto che gli indicatori di
performance riflettono soltanto delle proxies, basate su informazioni reperibili dal
sistema amministrativo. La criticità di questa circostanza discende dal fatto che se i
managers di un’unità operativa non riconoscono gli indicatori quali convincenti
rappresentazioni di una particolare meta o obiettivo, il loro impegno nel processo
Mbo può venir meno. In altri termini il Mbo può degenerare in un processo “come
se”, in cui le finalità vengono magari formalmente assolte, ma non riescono a
determinare o guidare le attività manageriali. Le due principali soluzioni a questo
problema possono essere individuate nello sviluppo di un sistema di monitoraggio
specializzato che fornisca indicatori di performance appropriati e puntuali e nel
coinvolgimento di tutti i livelli dell’organizzazione nel processo di definizione degli
obiettivi operativi e degli indicatori di performance;
alla valutazione degli obiettivi. Per quanto espressivi possano essere gli indicatori
basati su dati amministrativi, essi non soddisfano gli standard necessari per valutare
correttamente l’efficacia degli interventi nel mercato del lavoro. Così, ad esempio, il
tasso di collocamento lordo – conseguente l’attività di job broking – non consente di
trarre conclusioni sull’impatto netto sul mercato del lavoro poiché è necessario
scontare gli effetti di deadweight, di sostituzione e/o di spiazzamento ed inoltre,
occorre tenere in considerazione il ciclo economico e gli effetti strutturali. In questo
contesto assumono rilevanza due questioni: In primo luogo è necessario chiedersi se
nell’interpretazione degli indicatori di performance, da parte degli organi preposti, si
debba tener conto o meno delle limitazioni dei dati. In secondo luogo, bisogna
valutare l’opportunità o meno d’integrare il modello Mbo con le osservazioni
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
derivabili da una sistematica attività di ricerca valutativa. Dal momento che le finalità
politiche sono necessariamente generali, esse possono essere trasformate in obiettivi
operativi in diversi modi ed esistono numerosi possibili indicatori con cui misurare le
performance. Da un lato, la specificazione di obiettivi operativi e di indicatori
necessita di qualche forma di coordinamento centrale al fine di prevenire una
frammentazione degli indirizzi di natura generale. Dall’altro, l’implementazione
decentrata di queste misure – vale a dire maggiore autonomia delle unità operative a
livello regionale e locale – può consentire l’adattamento della politica di intervento
sul mercato del lavoro alle particolari condizioni del contesto locale.
Nella realtà, sebbene il modello Mbo classico sia di tipo “accentrato” (ad esempio il
modello d’agenzia britannico), esistono anche altri modelli Mbo più “decentrati” (ad
esempio quello danese).
I problemi d’agenzia che sono connaturati nella classica organizzazione del Mbo sul
modello “principale-agente” possono essere analizzati in termini del concetto di moral
hazard e, in misura minore, di quello selezione avversa.
Questi problemi derivano dall’asimmetria informativa a vantaggio dell’agente, che
consente a quest’ultimo un utilizzo distorto delle informazioni in suo possesso (ad
esempio, modifiche del numero o delle caratteristiche personali dei partecipanti ad un
programma, esclusione di dati che ridimensionano il successo di un progetto, ecc.).
D’altra parte, anche gli incentivi per minimizzare i problemi di agenzia possono rivelarsi
controproducenti, favorendo l’insorgere di effetti negativi come il creaming.
In questo contesto, il costo di monitoraggio o di transazione per garantire che l’agente
rispetti il contratto, diviene un problema centrale nella definizione dei sistemi Mbo.
Un’altra questione importante nell’implementazione dei sistemi Mbo riguarda la
necessità, o meno, d’introdurre incentivi di performance addizionali, al fine di agevolare
il conseguimento dell’atteso “effetto-guida” proprio di questo modello gestionale.
Al riguardo deve essere precisato che verso gli incentivi di performance individuali il
dibattito è piuttosto controverso sia sotto il profilo teorico, sia in termini dell’applicazione
pratica. Alcuni autori sottolineano come l’uso meccanicistico di questi premi debba esser
evitato poiché tali schemi generano incentivi negativi. D’altra parte, in culture piuttosto
egualitarie, quale ad esempio quella scandinava, il rifiuto di un sistema di
premio/sanzione delle performance può essere molto forte.
La ricerca sulla gestione di obiettivi operativi, indicatori di performance e relative
pratiche manageriali, presentata nel rapporto, si basa su due fonti principali: documenti
informativi dei Spi (rapporti annuali, business plan, rapporti di monitoraggio) e
questionari scritti somministrati ai Spi. Inoltre, tali fonti sono state supportate, per quanto
necessario, da interviste telefoniche e da informazioni tratte da esperti nazionali del
settore.
L’indagine ha riguardato i seguenti temi:
le finalità politiche dei Spi, target operativi, indicatori di performance adottati e loro
livello di applicazione (nazionale, regionale, locale);
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
il processo di definizione dei target e degli indicatori;
il Management Information System per misurare l’avvicinamento ai target operativi;
la valutazione delle performance dei Spi nel complesso e delle singole unità
operative, sulla base di indicatori concordati;
le conseguenze di under o over performance per le unità operative (budgets, salari,
ecc.).
L’indagine ha riguardato tutti i Spi dei paesi membri e la Norvegia. I risultati
presentati si concentrano sui dieci Spi europei dotati di un sistema manageriale di tipo
Mbo.
La diffusione del Mbo risale ai decenni 80 e 90 ed è spiegabile anche con il fatto che,
dal 1998, agli Stati membri è stato chiesto di sottoscrivere annualmente un “Piano
d’azione nazionale” per documentare la loro attività e le misure necessarie alla
realizzazione delle linee politiche europee in tema di disoccupazione. In altri termini, il
framework politico europeo ha avuto un’importanza primaria nell’indurre l’adozione di
Mbo in tutti i paesi membri.
L’indagine ha rilevato che in ben dieci paesi, dei 18 analizzati, i Spi utilizzano il Mbo
(Austria, Danimarca, Belgio regione fiamminga, Francia, Germania, Gran Bretagna,
Finlandia, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia). Questo esito si fonda sull’applicazione di un
duplice criterio: a) la definizione ex-ante delle finalità, degli obiettivi operativi e di target
di performance quantitativi; b) la misurazione dei livelli reali di performance delle unità
operative e la comparazione rispetto agli obiettivi.
In altri quattro paesi (Spagna Portogallo, Irlanda e Belgio-Vallonia), se pure sono stati
riscontrati elementi di Mbo, comunque, l’uso di target quantitativi ex-ante è selettivo e/o
non c’è chiara evidenza che giochino un ruolo centrale nella guida e nel controllo delle
performance delle unità operative.
In generale, si può affermare che non c’è una chiara struttura di diffusione geografica
del sistema del Mbo, ad eccezione del fatto che è rinvenibile principalmente nel Nord
Europa e nei paesi scandinavi.
Nella maggior parte dei Spi, l’introduzione del Mbo è stata motivata dalla necessità di
regolamentare il sistema di relazioni fra i Servizi pubblici per l’impiego e il livello
ministeriale. In particolare, in alcuni paesi (Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Belgio
regione fiamminga) è stato concluso un accordo formale, del tipo d’agenzia, tra livello
ministeriale (o governativo) e Spi. In altri (Danimarca, Austria, Svezia) ciò non accadde,
e in altri ancora (Germania, Francia) la conclusione di un accordo del genere non è stata
considerata importante. In generale, occorre dire che il Mbo ha implicazioni ambigue sul
decentramento. Può, infatti, essere uno strumento che migliora la “guida centrale” in
un’organizzazione basata sul modello “Decisore” (non a caso la Gran Bretagna ha
riportato come principale ragione dell’introduzione del Mbo le relazioni tra SpiMinistero), ma può anche essere usato in un contesto di maggiore decentralizzazione (ad
esempio in Finlandia).
In ogni caso, in ben 8, dei 10 paesi i cui Spi hanno introdotto il sistema Mbo, tale
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
evento è stato accompagnato da un incremento (o introduzione) del decentramento e della
autonomia politica dei Spi. Solo nei Paesi Bassi e in Gran Bretagna ciò non si è
verificato.
Un’altra sezione del rapporto mette a confronto le finalità, gli obiettivi operativi e i
target quantitativi nei Spi europei, dotati di un sistema Mbo, nel periodo 1999-2000. In
particolare, l’indagine ha riguardato i seguenti elementi:
le attuali priorità e il modo in cui sono rese operative in termini di target quantitativi;
il grado di convergenza tra i Spi europei in termini di finalità, obiettivi e target
perseguiti (tale informazione permette di identificare un denominatore comune per
un’analisi comparata di benchmarking a livello europeo);
l’impatto delle linee guida europee in materia di politiche del lavoro;
il tipo di indicatori scelti per definire i target quantitativi.
Le fonti principali su cui lo studio si è basato sono gli accordi di performance conclusi
tra i Spi e il livello ministeriale, i business plan annuali e i rapporti di monitoraggio.
Inoltre, nei casi in cui questi documenti non fossero disponibili, è stato fatto ricorso a
questionari e interviste.
Prima di presentare i risultati della ricerca occorre fare un po’ di chiarezza sul
linguaggio adottato dato che è stata riscontrata la mancanza di un’interpretazione univoca
per i termini inglesi di goals, operational objectives e quantitative targets. In generale:
goals si riferisce ad orientamenti strategici molto ampi (finalità); objectives sta per
operazioni specifiche; target, che è l’elemento distintivo del Mbo, identifica le linee guida
basate su indicatori concordati e formulate sia ex-ante, sia ex-post.
Nel periodo 1999-2000, si nota come vi sia una convergenza verso due finalità: lotta
all’esclusione sociale (che colpisce gruppi diversi di persone) e miglioramento del
funzionamento del mercato del lavoro.
Anche il miglioramento dei servizi dei Spi e la lotta alla disoccupazione giovanile,
sono finalità comuni del servizio pubblico di diversi paesi. Per quanto riguarda il tema
dell’esclusione sociale il generale interesse sembra ricadere principalmente sui
disoccupati di lunga durata e, in misura minore, sulla tutela delle minoranze, delle donne,
dei disabili e dei lavoratori anziani.
Un secondo insieme di risultati riassume gli obiettivi operativi reali raggruppati per
finalità perseguite. I principali obiettivi operativi riflettono le finalità prioritarie viste
poc’anzi, ossia: lotta all’esclusione sociale, miglioramento dell’incontro tra domanda e
offerta nel mercato del lavoro, miglioramento dei servizi e lotta alla disoccupazione
giovanile.
In particolare, in relazione alla finalità “lotta all’esclusione sociale” c’è una forte
convergenza sul target relativo alla lotta alla disoccupazione di lunga durata, nonostante
gli indicatori di performance in uso siano molto diversi.
Questa convergenza può in qualche modo riflettere l’influenza delle linee guida della
UE, nonostante solo la regione delle Fiandre segua esplicitamente questi indirizzi di
policy.
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Nelle altre aree politiche, la metà delle organizzazioni Spi confrontate utilizzano, quali
indicatori di performance, livelli di collocamenti e altri paesi, invece, indicatori del
mercato del lavoro sulla disoccupazione giovanile.
La convergenza sugli indicatori operativi risulta, invece, molto bassa. Ciò può
significare forti differenze nelle priorità tra i diversi paesi, ma può anche essere la
conseguenza del fatto che gli obiettivi operativi non riflettono solo le finalità dei Spi ma
anche aree di attività in cui il management (e il Governo) ritiene necessario migliorare le
performance.
Si può allo stesso modo notare che le definizioni degli indicatori usati, sono
estremamente diverse nei paesi, poiché si basano su dati amministrativi nazionali che non
sono stati inseriti in quest’analisi. Ciò significa che anche laddove vi è un ampio accordo
tra gli Stati membri su finalità e obiettivi operativi, i predetti indicatori sono così diversi
che una comparazione tra le nazioni non è possibile.
Per quanto concerne le caratteristiche degli obiettivi operativi (target) si osserva che il
Mbo, è basato su un numero relativamente piccolo di target, di solito tra gli otto e i dieci.
Ciò dipende dal fatto che un numero più ampio di obiettivi può esser controproducente: i
target richiedono risorse e attenzione organizzativa, quindi l’uso di troppi target riduce il
loro impatto di orientamento delle attività delle unità operative.
In quasi tutte le organizzazioni dei Spi, obiettivi e target sono formulati a livello
nazionale con diversi gradi di coinvolgimento e di influenza da parte del livello regionale.
Solo in Austria e Danimarca, le regioni godono di una particolare influenza nella
definizione dei target dei Spi, mentre in Danimarca, le finalità strategiche sono
concordate a livello nazionale ma i target effettivi sono in molti casi definiti a livello
regionale.
Le differenze nel range e nella distribuzione degli obiettivi operativi dei Spi, riflettono
anche differenze nazionali nel tipo di attività di competenza dei Spi. Così, ad esempio, in
Germania, il servizio pubblico è responsabile del collocamento di giovani in
apprendistato, della lotta all’occupazione illegale, dell’amministrazione dei sussidi di
disoccupazione, e utilizza gli obiettivi operativi anche come controllo in queste aree.
Sebbene in alcuni paesi (Austria, Germania, Norvegia) i Spi abbiano una completa
responsabilità rispetto alle principali funzioni delle politiche di intervento sul mercato del
lavoro (collocamento, gestione di programmi attivi, amministrazione dei sussidi), in altre
nazioni vi è una maggiore frammentarietà.
In Belgio, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia, l’amministrazione dei sussidi è
competenza di agenzie separate. In Gran Bretagna, il servizio pubblico è principalmente
responsabile del collocamento (e in futuro della gestione dei sussidi), ma non dei
programmi attivi. L’Anpe, in Francia, è principalmente responsabile solo dei servizi di
collocamento.
Un elemento che accomuna la maggior parte dei Spi considerati è relativo alla base
informativa. In quasi tutti i casi, i target sono definiti a partire dalle informazioni rese
disponibili dalle amministrazioni locali, il che consente di produrre dati in tempo reale
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
sulle performance. Indicatori più sofisticati, che richiedono indagini specifiche (ad
esempio, customer satisfaction) oppure dati non disponibili dal sistema informativo
locale (ad esempio, market share), sono elaborati solo ad intervalli irregolari e con
notevole ritardo temporale.
Tutti i Spi esaminati, ad eccezione di quello olandese e di quello norvegese, riportano
un cambiamento nei loro target rispetto a quelli del periodo di programmazione
precedente; si tratta di un aggiustamento dovuto a modifiche delle priorità da parte dei
Governi o a cambiamenti delle condizioni del mercato del lavoro. Occorre sottolineare
che gli aggiustamenti dei target operativi, così come degli indicatori, sono una
componente naturale del processo politico.
Per quanto concerne l’utilità degli indicatori solo pochi paesi hanno indicato le
caratteristiche preferibili ottimali di questi, confermando la necessità di disporre di
misure:
che riflettano l’effettiva area di influenza;
che esprimano anche la qualità del servizio;
semplici e di facile comunicazione;
comprensibili e ricavabili dai dati amministrativi.
La maggior parte delle organizzazioni ha però evidenziato problemi nel trovare
indicatori accettabili e comprensibili. Tra i meno utili sono stati menzionati quelli
puramente quantitativi; quelli sensibili a fattori non controllabili dai Spi e la semplice
misurazione del flusso di uscita (a causa del pericolo di creaming).
In tutti i sistemi che impiegano il Mbo, la specificazione di obiettivi operativi, target
ed indicatori è soggetta ad un accordo formale che, nella maggior parte dei casi, viene
stipulato tra i Spi e il Ministero o, comunque, alti enti dell’apparto governativo.
La definizione di quest’accordo formale, insieme al corrispondente processo di
monitoraggio, costituisce una prima peculiarità del Mbo. In Austria e in Germania, paesi
in cui il servizio pubblico è gestito da un ente completamente autonomo, gli accordi
nazionali sono conclusi dai Consigli Amministrativi tripartiti, nei quali è, comunque,
rappresentato anche il Ministero.
Per quanto riguarda la durata del ciclo Mbo, in diverse organizzazioni la sua
implementazione è parte di un processo pluriennale o di medio periodo, mentre in altre il
processo di programmazione è annuale.
Un altro elemento comune a tutti i Spi considerati, è l’allocazione dei target, definiti a
livello nazionale, alle unità operative (locali o regionali) sulla base delle diverse
condizioni dei mercati del lavoro locali e delle performance registrate nei precedenti
periodi di programmazione. Il riferimento alle performance precedenti trova il suo
fondamento nel fatto che non appare realistico attendersi grandi variazioni da un anno
all’altro.
In un contesto in cui il livello ideale di target sembra essere quello “minimo”
(stretching), cioè quello che pur inducendo lo staff al massimo sforzo, sia raggiungibile e
percepito come giusto in termini di relazione tra risorse disponibili e condizioni del
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
mercato del lavoro, va notato che tutti i Spi devono affrontare il problema
dell’aggiustamento dei target per rispondere a cambiamenti nel mercato del lavoro non
previsti e che possono rendere inadeguati il livello di performance pattuito.
Tuttavia, solo tre paesi hanno dichiarano di aver aggiustato i target operativi nel corso
del ciclo Mbo per tener conto di cambiamenti del mercato del lavoro. Altri paesi
rispondono apparentemente alle variazioni dell’ambiente, tenendone conto solo fase di
valutazione delle performance.
Un altro problema che causa seri problemi nell’implementazione del ciclo del Mbo è
quello connesso ai cambiamenti politici di breve periodo. In effetti, dall’indagine risulta
che quasi la metà dei Spi dotati di Mbo hanno sperimentato le difficoltà delle
interconnessioni tra ciclo politico e ciclo gestionale.
Un altro elemento chiave del sistema Mbo è la gestione delle sistema di monitoraggio.
Senza dati esaurienti e tempestivi, che consentano il controllo in tempo reale
dell’organizzazione, il Mbo non può essere uno strumento efficace per il management.
Tuttavia, se da un lato tutti i Spi hanno indicato come prerequisito essenziale il pieno
controllo dei target, dall’altro, solo sei hanno segnalato miglioramenti del Management
Information System, verso la costituzione di una base di riferimento che consenta un
monitoraggio mensile (che sembra essere il periodo minimo per un intervento in tempo
reale).
Inoltre, tutti i Spi affermano che le rilevazioni dei dati avvengono in tutti i livelli
dell’organizzazione. Per contro, l’integrazione tra dati di performance e controllo dei
costi, che consentirebbe di mettere in relazione la spesa con il servizio offerto a livello
regionale e locale, è effettuata solo in Austria e nei Paesi Bassi.
Questo problema rappresenta la nuova frontiera del Management Information System
e permetterà ai Spi un sistematico controllo di efficienza e di performance.
Tutti i Spi dei paesi dotati di Mbo, ad eccezione della Finlandia, dichiarano di
utilizzare il monitoraggio come un segnale per intervenire in caso di performance non
soddisfacenti. Il tipo d’intervento più frequente, è l’aumento dei fondi alle unità under
performing o la riallocazione a favore di unità più abili nella gestione delle risorse. Va
sottolineato però, che nei paesi in cui i dati sono rilevati con frequenza quadrimestrali,
questa funzionalità, tipica del Mbo, è alquanto limitata.
Tutti i paesi hanno indicato che il sistema Mbo include uno stadio di valutazione delle
performance sulla base dei risultati finali. Più differenziato è, invece, il comportamento
dei Spi rispetto all’implementazione della fase successiva alla valutazione (ovvero il
sistema premio/sanzione in funzione dei risultati conseguiti). Le conseguenze più
frequenti sono risultate: la concessione di bonus per le unità operative che abbiano
riportato un successo; le ricompense personali ai dipendenti e la gratificazione con premi
non monetari.
Si può notare come molti paesi adottino più di una forma di ricompensa per i successi
conseguiti e come altri non ne contemplino alcuna.
Infine, due altri elementi piuttosto comuni a tutti i Spi sono la comunicazione dei
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
risultati delle performance, all’interno dell’organizzazione e, nella maggior parte dei casi,
anche all’esterno a mezzo stampa e il tentativo di identificare, di pubblicizzare e trasferire
le best practices tra i livelli subordinati dell’organizzazione.
De Koning J., Denys J., Walwei U. (1999)
Deregulation in placement services: a comparative study of eight EU countries
Employment and European Social Fund
Il processo di deregolamentazione, che ha caratterizzato le riforme dei Servizi pubblici
per l’impiego negli ultimi anni, sembra una naturale conseguenza del ridimensionamento
dell’intervento pubblico nel sistema economico e, in particolare, dell’adozione di
politiche di tipo keynesiano (demand driver policies). Ciò deriva, sostanzialmente, dalla
constatazione che, nonostante il massiccio intervento pubblico, i livelli di disoccupazione
hanno raggiunto, durante gli anni 70 e 80, i massimi storici a partire dal dopoguerra.
In relazione ai Servizi pubblici per l’impiego, in molti paesi è stato abolito il
monopolio pubblico (ad esempio Austria, Belgio, Finlandia, Germania, Svezia) e per
migliorare l’efficienza dei Spi, molti paesi hanno introdotto forme di incentivo basate su
una gestione di queste istituzioni per obiettivi (Management by objectives).
In molti casi gli enti territoriali sono entrati sul mercato dei Servizi per l’impiego e
non sempre ricorrono ai Spi per l’erogazione dei loro servizi, anzi, spesso, si avvalgono
di agenzie private. Tuttavia, prevale il mantenimento del finanziamento statale e, dunque,
sembra che la deregolamentazione prevalga sulla privatizzazione.
L’insuccesso dei Spi è testimoniato dalle cifre, ma, forse, deriva dalle eccessive
aspettative che si erano poste su di essi in tema di lotta alla disoccupazione (questo
accade spesso quando un servizio o prodotto è offerto gratuitamente, generando così una
domanda infinita). Comunque, tra il 1985 e il 1995 sembra esserci stata una relazione
positiva tra disoccupazione e politiche attive (affidate ai Spi), in contrasto con quanto
atteso. Ciò, insieme all’insoddisfazione sia degli imprenditori, che dei disoccupati per la
qualità dei servizi erogati, ha generato una crisi del servizio pubblico.
Un’ulteriore causa dell’insuccesso dei Spi, è da riscontrare nella circostanza che
l’organizzazione del lavoro diventa sempre più flessibile, mentre i Spi sono
tradizionalmente legati alla ricerca di occupazioni a tempo indeterminato.
Tuttavia, i dati evidenziano come non ci siano state riduzioni strutturali tra il 1985 e il
1995 dei contratti a tempo indeterminato sul totale dell’occupazione. Per contro, nello
stesso periodo si può osservare una crescita delle forme di impiego flessibili, soprattutto
del lavoro interinale. Questi due fenomeni assieme lasciano intravedere la possibilità che
la crescita del lavoro interinale sia avvenuta a discapito di altre forme di lavoro flessibili.
In ogni caso, la quota di occupazione generata dalle agenzie di lavoro interinale è
piuttosto modesta. Ovviamente, il quadro cambia se, anziché considerare gli stock, si
analizzano i flussi. In questo caso la quota delle agenzie di lavoro temporaneo aumenta
70
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
considerevolmente. Altri elementi che hanno determinato una riduzione del peso dei Spi,
sono i cambiamenti strutturali dei sistemi economici (dall’industria al terziario) e il
conseguente incremento delle qualifiche professionali richieste sul mercato del lavoro.
Nonostante questi cambiamenti strutturali abbiano sottoposto i Spi ad una grande
sfida, rimangono aperti alcuni problemi piuttosto sentiti sul mercato del lavoro. In effetti,
i dati sulla disoccupazione, disaggregati per diversi gruppi sociali, evidenziano il
crescente peso, sul totale dei disoccupati, di quelli di lunga durata, con ridotte qualifiche
professionali e dei giovani. Ancora più specificatamente, i problemi dei giovani nel
cercare lavoro riguardano soprattutto i ragazzi che non hanno completato gli studi e quelli
appartenenti a minoranze etniche. Infine, un problema, che potrebbe tradursi in un breve
lasso temporale in una cronica mancanza di forza lavoro, riguarda il fatto che da un lato si
tende a favorire l’occupazione giovanile, incentivando la fuoriuscita dal mercato del
lavoro delle persone anziane, e, dall’altro, la popolazione continua ad invecchiare.
Dunque, le politiche mirate sui lavoratori anziani o sui disoccupati in età matura
diventeranno sempre più rilevanti.
La deregolamentazione del mercato dei servizi per l’occupazione è un processo in
continua evoluzione. Al futuro assetto del sistema normativo che presiede alla
liberalizzazione del mercato, compartecipano sia la nuova convenzione dell’Ilo (n. 181)
sia, in ambito europeo, la direttiva n. 383 in materia di sicurezza del lavoro temporaneo.
In Europa i sistemi della regolamentazione della liberalizzazione del mercato hanno
assunto le seguenti forme:
sistema di licenze per l’accesso al mercato;
legislazione civile ed economica;
legislazione in materia di diritto del lavoro;
autoregolamentazione attraverso contratti collettivi;
autoregolamentazione attraverso codici di comportamento;
offerte pubbliche.
In generale, solo quattro paesi europei hanno istituito un meccanismo concorrenziale
di accesso al mercato. Ciò, però, non vuol dire che la liberalizzazione avvenga senza un
quadro normativo di riferimento. L’esistenza della normativa civile, di quella in materia
del diritto del lavoro e la presenza di forme di autoregolamentazione, contribuiscono a
definire il quadro di riferimento entro cui si evolve la deregolamentazione.
Degli otto paesi considerati solo in Austria, Belgio (Fiandre), Germania e Paesi Bassi
esiste un sistema di licenze per l’abilitazione alla fornitura del servizio. Nel Regno Unito,
il sistema di licenze, che pure era stato introdotto già nel 1975, è stato rimosso a causa dei
costi addizionali che imponeva alle aziende ed è stato sostituito con poteri di controllo sul
comportamento delle agenzie.
Un aspetto importante del sistema di licenze è relativo agli obblighi che si impongono
alle agenzie, in termini di protezione dei lavoratori. Quattro elementi appaiono
significativi: l’erogazione di un servizio gratuito per chi cerca un’occupazione, il divieto
di reclutare lavoratori per le aziende con sciopero in corso, il principio della non
71
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
discriminazione e il rispetto della privacy. Altre differenze sono legate all’ente preposto
alla distribuzione delle licenze. In Belgio è il Ministero, in Germania e nei Paesi Bassi
sono i Spi, mentre in Austria il sistema rientra in un più ampio contesto normativo.
Una delle pratiche più comuni per gestire il processo di deregolamentazione dei
Servizi per l’impiego, è il riferimento alle norme del diritto del lavoro vigenti nei diversi
paesi. Ad esempio, il Belgio appare essere il paese con la più stringente
regolamentazione; i paesi che hanno istituito un sistema di licenze, invece, sono quelli in
cui la normativa è meno rigorosa. I contratti collettivi, invece, con le parti sociali sono
utilizzati principalmente nei paesi scandinavi, in Belgio e nei Paesi Bassi, mentre i codici
di comportamento possono essere utilizzati come forma di autoregolamentazione dalle
associazioni delle agenzie che forniscono Servizi per l’impiego. Questi codici possono
avere una funzione complementare rispetto alla normativa vigente o addirittura possono
essere recepiti dalla stessa.
L’analisi della dimensione del settore rispetto al personale impiegato è piuttosto
difficile, sia per il fenomeno della decentralizzazione, sia per la diversa organizzazione
dei dipartimenti del lavoro. Inoltre, differenze organizzative si possono avere anche
nell’erogazione dei servizi per il collocamento (dalla sola diffusione di informazioni,
all’attività di consulenza e di effettivo incontro tra domanda e offerta).
Anche in termini di risorse finanziarie disponibili (ovvero delle risorse destinate a tutti
i programmi per l’occupazione) vi sono delle notevoli differenze tra paesi. Da un lato, i
paesi scandinavi hanno elevati rapporti della spesa pubblica sul Pil, dall’altro Austria e
Regno Unito sono caratterizzati da un più modesto intervento pubblico.
Sul fronte delle agenzie private ci sono pochissime informazioni (persino il numero è
talvolta sconosciuto) e questo sia perché non vi è, quasi mai, un sistema di licenze, sia
perché non vi è nessuna norma legislativa in questo senso. Solo in Germania vi è un
qualche obbligo, ma, comunque, le informazioni fornite sono pochissime.
Le scarse informazioni disponibili consentono, comunque, di individuare nel Regno
Unito e nei Paesi Bassi i paesi in cui la quota di mercato delle agenzie private è più
rilevante. Ciò è da mettere in relazione sia alla lunga esperienza che hanno questi paesi in
merito, sia all’elevata presenza delle agenzie private nel settore.
La funzione principale dei servizi per il collocamento è quella di favorire l’incontro tra
domanda e offerta fornendo informazioni alle persone in cerca di occupazione sui posti
vacanti, cercando di rispondere alle richieste delle aziende che necessitano di personale.
In generale, le persone che cercano un posto di lavoro possono essere suddivise in tre
gruppi: le persone senza lavoro che sono eleggibili per la riscossione dei sussidi di
disoccupazione; le persone senza lavoro che non possono ricevere dei sussidi di
disoccupazione ma, comunque, percepiscono altre sovvenzioni; le persone che pur
lavorando, sono comunque interessate a cambiare lavoro o sono a rischio di perdere il
proprio impiego.
Per quanto concerne la misurazione dell’attività dei Spi, le misure dello stock delle
persone registrate e del flusso in entrata e di quello in uscita non possono essere
72
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
considerati degli indicatori dell’effettivo livello di attività. In effetti, poiché la maggior
parte delle registrazioni è involontaria, almeno per i senza lavoro, lo stock e i flussi di
iscritti indicano esclusivamente l’andamento del ciclo economico. Ciò dipende dal fatto
che non tutti i disoccupati ricercano attivamente una nuova occupazione e coloro che lo
fanno non è detto si rivolgano ai Spi.
Un indicatore più significativo è quello delle registrazioni delle domande di lavoro,
tanto per l’attività dei Spi, quanto per quella delle Pres, poiché la registrazione delle
vacancies è esclusivamente volontaria e riflette l’attesa di un beneficio.
Occorre notare che per un’attenta analisi non è sufficiente disporre del numero di
vacancies registrate presso i Spi, ma sarebbe utile poterle distinguere anche in base al loro
valore qualitativo. In particolare, è importante distinguere le domande di lavoro secondo
la durata dell’impiego offerto e la qualifica professionale richiesta.
Una terza misura della produzione del settore, e forse la più rappresentativa
dell’attività dei servizi per l’occupazione, è quella relativa ai collocamenti effettivi (sia
per i Spi che i Pres). Collocare le persone in cerca di lavoro e colmare le carenze di
personale espresse dagli imprenditori è, infatti, la funzione fondamentale del settore.
È importante, inoltre, poter distinguere tra collocamenti in lavori sussidiati e non, in
quanto ciò consentirebbe di valutare quante volte è necessario partecipare ad un
programma attivo prima di trovare un’occupazione non sussidiata. In altri termini, la
quota di collocamenti verificatesi immediatamente dopo l’aver partecipato ad un
programma formativo, sul totale dei collocamenti, indica il grado di successo delle
politiche per l’impiego e del ruolo dei Spi.
Un ulteriore elemento da tenere presente è che tali cifre assolute non rappresentano
necessariamente il beneficio netto del collocamento. In effetti, c’è il rischio che gli uffici
operativi siano orientati a collocare il maggior numero di persone possibile al minor
costo, privilegiando le persone che sono disoccupate da poco tempo e che,
verosimilmente, avrebbero comunque trovato un’occupazione. L’efficacia dei Spi, difatti,
dipende anche dalla percentuale di iscritti appartenenti alle categorie deboli rispetto al
totale delle persone in cerca di occupazione. Dunque, sarebbe necessario monitorare sia il
numero di collocamenti che riguardano le persone appartenenti a queste categorie sia la
loro incidenza sul totale.
L’importanza relativa dei Spi e dei Pres nel collocamento può essere valutata con
riferimento a tre elementi: a) l’uso dei servizi di collocamento come canale di ricerca; b)
l’uso dei servizi di collocamento come canale per l’assunzione; c) la quota di assunzioni
via servizi di collocamento sul totale delle assunzioni.
Questi concetti trovano una rappresentazione nei seguenti indicatori: a) il tasso di
utilizzo dei servizi da parte delle persone in cerca di occupazione, dato dal rapporto tra il
flusso in entrata (o lo stock) di job-seekers registrati sul flusso totale (o lo stock) di
persone in cerca di lavoro; b) il tasso di registrazione delle vacancies, definito dal
rapporto tra il flusso in entrata di vacancies registrate e le assunzioni totali; c) il grado di
successo delle vacancies registrate: dato dal rapporto tra le domande soddisfatte e il
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
flusso in entrata delle vacancies. L’analisi delle poche informazioni disponibili (il gap
informativo merita ancora una volta di essere sottolineato) relative agli otto paesi europei
analizzati, consente di trarre alcune considerazioni.
In generale, la quota di mercato dei Spi è maggiore di quella delle agenzie private. Ciò
dipende dal fatto che i Spi hanno il compito di contribuire alla maggiore trasparenza del
mercato del lavoro, favorendo l’auto-ricerca da parte sia delle persone in cerca di
un’occupazione sia degli imprenditori.
Un secondo importante risultato è che Spi e Pres sembrano svolgere un’attività
complementare piuttosto che sostitutiva. Ciò è sicuramente vero per le agenzie di
intermediazione, le quali offrono servizi per clienti diversi da quelli che si rivolgono ai
Spi, mentre questa relazione è meno chiara per le agenzie di lavoro interinale. Sia i dati
amministrativi sia quelli derivanti da indagini presso gli imprenditori rivelano infatti che
ci sono aree non marginali in cui l’attività delle agenzie di lavoro temporaneo si
sovrappone a quella dei Spi inducendo, quindi, fenomeni di sostituzione.
Una terza considerazione riguarda il collocamento. Nonostante la deregolamentazione
abbia generato un’espansione dei servizi privati, sembra che questi non ne abbiano
particolarmente beneficiato. Infatti, la loro quota di mercato continua a rimanere
marginale (ad eccezione delle agenzie di lavoro interinale), mentre i Spi mantengono (ed
anzi hanno rafforzato) la propria posizione.
Infine, il problema della mancanza d’informazioni è particolarmente importante nelle
valutazioni dell’efficacia delle misure per l’occupazione. Occorre tenere presente, infatti,
che indicatori di performance, come le quote di mercato indicano, ad esempio, solo
quante domande di lavoro sono state soddisfatte o quante persone sono state assistite, ma
nulla circa gli effetti sul mercato del lavoro.
Questo problema non è particolarmente rilevante per le agenzie private, poiché si può
ritenere che esse operino in modo efficiente rispetto ai costi, visto che offrono servizi a
pagamento e che se i clienti non vi trovassero riscontro non vi ricorrerebbero.
Diversa è invece la questione per i Spi, giacché essi offrono servizi gratuiti per gli
utenti (ma non per la società). È, quindi, evidente che un effetto positivo sul benessere
sociale giustifica la presenza del settore pubblico in questo mercato. Occorre allora capire
se le persone che trovano occupazione attraverso i Servizi pubblici per l’impiego,
l’avrebbero trovata anche senza l’intervento dei medesimi. Per rispondere a questa
domanda occorre effettuare studi di impatto, che consentano di definire ragionevoli
standard di performance, rendendo possibili le comparazioni tra diversi paesi.
Da un punto di vista teorico l’abolizione del monopolio genera un incremento
dell’offerta complessiva di un dato mercato, la riduzione di prezzi, un incremento della
qualità e una maggiore efficienza del sistema produttivo. Questi effetti dovrebbero, a loro
volta, contribuire ad una diminuzione sia della disoccupazione, sia delle vacancies.
Tali benefici del processo di liberalizzazione di questo mercato dovrebbero derivare
dal fatto che le agenzie private possono inserirsi in segmenti di mercato non coperti dai
Spi, dall’incentivo alla maggiore efficienza ed efficacia dei Spi a causa della concorrenza
74
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
delle agenzie private e dall’implementazione delle pratiche di outsourcing, con le quali
alcuni servizi pubblici sono affidati ai privati sulla base di aste competitive.
Tuttavia, a fronte di questi benefici vi sono anche dei rischi piuttosto preoccupanti. In
primo luogo, vi è l’ipotesi che, a seguito della concorrenza dei privati, i Spi si rivolgano
esclusivamente, o quasi, alle persone che presentano maggiori probabilità di trovare
un’occupazione, al fine di aumentare la loro efficacia in termini di quota di mercato,
penalizzando le categorie più deboli.
Un secondo fattore di rischio scaturisce dal fatto che l’aumento dei servizi per
l’occupazione non necessariamente conduce ad un aumento dell’occupazione e, quindi,
ad un miglioramento del benessere sociale. Occorre sottolineare, tuttavia, che nonostante
dai servizi per il collocamento non consegua un beneficio netto positivo per la collettività,
si possono, comunque, ottenere effetti positivi in termini distributivi (ad esempio
incidendo sulla durata della disoccupazione).
Un terzo fattore di rischiosità è connesso, infine, alla pratica dell’outsourcing, poiché
questa pratica genera riduzioni di prezzo e miglioramenti della qualità solo se le autorità
pubbliche hanno la capacità di monitorare e valutare i risultati dell’attività affidata ai
privati.
Le analisi empiriche non chiariscono gli effetti dell’apertura ai privati nel mercato del
collocamento, ma le poche informazioni disponibili suggeriscono che in quei paesi
laddove le agenzie private erano già presenti da lungo tempo (Regno Unito, Belgio,
Olanda) non ci sono stati rilevanti effetti in termini di quote di mercato relative al settore
pubblico e a quello privato.
Inoltre, solo per quanto concerne i Paesi Bassi, uno studio non ha ritrovato alcuna
evidenza che la rottura del monopolio statale, avvenuta nel 1991, abbia generato un
aumento della quantità totale dei servizi offerti e un miglioramento del funzionamento del
mercato del lavoro.
Ciò, tuttavia, non implica che non vi siano stati effetti per i Spi. Al contrario si può
osservare come i Spi stiano sviluppando tecniche più orientate verso il management per
obiettivi e customer oriented; le risorse vengono distribuite in base ai risultati ottenuti e
molti servizi sono stati affidati ai privati attraverso procedure di contracting out.
Fay R. G.
Making the pubblic employment service more
effective trough the introduction of market signals
Oecd, 1997
Recentemente, molti paesi dell’area occidentale hanno aumentato il grado di
concorrenza in alcuni settori dell’economia, tradizionalmente dominati dal monopolio
pubblico; anche i Servizi per l’impiego sono stati coinvolti da questa tendenza di
rinnovamento.
75
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
In molti Stati, la scelta operata è stata quella di introdurre fattori tipici dell’economia
di mercato anche nel settore dei Servizi pubblici per l’impiego; ciò dovrebbe consentire
un miglioramento del servizio, attraverso l’introduzione di un sistema fondato sulla
competizione fra pubblico e privato.
I mezzi prescelti sono stati vari: la liberalizzazione del settore innanzi tutto, e poi il
ricorso alla contrattazione e le riforme dell’organizzazione del settore pubblico.
La modernizzazione del settore pubblico dei Servizi per l’impiego incomincia,
essenzialmente, dal ripensamento del rapporto “fruitore – produttore” del servizio.
In molti settori, infatti, lo Stato assume il duplice ruolo di produttore di un determinato
servizio e di fruitore dello stesso; ciò, tuttavia, determina degli squilibri concorrenziali, in
quanto lo stesso centro decisionale può stabilire “cosa” e “quanto” produrre.
La divisione tra il consumatore ed il produttore del servizio dovrebbe garantire
l’effettiva concorrenza nel settore dei Servizi pubblici per l’impiego; tale processo
rappresenta anche una fase prodromica necessaria per l’introduzione di meccanismi tipici
dell’economia di mercato in questo settore.
Tali meccanismi hanno natura piuttosto eterogenea, includendo la contrattazione, i
vouchers, la creazione di privative, la contrattazione internazionale ecc., ma proprio a
causa della diversità di tali strumenti, non è possibile stabilire con certezza quale di questi
sia il migliore.
Rimmer sostiene che la contrattazione sia una valida alternativa al monopolio. Non di
meno, vi sono alcuni elementi critici per il buon funzionamento dello strumento della
contrattazione: l’Oecd ha sviluppato alcune linee guida in merito.
In definitiva, se è vero che la contrattazione ha effetti economici positivi (ad esempio,
relativamente ai costi per l’apprestamento di determinati servizi), consente la
realizzazione di programmi più specifici e un più efficace incontro di domanda ed offerta
di lavoro, tuttavia tale strumento non garantisce il perseguimento di tutti gli scopi cui
tende l’ammodernamento del Pes. In particolare, non vi è una dimostrazione specifica
della riduzione della disoccupazione.
Altri meccanismi tipici dell’economia di mercato, introdotti nel processo di
ammodernamento del Pes, sono il voucher – che consente di ricercare le opportunità di
lavoro tra diversi fornitori (cd. shop around) – e l’imposizione di una tassa di
utilizzazione del Pes (ma quest’ultima pratica non ha trovato favorevole accoglimento in
ambito internazionale, tanto da essere scoraggiata persino dalla Convenzione n. 96
dell’Ilo).
Quanto sopra induce alcune considerazioni in ordine al diverso modo di interpretare
l’apertura del mercato dei Servizi per l’impiego anche agli operatori privati. Negli anni
passati, si riteneva che lo Stato dovesse conservare il monopolio dei Pes, al fine di meglio
tutelare gli strati più deboli della società e di apprestare un servizio uguale per tutti.
Recentemente, tuttavia, si è assistito ad una generale inversione di tendenza: con
un’adeguata regolamentazione del settore, infatti, sembra possibile aumentare l’efficienza
del mercato del lavoro.
76
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Konle Seidl R., Walwei U.
Job placement regimes in Europe: Trends and Impacts of Changes
Iab Topics, 46, 2001
Questo studio analizza la funzione del placement, facendo riferimento a quanto
succede in alcuni Stati europei, quali Francia, Germania, Olanda e Gran Bretagna.
L’elemento principale che può rendere immediatamente l’idea dell’utilità del servizio
di placement nel mercato del lavoro è la constatazione della difficoltà e della lentezza con
cui circolano le informazioni sulle vacancies e sulle opportunità offerte dalle aziende. In
questo senso, la funzione principale del servizio di placement è quella di facilitare la
diffusione delle informazioni e permettere una condizione di maggiore trasparenza nel
mercato. Il placement, quindi, riveste l’importantissimo ruolo di mediatore in grado di
coagulare gli interessi dei candidati e delle aziende o dei datori di lavoro. La funzionalità
e la buona riuscita di un servizio di placement pubblico dipende, ovviamente, dalle
risorse economiche che vengono impiegate. Anche il decentramento e la capacità locale
di svolgere questo servizio sono elementi di grandissima rilevanza.
Tranne che in casi rari (Belgio, Svizzera e Stati Uniti) il Servizio pubblico per
l’impiego viene svolto da parte dall’amministrazione centrale e può risultare più o meno
vincolato alle politiche dei Ministeri del lavoro. Alcuni, infatti, sono indirizzati da
Decisori locali, altri casi vedono la netta presenza dei poteri centrali.
Nella quasi totalità dei casi, i processi di gestione dei Pes vedono la presenza di
rappresentanti dei sindacati ed dei datori di lavoro e sono gratuiti. Al di la di questo, è
chiaro che esistano innumerevoli differenze tra i vari modelli.
Non ovunque, ad esempio, il ruolo del placement si limita alla diffusione delle
informazioni sulle vacancies, permettendo la gestione anche di servizi aggiuntivi, utili al
sostegno di chi cerca lavoro.
La differenza più importante tra i paesi dell’Oecd riguarda l’amministrazione dei
sostegni economici per i disoccupati. Se in alcuni casi, infatti, l’amministrazione di tali
sostegni viene svolta da parte del Pes, in altri ciò non avviene e altre agenzie sono
preposte allo svolgimento di tale compito. Questa differenza dipende dalla maggiore o
minore burocratizzazione del Pes. Come mediatore, il Pes può utilizzare diverse
procedure che sono: la self-selection, la conditional self-selection, la administrative
matching, e la selective matching. Nel caso delle prime due, il Pes svolge un ruolo
passivo, concentrandosi solo sulla raccolta delle informazioni sulle possibili vacancies al
fine del riempimento di file e database. La self-selection, infatti, si basa sull’uso di
terminali ed, ovviamente, della rete Internet. Per maggiori informazioni, i datori di lavoro
ed i candidati devono contattare i membri del Pes. Nell’administrative matching, le
vacancies sono riferite ai candidati preventivamente registrati da parte del Pes che, per
l’espletamento di tale funzione, è dotato di personale specializzato.
Nel caso del selective matching, il ruolo del Pes cresce ulteriormente, dovendo
svolgere un’azione che va molto oltre la semplice registrazione del candidato,
77
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
occupandosi anche dell’aspetto dello screening del personale e della selezione di
quest’ultimo. La funzione di mediazione è quasi sempre di carattere gratuito; l’iscrizione
è obbligatoria quando è connessa al recepimento dei sussidi per i disoccupati.
Esistono tre modelli-base di organizzazione dei servizi di mediazione, variamente
articolati: il primo è quello del monopolio statale. Questo può essere di due tipi differenti.
Esiste, infatti, il monopolio in senso stretto, caratterizzato dalla esclusione totale dei Pres
e dall’obbligatorietà della registrazione delle vacancies, oppure un monopolio moderato,
in cui le agenzie private sono tollerate in casi ristretti e l’uso del Pes non è obbligatorio
ma facoltativo.
Il modello della coesistenza legittima la collaborazione tra pubblico e privato. Anche
in questo caso, esistono due sottoclassificazioni: quella della coesistenza regolamentata e
quella libera. Nel primo caso avremo la presenza di operatori privati per intermediare
tutte le forme di occupazione, ma in base ad una regolamentazione più o meno rigida.
Questa consiste nella previsione di sistemi di licenza e di standards di qualità. I primi
sono diretti alla creazione di barriere artificiali al mercato atte ad impedire l’ingresso di
soggetti privi di scrupoli, interessati solo al raggiungimento di profitti nel breve-medio
periodo. Nel secondo caso, il Pres agisce senza alcuna licenza o permesso rilasciato dalla
autorità pubblica ed fa ingresso nel mercato come qualsiasi altra società commerciale.
Un terzo e ultimo modello è quello del sistema di mercato. In tale sistema solo i Pres
erogano i servizi di mediazione di qualsiasi tipo, anche se ciò non comporta la completa
assenza di un intervento statale, ad es. sotto forma di contracting out delle attività di
matching da parte del Pes al favore del Pres. È possibile comunque distinguere tra sistemi
di semi-mercato e di mercato puro. Il primo implica la presenza pubblica nelle attività
connesse ai Servizi per l’impiego erogati agli utenti, mentre nel secondo è assente
qualsiasi tipo di intervento pubblico. Utilizzando tale classificazione si ha che negli anni
80 la maggioranza dei paesi deteneva un sistema di monopolio moderato e pochi erano
quelli con sistema di coesistenza regolata. Negli anni 90, invece, la situazione è cambiata
considerevolmente e i Pres sono ammessi incondizionatamente nei paesi prima dotati di
monopolio, con l’eccezione della Francia. Pure le agenzie di lavoro interinale (TWAs)
sono ora legalizzate in tutti i paesi della UE, anche se con notevoli differenze. In
conclusione allo stato attuale la maggioranza dei paesi europei detiene un sistema di
coesistenza regolata, ad esclusione della Danimarca.
Casi di studio europei
FRANCIA. La Francia presenta un tasso di disoccupazione non particolarmente elevato
rispetto a quello che si registra in altri Stati europei. Dotato di una grande flessibilità, il
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
sistema francese dell’occupazione è noto per aver adottato un sistema basato sulle 35 ore
settimanali nel 2000.
Il sistema di collocamento pubblico ha subito una continua ondata di riforme. Fino al
1940, l’importante funzione di placement veniva svolta solo a livello locale. Solo nel
1967 l’Anpe (Agenzia nazionale per l’impiego) vede la luce e permette un maggiore
accentramento. In questo quadro generale, nascono accordi tra una varietà di enti diversi e
l’agenzia nazionale, mentre le società private per l’impiego vengono tollerate
limitatamente ad alcune categorie. Nei confronti delle TWAs, soprattutto, il
comportamento del Governo è oscillante tra liberalizzazione e controllo, anche in
conseguenza di diversi orientamenti politici: se fino al 1990, le TWAs erano permesse per
qualsiasi situazione lavorativa, nel ‘90, vengono varate una serie di restrizioni circa la
durata del contratto di lavoro temporaneo, che non avrebbe dovuto eccedere i diciotto
mesi. Pur non essendo richiesta la licenza, era necessario informare le autorità circa la
costituzione di agenzie di lavoro temporaneo.
Il servizio pubblico francese continua oggi a mostrare la propria presenza e,
soprattutto, la propria forza. Il settore pubblico è caratterizzato da centralizzazione, forte
presenza delle parti sociali e frammentazione amministrativa. Il Pes è articolato in diverse
organizzazioni: l’Anpe, l’Afpa (Associazione per la formazione professionale), l’Unedic
(Unione nazionale per l’occupazione nell’industria e nel commercio) e il Degefp
(Delegazione generale per l’occupazione e il training). L’Anpe e l’Afpa presentano una
struttura tripartita in cui le parti sociali hanno enormi poteri. Diversamente, l’Unedic è
frutto di un accordo tra le parti sociali ed ha una struttura bipartita.
Afpa ed Anpe sono collegate all’Dgefp, a livello centrale e al Sete (Servizi esterni per
il lavoro e l’occupazione) a livello locale. Il Dgefp è monitorato dal Ministero del lavoro
e promuove le politiche a sostegno dell’impiego. L’Anpe ha due missioni principali:
quella di assistenza per i candidati, che vengono registrati e quella di sostegno ai datori di
lavoro.
L’Anpe è organizzato in 22 uffici regionali e 850 uffici locali. Il Consiglio dell’Anpe
definisce le politiche strategiche in collaborazione con il Dgefp. Offre agli uffici regionali
le risorse necessarie per il proprio funzionamento. Il budget dell’Anpe deriva dallo Stato
e da una serie di ulteriori fondi messi a disposizione dal Ministero del lavoro. Nel 1990 si
è stabilito che lo staff a servizio dell’Anpe conservasse lo status di Agenti di Diritto
Pubblico, qualifica che permette il management delle risorse umane.
Con il tempo, l’Anpe ha aumentato non solo le proprie funzioni, ma anche le
prerogative, andando verso una maggiore decentralizzazione e favorendo le politiche
locali. Una delle lacune che incide sul funzionamento del Pes francese riguarda la
difficile connessione e comunicazione tra Anpe ed Unedic, problema che si è cercato di
risolvere con le ultime innovazioni normative.
Il servizio di collocamento in Francia riguarda tutti i settori e le categorie lavorative,
tocca le aree rurali come quelle urbane, ha maggiore forza nella categoria dei soggetti
disoccupati e in quella delle aziende piccole o medie. Oggi l’Anpe ha rafforzato i suoi
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
rapporti con i datori di lavoro ed ha introdotto nuovi compiti tra quelli finora svolti dal
suo staff, al fine di una migliore gestione dei candidati e delle vacancies.
Un Contrats de Progrès, per una durata di cinque anni, è stato stipulato tra Anpe e il
Governo. Questo prefigura per l’amministrazione un ruolo più nodale, mediante la
definizione di direttive e politiche programmatiche, ma anche la possibilità per l’Anpe di
ottenere maggiori sostegni economici. Gli obiettivi individuati dall’accordo si riferiscono
ad azioni per l’eliminazione delle discriminazioni e per aiutare le categorie più deboli nel
percorso verso l’impiego.
In base al Code du travail, il placement privato è proibito tranne che per speciali
categorie professionali, per le agenzie non-profit e per le headhunters.
Le TWAs sono state autorizzate ad operare fin dal 1972. La disciplina della materia è
stata sottoposta nel corso degli anni a notevoli cambiamenti. Sebbene la normativa in
materia di forme di impiego non-standard fosse fortemente rigida, vi furono aperture alle
TWAs negli anni 80.
Prima del 90 l’attività delle TWAs era ammessa in tutti i settori di impiego, non vi
erano limitazioni al numero massimo di rinnovi dei contratti di fornitura e la loro durata
massima consentita era piuttosto alta nel panorama internazionale (24 mesi).
La riforma del 1990 ha limitato i casi di ammissibilità del lavoro temporaneo (solo in
caso di ragioni obiettive), ha previsto solo la proroga dei contratti di fornitura ed ha
limitato la loro durata massima a 18 mesi.
Pur non essendo previsto un sistema autorizzatorio, vi è un obbligo di informare le
autorità e di fornire una garanzia finanziaria. È fatto divieto di utilizzare il lavoro
temporaneo presso aziende in sciopero ovvero appartenenti a settori che esercitano
attività pericolose. Non sono ammesse agenzie polifunzionali (ad es. TWAs che svolgono
anche attività di mediazione).
Sebbene, la legislazione più recente sia decisamente più restrittiva della previgente,
ciò non ha influito nella diffusione del lavoro temporaneo nella pratica.
Il Code du Travail vieta ai privati l’esercizio commerciale del collocamento; sono
ammesse eccezioni per alcune categorie professionali:
l’Apec (Agence de placement des cadres). Si tratta di una agenzia non-profit fondata
nel 1996 dalle parti sociali deputata a raccogliere le vacancies e renderle disponibili
ai lavoratori;
recruitment agencies: organizzazioni private per il collocamento di lavoratori
specializzati e del management (headhunters).
Più importanti sono però altri enti autorizzati all’esercizio del collocamento, in quanto
sottoscrittori di un accordo con l’Anpe o perché autorizzati dallo Stato. Si tratta di
istituzioni pubbliche ed enti bilaterali, costituiti dalle parti sociali. Essi sono tenuti al
rispetto delle regole fondamentali proprie dei Pes: gratuità del servizio, divieto di pratiche
discriminatorie.
Tali enti, sebbene possano partecipare al collocamento, non sono responsabili
dell’avviamento di cui rimane competente l’Anpe.
80
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
È stato promosso l’outsourcing di parte delle informazioni sulle vacancies e l’Anpe ha
stretto delle partnership con le TWAs.
GERMANIA. Di pari passo con i cambiamenti politico-sociali, la Germania ha varato una
serie di riforme del sistema per l’impiego arrivando, negli anni Novanta, ad una
situazione occupazionale decisamente grave, soprattutto per quel che riguarda la
disoccupazione di lunga durata e quella dei candidati più giovani.
È ovvio che, nel caso tedesco, le differenze tra una regione e l’altra siano più profonde
che altrove tanto che, dopo la riunificazione delle due Germanie, una delle urgenze di
fondo è stata quella di introdurre una nuova disciplina del mercato del lavoro.
Solo nel 1910 viene introdotto il sistema delle licenze e nel 1922 nasce l’Imperial
Office for job placement che aveva in mano il controllo del servizio di placement a livello
locale; nel 1933 viene fondato l’Imperial Institute for Job Placement and Unemployment
Insurance. Tra il 1931 e il 1994, la situazione tedesca è dominata dal monopolio statale in
cui le organizzazione private sono proibite; solo nel 1994 il monopolio finisce e viene
introdotto il sistema delle licenze. In particolare, le TWAs hanno subito diversi
trattamenti di maggiore o minore apertura. Queste, infatti, permesse dal Governo tedesco,
sono sottoposte a nuove norme a partire dagli anni Settanta, mentre nel 1981 subiscono
nuove restrizioni. Nonostante ciò, oggi le TWAs sono le strutture di maggiore preferenza
e diffusione.
Il Servizio pubblico per l’impiego è costituito dal Bundesanstalt für Arbeit (BA),
finanziato prevalentemente dai datori di lavoro e deputato a fornire i servizi di placement
e di amministrazione dei sostegni economici; è diviso in tre corpi che rappresentano i
datori di lavoro, i lavoratori e le istituzioni pubbliche.
Per quanto l’acceso ai servizi del BA sia praticamente libero, questo comporta
l’obbligo di iscrizione e registrazione se si vogliono ottenere i sussidi di disoccupazione.
Il servizio è diffuso nelle aree urbane come nelle rurali, per tutte le categorie di lavoratori.
L’obiettivo degli anni più recenti del BA è nella maggiore decentralizzazione e nella
minore burocratizzazione, l’uso degli strumenti più avanzati di ricerca, quali Internet e
database. Il BA offre strumenti di sostegno alle aziende (placement e training).
Al di là di quelli pubblico e privato, nel panorama tedesco un ruolo rilevante è dato da
canali, quali giornali ed annunci dei privati.
Come in altri paesi, il lavoro interinale, permesso poiché non considerato
collocamento, è stato regolato con un apposito provvedimento nel ‘72, ispirato
all’esigenza di monitorare l’attività delle agenzie e garantire il rispetto di un livello
minimo di protezione a favore dei lavoratori interinali. Nel 1981, al fine di contrastare
fenomeni di illegalità che si manifestavano nelle costruzioni, fu posto un rigido divieto
all’utilizzazione del lavoro temporaneo in tale settore.
Altro elemento tipico della disciplina in materia è la previsione di una durata massima
del periodo in cui i lavoratori possono essere ceduti in affitto. Tuttavia detto periodo è
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
stato nel corso degli anni progressivamente aumentato: da 3 mesi nel ‘72, a 6 nel ‘85, poi
a 9 nel ‘94 ed, infine, a 12 nel 1997.
Tale apparato normativo non è stato influenzato in maniera decisiva dalla
deregolazione del ‘94, sebbene il cd. synchronisation ban sia stato parzialmente
affievolito (il divieto impone che la durata del rapporto di lavoro con l’agenzia di lavoro
interinale debba almeno eccedere la durata della prima missione presso l’azienda
utilizzatrice).
La successiva revisione normativa ha considerato non valido tale divieto se il
lavoratore interinale viene assunto dalla azienda utilizzatrice immediatamente dopo la
conclusione della missione e se lo stesso lavoratore è considerato di difficile collocazione
dal Pes.
Il Legislatore ha imposto che la relazione tra lavoratore e agenzia di lavoro interinale
fosse a tempo indeterminato, escludendo la possibilità di utilizzare a tal fine un contratto
a termine. Peraltro, ciò non ha nuociuto all’attrattiva dell’istituto che consente comunque
al lavoro interinale di scavalcare il collocamento pubblico per volumi di avviamenti
realizzati.
La riforma del ‘94 ha previsto una procedura di autorizzazione, gestita dal BA, per le
TWAs e le agenzie di ricerca e selezione.
Per ottenere la licenza all’erogazione di servizi all’impiego devono essere garantite
quattro condizioni: a) idoneità personale; b) certificazione dell’assenza di carichi
pendenti; c) assetti societari fissati per legge; d) locali commerciali adeguati.
La cooperazione tra Pes e Pres è stata piuttosto rara, ma recentemente è stata
incrementata. Esistono accordi bilaterali tra BA e Pres in molti settori, come in quello
dell’uso dei data base sui lavoratori e sulle vacancies, fino alla delega delle funzioni di
collocamento ai Pres.
PAESI BASSI. Il decennio che va dal 1970 al 1980, segna un periodo di grave crisi
economica per l’Olanda che spinge il Governo verso l’adozione di nuove misure miranti
al sostegno del mercato del lavoro. L’intervento più (che risale al 1982 è il Wassenaar
Agreement, un accordo tra datori di lavoro, sindacati e Governo, che imprime una svolta
nel sistema dell’occupazione e nella direzione di una più accentuata flessibilità.
Prima del 1991, il sistema del collocamento era caratterizzato da un forte monopolio
statale e da un notevole accentramento. In cima alla piramide del Pes, c’era il Central
Board (Cba) e 28 uffici regionali (Rba) che, con il tempo vennero limitati a 18. Nel 1991,
il Pes è stato ripartito secondo una struttura che prevedeva la rappresentanza di datori di
lavoro, Governo e lavoratori. Nel 1997, in seguito all’Employment Service Act, il
Governo inizia una limitata collaborazione con organizzazioni private per l’impiego, al
fine di offrire ai candidati una gamma di servizi più vasta. Le agenzie private, e
soprattutto le TWAs, acquisiscono quote maggiori di mercato. Il monopolio del Pes si
conclude definitivamente nel 1991, anno in cui vengono poste le condizioni cui il servizio
82
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
privato di placement deve sottostare. Nel 1991, il Pes viene mutato da Direttorato
Generale del Ministero per gli affari sociali e l’occupazione ad una istituzione
indipendente. La sua finalità è quella di creare un equilibrio tra la domanda e l’offerta di
lavoro, con particolare attenzione ai candidati in posizione di maggiore difficoltà.
Con il passare del tempo, e con la diffusione delle nuove tecnologie della
comunicazione, il Servizio pubblico per l’impiego inizia ad appoggiarsi al sistema di
Internet, dei terminali e dei database. Il sito del Pes comincia a ricevere numerose visite,
anche da parte dei datori di lavoro, soddisfatti dalle strutture innovative e virtuali che
consentono un rapido contatto con i candidati. Un altro elemento fondamentale nel
funzionamento del Pes è dato dal Center for Work and Income (Cwi).
Prima del 1990, l’Employment Service Act del ‘30 ammetteva solo l’esistenza di
agenzie non-profit, sottoposte ad un regime obbligatorio di autorizzazione, sebbene quelle
di personnel management non fossero mai state espressamente proibite.
Anche prima della fine del monopolio le TWAs erano diffuse in Olanda, poiché
formalmente la loro attività non era considerata collocamento, sebbene nella pratica molte
imprese le utilizzassero per selezionare i propri futuri dipendenti e i job-seekers come un
canale di ricerca di impiego permanente.
All’epoca della fine del monopolio l’ingresso di agenzie private era sottoposto al
rilascio di una licenza e prevedeva che i lavoratori non dovessero pagare più del costo
reale del servizio di collocamento; che l’attività non fosse esercitata nei confronti di
imprese i cui dipendenti fossero in sciopero e che nessuna discriminazione fosse operata
nei confronti dei lavoratori.
L’Employment Service Act del 1991 modificò anche la definizione di collocamento,
in maniera tale che anche altri mediatori, quali le agenzie di outplacement e di ricerca e
selezione fossero autorizzate.
La cooperazione tra TWAs o agenzie private e Pes è progressivamente diventata più
comune. In particolare, due sviluppi possono essere segnalati.
Da una parte si segnala che Pes, Start (che originariamente era una agenzia non profit
ma ora è privata) insieme ad una altra TWAs, hanno costituito un alleanza strategica per
competere con altre agenzie, specialmente TWAs di grandi dimensioni.
L’altra area di cooperazione si è sviluppata nell’ambito del nuovo ruolo delle
municipalità nelle politiche dell’impiego. Queste sono legalmente obbligate a cooperare
con i Pes, ma nei fatti anche agenzie for profit sono coinvolte.
GRAN BRETAGNA. Nel 2000 la Gran Bretagna vanta una condizione socio economica
invidiabile, caratterizzata da un bassissimo tasso di disoccupazione. Nel 1970 il mercato
del lavoro inglese già godeva di una certa deregolamentazione, per via della
liberalizzazione dei mercati dei beni e servizi.
Il panorama inglese è dominato dal Pes, l’Employment Service, e da una serie di altre
istituzioni pubbliche, che si occupano di offrire un servizio di placement multiforme ed
83
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
adeguato, quali il Careers Advisory Service e il Training and Enterprises Councils. Nel
settore privato, invece, troviamo la più vasta gamma di organizzazioni ed agenzie che si
occupano di categorie più o meno ampie di candidati.
Nel 1974 nascono i Job Centres and Benefit Offices che hanno subito una progressiva
liberalizzazione, svincolando lentamente i candidati dai legami di registrazione e di
controllo. Nel 1986 nasce il Restart, organo mirato sulle esigenze dei candidati
disoccupati di lunga durata, chiamati periodicamente ad affrontare un colloquio sui veri
motivi della loro condizione di disoccupati e sulla reale intenzione di trovare un impiego.
L’Employment Service è caratterizzato da una struttura che agisce a livello centrale,
locale e nazionale. Il livello locale offre i più disparati servizi per i disoccupati ed è dotato
di maggiore efficienza e rapidità di azione. Le sezioni regionali (sette sezioni) si
occupano del policy making, dell’allocazione delle risorse e dei sostegni economici per i
candidati. Il sistema centrale, inoltre, coordina e collega tra loro le sezioni locali,
svolgendo un’azione manageriale.
Dall’aprile del 1990, il sistema pubblico agisce nell’ambito dell’Employent
Departement Group. Ogni anno, il Segretario di stato per l’impiego e l’occupazione
stabilisce gli obiettivi per il Pes e amministra le risorse necessarie per il suo sviluppo, così
come le linee generali di policy.
La Gran Bretagna è lo Stato dell’Ocse che presenta il tasso più basso di spesa nel
settore dell’occupazione ed è dotato di una limitata politica di intervento. Se i sondaggi
amministrativi mostrano un tasso di penetrazione del Pes più che soddisfacente,
caratterizzato da un livello stabile delle registrazioni, i sondaggi condotti da fonti diverse
mostrano il progressivo ridimensionamento del Pes, a favore dei più innovativi canali
privati o semplicemente degli strumenti informali, quali i bollettini o le riviste che si
occupano della pubblicazione di annunci di lavoro. Il Pes, confrontato con questi canali,
appare sempre meno in grado di rispondere alle esigenze dell’utenza. Le informazioni che
il servizio pubblico offre sono spesso considerate incomplete e non supportate da
databases adeguati alle necessità dei candidati. Diversamente appare per il Pres con il
quale il sistema pubblico non coopera ma, soprattutto, non compete, rivolgendosi a
tipologie di candidati diversi per skills e necessità.
Le agenzie private non sono mai state proibite nel Regno Unito. Sino al 1973, i Pres
non erano regolati nonostante le preoccupazioni suscitate da alcune prassi diffuse nel
settore industriale e vari tentativi di introdurre una disciplina normativa in materia. Nel
‘73 fu approvato l’Employment Agencies Act. Questo affidava alla autorità pubblica
(fino al ‘75 in sede locale, successivamente al Secretary of State for Employment) le
competenze in materia di rilascio di licenze, multe, poteri ispettivi e altri servizi. Dal
1994, le agenzie private vengono assoggettate al potere autorizzatorio e di controllo del
Department of Employment’s Employment Agency Licensing Office, organizzato su base
regionale.
Alle TWAs è riconosciuta grande libertà: non esistono restrizioni circa l’uso del
lavoro interinale, né con riguardo al rinnovo ed alla durata del contratto di lavoro
84
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
temporaneo. Il sistema di licenze è stato revocato con effetto dal gennaio 1995 dal
Deregulation and Contracting Out Act del 1994. Ciò nonostante gli standard di condotta
del ‘73, in particolare con riguardo alla gratuità del servizio di collocamento a favore dei
lavoratori, sono rimasti in vigore. In generale, l’impatto della disciplina legale appare
minimale e l’Employment Agency Standards Office opera solo su iniziativa di parte (non
di ufficio) in materia di violazione degli standard obbligatori.
Riggs L.
Introduction of contestability in the delivery
of employment services in Australia”
Elsa 2000
Per Job Network si intende la costituzione di un mercato competitivo di servizi per il
lavoro. La sua nascita in Australia – maggio 1998 – ha rappresentato un cambiamento
fondamentale nel sistema del mercato del lavoro, in cui prima dominava il servizio
pubblico: il Commonwealth Employment Service (Ces).
Il più importante risultato atteso da una complessiva riforma dei Servizi per l’impiego
è quello di consentire ai disoccupati di trovare lavoro, anche grazie all’introduzione di
servizi che aumentino la flessibilità del mercato.
Al fine di perseguire questo risultato, il Commonwealth Service Delivery Agency,
oggi detto Centrelink, combina le agevolazioni economiche del Departement of Social
Security, con alcune funzioni del Ces. Attraverso il Centrelink, il Governo australiano è
riuscito a provvedere al servizio di registrazione dei candidati, all’amministrazione dei
sussidi ed a tutte le strutture organizzative necessarie. Come è naturale, le novità
introdotte dal Job Network hanno comportato un periodo di transizione a cui i lavoratori e
tutti gli altri attori del mercato del lavoro hanno dovuto adattarsi.
Il Department of Employment, Workplace relations and small Business (Dewrsb) è il
soggetto responsabile per la sorveglianza del Job Network e dei suoi servizi.
La prima fase della selezione delle organizzazioni che si candidavano alla gestione di
misure per l’impiego, sotto la vigilanza del Job Network, venne condotta nel 1997. Il
primo periodo di “contratti” fu dal 1 maggio 1998 al 27 febbraio 2000.
La seconda fase, ha riguardato invece la selezione per i tre anni successivi al 28
febbraio 2000. Per quanto sia ancora prematuro affermarlo, si può sostenere che il Job
Network si sia dimostrato superiore rispetto al Ces.
Nel 1996, con l’elezione del nuovo Governo (partito liberal-nazionalista) si stabilì di
potenziare il sistema dell’assistenza nel lavoro. Il nuovo esecutivo considerava le
strategie del passato ormai inadeguate e questa opinione era sostenuta dalla valutazione
negativa del precedente “Programma per il lavoro”, in quanto esso:
era confluito in una miriade di programmi dalla limitata flessibilità;
era eccessivamente complicato, perché si basava su targets e regole e non sui singoli
85
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
casi individuali;
era troppo costoso.
Il Governo annunciò la sua decisione di adottare nuove riforme nel mercato del lavoro
che tenessero in considerazione i fabbisogni individuali e desse vita ad un sistema più
competitivo. Gli obbiettivi di fondo erano il potenziamento dell’assistenza ai disoccupati,
il miglioramento dei servizi ed una attenzione più accorta al rapporto costi-benefici.
Si stabilirono alcuni principi fondamentali:
l’assistenza sarebbe stata flessibile in base alle capacità dei singoli;
gli incentivi sarebbero stati utilizzati prima di tutto per mettere al lavoro chi cercava
attivamente un impiego;
successivamente vi sarebbero stati altri incentivi addizionali per le categorie di
disoccupati più difficili da collocare;
la fruizione dei sussidi di disoccupazione sarebbe stata sottoposta alla condizione
della partecipazione alle misure di attivazione;
sarebbero stati fissati degli standard di qualità dei membri del Job Network.
Il Governo avviò la riforma prevedendo un periodo di transizione per l’introduzione
del Job Network. Tale periodo prevedeva:
la chiusura del Ces, mentre si conducevano i primi passi che avrebbero portato al Job
Network, mantenendo nel frattempo i servizi per i disoccupati;
l’istituzione del Centerlink e del Dewsrb, che lo affiancava per potenziare alcuni
servizi come ad esempio la registrazione di chi cercava lavoro;
l’istituzione del Employment National, un servizio derivante dall’amministrazione
centrale;
l’introduzione della legislazione necessaria al sostegno del Job Network;
l’adozione una strategia d’informazione che servisse ad illustrare ed a spiegare i
cambiamenti futuri.
Molti di questi passaggi derivavano dalla decisione del Governo di chiudere
comunque il Ces a far data dal 30 aprile 1998 e iniziare le operazioni per il Job Network
da subito.
Il Job Network offre un sostegno di tipo flessibile a quanti siano alla ricerca del
lavoro, che muta in base alle diverse necessità. Esso garantisce cinque servizi
fondamentali.
a) Job Matching: servizi per il lavoro accessibili alla maggior parte dei candidati che
lavorano meno di quindici ore alla settimana. Questi servizi sollecitano i datori di
lavoro alla individuazione delle vacancies, aiutano i candidati nell’aggiornare le
proprie competenza e sostengono circa 400.000 candidati l’anno.
b) Job seekers training: quindici giorni consecutivi di tirocinio nella tecnica per la
ricerca del lavoro, che può includere metodi per la presentazione ed il colloquio.
Queste strategie, che sono previste per i disoccupati dai tre ai dodici mesi, vedono
una frequenza annua di almeno 90.000 partecipanti.
c) Intensive Assistance: assistenza individuale a candidati più svantaggiati. Vi sono
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
diversi tipi di assistenza di questo genere, in base alle diverse necessità. L’assistenza
intensiva ha visto una partecipazione annuale di circa 235 000 persone.
d) New Enterprise Incentive Scheme (Neis): tirocini, servizi, campagne informative per
un periodo superiore a 12 mesi, a favore del candidato che abbia un progetto di avvio
per un lavoro autonomo.
e) Project Contracting: progetto che tende ad assicurare ai coltivatori di frutta e verdura
l’accesso al lavoro di mietitura dei campi.
L’Intensive Assistance è probabilmente il servizio più complesso perché deve fare
perno su operatori molto qualificati, in grado di occuparsi di persone in condizioni di
grave svantaggio. Per essere ammessi a questo tipo di servizio, i candidati devono essere
nella condizione di ricevere i sussidi per la disoccupazione, o per lo meno di avere
sostegni speciali per i disabili, o avere un’età compresa tra i 15 e i 20 anni e non avere
un’educazione scolastica completa, o essere australiani indigeni, che partecipano al
Community Development Employment Projects.
Per il Neis i fornitori specificano sia la somma disponibile, che il numero dei
placement previsti. All’inizio di ogni anno essi ricevono il 10% di tutto il valore del
contratto, poi il 90% se il partecipante non sta ricevendo più alcun sostegno economico.
Gli stessi sono responsabili di reperire e selezionare i candidati.
Per il Project Contracting i fornitori sono pagati per offrire un servizio nelle regioni
della mietitura. La metà della somma è versata prima che la mietitura abbia inizio, la
seconda metà alla fine della stessa.
L’attività svolta da parte dei membri del Job Network viene monitorata mediante una
serie di indicatori. Sono previste anche sanzioni, nel caso di servizi di bassa qualità o di
breve durata.
Nel caso dell’Intensive Assistance, per il secondo periodo di Job Network, si è
stabilita la così detta Declaration of Intent (Doi) che indica dettagliatamente i servizi che
gli offerenti pensano di poter offrire ai candidati. Il Doi è parte integrante del contratto e i
fornitori devono sottostare agli impegni presi.
Tutti coloro che ricercano un lavoro hanno diritto di aderire al Job Network e di
utilizzare le più innovative strutture per la ricerca da esso offerte. Il sistema
informatizzato del Dewrsb, detto Integrated Employment System (Ies), facilita il
passaggio delle informazioni tra i membri del Job Network, il Dewrsb e il Centrelink.
Attraverso lo Ies si possono ricevere informazioni sui candidati, sulle vacancies e sui
membri del Job Network.
L’Australian Job Search (Ajs) rappresenta la faccia pubblica del Ies e permette a chi
cerca lavoro di informarsi sulle offerte di lavoro. L’Ajs, infatti, fornisce informazioni
relative ai servizi di Job Network e ai suoi membri. Vi si può accedere tramite 2500
terminali in 750 diverse postazioni, incluso il Centrelink Customer Service Centre, gli
uffici dei membri del Job Network e numerosi altri siti.
Un codice di condotta del Job Network è stabilito per assistere i membri, ma anche per
assicurare il miglior servizio ai candidati ed ai datori di lavoro; esso fa parte del contratto,
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
tra il Governo e i membri, secondo il quale questi ultimi devono attenersi agli standard
del codice. I principi del codice sono:
etica e rispetto;
assistenza accurata;
cortesia del servizio;
possibilità di esprimere insoddisfazione per il servizio;
osservanza del diritto alla privacy;
attenzione e cura dell’informazione.
È previsto anche un sistema di risoluzione delle controversie, attraverso il Customer
service Line. All’inizio si orienta il candidato verso la risoluzione consensuale della
controversia; qualora non si riuscisse a dirimerla, il candidato ha la possibilità di
contattare il Job Network Customer Service Line, che prevede le misure da adottare nei
confronti del candidato o del datore di lavoro inadempiente. Sono previste sanzioni nei
confronti di membri di Job Network che infrangono il codice.
Nel corso degli anni è cresciuta l’attenzione, da parte degli organi centrali, per la
qualità del servizio, che sarebbe dovuta risultare potenziata.
Il più importante cambiamento nel secondo Job Network fu l’introduzione del
Management Price Competition per l’Intensive Assistance.
Durante il primo Job network, per tale servizio esisteva un sistema a prezzo fisso; nel
secondo, al contrario, tutti i servizi di Job Network adottarono il sistema di Price
Competition, anche se una soglia minima fu mantenuta al fine di assicurare una precisa
qualità del servizio offerto.
Nel periodo del primo “contratto” si richiedeva ai fornitori di assistere diverse
tipologie di candidati; nel secondo divenne lecita la specializzazione in un singolo gruppo
come, ad esempio, quello dei disabili o dei candidati più giovani.
Il secondo Job Network conta circa 200 membri: più dell’80% sono organizzazioni
che hanno partecipato al primo. Il numero di providers è di circa 100 in meno rispetto al
primo Job Network: questa riduzione può essere attribuita, in parte, ad una scrematura
che ha interessato operatori non sufficientemente professionali ed, in parte, al fatto che
alcuni fornitori hanno costituito consorzi unendosi tra loro.
Inoltre, per il secondo, si era stabilito di ridurre il numero minimo di fornitori per un
dato servizio passando da cinque a due o tre, valorizzando l’integrazione dei servizi
forniti per ciascuna area.
Mentre si registra una riduzione del numero delle organizzazioni, il numero dei siti
Web risulta invece accresciuto in maniera significativa, passando da 1400 a più di 2000.
Durante il secondo periodo si è verificata, inoltre, una crescita dei piccoli operatori: se
durante il primo Job Network le organizzazioni non-profit raggiungevano il 30%, nel
secondo si è invece attestata intorno al 45%. Anche il settore privato è cresciuto, sebbene
la presenza del pubblico continui ad essere massiccia.
Per assicurare la massima trasparenza e l’equità nel trattamento di ciascun operatore,
nel primo Job Network si istituì il Probity Plan controllato da un Probity Adviser
88
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
indipendente. Questi strumenti, hanno permesso di accrescere la fiducia del pubblico nei
confronti del Job Network; secondo le valutazioni dell’Adviser, il primo periodo sarebbe
stato condotto nel pieno rispetto dei principi di equità e trasparenza. L’Australian
National Audit Office (Anao) ha concluso che il Job Network è stato condotto nel rispetto
dei requisiti richiesti dal Governo e che il Dewrsb ha gestito con efficacia i diversi rischi.
Il Ces è esistito per 50 anni e la sua attività era ben conosciuta sia dai lavoratori che
dai datori di lavoro, pertanto si ritenne necessario avviare una campagna informativa
diretta ai disoccupati, ma anche a tutta la collettività.
Questa consisteva in ricerche di mercato, statistiche e campagne specifiche per la
popolazione indigena o per quella non anglofona. Inoltre fu predisposto un servizio
telefonico ed un sito Internet per la massima capillarizzazione delle informazioni. Per il
periodo del secondo Job Network si cercò poi di potenziare, tramite un campagna mirata,
la diffusione delle informazioni presso i datori di lavoro, anche a livello locale.
L’accentramento presso il Centrelink dei servizi prima erogati da due diverse
organizzazioni – la funzione di controllo e di sostegno economico, prima svolta dal Social
Security Portfolio, veniva ad essere integrata con l’assistenza ai candidati
precedentemente offerta dal Ces – creò non poche difficoltà organizzative. A ciò si
aggiunga che, l’introduzione dell’obbligo di registrazione e di intervista dei disoccupati,
suscitò critiche nei confronti dei membri del Job Network, per l’eccessiva durata dei
“tempi di attesa” e per il numero limiti dei soggetti “serviti”. Tra il 1998 ed il 1999, il
Dewrsb e il Centrelink tentarono di ovviare a queste difficoltà attraverso l’utilizzazione di
supporti informatici che permettessero una registrazione ed un recruitment più veloce.
Alcune difficoltà inoltre derivarono dalla scarsa trasparenza dei servizi erogati
nell’ambito dell’Intensive Assistance, a causa dell’eccessiva flessibilità dello strumento.
Per questo, si decise di introdurre l’obbligo per gli operatori impegnanti nell’erogazione
di tale servizio, di dichiarare preventivamente il tipo di assistenza che ciascuna struttura
sarebbe stata in grado di offrire ai candidati interessati.
Tra l’agosto ed il dicembre 1998, inoltre, si stabilirono altre misure: da una parte, si
ampliò la platea dei soggetti inclusi nel servizio di Job Matching, il quale poteva così
riguardare anche i disoccupati non beneficiari di sussidi e, dall’altra, si decise, dopo
lunghe trattative, di riconoscere ulteriori sostegni economici a favore dello stesso
servizio.
Furono poi stanziati fondi da utilizzare per lo svolgimento di ricerche di mercato,
sondaggi, studi e per il riconoscimento di sostegni per i membri che stabilivano di ritirarsi
dal Network. Al 31 gennaio 2000 ben 22 membri, difatti, decisero di ritirarsi, anche se si
trattava di piccole organizzazioni.
Come anticipato, il Centrelink ha il compito di provvedere alla erogazione dei sussidi
di disoccupazione e, al contempo, di monitorare i beneficiari, sottoponendoli ad un
Activity test. Da questo strumento si desume reale propensione del disoccupato a trovare
un lavoro ed a seguire e svolgere tutte le attività previste nel suo Activity Agreement
personale. Queste possono essere di vario tipo e consistere in misure di inserimento al
89
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
lavoro, formazione ed attività di ricerca di lavoro.
Il fornitore dell’Intensive Assistance, per esempio, deve “negoziare” con ciascun
candidato un Activity Agreement, in cui si stabiliscono le attività che quest’ultimo dovrà
svolgere, a partire da due settimane dal primo contatto. Solo dopo, il fornitore potrà
sottoporre il “contratto” all’accettazione del Dewrsb.
Ai membri del Network è riconosciuta la facoltà di denunciare al Centrelink le
inadempienze del candidato rispetto agli impegni assunti nell’Activity Agreement. È
questo il caso di un soggetto che si rifiuti di partecipare ad un corso di formazione o che
non si presenti ad un colloquio.
Peraltro, sarà il Centrelink ad accertare se il candidato sia incorso in una violazione
dell’accordo, o se sussistano ragioni che hanno giustificano l’inadempimento. Solo se
questo è confermato, è prevista la possibilità di adottare misure sanzionatorie, più o meno
severe, sino ad arrivare alla riduzione dei sussidi. È chiaro che tali misure sono previste al
fine di stimolare il candidato ad una reale ricerca dell’impiego. Peraltro fino alla fine del
1999, il Centrelink ha confermato solo una limitatissima parte dei casi di inadempienza
“denunciati”.
Sansier M., Boutonnat D. (1997)
Relations between public and private employment agencies:
development of a framework for co-operation
Ilo, 1997
L’85a sessione della Conferenza internazionale sul lavoro ha adottato una
Convenzione ed alcune Raccomandazioni, relative alle Agenzie private per l’impiego. La
Convenzione sancisce che le agenzie private si occupino di tutte le incombenze relative
alla ricerca di lavoro, nel pieno rispetto dei principi di eguaglianza. I nuovi standard Ilo
stabiliscono le linee guida per la condotta di dette agenzie (Prea), onde evitare qualsiasi
tipo di illiceità. L’ultima parte della Convenzione, invece, riguarda i principi di
cooperazione tra il Servizio pubblico per l’impiego (Pes) e i Prea.
Appare utile, quindi, individuare i tipi di collaborazione esistenti tra questi due attori
del mercato del lavoro. A tal fine è stata realizzata un’indagine condotta dal Cabinet
Bernard Bruhnes International, che ha preso in considerazione tre Stati: l’Olanda, la
Francia e la Gran Bretagna, comparando il modo in cui il sistema privato interagisce con
quello pubblico e studiando la possibilità di creare un National Employment Council,
proprio indirizzato ad organizzare e regolare detta interazione.
In relazione alla Convenzione Ilo n. 88 si può notare che: in Francia, le parti sociali
lavorano direttamente di concerto con il servizio di pubblico impiego attraverso tre
organizzazioni. Si tratta del Agence nationale pour l’emploi (Anpe), la Association
nationale pour la formation professionnelle des adultes (Afpa) e la Union nationale
interprofessionnelle pour l’emploi dans l’industrie et le commerce (Unedic). Il Services
90
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
extérieurs du travail, de l’emploi et de la formation professionnelle (Setefp) rimane
un’istituto governativo. Materialmente i servizi all’impiego sono quindi rispettivamente
gestiti: matching dall’Anpe, il training dall’Afpa, i sussidi dall’Unedic, finanziamento e
supervisione Setefp.
In Olanda il servizio di pubblico impiego è un’istituzione semi pubblica dotata di un
apparato decisionale tripartito e decentralizzato. Lo Stato è posto in condizione di
assoluta parità con le parti sociali ed è rappresentato solo dal Central Employment
Council. A livello nazionale il Ministero degli affari sociali detiene il potere di
approvazione del budget. Le istituzioni costituite dalle parti sociali sono responsabili
della applicazione della disciplina in materia di ammortizzatori sociali, sebbene il
Industrial Insurance Administration Office (Gak) si occupi della gestione dei sussidi di
disoccupazione.
In Gran Bretagna il Pes dipende direttamente dal Governo, sotto la responsabilità del
Department of Employment. I Training and Enterprise Councils (Tec) sono
organizzazioni istituite dai datori di lavoro e gestite per 2/3 dagli stessi e per 1/3 dai
rappresentanti dei lavoratori che si occupano di assicurare che il livello e la accessibilità
della formazione sia adeguata, di sviluppare l’economia locale e di gestire l’occupazione
a livello territoriale.
Se in un’economia sana e in crescita, il controllo e la supervisione dello Stato, unico a
determinare le regole, può apparire benefico per tutti gli attori ciò non può accadere in
un’economia instabile che, al contrario, necessita la partecipazione anche di altre forze al
dialogo sulla strategia da adottare. Queste forze non possono che essere i rappresentanti
dei datori di lavoro e dei lavoratori, i quali dovrebbero aprire un dialogo con il Governo.
Il ruolo dello Stato è ambiguo. Esso, infatti, stabilisce le regole, penalizza chi sbaglia
ma, allo stesso tempo, ha un ruolo attivo quale mediatore tra le parti sociali. Al fine della
lotta alla disoccupazione, lo Stato deve necessariamente adottare una serie di misure,
quali:
difendere determinate categorie di lavoratori;
dare vita a speciali unità d’azione per quei settori in cui la mediazione ed il
reclutamento sono più complicati (manager e giovani);
creare unità di azione per il lavoro stagionale e temporaneo;
sviluppare tutte le strutture di supporto per chi cerca lavoro.
Negli ultimi anni l’azione dello Stato è molto cambiata promovendo lo sviluppo dei
servizio al lavoro, decidendo di coinvolgere nel mercato anche nuovi attori privati. In
realtà, se agli inizi il contributo di questi era richiesto solo per particolari settori, di
seguito esso si è esteso, così come la collaborazione tra questi e il servizio statale. Nella
maggior parte degli Stati, la politica del lavoro viene stabilita esclusivamente dal Pes, con
una serie di conseguenze negative:
una visione “isolata” delle politiche occupazionali, separate dalle altre politiche
pubbliche, ed un insufficiente grado di coordinamento con le politiche economiche ed
industriali;
91
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
le difficoltà operative incontrate dagli impiegati pubblici, il cui compito originario
non riguardava le politiche occupazionali, ma l’esercizio di funzioni di supervisione e
regolazione;
la difficoltà di gestire le politiche occupazionali con un’ottica più orientata alle job
vacancies e di dare priorità alle esigenze individuali dei job-seekers.
Lo sviluppo e l’evoluzione tecnologica, che ha caratterizzato il periodo dagli anni
Settanta in avanti, ha condizionato fortemente le aziende, pur creandone anche di nuove.
Queste ultime si sono organizzate in unità decentrate, al fine di sfruttare nel miglior modo
possibile le innovazioni del sistema del lavoro, anche riducendo i costi, grazie ad una
migliore organizzazione delle risorse umane ed al taglio dei posti di lavoro, così
contribuendo a creare una più vasta fascia di disoccupati.
Prima degli anni Settanta il quadro economico europeo era fortemente caratterizzato
dal settore manifatturiero, ma successivamente ciò si è modificato sotto il peso della
competizione internazionale. Guadagnare nel sistema produttivo significava soprattutto
ridurre i costi del lavoro e sfruttare al massimo le capacità dei singoli impiegati. Da
queste premesse, appare più che naturale la conseguente proliferazione del lavoro nonstandard e cioè diverso dal contratto di lavoro full-time e a tempo indeterminato, che
aveva rappresentato il fondamento del sistema occupazionale precedente.
Con l’introduzione dei nuovi profili e delle nuove forme di lavoro, si è iniziato a
parlare di flessibilità, mobilità professionale, adattabilità e training. Il concetto di
flessibilità è un fattore in continuo cambiamento. Esso è legato non solo alle modalità del
contratto, ma anche alle ore di lavoro. Anche la mobilità è un fattore in continuo
cambiamento, che tende a sottolineare la professionalità di un individuo, la sua
disponibilità agli spostamenti. L’adattabilità è divenuta la regola se si intende mantenere
un’occupazione e la formazione permette al lavoratore di migliorare le sue capacità
tecniche, di sviluppare il modo di pensare e di accedere alla cultura dell’innovazione.
Altro elemento fondamentale, utile non solo a chi ricerca lavoro ma anche al
funzionamento del mercato è quello della circolazione delle informazioni: la mancanza di
trasparenza nel mercato del lavoro apre la strada ad abusi a danno dei lavoratori,
restringendo la loro libertà di scelta. A tal fine la politica dei Governi si orienta verso la
diffusione delle notizie sul lavoro per velocizzarne la ricerca e potenziare la politica
economica.
Il collegamento tra i cambiamenti dei metodi produttivi, della disciplina del lavoro e
della circolazione delle informazioni hanno dato impulso alla revisione dei sistemi per
l’impiego. Quando un’impresa soffre di ristagno economico inizia a percepire la necessità
di nuovi interventi, al fine di migliorare le proprie risorse umane; è a questo punto che
decide di rivolgersi a soggetti esterni che possano risolvere le proprie difficoltà. Essa
raramente farà riferimento al soggetto pubblico, preferendo altri operatori. Da una
collaborazione univoca tra lo Stato e le aziende si passa, quindi, ad una situazione in cui
queste ultime preferiscono la presenza ed il sostegno di un numero notevole di altre
istituzioni, organizzazioni e persone giuridiche di vario genere, il cui impegno viene
92
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
considerato più adeguato alle reali necessità. Queste organizzazioni private, infatti, sono
dotate di maggiore elasticità e creatività nella risoluzione dei problemi nel settore lavoro,
i loro metodi danno maggiori garanzie e, non a caso, nei tre Stati presi in considerazione,
il loro valore è paragonabile a quello dell’organizzazione statale.
L’Ilo chiarisce il concetto di agenzia privata, al fine di delineare quegli operatori che,
come primaria o secondaria attività, si occupano del settore occupazione. L’espressione
“Agenzia privata per l’impiego” fa riferimento a qualunque persona, fisica o ente morale,
che, in posizione di indipendenza dal Governo, opera nel mercato del lavoro con il fine di
svolgere un servizio per l’impiego. L’espressione “qualunque persona fisica o morale”
vuole intendere compagnie o istituzioni o associazioni. L’Ilo ha inoltre adottato una
classificazione di 16 diversi tipi di agenzie, raggruppate in tre categorie, in base al
rapporto tra queste ed il loro cliente. Queste categorie sono: a) intermediaries: il cui fine è
il contratto di lavoro tra il datore e il candidato; b) skill providers: ove l’agenzia è il
datore di lavoro che “gira” il suo impiegato ad una terza parte la quale attribuisce un
compito al lavoratore controllandolo, senza essere il datore di lavoro; c) direct service
providers: che svolgono servizi collegati all’occupazione per un datore di lavoro o un
candidato.
Rientrano tra gli intermediaries:
Fee-charging agencies: questo tipo di agenzia agisce come intermediaria tra quanti
offrano e cerchino un’occupazione, senza diventare parte del contratto di lavoro. Si
tratta soggetti specializzati in particolari tipologie di lavoro, lavoratori o settori
dell’economia.
Agencies for employment abroad: questo tipo di agenzia è specializzata nel
reclutamento di lavoratori per l’impiego all’estero.
Agencies for the recruitment and placement of foreign nationals: queste selezionano e
reperiscono lavoratori all’estero per conto di datori di lavoro nazionali.
Executive search and selection agencies: sono pagate per le loro ricerche da parte del
datore di lavoro, spesso con una percentuale del salario e, in caso di servizio
prolungato, con una somma diversa.
Training and placement institutions: organizzazioni che offrono agli studenti un
servizio di placement e ricerca di lavoro.
Rientrano fra gli skill providers:
Temporary employment agencies (Tea). Una Tea può essere definita come qualunque
persona fisica o morale che, in base alle disposizioni della legge nazionale, svolge un
servizio di reclutamento di lavoratori con l’obiettivo di metterli in contatto con una
terza parte, che dirige il lavoro e con cui l’agenzia ha concluso uno specifico
contratto.
Manpower lending services: queste agenzie aiutano piccole aziende nella gestione del
loro personale in cambio di una somma prestabilita.
93
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Job shops: emanazione di società di consulenza formate da un personale di varia
qualifica che vendono il loro servizio alle aziende per periodi variabili.
Career management agencies: alcuni tipi di professionisti, quali gli appartenenti al
mondo dell’arte, della moda o dello sport, pagano queste agenzie per gestire la loro
carriera e negoziare i contratti.
Employment companies or intermediary associations: la finalità di queste agenzie è
trovare lavoro per il proprio personale con l’obiettivo di inserirlo nel mercato.
Offrono anche lavoro temporaneo e sono non-profit.
Rientrano fra i Direct service providers:
Outplacement agencies: in cambio di una remunerazione e in base alle richieste di un
datore di lavoro, l’agenzia fornisce una serie di servizi ad uno o più lavoratori non più
occupati. Aiutano il lavoratore a potenziare i propri skills e a scegliere un corso di
formazione finalizzato al ritorno nel mercato del lavoro.
Job search consultancies: agenzie che forniscono mezzi e tecniche di ricerca del
lavoro e di preparazione ai colloqui di ingresso nelle aziende.
Staff management consultancies: solo in alcuni casi si tratta di consulenti globali per
lo staffing nei settori manageriali in grandi aziende, mentre nella maggior parte tali
agenzie si limitano alla ricerca ed al reclutamento del personale in modo similare alle
headhunters.
Agencies which manage job advertising space: gestiscono spazi in cui compaiono
inserzioni di lavoro.
Agencies using employment databases: sono le più veloci nelle ricerche e nel
reclutamento, grazie alla utilizzazione dei più moderni sistemi informatici.
Il servizio pubblico di collocamento francese è formato da tre Istituzioni sotto il
controllo del Ministero dell’impiego e delle parti sociali:
il Setefp, che gestisce misure dirette al potenziamento della formazione professionale
ed alla riduzione della disoccupazione;
l’Anpe, il quale ha come obiettivo l’aiuto alla ricerca di lavoro e l’adozione di misure
per lo sviluppo della formazione di chi cerca lavoro. Esso è amministrato da un
consiglio e da un direttore generale, ha 22 delegazioni regionali, ciascuna delle quali
ha un comitato tripartito dotato di una grande indipendenza;
l’Afpa, anche questo organizzato da un Consiglio tripartito che si occupa della
formazione professionale;
l’Assedic, organizzato dalle parti sociali, e che è l’organo responsabile del pagamento
delle indennità ai disoccupati, ma anche della registrazione dei soggetti in cerca
lavoro.
Per quanto non siano parte del Pes, vanno menzionate anche le autorità regionali che
sostengono l’integrazione sociale di alcune categorie di job-seekers. Peraltro, l’attività
delle autorità regionali si estende anche oltre, con un’azione che mira al sostegno e
potenziamento del mercato del lavoro locale. Come si è visto, il Pes comprende in genere
94
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
molti organismi e non di rado si creano situazioni di competizione tra questi.
L’Anpe ha svolto un’azione coordinata con organi privati e pubblici; tale istituzione
basa le sue partnership focalizzando la sua azione in misure utili per lavoratori in
difficoltà. Nel giugno del 1995, Anpe ha firmato un accordo con:
l’Association pour l’emploi des cadres (Apec) con riferimento alle necessità dei
giovani laureati;
l’Assotion pour faciliter l’insertion professionnelle des jeunes diplômés (Afij), per
facilitare l’ingresso dei diplomati nel mercato del lavoro;
i Centri per l’informazione (Paio) cui ha delegato alcune delle sue funzioni di
mediazione.
Un accordo del 1995 tra Anpe e Unedic trasferì a quest’ultimo il compito di registrare
chi cerca lavoro. Successivamente al 1996 le registrazioni vennero trasferite all’Assedic
ed a ciascuna organizzazione fu attribuito un ruolo specifico.
Le competenze potrebbero essere così ricostruite:
Anpe: informazione, consulenza alle aziende, individuazione delle vacancies, aiuto
nella ricerca del lavoro;
Assedic: pagamento ed amministrazione dei sostegni per i disoccupati;
partners: servizi ed assistenza a particolari categorie che ricercano lavoro.
Il Pes olandese agisce in modo molto diverso, anche in virtù del un complesso sistema
decisionale da cui è caratterizzato, basato su un corpo tripartito, dove le forze sociali
hanno lo stesso peso del Governo.
Quest’ultimo, nel sistema, è rappresentato nel Central Employment Council (Cba) ove
detiene un terzo dei voti. Nei 28 consigli regionali, le municipalità (Rba), indipendenti dal
Governo, rappresentano gli interlocutori delle parti sociali. In ciascuno di questi
organismi, ogni parte è rappresentata da tre membri. Cba e Rba sono guidate da individui
indipendenti con una solida reputazione nella vita pubblica o nel privato, ma non hanno
voto. Il Cba stabilisce le linee della politica che devono essere applicate dal Rba nelle
rispettive regioni. Nel 1990 la legge sull’occupazione ha potenziato il ruolo delle Rba. Al
fine di ideare nuove misure per l’occupazione e di migliorare la ricerca di lavoro le Rba
hanno stabilito di stanziare fondi aggiuntivi per il finanziamento delle iniziative poste in
essere dalle agenzie private.
La Gran Bretagna non ha ratificato la convenzione Ilo n. 96 ed ha, pertanto, un settore
privato molto sviluppato. Il Pes si occupa del placement e dell’amministrazione dei
sussidi ai disoccupati. La politica pubblica si articola grazie all’azione di due corpi
separati: il Training and Enterprise Councils (Tec) che si concentra prevalentemente sul
training di chi cerca lavoro ed i Government Regional Offices (Gros) responsabili del
coordinamento delle misure adottate da tutti i soggetti coinvolti nel settore del lavoro.
Il Pes dipende dal Dipartimento dell’impiego ed è diviso in nove regioni ed in distretti.
Negli anni Ottanta il Governo separò la funzione di pagamento dei sussidi di
disoccupazione da quella di placement, affidata ad un nuovo network di Centri per
l’impiego, nati negli anni Settanta. Nel 1982 l’obbligo legale di registrarsi al fine di
95
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
ottenere i sussidi venne abolito. I centri persero così i contatti con gli uffici di erogazione
dei sussidi. Nell’ultima parte degli ultimi anni Ottanta venne varato un nuovo programma
che stabilì la riunificazione delle due funzioni.
Tale riunificazione è correntemente il fondamento della strategia britannica per
limitare la disoccupazione.
Nel 1985 furono varate altre riforme del Pes. Tutte prevedevano azioni più concentrate
su chi percepiva i sussidi. Si stabilirono inoltre misure orientate verso il potenziamento
della formazione. In base a queste nuove misure, tutti i giovani alla ricerca di lavoro
ottengono un voucher che permette loro di svolgere un tirocinio di loro scelta, dopo
l’approvazione da parte del servizio pubblico. I Tec sono organizzazioni private gestite
dai datori di lavoro e la loro funzione è quella di studiare i fabbisogni formativi e di
assicurare che tali esigenze siano adeguatamente soddisfatte. Esse assicurano equilibrio
tra domanda ed offerta di formazione; promuovono lo sviluppo economico locale e le
misure più efficaci a livello locale.
Lo studio dei paesi oggetto di indagine non mostra una vera e propria concorrenza tra
pubblico e privato. Questo dipende dal diverso orientamento del primo rispetto al
secondo e dai diversi settori di interesse che ciascuno degli stessi ha. Se il Pes, infatti,
rivolge maggiore attenzione nei confronti di determinate categorie di lavoratori più
svantaggiati, il Prea verso le categorie più “appetibili” sul mercato. Per questo motivo
non è raro che il pubblico ed il privato lavorino insieme, dando vita a delle vere e proprie
partnership che incidono con maggiore efficacia sull’andamento del mercato e
attribuiscono nuova linfa al sistema statale che diventa in grado di rispondere alle nuove
necessità di chi cerca lavoro. Servizi nuovi, come ad esempio quelli che mirano al
potenziamento degli skills e della formazione del soggetto, si stanno sviluppando. Come
già detto, durante gli anni Ottanta, nei tre Stati presi ad esame, la domanda di questi nuovi
servizi aumentò tanto da costringere i Governi ad adottare nuove misure, compresa la
collaborazione e l’integrazione di organismi pubblici e privati.
Nessuno dei tre Stati studiati prevede un istituto che coordini l’azione comune di
pubblico e privato. Ad ogni modo, in Francia, Olanda e, in misura minore, Irlanda del
Nord esistono organi che si occupano anche di regolare l’attività di tali soggetti e ciò
grazie alla possibilità di: concludere accordi; esternalizzare o delegare all’esterno parte
delle loro attività; cooperare, o gestire in partnership, operazioni finalizzate alla
protezione del lavoro e alla promozione della occupazione.
Attraverso la esternalizzazione dei servizi più importanti il Pes può monitorare gli
operatori privati; mediante il finanziamento di organizzazioni che si occupano di specifici
gruppi può influenzare i loro metodi organizzativi, procedure e pratiche professionali;
attraverso la conclusione di accordi formali il pubblico può trasferire alle organizzazioni
in partnership metodi e strumenti.
Inoltre, in tutti e tre gli Stati considerati esistono organismi che, con le loro decisioni,
possono influenzare la cooperazione tra pubblico e privato.
Tali strutture, spesso tripartite, ma che possono inoltre comprendere altri decision96
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
makers, come i rappresentanti delle autorità regionali, hanno permesso alle parti sociali di
giocare un ruolo importante nella lotta alla disoccupazione, anche se sono spesso
fortemente concentrate su propri gruppi di riferimento.
Quelli fra tali organismi che hanno dimostrato migliori capacità sono dislocati a livello
locale, tra l’altro grazie alla loro capacità di costruire legami tra operatori pubblici e
privati.
Nell’indagine vengono, infine, anche rassegnate esempi di sinergie sviluppate nella
pratica quali:
Placement agreement – Particolari organizzazioni sono autorizzate a raccogliere le
job vacancies per metterle a disposizioni dei lavoratori;
Cooperation agreement – Gli operatori si impegnano a cooperare con riguardo allo
svolgimento di operazioni comuni svolte a favore di particolari gruppi di soggetti;
Delegation of service, information – Gli operatori sono autorizzati ad informare i
propri clienti delle proposte di lavoro o dei servizi offerti dai Pes e a facilitare
l’accesso agli stessi;
Delegation of service, operations – Gli operatori sono autorizzati allo svolgimento di
tutte le funzioni svolte dal Pes, ad eccezione della registrazione dei disoccupati e
della gestione delle liste dei disoccupati;
Secondment of staff – Presso gli operatori viene distaccato un membro del Pes, a
titolo gratuito o contro il pagamento di una somma, in esecuzione di una misura
rivolta ad una particolare categoria di soggetti gestita dal Pes stesso;
Framework agreement – Accordi tra istituzioni e partner, spesso grandi aziende, per
dare assistenza speciale nel recruiting o nella rioccupazione dei lavoratori in procinto
di essere licenziati;
Partnership with outside consultants – Contratto per l’erogazione di servizi a favore
di lavoratori in cerca di occupazione o imprese, contro il pagamento di una
remunerazione prestabilita.
Il processo di cooperazione si sta sviluppando, conferendo maggiore credibilità e
rispettabilità alle nuove agenzie e migliorando l’immagine anche del servizio pubblico.
Alcuni fattori suggeriscono che la cooperazione sia destinata a crescere: il
trasferimento di tecnologia dal pubblico al privato, la nascita di consorzi multidisciplinari
e accordi di finanziamento, lo sviluppo di codici di condotta in materia di antidiscriminazione fanno pensare che, con una certa gradualità, tale sinergia si svilupperà.
È stato già sottolineata l’importanza della collaborazione tra i diversi soggetti del
mercato del lavoro, ma è utile anche comprendere come il ruolo dello Stato sia in un certo
qual modo “gravato” rispetto a quello degli altri operatori. Esso, infatti, ha l’obbligo di
garantire il miglior funzionamento possibile del sistema, definendo le strategie e le linee
guida, controllando l’amministrazione dei fondi e delle risorse, garantendo la trasparenza
e la circolazione delle informazioni.
Nell’ambito della cooperazione risulterebbe utile un programma comune di misure per
combattere la disoccupazione o potenziare il mercato del lavoro, nel nome di una
97
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
maggiore trasparenza che aiuti a mantenere alto i livelli occupazionali.
Nella ricerca si suggeriscono, infine, una serie di fattori cui si dovrebbe far riferimento
nella definizione di un codice etico per gli operatori pubblici e privati:
riservatezza: mantenere segrete le informazioni su chi cerca lavoro;
gratuità del servizio offerto a chi cerca lavoro;
divieto di disparità di trattamento;
potenziamento dell’informazione sui posti di posti di lavoro vacanti;
rispetto per il ruolo dei diversi operatori;
penalità in caso di mancato rispetto del codice di condotta.
Le partnership vengono realizzati mediante contratti o altri genere di accordi. In tale
ambito sono dettagliatamente definiti reciproci delle parti e, nell’allegato finanziario, è
stabilita la remunerazione per l’attività da svolgere. In essi inoltre è indicato il tipo di
risultato atteso in relazione alle misure adottate e alle difficoltà del mercato di
riferimento. In genere, è previsto il pagamento dell’operatore solo dopo che sono stati
controllati i risultati dell’attività realizzata.
Peraltro, potrebbero essere immaginati migliori sistemi di pagamento, quali
l’attribuzione di un voucher, che attribuisce il diritto di scegliere l’operatore, ovvero, nel
settore del placement, la previsione che gli operatori pubblici e privati vengano pagati con
un sussidio, quando trovino lavoro per un disoccupato di lunga durata o un disabile.
Sarebbe auspicabile, inoltre, l’istituzione di un nuovo framework istituzionale.
A livello nazionale, andrebbe costituito Council chiamato a controllare l’azione del
pubblico e privato, il quale dovrebbe avere una sezione aperta ai rappresentanti dello
Stato, dei lavoratori e datori di lavoro, di livello “inter professionale”. Gli stessi operatori
pubblici e privati dovrebbero, invece, avere potere propositivo in una seconda sezione,
mentre una terza dovrebbe riunire esperti di rilievo provenienti dal mondo del lavoro che
prendano parte alle deliberazioni del Council stesso. Le decisioni e le raccomandazioni di
tale organismo, deliberate successivamente alla determinazioni statali in materia di
strategia per l’occupazione, dovrebbero riguardare le regole per l’azione dei servizi
pubblici e privati e le modalità con cui assegnare agli stessi operatori un ruolo nelle
politiche occupazionali fissate a livello centrale.
Una quarta sezione dovrebbe rappresentare le autorità regionali, ove andrebbero
fissate le priorità da raggiungere, a secondo dei gruppi di riferimento e gli obiettivi da
raggiungere. Tali Consigli regionali dovrebbero riportare il punto di vista degli utenti dei
servizi per l’impiego, in modo che essi siano erogati sulla base dei bisogni espressi in tale
sede.
I compiti fondamentali del Council dovrebbero essere:
assicurare che gli operatori, aderenti al codice di condotta, siano riconosciuti come
“servizi per l’impiego”;
garantire la professionalità dei servizi pubblici e privati, promovendo la loro qualità e
controllando i loro comportamenti nei confronti della clientela;
rispondere alle fondamentali necessità dell’occupazione.
98
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
Lo stesso organismo dovrebbe occuparsi di fissare le condizioni necessarie per
esercitare la professione di consulente per l’impiego. Logico presupposto sarebbe peraltro
la previsione di apposite strutture che agiscano per la formazione professionale, in
collaborazione con le strutture scolastiche ed educative.
La credibilità di tali strutture verrebbe fortificata ove esse provvedessero alla
compilazione ed all’aggiornamento di una classificazione delle professioni e delle
competenze. In particolare, i Council regionali potrebbero assolvere questo compito
anche grazie alla loro maggior prossimità alle esigenze dei datori di lavoro e dei
lavoratori. I Council dovrebbero inoltre emettere una serie di raccomandazioni, basate su
un codice etico, per l’esercizio della professione. Le controversie dovrebbero essere
risolte presso questi organismi, ai livelli appropriati, nazionali o locali.
Thuy P., Hansen E., Price D.
The public employment service in a changing labour market
Ilo, 2001
Gli autori, dopo una dettagliata ricostruzione storico-politico-economica dei Pes, intesi
come strumenti di politica nel governo del lavoro, si soffermano sulle problematiche
connesse all’evoluzione del mercato del lavoro e al ruolo svolto dagli stessi nell’effettiva
collocazione delle risorse umane.
Attraverso un processo di astrazione si è giunti ad individuare le funzioni tipiche dei
Servizi pubblici per l’impiego, pur essendo differenti le realtà politiche o i contesti sociali
in cui si trovano ad operare i Pes dei diversi paesi.
I compiti svolti dalle suddette strutture vengono così ad essere raggruppati in macro
categorie consistenti in:
attività di mediazione fra domanda ed offerta di lavoro alla quale si affiancano tutti i
servizi offerti ai disoccupati di lunga data ed alle imprese da lungo tempo in cerca di
lavoratori;
attività di raccolta, elaborazione e diffusione delle informazioni relative al mercato
del lavoro;
attività di gestione dei programmi di adeguamento e di inserimento nel mercato del
lavoro, fra i quali assumono particolare rilevanza i programmi di formazione ed
istruzione. Pur essendo predisposti dagli organi di Governo, tali programmi sono
sempre sottoposti alla valutazione dei Pes, i quali attraverso semplici attività di
monitoraggio li giudicano in ordine all’efficacia e all’efficienza;
attività di assistenza ai lavoratori nelle forme dell’assicurazione contro la
disoccupazione (unemployment insurance) e dei sussidi di disoccupazione
(unemployment assistence). La prima finanziata attraverso i contributi dei datori di
lavoro e dei lavoratori, mentre i secondi gravanti sulla spesa pubblica.
A queste funzioni se ne sono aggiunte delle altre, fra le quali giova ricordare, il
99
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
collocamento dei lavoratori stranieri, la risoluzione delle controversie in materia di
lavoro, il controllo sull’idoneità dei piani di risanamento per le aziende in crisi.
Affinché i Pes possono svolgere la loro attività in piena autonomia, ma nel rispetto
delle strategie in materia di politica del lavoro è necessario che:
tali strutture siano dotate di un’organizzazione di mezzi e persone in grado di
realizzare gli scopi dell’Ente;
i servizi offerti dai Pes siano fruibili dall’utenza (lavoratori, disoccupati, datori di
lavoro, imprese, ecc.);
i Governi prevedano forme di finanziamento per l’attività posta in essere;
gli organi istituzionali verifichino la rispondenza dell’attività svolta con gli obiettivi
fissati dalle legge.
Con riferimento alle modalità con cui scelgono di operare i Pes, gli autori sottolineano
una nuova tendenza volta al decentramento del potere e delle responsabilità dalle strutture
centrali a quelle periferiche.
A tal fine, i Pes centrali mantengono le funzioni primarie, quali ad esempio la
funzione di raccordo con il Governo, spetta invece ai Pes regionali o locali implementare
le strategie politiche volte al soddisfacimento delle esigenze sorte nelle aree in cui gli
stessi operano.
In questo modo, ad avviso degli autori, i servizi offerti divengono più accessibili e
maggiormente rispondenti ai bisogni dell’utenza nei vari segmenti del mercato del lavoro.
Tale esperienza è condivisa da paesi quali Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Francia,
Messico, Nuova Zelanda, Polonia, Svezia, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America.
L’ultima parte dell’opera è dedicata ai rapporti fra i Pes e altri organismi comunque
coinvolti nel mercato del lavoro. Appare, evidente, infatti, come il declino del monopolio
pubblico nei Servizi per l’impiego abbia determinato un forte incremento nelle attività di
collaborazione fra soggetti portatori di interessi diversi.
In particolare, si segnalano: i rapporti fra Pes e parti sociali; i rapporti fra Pes e
soggetti istituzionali; i rapporti fra Pes e enti locali; i rapporti fra Pes e Prea.
Van Yperen J. C.
Labour Market Policies and the Pubblic Employment Services:
Lesson from Recent Experiences and Directions for the Future
Marketing to employers in the Netherlands
Oecd, Praga, 3 e 4 luglio 2000
Il servizio pubblico per l’impiego olandese è fondato su di una condivisione delle
relative responsabilità tra lo Stato, le municipalità e le parti sociali, basata
sull’Employment Service Act, normativa di riferimento, adottata nel 1990 e riveduta nel
1996. Lo scopo principale del Pes è di contribuire ad un effettivo incontro di domanda e
di offerta di lavoro, apprestando servizi ai disoccupati di lunga data ed offrendo analoghi
100
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
servizi alle imprese da lungo tempo in cerca di impiegati.
Altro scopo del Pes è assicurare la trasparenza del mercato del lavoro (ad esempio,
facilitando l’accesso alle informazioni inerenti il mercato del lavoro).
Infine, il Pes è competente in ordine al compimento di alcune procedure relative agli
aspetti amministrativi del lavoro (ad esempio, la concessione di permessi).
Il Pes è strutturato intorno a due servizi fondamentali: i servizi pubblici
(fondamentali), che saranno sostituiti ed integrati con i Centri per l’impiego e le entrate
(Cwi); i servizi a pagamento.
Prima dell’introduzione del sistema tripartito, il Pes poteva essere descritto come una
struttura fortemente caratterizzata dall’intervento dell’amministrazione pubblica.
La recente “demonopolizzazione” dei Servizi per l’impiego, tuttavia, ha comportato
incisivi cambiamenti nella struttura e nell’azione del Pes.
La strategia attuale del Pes è basata su: l’apprestamento di servizi per il mercato del
lavoro; il raggiungimento di una posizione di forza tra le Agenzie per l’impiego; la
cooperazione con diversi settori dell’industria e dell’economia.
La strategia del Pes è traslata in un pacchetto bilanciato di attività fondamentali, che
attribuisce grande importanza alle necessità di quanti siano in cerca di un lavoro e di
quanti siano disposti a fornire un posto di lavoro.
La strategia di mercato del Pes comprende: la classificazione delle persone in cerca di
lavoro in quattro categorie (a seconda delle esperienze pregresse, della motivazione e
delle conoscenze tecniche dei lavoratori); lo sviluppo e l’introduzione dell’assistenza
totale per i lavoratori, nonché la cooperazione con le altre Agenzie per l’impiego.
Il Pes sviluppa quattro diversi servizi per i differenti gruppi di fruitori: servizi
fondamentali per il grande pubblico (essenzialmente, l’incontro di domanda e di offerta);
la verifica della fruibilità dei sussidi a favore delle persone in cerca di lavoro; servizi per
determinati settori dell’economia e dell’industria; servizi di trasferimento, mobilità per le
imprese.
a) I servizi fondamentali. La maggior parte dell’attività del Pes è rappresentata dai
servizi fondamentali per l’impiego. Questi – totalmente gratuiti – sono resi ai fruitori
in più di 200 uffici locali del Pes e comprendono: servizi di informazione sul mercato
del lavoro; pubblicazioni – guida sulle disponibilità di posti di lavoro; incontro di
domanda e di offerta di lavoro; procedure legali.
b) I servizi settoriali. Ma l’aspetto più caratterizzante del sistema olandese è, certamente,
rappresentato dai servizi per determinati settori dell’economia; accordi per un
determinato gruppo di imprese, rappresentanti di un particolare settore della
produzione. Molti “colli di bottiglia” del mercato del lavoro si manifestano, infatti, ad
un livello settoriale. Questo concetto, piuttosto inusuale nell’ambito degli stati
europei, consente di ritagliare una maggiore conoscenza delle necessità e delle
aspirazioni di determinati settori dell’economia e, dunque, di rendere un servizio più
confacente ai vari settori. Ad avviso dell’autrice, i servizi basati sulla divisione in
settori di intervento è uno strumento rimarchevole per un più efficace svolgimento
101
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
della missione del Pes; una simile strategia ha, infatti, consentito un accesso ad una
più approfondita conoscenza del mercato di riferimento, oltre ad un servizio migliore
in favore delle imprese beneficiarie. Tanto è accaduto sin dal 1998, quando un
determinato gruppo di settori di mercato – metallurgia, salute, commercio,
educazione ed edilizia – è stato fatto oggetto di un programma speciale di intervento.
La diretta conseguenza dello sviluppo settoriale del mercato è rappresentata – per
l’appunto – dal concetto di servizio totale per l’impiego: gli impiegati del Pes sono,
infatti, più vicini alle aspettative delle parti sociali.
c) I servizi a pagamento. I servizi a pagamento – erogati alle imprese che ne facciano
richiesta – comprendono: l’attività di ricerca e selezione di personale intensiva;
l’addestramento dello staff; avvisi individuali relativi al reperimento di personale.
Questi servizi dovrebbero autofinanziarsi e possono essere prestati anche attraverso la
stipulazione di convenzioni con agenzie private.
d) Servizi correlati a determinate categorie di personale. Il Pes si occupa anche delle
categorie svantaggiate dal punto di viste dell’inserimento nel mercato del lavoro. In
particolare, ci si riferisce alle categorie protette (disabili, disoccupati di lunga data o
di età superiore a 40 anni, minoranze etniche ed immigrati extracomunitari). Lo scopo
fondamentale è, naturalmente, quello dell’impiego.
Van Yperen J., Nederland A. (2002)
Marketing to employers in the Netherlands
presentato a Praga il 3-4 luglio
L’analisi del processo di trasformazione del mercato del lavoro nei Paesi Bassi e,
quindi, anche dei Servizi pubblici per l’impiego, acquista una certa rilevanza poiché
spesso si parla del “modello olandese”, avendo come riferimento i brillanti risultati
conseguiti in termini di riduzione del tasso di disoccupazione. Significative sono in tal
senso le seguenti cifre: dal 1994 al 1998 il tasso di crescita annuo dell’occupazione è stato
pari al 2,3% e nel 1999 ha raggiunto addirittura il 3,5%; il tasso di disoccupazione nel
1999 si è assestato ad un livello di poco superiore al 3%.
Nella molteplicità dei fattori che hanno determinato questo successo, un ruolo di
primo piano deve essere attribuito alla riforma del sistema di welfare e dei meccanismi
che regolano il funzionamento dei mercati, ivi compreso il mercato del lavoro.
Il paper, dopo aver presentato una sintetica descrizione del funzionamento del mercato
del lavoro nei Paesi Bassi, dell’organizzazione dei Spi e dei servizi da questi offerti, si
sofferma sulle attività di marketing per la promozione del servizio pubblico presso gli
imprenditori, mettendo in particolare evidenza i prodotti ed i servizi offerti, le strategie di
comunicazione e di marketing ed il supporto offerto.
Infine, poiché il processo di riforma è tutt’ora in corso, sono riportate alcune
considerazioni sui cambiamenti che, presumibilmente, caratterizzeranno l’organizzazione
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
ed il funzionamento dei Spi in un prossimo futuro.
Dagli inizi degli anni 90, i Servizi pubblici per l’impiego dei Paesi Bassi sono stati
caratterizzati da un processo di deregolamentazione e di decentramento.
Fino al 1991, i Spi erano sostanzialmente un ente burocratico, la cui attività era rivolta
solo ed esclusivamente al collocamento dei disoccupati. A seguito di alcune leggi del
1990 e del 1996, i Spi, invece, sono stati trasformati, da un punto di vista organizzativo,
in un ente tripartitico che si avvale della co-partecipazione del Governo, degli enti
territoriali e delle parti sociali. Agli enti territoriali locali, con il supporto degli uffici
regionali, è stata affidata anche l’attuazione operativa delle politiche per l’occupazione.
La funzione principale assegnata ai Spi, è quella di favorire l’incontro tra domanda e
offerta di lavoro, offrendo servizi sia alle persone in cerca di occupazione, sia alle aziende
che necessitano di personale da assumere. Oltre a tale attività, ai Servizi pubblici per
l’impiego è stato assegnato anche il compito di garantire la trasparenza del mercato del
lavoro, favorendo la circolazione delle informazioni e promuovendo l’incontro tra
disoccupati e datori di lavoro.
Con riguardo ai disoccupati, i Spi sono tenuti a realizzare colloqui finalizzati alla
“misurazione” del grado di occupabilità degli stessi, e di individuare la procedura più
idonea per favorire il loro collocamento. Inoltre, a tale istituzione è stata anche delegata la
fornitura di alcuni servizi legali (ad esempio quelli relativi ai permessi di lavoro, ai
licenziamenti, ecc.).
Complessivamente, i servizi offerti dai Spi alle persone in cerca di lavoro si
suddividono in due grandi categorie: il servizio pubblico di base gratuito ed i servizi di
reintegrazione a pagamento.
Le attività di base dei Spi sono coordinate, assieme a quella degli enti locali
(responsabili per l’elargizione di sussidi sociali) e a quella delle agenzie per la sicurezza
sociale (a cui è affidato il compito del pagamento dei sussidi di disoccupazione e di altri
benefici assicurativi), da un organismo denominato Centre for Work and Income (Cwi).
Sia la responsabilità individuale di ciascuno di questi enti, sia i loro rapporti reciproci,
sono tuttavia ben definiti e regolamentati. Questa organizzazione è in via di
implementazione e non ha ancora concluso il processo di riforma.
Per quanto riguarda il secondo gruppo di servizi offerti dai Spi, cioè i servizi di
reintegrazione a pagamento, occorre sottolineare che il processo di riforma in corso mira
alla costituzione di un organismo indipendente, con un proprio status legale e con proprie
risorse finanziarie. Tale trasformazione sarà posta in essere al fine di rafforzare la
competizione nel campo dei servizi di formazione del personale delle aziende, dei servizi
a sostegno della mobilità dei lavoratori (sia interna che esterna all’azienda) e dei servizi
di assistenza alle aziende per la rimozione di vincoli o contrasti che possono penalizzare
le stesse. I servizi offerti agli imprenditori possono essere distinti in tre grandi categorie:
servizi di base a singoli datori di lavoro, servizi gratuiti ad organizzazioni settoriali e
servizi a pagamento nell’ambito delle politiche per la mobilità dei lavoratori.
I servizi gratuiti a favore degli imprenditori sono finanziati dal Governo centrale e
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sono erogati, invece, dagli uffici locali. Tali servizi consistono essenzialmente: nella
fornitura d’informazioni e suggerimenti, nell’acquisizione e pubblicazione di eventuali
posti di lavoro vacanti, nell’agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e nello
svolgimento di procedure legali (permessi di lavoro, licenziamenti, ecc.).
La prima tipologia di servizio è realizzata:
incoraggiando gli imprenditori a registrare le domande di lavoro presso i Spi per via
telefonica, o per iscritto o attraverso un incontro nell’azienda;
confermando entro le 24 ore successive l’avvenuta registrazione ed i servizi
accordati;
designando una persona dell’ufficio alla gestione dei rapporti con ogni singola
azienda;
ridefinendo i profili delle persone cercate dall’azienda, nel caso in cui fossero di
eccessivo difficile reperimento;
consentendo all’imprenditore la scelta tra una pubblicazione full-open, in cui tutti i
dettagli vengono presentati ai candidati, o semi-open, in cui invece sono diffuse solo
alcune informazioni concordate con il consulente;
conducendo una selezione dei candidati sulla base di criteri oggettivi.
I servizi collettivi consistono, sostanzialmente, nella collaborazione con le parti sociali
per la stipula di contratti di lavoro collettivi a livello nazionale, regionale ed anche locale.
Ciò contribuisce a migliorare la conoscenza da parte dei Servizi pubblici per l’impiego,
delle necessità espresse da ciascun settore produttivo, a eliminare conseguentemente
eventuali colli di bottiglia sul versante della domanda e a realizzare servizi calibrati su
singoli operatori.
Proprio per lo sviluppo di questo servizio, è stato approntato dai Spi uno strumento
informativo speciale denominato “Sectormonitor”, vale a dire un database, contenente
tutte le informazioni settoriali rilevanti, che consente di individuare i problemi presenti a
questo livello e quindi di intervenire con misure opportune per correggerli.
In generale, i progetti fin qui descritti sono finanziati sia dal Ministero competente, sia
dalle parti sociali. Per quanto concerne i servizi a pagamento, vista la loro natura si
presuppone che essi siano in grado di autofinanziarsi, e pertanto non sono previsti fondi
da parte del Ministero per coprirne eventuali costi.
Questi servizi non gratuiti riguardano la selezione ed il reclutamento di lavoratori, la
gestione dei lavoratori in mobilità, la formazione dello staff e la consulenza individuale,
talvolta anche in cooperazione con agenzie private.
I servizi di reintegrazione sono erogati dai Servizi pubblici per l’impiego, solo in
relazione a categorie speciali di lavoratori (disabili, ultra quarantenni, extracomunitari,
appartenenti a minoranze etniche, ecc.), che incontrano particolari difficoltà ad inserirsi
nel mercato del lavoro. In particolare, per le minoranze etniche ai Spi è stata attribuita la
funzione di controllo dell’applicazione di una legge quadro, che obbliga le imprese ad
assumere una quota proporzionale di persone appartenenti a questi gruppi.
Gli sviluppi fin qui descritti, rispondono all’esigenza di perseguire una strategia di
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lotta alla disoccupazione incentrata su tre obiettivi fondamentali: rispondere alle esigenze
del mercato del lavoro, raggiungere un elevato livello di competitività nel mercato dei
servizi di collocamento e rafforzare la cooperazione con le organizzazioni settoriali e
industriali.
Il conseguimento di questi obiettivi generali, ha portato allo sviluppo di un insieme di
attività basilari, rivolte ad affrontare i problemi sia dal lato dell’offerta di lavoro, sia dal
lato della domanda, cercando di implementare un approccio attivo nell’ambito della
gestione dei processi di trasformazione del mercato del lavoro.
Per organizzare ed erogare i servizi agli imprenditori, i Spi hanno sviluppato diversi
strumenti e metodi di marketing e comunicazione. In particolare, ci si è concentrati sulla
condivisione delle informazioni, sulla conoscenza delle possibilità esistenti e
sull’incremento dell’uso dei servizi offerti dai Spi per supportare e coadiuvare gli
imprenditori.
L’implementazione di questa strategia, prevede il ricorso a tutti i mezzi di
comunicazione oggi disponibili, vale a dire dalla distribuzione di giornali specializzati,
all’utilizzo di siti internet, dalla realizzazione di campagne pubblicitarie di promozione,
all’organizzazione di meeting e di visite presso le aziende.
Tutto ciò è realizzato secondo un’ottica orientata specificatamente al mercato e al
cliente. La distinzione netta tra servizi gratuiti e quelli a pagamento (sempre più
accentuata), il bilanciamento tra il soddisfacimento degli imprenditori e quello dei gruppi
di disoccupati di più difficile collocazione e l’interazione diretta con gli imprenditori ne
sono un esempio.
In questo senso, la stessa qualità dei servizi offerti dai Servizi pubblici per l’impiego
costituisce di per sé un essenziale strumento di marketing. A garantire il perseguimento di
questo obiettivo, è rivolto proprio lo sviluppo dei servizi a livello settoriale, il ricorso al
concetto di servizio completo e l’implementazione del cosiddetto market canvassing
model nella gestione dei rapporti con gli imprenditori.
Walwei U. (1998)
Performance Evaluation of Public Employment Services
Ilo
Questo rapporto dell’Ilo si concentra sull’implementazione delle attività di
monitoraggio e valutazione di quella che è, ancora oggi, la funzione principale dei Servizi
pubblici per l’impiego: il collocamento.
In particolare, il rapporto offre sia una discussione approfondita delle motivazioni
razionali che sospingono lo sviluppo di adeguati sistemi di valutazione delle
performance, sia delle linee guida per l’implementazione di diversi sistemi di
misurazione. I Spi possono essere definiti come dei match makers, in opposizione ai
cosiddetti market makers, in quando non partecipano ad attività di scambio sul mercato,
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
ma si limitano a favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta.
In quest’ottica, un importante compito assegnato ai Spi è quello di ridurre l’incertezza,
su entrambi i lati del mercato, derivante principalmente dall’eterogeneità (segmentazione)
del mercato del lavoro, ma anche dal fatto che l’attività lavorativa è un bene d’esperienza
(good experience).
A causa dell’incertezza, quando i costi di ricerca sono elevati, l’intervento di mediatori
comporta un beneficio netto per la collettività. Per contro, quando la ricerca rappresenta
un costo contenuto, il ricorso a mediatori può ridurre il benessere sociale.
L’incertezza, e il fatto che il lavoro si sviluppi secondo una curva di apprendimento,
fanno sì che la reputazione dei servizi di collocamento sia fondamentale per il loro
utilizzo da parte di potenziali clienti (imprese e persone in cerca di occupazione). In
questo senso, il successo dei servizi d’intermediazione dipende da un continuo processo
di confronto con la fiducia del mercato e, quindi, assumono essi stessi la veste di beni
d’apprendimento.
Ora, in un mercato perfetto ideale non ci sarebbe motivo alcuno per l’esistenza di
Servizi pubblici per l’impiego, ma sarebbero presenti solo intermediari privati (Pres).
Nella realtà, diversi studi hanno evidenziato come gli intermediari privati tendano a
concentrarsi sui lavoratori dotati di esperienza (già occupati) ed a localizzarsi nelle aree
metropolitane. Ne consegue che le loro possibilità di avere successo crescono in periodi
di crescita economica e si riducono in periodi di stagnazione o recessione.
In queste condizioni la mancanza di un servizio di intermediazione pubblico,
produrrebbe effetti negativi in termini di efficienza e di equità. Ciò dipende dal fatto che,
mentre le agenzie private tendono ad escludere terzi dall’accesso alle informazioni in loro
possesso, i Spi offrono gratuitamente ad ogni soggetto presente sul mercato il bene
pubblico, vale a dire l’informazione, favorendo la trasparenza del mercato e l’incontro tra
domanda e offerta. Inoltre, mentre le Pres tendono a localizzarsi nelle regioni più
prospere, i Spi coprono l’intero territorio nazionale e la loro azione è indipendente dal
ciclo economico.
Il fatto che le Pres si concentrino principalmente sulle persone in cerca di lavoro più
facilmente collocabili, genera una maggiore segmentazione del mercato ed un incremento
del numero dei disoccupati con minore occupabilità. Questo è uno degli argomenti sociali
più forti a sostegno dell’intervento pubblico nell’intermediazione del lavoro.
Diversi sono, comunque, i fallimenti del mercato che rendono indispensabile
l’intervento dei Spi: la mancanza d’informazioni rende più difficile una ricerca efficace;
la mancanza di razionalità dei disoccupati che spesso non agiscono nel proprio interesse;
il comportamento avverso al rischio e la carenza di risorse finanziarie non favoriscono il
perseguimento di una strategia atta ad adeguare le proprie qualifiche professionali o ad
avviarsi nel lavoro autonomo; la presenza dei Spi può aumentare le aspettative di trovare
un’occupazione; il persistere della disoccupazione di lunga durata può rappresentare una
causa di gravi problemi sociali. Inoltre, i problemi strutturali del mercato del lavoro
(disoccupazione di lunga durata e deficit degli skills richiesti dal mercato) non possono
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essere risolti esclusivamente dando maggiore spazio alle Pres. Per contro, l’intervento dei
Spi può essere utile a tal fine, poiché essi dispongono di tutte le informazioni necessarie e
possono combinare le politiche per il collocamento con altre politiche attive. Ciò non di
meno, l’intervento dei Spi deve essere valutato attentamente in termini di costi e benefici
sociali.
Nel recente passato l’organizzazione dei Spi, che, occorre ricordarlo, sono ancora i
principali fornitori di servizi per l’occupazione, ha subito profondi cambiamenti. Senza
scendere nei dettagli, le motivazioni alla base di questo processo di riorganizzazione sono
essenzialmente le seguenti:
l’innalzamento delle qualifiche professionali richieste sul mercato del lavoro, la
riduzione del peso delle attività industriali e, conseguentemente, della grande
impresa;
l’insoddisfazione degli imprenditori a causa dell’inadeguatezza dei candidati reclutati
attraverso i Spi;
la crescente domanda di servizi richiesti ai Spi ed i problemi del vincolo di bilancio
sofferti, in genere, dalla pubblica amministrazione hanno portato, in molti casi,
l’attenzione degli stessi verso compiti non propriamente coincidenti con la loro
originaria funzione (collocamento);
l’apertura del mercato ai privati ha richiesto la riconsiderazione del ruolo dei Spi: le
agenzie private possono essere viste come concorrenti, complementari o, addirittura,
cooperanti dei Spi, ma, in ogni caso, la coesistenza dei due giustifica la
concentrazione delle limitate risorse pubbliche su quei settori che non sono serviti dal
mercato.
Le riforme intraprese nella maggior parte dei paesi di area Ocse possono essere
semplificate essenzialmente in tre gruppi: la definizione di un servizio più orientato al
cliente, il decentramento e i metodi di esercizio delle funzioni di controllo.
Rispetto al primo punto, l’obiettivo generale della riforma consiste nel modificare
l’organizzazione dei Spi, in modo da non aggravare lo staff che si occupa del
collocamento di ulteriori compiti più o meno istituzionalizzati. Ciò dovrebbe consentire,
o avrebbe dovuto consentire l’erogazione di un servizio completo al cliente, l’avvio di
sistemi computerizzati ed il miglioramento dei contatti con il mondo imprenditoriale (sul
modello delle agenzie private).
La seconda linea di riforma, il decentramento, trova il suo fondamento nella
convinzione che i problemi del mercato del lavoro, si originino soprattutto a livello locale
e, conseguentemente, occorre portare i servizi “vicino” agli attori principali del mercato e
collaborare con essi. Non si tratta però solo di decentrare la localizzazione degli uffici dal
punto di vista fisico, ma occorre soprattutto un decentramento funzionale, che consenta
una maggiore flessibilità del processo decisionale (mantenendo la direzione strategica a
livello centrale e lasciando autonomia nella gestione delle risorse).
Infine, un elemento essenziale delle riforme in atto, concerne la misurazione dei livelli
di performance delle attività dei Spi. Ciò appare essenziale sia per quantificare
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
l’efficienza dei Spi rispetto all’attività passata, sia per calibrare in modo migliore gli
obiettivi per il futuro. L’implementazione di corretti sistemi di valutazione presuppone,
però, l’esistenza di sistemi informativi adeguati e di idonei indicatori. In modo
particolare, un set di indicatori propriamente definito:
consente di comprendere il livello di efficienza nell’uso delle risorse e di verificare se
gli obiettivi sono stati raggiunti;
permette di comparare, in termini di efficacia, i diversi uffici (si tratta di una
condizione essenziale per gestire il passaggio da un management organizzato in modo
burocratico ad uno orientato per obiettivi);
costituisce una condizione necessaria per prendere decisioni orientate ai clienti (ad
esempio per capire in quale misura un servizio è richiesto dal mercato).
Idealmente, la valutazione è un processo dinamico, che si sviluppa parallelamente allo
svolgimento delle attività stesse che si intendono valutare, all’interno del quale si possono
distinguere tre fasi: valutazione ex-ante, monitoraggio e valutazione ex-post (valutazione
d’impatto).
La valutazione ex-ante ha un carattere tipicamente politico (è cioè legata al contesto
politico di riferimento) e mira, nella sostanza, ad individuare il problema da affrontare e
le eventuali soluzioni a disposizione, favorendo la scelta tra le stesse che massimizza il
benessere sociale (attraverso l’elaborazione di analisi costi-benefici) e anche a delineare il
fabbisogno informativo, necessario per l’effettuazione della scelta, nonché le eventuali
attività rivolte all’integrazione del quadro informativo (ad esempio la necessità di
effettuare studi sperimentali, ecc.).
Il monitoraggio (o valutazione di performance) concerne la valutazione in corso
d’opera di una qualsiasi attività, attraverso l’utilizzo di specifici indicatori. Nel caso dei
Spi, tipici indicatori sono quelli che riguardano il numero di collocamenti (e la
distribuzione tra i diversi gruppi di clienti), la quota di mercato, il grado di successo, il
grado di soddisfazione degli utenti, ecc. Tale sistema di misurazione della performance,
non solo costituisce una pre-condizione necessaria alla valutazione ex-post, ma consente
altresì una rapida identificazione dei problemi emersi nella fase di attuazione delle
politiche ed un’analisi del livello di efficienza raggiunto con le risorse disponibili.
Infine, la valutazione ex-post (o d’impatto) implica il confronto tra i risultati di una
certa attività e una situazione alternativa (generalmente caratterizzata dall’assenza della
politica stessa), in modo da ottenere una misura del benefico netto. I risultati di questa
procedura di valutazione permettono, quindi, di comprendere se una determinata politica
è appropriata, necessita di aggiustamenti, ovvero deve essere sostituita con un’altra. Si
tratta, in altre parole, di valutare se questo stesso risultato poteva essere ottenuto senza
l’intervento (dei Spi in questo caso), ovvero con una politica alternativa meno onerosa da
un punto di vista sociale. Un ulteriore elemento della valutazione d’impatto riguarda la
valutazione degli effetti macro (incremento dell’occupazione, decremento della
disoccupazione e la riduzione della disoccupazione di lunga durata), che possono essere
generati dalle attività dei Servizi pubblici per l’impiego. Poiché gli effetti macro sono da
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considerarsi positivi solo qualora i posti di lavoro coperti attraverso l’azione dei Spi non
sarebbero stati tali senza il loro supporto, o se un disoccupato che ha trovato una
occupazione attraverso il servizio pubblico non ha semplicemente sostituito un
disoccupato che non ha fatto ricorso ai Spi, questo tipo di valutazione richiede la
misurazione del deadweight effect e degli effetti di sostituzione e di spiazzamento.
È, comunque, importante ribadire l’interrelazione esistente tra la fase di monitoraggio
e quella di valutazione ex-post. Da un lato, infatti, i risultati degli studi d’impatto, poiché
consentono di stabilire se e quale servizio deve essere offerto, possono essere utilizzati
per definire standard ragionevoli di performance, che consentano di esprimere giudizi
sull’efficienza relativa di diversi uffici. Dall’altro lato, l’utilizzo di sistemi di misurazione
della performance consentono di sviluppare studi d’impatto basati su “regioni
sperimentali” e “regioni di controllo” (ad esempio cambiamenti organizzativi possono
essere studiati confrontando la situazione “prima” come opposta a quella “dopo” il
cambiamento). L’impatto può così essere misurato attraverso le variazioni degli indicatori
di performance. Inoltre, gli indicatori possono essere impiegati anche per valutare effetti
macro (ad esempio si può utilizzare la curva di Beveridge, che mette in relazione il tasso
di posti di lavoro liberi e il tasso di disoccupazione, per misurare l’impatto di un dato
livello di mismatch tra domanda e offerta di lavoro).
I servizi di collocamento offerti dai Spi influenzano i costi ed i benefici sia delle
attività di ricerca di un’occupazione, sia di quelle rivolte all’assunzione di personale.
Inoltre, come si è già avuto modo di anticipare nella premessa, l’attività dei Spi può
produrre effetti macroeconomici sull’occupazione, sulla disoccupazione, nonché sullo
sviluppo del capitale umano.
Evidentemente, questi sono tutti obiettivi perseguibili, in quanto una maggiore
occupazione consente maggiori entrate fiscali e maggiori contributi sociali. D’altra parte,
se questo incremento si traduce in una riduzione della disoccupazione, vi sarà una minore
spesa pubblica per sussidi di disoccupazione e una riduzione degli effetti sociali negativi
causati dalla mancanza di lavoro per un lungo periodo.
Chiaramente, l’intervento pubblico via Spi, produce un benefico netto solo se esso
accresce il beneficio lordo (a parità di costi) o se diminuiscono i costi (a parità di
benefici).
Tuttavia, la valutazione dei benefici netti dell’intervento dei Spi (in relazione ad altre
ipotesi) richiede la considerazione di diversi fattori: il costo dell’accesso alle agenzie (nel
caso dei Spi è nullo); il costo di acquisire e selezionare le domande di lavoro; il costo di
essere disoccupati o avere un’occupazione inadeguata per un certo periodo; le
caratteristiche del lavoro (prospettive di guadagno iniziale o di lungo periodo).
Diversi studi, basati sulle tecniche dei “quasi esperimenti” hanno concluso, in modo
simile, che l’intervento dei Spi riduce la durata della disoccupazione e aumenta le attese
di guadagni futuri. Inoltre, vi è una maggiore efficacia per le donne che non per gli
uomini e prima, piuttosto che dopo, il termine del ricevimento dei sussidi di
disoccupazione. Poiché il costo diretto dei servizi offerti dai Spi è molto basso, si può
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concludere che il loro intervento sia efficace in termini del contenimento dei costi sociali.
Ovviamente, anche dal lato degli imprenditori vi sono costi e benefici impliciti
nell’uso dei Spi per l’assunzione di personale. I fattori più rilevanti sono in questo caso
(sempre in relazione ad altri metodi di ricerca): il costo di utilizzo degli intermediari
(sempre nullo nel caso dei Spi); il costo opportunità della gestione della ricerca
internamente; il costo opportunità di non riempire il posto vacante (o non farlo
adeguatamente). Studi d’impatto in questo caso rilevano risultati contrastanti
dell’efficacia dei Spi. Un effetto positivo dei Spi è stato rilevato in termini di riduzione
della durata media delle vancancies o del tempo richiesto per il soddisfacimento di una
domanda. Dall’altro lato, altri studi hanno evidenziato, per l’economia americana, una
riduzione di produttività quando l’assunzione avviene attraverso i Spi, rispetto all’uso di
altri canali di reclutamento. Tuttavia, un simile risultato si manifesta anche in caso di
ricorso ai servizi delle Pres. Ciò deriva dal fatto che il costo in termini del tempo
necessario per assumere qualcuno è decisamente minore, quando sono usati canali
informali rispetto al ricorso ai Spi o alle Pres. Da ciò se ne deduce che gli imprenditori
non sono a conoscenza di quanto poco costi rivolgersi ai Spi e si rivolgono agli uffici
pubblici solo quando non sono in grado di coprire il posto vacante.
Per quanto concerne gli effetti macro si hanno impatti positivi sui livelli occupazionali
quando, come già anticipato, un posto coperto attraverso i Spi non sarebbe stato tale se
fossero stati usati altri canali o, comunque, ciò avrebbe richiesto più tempo. Per contro,
effetti positivi in termini di riduzione della disoccupazione si hanno qualora un
disoccupato non avrebbe trovato un impiego senza il ricorso al servizio pubblico (o
avrebbe necessitato di un tempo maggiore). In generale, quindi, l’impatto macro dipende
dalla dimensione degli effetti di deadweight, di sostituzione e di spiazzamento. Il primo si
verifica quando una persona o un imprenditore avrebbe soddisfatto le sue esigenze in
modo eguale anche senza il ricorso ai Spi.
L’effetto di sostituzione riguarda, invece, le imprese e le persone in cerca di lavoro
che non si registrano presso i Spi. Infatti, molte (o più probabilmente la maggior parte)
delle domande di lavoro sarebbero soddisfatte, altrettanto velocemente, anche senza il
ricorso ai Spi. Ciò comporta costi a livello macro che consistono essenzialmente nella
riduzione dei guadagni di breve e lungo periodo e aumento dei trasferimenti ai lavoratori
non iscritti alle liste di collocamento; nell’aumento del tempo richiesto per coprire i posti
vacanti e aumento del turnover delle aziende non registrate.
Nel caso più estremo i benefici potrebbero essere completamente annullati dai costi
imposti su altri lavoratori o aziende.
Tuttavia va ricordato che sostituire un disoccupato di lunga durata con una persona
che diviene per la prima volta disoccupato, contribuisce a ridurre il costo sociale della
disoccupazione, poiché quella di lunga durata è più difficile da contrastare. Infine,
l’effetto di spiazzamento si ha quando l’attività dei Spi estromette dal mercato altri
intermediari. Uno dei pochi studi sull’impatto macroeconomico dei Spi, con dati relativi
agli anni 80 dell’economia canadese, ha evidenziato come, in termini di riduzione dei
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sussidi di disoccupazione, il servizio pubblico migliori, in modo sostanziale, il beneficio
sociale durante i periodi di recessione. Ciò potrebbe dipendere dal fatto che l’intensità
dell’attività di ricerca è correlata al ciclo economico, poiché l’utilizzo dei canali informali
non è così efficace nei periodi di recessione. A livello macro, oltre agli impatti diretti,
occorre tener conto anche degli effetti indiretti. Tali effetti consistono principalmente
nell’aumentare il valore del capitale umano e nel favorire le occupazioni che consentono
un migliore utilizzo delle attitudini professionali e, quindi, più produttive.
Elementi teorici e studi di economia applicata hanno evidenziato che il beneficio
sociale netto maggiore si ottiene quando l’attività dei Spi è diretta verso i disoccupati
appartenenti alle categorie più deboli e verso quelle vacancies più difficili da soddisfare.
Oltre a ciò bisogna aggiungere che, comunque, i Spi garantiscono l’erogazione dei loro
servizi senza disparità regionali e indipendentemente dal ciclo economico.
Questi argomenti implicano che i Spi, nell’organizzazione dei propri servizi,
dovrebbero assumere delle priorità. Ad esempio, la loro azione è più efficace nei periodi
di recessione e che non possono essere attivati e disattivati da un momento all’altro,
sarebbe opportuno che le risorse fossero comunque reindirizzate, in modo da produrre
effetti anti-ciclo. In secondo luogo, poiché i Spi sono particolarmente importanti nelle
regioni meno prospere, occorrerebbe distribuire le risorse agli uffici locali in modo più
adeguato.
Infine, una questione politica strategica per i Spi è relativa alla scelta se concentrarsi
sugli utenti più deboli o servire l’intero mercato. Da questo punto di vista, è stato
evidenziato come negli Stati Uniti l’adozione di strategie di concentrazione degli sforzi
verso i disoccupati di più difficile collocazione abbia generato risultati negativi, a causa
della perdita di credibilità presso gli imprenditori.
A tale proposito è stata sviluppata la teoria denominata carrier-wave, secondo la quale
avere un’elevata quota di mercato nel collocamento ed avere rapporti frequenti con gli
imprenditori, favorisce il collocamento degli utenti più difficili. Nonostante l’evidenza
confermi questa teoria, i Spi si trovano a dover affrontare il problema di mantenere un
giusto equilibrio tra soddisfare le esigenze degli imprenditori e perseguire i fini sociali
propri della loro attività.
Mantenere una buona reputazione presso i clienti, di entrambi i lati del mercato, è,
dunque, un aspetto essenziale. Imprenditori e persone in cerca di lavoro si rivolgeranno,
infatti, ai Spi solo se si aspettano qualche beneficio. In questo senso, il numero delle
persone e aziende registrati sono indicatori importanti di efficacia e di performance (ad
esempio, un numero elevato di domande registrate innalza la probabilità di collocare un
disoccupato appartenente alle categorie più difficili). Su questo stesso tema, altri
indicatori importanti sono il numero di domande soddisfatte, il tipo di servizio utilizzato
ed il grado di soddisfazione del cliente.
In generale, il ruolo degli indicatori di performance è doppio. Da un lato, essi
consentono il monitoraggio sia degli input che degli output del processo produttivo dei
Spi, consentendo la costruzione della base informativa su cui effettuare gli studi
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d’impatto, che, a loro volta, sono fondamentali per definire il livello di attività e la
struttura ottimale dei Spi. Dall’altro lato, gli indicatori consentono di verificare se gli
obiettivi sono raggiunti o meno nell’arco temporale prefissato.
Sotto questo profilo, particolarmente rilevante è l’assegnazione di target di
performance poiché offrono una misura visibile dell’efficienza. Questo è un concetto
estremamente significativo per i Spi perché, se vogliono evitare ulteriori privatizzazioni,
o addirittura la scomparsa, essi devono essere in grado di dimostrare, in modo trasparente,
la loro capacità di offrire servizi migliori di chiunque altro, a parità di costi.
L’utilizzo di sistemi basati su obiettivi di performance deriva dall’implementazione
delle tecniche del management per obiettivi, in opposizione a quello, presente spesso
nella pubblica amministrazione, basato sulle direttive burocratiche. Gli obiettivi, sia
quantitativi che qualitativi, devono essere definiti per gli uffici operativi locali, le diverse
unità all’interno di questi e anche per i singoli operatori. Ciò assicura che l’attività venga
svolta in un modo più orientato al mercato, con relazioni più aperte e strette con gli utenti.
Tre sono i principali vantaggi che derivano dall’applicazione di un simile sistema.
Il management per obiettivi richiede competenze elevate, che consentono una
maggiore partecipazione al processo decisionale a tutti i livelli. Inoltre, dall’erogazione di
servizi diversi dovrebbe conseguire un elemento di competizione tra i vari uffici locali,
che è alla base di un miglioramento della qualità del servizio stesso. Occorre, però,
evitare di creare condizioni di lavoro troppo stressanti derivanti dalla definizione di
standard di performance eccessivamente stringenti.
In secondo luogo, queste tecniche hanno la capacità potenziale di motivare lo staff. A
tale proposito è, però, necessario che tutti siano a conoscenza degli obiettivi e ne abbiano
una piena comprensione. Sarebbe, quindi, opportuno che venissero definiti di comune
accordo tra i dirigenti ed il personale operativo, in modo che tutti si sentano più motivati.
Infine, la definizione di target, in un approccio customer-oriented, aiuta a
comprendere quanto siano soddisfatti i bisogni dei clienti.
Webster E., Harding G. (2001)
Outsourcing Public Employment Services: the Australian experience
in The Australian Economic Review, vol. 34, no. 2
Questo paper è alquanto significativo, in quanto descrive il rapporto tra Servizi
pubblici per l’impiego ed istituzioni private in Australia. Tra i paesi dell’area Ocse,
l’Australia può essere oggi considerata, come il paese in cui la pratica dell’outsourcing,
vale a dire l’affidamento a soggetti terzi privati di alcune attività “pubbliche”, è
maggiormente diffusa. In particolare, questo processo ha riguardato non solo il servizio
del collocamento, ma anche più in generale tutto il mondo produttivo e, a partire dagli
anni Novanta, anche l’erogazione di molti servizi sociali prima prodotti da organizzazioni
pubbliche. Dal 1998, con la costituzione del Job Network, tale processo ha coinvolto
112
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
direttamente l’erogazione dei Servizi per l’impiego.
L’articolo, dopo aver enunciato le ragioni teoriche che supportano l’intervento
pubblico nel mercato del lavoro, e dopo aver descritto alcuni elementi empirici circa gli
effetti dell’outsourcing di alcuni servizi finanziati dal governo, propone un’accurata
descrizione delle trasformazioni strutturali che hanno caratterizzato l’offerta dei Servizi
pubblici per l’impiego.
È, peraltro, posto in evidenza come, ancora alla fine del 2000, le riforme in oggetto
non fossero state sottoposte ad un completo processo di valutazione e, quindi, come non
sia possibile dare un giudizio circa tale innovazione.
Il livello di competizione di un mercato e l’organizzazione della proprietà sono
concetti economici collegati, ma non necessariamente conseguenti l’uno dall’altro.
Tuttavia, molte attività finanziate pubblicamente hanno anche la proprietà pubblica e
sono state, per lungo tempo, protette dalle forze concorrenziali del mercato. Ciò si è
verificato piuttosto spesso e ancora oggi si presenta come un carattere persistente nel
settore dei servizi sociali.
La competizione orienta il lavoro e le altre risorse economiche della produzione in
modo tale che i produttori non stabiliscano prezzi superiori ai costi, incrementati di un
profitto “normale”, e che i consumatori non spingano i prezzi ad un livello troppo basso,
da non consentire ai produttori di spuntare quel prezzo che consente loro di guadagnare il
“normale” profitto.
Inoltre, la pressione competitiva induce i produttori ad organizzare la produzione sulla
base della migliore tecnologia esistente sul mercato (solo in questo modo possono essere
efficienti, cioè produrre al minor costo possibile a parità di qualità e quantità, e possono
quindi rimanere sul mercato) e ad innovare, evitando i fenomeni di obsolescenza
economica e le inefficienze che ne possono conseguire.
La moderna teoria economica ritiene che sia sufficiente la minaccia dell’entrata di
nuovi competitori per “costringere” i produttori già operanti sul mercato ad agire secondo
regole concorrenziali. I mercati nei quali questa minaccia è plausibile sono detti
contendibili (contestable markets). Quanto minori sono i costi di entrata ed uscita da un
mercato, tanto più contendibile sarà lo stesso e, conseguentemente, tanto più
concorrenziale sarà il comportamento degli agenti ivi presenti. Ne consegue che, tanto
maggiore è la contendibilità, tanto maggiore sarà l’efficienza del mercato.
I costi di accesso e di uscita sono legati all’entità dell’investimento iniziale (prima di
iniziare la produzione), alla possibilità di accedere alle migliori tecnologie esistenti e alle
informazioni, ai vincoli legislativi, ecc. Nel caso dei servizi sociali, che sono forniti o
finanziati dal settore pubblico, spesso la mancanza di accesso alle risorse pubbliche da
parte di privati ha fatto considerare tale mercato come non contendibile e,
conseguentemente, non competitivo.
D’altra parte però, la presenza del settore pubblico è necessaria laddove sono presenti
esternalità positive o vi sono questioni di giustizia sociale, perché la sola presenza dei
privati condurrebbe ad una fornitura di servizi non ottimale. Ad esempio, un’erogazione
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
di servizi che favoriscono l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro maggiore di quello
che accadrebbe in una pura economia di mercato, è necessaria data la presenza di
considerevoli esternalità positive generate dal fatto che tutta la comunità si avvantaggia di
questi servizi, sia attraverso una riduzione delle tasse pagate (perché si amplia la base
produttiva), sia perché si tratta di servizi aperti a tutti.
Se però, in alcuni casi, è necessario che lo Stato finanzi certe produzioni, non è
altrettanto indispensabile che lo Stato produca direttamente tali beni o servizi. In
aggiunta, ciò non impedisce che sia creato un ambiente competitivo tra i fornitori di
servizi finanziati con risorse pubbliche.
Storicamente, la fornitura di alcuni tipi di servizi da parte dello Stato è stata vista
come necessaria perché evita (o minimizza) il bisogno di monitorare la qualità del
servizio dei fornitori privati e la soddisfazione dei cittadini che, magari, senza l’intervento
pubblico godrebbero di un livello di consumo sub ottimale.
In un mercato perfettamente competitivo, questo bisogno di monitorare non sussiste
perché se il consumatore non è soddisfatto cambia il fornitore. La perdita di ricavi che ne
deriva spinge i produttori a soddisfare i clienti nel modo più efficiente possibile. Per
contro, se lo Stato finanzia un servizio ma non lo produce direttamente, sorge il problema
di monitorare se i fornitori privati operano in modo efficiente ed efficace.
Poiché è comunque lo Stato ad essere responsabile dei risultati, se non è in grado di
monitorare l’attività dei privati in modo efficiente è più efficace che sia lo Stato stesso a
fornire il servizio. Questa condizione si verifica generalmente quando diviene difficile
definire esattamente il tipo di servizio da affidare ai privati, o il servizio viene prodotto
nell’interesse della collettività, ovvero è difficile definire un contratto vincolante (con
adeguate sanzioni) per il soggetto privato.
Da tali difficoltà non consegue, però, che tutti i servizi per cui è difficile misurare
l’output e, quindi, svolgere un’adeguata attività di monitoraggio, devono essere prodotti
dall’amministrazione pubblica.
Infine, occorre notare che la presenza dello Stato (o quale fornitore o quale
finanziatore) non impedisce che si crei un mercato concorrenziale. In molti casi la
competizione può essere introdotta attraverso un sistema di incentivi, che agisca in
sostituzione dei segnali del mercato (ad esempio in molti paesi le scuole, competendo le
une con le altre nell’attrarre studenti, definiscono le risorse finanziarie a loro
disposizione). D’altra parte, la competizione è spesso in contrasto con la cooperazione e
questo può non essere desiderabile in alcuni settori sociali, soprattutto laddove il bisogno
di innovazione e di riduzione dei costi non sono elementi chiave del processo decisionale
politico. Il contracting out dei servizi pubblici persegue, generalmente, l’obiettivo di
acquisire, nell’erogazione degli stessi, alcune delle caratteristiche desiderabili proprie di
una economia di mercato, regolata dai principi della concorrenzialità (contendibilità). Tali
elementi desiderabili fanno riferimento, soprattutto, alle capacità di produrre al minimo
costo, di innovare e di rispondere efficacemente alle esigenze del mercato stesso.
Se questi guadagni di efficienza possono essere raggiunti senza andare a discapito dei
114
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
principi dell’equità sociale e della qualità dei servizi, allora la pratica dell’outsourcing
dovrebbe consentire un accrescimento del benessere sociale.
Nella pratica, come è stato affermato dalla Commissione per l’Industria Australiana, la
maggiore significatività dell’assegnare l’erogazione di servizi pubblici a soggetti privati
(tramite procedure di gara d’appalto) risiede nell’indurre le agenzie pubbliche ad una
revisione profonda della propria attività, favorendo un cambiamento culturale
dell’ambiente di lavoro, che non sarebbe altrimenti raggiungibile attraverso meccanismi
burocratici.
A fronte di questi fattori a sostegno dell’assegnazione a intermediari privati
dell’erogazione di servizi pubblici, è comunque rimarcata la necessità che la
responsabilità dei risultati rimanga in capo all’ente pubblico. Esso dovrebbe essere in
grado di esercitare un controllo sull’effettiva traslazione degli obiettivi generali
d’interesse pubblico in servizi dettagliatamente specificati, sull’effettiva produzione dei
servizi e sul rispetto dei principi di equità nell’erogazione. A tale scopo è necessario fare
chiarezza nella formazione dei contratti d’appalto riguardo alla definizione delle
responsabilità e alla valutazione dei risultati.
In Australia vi sono diversi studi che hanno cercato di misurare gli effetti
dell’outsourcing in diverse branche dell’attività pubblica (servizi postali, raccolta di
rifiuti, ecc.). Tuttavia, la valutazione che di norma viene compiuta, fa riferimento alle
variazioni dei prezzi e dei costi di produzione nel breve periodo.
In questo senso, molti studi hanno evidenziato una riduzione dei costi unitari di
produzione a causa soprattutto di una migliore gestione del servizio, di un accesso a
risorse umane più qualificate e di un migliore utilizzo dello stock di capitale. Tuttavia, è
stato anche notato che il miglioramento della qualità dei servizi non è sempre la ragione
della riduzione dei costi unitari, ma, in molti casi quest’ultima è determinata
semplicemente da una riduzione dei salari.
Il già citato studio dell’Australian Industry Commission ha identificato sei tematiche
che dovrebbero essere considerate quando si desidera assegnare a soggetti privati,
attraverso il meccanismo della gara pubblica, l’erogazione di servizi pubblici.
1. Contratti troppo brevi possono limitare la propensione all’investimento non
consentendo la remunerazione dei capitali investiti. Dall’altra parte, contratti troppo
lunghi riducono le possibilità di controllo sulla performance e la flessibilità delle
politiche adottabili dal governo.
2. In mercati piccoli o emergenti la limitata competizione può dar luogo a forme di
monopolio, che si traducono nella formazione di prezzi superiori a quelli che
consentono di massimizzare il benessere sociale.
3. La perdita di informazioni, di personale qualificato e, quindi, di know-how può
ridurre nel lungo periodo la capacità di formulare adeguati indirizzi di politica.
4. I costi di realizzazione delle procedure di gara, di monitoraggio e di valutazione della
performance possono essere estremamente elevati, soprattutto laddove sia difficile
definire precisamente il tipo di servizio.
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
5. I costi fissi legati alla sovra abbondanza di personale e al mantenimento di personale
dedicato alla supervisione del procedimento di outsourcing possono essere di
notevole entità.
6. Può non essere possibile mettere a punto un sistema di incentivi che riduca le
possibilità di insorgenza di fenomeni di creaming o di riduzione della qualità dei
servizi.
Il mercato del job broking in Australia ha visto da molti anni la coesistenza del settore
pubblico e di quello privato.
Dal 1948 al 1998 il principale attore pubblico è stato il Commonwealth Employment
Service (Ces), il quale ha operato congiuntamente ad altre agenzie statali minori.
L’obiettivo principale del Ces consisteva nel facilitare il funzionamento del mercato del
lavoro, gestendo le domande di lavoro degli imprenditori e fornendo servizi di
collocamento gratuiti, sia ai medesimi imprenditori che alle persone in cerca di lavoro.
Inoltre, tale ente cooperava con il Dipartimento di sicurezza sociale (Dss) nell’elargizione
dei sussidi di disoccupazione (con compiti peraltro di sola notifica dei disoccupati che
non rispettavano le regole per la percezione dei benefici). È interessante notare come tra
le persone in cerca di lavoro che più facevano ricorso ai servizi del Ces, ci fossero i
disoccupati e le persone meno qualificate.
Come detto, accanto agli enti pubblici nel mercato del collocamento, operava
un’ampia gamma di aziende private, che agivano essenzialmente in mercati di nicchia,
fornendo soprattutto servizi a pagamento agli imprenditori. Dal lato dell’offerta, non vi
erano obblighi di fornitura del servizio verso chiunque e, quindi, vi era un’attenta
selezione delle persone in cerca di lavoro, con la conseguenza che le più rappresentate
erano le persone dotate di abilità professionali molto elevate e/o già occupate.
Va tuttavia notato, che la maggior parte dei disoccupati trovava lavoro senza far
ricorso ai servizi di collocamento pubblici e privati.
La gestione individualizzata del collocamento viene introdotta per la prima volta nel
1987 nello Stato di Vittoria, a seguito del riconoscimento della scarsa conoscenza da
parte dei disoccupati di lunga durata delle possibilità offerte dai vari programmi di
assistenza nazionali.
Successivamente, anche altri stati hanno sviluppato singoli esperimenti di case
management, ciascuno orientato su specifici gruppi di clienti (ad esempio lo Stato del
New South Wales ha orientato il servizio verso i giovani e le persone in età matura dando
maggiore importanza alla formazione).
Il governo nazionale ha, invece, aumentato la sua presenza sul mercato del
collocamento e dell’incontro tra domanda e offerta a partire dal 1980, istituendo diversi
organismi e dando inizio a molteplici programmi di avviamento al lavoro (si pensi ai Job
clubs per l’assistenza alla ricerca del lavoro, all’Old e New Newstart Programme rivolti a
sussidiare la formazione e l’occupazione, prima dei disoccupati di lunga durata e
successivamente di tutti i senza lavoro, ecc.). In particolare, tra il 1994 e il 1996 il
governo australiano ha rafforzato il suo ruolo nel campo dei servizi di consulenza nel
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
mercato del collocamento, istituendo l’Employment Service Regulatory Authority, Esra.
Nello stesso periodo ha dato il via al processo di outsourcing di molte delle sue funzioni
di gestione personalizzata dei servizi di collocamento.
Dal luglio 1995, la gestione dei servizi personalizzati viene svolta sia da operatori
privati, che da enti locali. Si tratta nel complesso di 300 agenzie, attive in 550
localizzazioni, di cui il 40% private, il 50% afferenti ad enti locali e il rimanente 10%
gestiti da enti statali o regionali e da istituzioni culturali.
Il finanziamento di queste attività, basato sui risultati ottenuti in termini di persone
collocate, ha rappresentato un incentivo al collocamento di quante più persone possibile.
Nel maggio 1998, un importante processo di riforma coinvolge il mercato dei servizi
di collocamento. Il Ces viene abolito, il Dipartimento di sicurezza sociale (Dss)
trasformato e la grande maggioranza dei servizi di collocamento e dei servizi
personalizzati viene privatizzata. Inoltre, il finanziamento di tutte le attività collegate al
mercato del lavoro è ridotto di oltre il 50%.
Il vecchio sistema, incentrato sul Ces per l’erogazione dei servizi di collocamento e
sul Dss per il conferimento del diritto di accedere ai servizi del Ces e per la riscossione
dei sussidi, è modificato con la creazione di un nuovo ente, il CenterLink, che rimane
sotto il controllo e la supervisione del governo.
Il diritto all’assistenza è valutato sulla base di una procedura formale, che mira a
classificare le persone secondo una scala a punti, che permette di quantificare il livello di
assistenza necessario. Sulla base del punteggio, i disoccupati e coloro che sono in cerca di
lavoro, vengono indirizzati ad una delle agenzie private che erogano i servizi, finanziati
dal governo, di incontro tra domanda e offerta, di formazione e di assistenza
personalizzata.
Tali agenzie sono tutte inserite nel così detto Job Network, che conta circa 300
agenzie: pubbliche, private e municipalizzate. Il diritto di accesso a questa rete è
accordato sulla base di aste concorrenziali, le cui variabili discriminanti sono il prezzo di
offerta e la qualità del servizio. I fornitori dei servizi sono inoltre classificati sulla base di
altri criteri, come l’esperienza, le qualità professionali dello staff, la stabilità e la
responsabilità fiscale. Le agenzie che vincono l’appalto sono successivamente valutate
sulla base dei risultati ottenuti, in termini del numero di persone che trovano
un’occupazione duratura in lavori non sussidiati.
Quanto alla gestione delle risorse finanziarie, esse hanno una certa discrezionalità nel
gestire i fondi governativi derivanti dai successi conseguiti nel collocamento: possono
concedere sussidi salariali, sussidi di formazione e organizzare corsi di formazione,
oppure possono conservare le somme percepite e produrre reddito.
Il Governo, tramite i Dipartimenti del lavoro, controlla le procedure di gara per
l’affidamento ai privati dei servizi di collocamento e case management, valuta le
performance degli stessi, determina i criteri per accedere al Job Network, gestisce i
sistemi informativi e dispone i pagamenti ai fornitori dei servizi pubblici.
Inoltre, le procedure di gara per l’ingresso nel Job Network, la procedura di
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
trasmissione dei candidati dal CenterLink ad un fornitore dei servizi e il modo in cui il
Job Network gestisce le persone in cerca di lavoro, sono strettamente vincolate da linee
guida precise, da procedure legali e da contratti.
Occorre notare che tutti i disoccupati (ma anche altre categorie come tutti i giovani tra
i 15 ed i 20 anni) hanno il diritto di accedere ai servizi di incontro tra domanda e offerta. I
servizi di case management sono, invece, riservati solo ai disoccupati che ottengono
punteggi molto bassi (in genere si tratta di disoccupati di lunga durata o di quelli a rischio
di divenirlo).
Infine, il sistema prevede una serie di feedback sia tra le agenzie del Job Network e il
CentreLink, sia tra le persone in cerca di occupazione e lo stesso CentreLink. Le agenzie
hanno l’obbligo di denunciare qualsiasi violazione dei reciproci obblighi, mentre i
disoccupati hanno il diritto di esprimere le loro lamentele nei confronti del procedimento
di riferimento dal CentreLink all’operatore del Job Network.
Allo stato attuale non esistono studi che analizzino in modo approfondito gli effetti
della riforma introdotta nel 1998, che ha portato alla quasi completa privatizzazione dei
servizi di collocamento e di case management. Tuttavia, esistono rapporti interni di
diversi organismi che consentono di trarre alcune considerazioni sulle prime esperienze di
privatizzazione in questo campo.
Da uno studio interno non pubblicato, condotto nel 1990 sull’esperienza del JobLink,
risultava che i più elevati tassi di collocamento erano registrati dalle agenzie private
piuttosto che da quelle gestite dagli enti locali (45% contro 39%). Questo esito veniva
però attribuito, più che a concetti di efficienza, a diversità territoriali che caratterizzavano
il mercato del lavoro. Inoltre, sono stati registrati importanti effetti di creaming, dato che
i disoccupati di durata inferiore ai 12 mesi avevano una probabilità quasi doppia di
trovare un occupazione, rispetto a quelli di lunga durata.
Uno studio successivo condotto dal Department of Employment, Education, Training
and Youth Affairs (1996) suggerì come i tassi di collocamento delle agenzie private e di
quelle locali erano simili a quelli dei servizi pubblici, se si scontavano le diversità nelle
categorie di persone in cerca di occupazione, nelle loro caratteristiche e nella lunghezza
temporale dell’esperienza del fornitore del servizio. Inoltre, visto che i servizi pubblici
trattavano un numero di persone superiore, circa il 30% in più, rispetto ai fornitori non
pubblici, ciò implicava che la produttività del lavoro era maggiore nel servizio pubblico,
contrariamente a quanto ci si poteva attendere.
Secondo lo studio della Commissione Industriale (1996) tale esito può essere spiegato
dal fatto che i guadagni di efficienza derivanti dalla privatizzazione, sono generati dai
miglioramenti della gestione e dell’operatività. Tuttavia, la relativa inesperienza delle
agenzie non pubbliche (sia private, sia locali) ha creato un contrappeso negativo, che ha
annullato i possibili guadagni di efficienza.
Infine, per quanto riguarda l’ultima riforma, un ulteriore studio del 2000, ha messo in
evidenza una riduzione della performance rispetto all’esperienza precedente la riforma.
Tuttavia, ciò potrebbe essere dovuto alla drastica riduzione dei fondi di finanziamento
118
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
che ha caratterizzato la riforma. In generale, i processi di contracting out generano un
miglioramento dell’efficienza qualora essi riescano a modificare il management,
introducendo una più intensa specializzazione ed un senso del lavoro più customer
oriented. In caso contrario, una riforma interna dei sistemi di monitoraggio del lavoro e
del sistema di incentivi, può condurre a risultati anche migliori.
Nel caso dei Servizi pubblici per l’impiego, il processo di outsourcing sperimentato in
Australia, suggerisce che da esso non derivano necessariamente miglioramenti delle
performance, anche se, allo stato attuale, non ci sono dati sufficienti per analizzare a
fondo il problema. Questa condizione di incertezza nasce dalla considerazione che il
contracting out dovrebbe condurre a guadagni di efficienza a parità degli altri fattori, che,
al contrario, variano. Da un lato, rimangono, infatti, costi in capo all’amministrazione
pubblica (legati alla sovrabbondanza di personale, alla perdita di conoscenze e di
expertise). Dall’altro, si vengono a formare costi per la comunità, laddove il mercato
concorrenziale preclude la cooperazione tra diversi soggetti pubblici e privati.
Dunque, se non vi è una nitida consapevolezza che il sistema attuale non funzioni in
modo adeguato e che i clienti non ricevano un adeguato servizio, allora l’adozione di
pratiche quali il contracting out sembra essere poco indicata.
119
ISFOL – Area Mercato del Lavoro
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Numeri
pubblicati:
n. 1, 1998
La mobilità degli occupati: tipologie e segmenti, di S. Porcari e C. Malpele
n. 1, 1999
Incentivi alle assunzioni: ipotesi per la valutazione e prime applicazioni, di M.
Ferrara, C. Malpede, M. Mancini e M. Marocco
n. 2, 1999
La formazione per i patti territoriali e le aree di crisi, di D. Gilli e A. Scassellati
n. 3, 1999
Flessibilità in uscita e occupazione: segmenti e profili dei soggetti a rischio di
licenziamento, di M. Marocco, V. Parisi e S. Porcari
n. 4, 1999
Le professioni: ipotesi classificatorie e nuove categorie interpretative, di A.
Mocavini e A. Paliotta
n. 5, 1999
Gli incentivi all’imprenditorialità nelle politiche attive del lavoro: gli interventi
dello Stato e delle Regioni, di M. Mancini e V. Menegatti
n. 6, 1999
Strategia europea per l’occupazione: analisi comparata dei Piani nazionali di
azione, di L. Incagli e S. Porcari
n. 7, 1999
Il lavoro interinale indagine esplorativa, di V. Menegatti e E. Mari
n. 1, 2000
La riforma dei Servizi Pubblici per l’impiego: l’originalità del modello italiano, di
M. Marocco e L. Incagli
n. 2, 2000
Valutare le politiche per l’occupabilità le borse lavoro, di A. Mocavini e M. Lattanzi
n. 3, 2000
Modelli per l’occupazione a confronto: strategie OCSE e orientamenti europei, di
V. Parisi
n. 4, 2000
I sistemi di protezione del reddito dei disoccupati in Italia tra politica sociale e strategia per l’occupazione. Analisi e confronti internazionali, di M. Mancini
n. 5, 2000
Interventi per lo sviluppo locale nel Mezzogiorno e ruolo della formazione Rapporto 2000, a cura di D. Gilli
n. 6, 2000
Job vacancies in Italia Il quadro teorico, le indagini, le evidenze empiriche, di A.
Mocavini e A. Paliotta
n. 7, 2000
Valutare gli interventi per l’occupazione: I tirocini di orientamento, a cura di C.
Serra
n. 8, 2000
Obiettivo occupazione: le strategie dei paesi europei, di M. Curtarelli e S. Porcari
n. 1, 2001
Servizi per l’impiego - Rapporto di monitoraggio 2000, di D. Gilli, G. Perri e F.
Tantillo
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ISFOL – Area Mercato del Lavoro
n. 2, 2001
Strumenti per le analisi di flusso nel mercato del lavoro - Una procedura per la
ricostruzione della struttura longitudinale della Rilevazione trimestrale Istat sulle
forze di lavoro, di M. Centra, A. Discenza e E. Rustichelli
n. 3, 2001
La riforma del part-time – Il “compromesso tra tutela e flessibilità in Italia ed in
Europa”, di M. Emanuele, M. Marocco e E. Rustichelli
n. 4, 2001
Ict e “New Ecomomy” – Orientamenti della letteratura e primi elementi per la
costruzione di un percorso critico, di A. Paliotta e A. Pannone
n. 5, 2001
Il lavoro interinale - Prime Analisi su dati amministrativi, di F. Carmignani, E.
Rustichelli e G. Marzano
n. 6, 2001
Valutare gli interventi per l’occupabilità - I piani di inserimento professionale ed
elementi comparativi con altre misure, a cura di C. Serra
n. 7, 2001
Verso nuovi dispositivi di workfare - Lavori socialmente utili - Profili valutativi, di
M. Marocco e A. Scialà
n. 1, 2002
Monitoraggio Spi 2001 - Analisi di profondità dei Centri per l’impiego: per target,
per funzioni e per strutture, a cura di D. Gilli
n. 2, 2002
La programmazione regionale a sostegno dei Servizi per l’impiego - Azioni di
sistema ed integrazione con lo sviluppo locale, a cura di G. Di Domenico
n. 3, 2002
Servizi per l’impiego - Rapporto di monitoraggio 2001, di D. Gilli, R. Landi e G.
Perri
n. 4, 2002
I Servizi privati per l’impiego: il caso delle Agenzie di collocamento, a cura di G.
Linfante
n. 5, 2002
I nuovi Servizi per l’impiego: esperienze di formazione del personale, di R. Landi
n. 6, 2002
Monitoraggio Spi 2002 - “Analisi di profondità dei Centri per l’impiego: per target,
per funzioni e per strutture”, a cura di D. Gilli
Supplemento Le fonctionnement des Centres pour l’emploi en Italie - Suivi 2002, Supplément au
n° 6/2002 des “Monographies sur le Marché du travail et les politiques pour
l’emploi”
Supplemento The Functioning of the Employment Centres in Italy - 2002 Monitoring,
Supplement to Issue N.. 6/2002 of the “Monographs on the Labour Market and
Employment Policies”
n. 7, 2002
Le politiche per l’occupabilità: Valutazione della loro efficacia attraverso un’analisi
sui giovani in cerca di lavoro che hanno partecipato a Piani di inserimento
Professionale o a Tirocini, a cura di C. Serra
n. 1, 2003
Monitoraggio Spi 2002 - Analisi di profondità dei Centri per l’impiego nelle regioni
Ob. 1, a cura della Struttura Isfol di monitoraggio Spi
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n. 2, 2003
Servizi per l’impiego e sistema imprenditoriale. Esigenze ed aspettative dei datori
di lavoro, di G. Di Domenico
n. 3, 2003
Indagine sulle attività di monitoraggio svolte dai Servizi per l’impiego, di F.
Tantillo e M. Ferrara
n. 4, 2003
Rilevazione semestrale sulla domanda di lavoro: il percorso metodologico, di L.
Incagli, A. De Sanctis e D. Radicchia
n. 5, 2003
La rete Eures in Italia - Analisi del quadro normativo-istituzionale, valutazione
degli aspetti organizzativi, di M. Bonanni e R. Landi
n. 6, 2003
L’organizzazione dei Servizi per l’impiego - Un’analisi sperimentale, a cura di G.
Di Domenico
n. 7, 2003
L’utenza dei Cpi e il livello di soddisfazione per i servizi erogati, di G. Baronio, C.
Gasparini, G. Linfante, G. Natoli e F. Tantillo
Supplemento Users of the Employment Centres and the level of satisfaction for the services
provided, by G. Baronio, C. Gasparini, G. Linfante, G. Natoli e F. Tantillo
Supplement to Issue N. 7/2003 of the “Monographs on the Labour Market and
Employment Policies”
n. 8, 2003
Formazione del personale Spi: ricognizione ed analisi valutativa delle attività
formative 2001-2002, di R. Landi e L. Palomba
Supplemento Formazione del personale Spi nelle regioni ob. 1, di R. Landi e L. Palomba,
Supplemento al n. 8/2003 delle “Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche
per l’impiego”
n. 9, 2003
Evoluzione del sistema dei Servizi per l’impiego nelle regioni ob. 1, a cura della
Struttura Isfol di monitoraggio
n. 10, 2003
Public Employment Services in Europe – Innovative practices in the provision of
services: on-line, to companies, and to leng-term unemployed, a cura di G. Di
Domenico
Services publics de l’emploi en Europe – Expériences innovantes dans l’offre de
services: en ligne, aux entreprises, aux chômeurs de longue dureé, a cura di G. Di
Domenico
n. 11, 2003
Lavoro atipico e Servizi per l’impiego – Studi di caso e modelli di intervento, di M.
Curtarelli e C. Tagliavia
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