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Trimestrale | Poste Italiane SpA – Sped. Abb. Post. DL 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, DCB Roma – Aut. GIPA/C/RM/26/2013 del 28/06/2013 – ISSN 2385-0736 | Un fascicolo 25 euro
16.2
VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza /
Rivista ufficiale
di Formazione continua
della Società Italiana di Pediatria
| Vol. 16 | n. 2 |
aprile–giugno 2015
Gluten-sensitivity: mito o realtà/ Diabete Tipo 1,
Tipo 2 e Tipo X / Antibiotici per infezioni vie aeree /
Il bambino con sindrome malformativa / Un caso di acalasia
~
~
~
~
~
~
~
In periodi di crescita o sforzo psicofisico intenso
Per migliorare l’attività scolastica e lo studio
In caso di sindromi influenzali, nel periodo
di convalescenza
Durante i cambi di stagione
In caso di attività sportiva intensa
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51
Alberto Villani
AreaPediatrica | Vol. 14 | n. 4 | ottobre-dicembre 2013
Dante Ferrara
Pietro Ferrara
Per l’Italia
Luciana Privati
Indinnimeo
Istituti,
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Renato Vitiello
Per l’Estero
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Vol. 16 | n. 2 |
aprile–giugno 2015
In copertina
“Dédé at the table”
Léon De Smet, 1921,
olio su tela ruvida,
collezione privata
All’interno
(pag. 56) ‘Il sole’, Luca, 5 anni,
tempera su carta, 21x30 cm;
(pag. 80) ‘Scarabocchio’ (part.),
Eleonora, 3 anni,
tempera e acrilici su carta,
30x21 cm;
(pag. 88) ‘Il nostro palazzo,
con e per mamma’,
Luca, 5 anni,
pastelli su carta, 21x30 cm
[ Editoriale ]
Alimentazione & Malattie
Luciana Indinnimeo
I rapporti esistenti tra
alimentazione-nutrizione e malattie
sono molto complessi
e solo parzialmente noti > 55
[
Tutto su / 1
]
VRS: prevenzione, bronchiolite
e sequele a distanza
Renato Cutrera, Nicola Ullmann,
Elena Boccuzzi, M. Chiara De Angelis,
Giovanni Corsello
È possibile che sia l’interazione
di più fattori a determinare
l’outcome dell’infezione acuta
da VRS e delle manifestazioni
a lungo termine > 56
[
Pro e contro
]
Gluten-sensitivity: mito o realtà
Simona Valenti, Claudio Romano
Lo spettro dei disordini
glutine-correlati si è arricchito
di questa nuova entità,
definibile come NCGS,
Non Celiac Gluten Sensitivity > 64
[
evidenze / 1
]
Diabete Tipo 1, Tipo 2
e Tipo X
Dario Iafusco, Fabrizio Barbetti,
Arianna Massimi, Valeria Grasso,
Ivana Rabbone, Francesca Casaburo,
Alessandra Cocca, Santino Confetto,
Alfonso Galderisi, Andrea Paccone,
Stefania Picariello, Alessia Piscopo,
Loredana Russo, Pasquale Villano,
Angela Zanfardino, Francesco Prisco,
Nadia Tinto, Cristina Mazzaccara,
Daniele Pirozzi, Paola De Sanctis,
Michele Pinelli, Fabio Acquaviva,
Lucia Sacchetti
Iperglicemia in età pediatrica:
quale diabete? > 66
[
evidenze / 2
]
Infezioni delle vie aeree
del bambino: pochi gli antibiotici
di prima scelta
Silvia Garazzino, Pier-Angelo Tovo
La conoscenza dell’epidemiologia,
dell’etiologia più probabile
e della distribuzione in Italia
delle resistenze batteriche risulta
fondamentale per impostare
una terapia antimicrobica
razionale > 74
[
Tutto su / 2
]
Il pediatra ed il bambino
con sindrome malformativa
Luigi Tarani
Se anche un bambino sindromico
può non guarire dalla sua condizione,
anche grazie alla dedizione
del pediatra può aumentare
la qualità della sua esistenza > 80
[
Caso clinico
]
La storia di Nicolas:
un caso di acalasia
Doriana Lacorte, Cristiana Retetangos,
Andrea Lambertini, Patrizia Alvisi
È la clinica che, adeguatamente
interpretata, deve guidare la scelta
delle indagini da eseguire e delle terapie
a cui sottoporre il paziente > 88
[ Quiz ]
Test di autovalutazione > 93
Léon de Smet (1881-1966) è nato a Gent, in Belgio, ed è un esponente di spicco
dell’Impressionismo europeo. La sua carriera come pittore è decollata dopo
il suo trasferimento in Gran Bretagna all’inizio della Prima Guerra Mondiale:
Oltremanica conobbe personalità del calibro di Joseph Conrad, John Galsworthy,
Bernard Shaw e fece una fortuna realizzando ritratti su commissione. La sua prima
esibizione alla Leicester Gallery di Londra nel 1917 fu un vero trionfo, ma pochi mesi dopo
il giovane pittore venne chiamato alle armi. Furbescamente passò il periodo bellico
nelle retrovie, in Normandia, dispensando ritratti ai suoi superiori. Nel 1930 si trasferì
a Deurle, nel natio Belgio, per vivere e lavorare nella splendida residenza-giardino dell’Hotel
Saint-Christophe. Dipinse molti ritratti di personaggi pubblici o illustri (per esempio
la Regina Astrid) e frequentò fino alla morte la “buona società” del suo Paese.
Rivista
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della Società
Italiana
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[ l’ e d i t o r i a l e ]
A m
nostro organismo e interagisce con
il nostro genoma sia per garantire
salute che per causare malattie. Il
microbiota intestinale ha un ruolo
molto importante nella digestione
e nell’assorbimento degli alimenti,
in quanto modula il metabolismo
dell’ospite agendo sull’estrazione di
energia dai nutrienti e converte con
reazioni biochimiche sia le molecole dell’ospite che dei microrganismi
stessi. Alterazioni della popolazione
batterica intestinale possono avere
conseguenze metaboliche tali da
causare molti disordini, tra questi
obesità, sindrome metabolica, diabete mellito tipo 2.
L’interazione tra genoma e microbioma, efficacemente descritta
da Peterson (2008) con il termine “supraorganismal metabolism”,
è in grado di produrre numerosi
metaboliti, mutualmente utili per
la produzione di energia e per lo
sviluppo fenotipico sia dell’ospite
che dei microrganismi stessi. Questa interazione tra l’ospite ed il suo
microbiota è direttamente influenzata dall’alimentazione. Oggi non è
più possibile considerare le determinanti genetiche del metabolismo
dell’ospite senza valutare l’influenza esercitata dall’elaborazione dei
componenti alimentari da parte
del microbiota intestinale. Appare evidente che definire il fenotipo
di un individuo come l’espressione
dell’interazione tra genoma e ambiente è una semplificazione dicotomica. Più correttamente il fenotipo dovrebbe essere considerato il
risultato dell’inestricabile interazione tra ospite (genoma), ambiente
(alimentazione) e microrganismi
intestinali (microbioma). Si aprono nuovi scenari in cui la salute o la
malattia devono essere considerate
espressioni di questa interazione.
Con questo modello in mente
non penseremo più alle malattie
come una volta!
Con il prossimo numero di
Area pediatrica inizierà una nuova rubrica che abbiamo chiamato:
“L’angolo delle Società affiliate”,
riservata, a rotazione, alle Società
scientifiche, affiliate o federate con
la SIP. Le singole Società proporranno alla rivista articoli con argomenti ed autori da loro scelti. Lo
scopo è offrire ai nostri lettori, di
volta in volta, un approfondimento
specialistico nel mondo della Pediatria
.
55
I
rapporti esistenti tra ali
mentazione-nutrizione e malattie
sono molto complessi e solo parzialmente noti. È sempre più evidente
che il nostro organismo è dipendente
dai rapporti tra genoma, microbioma
e alimentazione. A tale proposito mi
piace ricordare ciò che John Nash,
il matematico padre della moderna
teoria dei giochi soggetto del film A
Beautiful Mind, scrisse: “L’equilibrio
c’è quando nessuno riesce a migliorare in maniera unilaterale il proprio
comportamento. Per cambiare occorre
agire insieme”. Oggi l’equilibrio tra
salute e malattia appare sempre più legato all’azione sinergica e armonica di
genoma, microbioma e alimentazione.
Tralasciando il concetto di genoma in quanto oramai abbastanza
noto nei suoi profili generali, vorrei
sottolineare l’importanza del microbioma, che è il patrimonio genetico
del microbiota, ovvero dei microbi
che colonizzano il nostro organismo. I microrganismi che popolano
la cute, la vagina, il cavo orale e l’intestino rappresentano un patrimonio
genetico che supera di almeno cento
volte il nostro personale patrimonio
genetico. La comunità microbica di
gran lunga maggiore e più complessa è quella presente nel nostro
intestino: essa si è sviluppata con il
g
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
di Luciana Indinnimeo
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Alimentazione
& Malattie
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
56
Caso clinico Titolo articolo anche lungo
[ tutto
su / 1
]
VRS: prevenzione, bronchiolite
e sequele a distanza
È possibile che sia l’interazione di più fattori a determinare l’outcome
dell’infezione acuta da VRS e delle manifestazioni a lungo termine.
I
l Virus Respiratorio Sinciziale (VRS)
ancora immaturo e la mancanza di precedente
Renato Cutrera1
1
Nicola
Ullmann
è un virus a RNA lineare a singola elica che
esposizione ad infezioni virali, potrebbe auElena Boccuzzi2
appartiene alla famiglia dei Paramyxovirimentare la frequenza delle coinfezioni virali
M.Chiara De
1
dae. Sono stati descritti due gruppi antigenici di
nella popolazione pediatrica mentre più rara è
Angelis
Giovanni Corsello3
RSV, il gruppo A e il gruppo B, in base alle difla coinfezione virus-batteri.
1
UOC Broncopneumologia
ferenze strutturali nelle due glicoproteine (G ed
– Dipartimento Medicina
F) che rivestono un ruolo principale per la loro
Pediatrica, Ospedale
attività immunogena. La glicoproteina G, infatti, Pediatrico “Bambino
Gesù” IRCCS, Roma
Prevenzione
ha la funzione di mediare l’adesione del virus alle
2
Dipartimento di
e misure preventive ambientali e
cellule ospiti; la proteina F è invece responsabile, Pediatria – “Sapienza”
Università di Roma
comportamentali vanno considerate come
oltre che della fusione, anche della formazione
3
Dipartimento di Scienze
il miglior approccio per ridurre il rischio delle
dei tipici sincizi cellulari. L’immunità acquisita
per la Promozione della
infezioni correlate al VRS in tutti i lattanti e
dopo una infezione da VRS è incompleta e di
Salute e MaternoInfantile
–
Università
in particolar modo nei bambini ad alto rischio.
breve durata, e ciò comporta frequenti reinfeziodegli Studi di Palermo
In considerazione delle modalità di trasmissioni nell’arco della vita. Dati di letteratura stimano
ne del virus, oltre ad evitare il contatto diretto
che quasi tutti i bambini vengono a contatto con
il VRS entro i due anni di vita ma solo lo 0,5–2% dei casi con persone affette (per esempio attraverso l’utilizzo di
di infezione da VRS è legato a sintomi respiratori più gravi mascherine chirurgiche da parte delle madri nutrici),
è importante evitare le condizioni di sovraffollamento.
con necessità di ospedalizzazione.
Il miglioramento delle pratiche igieniche personali ed
ambientali è una ulteriore misura da adottare nella prevenzione dell’infezione. Il lavaggio frequente delle mani,
Trasmissione
la decontaminazione con soluzioni alcoliche e la pulizia
l periodo di incubazione del virus varia da delle superfici andrebbero incoraggiate e promosse in tutti
2 a 8 giorni. L’infezione da VRS è estremamente con- gli ambienti, soprattutto in quelli a maggior rischio di
tagiosa, con una durata di trasmissibilità variabile dai 3 trasmissione (ambiente domestico, scolastico ed ospedaagli 8 giorni. Il virus si trasmette attraverso goccioline di liero). Particolare attenzione va ad esempio riservata alla
saliva per via aerea e attraverso il contatto con oggetti e pulizia del fonendoscopio, possibile vettore di contamisuperfici contaminate. È importante sapere che il virus nazione. Sensibilizzare le famiglie ad evitare l’esposizione
può resistere a temperatura ambiente, sulla pelle e sulle passiva al fumo di sigaretta ed incoraggiare l’allattamento
superfici anche fino a 6–8 ore. L’infezione da VRS ha un al seno sono ulteriori raccomandazioni utili nell’ambito
andamento stagionale con una distribuzione prevalente della misure preventive comportamentali. Oltre a quanto
tra ottobre e maggio nei paesi dell’emisfero nord. Il VRS detto, è stato segnalato in letteratura che il taglio cesaspesso non agisce da solo infatti in letteratura è stata reo può costituire un fattore di rischio per lo sviluppo di
dimostrata una coinfezione virale nel 24% dei bambi- infezioni nei primi due anni di vita. Diversi studi infine
ni affetti da bronchiolite e questo aspetto sembra poter hanno dimostrato che il deficit di vitamina D aumenta
peggiorare la gravità dei sintomi. Il sistema immunitario il rischio di infezioni da VRS nel primo anno di vita e
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
I
57
L
Tutto su / 1 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza
Quasi tutti i bambini vengono a contatto con il VRS
entro i due anni di vita, ma solo lo 0,5–2% dei casi di infezione
da VRS è legato a sintomi respiratori più gravi.
che pertanto la supplementazione, durante la gravidanza
e successivamente al bambino, è utile per la prevenzione.
Profilassi passiva
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
58
N
ell’ambito della profilassi farmacologica, il primo anticorpo policlonale umano anti-VRS
utilizzato (Respigam) aveva fornito risultati incoraggianti
in termini di riduzione del tasso di ospedalizzazione ma la
necessità di somministrazione endovenosa, il costo elevato
ed il potenziale rischio di trasmissione di patogeni ne
hanno controindicato l’utilizzo. Il Palivizumab è un anticorpo monoclonale murino umanizzato (IgG1), prodotto
mediante tecnologia del DNA ricombinante, che lega un
epitopo della glicoproteina F presente sulla superficie del
VRS, bloccando il legame tra il virus e la cellula bersaglio.
Introdotto in studi clinici nel 1996, è stato approvato due
anni dopo dalla Food and Drugs Administration (FDA)
per la prevenzione delle infezioni da VRS in pazienti
pediatrici ad aumentato rischio di malattia grave ed è
tutt’ora l’unico prodotto approvato con tale indicazione.
In quegli anni, una collaborazione di ricercatori inglesi,
americani e canadesi, ha prodotto un importante lavoro
multicentrico randomizzato in doppio cieco che ha dimostrato una significativa riduzione dei ricoveri per infezione
da VRS in pazienti nati prematuri (≤35 settimane) fino a 6
mesi di età ed in bambini con malattia polmonare cronica
con meno di 2 anni di vita dopo trattamento con Palivizumab. La riduzione di ospedalizzazione è risultata pari
al 55% con variazioni nei diversi gruppi analizzati (78%
nei prematuri senza malattia polmonare cronica e 39%
nei bambini broncodisplasici). Qualche anno più tardi,
l’efficacia e la sicurezza del Palivizumab è stata confermata
da Feltes et al su bambini <2 anni di età con cardiopatia
congenita (CC) emodinamicamente significativa, evidenziando una riduzione delle ospedalizzazioni del 45%,
minore necessità di terapia intensiva e di ventilazione
meccanica. Da qui, numerosi altri studi hanno confermato
l’effetto favorevole della profilassi sull’incidenza di gravi
infezioni da VRS nelle suddette classi di pazienti a rischio.
La singola somministrazione intramuscolare di 15 mg/kg
dose permette di mantenere livelli anticorpali sierici sufficienti a prevenire l’infezione. Pertanto, in considerazione
dell’emivita di circa 20–30 giorni, è stata concordata la
somministrazione mensile durante il periodo epidemico
del VRS fino a 5 dosi totali. In considerazione degli elevati
costi del trattamento, l’indicazione alla profilassi non è
raccomandata in tutti i neonati e diverse linee guida o raccomandazioni nazionali sono state redatte per valutarne
il rapporto costo/beneficio nelle varie classi di pazienti.
Attualmente l’indicazione all’utilizzo del Palivizumab
riguarda i bambini con malattia polmonare cronica, CC
emodinamicamente significativa e prematurità. Tuttavia
mentre per le prime due classi di pazienti c’è sufficiente
uniformità di approccio terapeutico, per quanto riguarda
i neonati pretermine rimane ancora ampiamente dibattuto il cut-off dell’età gestazionale (EG) al di sotto del
quale consigliare la profilassi. L’American Academy of
Pediatrics (AAP) ha pubblicato le prime linee guida sulla
profilassi per il VRS nel 1998; da allora, sulla base dei dati
di letteratura, sono stati effettuati numerosi aggiornamenti fino al più recente del 2014 che ha posto significative
restrizioni alle precedenti indicazioni del 2009. Attualmente gli autori nord-americani raccomandano infatti la
profilassi nei bambini prematuri (EG<32 settimane) con
malattia polmonare cronica e CC emodinamicamente
significativa fino al compimento del 12° mese di vita. Per
quanto riguarda la sola prematurità, l’indicazione al Palivizumab è approvata esclusivamente in bambini con EG
<29 settimana e di età inferiore ai 12 mesi all’inizio del
periodo epidemico. In merito alla nostra realtà nazionale,
le raccomandazioni della Società Italiana di Neonatologia
pubblicate nel 2004 indicano la profilassi nei bambini
con malattia polmonare cronica e CC emodinamicamente significativa fino al compimento del 2° anno di età.
In merito alla prematurità viene effettuata invece una
stratificazione del rischio con successiva indicazione alla
profilassi nei prematuri di età inferiore ad 1 anno ed EG
≤32 settimane in assenza di altri fattori concomitanti o
EG tra 33 e 35 settimane in presenza di almeno due fattori
di rischio associati (tra cui peso alla nascita <2,5 Kg o
<10°C, esposizione al fumo passivo o a fonti di inquinamento atmosferico, dimissione nel periodo epidemico,
Tutto su / 1 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza
A
l momento non è ancora disponibile in commercio un vaccino sicuro ed efficace pertanto il suo
sviluppo resta una priorità nella sfida al VRS. Il primo
vaccino studiato e testato su una popolazione pediatrica,
risalente agli anni ’60, è stato il FI-RSV (vaccino inattivato
con formalina). L’utilizzo di questo vaccino ha però determinato un aumento dell’ospedalizzazione dopo l’esposizione al VRS e sono stati addirittura segnalati alcuni decessi.
In considerazione dell’evidenza di un livello inferiore di
anticorpi neutralizzanti in seguito all’infezione naturale
si era ipotizzato che il processo di inattivazione con formalina alterasse la struttura delle glicoproteine F e G, con
conseguente induzione di anticorpi non neutralizzanti.
Da questo fallimento sono nate numerose ricerche per
American
Academy of
Pediatrics 2014
Canadian
Paediatric
Society
Società Italiana
di Neonatologia
2004
Malattia
polmonare
cronica
Età < 1 anno*
Età < 2 anni
Età < 2 anni
CC emodinamicamente
significativa
Età < 1 anno
Età < 2 anni
Età < 2 anni
Prematurità
EG < 29
settimane
EG < 32
settimane**
EG ≤ 35
settimane
EG 32–35
settimane
da valutare
EG 33–35
settimane
se fattori
di rischio ***
CC Cardiopatia Congenita
* Ed EG <32 settimane
** Ed età < 6 mesi all’inizio del periodo epidemico
*** Almeno due fattori di rischio tra: basso peso alla nascita (<2,5 Kg o < 10°C),
esposizione al fumo passivo, esposizione a fonti di inquinamento atmosferico,
dimissione nel periodo epidemico, assenza di allattamento al seno, scolarizzazione,
patologie concomitanti gravi, familiarità per atopia, parto gemellare, presenza di
fratelli più grandi.
identificare il corretto target per la vaccinazione e sono
quindi stati sviluppati diversi tipi di vaccini (vivi attenuati,
coniugati). L’ambito di studio che attualmente desta maggiore interesse è quello dei vaccini vivi attenuati in quanto,
rispetto a quelli inattivati, i primi inducono risposte immunitarie più simili all’immunità naturale. In considerazione
della via di accesso mucosale attraverso la quale il VRS
infetta l’organismo, un vaccino ideale dovrebbe generare
risposte immunitarie umorali locali e durevoli (IgA nasali
con attività neutralizzante) per proteggere sia le vie aeree
superiori che quelle inferiori. Un vaccino vivo attenuato
somministrato per via intranasale è dunque al momento il
campo di studio di maggiore interesse per la lotta al VRS
in quanto ritenuto uno delle opzioni vaccinali più plausibili.
Tuttavia tale tipologia di vaccini non ha ancora raggiunto
un equilibrio accettabile tra immunogenicità e tollerabilità
nei bambini più piccoli nei quali anche una banale congestione nasale può essere sufficiente per interferire con
l’allattamento. Inoltre sembra che l’efficacia immunitaria
risulti più debole dell’infezione naturale per la perdita di
immunogenicità durante il processo di attenuazione del
virus. Alla luce di quanto detto, sono in corso di studio
altre tipologie di vaccini diversi e con modalità di somministrazione alternative. L’elemento che maggiormente
accomuna i vaccini oggetto di studio è l’identificazione
della glicoproteina F come target vaccinale principale; in
particolare si punta ad ottenere anticorpi ad alta specificità
che stabilizzino la proteina F nello stato di “prefusione”,
rendendo il VRS vulnerabile e bloccandone la virulenza. Il
VRS può dare una sintomatologia estremamente variabile
59
Profilassi attiva
Tabella 1. Le diverse raccomandazioni
per la profilassi con Palivizumab a confronto.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
assenza di allattamento al seno, scolarizzazione, patologie
concomitanti). Le raccomandazioni del 2011 della Canadian Paediatric Society indicano la profilassi nei bambini
con CC e malattia polmonare cronica con età inferiore
ai due anni all’inizio del periodo epidemico ed in tutti
bambini con EG<32 settimane ed età <6 mesi all’inizio
della stagione del VRS. Le indicazioni in bambini con
EG compresa tra le 32 e le 35 settimane sono relative alla
valutazione del rischio di ospedalizzazione e dunque al
rapporto costo/beneficio.
Da quanto detto si evince dunque che uno dei principali
coni d’ombra relativi alla profilassi sia la fascia dei cosiddetti “late-preterm”, per i quali le indicazioni alla terapia
con Palivizumab sono ancora ampiamente discusse. Le
indicazioni più restrittive sull’utilizzo dell’anticorpo monoclonale sono ad oggi principalmente legate all’elevato
costo del farmaco ed ai suoi effetti limitati alla riduzione
del rischio di ospedalizzazione ma non della mortalità.
Sicuramente il corretto rapporto tra costo e beneficio dovrà
essere ancora discusso dai diversi specialisti coinvolti nella
cura di questi pazienti. Ugualmente ancora poco chiaro
rimane in letteratura l’approccio da adottare nei confronti
dei bambini con patologie polmonari croniche diverse dalla
broncodisplasia (es. anomalie anatomiche polmonari, fibrosi cistica), malattie neuromuscolari o immunodeficienze,
ritenute comunque classi potenzialmente a rischio per le
quali il trattamento dovrebbe essere considerato nel primo
anno di vita. Questi dunque sono attualmente i campi di
applicazione della profilassi che suscitano maggiore interesse e per i quali siamo pertanto in attesa di ulteriori
aggiornamenti delle raccomandazioni.
Tutto su / 1 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza
che può spaziare da un semplice quadro di rinite al coinvolgimento delle basse vie aeree come per esempio nei casi di
bronchiolite. Questo aspetto è ben espresso con il termine
generale di “infezione respiratoria da VRS”.
La bronchiolite
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
60
L
a bronchiolite è la principale diagnosi di
ospedalizzazione per infezione respiratoria delle
basse vie aeree in bambini nel primo anno di vita ma è
anche causa di un elevato numero di visite ambulatoriali.
La definizione di questa patologia si basa su criteri clinici
ed in particolare, gli autori anglosassoni (statunitensi e
nord americani) definiscono la bronchiolite come una
malattia acuta ad eziologia virale, caratterizzata da iniziale
comparsa di sintomi delle alte vie respiratorie, seguiti poi
da rumori umidi e/o wheezing del bambino fino all’età
di 24 mesi. Diversamente, gli autori anglosassoni (inglesi
ed australiani) definiscono la bronchiolite con la presenza
di rantoli crepitanti e/o wheezing (primo episodio) in un
bambino di età inferiore ai 12 mesi di vita. A parere degli
scriventi, quest’ultima definizione risulta essere la più
appropriata in quanto riduce il rischio di comprendere
pazienti affetti da bronchite asmatiforme. Molti degli
studi pubblicati, soprattutto relativi agli approcci terapeutici, dovrebbero pertanto essere interpretati alla luce
delle possibili differenze di definizione adottata.
L’agente patogeno virale responsabile di più del 50%
dei casi di bronchiolite è il VRS, ma sono stati identificati
anche molti altri virus (il Rinovirus, il Bocavirus, i virus
parainfluenzali, il virus dell’influenza, il Metapneumovirus,
l’Adenovirus). Dal punto di vista anatomopatologico risulta
costante la presenza di una flogosi a livello dei bronchioli
respiratori con infiltrazione di linfociti e neutrofili, necrosi
delle cellule ciliate di parete ed accumulo intraluminale di
muco e detriti cellulari. Questa condizione forma “tappi”
nelle vie aeree che possono arrivare a provocare un’ostruzione al flusso d’aria con conseguente comparsa di atelettasie. Un esteso coinvolgimento alveolare può indurre la
formazione di essudato alveolare, un danno di membrana
e una grave alterazione del rapporto ventilazione/perfusione che clinicamente si può manifestare con ipossiemia
ed aumento della CO2. La contrazione dei muscoli lisci
sembra invece avere un ruolo marginale nella patogenesi
della bronchiolite e ciò potrebbe spiegare il limitato beneficio terapeutico dei broncodilatatori osservato negli studi
clinici. Le alterazioni anatomiche e funzionali comportano
un aumento del carico di lavoro respiratorio, il quale a sua
volta causa distress respiratorio e conseguenti difficoltà
nell’alimentazione, potendo portare ad un quadro di disidratazione talvolta grave, con possibile acidosi metabolica.
La maggior parte dei bambini presenta una forma lieve di
malattia, esistono però anche forme con sintomi respiratori
più gravi che richiedono cure maggiori. Tra i fattori correlati ad un aumento del rischio di ospedalizzazione sono stati
riconosciuti: la storia familiare per asma e/o atopia, il fumo
dei genitori e la mancanza di allattamento al seno. Inoltre
alcuni fattori clinici e demografici sono stati associati a
quadri di bronchiolite grave e necessità di maggior supporto respiratorio: il basso peso alla nascita, il sesso maschile,
l’età <3 mesi ed uno score elevato di gravità all’ammissione
in ospedale. Possiamo aggiungere, inoltre, che il rischio di
bronchiolite grave si correla con altri fattori come: la prematurità, la nascita durante il periodo epidemico, la nascita
da taglio cesareo, le basse condizioni socio-economiche,
l’inquinamento domestico, un sovraffollamento ambientale, l’infezione da VRS e la coesistenza di comorbidità
associate, quali cardiopatie congenite, patologie polmonari
croniche (es. la malattia polmonare cronica), sindrome di
Down ed uno stato di immunodepressione.
Quadro clinico
L
a bronchiolite clinicamente si presenta con
rinorrea, stato di flogosi delle alte vie aeree e tosse
ingravescente; talvolta può esser presente anche febbricola. Successivamente i sintomi legati all’interessamento delle basse vie respiratorie possono peggiorare con
comparsa di distress respiratorio, tachipnea e tachicardia,
quindi, rientramenti intercostali, alitamento delle pinne
nasali con uso dei muscoli accessori e nei casi moderati/
gravi, crisi di desaturazione talvolta con apnee. All’auscultazione del torace si apprezza un prolungamento
della fase espiratoria con gemiti e sibili, rantoli a piccole
bolle e talvolta crepitii diffusi. Solitamente questa patologia ha un’evoluzione benigna e può essere trattata a
domicilio per le forme più lievi con l’importante supporto del pediatra del territorio. Quando è necessario il
ricovero ospedaliero, questo può essere effettuato in un
reparto pediatrico di degenza ordinario ma, nei casi più
gravi o qualora si assista ad un peggioramento clinico,
si possono rendere necessarie cure più intensive con
l’ausilio della terapia ad alti flussi o altre metodiche di
supporto ventilatorio.
I criteri per l’ospedalizzazione includono: distress
respiratorio, presenza di apnee, persistente necessità di
Tutto su / 1 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza
La diagnosi di bronchiolite si basa su interpretazione dei dati
anamnestici, presentazione clinica ed esame obiettivo del bambino
piuttosto che su indagini di laboratorio o esami strumentali.
L
a diagnosi di bronchiolite si basa principalmente sull’interpretazione medica dei dati anamnestici, la presentazione clinica e sull’esame obiettivo del
bambino piuttosto che su indagini di laboratorio o esami
strumentali. Più in dettaglio possiamo affermare che l’orientamento diagnostico si basa essenzialmente su dati
epidemiologici, quali: l’età <12 mesi di vita, la stagione
dell’anno (periodo epidemico), il contatto con familiari
affetti da infezioni delle vie respiratorie, una recente storia
di rinite e tosse insistente. Inoltre importante è l’osservazione del quadro clinico caratterizzato da rinorrea, tosse,
tachipnea, rantoli crepitanti diffusi e/o sibili espiratori
all’auscultazione del torace. A questi talvolta si possono
aggiungere bassa saturazione di O2 e difficoltà nell’alimentazione con segni clinici di disidratazione. La diagnosi eziologica può essere definita attraverso l’isolamento
del virus mediante esame colturale o attraverso la ricerca
degli antigeni virali nelle cellule epiteliali delle secrezioni
nasofaringee. L’identificazione dell’agente specifico ed in
particolare del VRS, ha un impatto parziale sulla gestione
clinica del paziente ma, in ambito ospedaliero, può avere
importanza ai fini dell’isolamento o accoppiamento dei
pazienti per ridurre le infezioni nosocomiali e l’utilizzo
di terapie antibiotiche ingiustificate.
L’esame radiografico del torace si caratterizza per l’aumento del contenuto aereo polmonare ed in alcuni casi
può rilevare infiltrati peribronchiali in sede perilare e
talora aree di atelettasia che potrebbero essere scambiate
per addensamenti. La radiografia del torace che non è
indicata di routine, può essere presa in considerazione solo
Complicanze
L
a bronchiolite che spesso ha una evoluzione
favorevole, può però evolvere e complicarsi fino alla grave insufficienza respiratoria, sviluppare estese aree
di atelettasia, pneumotorace o pneumomediastino. La
complicanza acuta più temuta e frequente è l’insorgere di apnee, elemento importante nel management dei
bambini con bronchiolite. Alcuni studi hanno dimostrato
che vi sono alcuni fattori di rischio correlati all’insorgere
delle apnee, tra cui un precedente episodio di apnea, la
giovane età al momento dell’infezione (<1 mese di vita)
e la prematurità.
L’assistenza primaria
Q
uest’aspetto assistenziale, svolto in Italia
dai pediatri del territorio, rappresenta un primo
step fondamentale per le famiglie ed estremamente importante per ridurre gli accessi ed i ricoveri ospedalieri.
Nel paziente con bronchiolite assistito a domicilio vanno
controllati frequentemente le condizioni generali, i parametri cardio-respiratori includendo i valori saturimetrici,
la capacità di alimentarsi e la compliance familiare alle
indicazioni fornite. La famiglia infatti deve essere istruita
affinchè possa diventare parte attiva nella gestione domiciliare del lattante con bronchiolite e nella identificazione
di segni che possano suggerire un peggioramento clinico.
La terapia di supporto e farmacologica
P
er ciò che concerne il trattamento va ricordato che la bronchiolite è una malattia autolimitante ad eziologia virale. La terapia pertanto è sostanzialmente di supporto ed ha i seguenti obiettivi: a) ridurre il
lavoro respiratorio b) mantenere un’alimentazione ade-
61
Diagnosi
qualora il bambino ricoverato presenti un significativo
peggioramento clinico o sviluppi complicanze.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
O2 terapia (per SpO2 <90–92%), disidratazione oppure
un quadro clinico moderato-grave. Da considerare ovviamente tutti i restanti fattori e categorie di pazienti
a maggior rischio di sviluppare complicanze come per
esempio pazienti con: difficoltà nell’alimentazione con
assunzione di liquidi ridotta di >50% nelle 24h precedenti, prematurità, cardiopatia, malattia polmonare cronica,
ridotta reattività, scarsa compliance familiare e così via.
Tutto su / 1 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza
guata prevenendo la disidratazione c) ridurre la necessità
di ricovero o la durata della degenza.
La terapia di supporto
La detersione delle alte vie aeree
Un’accurata pulizia delle alte vie respiratorie, soprattutto nei pazienti più piccoli, mediante frequenti lavaggi nasali con soluzione fisiologica ed aspirazione
superficiale, migliora la pervietà delle vie aeree e favorisce l’alimentazione.
L’ossigeno-terapia e l ’utilizzo delle cannule nasali
ad alto flusso
Una buona ossigenazione va garantita al paziente sia
durante la veglia che durante il sonno attraverso il
controllo della saturazione di ossigeno attraverso un
pulsossimetro con sensore adatto (ancora discusso se
sia più opportuno un monitoraggio continuo o saltuario come suggerito dall’AAP). L’ossigeno va somministrato in presenza di valori di SpO2 <90–92% in
aria ambiente e deve essere sospeso qualora il lattante
sia stabilmente normo-ossigenato. Qualora la desaturazione sia associata a significativo lavoro respiratorio
del lattante e/o ad iniziale ipercapnia, può essere utile
somministrare la miscela di O2 attraverso cannule nasali ad alto flusso (HFNC). Questa modalità è spesso
meglio tollerata e riduce il peggioramento clinico e
pertanto la necessità di ventilazione meccanica. L’ossigeno riscaldato e umidificato riduce gli effetti secondari della prolungata O2-terapia come la disidratazione
mucosale e l’alterazione della clearance ciliare. Inoltre
vi è il vantaggio che il flusso di O2, impostato a valori
maggiori rispetto al picco inspiratorio del bambino,
permette di mantenere una FiO2 costante e la pressione positiva continua (effetto CPAP) mantiene pervie
le vie aeree nella fase espiratoria, riducendo il lavoro
respiratorio ed aumentando il reclutamento alveolare.
L’efficacia della HFNC dipende da vari fattori come la
corretta selezione dei pazienti, la scelta delle cannule
nasali e l’impostazione del flusso, inoltre necessita di
un attento monitoraggio clinico e dei parametri vitali,
per cui deve essere effettuata da personale addestrato
ed in un setting pediatrico adeguato.
La soluzione salina ipertonica al 3%
Le recenti linee guida americane suggeriscono che la
soluzione ipertonica non dovrebbe essere somministrata
dai medici di pronto soccorso in quanto non riduce il
tasso di ospedalizzazione ma può essere presa in considerazione nel trattamento dei lattanti ricoverati avendo
mostrato un miglioramento nello score clinico ed una
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AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
62
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riduzione della degenza ospedaliera. La soluzione salina
ipertonica agirebbe migliorando la clearance mucociliare, riducendo la viscosità delle secrezioni e l’edema
delle vie aeree. Il suo utilizzo, anche nella nostra realtà
nazionale, è sicuramente in crescita sia a livello ospedaliero che ambulatoriale ma sono necessari nuovi studi
che ne supportino il beneficio.
La terapia reidratante
La terapia reidratante attraverso tubo nasogastrico o
via endovenosa va considerata in presenza di segni di
disidratazione legati a diversi possibili fattori concomitanti quali: febbre, tachipnea e difficoltà nell’assunzione del pasto e di liquidi.
La terapia farmacologica
I broncodilatatori
La AAP non raccomanda l’utilizzo di questi farmaci
mentre un recente documento nazionale sul trattamento e la prevenzione della bronchiolite pubblicato
da Baraldi et al. ha un atteggiamento più moderato.
Quest’ultimo infatti suggerisce che, in presenza di una
storia familiare positiva per allergia, asma o atopia,
può essere tentato un singolo trial terapeutico con
broncodilatatori per via inalatoria ma questi vanno
sospesi in mancanza di risposta dopo 15–30 minuti
dal trattamento.
L’adrenalina
L’utilizzo di questo farmaco per via inalatoria non è
raccomandato dalle linee guida americane sebbene
uno studio multicentrico ha suggerito possibili effetti
nella riduzione dei ricoveri ospedalieri. In questo caso
l’adrenalina veniva somministrata insieme a desametasone ad alte dosi per via sistemica in un setting di
pronto soccorso.
I glucocorticoidi
Molti studi hanno dimostrato che la somministrazione
di corticosteroidi non è associata ad una significativa
riduzione dello score di gravità clinico, del numero
di ricoveri o della durata della degenza, pertanto il
loro utilizzo, sia per via sistemica che inalatoria, non
è raccomandato dalle più recenti linee guida.
Gli antibiotici
Gli antibiotici sono raccomandati solo per le bronchioliti gravi ricoverate in setting di cure intensive
ed in presenza di sovrainfezione batterica dimostrata
(test molecolari o colturali). Suggerito, ma non ancora confermato, il possibile effetto antinfiammatorio
ed immunomodulante della classe dei macrolidi in
pazienti affetti da bronchiolite.
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·
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·
Tutto su / 1 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza
N
umerosi studi hanno documentato un’associazione tra l’infezione respiratoria da VRS ed il
wheezing ricorrente, l’asma e la sensibilizzazione allergica.
Il meccanismo patogenetico alla base di tale correlazione
è però ancora ampiamente discusso. L’ipotesi ad oggi
principalmente accreditata è che il VRS possa causare un
danno delle cellule epiteliali respiratorie ed interferire con
lo sviluppo del polmone ma soprattutto con l’immunità
locale, favorendo l’iperattività delle vie aeree. Il VRS infatti, riconosciuto dalle cellule epiteliali tramite i recettori
Toll-like (TLR), promuove l’espressione e la secrezione
di chemochine e citochine infiammatorie che attivano
inizialmente la risposta immunitaria innata e successivamente la risposta immunitaria adattativa. Quest’ultima
è caratterizzata da uno shift immunitario Th1-Th2, come
dimostrato dal riscontro di citochine del pattern Th2 (es.
IL4) in secrezioni respiratorie di bambini affetti dal virus.
Inoltre, esistono evidenze di un aumento di altre citochine
non specifiche della risposta Th2, come IL-11 ed IFN-γ,
capaci rispettivamente di indurre iperreattività bronchiale
ed ostruzione delle vie aeree. Accanto a suddette alterazioni immunologiche, esistono anche dei meccanismi
neuronali che sembrano giocare un ruolo importante nel
determinare l’iperreattività delle vie aeree. Sulla superficie
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63
Sequele a distanza
dell’epitelio respiratorio esiste infatti una rete di fibre
nervose la cui stimolazione da parte del VRS determina
il rilascio di neuropeptidi infiammatori. La persistenza
di queste risposte pro-infiammatoria dunque spiega l’insorgenza di wheezing e asma e potrebbe inoltre essere
responsabile di un aumentato rischio di sensibilizzazione
allergica. Resta però ancora dibattuto se lo shift immunologico verso il fenotipo Th2 sia legato ai soli effetti
del VRS o se questa esagerata risposta Th2 sia in realtà
spiegata da una predisposizione genetica. Numerosi polimorfismi genetici sono stati infatti ampiamente descritti
ed associati sia alla gravità delle infezioni che allo sviluppo
di atopia ed asma, evidenziando dunque l’esistenza di
determinanti genetici comuni. L’aumentata incidenza
di wheezing in pazienti con infezione da VRS sembra
essere direttamente associata alla gravità dell’infezione
ed inversamente correlata all’età del paziente, con una
massima incidenza nei primi tre mesi di vita. A sostegno
di tale tesi vi sono anche alcuni studi che hanno dimostrato un ruolo protettivo del Palivizumab nei confronti
dell’insorgenza di wheezing e asma. Una recente metaanalisi dimostra inoltre come tali manifestazioni tendano
a diminuire progressivamente con l’età che comunque
sembra potersi protrarre fino ad un massimo di 13 anni
di vita (Sigurs et al).
In conclusione, è possibile dunque che sia l’interazione
di più fattori (l’età precoce al momento dell’infezione,
la prolungata risposta infiammatoria che ne consegue,
l’azione immunomodulante del VRS e la suscettibilità
genetica) a determinare l’outcome dell’infezione acuta da
VRS e delle manifestazioni a lungo termine
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
Per questioni di spazio, in questo articolo non tratteremo altri approcci terapeutici descritti in pazienti con
bronchiolite ma non raccomandati come: i farmaci antivirali, la miscela di elio ed ossigeno, gli antileucotrienici,
la fisioterapia respiratoria etc…
Caso clinico
Lo spettro dei disordini glutine-correlati si è arricchito di questa nuova entità,
definibile come NCGS, Non Celiac Gluten Sensitivity.
Gluten-sensitivity: mito o realtà
[ Pro e contro ]
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
64
L
Simona Valenti
Claudio Romano
Dipartimento di Scienze Pediatriche,
Microbiologiche e Ginecologiche
Università di Messina
ucia, 16 anni, è sorella
di Maria, che ha avuto una
diagnosi di celiachia all’età
di 5 anni per diarrea cronica. Lucia
ha avuto una diagnosi di tiroidite di
Hashimoto all’età di 14 anni ed ha
eseguito in più circostanze lo screening sierologico per celiachia, risultato negativo. HLA predisponente
ad alto rischio, da qualche mese
riferisce episodi di bloating addominale post-prandiale ed episodi
di alvo irregolare. Viene sottoposta,
per ingravescenza dei sintomi, ad
ulteriore determinazione di EMA
e tTG risultati negativi, AGA IgG
positivi (10 x N) e biopsia duodenale
con evidenza di un quadro istologico
compatibile con Marsh 1 (lesione
infiltrativa). Si decide di avviare
dieta senza glutine nel sospetto di
ipersensibilità al glutine con buona risposta clinica, scomparsa della
diarrea e degli episodi di bloating.
Follow-up in atto proseguito per
oltre 6 mesi con persistenza del benessere clinico, AGA IgG negativi.
Lucia sta bene, la compliance alla
dieta è ottimale (sta molto attenta
anche alle possibili contaminazioni)
e non vuole procedere ad alcun tentativo di challenge.
La questione
I
n relazione all’aumento significativo di diagnosi di “ipersensibilità al glutine non celiaca” nella popolazione generale, è possibile
per pediatri e/o genitori consigliare
una dieta priva di glutine in bambi-
ni con sintomi gastrointestinali (GI,
dolori addominali, stipsi, diarrea cronica gonfiore, cefalea etc.) ricorrenti
e dopo avere escluso altre cause organiche ed il sospetto di celiachia?
Mito o realtà ?
Di cosa parliamo?
I
l potenziale spettro dei disordini glutine-correlati, oltre la
celiachia e la dermatite atopica, è stato ampliato nel corso degli ultimi anni con l’identificazione di altre entità
quali l’allergia al glutine, l’anafilassi
glutine-dipendente indotta da sforzo
fisico e la sensibilità al glutine non
celiaca (NCGS, Non Celiac Gluten
Sensitivity). Per la prima volta, nel
2011, è stato proposto il termine di
“gluten sensitivity”, ma dopo solo
un anno (meeting di Oslo e Monaco, 2012) è stato coniato il termine
di NCGS, allo scopo di differenziare
tale condizione dalla celiachia. Un
moderno inquadramento dei disordini glutine-correlati comprende le allergie (allergie alimentari, anafilassi,
anafilassi grano-dipendente indotta
da sforzo, asma di Baker, dermatite
da contatto), i disordini autoimmuni (celiachia, dermatite erpetiforme,
atassia da glutine) ed i disordini non
allergici e non autoimmuni (sensibilità non celiaca al glutine). La NCGS
può essere sospettata in pazienti con
Pro e contro Gluten-sensitivity: mito o realtà
•••
Come sono cambiate
le abitudini alimentari
L’
industria alimentare è
molto cambiata nel corso
dell’ultimo decennio. Si è infatti assistito ad una maggiore diffusione
della dieta mediterranea, basata sul
consumo di grandi quantità di alimenti contenenti glutine. Il pane ed
i prodotti da forno ormai contengono, rispetto al passato, un maggiore
carico di glutine, reso necessario allo
scopo di ridurre i tempi di lievitazione. A ciò si aggiunge inoltre il
crescente utilizzo di pesticidi industriali e quindi di nuovi tipi di farina
ricchi di peptidi tossici del glutine,
che possono contribuire all’instaurarsi dei disordini ad esso correlati.
Sono state avanzate alcune ipotesi
relative al ruolo di altri trigger nella
patogenesi della NCGS. Il glutine
rappresenta il principale fattore scatenante, ma è stato dimostrato che
anche altre proteine del grano come
gli inibitori della amilasi-tripsina
possano determinare una attivazione
della risposta immune di tipo innato
a livello intestinale4. Biesierkierski et
al5, attraverso alcune segnalazioni su
popolazione australiana, hanno messo in dubbio l’esistenza della NCGS,
attribuendo gran parte dei sintomi
presenti in questi pazienti al ruolo
dei FODMAPs (fermentable oligodi- e monosaccharides and polyols)
contenuti nella dieta. Si tratta di
carboidrati a corta catena poco assorbibili che causano distensione del
lume intestinale: le fonti più comuni
sono il grano ed i cereali (ricchi di
fruttani), il latte, i legumi, il miele, la
frutta (ciliegia, melone, mango, pera) e ortaggi (cicoria, barbabietola,
finocchi, porri). In questa coorte di
pazienti, il ruolo dei FODMAPs è
Tabella 1. Caratteristiche dei disordini glutine-dipendenti
Caratteristiche
Celiachia
NCGS
Allergia IgE mediata
Frequenza
1%
0.6%-6%
1%
Genetica
95%: HLA DQ2-DQ8
50%:DQ2-DQ8
Nessuno
Sierologia
tTG, AGA, EMA
50% con AGA IgG
IgE per grano
IgE per ω5-gliadina
25% con AGA IgG
Istologia duodenale
Marsh II, III, IV
Marsh 0-1
Marsh 0,I,II
Sintomi
Intestinali ed extraintestinali
Intestinali ed extraintestinali
Intestinali ed extraintestinali
Mortalità
Aumentata
Sconosciuta
Aumentata in caso di anafilassi
65
zioni specialistiche ( “(…) ho eliminato il glutine ed i derivati e non ho
più la pancia gonfia”).
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
intolleranza al glutine che non sviluppano anticorpi come nella celiachia o nell’allergia IgE mediata, e che
non presentano lesioni della mucosa
duodenale1. La tipica presentazione
clinica della NCGS è la risultante
di una combinazione di sintomi e
tipiche manifestazioni di tipo GI e
simil colon irritabile (diarrea, dolori
addominali, nausea, stipsi, flatulenza e gonfiore addominale) o cutanee
(eczema ed eritema) o sistemiche
(cefalea, dolori muscolari, stanchezza cronica) e comportamentali ( depressione, ansia, iperattività, atassia).
La prevalenza segnalata in letteratura
varia dallo 0,5% al 6% e le categorie
a maggiore rischio sembrano essere
i giovani adulti e le donne2. Il limite
nella identificazione reale di questa
condizione è correlato al possibile “overlap” con condizioni cliniche quali
la Sindrome del Colon Irritabile e/o
sindromi psicosomatiche. Non vi sono dati epidemiologici riguardo l’età
pediatrica anche se la descrizione del
primo caso pediatrico è relativamente recente3. Un’ulteriore variabile è
costituita dalla tendenza, specie tra
i giovani adulti, all’autodiagnosi con
spontanea eliminazione del glutine
dalla dieta senza indagini o valuta-
La NCGS può essere
sospettata in pazienti
con intolleranza al glutine
che non sviluppano
anticorpi come nella
celiachia o nell’allergia IgE
mediata e non presentano
lesioni della mucosa
duodenale.
Pro e contro Gluten-sensitivity: mito o realtà
•••
stato dimostrato attraverso un challenge in doppio cieco e dopo avere
escluso qualunque forma di allergia
IgE-mediata. Infine, non sembra secondario nella patogenesi di questa
sindrome il ruolo di alcuni additivi
alimentari come glutammato, benzoato, sulfiti e nitrati che vengono
aggiunti a molti prodotti commerciali per varie ragioni (per esaltare il
gusto, colore e come conservanti)6.
La patogenesi
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
66
L’
e v entuale patogene si
della NCGS rimane ancora
poco definita. Contrariamente alla
celiachia, nella quale il sistema immune adattivo è up-regolato, nei
pazienti con NCGS sembra essere
coinvolto il sistema immune innato.
Non vi è un’aumentata espressione
di geni che codificano una maggiore
produzione di IL-6, IL-21 ed INF-γ,
tipica della celiachia, o un’aumentata
permeabilità intestinale correlata all’
incremento della zonulina e claudina-1. Nella NCGS, alcuni studi7
hanno evidenziato una ridotta espressione di TGF-β1 e FOXP3,
marker regolatori della funzione dei
linfociti T, con conseguente ridotto
reclutamento a livello intestinale. La
NCGS non correla con l’aplotipo
HLA-DQ2 e DQ8 della celiachia,
sebbene questo tipo di HLA sia presente nel 46% dei soggetti. Questa
percentuale è tuttavia comparabile
a quella della popolazione generale
(30%), ma di gran lunga inferiore ai
soggetti celiaci (99% dei casi)8.
La NCGS
è una entità clinica
descritta
nella popolazione adulta,
mentre sporadiche
sono le segnalazioni
che riguardano
l’età pediatrica.
Inquadramento
ed approccio clinico:
come districarsi ?
L
a NCGS è una entità clinica
descritta nella popolazione adulta, mentre sporadiche sono le
segnalazioni che riguardano l’età
pediatrica. Essa può essere sospettata e diagnosticata in quei pazienti con intolleranza al glutine che
non sviluppano anticorpi specifici
(anticorpi antitransglutaminasi ed
anticorpi antiendomisio) né IgE
specifiche suggestive per allergia al
grano (definita come una reazione
avversa immunologica IgE e non
IgE mediata al glutine e ad altre
proteine contenute nella farina). In
questi soggetti non sono dimostrabili lesioni della mucosa duodenale,
caratteristiche della celiachia. In
alcuni casi può essere dimostrata la
presenza di un incremento dell’espressione di linfociti intraepiteliali
nella mucosa (IEL, classe γ e δ), o
lesioni minime (Marsh 0-1) definite come “enteropatia linfocitica”9.
La dieta priva di glutine determina
una completa regressione dei sintomi. Non esistono biomarker sierologici anche se è stata segnalata
la presenza in questi soggetti di un
alto titolo per anticorpi antigliadina di classe G (AGA-IgG 56,4% in
NCGS versus 81% della celiachia)10.
Da segnalare che gli AGA IgG sono
stati dimostrati anche in altre condi-
zioni come le patologie autoimmuni
del fegato, la sindrome dell’intestino irritabile, o disordini del tessuto
connettivo, oltre che nella popolazione sana (2–8%). Essi quindi sono
dotati in assoluto di bassa specificità11. Dopo l’avvio della dieta senza
glutine, nel soggetto con celiachia
questa classe di anticorpi permane
nel 40% dei pazienti, nella NCGS
essi tendono a negativizzarsi. Nella
pratica clinica, la diagnosi di NCGS
è correlata alla dimostrazione che
una sindrome (associazione di sintomi) sia glutine-dipendente dopo
avere escluso con certezza il sospetto di celiachia (sierologia, istologia
duodenale ed HLA di classe II) o
allergia al glutine. Essa quindi rimane una diagnosi di esclusione
con successivo challenge al glutine
in doppio cieco-placebo controllato,
allo scopo di confermarne la diagnosi in relazione all’effetto placebo indotto dalla dieta priva di glutine che
non può essere sottovalutato12. Una
biopsia duodenale è sempre raccomandata per escludere il sospetto di
celiachia sieronegativa (1–2%) specie nella popolazione adulta.
I nuovi scenari
R
ecenti studi hanno ipotizzato l’associazione tra
NCGS e patologie di interesse
neuropsichiatrico come i disordini
dello spettro autistico (ASD) e la
Pro e contro Gluten-sensitivity: mito o realtà
L
o spettro dei disordini
glutine-correlati si è arricchito di questa nuova entità, definibile
come NCGS. L’espressività clinica di
questa condizione non determina un
coinvolgimento esclusivo dell’apparato gastrointestinale, ma anche di
altri organi o apparati quali quello
dermatologico, endocrino, ematologico, reumatologico e neurologico.
Un’accurata diagnosi di NCGS è
complessa nella popolazione adulta e
la diagnosi differenziale con la sindrome del colon irritabile o con forme di
celiachia sieronegative non è semplice.
•••
La pratica del “senza
glutine” non deve essere
implementata in assenza
di oggettive valutazioni
sul piano diagnostico.
Le poche evidenze riguardo
la diagnosi di NCGS
non autorizzano i pediatri
a prescrivere diete
senza glutine “di prova”.
La tendenza ad eliminare il glutine
dalla dieta è diventata frequente specie nei giovani adulti o nei familiari
di I grado di soggetti con celiachia che
presentano sintomi di tipo funzionale
spesso molto “invalidanti” . Il clinico
deve avere la capacità di guidare il
paziente attraverso un adeguato approccio diagnostico considerando la
variabilità di una sintomatologia clinica spesso di difficile definizione sul
piano oggettivo. La pratica del “senza
glutine” non deve essere implementata
in assenza di oggettive valutazioni sul
piano diagnostico.
Risposta alla questione
I
l bambino non è un “piccolo
adulto” e le poche evidenze presenti nell’adulto riguardo la diagnosi
di NCGS non autorizzano i pediatri a prescrivere diete senza glutine
“di prova”, ma devono spingerli ad
avviare un adeguato protocollo diagnostico affidandosi a Centri di II
livello. La dieta senza glutine deve
essere sempre considerata un motivo
di “stress” per il bambino e per la famiglia, per cui l’eventuale indicazione
deve essere inquadrata nell’ambito di
programma diagnostico e di followup adeguati. La sensibilità non celiaca al glutine potrebbe essere considerata in atto come “(…) un luogo
tra mito e realtà, un luogo dove non
ci sono limiti, né assoluti né relativi”
(E. L. James, 1981)
.
Gli autori dichiarano di non avere
nessun conflitto di interesse.
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67
Conclusioni
Bibliografia
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
schizofrenia. È frequente in queste
condizioni il fallimento delle terapie
farmacologiche ed appare suggestiva
la dimostrazione che un’alterata permeabilità intestinale (tipica di questi
disordini) possa comportare l’assorbimento di peptidi, capaci di attivare
il sistema nervoso centrale con produzione di un eccesso di oppioidi13.
L’efficacia della dieta senza glutine
(e senza caseina) non è tuttavia stata ancora dimostrata nei ASD così
come nella schizofrenia, dove è stata
segnalata la presenza di alti livelli
di AGA-IgG (anti-gliadina IgG)
e anti-tTG (anti-transglutaminasi
IgG)14.
[ evidenze / 1 ]
Diabete Tipo 1, Tipo 2
e Tipo X
Iperglicemia in età pediatrica: quale diabete?
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
68
Dario Iafusco1
Fabrizio Barbetti, Arianna Massimi 2
Valeria Grasso3
Ivana Rabbone4
Francesca Casaburo, Alessandra
Cocca, Santino Confetto, Alfonso
Galderisi, Andrea Paccone, Stefania
Picariello, Alessia Piscopo, Loredana
Russo, Pasquale Villano, Angela
Zanfardino
e Francesco Prisco5
Nadia Tinto, Cristina Mazzaccara,
Daniele Pirozzi, Paola De Sanctis6
Michele Pinelli7
Fabio Acquaviva8
Lucia Sacchetti9
1
Dipartimento di Pediatria –
Centro Regionale di Diabetologia Pediatrica
“G.Stoppoloni”, Napoli
[email protected]
2
Dipartimento di Medicina Sperimentale
e Chirurgia – Università di Tor Vergata
e Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma
3
Dipartimento di Medicina Sperimentale
e Chirurgia – Università di Tor Vergata, Roma
4
Coordinatrice del Gruppo di Studio
sul Diabete della Società Italiana
di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica
(SIEDP)
5
Dipartimento di Pediatria – Centro Regionale
di Diabetologia Pediatrica “G.Stoppoloni”
e Seconda Università di Napoli
6
CEINGE Biotecnologie Avanzate –
Dipartimento di Medicina Molecolare
e Biotecnologie Mediche – Università
Federico II, Napoli
7
Telethon Institute of Genetics and Medicine,
Pozzuoli
8
UO Genetica Medica – A.O.R.N. “G. Rummo”,
Benevento
9
CEINGE Biotecnologie Avanzate, Napoli
I
l muro concettuale secondo il quale il diabete in età pediatrica ha preferibilmente una
patogenesi autoimmune sta ormai
definitivamente crollando. Fino a pochi anni fa, infatti, in Pediatria vigeva
l’assioma che in caso di iperglicemia
persistente in età pediatrica, specialmente se in presenza di chetoacidosi,
l’unica diagnosi possibile fosse quella
di “diabete mellito tipo 1” e l’unica
terapia ammessa fosse la somministrazione di insulina per tutta la vita.
La classificazione del diabete mellito
in età pediatrica è, invece, profondamente mutata in questi ultimi anni
grazie alla identificazione di numerose forme di diabete non autoimmune,
in genere ereditarie, per la cura delle
quali non sempre l’insulina rappresenta l’unica alternativa. È interessante notare come ‒ specularmente ‒ anche la Diabetologia dell’adulto abbia dovuto constatare che oltre
ai pazienti affetti da diabete tipo 2,
caratterizzato da una combinazione
di insulino-resistenza e deficit beta
cellulare, vi siano casi a patogenesi
autoimmune (il cosidetto LADA o
NIRAD), come pure casi causati da
mutazioni genetiche.
Queste scoperte hanno rappresentato una vera e propria “rivoluzione
copernicana” facendo scoprire ai diabetologi pediatrici che il diabete in età
infantile e adolescenziale è molto più
eterogeneo dal punto di vista eziopa-
togenetico di quanto si pensasse. Anche se il diabete mellito tipo 1 costituisce ancora la forma di diabete più
diffusa in età pediatrica1, in presenza
di una qualsiasi iperglicemia è ormai
diventato importantissimo chiedersi
la patogenesi di questo sintomo utilizzando tutti gli strumenti che abbiamo
oggi a disposizione.
Il dosaggio dei marker autoimmuni (ICA=Islet Cell Antibodies,
GADA=anticorpi anti glucosaminidasi, IA-2A= anticorpi antitirosin
fosfatasi, IAA=anticorpi anti insulina
e ZnT8A=anticorpi anti Trasportatore 8 dello Zinco) è imprescindibile, a qualsiasi età, per confermare o
meno il diabete mellito tipo 1. A tale
proposito è indispensabile praticare il
dosaggio di più markers autoimmuni contemporaneamente od almeno
GADA e IA-2A; i primi infatti sono estremamente comuni e duraturi
nel tempo nel caso in cui il diabete
sia insorto in epoca peri-puberale,
mentre i secondi sembrano essere
più frequenti nei bambini più piccoli. Il dosaggio contemporaneo dei
5 marker (ICA, GADA, IA-2A, IAA
e ZnT8A) riduce inoltre la possibilità
di avere falsi negativi, soprattutto nel
caso in cui tali marker non siano stati
effettuati al momento della diagnosi
ma solamente dopo alcuni anni di
terapia insulinica. Solo in rari casi di
diabete fenotipicamente autoimmune, nei quali tutti i marker risultino
Evidenze / 1 Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X
P
er quel che riguarda il
MODY, le due forme per così
dire “paradigmatiche” sono i cosiddetti MODY-2 e MODY-3. Anche
se i dati epidemiologici asseriscono
che il MODY-2 sarebbe più frequente in Italia e nei Paesi mediterranei
•••
Il muro concettuale
secondo il quale
il diabete in età pediatrica
ha preferibilmente
una patogenesi
autoimmune sta ormai
definitivamente crollando.
alla esocitosi dell’ormone. Il deficit
dell’attività di tale enzima porta lieve iperglicemia a digiuno (>100 mg/
dl) e postprandiale, scarsa tendenza
alla evolutività, curve da carico orale
di glucosio nell’ambito dell’ impaired glucose tolerance (IGT: tra 140
e 199 mg/dl al prelievo dei 120’ del
test) e rarissimamente diagnostiche
di diabete (cioè oltre 200 mg/dl a
120’), modica elevazione dei valori
di emoglobina glicosilata che raramente è superiore a 7% (equivalenti a
53 mmoli/moli), scarsa tendenza alla
chetoacidosi, minima incidenza di
complicanze e rara necessità di trattamento.3 Recentemente il Gruppo
di Studio sul Diabete della Società
di Endocrinologia e Diabetologia
Pediatrica (SIEDP) ha elaborato un
questionario (Figura 1), il cosiddetto
69
e il MODY-3 nei Paesi anglosassoni, in realtà la prevalenza delle due
forme dipende anche dalla cultura
e dalla capacità diagnostica del pediatra. Negli ultimi tempi inoltre tali
patologie, che rappresentavano fino
a dieci anni fa l’1–2% delle forme di
diabete, sembrano essere sempre meno rare soprattutto perché si stanno
affinando le capacità diagnostiche del
pediatra e i metodi dei laboratori.
Il MODY-2 è caratterizzato da
mutazioni eterozigoti a perdita di
funzione del gene della glucochinasi.
Questo enzima, denominato anche
esochinasi IV, catalizza la fosforilazione del glucosio che entra nella
beta cellula pancreatica e agisce come
un sensore per la secrezione di insulina in risposta all’innalzamento della
glicemia, innescando la generazione del segnale metabolico che porta
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
comunque negativi (un 3–5% della
casistica pediatrica), è possibile applicare tecniche di proteomica per
dimostrarne la patogenesi autoimmunitaria2, in combinazione con la
determinazione degli aplotipi HLA.
Nei casi in cui i marker risultino
negativi, tra i tipi di diabete non autoimmune in età pediatrica riconosciamo le numerose forme monogeniche
da mutazione autosomica dominante
(MODY=Maturity Onset Diabetes
in Young), le forme da mutazione del
DNA mitocondriale delle beta cellule
pancreatiche (Diabete Mitocondriale), le forme emergenti di diabete da
insulino-resistenza (Diabete tipo 2
dell’adolescente), le forme di diabete
che insorgono nei primi sei mesi di
vita (Diabete Neonatale Permanente,
Diabete Neonatale Transitorio e forme assimilabili con insorgenza entro
l’anno di vita), le forme secondarie (ad
esempio Fibrosi cistica e Talassemia)
e le forme sindromiche (Sindrome di
Wolfram, Atassia di Friederich, molte
forme rarissime di diabete neonatale,
e così via).
Figura 1. Questionario SEVEN-IF.
Elaborato dal Gruppo di Studio sul
Diabete della SIEDP per identificare
i pazienti da tipizzare geneticamente perché probabilmente affetti
da mutazione della GlucochinasiMODY-2. Rispondere a 7 Sì su 7
indica una elevata specificità
(>90%) e un elevato valore predittivo positivo di MODY-2 (>75%)
per cui è utile praticare il test
senza indugio. Rispondere a 6 Sì
su 7 ha una elevata sensibilità
(>90%) che pone i pazienti ad
alto rischio di MODY-2. Se si
ottengono meno di 6 Sì su 7 si
tratta di pazienti che necessitano
di ulteriore revisione da parte di
centri particolarmente esperti in
diabete monogenico. Solo il 5% dei
pazienti MODY-2 attualmente diagnosticati, infatti, ha un punteggio
SEVEN-IF inferiore a 6.
Evidenze / 1 Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X
•••
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
70
Il diabete in età infantile
e adolescenziale
è molto più eterogeneo
dal punto di vista
eziopatogenetico
di quanto si pensasse.
“7-if ” (SEVEN-IF), costituito da 7
domande del tipo vero/falso che riguardano una serie di caratteristiche
cliniche solitamente registrate durante una visita diabetologica pediatrica. La risposta “SÌ” a 7/7 domande
dà quasi la certezza che si tratta di un
caso di MODY-2 per cui si impone
la tipizzazione genetica del paziente
e della famiglia così come la risposta
“SÌ” a 6/7 domande dà una elevata
probabilità di MODY-2. Meno di 6
“SÌ” su 7, invece, rende la diagnosi di
MODY-2 poco probabile.4 Questa
forma rappresenta la più frequente
causa di diabete non autoimmune
nella casistica pediatrica italiana.1
Il MODY-3, invece, è dovuto alla
mutazione dell’HNF-1 alfa (Hepatocyte Nuclear Factor 1-alpha), fattore di trascrizione presente non solo
nella beta cellula pancreatica, nella
quale regola sia la duplicazione prenatale che la sintesi di insulina, ma
anche in altri organi quali il rene ed
il fegato dal quale ha preso il nome. Il
MODY-3 è caratterizzato da un quadro decisamente di maggior severità
rispetto al MODY-2 con insorgenza,
in genere in epoca puberale. di iperglicemia anche grave, che progredisce
rapidamente, tendenza alla chetoacidosi, possibilità di complicanze microvascolari e la necessità spesso di
trattamento insulinico. Nei famigliari
portatori della mutazione, ma asintomatici (ad esempio fratelli minori
prepuberi), si osservano molto spesso,
a differenza del MODY-2, curve da
carico orale patologiche. Una caratteristica peculiare del MODY-3
è la presenza di glicosuria anche per
glicemie inferiori a 180 mg/dl (glicosuria renale). È importante sapere
che questa forma può rispondere favorevolmente alla terapia con basse
dosi di sulfaniluree, ma è esposta ad
una incidenza di complicanze a lungo termine simile a quella del diabete
tipo 2. Il MODY 3, molto comune
nel nord Europa, sembra meno diffuso in Italia.5
Le altre forme di MODY presentano similitudini, dal punto di
vista clinico, con queste due forme paradigmatiche. Il MODY-1
(HNF4-alfa) è simile al MODY-3
ma molto più raro. Si caratterizza
per la tendenza alla macrosomia ed
all’iperinsulinismo neonatale (circa
in un 50% dei casi) con ipoglicemie
anche estremamente severe, seppur transitorie. Successivamente si
assiste alla comparsa, in genere in
pubertà, di diabete da difetto della
secrezione insulinica, probabilmente derivante da una riduzione delle
beta cellule per fenomeni di morte
cellulare programmata (apoptosi).
Il MODY-5 è dovuto a mutazioni
del gene HNF 1 beta, stretto parente
del gene HNF1 alfa. La similitudine
è sufficientemente elevata da far sì
che i prodotti genici possano formare
tra loro eterodimeri. Il MODY-5 è
caratterizzato da malformazioni del
tratto genito-urinario (solitamente
cisti renali, ma anche utero bicorne
ed altre malformazioni) che quasi
sempre vengono scoperte prima del
diabete. Circa un 30% dei casi con
MODY 5 hanno delezioni maggiori
del gene, invece di mutazioni puntiformi. Esistono infine altri 9 geni
MODY, ma i pazienti con queste
forme sono particolarmente rari.
U
na forma di diabete monogenico ad esordio precoce (solitamente nei primi 6 mesi di vita,
ma anche ‒ seppur raramente ‒ nel
bambino e nell’adolescente, nel
qual caso è denominato MODY
10) è quella legata alla mutazione
del gene dell’insulina: il cosiddetto
“Diabete INS”. In questo caso l’anomalia consiste fondamentalmente nella impossibilità di “ripiegare”
correttamente la molecola dell’insulina e la conseguente incapacità da
parte della beta cellula di secernere
l’insulina anomala, che si accumula
a livello intracellulare. Questo comporta l’innesco di un meccanismo di
apoptosi con riduzione progressiva
del numero di beta cellule e comparsa
di diabete non autoimmune. Questa
forma è stata scoperta per la prima
volta in famiglie italiane ed ancora
una volta la ricerca del Gruppo di
•••
Carmela, a. 12
Diabete tipo 2
clinici. In particolare la mutazione
A3243G tRNA (Leu) dell’mtDNA
(0,2–2% di tutti i soggetti con diabete) è associata a diabete mellito
e sordità neurosensoriale (MIDD
Maternally Inherited Diabetes and
Deafness). Un segno che, nella nostra
esperienza, è risultato utile al riconoscimento del diabete mitocondriale è
la distrofia maculare, un particolare
pattern retinico svelabile in alcuni
casi all’osservazione oftalmologica
diretta da parte di oculisti esperti ed
in altri casi in corso di fluorangiografia. Data la frequenza di osservazione
possiamo ritenere tale sintomo quasi
“patognomonico” di diabete mitocondriale.7 Nei soggetti con diabete
mitocondriale è stata inoltre osservata un’aumentata incidenza della malattia celiaca in presenza di genotipo
HLA-predisponente.
Il diabete mellito tipo 2 dell’adolescente, infine, è una forma di diabete che negli ultimi anni specialmente in alcuni gruppi etnici (qui in
Italia popolazioni medio-orientali
e del sub-continente indiano) sta
assumendo proporzioni importanti. Si tratta di una forma legata
all’aumento esponenziale dell’obesità che comporta una riduzione
della azione biologica dell’insulina
(l’insulino-resistenza) secondaria.
L’iperinsulinismo compensatorio
??? 170/200 All’esordio
battute
Pimpirulin piangeva voleva
mezza mela la mamma
non l’aveva e Pimpirulin
piangeva. A mezzanotte in
punto passò un aeroplano e
sotto c’era scritto
Pimpirulin sta zitto.
Dopo 1 mese
di trattamento
dietetico
Figura 2. Acantosi
nigricans del collo
e delle ascelle. Segno
clinico spesso associato alle condizioni di
iperinsulinismo.
(spia dell’insulino-resistenza) consente nella maggior parte dei soggetti obesi di mantenere uno stato di
euglicemia o di alterata tolleranza ai
carboidrati (uno stato di aumentato
rischio di sviluppare diabete tipo 2),
tuttavia quando subentra un deficit
secondario di secrezione insulinica
per esaurimento funzionale della
beta-cellula, si arriva alla comparsa
del diabete mellito. Tale condizione
si associa ad alcuni sintomi che insieme indirizzano alla diagnosi, quali
l’acantosi nigricans, una particolare
colorazione ed aspetto vellutato della
cute del collo e delle ascelle legata
ad un aumento degli acantociti stimolati dall’insulina (Figura 2), l’ipertensione arteriosa, la disfunzione
ovarica, la dislipidemia. Da notare
che l’iperglicemia di questi soggetti
può accompagnarsi a poliuria e polidipsia e, soprattutto in occasione
di stress infettivi, il deficit relativo
di funzione insulinica e l’iperincrezione di ormoni contro insulari può
condurre ad una situazione di chetonuria in genere senza chetoacidosi.
L’età di comparsa di questa forma è,
in genere, tra i 10 e i 14 anni e il
sesso più colpito è quello femminile.
Anche se l’origine di questa forma di
diabete sembra essere multifattoriale,
la familiarità appare essere una caratteristica costante.8
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
Studio sul Diabete della SIEDP è
stata determinante per la definizione diagnostica di questo tipo di
diabete non autoimmune.6 Il diabete mitocondriale (che costituisce
verosimilmente una frazione molto
elevata – fino ad un 1–3% – di tutte
le persone con diabete, anche se la
stima risulta complessa ed è alquanto
variabile da studio a studio) è causato
da mutazioni del DNA presente nei
mitocondri (mtDNA) delle beta cellule pancreatiche. Le caratteristiche
di tale forma di diabete sono l’ereditarietà diaginica, legata al fatto che
il patrimonio mitocondriale di ogni
individuo deriva dal citoplasma della
cellula uovo poiché gli spermatozoi
perdono il loro patrimonio mitocondriale al momento della fecondazione, e la cosiddetta “eteroplasmia”:
cioè le cellule possono contenere
sia mitocondri normali che mutati
in differenti quantità da tessuto a
tessuto, contribuendo da un lato alla
diversa espressione clinica del diabete in membri della stessa famiglia,
dall’altro al coinvolgimento, oltre
che del pancreas, di altri organi contemporaneamente. Fino ad ora sono
state descritte differenti mutazioni
sia nel genoma mitocondriale che in
quello nucleare che regola a sua volta l’espressione del DNA mitocondriale, associate a determinati quadri
71
Evidenze / 1 Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X
Evidenze / 1 Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X
•••
In presenza di
una qualsiasi iperglicemia
è ormai diventato
importantissimo chiedersi
la patogenesi di questo
sintomo utilizzando tutti
gli strumenti che abbiamo
oggi a disposizione.
D
i fronte ad un caso di iperglicemia persistente in età pediatrica, in attesa di ottenere i risultati del dosaggio dei marker del diabete
autoimmune, si impone una accurata
anamnesi familiare che deve essere
orientata sia sui casi di diabete presenti nel pedigree per svelare forme
non autoimmuni ereditarie che sui
casi di malattie autoimmuni che si
possono associare, invece, nello stesso
paziente o nella famiglia, al Diabete
tipo 1. L’anamnesi di diabete deve
comprendere, quindi, tutti i tipi di
diabete presenti negli ascendenti e
nei collaterali almeno fino alla terza generazione indipendentemente
dalla gravità, dall’età all’esordio e dal
trattamento pregresso o in corso. Ciò
per evitare equivoci e fare in modo
che criteri terapeutici non assumano
un valore discriminante in termini
patogenetici come, ad esempio, la
somministrazione di insulina (dia-
bete “insulino-trattato”) che può erroneamente condurre alla definizione
di diabete “insulino-dipendente”. Per
cercare di porre una diagnosi presuntiva sul tipo di MODY, l’anamnesi
familiare per i casi di diabete deve
comprendere l’eventuale presenza
di complicanze microvascolari negli
ascendenti affetti, le caratteristiche
dell’esordio (chetoacidosi, iperosmolarità). La presenza o meno di
stigmate di sindrome metabolica
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
72
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presenza o meno di obesità tronculare. Molto utile è la rilevazione della
circonferenza addominale con la determinazione dei percentili e, in caso
di circonferenza addominale elevata,
può essere molto utile notare sul collo o sulla nuca, sotto le ascelle o altre
pieghe cutanee la presenza di acantosi nigricans. Concluse la raccolta anamnestica e la visita può essere utile
consegnare un apparecchio per la determinazione domiciliare della glicemia al paziente e fare praticare alcuni
profili glicemici giornalieri (glicemia
pre- e post prandiali). Il consiglio di
far praticare profili glicemici anche
ai fratelli e ai genitori del paziente
può essere di ausilio per svelare iperglicemie familiari misconosciute
e indirizzare sulla loro patogenesi. Il
dosaggio della glicemia e dell’insulinemia a digiuno permette di calcolare l’indice HOMA-r {[insulinemia
(microU/ml) x glicemia (mg/dl)/18]
/22,5} nel caso di sospetta insulinoresistenza. Recentemente sono stati
pubblicati i percentili italiani di tale
parametro glico-metabolico che si è
visto dipendere, ovviamente, dallo
stadio di sviluppo puberale.9 Tuttavia il semplice dosaggio del livello di
c-peptide, meno soggetto a problemi
pre-analitici rispetto all’insulinemia,
può essere utile per escludere una
bassa secrezione insulinica. I marker autoimmuni del diabete devono
essere praticati in tutti i casi di diabete in età pediatrica e, forse, anche
dell’adulto per rivelare eventuali casi di forme di diabete autoimmuni
dell’adulto (LADA=Latent Autoimmune Diabetes in Adults).
I
n conclusione, la recente acquisizione di nuove tecnologie
per la diagnosi del diabete come il
dosaggio dei marker autoimmuni della malattia: ICA, GAD, IA2,
IAA e dei recentissimi ZnT8 (questi ultimi consentono di classificare
correttamente alcuni pazienti che
prima sarebbero potuti rimanere
“indeterminati”) e delle tecniche di
genetica molecolare clinica (come il
sequenziamento diretto del DNA
genomico o mitocondriale) ha permesso di aggiornare la classificazione
eziologica del diabete con insorgenza
in età pediatrica e adolescenziale (e
nel giovane adulto) che da “type 1
diabetes only” è divenuta molteplice
ed articolata.
I cambiamenti della classificazione sono stati così repentini che si è
reso necessario organizzare corsi di
aggiornamento, sessioni di congressi,
articoli divulgativi come questo affinché le acquisizioni scientifiche potessero trovare posto al più presto nella
pratica clinica.10 La ricaduta pratica
di tali acquisizioni è altissima poiché
la diagnosi patogenetica delle forme
di diabete in età pediatrica rende
possibili, nelle forme di diabete non
autoimmune, di terapie alternative
alla insulina con notevoli benefici
sulla qualità di vita dei pazienti
.
Gli autori
dichiarano di non avere
nessun conflitto
di interesse.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
(ipertensione, acantosi nigricans, iperlipidemia) aiuterà nella diagnosi
differenziale con le forme di diabete
con insulinoresistenza. Molto utile è
anche, nella ricerca dei casi di diabete
gestazionale, soffermarsi sui pesi alla
nascita di tutti i membri del pedigree.
Il peso alla nascita, infatti, è un dato che facilmente rimane impresso
poiché rappresenta una delle prime
notizie sulla salute del bambino che
vengono fornite alla madre e ai familiari al momento del parto. Poiché i livelli di insulinemia prenatale
condizionano il peso alla nascita, la
presenza di un peso alla nascita fuori
norma per l’età gestazionale – sia in
eccesso che in difetto – è un dato che
può essere indicativo per una forma
genetica. Un’anamnesi familiare positiva per diabete può favorire una
diagnosi CLINICA di diabete non
autoimmune familiare (ad esempio
MODY, diabete mitocondriale) ed
eventuali patologie associate – quali
sordità neurosensoriale, maculopatia,
cardiomiopatie, patologia muscolare
oppure cisti renali e/o malformazioni
del tratto genito-urinario indirizzare
alla richiesta specifica di indagini genetiche rispettivamente per il diabete
mitocondriale o per il MODY-5.
D’altra parte nel sospetto di diabete autoimmune è molto utile approfondire l’anamnesi familiare di
altre malattie autoimmuni che talora possono associarsi nella famiglia.
È necessario, quindi, indagare sulla
presenza di tireopatie, celiachia, sindorme di Addison, ma anche su patologie quali la psoriasi, la vitiligine,
l’alopecia, la piastrinopenia, il LES, la
dermatomiosite, la sclerosi multipla
o il Crohn. Terminata l’anamnesi,
i segni clinici sono altrettanto importanti nel tentativo di definizione
diagnostica del tipo di diabete o della
causa dell’iperglicemia. La visita dovrà soffermarsi, in particolare, sulla
73
Evidenze / 1 Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X
[ evidenze / 2 ]
Infezioni delle vie aeree del bambino:
pochi gli antibiotici di prima scelta
La conoscenza dell’epidemiologia, dell’etiologia più probabile
e della distribuzione in Italia delle resistenze batteriche risulta fondamentale
per impostare una terapia antimicrobica razionale.
CASO CLINICO 1
Luca, 2 anni, viene condotto in DEA
per otite media acuta destra purulenta.
Si tratta del secondo episodio, insorto a
distanza di circa 3 mesi dal precedente.
Luca è stato inserito al nido all’età di
18 mesi. Quando giunge in DEA è
sofferente, febbrile (T° 38,8 °C). Gli
esami ematochimici mostrano incremento
degli indici di flogosi (GB 14080/μl, 68%
neutrofili; PCR 97 mg/l, procalcitonina nei
limiti). In DEA viene eseguito un tampone
sul pus ed il bambino viene ricoverato
prescrivendo terapia antibiotica con
cefepime ev. L’esame colturale risulterà
positivo per Haemophilus influenzae non
tipizzabile, sensibile alle penicilline.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
74
CASO CLINICO 2
Sofia, 7 anni, viene visitata in DEA
per febbre e tosse. L’anamnesi patologica
remota risulta silente, eccetto per allergia
all’amoxicillina. All’arrivo in DEA la
bambina è febbrile, tachipnoica ma in
buone condizioni generali, vigile, reattiva
e non presenta segni di dispnea. All’esame
obiettivo si riscontrano fini crepitii e rantoli
incostanti in campo medio a destra.
La radiografia del torace documenta
la presenza di un addensamento
parenchimale in sede paracardiaca
destra. Agli esami ematochimici viene
riscontrato un lieve incremento dei GB
(10420/μl, 78% neutrofili), PCR 56 mg/l,
procalcitonina negativa. La saturazione O2
in aria ambiente si mantiene stabilmente
al di sopra del 97% e l’EGA capillare
è buono. La bambina viene rinviata a
domicilio con indicazione ad assumere
levofloxacina per os per 7 giorni.
Era necessario ricorrere a tali farmaci?
Qual è la terapia antibiotica empirica
raccomandata in questi casi?
Discussione
sintesi delle indicazioni fornite dalle
e infezioni respiratorie
linee guida italiane (Tabella 1).
costituiscono la più frequenPer quanto attiene la faringote patologia infettiva in età
tonsillite acuta, ricordiamo che solo
pediatrica. Per lo stesso motivo, gli
il 15–30% è imputabile allo Strepantibiotici sono fra i farmaci più
tococco β-emolitico di gruppo A,
frequentemente prescritti nel corche rappresenta di fatto l’unico vero
so dell’età evolutiva, anche se con
bersaglio della terapia antibiotica,
sensibili variazioni territoriali. Prefinalizzata a prevenire le complimesso che le infezioni respiratorie
canze sistemiche a distanza, come la
sono spesso di origine virale, hanno
malattia reumatica, più che a curare
perlopiù un decorso autolimitantesi
l’infezione dell’orofaringe.1 Le linee
e non richiedono terapia antibiotica, guida italiane consigliano di eseguire
un test rapido prima di prescrivere la
il trattamento delle forme batteriche
terapia, strategia sia diagnostica che
più comuni si avvale di pochi principi
terapeutica non condivisa da altre
attivi di costo relativamente contenuraccomandazioni internazionali, vito. Ciò dipende dall’eziologia delle
infezioni respiratorie nel bambino, sta la bassa incidenza della malattia
reumatica nei Paesi sviluppati ed il
ove i cocchi Gram-positivi (in primis
rapporto sfavorevole costo/beneficio
Streptococcus pneumoniae e Streptodel trattamento. Non entriamo qui
cocchi emolitici di gruppo A), Monel merito sui dati a favore o contro
raxella catarrhalis, Haemophilus intale scelta diagnostico-terapeutica.
fluenzae e Mycoplasma pneumoniae la
Seguendo le raccomandazioni itafanno da padroni quasi ad ogni età.
liane i farmaci per os di prima scelta
Teoricamente, l’impiego ottimasono rappresentati dall’amoxicillina,
le di un antibiotico si basa anzitutto
da somministrare per 10 giorni, o dalsul germe in causa e la sua suscetle cefalosporine di seconda
tibilità ai singoli prodotti;
Silvia Garazzino1
generazione (cefaclor, cenella pratica quotidiana
Pier-Angelo Tovo2
furoxime axetil, cefprozil)
l’uso è, però, prettamente
1
Dipartimento di Scienze
per le quali possono bastaempirico. In letteratura
della Sanità Pubblica
e
Pediatriche,
Università
re 5 giorni per eradicare lo
sono disponibili svariate
degli Studi di Torino
Streptococcus pyogenes dalla
linee guida relative al trat2
SCDU Pediatria 2U,
gola. Viene sconsigliato
tamento delle più comuni
Città della Salute
e della Scienza di Torino,
il ricorso ai macrolidi per
infezioni batteriche delle
Presidio: Ospedale
l’alta prevalenza di ceppi
alte o basse vie aeree. Di
Infantile Regina
di resistenti.
seguito riportiamo una
Margherita, Torino
L
Evidenze / 2 Infezioni delle vie aeree del bambino: pochi gli antibiotici di prima scelta
Tabella 1. Indicazioni estrapolate dalle principali linee guida italiane sul trattamento delle infezioni respiratorie batteriche nel bambino
Patologia
Patogeni prevalenti
Farmaci raccomadati
Durata
Faringite acuta
Streptococco ß-emolitico gr. A,
Altri (< 1%)
•Amoxicillina
•Cefaclor, cefuroxime axetil, cefprozil
10 giorni
5 giorni
Otite media acuta
Streptococcus pneumoniae
Moraxella catarrhalis
Haemophilus influenzae
Forme lievi:
•Amoxicillina
•Cefaclor
Forme gravi:
•Amoxicillina + a. clavulanico
•Cefuroxime axetil
•Cefpodoxime proxetil
5–10 giorni
Streptococcus pneumoniae
Moraxella catarrhalis
Haemophilus influenzae
Streptococcus pyogenes
Forme lievi:
•Amoxicillina
•Amoxicillina + a. clavulanico
•Cefuroxime axetil
•Cefaclor
Forme gravi non complicate:
•Amoxicillina + a. clavulanico os
Forme gravi complicate:
•Amoxicillina + a. clavulanico ev
•Ampicillina + sulbactam ev
•Ceftriaxone ev
10–14 giorni
Amoxicillina
Amoxicillina + a. clavulanico
Cefuroxime axetil
Cefalexina
+ macrolide
14–21 giorni
Streptococcus pneumoniae
Mycoplasma pneumoniae
Haemophilus influenzae
L’otite media acuta è sostenuta
in oltre l’80% dei casi dall’infernal
trio: Streptococcus pneumoniae (40%),
Haemophylus influenzae (30%) e Moraxella catarrhalis (15%).2 Negli ultimi anni, l’estesa introduzione del
vaccino antipneumococcico 13-valente ha portato ad una significativa
riduzione delle forme imputabili ai
ceppi vaccinali; sono però aumentate le forme da Haemophilus sp.3
Poiché, nonostante l’etiologia prevalentemente batterica, l’infezione
guarisce spesso senza complicanze
o reliquati anche senza terapia antibiotica, viene oggi consigliata una
strategia “wait and see” in bambini
•••
Teoricamente, l’impiego
ottimale di un antibiotico
si basa anzitutto sul germe
in causa e la sua
suscettibilità ai singoli
prodotti; nella pratica
quotidiana l’uso è, però,
prettamente empirico.
con sintomatologia lieve e garanzie, anche famigliari, che il paziente
venga seguito in modo adeguato. In
questi casi (in assenza di otorrea, episodi ricorrenti o particolari fattori
di rischio per resistenze batteriche),
qualora si ritenga opportuno l’uso
14–21 giorni
di antibiotici, quelli consigliati sono amoxicillina o cefaclor. Le forme gravi, o con otorrea o ricorrenti,
richiedono invece trattamento con
amoxicillina + acido clavulanico o
con cefuroxime axetil o cefpodoxime
proxetil. Più rare, ma non eccezionali,
le forme sostenute da Pseudomonas sp.
per cui è necessario un trattamento
mirato. La durata raccomandata della
terapia è di 10 giorni per i casi a rischio di complicanze (bambini < 2
anni di età o con otorrea); può essere
ridotta a 5 giorni in quelli con più
di 2 anni, ove non sussista un particolare rischio di esito sfavorevole
(vedi oltre per la dose appropriata di
75
Polmonite comunitaria
14–21 giorni
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
Rinosinusite acuta
10 giorni
Evidenze / 2 Infezioni delle vie aeree del bambino: pochi gli antibiotici di prima scelta
•••
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
76
Fattori prioritari
da considerare sono
le caratteristiche del
paziente, l’epidemiologia
locale delle resistenze
batteriche e le proprietà
farmacologiche
di ciascun principio attivo.
amoxicillina e l’eventuale associazione con clavulanato).
La rinosinusite batterica acuta
riconosce un’etiologia simile a quella delle otiti medie: i patogeni più
frequentemente isolati sono infatti
Streptococcus pneumoniae (30%), Haemophilus influenzae (20%) e Moraxella catarrhalis (20%); sono rare (4%)
le forme sostenute da Streptococcus
pyogenes.4,5 Il trattamento antibiotico nelle forme lievi ha lo scopo di
favorire una più rapida risoluzione
dell’infezione, e quindi della sintomatologia, ed è rappresentato principalmente dall’amoxicillina. Tuttavia,
nei casi con fattori di rischio per germi con resistenze agli antibiotici (ad
esempio presenza di concomitanti
patologie sistemiche o locali, trattamenti antibiotici nei 3 mesi precedenti, cure ospedaliere), la prima
scelta è rappresentata da amoxicillina + a. clavulanico o cefalosporine
orali di III generazione (cefuroxime
axetil, cefaclor). Il trattamento antibiotico è invece imprescindibile nelle
forme gravi (caratterizzate da febbre
elevata, compromissione dello stato
generale, marcata rinorrea purulenta, tosse persistente, edema orbitario,
cefalea) ed ha lo scopo di eradicare
l’infezione e di prevenirne le complicanze: le forme senza complicanze
in atto possono essere trattate con
amoxicillina + acido clavulanico per
os, mentre le restanti richiedono
un trattamento per via endovenosa
(amoxicillina + acido clavulanico,
ampicillina-sulbactam, ceftriaxone).
Il trattamento antibiotico di
prima scelta delle polmoniti comunitarie non complicate varia in
relazione all’età ed alle condizioni
cliniche del paziente.6,7 Poiché la
maggioranza delle polmoniti è di
natura virale, specialmente in età
prescolare, l’indicazione è di non
ricorrere immediatamente alla terapia antibiotica nei bambini che
sono stati regolarmente vaccinati
verso lo pneumococco, con segni e
sintomi lievi-moderati, che possano essere strettamente monitorati e
nei quali le caratteristiche cliniche
ed epidemiologiche (eventualmente laboratoristiche e radiologiche)
facciano sospettare una forma virale. Il trattamento antibiotico è
invece raccomandato in tutte le altre situazioni. Va tenuto conto che
nelle forme batteriche i germi più
frequenti sono Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae e
Mycoplasma pneumoniae: il primo è
prevalente nella fascia 3 mesi–5 anni,
mentre successivamente, specie tra
10 e 15 anni, prevalgono le infezioni
da Mycoplasma pneumoniae. Nella maggior parte dei casi è quindi
raccomandato l’uso di amoxicillina
ad alte dosi +/- macrolide per os;
le possibili alternative (vedi dopo)
sono rappresentate da amoxicillina +
acido clavulanico, cefuroxime axetil
e cefalexina. Generalmente la durata della terapia antibiotica è di 7-10
giorni, anche se recenti studi supportano l’efficacia di terapie più brevi (5
giorni); le forme gravi o complicate
richiedono terapie prolungate (oltre i 10 giorni); in caso di infezione
da M. pneumoniae è suggerito un
trattamento con claritromicina per
almeno 14 giorni. Segnaliamo, anche
se rara ed in prevalenza riscontrata
come complicanza di infezioni virali, la possibilità di polmoniti sostenute da Staphylococcus aureus, spesso
meticillino-resistente, che possono
evolvere verso gravi forme necrotizzanti: tali infezioni necessitano di
terapia mirata e gestione specialistica. Se le linee guida ci indirizzano
nelle opzioni terapeutiche più opportune nelle diverse situazioni cliniche, per ottimizzare il trattamento
antibiotico (soprattutto empirico)
è necessario tenere in dovuta considerazione molteplici fattori. Tra
questi prioritari sono le caratteristiche del paziente (gravità clinica,
patologie concomitanti, eventuale
immunodepressione, terapie precedenti), l’epidemiologia locale delle
resistenze batteriche e le proprietà
farmacologiche (soprattutto farmacocinetiche/farmacodinamiche) di
ciascun principio attivo.
Evidenze / 2 Infezioni delle vie aeree del bambino: pochi gli antibiotici di prima scelta
a prevalenza delle resistenze batteriche dei singoli patogeni responsabili di infezioni respiratorie condiziona fortemente la
scelta tra amoxicillina e amoxicillina
+ a. clavulanico o cefalosporine di III
generazione.8 L’acido clavulanico è
un β-lattamico prodotto dalla fermentazione di Streptomyces clavuligerus con scarsa attività antibatterica,
in grado però di legare ed inattivare le β-lattamasi (enzimi prodotti
da alcuni batteri che distruggendo
l’anello β-lattamico dell’antibiotico
lo rendono inefficace). L’acido clavulanico previene pertanto l’inattivazione dell’amoxicillina da parte
di germi produttori di β-lattamasi
e ne ristabilisce l’originario spettro
d’azione. Il ricorso all’a. clavulanico
è quindi necessario per combattere
germi produttori di β-lattamasi. Le
cefalosporine di III generazione hanno analogo razionale d’impiego, in
quanto non vengono inattivate dalle
β-lattamasi.
Nei bambini italiani Streptococcus pneumoniae mostra una ridotta
sensibilità alle penicilline in almeno il 15% dei casi ed ai macrolidi nel
40% dei casi. L’uso dei macrolidi in
mono-terapia è quindi sconsigliato in
pazienti con infezione pneumococcica accertata; mentre è giustificato
qualora si voglia combattere un’infezione da Mycoplasma pneumoniae.
I macrolidi possono comunque essere impiegati in associazione con un
β-lattamico, soprattutto in terapia
empirica, per sfruttarne l’effetto sinergico, oltre al potenziale intrinseco effetto anti-infiammatorio. Va
sottolineato che la ridotta sensibilità
dello pneumococco alle penicilline
è prevalentemente sostenuta da alterazioni delle Penicillin-Binding
Proteins (PBP). Ciò determina una
resistenza intermedia, che può essere
•••
Se un antibiotico
di largo consumo
come l’amoxicillina debba
essere somministrata
(per os) in 2 o 3
somministrazioni
giornaliere rappresenta
comunque una diatriba
lunga almeno 20 anni.
Farmacocinetica
e farmacodinamica
degli antibiotici
A
mmesso che l’antibiotico
scelto sia quello giusto, ricordiamo che i parametri farmacocinetici-farmacodinamici (PK/PD)
sono i determinanti più importanti
della sua efficacia. A tal proposito
va sottolineato che i β-lattamici ed i
macrolidi sono antibiotici ad attività
prevalentemente tempo-dipendente.
Aumentandone la dose oltre la soglia
terapeutica non si ottiene infatti un
ulteriore aumento dell’attività antibatterica; al contrario, maggiore è il
periodo in cui le concentrazioni di
antibiotico si mantengono al di sopra
della MIC (minima concentrazione inibente) dell’agente infettante,
maggiore sarà l’efficacia e minore il
rischio di selezionare germi resistenti. Il risvolto pratico è la necessità di
frazionare correttamente la dose di
β-lattamici per ottimizzarne l’azione.
L’emivita dei principali β-lattamici
raccomandati per il trattamento delle infezioni respiratorie nel bambino
(penicilline semisintetiche e maggior
parte delle cefalosporine orali) è inferiore a 3 ore: per avere concentrazioni plasmatiche adeguate sono quindi
necessarie almeno 3 somministrazioni giornaliere. Il raggiungimento
del target farmacodinamico (ovvero
periodo di tempo per cui le concentrazioni del farmaco sono superiori
alla MIC) è ancora più rilevante per
combattere germi a suscettibilità farmacologica ridotta (ossia con MIC
più elevate).
Se un antibiotico di largo consumo come l’amoxicillina debba essere
somministrata (per os) in 2 o 3 somministrazioni giornaliere rappresenta
comunque una diatriba lunga almeno
20 anni. Recentemente è stata pubblicata una Cochrane review che, apparentemente, liquiderebbe il proble-
77
L
superata da un incremento della dose: ne deriva il suggerimento di utilizzare dosi di amoxicillina di 80-90
mg/Kg/die (invece dei tradizionali 50
mg/Kg/die) per combattere infezioni da pneumococco. Più raramente
la ridotta suscettibilità dello pneumococco alle penicilline è sostenuta
dalla produzione di β-lattamasi: in
tale evenienza, la scelta terapeutica ricadrà su amoxicillina + acido
clavulanico o su una cefalosporina
di III generazione. Esistono infine
pneumococchi totalmente resistenti
ai β-lattamici; in Italia la loro percentuale è per fortuna ancora bassa
(circa 2%) e quindi il ricorso a farmaci mirati, quali i glicopeptidi, per
trattare una polmonite comunitaria
non è al momento giustificato, se non
in casi selezionati.
Sia Haemophilus influenzae che
Moraxella catarrhalis sono spesso
resistenti all’amoxicillina in quanto
produttori di β-lattamasi (rispettivamente 30% e 80% dei casi). Motivo
per cui, in caso di otite media acuta o
rinosinusite batterica (ove entrambi
i germi sono spesso in causa), viene
più spesso suggerito di ricorrere alla
combinazione penicillina semisintetica + inibitore delle β-lattamasi o a
una cefalosporina di III generazione,
per avere una maggiore garanzia di
copertura.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
Resistenze batteriche
Evidenze / 2 Infezioni delle vie aeree del bambino: pochi gli antibiotici di prima scelta
•••
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
78
I vari antibiotici
hanno diverse capacità
di penetrare
nei singoli tessuti
e ciò può ovviamente
condizionare la risposta
alla terapia.
ma dichiarando che una o due dosi
di amoxicllina (+ a. clavulanico) sono
sovrapponibili alle 3 dosi giornaliere nel trattamento dell’otite media
acuta.9 In realtà, riteniamo utile leggere i dati proposti in modo critico.
In primo luogo, la review prende in
considerazione solo 5 studi, peraltro
piuttosto datati (il più recente ha 15
anni), e con regimi terapeutici alquanto disomogenei in termini di
dosaggio. Nel frattempo, sono radicalmente cambiati i tassi di resistenza
agli antibiotici dei germi “respiratori”
(e quindi delle loro MIC), con conseguente diverso impatto di regimi
posologici sub-ottimali. Dai 3 studi
che analizzano anche le recidive di
otite emerge inoltre che le 3 somministrazioni giornaliere di amoxicillina si associano ad un minor rischio
di recidiva, a sostegno del fatto che la
posologia ottimale riduce il rischio di
selezionare ceppi resistenti. Da notare che l’assunzione di dosi molto
basse di antibiotico creano meno
danno di dosi appena sub-ottimali, in
quanto dosi bassissime di antibiotico
tendono a selezionare ceppi di pneumococchi a suscettibilità intermedia
alla penicillina, mentre dosi di poco
inferiori a quelle ottimali, specie se
somministrate per periodi prolungati, selezionano ceppi ad elevata
resistenza.10
Sede dell’infezione
U
n altro elemento cardine
nella scelta di un antibiotico è
la sede dell’infezione. I vari antibiotici hanno diverse capacità di penetrare
nei singoli tessuti e ciò può ovviamente condizionare la risposta alla
terapia. A livello polmonare il passaggio degli antibiotici attraverso la
membrana alveolare è influenzato, ad
esempio, dal grado di legame proteico, dalla lipofilicità e dalla ionizzazione del farmaco. Tutti i β-lattamici sono idrofili: hanno pertanto una bassa
capacità di attraversare la membrana
delle cellule (e quindi di agire contro patogeni intracellulari), tendono
a rimanere concentrati nel torrente
circolatorio e nel fluido interstiziale
e hanno conseguentemente un basso
volume di distribuzione; essi vengono eliminati prevalentemente per
via renale. Al contrario, i macrolidi
ed i fluorochinoloni sono antibiotici
lipofili: attraversano quindi facilmente la membrana cellulare, hanno un
elevato volume di distribuzione e
sono attivi verso patogeni intracellulari; vengono eliminati soprattutto
attraverso il metabolismo epatico. Se
si analizzano le concentrazioni nel
liquido alveolare, si può notare che
amoxicillina + a. clavulanico hanno
livelli inferiori del 20% rispetto a
quelli plasmatici ed alcune cefalosporine orali (cefuroxime axetil, cefpodoxime proxetil e ceftibuten) tra il 10
e il 35% rispetto al plasma; i macrolidi
raggiungono invece concentrazioni
da 10 a 60 volte superiori rispetto a
quelle plasmatiche.
I chinolonici in pediatria
I
chinolonici non sono raccomandati nel trattamento delle
infezioni respiratorie del bambino,
benché rientrino nelle principali linee guida dell’adulto. Essi rappresenterebbero, infatti, un’ottima opzione
terapeutica, sia per lo spettro d’azione (inclusi i germi intracellulari) che
per le caratteristiche farmacologiche
(buona biodisponibilià orale, ottima
penetrazione tessutale). L’utilizzo
dei fluorochinoloni in età pediatrica è tuttavia off-label (al di fuori di
ristrette indicazioni per la ciprofloxacina: infezioni complicate delle
vie urinarie, infezioni da Pseudomonas aeruginosa in pazienti con fibrosi
cistica). Le remore nel loro utilizzo
derivano da segnalazioni, già nel 1977,
di tossicità a carico delle cartilagini
e delle grosse articolazioni nell’animale, oltre a dati di tossicità su cellule in coltura. Ciò ha destato preoccupazioni per il possibile impatto
sull’accrescimento osseo ed articolare
nel bambino. Nell’adulto è del resto
documentata la possibilità di provocare danni ai tendini (con possibili
rotture). I dati sui florochinoloni in
Evidenze / 2 Infezioni delle vie aeree del bambino: pochi gli antibiotici di prima scelta
I
n sintesi, fermo restando la
validità del vecchio adagio che si
cura il paziente, non la malattia, il
trattamento delle più comuni infezioni batteriche delle vie aeree nel
bambino, stante lo spettro relativamente limitato degli agenti più
frequentemente in causa, si basa in
fondo su pochi antibiotici di prima
scelta, diremmo pochissimi se consideriamo le categorie (penicillina
semisintetica + inibitore delle βlattamasi, cefalosporine, macrolidi).
Farmaci come glicopeptidi, fluorochinoloni e carbapenemi non trovano
indicazione in prima battuta, se non
le molte variabili che determinano la
scelta terapeutica nel singolo paziente: condizioni cliniche, elementi anamnestici, età, immunocompetenza,
vaccinazioni, patologie concomitanti,
recidive, allergie, precedenti terapie
e ricoveri ospedalieri. La crescente
presa di coscienza del drammatico
impatto che sta assumendo lo sviluppo di resistenze agli antibiotici,
legato anche al loro impiego eccessivo, ha portato alcune delle recenti
linee guida ad essere più attendiste,
consigliando un maggior approccio
“wait and see” in caso di infezioni lievi o moderate, senza ricorrere quindi
immediatamente alla prescrizione di
un antibiotico, specie qualora rimanga verosimile l’ipotesi di un’etiologia
virale. Nel caso si ritenga opportuno prescrivere un antibiotico, dosi e
tempi di somministrazione devono
però essere adeguati, poiché la posologia errata, oltre a non garantire i
risultati attesi, favorisce fortemente
lo sviluppo di resistenze batteriche
.
Gli autori
dichiarano di non avere
nessun conflitto
di interesse.
79
Conclusioni
in casi altamente selezionati e/o con
il supporto di un antibiogramma.
Nella pratica quotidiana la scelta di
una terapia antibiotica, soprattutto
nell’ambito delle infezioni respiratorie dell’età evolutiva, si espleta per
lo più in maniera empirica: pertanto, la conoscenza dell’epidemiologia,
dell’etiologia più probabile e della distribuzione, in Italia, delle resistenze
batteriche risulta fondamentale per
impostare una terapia antimicrobica
razionale. Le posologia e le modalità di impiego dei singoli farmaci
non possono prescindere dalle conoscenza della loro farmacologia e
farmacodinamica. Le linee guida o
le raccomandazioni di esperti ci supportano nelle scelte terapeutiche e
forniscono indicazioni di massima
sulla terapia antibiotica ottimale
nelle singole malattie a seconda dei
germi più spesso responsabili dell’infezione. La frequenza con cui queste
raccomandazioni si susseguono e le
differenze che (talora) fra di loro
emergono evidenziano come le conoscenze e informazioni mirate siano in continua evoluzione e alcuni
quesiti rimangano aperti e oggetto
di accesa discussione. Pur avendo a
mente le raccomandazioni specifiche,
non ci si può comunque esimere dal
tenere nella dovuta considerazione
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AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
età pediatrica sono però ambigui e
discordanti: sono infatti segnalati casi di artralgia o artrite, ma l’associazione con danni articolari persistenti
non è stata provata. Quindi, è possibile utilizzare i fluorochinolonici
in età pediatrica, riservandoli però a
casi selezionati (infezioni respiratorie
gravi, insuccesso di trattamenti alternativi), tenendo in considerazione i
possibili effetti collaterali (tendinopatia, artralgia, allungamento del QT
all’ECG) ed il potenziale sviluppo di
resistenze batteriche.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
80
Caso clinico Titolo articolo anche lungo
[ Tutto
su / 2
]
Il pediatra
ed il bambino
con sindrome
malformativa
Se anche un bambino sindromico
può non guarire dalla sua condizione,
anche grazie alla dedizione del pediatra
può aumentare la qualità della sua esistenza.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
81
L
e Sindromi Malformative Complesse hanno
una prevalenza del 2–4% tra i nati vivi (OMS,
2012) pari a circa un paziente ogni 200 bambini e,
pur essendo singolarmente malattie rare, nel complesso
sono invece numerose. Si calcola infatti che siano circa 8000, un centinaio delle quali con un’incidenza tra
1:2000 e 1:10.000, circa 250 tra 1:10.000 e 1:100.000, e
circa mille fino ad 1:1 milione. Le rimanenti 6500 circa
rappresentano casi sporadici (Tabella 1). Quindi, per la
comune origine genetica (80% dei casi), per l’insorgenza in età pediatrica, per la frequente associazione con
disabilità e per l’interessamento di numerosi pazienti,
esse costituiscono un importante problema di Sanità
pubblica.1,6 Infatti, in Italia la fascia di età 0–18 anni (età
pediatrica-adolescenziale) comprende circa 10 milioni di
persone, il 15% circa delle quali (1,5 milioni) è rappresentato dai cosiddetti “bambini con bisogni speciali”, affetti
da patologie croniche che necessitano di un approccio
sanitario impegnativo. All’interno di questo gruppo di
pazienti, la metà circa (8% del totale, pari a circa 800.000
pazienti) è affetta da patologie che comportano “disabilità” (difetti fisici-mentali che
Luigi Tarani
rendono difficoltosa la parteciDipartimento di Pediatria
pazione sociale) che, a loro vole Neuropsichiatria Infantile –
ta, includono condizioni diverse
“Sapienza” Università di Roma
Tutto su / 2 Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
82
Tabella 1. L’incidenza delle sindromi principali
Sindrome
Prevalenza
(stimata)
Sindrome
Prevalenza
(stimata)
Down
1/800
Prader Willi
1/10.000
Klinefelter
1/1.200
Trisomia 13
1/10.000
Fra-X
1/2.000
Angelman
1/12.000
Noonan
1/ 2.000
Beckwith-Wiedemann 1/14.000
Neurofibromatosi 1
1/3.000
Acondroplasia
1/15.000
Del 22 (VCF-Di George)
1/4.000
Williams
1/20.000
Trisomia 18
1/5.000
Saethre Chotzen
1/25.000
Turner
1/5.000
Poland
1/30.000
Sclerosi Tuberosa
1/5.800
Kabuki
1/32.000 (Jap)
VATER
1/7.000
Smith Lemli Opitz
1/40.000
Artrogriposi multipla
1/10.000
Wolf
1/50.000
CHARGE
1/10.000
Apert
1/70.000
De Lange
1/10.000
Crouzon
1/80.000
Disostosi spondilo-costale 1/10.000
Cohen
1/100.000
Ehlers-Danlos
1/25.000
Holt Oram
1/100.000
Facio-auricolo-vertebrale
1/10.000
Sotos
1/100.000
Marfan
1/10.000
come l’autismo, le paralisi cerebrali infantili, gli esiti
di tumori, ma anche patologie ad elevata complessità
assistenziale, come le malattie genetiche (fibrosi cistica,
talassemia, atrofia muscolare spinale etc.) e nello 0,5%
dei casi (50.000 pazienti), le Sindromi Malformative
Complesse (s. Down, s. Cornelia de Lange, s. Noonan
e altre).3,5
Queste patologie possono comportare problematiche
cliniche gravi e limitazioni dell’autonomia personale,
con rilevanti ricadute assistenziali e sociali, tanto che,
negli ultimi anni, nell’ambito della Società Italiana di
Pediatria, si è sentita l’esigenza di sviluppare la branca
della “Pediatria della disabilità”, che non comprende
soltanto l’approccio sanitario multi-specialistico tipico
delle malattie croniche, ma si arricchisce di un approccio multisettoriale, anche di tipo educativo-scolastico
e sociale, esteso al territorio. Tale approccio andrebbe
realizzato mediante la creazione di una rete assistenziale
che integri il Centro di Riferimento per la Malattia
Rara, che ha il compito di impostare il programma assistenziale, il Distretto Sanitario di competenza, che
dovrebbe contribuire alla sua realizzazione ed il pediatra
di famiglia che, ove opportunamente motivato, potrebbe
coordinare gli interventi. Qual è quindi il ruolo del pediatra di famiglia in questa rete assistenziale “integrata”?
Di sicuro è un ruolo fondamentale e poliedrico, che
varia dalla possibilità di sospettare una diagnosi, alla
gestione dei suoi risvolti clinici in collaborazione con
il Centro di riferimento, all’individuazione dei bisogni
socio-assistenziali del bambino, alla gestione iniziale
dell’emergenza e dell’invio alla riabilitazione, nonché
alla vicinanza empatica alla famiglia. In altri termini egli
può essere il responsabile territoriale, che lavora in partnership con la famiglia, per assicurare l’accesso a tutti i
servizi socio-sanitari utili a soddisfare i bisogni medici
e non medici del bambino e della sua famiglia, al fine
di favorire l’espressione più completa delle potenzialità
del bambino e di ottenere la sua migliore partecipazione
alla vita sociale.
Il pediatra incontra il bambino sindromico
I
l pediatra può “incontrare” il bambino sindromico in vari modi.
1. Quando accoglie tra i suoi assistiti un neonato dimesso con una specifica diagnosi. In questo caso il
bambino ha già “un’etichetta” che, oltre alle problematiche comuni alle malattie croniche, può comportare aspetti specifici delle sindromi genetiche
che possono essere negativi o positivi. Tra i primi
sono: il timore che il bambino venga discriminato
per la sua condizione e le possibili difficoltà di attaccamento/relazione tra i genitori ed il bambino
stesso. Tra i secondi la definizione della prognosi
quoad vitam e quoad valetudinem, l’impostazione
di un programma assistenziale semplificato ma
accurato perchè tarato sulla specifica sindrome
(complicanze, emergenze, riabilitazione etc.), la
consulenza genetica, per valutare il rischio di ricorrenza familiare, la certificazione di malattia rara ed
il potenziale contatto con un’associazione di genitori per ottenere un sostegno psicologico, pratico
e legislativo. A questo punto al pediatra conviene
acquisire le maggiori informazioni possibili su
quella specifica condizione da cui è affetto il “suo”
bambino, in particolare sulla variabilità del quadro
clinico, sulle possibili complicanze mediche e sui
protocolli di follow-up. Sarebbe inoltre opportuno
che il pediatra verificasse la comprensione corretta
delle informazioni ricevute dalla famiglia e, in caso
negativo, la rimandasse al Centro che ha posto
la diagnosi per chiarimenti ulteriori e, al fine di
impostare un adeguato follow-up costruisse un’interazione attiva con un Centro di Riferimento,
che potrebbe essere diverso dal centro diagnostico.
Sarebbe anche opportuno che eseguisse un attento monitoraggio pediatrico generale, provando a
Tutto su / 2 Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa
li in altri organi e, quindi, se deve attendersi la
comparsa di nuovi segni e/o complicanze. A tal
fine è opportuno che prescriva dei test laboratoristici, radiologici o funzionali (EEG, ECG,
esame audiometrico o oculistico) che svelino le
problematiche associate.
4.Quando egli stesso pone una diagnosi post-neonatale di malformazione maggiore e/o di problema
funzionale (visivo, uditivo, neurologico, cardiaco,
renale etc.) che impone un inquadramento diagnostico più esteso, sarebbe utile che cercasse di
documentare i problemi clinici del paziente ed
i propri sospetti, anche inviando il bambino al
genetista clinico, dopo aver preparato i genitori
a questa strana visita, spiegando loro le ragioni
(dubbio di patologia complessa) ed il possibile
iter diagnostico successivo (prima visita, test genetici o diagnostica di immagini) e sostenendoli
nel percorso previsto. A questo punto del percorso
diagnostico sarebbe comunque utile per consolidare il rapporto di fiducia con la famiglia, che
il pediatra ne spiegasse anche i limiti, in quanto
il suo sospetto potrebbe essere sbagliato, oppure
una diagnosi certa potrebbe non essere possibile,
con la delusione delle aspettative che in qualche
modo si creano sempre.
Come e quando sospettare una sindrome
D
a quanto esposto risulta evidente che l’approccio clinico alle sindromi malformative presenta
delle peculiarità dovute alla loro estrema varietà clinica,
eziologica e patogenetica. Il primo passo consiste, proprio, nel porre un “sospetto diagnostico” che, ovviamente,
precede la definizione clinica ma che richiede da parte del
pediatra una particolare sensibilità diagnostica.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
“normalizzare l’anormalità”, trattando il bambino
sindromico come tutti gli altri assistiti, con valutazioni periodiche dell’accrescimento staturoponderale facendo uso, se disponibili, delle curve di crescita specifiche della sindrome. Inoltre
sarebbe necessario impostare l’alimentazione in
modo ponderato (ipocalorica nella sindrome di
Prader-Willi ed ipercalorica nella sindrome di
Costello), ma il più normale possibile e proporre le vaccinazioni facoltative che non presentano
alcuna controindicazione a priori ed, anzi, sono
di massima utilità, considerato l’elevato rischio
di infezioni respiratorie che hanno i bimbi con
cardiopatie congenite o disfagia/reflusso gastroesofageo o pneumopatie restrittive da anomalie
spondilo-costali e altre. Infine sarebbe opportuno
che il pediatra verificasse costantemente dalla sua
postazione privilegiata, l’evoluzione del processo
di accettazione/adattamento ai problemi da parte
della famiglia, nonché l’ efficacia della “rete” socioassistenziale (riabilitazione, inserimento scolastico) che riguarda il suo assistito.
2. Quando accoglie un neonato dimesso senza diagnosi, ma con una o più malformazioni maggiori, il
pediatra può essere un sicuro sostegno alla famiglia nella prosecuzione dell’iter diagnostico e può
continuare un attento monitoraggio sia pediatrico
generale che relativo ai problemi di base del bambino, sapendo che, anche se in qualche caso manca
l’etichetta diagnostica, i singoli problemi possono
essere affrontati e risolti con le stesse modalità.
3. Quando, tra i suoi assistiti, annovera un bambino
inizialmente normale, che inizia a presentare un
ritardo dello sviluppo psicomotorio od un problema di accrescimento, il pediatra si dovrebbe
chiedere se se si tratta di un difetto isolato o
se esistono anomalie strutturali e/o funziona-
83
L’approccio clinico alle sindromi malformative
presenta delle peculiarità dovute alla loro estrema varietà clinica,
eziologica e patogenetica.
Tutto su / 2 Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
84
Gli elementi clinici fondamentali che fanno sorgere il
sospetto diagnostico di una sindrome malformativa sono,
essenzialmente quattro:
1) la presenza di dismorfismi facciali (Figura 1) come l’ipertelorismo, la proptosi, le rime palpebrali
oblique in alto o in basso, il naso corto con narici
antiverse, il filtro lungo, la micrognatia e le orecchie impiantate in basso, per citarne alcune tra le
più frequenti, che conferiscono al volto un aspetto
particolare che rende il soggetto non assimilabile
agli altri membri della famiglia (a tal proposito si
consiglia di approfondire il metodo per descrivere
il fenotipo con la pubblicazione alla voce 8);
2. la presenza di malformazioni maggiori o minori, variamente associate; un’anomalia ano-rettale è sindromica nel 50% dei casi, una palatoschisi nel 30%,
una cardiopatia congenita od una cataratta nel 20%
ed un’anomalia renale nel 15%. Esistono poi delle
malformazioni che rappresentano delle “maniglie
diagnostiche” di specifiche sindromi, come l’amartoma linguale per la s. oro-facio-digitale, la stenosi
valvolare polmonare per la s. di Noonan, la stenosi
sopra-valvolare aortica e delle arterie polmonari
per la s. di Williams, una cardiopatia tronco-conale
e la palatoschisi per la S. di Di George, la stenosi
duodenale per la s. di Down, etc.
3. la presenza di problemi di crescita, sia in eccesso
(gigantismi) che in difetto (nanismi) oppure la presenza di disarmonie tra capo e tronco, tra tronco
ed arti, tra gli arti stessi, tra emisomi, etc; oppure
la presenza di macrocrania (s. di Sotos, idrocefalo)
o di microcefalia che può essere presente alla na-
Figura 1.
Sindrome
malformativa
Williams
(a sinistra)
e sindrome
malformativa
Noonan
(a destra).
scita, come nella sindrome feto-alcolica o nella s.
di Seckel od avere un esordio tardivo, come nella
s. di Angelmann o nella s.di Rett.
4. la presenza di ritardo dello sviluppo psico-motorio,
specie se associato a deficit sensoriali (udito, vista,
olfatto) è tanto più probabilmente sindromica quanto più è grave. Se le anomalie congenite multiple si
manifestano tutte alla nascita, è compito del neonatologo tentare un inquadramento, ma, successivamente sarà compito del pediatra identificare
eventuali difetti dello sviluppo somatico o psicomotorio, o l’insorgenza di malformazioni maggiori
in un bambino che alla nascita appariva normale
od era già portatore di una singola malformazione
maggiore. In sostanza è fondamentale che il pediatra
stabilisca se il difetto che rileva è isolato od associato
ad altri segni di una possibile sindrome.
Sarà poi compito del genetista clinico giungere ad
una “definizione” causale della sindrome, passando attraverso la sua “descrizione” più completa, mediante
Tutto su / 2 Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa
Si possono seguire due strade per giungere ad una diagnosi:
quella della diagnosi gestaltica (a colpo d’occhio)
e quella della diagnosi analitica.
L’assistenza dopo la diagnosi
na volta posta la diagnosi (eziologica, genetica) o anche nel caso che questa mancasse, il
pediatra riprende in carico il bambino “sindromico”
partendo dalla precisa valutazione delle sue competenze iniziali (diagnosi funzionale) chiedendosi: questo
bambino, cosa sa fare? Cosa saprà fare se aiutato? Cosa
in lui si può correggere? Cosa si può prevenire? Tutto
ciò al fine di programmare il migliore follow-up clinico e riabilitativo possibile. “Il lavoro del pediatra di
territorio dovrebbe uscire dalle pareti dell’ambulatorio
ed estendersi verso tutto quello che è la vita del bambino” (Zampino G, 2010). Quindi, mediante i bilanci
di salute, può attuare interventi medici sul bambino,
ma può anche valutare i fattori economici, ambientali
e sociali della sua famiglia, può fornire indicazioni di
educazione sanitaria, anticipando i possibili problemi e
può mettere in atto interventi preventivi. Naturalmente
sarà opportuno che conosca la sindrome, documentandosi autonomamente e presso il Centro di riferimento sul decorso, sulle complicanze e sulle emergenze
possibili, nonché sui problemi inerenti la gestione dei
devices come la PEG, od il CVC o la tracheostomia.
Sarà anche opportuno che il pediatra garantisca il giusto apporto nutrizionale al bambino, monitorando le
calorie assunte ed i parametri di crescita e valutando
possibili deficit vitaminici od elettrolitici provocati da
disturbi dell’alimentazione o da eventuali farmaci, integrando quindi con specifici supplementi. Dato che in
alcune condizioni esiste un elevato rischio di sindrome
da aspirazione, sarà cura del pediatra diagnosticare la
disfagia ed il reflusso gastroesofageo, per iniziare una
riabilitazione deglutitoria od una terapia medica, prima
di inviare il bambino allo specialista per posizionare
una PEG od eseguire un intervento di fundoplicatio.
La valutazione del sonno è un altro aspetto che spesso
necessita l’invio a centri specialistici per risolverne i
85
U
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
un processo fatto di vari elementi e fasi che tendono a
completarsi reciprocamente ma che, talvolta, possono
condurre alla diagnosi anche se presi singolarmente.
Si possono, infatti, seguire due strade per giungere ad
una diagnosi: quella della diagnosi gestaltica (a colpo
d’occhio) e quella della diagnosi analitica. La prima
consiste nel riconoscimento immediato ed intuitivo
di un fenotipo noto, avvalendosi della semplice associazione tra memoria ed esperienza, come quando si
riconosce un’esantema infantile o un amico tra la folla.
Il sospetto diagnostico va poi convalidato con strumenti
analitici. La diagnosi analitica invece si avvale degli
strumenti tradizionali della medicina, quali l’anamnesi
familiare (albero genealogico, di almeno 3 generazioni,
per identificare malattie genetiche o deficit funzionali
gravi), gravidica (minacce d’aborto, quantità di liquido
amniotico, crescita e movimenti fetali, infezioni, assunzione di alcool, droghe, fumo o farmaci, diagnosi prenatale) e perinatale (asfissia, ittero, cianosi), dell’esame
obbiettivo e degli esami chimici e strumentali, associati
all’uso di sistemi computerizzati di ausilio diagnostico
(POSSUM, LDD) che elencano le ipotesi diagnostiche compatibili con il quadro clinico del paziente in
esame. Sta poi al genetista clinico definire la diagnosi,
avvalendosi anche di controlli clinici successivi, utili a
rilevare elementi compatibili con la storia naturale della
malattia e prescrivere i test genetici mirati, sapendo
che solo 1/3 delle sindromi ha una diagnosi eziologica
e che il tasso di diagnosi (detection rate) molecolare/
citogenetica dei singoli test per ogni sindrome è molto
variabile: s. di Williams 95%, s. di Sotos 90%, S. di
Noonan 80%, S. di Cornelia de Lange, di Kabuki e s.
CHARGE 70%.2,4,7 Nella Tabella 2 sono elencate le
caratteristiche cliniche e genetiche delle più comuni
sindromi genetiche.
Tutto su / 2 Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
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Tabella 2. Aspetti clinici e genetici di alcune sindromi note
Sindrome o Associazione
Segni principali
Difetto genetico
Acondroplasia
Scarso accrescimento staturale con arti corti, brachidattilia, macrocefalia,
dimorfismi facciali
Mutazione del gene FGFR3 in 4p16.3
Neurofibromatosi di tipo 1
Chiazze caffelatte, noduli iridei di Lisch, neuro fibromi cutanei,
pseudoartrosi tibiale, glioma del nervo ottico
Mutazione o delezione del gene NF1 in 17q11.2
S. di Angelman
Dismorfismi facciali, microcefalia, ritardo dello sviluppo, assenza di
linguaggio, epilessia
Assenza del contributo materno nella regione
15q11.2
S. di Apert
Craniostenosi, dimorfismi facciali, sindattilia completa mani e piedi
Mutazione del gene FGFR2 in 10q26.13
S. di Bardet Biedl
Obesità, ritardo mentale,polidattilia post-assiale, nefropatia,
ipogenitalismo,retinopatia
Sono state identificate mutazioni di 12 geni
diversi
S. di Beckwith Wiedemann
Iperaccrescimento, ernia ombelicale, onfalocele, macroglossia,
emipertrofia, visceromegalia
Mutazione o delezione dei geni sottoposti
ad imprinting nella regione 11p15.5
(H19,KCNQ10T1,CDKN1C)
S. di Crouzon
Craniostenosi, dismorfismi facciali
Mutazione del gene FGFR2 in 10q26.13
S. di Marfan
Alta statura con sproporzione arti-tronco, aracno-dattilia, lussazione del
cristallino, dilatazione bulbo aortico, prolasso della mitrale
Mutazione del gene FBN1 in 15q21.1
S. di Prader-Willi
Dismorfismi facciali, ipotonia, mani e piedi piccoli, ipogenitalismo, obesità,
iperfagia, bassa statura,ritardo mentale
Assenza contributo paterno nella regione
15q11.2
S. di Rubistein-Taybi
Dismorfismi facciali, scarso accrescimento, ritardo mentale, pollici e alluci
larghi o bifidi
Microdelezione 16p13.3, mutazione del
gene CBBP nel 16p13.3, mutazione del gene
EP300 nel 22q13
S. di Sotos
Iperaccrescimento, macrocrania, età ossea aumentata, dimorfismi facciali,
ritardo psicomotorio
Mutazione o delezione del gene NSD1 in
5q35 nel 90% dei pazienti
S. del pianto del gatto
Microcefalia e ritardo mentale
Delezione di una porzione variabile del
braccio corto del cromosoma 5
S. CHARGE
Coloboma, cardiopatia congenita, atresia/stenosi delle coane, ritardo di
crescita e/o sviluppo, anomalie genitali, ipoacusia, anomalie padiglione
auricolare
Mutazione del gene CHD7 in 7q21.11,
mutazione del gene SEMA3E in 8q12.1-q12.2
(detection rate: 70%)
S. di Cornelia De Lange
Dismorfismi facciali,ritardo di accrescimento, ritardo di sviluppo, irsutismo,
mani e piedi piccoli
Mutazione del gene NIBL in 5p13.1,
mutazione del gene SMC1L1 in
Xp11.22-p11.21, mutazione del gene SMC3
in 10q25 (detection rate 70%)
S. di Di George
Dimorfismi facciali, cardiopatia tronco-conale, ipocalcemia, deficit
immunitario, ritardo dello sviluppo, palatoschisi, disturbo della suzione e
deglutizione
Microdelezione 22q11.2
S. di Holt-Oram
Cardiopatia congenita (o alterazione ECG), anomalia monolaterale
dell’arto superiore
Mutazione del gene TBX5 in 12q24.21 nel
30% dei pazienti
S. di Noonan
Dismorfismi facciali, bassa statura, stenosi polmonare, pterigium colli,
pectus excavatum/ carenatum
Mutazione del gene PTPN11 in 12q24.1 nel
50% circa dei pazienti, mutazione della
via metabolica di RAS-MAPK, geni KRASS,
SOS1, NRAS, RAF1, (detection rate. 80%)
S. di Silver Russell
Scarso accrescimento pre e postnatale, asimmetria viso/arti,
dimorfismi facciali, sproporzione tra neurocranio e splancocranio
Upd materna del cromosoma7 nel 10 % dei
pazienti, ipometilazione del gene H19 in
11p15 nel 30% dei pazienti
S. di Treacher Collins
Dismorfismi facciali, notevole variabilità di espressione clinica
Mutazione del gene TCOF1 in 5q32-q33.1,
mutazione del gene POLR1C in 6p21.1,
mutazione del gene POLR1D in 13q12.2
S. di Williams
Dismorfismi facciali, stenosi aortica, ritardo di sviluppo, carattere
socievole
Microdelezione 7q11.23
(detection rate: 95%)
S. di Wolf-Hirschorn
Dismorfismi facciali, scarso accrescimento, ritardo mentale,
malformazioni oculari, renali e del SNC
Delezione 4p16.3
Spettro oculo auricolo
vertebrale
Asimmetria del volto, microtia o anomalia di conformazione
monolaterale del padiglione auricolare, appendici preauricolari,
dermoidi epibulbari, anoamlie vertebrali
Diagnosi clinica
VATER / VACTERL
Anomalie vertebrali e anali, atresia esofagea con fistola tracheoesofagea, anaomalie renali/radiali, cardiopatia congenita
Diagnosi clinica
Tutto su / 2 Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa
Un settore nel quale è richiesto al pediatra
uno sforzo assistenziale aggiuntivo è quello dell’emergenza
nel bambino sindromico.
nella s. di Williams e nella Neurofibromatosi di tipo 1
deve orientare verso una crisi ipertensiva od uno stroke
cerebrale, mentre l’improvvisa ipotonia/emiplegia nella
sindrome di Down, nell’Acondroplasia e nelle Mucopolisaccaridosi devono orientare verso una compressione
tronco-encefalica da instabilità atlanto-assiale.6
In conclusione, il pediatra può prendere coscienza
del fatto che se anche un bambino sindromico può non
guarire dalla sua condizione, anche grazie alla sua dedizione può essere curato al meglio e così può aumentare la
qualità della sua esistenza e le probabilità di attuare compiutamente le sue potenzialità di inserimento sociale
.
Bibliografia
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87
Gli autori
dichiarano di non avere
nessun conflitto
di interesse.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
disturbi. Le vaccinazioni vanno eseguite senza tema di
complicazioni, anche perché la copertura vaccinale nei
bambini disabili risulta essere molto bassa, mentre la
protezione che trarrebbero dai vaccini antiinfluenzale,
antiemofilo, antipneumocococco ed antimeningococco
è altissima, data la loro maggior propensione alle malattie respiratorie. La supplementazione in vitamine e
fluoro deve seguire le linee guida che riguardano tutti
i bambini. Infine il pediatra di famiglia, vivendo accanto alla famiglia, può meglio verificare se essa gode
di un adeguato sostegno sociale e se il bambino è ben
inserito a scuola, se esegue la prescritta riabilitazione
e se c’è un dialogo costruttivo tra le varie strutture che
lo assistono.5
Un settore nel quale è richiesto al pediatra uno sforzo assistenziale aggiuntivo è quello dell’emergenza nel
bambino sindromico. Tale esigenza nasce dalla constatazione che questi bambini accedono ai Pronto Soccorso
due volte più degli altri e da qui vengono ricoverati con
più facilità. Alla base di questo fenomeno sta una tendenza dei familiari a non fidarsi dei presidi territoriali
ed ogni volta a “temere il peggio”, ma anche il timore del
pediatra riguardo alla maggior fragilità di questi bambini. La conoscenza della storia naturale della sindrome
potrebbe facilitare la diagnosi della sua possibile complicanza e limitare i ricoveri ai soli casi in cui questa si
presenti effettivamente ed in forma grave. Alcuni esempi
possono spiegare il tipo di approccio richiesto, infatti
il dolore toracico in un ragazzo con sindrome di Marfan deve far pensare ad uno pneumotorace od ad una
dissecazione aortica, mentre il dolore addominale nella
sindrome di Williams deve orientare verso una diverticolite intestinale o vescicale od un’ischemia mesenterica,
mentre nella sindrome di Cornelia de Lange, dove la
comunicazione potrebbe essere molto difficoltosa, ad
un volvolo da malrotazione intestinale e nella sindrome
di Ehlers Danlos ad una rottura intestinale. La cefalea
Caso clinico Titolo articolo anche lungo
Scuola di Specializzazione di Pediatria –
Università di Ferrara, Azienda Ospedaliero-Universitaria
S. Anna di Cona, Ferrara
2
Pediatria – Ospedale Maggiore, Bologna
1
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Doriana Lacorte1
Cristiana Retetangos2
Andrea Lambertini2
Patrizia Alvisi2
[ C ASO
Doriana Lacorte1
Cristiana Retetangos2
Andrea Lambertini2
Patrizia Alvisi2
1
Scuola di Specializzazione
di Pediatria – Università
di Ferrara, Azienda OspedalieroUniversitaria S. Anna di Cona,
Ferrara
2
Pediatria – Ospedale
Maggiore, Bologna
clinico
]
La storia di Nicolas:
un caso di acalasia
È la clinica che, adeguatamente interpretata,
deve guidare la scelta delle indagini da eseguire
e delle terapie a cui sottoporre il paziente.
Caso clinico La storia di Nicolas: un caso di acalasia
IL CASO
associata a tosse notturna. Il sintomo caratterizza tutti i pasti della giornata ed
è presente sia per i solidi che per i liquidi. Mentre mangia o beve – ci racconta la
mamma – il bambino si ferma, tossisce, si “incupisce” per qualche secondo, poi
quasi sempre deglutisce, tira un sospiro di sollievo e ricomincia a mangiare, ma
talvolta finisce per vomitare. Di notte, inoltre, presenta una tosse stizzosa che spesso
tiene sveglia l’intera famiglia. Tutto questo
dura da ben 7 anni, ma è peggiorato negli
ultimi 2 e si è accompagnato ad una crescita
ponderale rallentata. Continuando l’anamnesi, emergono frequenti infezioni respiratorie e diversi ricoveri per focolai broncopneumonici interessanti il lato destro.
Analizzando la folta cartella di referti
medici che la mamma ha raccolto nel tempo,
abbiamo avuto la sensazione che fosse stata
data molta importanza al quadro respiratorio
che era stato indagato da diversi specialisti
(pneumologo, sindromologo, allergologo,
gastroenterologo ed immunologo); erano
stati ipotizzati fibrosi cistica, deficit immunologici, malattie allergiche, ma le indagini
erano risultate nella norma. Il sintomo disfagia era stato attribuito ad una malattia
da reflusso gastroesofageo (MRGE), “suffragata” solo dall’esecuzione, 2 anni prima,
di una radiografia (Rx) del tratto digerente
(l’unica eseguita) che aveva documentato
“alcuni episodi di reflusso gastroesofageo
Epidemiologia e fisiopatologia
L’
a pieno canale”. Nel corso degli anni erano
stati eseguiti numerosi cicli di antiacidi ed
inibitori di pompa che sembravano aver portato solo lievi e transitori benefici sulla tosse;
per quanto riguarda la disfagia, invece, non
era cambiato nulla. Il bambino continuava
ad impiegare molto tempo per terminare
il pasto, nonostante fosse di ottimo appetito e avrebbe mangiato voracemente. Tra
la documentazione che ci viene portata
in visione, ci colpisce il referto dell’Rx con
pasto baritato eseguito 2 anni prima che
metteva in evidenza una “rallentata clearance esofagea e aspetti di incoordinazione
faringo-esofagea”. Alla luce della clinica (la
mamma, durante il colloquio, sottolinea più
volte l’importanza della disfagia) e del referto radiologico, sospettando una patologia
esofagea, riteniamo utile l’esecuzione di una
esofagogastroduodenoscopia (EGDS) e di
una rivalutazione radiologica. L’indagine endoscopica mostra un esofago con peristalsi
torpida, una mucosa iperemica ed edematosa a livello della linea Z e un passaggio “a
scatto” dello strumento a livello del cardias.
acalasia rappresenta un disturbo della
motilità esofagea, raro nella popolazione pediatrica. L’incidenza è di 0,11/100.000 bambini
all’anno, con un trend in aumento negli ultime 2 decadi.
La condizione è molto rara sotto i 5 anni, meno del 5% dei
bambini presenta sintomi sotto i 15 anni. Non sembra ci
sia una prevalenza di sesso sebbene alcune casistiche riconoscano una predominanza nei maschi.1,2 Alla base della
All’Rx si riscontra un esofago dilatato, con
aspetto “a coda di topo” a livello del terzo
distale dove si apprezza un filiforme, discontinuo e rallentato passaggio del mezzo di
contrasto nello stomaco (Figura 1).
La diagnosi a questo punto risultava
chiara: si trattava di un caso di acalasia. La
manometria ci confermava il quadro mostrando un tono basale dello sfintere esofageo inferiore (SEI) superiore alla norma,
rilasciamenti post deglutitivi presenti ma incompleti, peristalsi assente nel 100% delle
deglutizioni umide.
N. è in attesa di eFigura 1.
seguire una valutaEsofago dilatato,
zione chirurgica per
con aspetto
il trattamento.
“a coda di topo”.
condizione è presente una degenerazione del plesso mioenterico inibitorio che innerva il SEI e il corpo dell’esofago.
Questo comporta uno squilibrio tra neuroni eccitatori ed
inibitori favorendo il controllo sulla sola azione delle fibre
colinergiche non più contrastate da stimoli inibitori. Ne
conseguono un mancato rilasciamento del SEI in seguito
alla deglutizione, assenza di peristalsi del corpo esofageo e
aumento della pressione del SEI a riposo. Sebbene sia da
considerare un disturbo idiopatico, sono state ipotizzate
89
enterologia pediatrica perché da circa 7 anni presenta un’importante disfagia
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
N. P., 11 anni, italiano, affetto da trisomia 21, giunge nell’ambulatorio di gastro-
Caso clinico La storia di Nicolas: un caso di acalasia
La non tipicità dei sintomi
è alla base del ritardo diagnostico che,
secondo alcune casistiche,
va dai 6 ai 10 anni.
cause autoimmuni (autoanticorpi diretti contro il plesso
di Auerbach), infettive (virus, malattia di Chagas), degenerative o ereditarie.1,2,3 È stata notata un’associazione con
trisomia 21, insufficienza surrenalica, sindrome di Alport,
sindrome da ipoventilazione centrale congenita, esofagite eosinofila, disautonomia familiare, malattia di Chagas,
sindrome di Allgrove (acalasia, alacrimia insensibilità ad
ACTH), sindrome di Pierre Robin e di Rozychi (sordità,
vitiligine, atrofia muscolare-acalasia).4,5
Presentazione clinica
L
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
90
a sintomatologia caratteristica è rappresentata da disfagia progressiva, prima per i solidi e poi
anche per i liquidi, vomito, rigurgito, dolore o pirosi retro
sternale e perdita di peso. Tuttavia, in età pediatrica, la presentazione è spesso atipica prevalendo i sintomi respiratori
come polmoniti ricorrenti, tosse notturna, raucedine, dispnea
da compressione tracheale, difficoltà nell’alimentazione. La
non tipicità dei sintomi è alla base del ritardo diagnostico
che, secondo alcune casistiche, va dai 6 ai 10 anni.6
Diagnosi
L’
Rx con pasto baritato è il primo esame da
effettuare nel sospetto poiché, eseguita con una sufficiente dose di bario, in genere non manca la diagnosi; è
possibile apprezzare una dilatazione dell’esofago con persistenza di cibo e mezzo di contrasto nella porzione distale
con lento svuotamento e l’immagine a coda di topo o a becco di uccello a livello cardiale. La manometria è l’esame con
maggiore sensibilità; permette di confermare la diagnosi
e di stadiare la malattia. È possibile apprezzare un’elevata
pressione del SEI a riposo, l’assenza o la riduzione della
peristalsi, il mancato rilasciamento del SEI in seguito al-
le deglutizioni. Tuttavia, l’assenza di questi riscontri non
permette di escludere la diagnosi a causa di una funzione
eterogenea del SEI in età pediatrica; la pressione può, raramente, non essere aumentata.3,7 L’EGDS deve essere
considerata un’indagine complementare alle precedenti.
Da sola ha una bassa sensibilità. Può evidenziare una dilatazione dell’esofago con un ristagno di cibo e di saliva e
la presenza di esofagite, ma risulta normale nel 40% dei
casi. La sua negatività, quindi, non permette di escludere la
diagnosi; rimane tuttavia un esame utile perché permette
di eseguire un prelievo bioptico e di escludere la presenza
di cause di pseudoacalasia.1,2,3
Diagnosi differenziale
Esofagite eosinofila (EoE)
È la prima patologia a cui il pediatra deve pensare di fronte ad un bambino che presenta calo ponderale o arresto
della crescita, vomito, rigurgito e disfagia. Essa presenta
una maggiore incidenza rispetto all’acalasia (0.9/10.000
vs 0.1/10.000 rispettivamente). Se ad arricchire il corredo
sintomatologico ci sono una storia di atopia o episodi di
impatto del bolo alimentare, la probabilità che si tratti
di EoE aumenta vertiginosamente. Già l’Rx del tubo
digerente permette di differenziare le due condizioni;
nell’acalasia l’esofago è dilatato, nella EoE al contrario
è ristretto. L’indagine endoscopica e successivamente
l’istologia con il riscontro di un infiltrato di eosinofili
(> 15/campo ad alto ingrandimento) consentiranno la
diagnosi di certezza.
MRGE
Tutt’altro che infrequente è che sintomi come dolore
retro sternale, pirosi, broncospasmo ricorrente, infezioni
respiratorie nel bambino vengano imputati erroneamente
Caso clinico La storia di Nicolas: un caso di acalasia
Adenocarcinoma, leiomioma, morbo di Crohn
Sono alla base della cosiddetta pseudoacalasia perché in
grado di simulare l’acalasia stessa sia da un punto di vista
sintomatologico che anatomico/strumentale; quando vi
è il sospetto, l’EGDS e l’esame istologico permettono di
escludere queste condizioni.
Disfagia psicogena
Si presenta tipicamente in età adolescenziale-pre adolescenziale, il rifiuto a deglutire è sia per i solidi che per i
liquidi (anche la saliva) ed è forte la paura di soffocare. La
caratteristica principale è che l’insorgenza è improvvisa e
conseguente ad un condizionamento (soffocamento, corpo estraneo, vomito). In genere è presente una comorbilità
neuropsichiatrica.
Terapia
L’
obiettivo del trattamento è quello di risolvere l’ostruzione funzionale del SEI consentendo
lo svuotamento del bolo nello stomaco per gravità. Non
esistono dei protocolli di comportamento, né delle linee
guida, essendo l’acalasia una patologia rara. Nessuna delle
opzioni terapeutiche correntemente in uso e descritte di
seguito è in grado di portare alla guarigione dalla patologia che tende, inevitabilmente, a recidivare nel tempo.8
Miotomia laparoscopica e plastica antireflusso
La miotomia laparoscopica secondo Heller è considerata
il trattamento di scelta in età pediatrica essendo il più efficace ed essendo gravato da un minor rischio di recidive
a lungo termine. Tuttavia, la miotomia può essere causa di
reflusso del contenuto gastrico nell’esofago aperistaltico
(alcune casistiche riportano un’incidenza di tale disturbo
del 60%). Per tale ragione l’intervento deve essere seguito
dall’esecuzione di una fundoplicatio. Quest’ultima deve
inoltre essere parziale; una fundoplicatio totale infatti
potrebbe causare una resistenza troppo elevata a livello
Terapia farmacologica
I calcio antagonisti e i nitrati a lunga durata d’azione sono
le due classi di farmaci che vengono più comunemente
utilizzati; rilasciano la muscolatura liscia che porta ad un
livello più basso la pressione del SEI ma non incrementano la peristalsi esofagea. Il sollievo dai sintomi è solo
parziale e di breve durata. Tra i comuni effetti collaterali
ricordiamo cefalea, edema declive ed ipotensione. Per
queste ragioni la terapia farmacologica è da considerarsi quasi sempre senza successo e deve essere riservata a
quei casi in cui la terapia chirurgica non è eseguibile per
caratteristiche legate al paziente.2,8
Iniezione di tossina botulinica
La tossina botulinica impedisce il rilascio di acetilcolina
dalle terminazioni presinaptiche. La sua iniezione intrasfinterica diretta può essere di qualche utilità nel ridurre la
pressione del SEI. Inizialmente allevia i sintomi in circa il
50% dei pazienti . La risposta è però breve e circa la metà
dei pazienti ripresenta i sintomi dopo 6 mesi. Il costo, la
bassa percentuale di efficacia e il rischio elevato di recidiva
non rende questa opzione terapeutica raccomandata in
età pediatrica.2,8
Dilatazione endoscopica
Un palloncino viene posto in corrispondenza del SEI
sotto visione endoscopica diretta. Il suo utilizzo in età
pediatrica non è standardizzato (pressione e grandezza
del palloncino, numero di dilatazioni ripetute). Il tasso di
successo di questa procedura varia dal 55 al 72%; un maggior numero di dilatazioni lo aumentano. Possibili complicanze della manovra sono sanguinamento, ematoma
intramurale e perforazione. L’incidenza di quest’ultima
varia dallo 0 al 15% ed è operatore dipendente.2,8
Peroral endoscopic miotomy (POEM)
È un nuovo approccio di chirurgia mini invasiva per via
endoscopica. Viene sezionata la muscolatura circolare del
SEI attraverso un’incisione della mucosa e della sottomu-
91
Asma, tracheomalacia
La sintomatologia respiratoria caratterizzata da tosse,
raucedine, dispnea, che può dominare la scena soprattutto
nei bambini più piccoli e che può precedere la comparsa
della disfagia, spesso porta alla diagnosi di asma o tracheomalacia.
della giunzione gastroesofagea, impedendo lo svuotamento dell’esofago e il passaggio di cibo nello stomaco
(ricordiamo che nei pazienti con acalasia manca l’azione
peristaltica e l’azione di pompa del corpo è completamente persa). Non esistono dati in letteratura che dimostrino
la superiorità assoluta del tipo di fundoplicatio parziale;
sia la Dor (fundoplicatio posteriore) che la Toupet (fundoplicatio anteriore) possono essere eseguite in base alle
preferenze individuali e all’esperienza del chirurgo.8,9
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
ad una MRGE. Fino al 50% dei pazienti vengono trattati
con antiacidi prima della corretta diagnosi.
Caso clinico La storia di Nicolas: un caso di acalasia
cosa. Sono stati descritti solo pochi casi in età pediatrica,
esiste il rischio di pneumotorace e pneumomediastino.10
Conclusioni
I
l caso di N., oltre ad aver rappresentato l’occasione per approfondire la conoscenza di una patologia rara in età pediatrica, ci ha portato a riflettere
ancora una volta, sull’estrema importanza della clinica,
che, adeguatamente interpretata, deve guidare la scelta
delle indagini da eseguire e delle terapie a cui sottoporre
il paziente.
Come spesso avviene nei pazienti affetti da acalasia, la
sintomatologia di N. era caratterizzata ‒ oltre che dalla
disfagia ‒ da un quadro respiratorio importante (tosse,
episodi infettivi delle basse vie respiratorie); quest’ultimo
aveva preso il dominio della scena, ponendo la sintomatologia disfagica in secondo piano. A posteriori, il dato
della monolateralità delle polmoniti (sempre a destra)
associato alla disfagia importante e duratura, poteva suggerire l’ipotesi che questi episodi fossero su base inalatoria
piuttosto che da deficit immunitario. Inoltre, la diagnosi
di MRGE, disturbo per il quale il paziente era in terapia
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
92
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myotomy for the treatment of achalasia in children: report of 3
cases. J Pediatr Gatsroenterol Nutr 2013;57(6):794-7.
da anni, non poteva giustificare né la disfagia (che si può
associare alla MRGE solo in rarissimi casi di malattia
severa e complicata da stenosi del lume esofageo) né era
sufficiente a spiegare un corredo sintomatologico respiratorio così ostinatamente persistente. Infine, gli aspetti
radiologici di “ridotta clearance” e di “incoordinazione
faringo-esofagea” emersi ad una radiografia eseguita due
anni prima, associati ai dati clinici, suggerivano una patologia esofagea diversa dalla MRGE.
L’insieme di questi aspetti ha condotto, purtroppo,
nel caso di N., a diagnosticare la patologia dopo diversi
anni dalla comparsa dei sintomi e di terapie inutili. In
letteratura, il ritardo diagnostico per l’acalasia rappresenta la regola piuttosto che l’eccezione. Alcune casistiche
riportano un ritardo medio di 4–6 anni, in altre il ritardo
arriva a 10 anni. Questo avviene a causa delle caratteristiche epidemiologiche della malattia che porta un pediatra
spesso a non incontrare mai nella sua carriera un paziente
che ne è affetto, ma anche per l’estrema eterogeneità e
aspecificità dei sintomi.
La consapevolezza dell’associazione con altre condizioni però (sindrome di Down, di Allgrove, insufficienza
surrenalica, ecc) dovrebbe aiutarci nella formulazione dell’
ipotesi diagnostica.
Per concludere ricordiamo pochi punti:
focalizziamo la nostra attenzione sul paziente, sui
suoi sintomi, sull’anamnesi: l’approccio multidisciplinare talvolta rischia di impedire o quantomeno
di non facilitare una visione d’insieme, clinica, del
paziente che risulta “frammentato” nelle diverse
“sottospecialità”;
la disfagia che persiste va sempre indagata: l’EGDS
deve sempre essere eseguita. La diagnosi di esofagite eosinofila, meno infrequente dell’acalasia, deve
essere esclusa in prima battuta e questo è possibile
solo con l’esame istologico;
una radiografia del primo tratto è il primo esame
da eseguire nel caso si sospettino patologie malformative ma, eseguita con una generosa dose di bario,
permette di fare la diagnosi di acalasia. La disfagia
ai liquidi può essere un valido suggerimento ad
eseguire tale indagine;
ridimensioniamo la diagnosi di MRGE, o quantomeno, mettiamola in discussione se non c’è risposta
alla terapia specifica.
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Gli autori dichiarano di non avere
nessun conflitto di interesse.
[quiz]
Test
di autovalutazione
1. In Italia lo Streptococcus
pneumoniae mostra:
a.resistenza alle penicilline
in almeno il 25% dei casi;
b.resistenza ai macrolidi nel 40%
dei casi;
c.resistenza totale ai β-lattamici
nel 10% dei casi;
d. assenza di resistenza totale
ai β-lattamici .
2. In caso di acalasia:
a. registriamo maggiore incidenza
rispetto all’esofagite eosinofila;
b. l’esofagogastroduodenoscopia
è la prima indagine da effettuare;
c. la diagnosi avviene nella maggior
parte dei casi dopo diversi anni
dalla comparsa dei sintomi;
D.la terapia farmacologica determina
il rilascio della muscolatura liscia
esofagea e porta a risoluzione
dei sintomi.
3. Il MODY-2 (mutazione
del gene della Glucochinasi)
può comportare i seguenti
sintomi ad eccezione di:
a.glicemie a digiuno superiori a 100
mg/dl;
b.emoglobina glicosilata (HbA1c)
superiore a 6%; 42 mmoli/moli;
c.obesità prevalentemente
addominale;
d.nessuna necessità di terapia con
possibili eccezioni in gravidanza.
4. Il MODY-3 (mutazione
del gene HNF1alfa) può
comportare i seguenti sintomi ad
eccezione di:
a.glicosuria anche per valori glicemici
inferiori a 180 mg/dl;
b.malfunzionamento anche
del pancreas esocrino con disturbi
digestivi;
c.insorgenza nei primi anni di vita
a addirittura in epoca neonatale;
d.possibilità di complicanze micro
vascolari come nel diabete mellito
tipo 1 e tipo 2.
5. Quante sono le sindromi
malformative attualmente
descritte?
a.1000;
b. 3000;
c. 5000;
d.8000.
6. Quando bisogna pensare
ad una sindrome malformativa?
Se il bambino presenta:
a.dismorfismi facciali, malformazioni
maggiori, problemi di crescita
e ritardo psicomotorio;
b.cardiopatica congenita isolata;
c.familiarità per ritardo mentale;
d.difetto di crescita ed anomalie
minori.
7. La “Non Celiac Gluten
Sensitivity“ (NCGS) presenta
le seguenti caratteristiche
ECCETTO:
a.è una entità clinica descritta
nella popolazione adulta;
b.l’aplotipo HLA-DQ2 e DQ8
è presente in circa il 50%
dei soggetti;
c.assenza di anticorpi antigliadina
di classe G;
d.la dieta priva di glutine
determina una completa regressione
dei sintomi .
8. Quali sono le attuali
raccomandazioni dell’AAP
sull’utilizzo del Palivizumab
nella prematurità?
a.<35 settimane EG per i primi due
anni di vita;
b.<32 settimane EG per lattanti
con età inferiore all’anno di vita;
c.<29 settimane EG per il primo anno
di vita;
d.<29 settimane EG per i primi due
anni di vita.
9. Quale terapia
va effettuata nei pazienti
affetti da bronchiolite?
a.Terapia di supporto.
b.Terapia inalatoria
con broncodilatatori.
c.Terapia antibiotica di copertura.
d.Terapia steroidea inalatoria
o per via sistemica.
10. Quale dei seguenti
meccanismi sembra essere
alla base delle sequele a distanza
dell’infezione da VRS?
a.Potenziamento della risposta Th1.
b.Shift immunologico Th1-Th2.
c.Iperproduzione locale di IFNG.
d.Iperproduzione sistemica di IL10.
Le risposte esatte
saranno pubblicate
sul prossimo numero
della rivista.
Quiz Test di autovalutazione
Le risposte
del numero
precedente
1. Che si intende per sequenziamento dell’esoma (WES, “Whole
Exome Sequencing”)? Il sequenziamento dell’esoma (WES, “Whole
Exome Sequencing”) studia le sole
porzioni codificanti del genoma
Risposta corretta: B
Il WES costituisce un approccio più semplice rispetto al sequenziamento dell’intero genoma, in quanto le regioni codificanti rappresentano l’1% del genoma
umano e contengono circa l’85% delle
mutazioni patologiche note.
2. Il Disturbo Specifico di Apprendimento è caratterizzato da difficoltà isolate e circoscritte nella
lettura (Dislessia) e/o nella scrittura (Disortografia) e/o nel calcolo
(Discalculia).
Risposta corretta: A
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015
94
Tali difficoltà hanno carattere evolutivo
e persistente. La precocità e la tempestività degli interventi appaiono sempre
più spesso tra i fattori prognostici positivi. Il pediatra di famiglia rappresenta
una figura centrale e determinate nel
riconoscimento precoce.
3.
Quale di queste affermazioni
non è corretta? L’introduzione tardiva del glutine riduce il rischio di
Malattia Celiaca.
Risposta corretta: D
L’introduzione tardiva del glutine non
riduce il rischio di Malattia Celiaca ,come
documentato dallo studio CELIPREV. Due
gruppi di bambini a rischio per famigliarità ricevevano glutine rispettivamente
a partire dal 6° mese e dal 12° mese.
Nessuna differenza di diagnosi di MC si
rilevava tra i due gruppi a 5, 8 e 10 anni.
Unica differenza significativa riguardava
il periodo di insorgenza della malattia:
il gruppo che aveva introdotto il glutine
a 6 mesi aveva una diagnosi in età più
precoce (26 versus 34 mesi).
4.Tra i 6 – 12 mesi, l’apporto rac-
comandato di lipidi rispetto alle
calorie totali è il 40%.
Risposta corretta: B
L’apporto raccomandato di lipidi tra i
6–12 mesi è il 40% delle calorie totali e
non deve essere inferiore al 25%. La
quota di grassi saturi dovrebbe essere <
10% dell’energia totale.
5.
Quale di queste affermazioni
non è corretta? L’apporto proteico
è stato aumentato con gli anni per
ridurre l’apporto di carboidrati.
Risposta corretta: B.
L’apporto proteico è stato ridotto negli
anni perché quantitativi più alti potrebbero predisporre il bambino all’insorgenza di obesità.
6.
La “Non-alcoholic fatty liver
disease (NAFLD)” è caratterizzata
dalle seguenti condizioni ECCETTO
assenza di infiammazione e fibrosi.
8. Le apnee ostruttive del sonno
(OSAS) non determinano alcuna
alterazione metabolica nei bambini/adolescenti.
Risposta errata: D
In concomitanza con l’epidemia di obesità in età infantile, è stato registrato
un sensibile incremento della prevalenza delle OSAS nei bambini/adolescenti,
tale che per ogni aumento di 1 kg/mq
di BMI al di sopra della media prevista
è descritto un aumento del rischio di
OSAS del 12%. I bambini/adolescenti
con OSAS presentano livelli più alti di
pressione arteriosa, di proteina C reattiva, di insulinemia, dimostrando che le
OSAS aumentano considerevolmente il
rischio di sviluppare complicanze cardiovascolari e metaboliche anche in
questa fascia di età.
9. L’osteomielite acuta (OA) in età
pediatrica: in genere le OA sono
più frequenti nei bambini più
grandi.
Risposta errata: C
Le osteomieliti sono più frequenti nei
bambini più piccoli, in rapido accrescimento osseo, con picco di incidenza intorno a 3 anni. Circa la metà dei casi si
verifica al di sotto dei 5 anni e, di questi,
il 25% in bambini al di sotto di un anno.
Risposta corretta: B
La NAFLD fa riferimento ad uno spettro
di patologia epatica che va dalla steatosi epatica semplice, a vari gradi di infiammazione e fibrosi fino alla cirrosi epatica.
7. La vitamina D presenta livelli
bassi nei soggetti obesi per le seguenti cause, tranne una. Indicare
quale: Alterato assorbimento della vitamina D.
Risposta corretta: C
Molte evidenze hanno riportato una associazione inversa tra accumulo di adipe
e bassi livelli di vitamina D, dovuti non
soltanto al sequestro di questa vitamina
liposolubile nel tessuto adiposo, ma anche all’effetto negativo delle adipocitochine (ad esempio la leptina) sulla sintesi della forma attiva della vitamina D.
L’ipovitaminosi D inoltre è stata correlata ad un aumentato rischio di Sindrome
Metabolica. Non c’è alcun rapporto con
l’assorbimento, anche perché solo il 10%
del fabbisogno di vitamina D è introdotto con la dieta, mentre il 90% è sintetizzato dall’effetto dei raggi UVB sul precursore presente sulla cute.
10. L’esame strumentale più utile
per la diagnosi di OA è la RMN.
Risposta corretta: C
La RMN è attualmente la migliore indagine strumentale, in termini di sensibilità e specificità, nei pazienti in cui segni
e sintomi siano ben localizzati. In tutti i
pazienti con sospetta OA è raccomandata l’esecuzione di una RX standard
all’esordio, con cui è possibile escludere
la presenza di fratture o malignità, ma
essa, nella maggior parte dei casi, è normale per i primi 10–20 giorni. Non esiste
opinione concorde sulla reale utilità
dell’ecografia nell’iter diagnostico
dell’OA. La TC fornisce immagini dell’osso e dei tessuti molli circostanti. Ha però
un ruolo limitato nella diagnosi di OA
nel bambino in generale e non dovrebbe far parte dell’usuale iter diagnostico.
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