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Trimestrale | Poste Italiane SpA – Sped. Abb. Post. DL 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, DCB Roma – Aut. GIPA/C/RM/26/2013 del 28/06/2013 – ISSN 2385-0736 | Un fascicolo 25 euro 16.2 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza / Rivista ufficiale di Formazione continua della Società Italiana di Pediatria | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 Gluten-sensitivity: mito o realtà/ Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X / Antibiotici per infezioni vie aeree / Il bambino con sindrome malformativa / Un caso di acalasia ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ In periodi di crescita o sforzo psicofisico intenso Per migliorare l’attività scolastica e lo studio In caso di sindromi influenzali, nel periodo di convalescenza Durante i cambi di stagione In caso di attività sportiva intensa Durante la terapia farmacologica Vitamina C Zinco Probiotici Lactobacillus rhamnosus GG (ATCC 53103) 21x28florplexjr0515-4 Pubblicazione riservata ai sigg. Medici Vitamine del gruppo B In caso di stanchezza, spossatezza o inappetenza Confezione da 10 flaconcini Organismo accreditato da ACCREDIA Body accredited by ACCREDIA UNI EN ISO 9001:2008 UNI CEI EN ISO 13485:2012 www.dicofarm.it Il prontuario Dicofarm è Rivista Rivista ufficialeufficiale di Formazione di Formazione continuacontinua della Società della Società ItalianaItaliana di Pediatria di Pediatria DirettoreNotizie Scientificoamministrative Società Italiana di Pediatria Luciana Indinnimeo via Libero Temolo, 4 - 20126 Milano Abbonamento Le informazioni custodite nell’archivio elettronico Professore Aggregato di Pediatria tel. 02.45498282, fax 06.45498199 L’abbonamento decorre dal gennaio al dicembre. de Il Pensiero Scientifico Editore verranno Dipartimento di Pediatria e NPI cell. 340.4244544 Le richieste ed i versamenti devono essere utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati Università di Roma “Sapienza” e-mail: [email protected] effettuati a: vantaggiose proposte commerciali e-mail: [email protected] Presidente Il Pensiero Scientifico Editore (D.Lgs. 196/2003 tutela dati personali). Ufficio Abbonamenti Comitato Editoriale Giovanni Corsello via San Giovanni Valdarno, 8 – 00138 Roma Inserzioni pubblicitarie, supplementi Sandra Brusa Vice Presidenti tel. 06.86282324 – fax 06.86282250 ed estratti Maria Elisabetta Di Cosimo Luigi Greco e-mail: [email protected] Le richieste vanno indirizzate a: Il Pensiero Scientifico Editore Tesoriere € 70,00 via San Giovanni Valdarno, 8 – 00138 Roma Rino Agostiniani € 120,00 tel. 06.86282323 – fax 06.86282250 Consiglieri www.pensiero.it € 25,00 Fabio Cardinale Tiziana Tucci ([email protected]) € 20,00 Antonio Correra (tel. diretto 06.86282323) € 180,00 Livia Costa ([email protected]) Liviana Da Dalt Ufficio Editoriale La quota di abbonamento può essere pagata (tel. diretto 06.86282342) Domenico Minasi David Frati a mezzo assegno circolare, assegno di conto Andrea Pession Il Pensiero Scientifico corrente, vagliaEditore postale, o versamento Copyright Consiglieri junior © 2013 Il Pensiero Scientifico Editore. sul c/c postale n. 902015. via S. Giovanni Valdarno, 8 - 00138 Roma Copyright Per addebito su carta di credito si prega inviare Massimo Barbagallo e-mail: [email protected] Tutti i diritti riservati. richiesta con firma autorizzata, numero della carta Elvira Verduci Il materiale pubblicato non può essere riprodotto Direttore Responsabile (16 cifre) e data di scadenza della stessa. in alcuna forma, né in parte né per intero, Delegato Sezioni Regionali SIP Luca De Fiore Tramite bonifico bancario: IT 28 U 02008 senza previa autorizzazione da parte dell’Editore. Valerio Flacco 05058 000500033273 Unicredit. ISSN 2385-0736 L’Editore non risponde delle opinioni, Glidel Enti, Istituti,diBiblioteche, Ospedali, Delegato deiConsulta dati e delNazionale contenuto in generale degli articoli Autorizzazione Tribunale Milano n. 311 ASL che desiderino la fattura dovranno farne Costantino pubblicati, i quali esprimono unicamente Romagnoli del 5 maggio 2000 richiesta al momento dell’ordine di abbonamento. il parere degli autori. Delegato Conferenza Gruppi di Studio Questo sarà attivato dopo il saldo della fattura. Progetto L’IVA grafico e impaginazione Salvioli è compresa nel prezzo di abbonamento Gian Paolo Copie. Si autorizzano singole copie di singoli Chiara Caproni (art. 74/C DPR 633/72). articoli per uso personale, non commerciale immagini&immagine - Roma Garanzia di riservatezza per gli abbonati L’Editore garantisce la massima riservatezza Arti Grafiche Tris dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità via dellediCase Rosse, 23 - 00131 Roma richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione scrivendo a: Finito di stampare nel mese di febbraio 2015 Il Pensiero Scientifico Editore Ufficio Promozione via San Giovanni Valdarno, 8 – 00138 Roma Stampa senza previa autorizzazione da parte dell’Editore. Per qualsiasi altro uso, siano esse copie multiple o sistematiche o copie per fini pubblicitari, promozionali o di vendita è richiesta l’autorizzazione da parte dell’Editore e il pagamento della relativa royalty per la riproduzione del materiale. 51 Alberto Villani AreaPediatrica | Vol. 14 | n. 4 | ottobre-dicembre 2013 Dante Ferrara Pietro Ferrara Per l’Italia Luciana Privati Indinnimeo Istituti, Rocco Russo Enti, Biblioteche, Ospedali, ASL Annamaria Staiano Fascicolo singolo Pier Angelo Tovo Articolo singolo in pdf Renato Vitiello Per l’Estero Rivista ufficiale di Formazione continua della Società Italiana di Pediatria Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 In copertina “Dédé at the table” Léon De Smet, 1921, olio su tela ruvida, collezione privata All’interno (pag. 56) ‘Il sole’, Luca, 5 anni, tempera su carta, 21x30 cm; (pag. 80) ‘Scarabocchio’ (part.), Eleonora, 3 anni, tempera e acrilici su carta, 30x21 cm; (pag. 88) ‘Il nostro palazzo, con e per mamma’, Luca, 5 anni, pastelli su carta, 21x30 cm [ Editoriale ] Alimentazione & Malattie Luciana Indinnimeo I rapporti esistenti tra alimentazione-nutrizione e malattie sono molto complessi e solo parzialmente noti > 55 [ Tutto su / 1 ] VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza Renato Cutrera, Nicola Ullmann, Elena Boccuzzi, M. Chiara De Angelis, Giovanni Corsello È possibile che sia l’interazione di più fattori a determinare l’outcome dell’infezione acuta da VRS e delle manifestazioni a lungo termine > 56 [ Pro e contro ] Gluten-sensitivity: mito o realtà Simona Valenti, Claudio Romano Lo spettro dei disordini glutine-correlati si è arricchito di questa nuova entità, definibile come NCGS, Non Celiac Gluten Sensitivity > 64 [ evidenze / 1 ] Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X Dario Iafusco, Fabrizio Barbetti, Arianna Massimi, Valeria Grasso, Ivana Rabbone, Francesca Casaburo, Alessandra Cocca, Santino Confetto, Alfonso Galderisi, Andrea Paccone, Stefania Picariello, Alessia Piscopo, Loredana Russo, Pasquale Villano, Angela Zanfardino, Francesco Prisco, Nadia Tinto, Cristina Mazzaccara, Daniele Pirozzi, Paola De Sanctis, Michele Pinelli, Fabio Acquaviva, Lucia Sacchetti Iperglicemia in età pediatrica: quale diabete? > 66 [ evidenze / 2 ] Infezioni delle vie aeree del bambino: pochi gli antibiotici di prima scelta Silvia Garazzino, Pier-Angelo Tovo La conoscenza dell’epidemiologia, dell’etiologia più probabile e della distribuzione in Italia delle resistenze batteriche risulta fondamentale per impostare una terapia antimicrobica razionale > 74 [ Tutto su / 2 ] Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa Luigi Tarani Se anche un bambino sindromico può non guarire dalla sua condizione, anche grazie alla dedizione del pediatra può aumentare la qualità della sua esistenza > 80 [ Caso clinico ] La storia di Nicolas: un caso di acalasia Doriana Lacorte, Cristiana Retetangos, Andrea Lambertini, Patrizia Alvisi È la clinica che, adeguatamente interpretata, deve guidare la scelta delle indagini da eseguire e delle terapie a cui sottoporre il paziente > 88 [ Quiz ] Test di autovalutazione > 93 Léon de Smet (1881-1966) è nato a Gent, in Belgio, ed è un esponente di spicco dell’Impressionismo europeo. La sua carriera come pittore è decollata dopo il suo trasferimento in Gran Bretagna all’inizio della Prima Guerra Mondiale: Oltremanica conobbe personalità del calibro di Joseph Conrad, John Galsworthy, Bernard Shaw e fece una fortuna realizzando ritratti su commissione. La sua prima esibizione alla Leicester Gallery di Londra nel 1917 fu un vero trionfo, ma pochi mesi dopo il giovane pittore venne chiamato alle armi. Furbescamente passò il periodo bellico nelle retrovie, in Normandia, dispensando ritratti ai suoi superiori. Nel 1930 si trasferì a Deurle, nel natio Belgio, per vivere e lavorare nella splendida residenza-giardino dell’Hotel Saint-Christophe. Dipinse molti ritratti di personaggi pubblici o illustri (per esempio la Regina Astrid) e frequentò fino alla morte la “buona società” del suo Paese. Rivista ufficiale di Formazione continua della Società Italiana di Pediatria Notizie amministrative Abbonamento L’abbonamento decorre dal gennaio al dicembre. 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Garanzia di riservatezza per gli abbonati L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione scrivendo a: Il Pensiero Scientifico Editore Ufficio Promozione via San Giovanni Valdarno, 8 – 00138 Roma Le informazioni custodite nell’archivio elettronico de Il Pensiero Scientifico Editore verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati vantaggiose proposte commerciali (D.Lgs. 196/2003 tutela dati personali). Inserzioni pubblicitarie, supplementi ed estratti Le richieste vanno indirizzate a: Il Pensiero Scientifico Editore via San Giovanni Valdarno, 8 – 00138 Roma tel. 06.86282323 – fax 06.86282250 www.pensiero.it Tiziana Tucci ([email protected]) (tel. diretto 06.86282323) Livia Costa ([email protected]) (tel. diretto 06.86282342) Copyright Copyright © 2013 Il Pensiero Scientifico Editore. Tutti i diritti riservati. Il materiale pubblicato non può essere riprodotto in alcuna forma, né in parte né per intero, senza previa autorizzazione da parte dell’Editore. L’Editore non risponde delle opinioni, dei dati e del contenuto in generale degli articoli pubblicati, i quali esprimono unicamente il parere degli autori. Copie. Si autorizzano singole copie di singoli articoli per uso personale, non commerciale senza previa autorizzazione da parte dell’Editore. Per qualsiasi altro uso, siano esse copie multiple o sistematiche o copie per fini pubblicitari, promozionali o di vendita è richiesta l’autorizzazione da parte dell’Editore e il pagamento della relativa royalty per la riproduzione del materiale. [ l’ e d i t o r i a l e ] A m nostro organismo e interagisce con il nostro genoma sia per garantire salute che per causare malattie. Il microbiota intestinale ha un ruolo molto importante nella digestione e nell’assorbimento degli alimenti, in quanto modula il metabolismo dell’ospite agendo sull’estrazione di energia dai nutrienti e converte con reazioni biochimiche sia le molecole dell’ospite che dei microrganismi stessi. Alterazioni della popolazione batterica intestinale possono avere conseguenze metaboliche tali da causare molti disordini, tra questi obesità, sindrome metabolica, diabete mellito tipo 2. L’interazione tra genoma e microbioma, efficacemente descritta da Peterson (2008) con il termine “supraorganismal metabolism”, è in grado di produrre numerosi metaboliti, mutualmente utili per la produzione di energia e per lo sviluppo fenotipico sia dell’ospite che dei microrganismi stessi. Questa interazione tra l’ospite ed il suo microbiota è direttamente influenzata dall’alimentazione. Oggi non è più possibile considerare le determinanti genetiche del metabolismo dell’ospite senza valutare l’influenza esercitata dall’elaborazione dei componenti alimentari da parte del microbiota intestinale. Appare evidente che definire il fenotipo di un individuo come l’espressione dell’interazione tra genoma e ambiente è una semplificazione dicotomica. Più correttamente il fenotipo dovrebbe essere considerato il risultato dell’inestricabile interazione tra ospite (genoma), ambiente (alimentazione) e microrganismi intestinali (microbioma). Si aprono nuovi scenari in cui la salute o la malattia devono essere considerate espressioni di questa interazione. Con questo modello in mente non penseremo più alle malattie come una volta! Con il prossimo numero di Area pediatrica inizierà una nuova rubrica che abbiamo chiamato: “L’angolo delle Società affiliate”, riservata, a rotazione, alle Società scientifiche, affiliate o federate con la SIP. Le singole Società proporranno alla rivista articoli con argomenti ed autori da loro scelti. Lo scopo è offrire ai nostri lettori, di volta in volta, un approfondimento specialistico nel mondo della Pediatria . 55 I rapporti esistenti tra ali mentazione-nutrizione e malattie sono molto complessi e solo parzialmente noti. È sempre più evidente che il nostro organismo è dipendente dai rapporti tra genoma, microbioma e alimentazione. A tale proposito mi piace ricordare ciò che John Nash, il matematico padre della moderna teoria dei giochi soggetto del film A Beautiful Mind, scrisse: “L’equilibrio c’è quando nessuno riesce a migliorare in maniera unilaterale il proprio comportamento. Per cambiare occorre agire insieme”. Oggi l’equilibrio tra salute e malattia appare sempre più legato all’azione sinergica e armonica di genoma, microbioma e alimentazione. Tralasciando il concetto di genoma in quanto oramai abbastanza noto nei suoi profili generali, vorrei sottolineare l’importanza del microbioma, che è il patrimonio genetico del microbiota, ovvero dei microbi che colonizzano il nostro organismo. I microrganismi che popolano la cute, la vagina, il cavo orale e l’intestino rappresentano un patrimonio genetico che supera di almeno cento volte il nostro personale patrimonio genetico. La comunità microbica di gran lunga maggiore e più complessa è quella presente nel nostro intestino: essa si è sviluppata con il g AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 di Luciana Indinnimeo [email protected] Alimentazione & Malattie AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 56 Caso clinico Titolo articolo anche lungo [ tutto su / 1 ] VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza È possibile che sia l’interazione di più fattori a determinare l’outcome dell’infezione acuta da VRS e delle manifestazioni a lungo termine. I l Virus Respiratorio Sinciziale (VRS) ancora immaturo e la mancanza di precedente Renato Cutrera1 1 Nicola Ullmann è un virus a RNA lineare a singola elica che esposizione ad infezioni virali, potrebbe auElena Boccuzzi2 appartiene alla famiglia dei Paramyxovirimentare la frequenza delle coinfezioni virali M.Chiara De 1 dae. Sono stati descritti due gruppi antigenici di nella popolazione pediatrica mentre più rara è Angelis Giovanni Corsello3 RSV, il gruppo A e il gruppo B, in base alle difla coinfezione virus-batteri. 1 UOC Broncopneumologia ferenze strutturali nelle due glicoproteine (G ed – Dipartimento Medicina F) che rivestono un ruolo principale per la loro Pediatrica, Ospedale attività immunogena. La glicoproteina G, infatti, Pediatrico “Bambino Gesù” IRCCS, Roma Prevenzione ha la funzione di mediare l’adesione del virus alle 2 Dipartimento di e misure preventive ambientali e cellule ospiti; la proteina F è invece responsabile, Pediatria – “Sapienza” Università di Roma comportamentali vanno considerate come oltre che della fusione, anche della formazione 3 Dipartimento di Scienze il miglior approccio per ridurre il rischio delle dei tipici sincizi cellulari. L’immunità acquisita per la Promozione della infezioni correlate al VRS in tutti i lattanti e dopo una infezione da VRS è incompleta e di Salute e MaternoInfantile – Università in particolar modo nei bambini ad alto rischio. breve durata, e ciò comporta frequenti reinfeziodegli Studi di Palermo In considerazione delle modalità di trasmissioni nell’arco della vita. Dati di letteratura stimano ne del virus, oltre ad evitare il contatto diretto che quasi tutti i bambini vengono a contatto con il VRS entro i due anni di vita ma solo lo 0,5–2% dei casi con persone affette (per esempio attraverso l’utilizzo di di infezione da VRS è legato a sintomi respiratori più gravi mascherine chirurgiche da parte delle madri nutrici), è importante evitare le condizioni di sovraffollamento. con necessità di ospedalizzazione. Il miglioramento delle pratiche igieniche personali ed ambientali è una ulteriore misura da adottare nella prevenzione dell’infezione. Il lavaggio frequente delle mani, Trasmissione la decontaminazione con soluzioni alcoliche e la pulizia l periodo di incubazione del virus varia da delle superfici andrebbero incoraggiate e promosse in tutti 2 a 8 giorni. L’infezione da VRS è estremamente con- gli ambienti, soprattutto in quelli a maggior rischio di tagiosa, con una durata di trasmissibilità variabile dai 3 trasmissione (ambiente domestico, scolastico ed ospedaagli 8 giorni. Il virus si trasmette attraverso goccioline di liero). Particolare attenzione va ad esempio riservata alla saliva per via aerea e attraverso il contatto con oggetti e pulizia del fonendoscopio, possibile vettore di contamisuperfici contaminate. È importante sapere che il virus nazione. Sensibilizzare le famiglie ad evitare l’esposizione può resistere a temperatura ambiente, sulla pelle e sulle passiva al fumo di sigaretta ed incoraggiare l’allattamento superfici anche fino a 6–8 ore. L’infezione da VRS ha un al seno sono ulteriori raccomandazioni utili nell’ambito andamento stagionale con una distribuzione prevalente della misure preventive comportamentali. Oltre a quanto tra ottobre e maggio nei paesi dell’emisfero nord. Il VRS detto, è stato segnalato in letteratura che il taglio cesaspesso non agisce da solo infatti in letteratura è stata reo può costituire un fattore di rischio per lo sviluppo di dimostrata una coinfezione virale nel 24% dei bambi- infezioni nei primi due anni di vita. Diversi studi infine ni affetti da bronchiolite e questo aspetto sembra poter hanno dimostrato che il deficit di vitamina D aumenta peggiorare la gravità dei sintomi. Il sistema immunitario il rischio di infezioni da VRS nel primo anno di vita e AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 I 57 L Tutto su / 1 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza Quasi tutti i bambini vengono a contatto con il VRS entro i due anni di vita, ma solo lo 0,5–2% dei casi di infezione da VRS è legato a sintomi respiratori più gravi. che pertanto la supplementazione, durante la gravidanza e successivamente al bambino, è utile per la prevenzione. Profilassi passiva AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 58 N ell’ambito della profilassi farmacologica, il primo anticorpo policlonale umano anti-VRS utilizzato (Respigam) aveva fornito risultati incoraggianti in termini di riduzione del tasso di ospedalizzazione ma la necessità di somministrazione endovenosa, il costo elevato ed il potenziale rischio di trasmissione di patogeni ne hanno controindicato l’utilizzo. Il Palivizumab è un anticorpo monoclonale murino umanizzato (IgG1), prodotto mediante tecnologia del DNA ricombinante, che lega un epitopo della glicoproteina F presente sulla superficie del VRS, bloccando il legame tra il virus e la cellula bersaglio. Introdotto in studi clinici nel 1996, è stato approvato due anni dopo dalla Food and Drugs Administration (FDA) per la prevenzione delle infezioni da VRS in pazienti pediatrici ad aumentato rischio di malattia grave ed è tutt’ora l’unico prodotto approvato con tale indicazione. In quegli anni, una collaborazione di ricercatori inglesi, americani e canadesi, ha prodotto un importante lavoro multicentrico randomizzato in doppio cieco che ha dimostrato una significativa riduzione dei ricoveri per infezione da VRS in pazienti nati prematuri (≤35 settimane) fino a 6 mesi di età ed in bambini con malattia polmonare cronica con meno di 2 anni di vita dopo trattamento con Palivizumab. La riduzione di ospedalizzazione è risultata pari al 55% con variazioni nei diversi gruppi analizzati (78% nei prematuri senza malattia polmonare cronica e 39% nei bambini broncodisplasici). Qualche anno più tardi, l’efficacia e la sicurezza del Palivizumab è stata confermata da Feltes et al su bambini <2 anni di età con cardiopatia congenita (CC) emodinamicamente significativa, evidenziando una riduzione delle ospedalizzazioni del 45%, minore necessità di terapia intensiva e di ventilazione meccanica. Da qui, numerosi altri studi hanno confermato l’effetto favorevole della profilassi sull’incidenza di gravi infezioni da VRS nelle suddette classi di pazienti a rischio. La singola somministrazione intramuscolare di 15 mg/kg dose permette di mantenere livelli anticorpali sierici sufficienti a prevenire l’infezione. Pertanto, in considerazione dell’emivita di circa 20–30 giorni, è stata concordata la somministrazione mensile durante il periodo epidemico del VRS fino a 5 dosi totali. In considerazione degli elevati costi del trattamento, l’indicazione alla profilassi non è raccomandata in tutti i neonati e diverse linee guida o raccomandazioni nazionali sono state redatte per valutarne il rapporto costo/beneficio nelle varie classi di pazienti. Attualmente l’indicazione all’utilizzo del Palivizumab riguarda i bambini con malattia polmonare cronica, CC emodinamicamente significativa e prematurità. Tuttavia mentre per le prime due classi di pazienti c’è sufficiente uniformità di approccio terapeutico, per quanto riguarda i neonati pretermine rimane ancora ampiamente dibattuto il cut-off dell’età gestazionale (EG) al di sotto del quale consigliare la profilassi. L’American Academy of Pediatrics (AAP) ha pubblicato le prime linee guida sulla profilassi per il VRS nel 1998; da allora, sulla base dei dati di letteratura, sono stati effettuati numerosi aggiornamenti fino al più recente del 2014 che ha posto significative restrizioni alle precedenti indicazioni del 2009. Attualmente gli autori nord-americani raccomandano infatti la profilassi nei bambini prematuri (EG<32 settimane) con malattia polmonare cronica e CC emodinamicamente significativa fino al compimento del 12° mese di vita. Per quanto riguarda la sola prematurità, l’indicazione al Palivizumab è approvata esclusivamente in bambini con EG <29 settimana e di età inferiore ai 12 mesi all’inizio del periodo epidemico. In merito alla nostra realtà nazionale, le raccomandazioni della Società Italiana di Neonatologia pubblicate nel 2004 indicano la profilassi nei bambini con malattia polmonare cronica e CC emodinamicamente significativa fino al compimento del 2° anno di età. In merito alla prematurità viene effettuata invece una stratificazione del rischio con successiva indicazione alla profilassi nei prematuri di età inferiore ad 1 anno ed EG ≤32 settimane in assenza di altri fattori concomitanti o EG tra 33 e 35 settimane in presenza di almeno due fattori di rischio associati (tra cui peso alla nascita <2,5 Kg o <10°C, esposizione al fumo passivo o a fonti di inquinamento atmosferico, dimissione nel periodo epidemico, Tutto su / 1 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza A l momento non è ancora disponibile in commercio un vaccino sicuro ed efficace pertanto il suo sviluppo resta una priorità nella sfida al VRS. Il primo vaccino studiato e testato su una popolazione pediatrica, risalente agli anni ’60, è stato il FI-RSV (vaccino inattivato con formalina). L’utilizzo di questo vaccino ha però determinato un aumento dell’ospedalizzazione dopo l’esposizione al VRS e sono stati addirittura segnalati alcuni decessi. In considerazione dell’evidenza di un livello inferiore di anticorpi neutralizzanti in seguito all’infezione naturale si era ipotizzato che il processo di inattivazione con formalina alterasse la struttura delle glicoproteine F e G, con conseguente induzione di anticorpi non neutralizzanti. Da questo fallimento sono nate numerose ricerche per American Academy of Pediatrics 2014 Canadian Paediatric Society Società Italiana di Neonatologia 2004 Malattia polmonare cronica Età < 1 anno* Età < 2 anni Età < 2 anni CC emodinamicamente significativa Età < 1 anno Età < 2 anni Età < 2 anni Prematurità EG < 29 settimane EG < 32 settimane** EG ≤ 35 settimane EG 32–35 settimane da valutare EG 33–35 settimane se fattori di rischio *** CC Cardiopatia Congenita * Ed EG <32 settimane ** Ed età < 6 mesi all’inizio del periodo epidemico *** Almeno due fattori di rischio tra: basso peso alla nascita (<2,5 Kg o < 10°C), esposizione al fumo passivo, esposizione a fonti di inquinamento atmosferico, dimissione nel periodo epidemico, assenza di allattamento al seno, scolarizzazione, patologie concomitanti gravi, familiarità per atopia, parto gemellare, presenza di fratelli più grandi. identificare il corretto target per la vaccinazione e sono quindi stati sviluppati diversi tipi di vaccini (vivi attenuati, coniugati). L’ambito di studio che attualmente desta maggiore interesse è quello dei vaccini vivi attenuati in quanto, rispetto a quelli inattivati, i primi inducono risposte immunitarie più simili all’immunità naturale. In considerazione della via di accesso mucosale attraverso la quale il VRS infetta l’organismo, un vaccino ideale dovrebbe generare risposte immunitarie umorali locali e durevoli (IgA nasali con attività neutralizzante) per proteggere sia le vie aeree superiori che quelle inferiori. Un vaccino vivo attenuato somministrato per via intranasale è dunque al momento il campo di studio di maggiore interesse per la lotta al VRS in quanto ritenuto uno delle opzioni vaccinali più plausibili. Tuttavia tale tipologia di vaccini non ha ancora raggiunto un equilibrio accettabile tra immunogenicità e tollerabilità nei bambini più piccoli nei quali anche una banale congestione nasale può essere sufficiente per interferire con l’allattamento. Inoltre sembra che l’efficacia immunitaria risulti più debole dell’infezione naturale per la perdita di immunogenicità durante il processo di attenuazione del virus. Alla luce di quanto detto, sono in corso di studio altre tipologie di vaccini diversi e con modalità di somministrazione alternative. L’elemento che maggiormente accomuna i vaccini oggetto di studio è l’identificazione della glicoproteina F come target vaccinale principale; in particolare si punta ad ottenere anticorpi ad alta specificità che stabilizzino la proteina F nello stato di “prefusione”, rendendo il VRS vulnerabile e bloccandone la virulenza. Il VRS può dare una sintomatologia estremamente variabile 59 Profilassi attiva Tabella 1. Le diverse raccomandazioni per la profilassi con Palivizumab a confronto. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 assenza di allattamento al seno, scolarizzazione, patologie concomitanti). Le raccomandazioni del 2011 della Canadian Paediatric Society indicano la profilassi nei bambini con CC e malattia polmonare cronica con età inferiore ai due anni all’inizio del periodo epidemico ed in tutti bambini con EG<32 settimane ed età <6 mesi all’inizio della stagione del VRS. Le indicazioni in bambini con EG compresa tra le 32 e le 35 settimane sono relative alla valutazione del rischio di ospedalizzazione e dunque al rapporto costo/beneficio. Da quanto detto si evince dunque che uno dei principali coni d’ombra relativi alla profilassi sia la fascia dei cosiddetti “late-preterm”, per i quali le indicazioni alla terapia con Palivizumab sono ancora ampiamente discusse. Le indicazioni più restrittive sull’utilizzo dell’anticorpo monoclonale sono ad oggi principalmente legate all’elevato costo del farmaco ed ai suoi effetti limitati alla riduzione del rischio di ospedalizzazione ma non della mortalità. Sicuramente il corretto rapporto tra costo e beneficio dovrà essere ancora discusso dai diversi specialisti coinvolti nella cura di questi pazienti. Ugualmente ancora poco chiaro rimane in letteratura l’approccio da adottare nei confronti dei bambini con patologie polmonari croniche diverse dalla broncodisplasia (es. anomalie anatomiche polmonari, fibrosi cistica), malattie neuromuscolari o immunodeficienze, ritenute comunque classi potenzialmente a rischio per le quali il trattamento dovrebbe essere considerato nel primo anno di vita. Questi dunque sono attualmente i campi di applicazione della profilassi che suscitano maggiore interesse e per i quali siamo pertanto in attesa di ulteriori aggiornamenti delle raccomandazioni. Tutto su / 1 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza che può spaziare da un semplice quadro di rinite al coinvolgimento delle basse vie aeree come per esempio nei casi di bronchiolite. Questo aspetto è ben espresso con il termine generale di “infezione respiratoria da VRS”. La bronchiolite AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 60 L a bronchiolite è la principale diagnosi di ospedalizzazione per infezione respiratoria delle basse vie aeree in bambini nel primo anno di vita ma è anche causa di un elevato numero di visite ambulatoriali. La definizione di questa patologia si basa su criteri clinici ed in particolare, gli autori anglosassoni (statunitensi e nord americani) definiscono la bronchiolite come una malattia acuta ad eziologia virale, caratterizzata da iniziale comparsa di sintomi delle alte vie respiratorie, seguiti poi da rumori umidi e/o wheezing del bambino fino all’età di 24 mesi. Diversamente, gli autori anglosassoni (inglesi ed australiani) definiscono la bronchiolite con la presenza di rantoli crepitanti e/o wheezing (primo episodio) in un bambino di età inferiore ai 12 mesi di vita. A parere degli scriventi, quest’ultima definizione risulta essere la più appropriata in quanto riduce il rischio di comprendere pazienti affetti da bronchite asmatiforme. Molti degli studi pubblicati, soprattutto relativi agli approcci terapeutici, dovrebbero pertanto essere interpretati alla luce delle possibili differenze di definizione adottata. L’agente patogeno virale responsabile di più del 50% dei casi di bronchiolite è il VRS, ma sono stati identificati anche molti altri virus (il Rinovirus, il Bocavirus, i virus parainfluenzali, il virus dell’influenza, il Metapneumovirus, l’Adenovirus). Dal punto di vista anatomopatologico risulta costante la presenza di una flogosi a livello dei bronchioli respiratori con infiltrazione di linfociti e neutrofili, necrosi delle cellule ciliate di parete ed accumulo intraluminale di muco e detriti cellulari. Questa condizione forma “tappi” nelle vie aeree che possono arrivare a provocare un’ostruzione al flusso d’aria con conseguente comparsa di atelettasie. Un esteso coinvolgimento alveolare può indurre la formazione di essudato alveolare, un danno di membrana e una grave alterazione del rapporto ventilazione/perfusione che clinicamente si può manifestare con ipossiemia ed aumento della CO2. La contrazione dei muscoli lisci sembra invece avere un ruolo marginale nella patogenesi della bronchiolite e ciò potrebbe spiegare il limitato beneficio terapeutico dei broncodilatatori osservato negli studi clinici. Le alterazioni anatomiche e funzionali comportano un aumento del carico di lavoro respiratorio, il quale a sua volta causa distress respiratorio e conseguenti difficoltà nell’alimentazione, potendo portare ad un quadro di disidratazione talvolta grave, con possibile acidosi metabolica. La maggior parte dei bambini presenta una forma lieve di malattia, esistono però anche forme con sintomi respiratori più gravi che richiedono cure maggiori. Tra i fattori correlati ad un aumento del rischio di ospedalizzazione sono stati riconosciuti: la storia familiare per asma e/o atopia, il fumo dei genitori e la mancanza di allattamento al seno. Inoltre alcuni fattori clinici e demografici sono stati associati a quadri di bronchiolite grave e necessità di maggior supporto respiratorio: il basso peso alla nascita, il sesso maschile, l’età <3 mesi ed uno score elevato di gravità all’ammissione in ospedale. Possiamo aggiungere, inoltre, che il rischio di bronchiolite grave si correla con altri fattori come: la prematurità, la nascita durante il periodo epidemico, la nascita da taglio cesareo, le basse condizioni socio-economiche, l’inquinamento domestico, un sovraffollamento ambientale, l’infezione da VRS e la coesistenza di comorbidità associate, quali cardiopatie congenite, patologie polmonari croniche (es. la malattia polmonare cronica), sindrome di Down ed uno stato di immunodepressione. Quadro clinico L a bronchiolite clinicamente si presenta con rinorrea, stato di flogosi delle alte vie aeree e tosse ingravescente; talvolta può esser presente anche febbricola. Successivamente i sintomi legati all’interessamento delle basse vie respiratorie possono peggiorare con comparsa di distress respiratorio, tachipnea e tachicardia, quindi, rientramenti intercostali, alitamento delle pinne nasali con uso dei muscoli accessori e nei casi moderati/ gravi, crisi di desaturazione talvolta con apnee. All’auscultazione del torace si apprezza un prolungamento della fase espiratoria con gemiti e sibili, rantoli a piccole bolle e talvolta crepitii diffusi. Solitamente questa patologia ha un’evoluzione benigna e può essere trattata a domicilio per le forme più lievi con l’importante supporto del pediatra del territorio. Quando è necessario il ricovero ospedaliero, questo può essere effettuato in un reparto pediatrico di degenza ordinario ma, nei casi più gravi o qualora si assista ad un peggioramento clinico, si possono rendere necessarie cure più intensive con l’ausilio della terapia ad alti flussi o altre metodiche di supporto ventilatorio. I criteri per l’ospedalizzazione includono: distress respiratorio, presenza di apnee, persistente necessità di Tutto su / 1 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza La diagnosi di bronchiolite si basa su interpretazione dei dati anamnestici, presentazione clinica ed esame obiettivo del bambino piuttosto che su indagini di laboratorio o esami strumentali. L a diagnosi di bronchiolite si basa principalmente sull’interpretazione medica dei dati anamnestici, la presentazione clinica e sull’esame obiettivo del bambino piuttosto che su indagini di laboratorio o esami strumentali. Più in dettaglio possiamo affermare che l’orientamento diagnostico si basa essenzialmente su dati epidemiologici, quali: l’età <12 mesi di vita, la stagione dell’anno (periodo epidemico), il contatto con familiari affetti da infezioni delle vie respiratorie, una recente storia di rinite e tosse insistente. Inoltre importante è l’osservazione del quadro clinico caratterizzato da rinorrea, tosse, tachipnea, rantoli crepitanti diffusi e/o sibili espiratori all’auscultazione del torace. A questi talvolta si possono aggiungere bassa saturazione di O2 e difficoltà nell’alimentazione con segni clinici di disidratazione. La diagnosi eziologica può essere definita attraverso l’isolamento del virus mediante esame colturale o attraverso la ricerca degli antigeni virali nelle cellule epiteliali delle secrezioni nasofaringee. L’identificazione dell’agente specifico ed in particolare del VRS, ha un impatto parziale sulla gestione clinica del paziente ma, in ambito ospedaliero, può avere importanza ai fini dell’isolamento o accoppiamento dei pazienti per ridurre le infezioni nosocomiali e l’utilizzo di terapie antibiotiche ingiustificate. L’esame radiografico del torace si caratterizza per l’aumento del contenuto aereo polmonare ed in alcuni casi può rilevare infiltrati peribronchiali in sede perilare e talora aree di atelettasia che potrebbero essere scambiate per addensamenti. La radiografia del torace che non è indicata di routine, può essere presa in considerazione solo Complicanze L a bronchiolite che spesso ha una evoluzione favorevole, può però evolvere e complicarsi fino alla grave insufficienza respiratoria, sviluppare estese aree di atelettasia, pneumotorace o pneumomediastino. La complicanza acuta più temuta e frequente è l’insorgere di apnee, elemento importante nel management dei bambini con bronchiolite. Alcuni studi hanno dimostrato che vi sono alcuni fattori di rischio correlati all’insorgere delle apnee, tra cui un precedente episodio di apnea, la giovane età al momento dell’infezione (<1 mese di vita) e la prematurità. L’assistenza primaria Q uest’aspetto assistenziale, svolto in Italia dai pediatri del territorio, rappresenta un primo step fondamentale per le famiglie ed estremamente importante per ridurre gli accessi ed i ricoveri ospedalieri. Nel paziente con bronchiolite assistito a domicilio vanno controllati frequentemente le condizioni generali, i parametri cardio-respiratori includendo i valori saturimetrici, la capacità di alimentarsi e la compliance familiare alle indicazioni fornite. La famiglia infatti deve essere istruita affinchè possa diventare parte attiva nella gestione domiciliare del lattante con bronchiolite e nella identificazione di segni che possano suggerire un peggioramento clinico. La terapia di supporto e farmacologica P er ciò che concerne il trattamento va ricordato che la bronchiolite è una malattia autolimitante ad eziologia virale. La terapia pertanto è sostanzialmente di supporto ed ha i seguenti obiettivi: a) ridurre il lavoro respiratorio b) mantenere un’alimentazione ade- 61 Diagnosi qualora il bambino ricoverato presenti un significativo peggioramento clinico o sviluppi complicanze. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 O2 terapia (per SpO2 <90–92%), disidratazione oppure un quadro clinico moderato-grave. Da considerare ovviamente tutti i restanti fattori e categorie di pazienti a maggior rischio di sviluppare complicanze come per esempio pazienti con: difficoltà nell’alimentazione con assunzione di liquidi ridotta di >50% nelle 24h precedenti, prematurità, cardiopatia, malattia polmonare cronica, ridotta reattività, scarsa compliance familiare e così via. Tutto su / 1 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza guata prevenendo la disidratazione c) ridurre la necessità di ricovero o la durata della degenza. La terapia di supporto La detersione delle alte vie aeree Un’accurata pulizia delle alte vie respiratorie, soprattutto nei pazienti più piccoli, mediante frequenti lavaggi nasali con soluzione fisiologica ed aspirazione superficiale, migliora la pervietà delle vie aeree e favorisce l’alimentazione. L’ossigeno-terapia e l ’utilizzo delle cannule nasali ad alto flusso Una buona ossigenazione va garantita al paziente sia durante la veglia che durante il sonno attraverso il controllo della saturazione di ossigeno attraverso un pulsossimetro con sensore adatto (ancora discusso se sia più opportuno un monitoraggio continuo o saltuario come suggerito dall’AAP). L’ossigeno va somministrato in presenza di valori di SpO2 <90–92% in aria ambiente e deve essere sospeso qualora il lattante sia stabilmente normo-ossigenato. Qualora la desaturazione sia associata a significativo lavoro respiratorio del lattante e/o ad iniziale ipercapnia, può essere utile somministrare la miscela di O2 attraverso cannule nasali ad alto flusso (HFNC). Questa modalità è spesso meglio tollerata e riduce il peggioramento clinico e pertanto la necessità di ventilazione meccanica. L’ossigeno riscaldato e umidificato riduce gli effetti secondari della prolungata O2-terapia come la disidratazione mucosale e l’alterazione della clearance ciliare. Inoltre vi è il vantaggio che il flusso di O2, impostato a valori maggiori rispetto al picco inspiratorio del bambino, permette di mantenere una FiO2 costante e la pressione positiva continua (effetto CPAP) mantiene pervie le vie aeree nella fase espiratoria, riducendo il lavoro respiratorio ed aumentando il reclutamento alveolare. L’efficacia della HFNC dipende da vari fattori come la corretta selezione dei pazienti, la scelta delle cannule nasali e l’impostazione del flusso, inoltre necessita di un attento monitoraggio clinico e dei parametri vitali, per cui deve essere effettuata da personale addestrato ed in un setting pediatrico adeguato. La soluzione salina ipertonica al 3% Le recenti linee guida americane suggeriscono che la soluzione ipertonica non dovrebbe essere somministrata dai medici di pronto soccorso in quanto non riduce il tasso di ospedalizzazione ma può essere presa in considerazione nel trattamento dei lattanti ricoverati avendo mostrato un miglioramento nello score clinico ed una · · AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 62 · · riduzione della degenza ospedaliera. La soluzione salina ipertonica agirebbe migliorando la clearance mucociliare, riducendo la viscosità delle secrezioni e l’edema delle vie aeree. Il suo utilizzo, anche nella nostra realtà nazionale, è sicuramente in crescita sia a livello ospedaliero che ambulatoriale ma sono necessari nuovi studi che ne supportino il beneficio. La terapia reidratante La terapia reidratante attraverso tubo nasogastrico o via endovenosa va considerata in presenza di segni di disidratazione legati a diversi possibili fattori concomitanti quali: febbre, tachipnea e difficoltà nell’assunzione del pasto e di liquidi. La terapia farmacologica I broncodilatatori La AAP non raccomanda l’utilizzo di questi farmaci mentre un recente documento nazionale sul trattamento e la prevenzione della bronchiolite pubblicato da Baraldi et al. ha un atteggiamento più moderato. Quest’ultimo infatti suggerisce che, in presenza di una storia familiare positiva per allergia, asma o atopia, può essere tentato un singolo trial terapeutico con broncodilatatori per via inalatoria ma questi vanno sospesi in mancanza di risposta dopo 15–30 minuti dal trattamento. L’adrenalina L’utilizzo di questo farmaco per via inalatoria non è raccomandato dalle linee guida americane sebbene uno studio multicentrico ha suggerito possibili effetti nella riduzione dei ricoveri ospedalieri. In questo caso l’adrenalina veniva somministrata insieme a desametasone ad alte dosi per via sistemica in un setting di pronto soccorso. I glucocorticoidi Molti studi hanno dimostrato che la somministrazione di corticosteroidi non è associata ad una significativa riduzione dello score di gravità clinico, del numero di ricoveri o della durata della degenza, pertanto il loro utilizzo, sia per via sistemica che inalatoria, non è raccomandato dalle più recenti linee guida. Gli antibiotici Gli antibiotici sono raccomandati solo per le bronchioliti gravi ricoverate in setting di cure intensive ed in presenza di sovrainfezione batterica dimostrata (test molecolari o colturali). Suggerito, ma non ancora confermato, il possibile effetto antinfiammatorio ed immunomodulante della classe dei macrolidi in pazienti affetti da bronchiolite. · · · · Tutto su / 1 VRS: prevenzione, bronchiolite e sequele a distanza N umerosi studi hanno documentato un’associazione tra l’infezione respiratoria da VRS ed il wheezing ricorrente, l’asma e la sensibilizzazione allergica. Il meccanismo patogenetico alla base di tale correlazione è però ancora ampiamente discusso. L’ipotesi ad oggi principalmente accreditata è che il VRS possa causare un danno delle cellule epiteliali respiratorie ed interferire con lo sviluppo del polmone ma soprattutto con l’immunità locale, favorendo l’iperattività delle vie aeree. Il VRS infatti, riconosciuto dalle cellule epiteliali tramite i recettori Toll-like (TLR), promuove l’espressione e la secrezione di chemochine e citochine infiammatorie che attivano inizialmente la risposta immunitaria innata e successivamente la risposta immunitaria adattativa. Quest’ultima è caratterizzata da uno shift immunitario Th1-Th2, come dimostrato dal riscontro di citochine del pattern Th2 (es. IL4) in secrezioni respiratorie di bambini affetti dal virus. Inoltre, esistono evidenze di un aumento di altre citochine non specifiche della risposta Th2, come IL-11 ed IFN-γ, capaci rispettivamente di indurre iperreattività bronchiale ed ostruzione delle vie aeree. Accanto a suddette alterazioni immunologiche, esistono anche dei meccanismi neuronali che sembrano giocare un ruolo importante nel determinare l’iperreattività delle vie aeree. Sulla superficie Bibliografia 1. Homaira N, Rawlinson W, Snelling TL, Jaffe A. Effectiveness of Palivizumab in Preventing RSV Hospitalization in High Risk Children: a RealWorld Perspective. Int J Pediatr 2014; doi:10.1155/2014/571609. 2. Andabaka T, Nickerson JW, Rojas-Reyes MX, Rueda JD, Bacic Vrca V, Barsic B. Monoclonal antibody for reducing the risk of respiratory syncytial virus infection in children (Review). Cochrane Database Syst Rev 2013;4:CD006602 doi: 10.1002/14651858.CD006602.pub4. 3. Baraldi E, Lanari M, Manzoni P, Rossi G.A, Vandini S, Rimini A, Romagnoli C, Colonna P, Biondi A, Biban P, Chiamenti G, Bernardini R, Picca M, Cappa M, Magazzù G, Catassi C, Urbino A.F, Memo L, Donzelli G, Minetti C, Paravati F, Di Mauro G, Festini F, Esposito S, Corsello G. Inter-society consensus document on treatment and prevention of bronchiolitis in newborns and infants. Ital J Pediatr 2014;40:65. 4. Midulla F, Scagnolari C, Bonci E, Pierangeli A, Antonelli G, De Angelis D, Berardi R, Moretti C. Respiratory syncytial virus, human bocavirus and rhinovirus bronchiolitis in infants. Arch Dis Child 2010;95(1):35-41. 5. Ralston SL, Lieberthal AS, Meissner HC, Alverson BK, Baley JE, Gadomski AM, Johnson DW, Light MJ, Maraqa NF, Mendonca . Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse. EA, Phelan KJ, Zorc JJ, Stanko-Lopp D, Brown MA, Nathanson I, Rosenblum E, Sayles S, Hernandez-Cancio S; American Academy of Pediatrics. Clinical practice guideline: the diagnosis, management, and prevention of bronchiolitis. Pediatrics 2014;134(5):e1474-502. 6. American Academy of Pediatrics Committee on Infectious Diseases; American Academy of Pediatrics Bronchiolitis Guidelines Committee. Updated guidance for palivizumab prophylaxis among infants and young children at increased risk of hospitalization for respiratory syncytial virus infection. Pediatrics 2014;134(2):415-20. 7. Rondini G, Macagno F, Barberi I. Raccomandazioni della Società Italiana di Neonatologia per la prevenzione delle malattie da virus respiratorio sinciziale (VRS). Acta Neonatologica 2004;1:1–11. 8. Murray J, Saxena S, Sharland M. Preventing severe respiratory syncytial virus disease: passive, active immunisation and new antivirals. Arch Dis Child 2014;99:469–473. 9. Simões EA, Carbonell-Estrany X, Rieger CH et al. The effect of respiratory syncytial virus on subsequent recurrent wheezing in atopic and nonatopic children. J Allergy Clin Immunol 2010;126:256–262. 10. John Henderson, Tom N. Hilliard, Andrea Sherriff, Deborah Stalker, Nufoud Al Shammari, Huw M.Thomas and the ALSPAC Study Team. Hospitalization for RSV bronchiolitis before 12 months of age and subsequent asthma, atopy and wheeze: A longitudinal 63 Sequele a distanza dell’epitelio respiratorio esiste infatti una rete di fibre nervose la cui stimolazione da parte del VRS determina il rilascio di neuropeptidi infiammatori. La persistenza di queste risposte pro-infiammatoria dunque spiega l’insorgenza di wheezing e asma e potrebbe inoltre essere responsabile di un aumentato rischio di sensibilizzazione allergica. Resta però ancora dibattuto se lo shift immunologico verso il fenotipo Th2 sia legato ai soli effetti del VRS o se questa esagerata risposta Th2 sia in realtà spiegata da una predisposizione genetica. Numerosi polimorfismi genetici sono stati infatti ampiamente descritti ed associati sia alla gravità delle infezioni che allo sviluppo di atopia ed asma, evidenziando dunque l’esistenza di determinanti genetici comuni. L’aumentata incidenza di wheezing in pazienti con infezione da VRS sembra essere direttamente associata alla gravità dell’infezione ed inversamente correlata all’età del paziente, con una massima incidenza nei primi tre mesi di vita. A sostegno di tale tesi vi sono anche alcuni studi che hanno dimostrato un ruolo protettivo del Palivizumab nei confronti dell’insorgenza di wheezing e asma. Una recente metaanalisi dimostra inoltre come tali manifestazioni tendano a diminuire progressivamente con l’età che comunque sembra potersi protrarre fino ad un massimo di 13 anni di vita (Sigurs et al). In conclusione, è possibile dunque che sia l’interazione di più fattori (l’età precoce al momento dell’infezione, la prolungata risposta infiammatoria che ne consegue, l’azione immunomodulante del VRS e la suscettibilità genetica) a determinare l’outcome dell’infezione acuta da VRS e delle manifestazioni a lungo termine AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 Per questioni di spazio, in questo articolo non tratteremo altri approcci terapeutici descritti in pazienti con bronchiolite ma non raccomandati come: i farmaci antivirali, la miscela di elio ed ossigeno, gli antileucotrienici, la fisioterapia respiratoria etc… Caso clinico Lo spettro dei disordini glutine-correlati si è arricchito di questa nuova entità, definibile come NCGS, Non Celiac Gluten Sensitivity. Gluten-sensitivity: mito o realtà [ Pro e contro ] AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 64 L Simona Valenti Claudio Romano Dipartimento di Scienze Pediatriche, Microbiologiche e Ginecologiche Università di Messina ucia, 16 anni, è sorella di Maria, che ha avuto una diagnosi di celiachia all’età di 5 anni per diarrea cronica. Lucia ha avuto una diagnosi di tiroidite di Hashimoto all’età di 14 anni ed ha eseguito in più circostanze lo screening sierologico per celiachia, risultato negativo. HLA predisponente ad alto rischio, da qualche mese riferisce episodi di bloating addominale post-prandiale ed episodi di alvo irregolare. Viene sottoposta, per ingravescenza dei sintomi, ad ulteriore determinazione di EMA e tTG risultati negativi, AGA IgG positivi (10 x N) e biopsia duodenale con evidenza di un quadro istologico compatibile con Marsh 1 (lesione infiltrativa). Si decide di avviare dieta senza glutine nel sospetto di ipersensibilità al glutine con buona risposta clinica, scomparsa della diarrea e degli episodi di bloating. Follow-up in atto proseguito per oltre 6 mesi con persistenza del benessere clinico, AGA IgG negativi. Lucia sta bene, la compliance alla dieta è ottimale (sta molto attenta anche alle possibili contaminazioni) e non vuole procedere ad alcun tentativo di challenge. La questione I n relazione all’aumento significativo di diagnosi di “ipersensibilità al glutine non celiaca” nella popolazione generale, è possibile per pediatri e/o genitori consigliare una dieta priva di glutine in bambi- ni con sintomi gastrointestinali (GI, dolori addominali, stipsi, diarrea cronica gonfiore, cefalea etc.) ricorrenti e dopo avere escluso altre cause organiche ed il sospetto di celiachia? Mito o realtà ? Di cosa parliamo? I l potenziale spettro dei disordini glutine-correlati, oltre la celiachia e la dermatite atopica, è stato ampliato nel corso degli ultimi anni con l’identificazione di altre entità quali l’allergia al glutine, l’anafilassi glutine-dipendente indotta da sforzo fisico e la sensibilità al glutine non celiaca (NCGS, Non Celiac Gluten Sensitivity). Per la prima volta, nel 2011, è stato proposto il termine di “gluten sensitivity”, ma dopo solo un anno (meeting di Oslo e Monaco, 2012) è stato coniato il termine di NCGS, allo scopo di differenziare tale condizione dalla celiachia. Un moderno inquadramento dei disordini glutine-correlati comprende le allergie (allergie alimentari, anafilassi, anafilassi grano-dipendente indotta da sforzo, asma di Baker, dermatite da contatto), i disordini autoimmuni (celiachia, dermatite erpetiforme, atassia da glutine) ed i disordini non allergici e non autoimmuni (sensibilità non celiaca al glutine). La NCGS può essere sospettata in pazienti con Pro e contro Gluten-sensitivity: mito o realtà ••• Come sono cambiate le abitudini alimentari L’ industria alimentare è molto cambiata nel corso dell’ultimo decennio. Si è infatti assistito ad una maggiore diffusione della dieta mediterranea, basata sul consumo di grandi quantità di alimenti contenenti glutine. Il pane ed i prodotti da forno ormai contengono, rispetto al passato, un maggiore carico di glutine, reso necessario allo scopo di ridurre i tempi di lievitazione. A ciò si aggiunge inoltre il crescente utilizzo di pesticidi industriali e quindi di nuovi tipi di farina ricchi di peptidi tossici del glutine, che possono contribuire all’instaurarsi dei disordini ad esso correlati. Sono state avanzate alcune ipotesi relative al ruolo di altri trigger nella patogenesi della NCGS. Il glutine rappresenta il principale fattore scatenante, ma è stato dimostrato che anche altre proteine del grano come gli inibitori della amilasi-tripsina possano determinare una attivazione della risposta immune di tipo innato a livello intestinale4. Biesierkierski et al5, attraverso alcune segnalazioni su popolazione australiana, hanno messo in dubbio l’esistenza della NCGS, attribuendo gran parte dei sintomi presenti in questi pazienti al ruolo dei FODMAPs (fermentable oligodi- e monosaccharides and polyols) contenuti nella dieta. Si tratta di carboidrati a corta catena poco assorbibili che causano distensione del lume intestinale: le fonti più comuni sono il grano ed i cereali (ricchi di fruttani), il latte, i legumi, il miele, la frutta (ciliegia, melone, mango, pera) e ortaggi (cicoria, barbabietola, finocchi, porri). In questa coorte di pazienti, il ruolo dei FODMAPs è Tabella 1. Caratteristiche dei disordini glutine-dipendenti Caratteristiche Celiachia NCGS Allergia IgE mediata Frequenza 1% 0.6%-6% 1% Genetica 95%: HLA DQ2-DQ8 50%:DQ2-DQ8 Nessuno Sierologia tTG, AGA, EMA 50% con AGA IgG IgE per grano IgE per ω5-gliadina 25% con AGA IgG Istologia duodenale Marsh II, III, IV Marsh 0-1 Marsh 0,I,II Sintomi Intestinali ed extraintestinali Intestinali ed extraintestinali Intestinali ed extraintestinali Mortalità Aumentata Sconosciuta Aumentata in caso di anafilassi 65 zioni specialistiche ( “(…) ho eliminato il glutine ed i derivati e non ho più la pancia gonfia”). AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 intolleranza al glutine che non sviluppano anticorpi come nella celiachia o nell’allergia IgE mediata, e che non presentano lesioni della mucosa duodenale1. La tipica presentazione clinica della NCGS è la risultante di una combinazione di sintomi e tipiche manifestazioni di tipo GI e simil colon irritabile (diarrea, dolori addominali, nausea, stipsi, flatulenza e gonfiore addominale) o cutanee (eczema ed eritema) o sistemiche (cefalea, dolori muscolari, stanchezza cronica) e comportamentali ( depressione, ansia, iperattività, atassia). La prevalenza segnalata in letteratura varia dallo 0,5% al 6% e le categorie a maggiore rischio sembrano essere i giovani adulti e le donne2. Il limite nella identificazione reale di questa condizione è correlato al possibile “overlap” con condizioni cliniche quali la Sindrome del Colon Irritabile e/o sindromi psicosomatiche. Non vi sono dati epidemiologici riguardo l’età pediatrica anche se la descrizione del primo caso pediatrico è relativamente recente3. Un’ulteriore variabile è costituita dalla tendenza, specie tra i giovani adulti, all’autodiagnosi con spontanea eliminazione del glutine dalla dieta senza indagini o valuta- La NCGS può essere sospettata in pazienti con intolleranza al glutine che non sviluppano anticorpi come nella celiachia o nell’allergia IgE mediata e non presentano lesioni della mucosa duodenale. Pro e contro Gluten-sensitivity: mito o realtà ••• stato dimostrato attraverso un challenge in doppio cieco e dopo avere escluso qualunque forma di allergia IgE-mediata. Infine, non sembra secondario nella patogenesi di questa sindrome il ruolo di alcuni additivi alimentari come glutammato, benzoato, sulfiti e nitrati che vengono aggiunti a molti prodotti commerciali per varie ragioni (per esaltare il gusto, colore e come conservanti)6. La patogenesi AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 66 L’ e v entuale patogene si della NCGS rimane ancora poco definita. Contrariamente alla celiachia, nella quale il sistema immune adattivo è up-regolato, nei pazienti con NCGS sembra essere coinvolto il sistema immune innato. Non vi è un’aumentata espressione di geni che codificano una maggiore produzione di IL-6, IL-21 ed INF-γ, tipica della celiachia, o un’aumentata permeabilità intestinale correlata all’ incremento della zonulina e claudina-1. Nella NCGS, alcuni studi7 hanno evidenziato una ridotta espressione di TGF-β1 e FOXP3, marker regolatori della funzione dei linfociti T, con conseguente ridotto reclutamento a livello intestinale. La NCGS non correla con l’aplotipo HLA-DQ2 e DQ8 della celiachia, sebbene questo tipo di HLA sia presente nel 46% dei soggetti. Questa percentuale è tuttavia comparabile a quella della popolazione generale (30%), ma di gran lunga inferiore ai soggetti celiaci (99% dei casi)8. La NCGS è una entità clinica descritta nella popolazione adulta, mentre sporadiche sono le segnalazioni che riguardano l’età pediatrica. Inquadramento ed approccio clinico: come districarsi ? L a NCGS è una entità clinica descritta nella popolazione adulta, mentre sporadiche sono le segnalazioni che riguardano l’età pediatrica. Essa può essere sospettata e diagnosticata in quei pazienti con intolleranza al glutine che non sviluppano anticorpi specifici (anticorpi antitransglutaminasi ed anticorpi antiendomisio) né IgE specifiche suggestive per allergia al grano (definita come una reazione avversa immunologica IgE e non IgE mediata al glutine e ad altre proteine contenute nella farina). In questi soggetti non sono dimostrabili lesioni della mucosa duodenale, caratteristiche della celiachia. In alcuni casi può essere dimostrata la presenza di un incremento dell’espressione di linfociti intraepiteliali nella mucosa (IEL, classe γ e δ), o lesioni minime (Marsh 0-1) definite come “enteropatia linfocitica”9. La dieta priva di glutine determina una completa regressione dei sintomi. Non esistono biomarker sierologici anche se è stata segnalata la presenza in questi soggetti di un alto titolo per anticorpi antigliadina di classe G (AGA-IgG 56,4% in NCGS versus 81% della celiachia)10. Da segnalare che gli AGA IgG sono stati dimostrati anche in altre condi- zioni come le patologie autoimmuni del fegato, la sindrome dell’intestino irritabile, o disordini del tessuto connettivo, oltre che nella popolazione sana (2–8%). Essi quindi sono dotati in assoluto di bassa specificità11. Dopo l’avvio della dieta senza glutine, nel soggetto con celiachia questa classe di anticorpi permane nel 40% dei pazienti, nella NCGS essi tendono a negativizzarsi. Nella pratica clinica, la diagnosi di NCGS è correlata alla dimostrazione che una sindrome (associazione di sintomi) sia glutine-dipendente dopo avere escluso con certezza il sospetto di celiachia (sierologia, istologia duodenale ed HLA di classe II) o allergia al glutine. Essa quindi rimane una diagnosi di esclusione con successivo challenge al glutine in doppio cieco-placebo controllato, allo scopo di confermarne la diagnosi in relazione all’effetto placebo indotto dalla dieta priva di glutine che non può essere sottovalutato12. Una biopsia duodenale è sempre raccomandata per escludere il sospetto di celiachia sieronegativa (1–2%) specie nella popolazione adulta. I nuovi scenari R ecenti studi hanno ipotizzato l’associazione tra NCGS e patologie di interesse neuropsichiatrico come i disordini dello spettro autistico (ASD) e la Pro e contro Gluten-sensitivity: mito o realtà L o spettro dei disordini glutine-correlati si è arricchito di questa nuova entità, definibile come NCGS. L’espressività clinica di questa condizione non determina un coinvolgimento esclusivo dell’apparato gastrointestinale, ma anche di altri organi o apparati quali quello dermatologico, endocrino, ematologico, reumatologico e neurologico. Un’accurata diagnosi di NCGS è complessa nella popolazione adulta e la diagnosi differenziale con la sindrome del colon irritabile o con forme di celiachia sieronegative non è semplice. ••• La pratica del “senza glutine” non deve essere implementata in assenza di oggettive valutazioni sul piano diagnostico. Le poche evidenze riguardo la diagnosi di NCGS non autorizzano i pediatri a prescrivere diete senza glutine “di prova”. La tendenza ad eliminare il glutine dalla dieta è diventata frequente specie nei giovani adulti o nei familiari di I grado di soggetti con celiachia che presentano sintomi di tipo funzionale spesso molto “invalidanti” . Il clinico deve avere la capacità di guidare il paziente attraverso un adeguato approccio diagnostico considerando la variabilità di una sintomatologia clinica spesso di difficile definizione sul piano oggettivo. La pratica del “senza glutine” non deve essere implementata in assenza di oggettive valutazioni sul piano diagnostico. Risposta alla questione I l bambino non è un “piccolo adulto” e le poche evidenze presenti nell’adulto riguardo la diagnosi di NCGS non autorizzano i pediatri a prescrivere diete senza glutine “di prova”, ma devono spingerli ad avviare un adeguato protocollo diagnostico affidandosi a Centri di II livello. La dieta senza glutine deve essere sempre considerata un motivo di “stress” per il bambino e per la famiglia, per cui l’eventuale indicazione deve essere inquadrata nell’ambito di programma diagnostico e di followup adeguati. La sensibilità non celiaca al glutine potrebbe essere considerata in atto come “(…) un luogo tra mito e realtà, un luogo dove non ci sono limiti, né assoluti né relativi” (E. L. James, 1981) . Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse. 1. Ellis A, Linaker BD. Non-celiac gluten sensitivity? Lancet 1978;1:1358-1359. 2. Czaja-Bulsa G. Non coeliac gluten sensitivity – A new disease with gluten intolerance. 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Catassi C, Bai JC, Bonaz B, Bouma G, Calabrò A, Carroccio A, Castillejo G, Ciacci C, Cristofori F, Dolinsek J, Francavilla R, Elli L, Green P, Holtmeier W, Koehler P, Koletzko S, Meinhold C, Sanders D, Schumann M, Schuppan D, Ullrich R, Vécsei A, Volta U, Zevallos V, Sapone A, Fasano A. Non-Celiac Gluten sensitivity: the new frontier of gluten related disorders. Nutrients 2013;5(10):383953 doi: 10.3390/nu5103839 12. Marcason W. What is the current status of research concerning use of a gluten-free, casein-free diet for children diagnosed with autism? J Am Diet Assoc 2009;109(3):572. 13. Cascella NG, Kryszak D, Bhatti B et al. Prevalence of celiac disease and gluten sensitivity in the United States clinical antipsychotic trials of intervention effectiveness study population. Schizophr Bull 2011;37:94-100. 14. Cascella NG, Santora D, Gregory P et al. Increased prevalence of transglutaminase 6 antibodies in sera from schizophrenia patients. Schizophr Bull 2013;39:867-871. 67 Conclusioni Bibliografia AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 schizofrenia. È frequente in queste condizioni il fallimento delle terapie farmacologiche ed appare suggestiva la dimostrazione che un’alterata permeabilità intestinale (tipica di questi disordini) possa comportare l’assorbimento di peptidi, capaci di attivare il sistema nervoso centrale con produzione di un eccesso di oppioidi13. L’efficacia della dieta senza glutine (e senza caseina) non è tuttavia stata ancora dimostrata nei ASD così come nella schizofrenia, dove è stata segnalata la presenza di alti livelli di AGA-IgG (anti-gliadina IgG) e anti-tTG (anti-transglutaminasi IgG)14. [ evidenze / 1 ] Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X Iperglicemia in età pediatrica: quale diabete? AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 68 Dario Iafusco1 Fabrizio Barbetti, Arianna Massimi 2 Valeria Grasso3 Ivana Rabbone4 Francesca Casaburo, Alessandra Cocca, Santino Confetto, Alfonso Galderisi, Andrea Paccone, Stefania Picariello, Alessia Piscopo, Loredana Russo, Pasquale Villano, Angela Zanfardino e Francesco Prisco5 Nadia Tinto, Cristina Mazzaccara, Daniele Pirozzi, Paola De Sanctis6 Michele Pinelli7 Fabio Acquaviva8 Lucia Sacchetti9 1 Dipartimento di Pediatria – Centro Regionale di Diabetologia Pediatrica “G.Stoppoloni”, Napoli [email protected] 2 Dipartimento di Medicina Sperimentale e Chirurgia – Università di Tor Vergata e Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma 3 Dipartimento di Medicina Sperimentale e Chirurgia – Università di Tor Vergata, Roma 4 Coordinatrice del Gruppo di Studio sul Diabete della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) 5 Dipartimento di Pediatria – Centro Regionale di Diabetologia Pediatrica “G.Stoppoloni” e Seconda Università di Napoli 6 CEINGE Biotecnologie Avanzate – Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche – Università Federico II, Napoli 7 Telethon Institute of Genetics and Medicine, Pozzuoli 8 UO Genetica Medica – A.O.R.N. “G. Rummo”, Benevento 9 CEINGE Biotecnologie Avanzate, Napoli I l muro concettuale secondo il quale il diabete in età pediatrica ha preferibilmente una patogenesi autoimmune sta ormai definitivamente crollando. Fino a pochi anni fa, infatti, in Pediatria vigeva l’assioma che in caso di iperglicemia persistente in età pediatrica, specialmente se in presenza di chetoacidosi, l’unica diagnosi possibile fosse quella di “diabete mellito tipo 1” e l’unica terapia ammessa fosse la somministrazione di insulina per tutta la vita. La classificazione del diabete mellito in età pediatrica è, invece, profondamente mutata in questi ultimi anni grazie alla identificazione di numerose forme di diabete non autoimmune, in genere ereditarie, per la cura delle quali non sempre l’insulina rappresenta l’unica alternativa. È interessante notare come ‒ specularmente ‒ anche la Diabetologia dell’adulto abbia dovuto constatare che oltre ai pazienti affetti da diabete tipo 2, caratterizzato da una combinazione di insulino-resistenza e deficit beta cellulare, vi siano casi a patogenesi autoimmune (il cosidetto LADA o NIRAD), come pure casi causati da mutazioni genetiche. Queste scoperte hanno rappresentato una vera e propria “rivoluzione copernicana” facendo scoprire ai diabetologi pediatrici che il diabete in età infantile e adolescenziale è molto più eterogeneo dal punto di vista eziopa- togenetico di quanto si pensasse. Anche se il diabete mellito tipo 1 costituisce ancora la forma di diabete più diffusa in età pediatrica1, in presenza di una qualsiasi iperglicemia è ormai diventato importantissimo chiedersi la patogenesi di questo sintomo utilizzando tutti gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione. Il dosaggio dei marker autoimmuni (ICA=Islet Cell Antibodies, GADA=anticorpi anti glucosaminidasi, IA-2A= anticorpi antitirosin fosfatasi, IAA=anticorpi anti insulina e ZnT8A=anticorpi anti Trasportatore 8 dello Zinco) è imprescindibile, a qualsiasi età, per confermare o meno il diabete mellito tipo 1. A tale proposito è indispensabile praticare il dosaggio di più markers autoimmuni contemporaneamente od almeno GADA e IA-2A; i primi infatti sono estremamente comuni e duraturi nel tempo nel caso in cui il diabete sia insorto in epoca peri-puberale, mentre i secondi sembrano essere più frequenti nei bambini più piccoli. Il dosaggio contemporaneo dei 5 marker (ICA, GADA, IA-2A, IAA e ZnT8A) riduce inoltre la possibilità di avere falsi negativi, soprattutto nel caso in cui tali marker non siano stati effettuati al momento della diagnosi ma solamente dopo alcuni anni di terapia insulinica. Solo in rari casi di diabete fenotipicamente autoimmune, nei quali tutti i marker risultino Evidenze / 1 Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X P er quel che riguarda il MODY, le due forme per così dire “paradigmatiche” sono i cosiddetti MODY-2 e MODY-3. Anche se i dati epidemiologici asseriscono che il MODY-2 sarebbe più frequente in Italia e nei Paesi mediterranei ••• Il muro concettuale secondo il quale il diabete in età pediatrica ha preferibilmente una patogenesi autoimmune sta ormai definitivamente crollando. alla esocitosi dell’ormone. Il deficit dell’attività di tale enzima porta lieve iperglicemia a digiuno (>100 mg/ dl) e postprandiale, scarsa tendenza alla evolutività, curve da carico orale di glucosio nell’ambito dell’ impaired glucose tolerance (IGT: tra 140 e 199 mg/dl al prelievo dei 120’ del test) e rarissimamente diagnostiche di diabete (cioè oltre 200 mg/dl a 120’), modica elevazione dei valori di emoglobina glicosilata che raramente è superiore a 7% (equivalenti a 53 mmoli/moli), scarsa tendenza alla chetoacidosi, minima incidenza di complicanze e rara necessità di trattamento.3 Recentemente il Gruppo di Studio sul Diabete della Società di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) ha elaborato un questionario (Figura 1), il cosiddetto 69 e il MODY-3 nei Paesi anglosassoni, in realtà la prevalenza delle due forme dipende anche dalla cultura e dalla capacità diagnostica del pediatra. Negli ultimi tempi inoltre tali patologie, che rappresentavano fino a dieci anni fa l’1–2% delle forme di diabete, sembrano essere sempre meno rare soprattutto perché si stanno affinando le capacità diagnostiche del pediatra e i metodi dei laboratori. Il MODY-2 è caratterizzato da mutazioni eterozigoti a perdita di funzione del gene della glucochinasi. Questo enzima, denominato anche esochinasi IV, catalizza la fosforilazione del glucosio che entra nella beta cellula pancreatica e agisce come un sensore per la secrezione di insulina in risposta all’innalzamento della glicemia, innescando la generazione del segnale metabolico che porta AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 comunque negativi (un 3–5% della casistica pediatrica), è possibile applicare tecniche di proteomica per dimostrarne la patogenesi autoimmunitaria2, in combinazione con la determinazione degli aplotipi HLA. Nei casi in cui i marker risultino negativi, tra i tipi di diabete non autoimmune in età pediatrica riconosciamo le numerose forme monogeniche da mutazione autosomica dominante (MODY=Maturity Onset Diabetes in Young), le forme da mutazione del DNA mitocondriale delle beta cellule pancreatiche (Diabete Mitocondriale), le forme emergenti di diabete da insulino-resistenza (Diabete tipo 2 dell’adolescente), le forme di diabete che insorgono nei primi sei mesi di vita (Diabete Neonatale Permanente, Diabete Neonatale Transitorio e forme assimilabili con insorgenza entro l’anno di vita), le forme secondarie (ad esempio Fibrosi cistica e Talassemia) e le forme sindromiche (Sindrome di Wolfram, Atassia di Friederich, molte forme rarissime di diabete neonatale, e così via). Figura 1. Questionario SEVEN-IF. Elaborato dal Gruppo di Studio sul Diabete della SIEDP per identificare i pazienti da tipizzare geneticamente perché probabilmente affetti da mutazione della GlucochinasiMODY-2. Rispondere a 7 Sì su 7 indica una elevata specificità (>90%) e un elevato valore predittivo positivo di MODY-2 (>75%) per cui è utile praticare il test senza indugio. Rispondere a 6 Sì su 7 ha una elevata sensibilità (>90%) che pone i pazienti ad alto rischio di MODY-2. Se si ottengono meno di 6 Sì su 7 si tratta di pazienti che necessitano di ulteriore revisione da parte di centri particolarmente esperti in diabete monogenico. Solo il 5% dei pazienti MODY-2 attualmente diagnosticati, infatti, ha un punteggio SEVEN-IF inferiore a 6. Evidenze / 1 Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X ••• AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 70 Il diabete in età infantile e adolescenziale è molto più eterogeneo dal punto di vista eziopatogenetico di quanto si pensasse. “7-if ” (SEVEN-IF), costituito da 7 domande del tipo vero/falso che riguardano una serie di caratteristiche cliniche solitamente registrate durante una visita diabetologica pediatrica. La risposta “SÌ” a 7/7 domande dà quasi la certezza che si tratta di un caso di MODY-2 per cui si impone la tipizzazione genetica del paziente e della famiglia così come la risposta “SÌ” a 6/7 domande dà una elevata probabilità di MODY-2. Meno di 6 “SÌ” su 7, invece, rende la diagnosi di MODY-2 poco probabile.4 Questa forma rappresenta la più frequente causa di diabete non autoimmune nella casistica pediatrica italiana.1 Il MODY-3, invece, è dovuto alla mutazione dell’HNF-1 alfa (Hepatocyte Nuclear Factor 1-alpha), fattore di trascrizione presente non solo nella beta cellula pancreatica, nella quale regola sia la duplicazione prenatale che la sintesi di insulina, ma anche in altri organi quali il rene ed il fegato dal quale ha preso il nome. Il MODY-3 è caratterizzato da un quadro decisamente di maggior severità rispetto al MODY-2 con insorgenza, in genere in epoca puberale. di iperglicemia anche grave, che progredisce rapidamente, tendenza alla chetoacidosi, possibilità di complicanze microvascolari e la necessità spesso di trattamento insulinico. Nei famigliari portatori della mutazione, ma asintomatici (ad esempio fratelli minori prepuberi), si osservano molto spesso, a differenza del MODY-2, curve da carico orale patologiche. Una caratteristica peculiare del MODY-3 è la presenza di glicosuria anche per glicemie inferiori a 180 mg/dl (glicosuria renale). È importante sapere che questa forma può rispondere favorevolmente alla terapia con basse dosi di sulfaniluree, ma è esposta ad una incidenza di complicanze a lungo termine simile a quella del diabete tipo 2. Il MODY 3, molto comune nel nord Europa, sembra meno diffuso in Italia.5 Le altre forme di MODY presentano similitudini, dal punto di vista clinico, con queste due forme paradigmatiche. Il MODY-1 (HNF4-alfa) è simile al MODY-3 ma molto più raro. Si caratterizza per la tendenza alla macrosomia ed all’iperinsulinismo neonatale (circa in un 50% dei casi) con ipoglicemie anche estremamente severe, seppur transitorie. Successivamente si assiste alla comparsa, in genere in pubertà, di diabete da difetto della secrezione insulinica, probabilmente derivante da una riduzione delle beta cellule per fenomeni di morte cellulare programmata (apoptosi). Il MODY-5 è dovuto a mutazioni del gene HNF 1 beta, stretto parente del gene HNF1 alfa. La similitudine è sufficientemente elevata da far sì che i prodotti genici possano formare tra loro eterodimeri. Il MODY-5 è caratterizzato da malformazioni del tratto genito-urinario (solitamente cisti renali, ma anche utero bicorne ed altre malformazioni) che quasi sempre vengono scoperte prima del diabete. Circa un 30% dei casi con MODY 5 hanno delezioni maggiori del gene, invece di mutazioni puntiformi. Esistono infine altri 9 geni MODY, ma i pazienti con queste forme sono particolarmente rari. U na forma di diabete monogenico ad esordio precoce (solitamente nei primi 6 mesi di vita, ma anche ‒ seppur raramente ‒ nel bambino e nell’adolescente, nel qual caso è denominato MODY 10) è quella legata alla mutazione del gene dell’insulina: il cosiddetto “Diabete INS”. In questo caso l’anomalia consiste fondamentalmente nella impossibilità di “ripiegare” correttamente la molecola dell’insulina e la conseguente incapacità da parte della beta cellula di secernere l’insulina anomala, che si accumula a livello intracellulare. Questo comporta l’innesco di un meccanismo di apoptosi con riduzione progressiva del numero di beta cellule e comparsa di diabete non autoimmune. Questa forma è stata scoperta per la prima volta in famiglie italiane ed ancora una volta la ricerca del Gruppo di ••• Carmela, a. 12 Diabete tipo 2 clinici. In particolare la mutazione A3243G tRNA (Leu) dell’mtDNA (0,2–2% di tutti i soggetti con diabete) è associata a diabete mellito e sordità neurosensoriale (MIDD Maternally Inherited Diabetes and Deafness). Un segno che, nella nostra esperienza, è risultato utile al riconoscimento del diabete mitocondriale è la distrofia maculare, un particolare pattern retinico svelabile in alcuni casi all’osservazione oftalmologica diretta da parte di oculisti esperti ed in altri casi in corso di fluorangiografia. Data la frequenza di osservazione possiamo ritenere tale sintomo quasi “patognomonico” di diabete mitocondriale.7 Nei soggetti con diabete mitocondriale è stata inoltre osservata un’aumentata incidenza della malattia celiaca in presenza di genotipo HLA-predisponente. Il diabete mellito tipo 2 dell’adolescente, infine, è una forma di diabete che negli ultimi anni specialmente in alcuni gruppi etnici (qui in Italia popolazioni medio-orientali e del sub-continente indiano) sta assumendo proporzioni importanti. Si tratta di una forma legata all’aumento esponenziale dell’obesità che comporta una riduzione della azione biologica dell’insulina (l’insulino-resistenza) secondaria. L’iperinsulinismo compensatorio ??? 170/200 All’esordio battute Pimpirulin piangeva voleva mezza mela la mamma non l’aveva e Pimpirulin piangeva. A mezzanotte in punto passò un aeroplano e sotto c’era scritto Pimpirulin sta zitto. Dopo 1 mese di trattamento dietetico Figura 2. Acantosi nigricans del collo e delle ascelle. Segno clinico spesso associato alle condizioni di iperinsulinismo. (spia dell’insulino-resistenza) consente nella maggior parte dei soggetti obesi di mantenere uno stato di euglicemia o di alterata tolleranza ai carboidrati (uno stato di aumentato rischio di sviluppare diabete tipo 2), tuttavia quando subentra un deficit secondario di secrezione insulinica per esaurimento funzionale della beta-cellula, si arriva alla comparsa del diabete mellito. Tale condizione si associa ad alcuni sintomi che insieme indirizzano alla diagnosi, quali l’acantosi nigricans, una particolare colorazione ed aspetto vellutato della cute del collo e delle ascelle legata ad un aumento degli acantociti stimolati dall’insulina (Figura 2), l’ipertensione arteriosa, la disfunzione ovarica, la dislipidemia. Da notare che l’iperglicemia di questi soggetti può accompagnarsi a poliuria e polidipsia e, soprattutto in occasione di stress infettivi, il deficit relativo di funzione insulinica e l’iperincrezione di ormoni contro insulari può condurre ad una situazione di chetonuria in genere senza chetoacidosi. L’età di comparsa di questa forma è, in genere, tra i 10 e i 14 anni e il sesso più colpito è quello femminile. Anche se l’origine di questa forma di diabete sembra essere multifattoriale, la familiarità appare essere una caratteristica costante.8 AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 Studio sul Diabete della SIEDP è stata determinante per la definizione diagnostica di questo tipo di diabete non autoimmune.6 Il diabete mitocondriale (che costituisce verosimilmente una frazione molto elevata – fino ad un 1–3% – di tutte le persone con diabete, anche se la stima risulta complessa ed è alquanto variabile da studio a studio) è causato da mutazioni del DNA presente nei mitocondri (mtDNA) delle beta cellule pancreatiche. Le caratteristiche di tale forma di diabete sono l’ereditarietà diaginica, legata al fatto che il patrimonio mitocondriale di ogni individuo deriva dal citoplasma della cellula uovo poiché gli spermatozoi perdono il loro patrimonio mitocondriale al momento della fecondazione, e la cosiddetta “eteroplasmia”: cioè le cellule possono contenere sia mitocondri normali che mutati in differenti quantità da tessuto a tessuto, contribuendo da un lato alla diversa espressione clinica del diabete in membri della stessa famiglia, dall’altro al coinvolgimento, oltre che del pancreas, di altri organi contemporaneamente. Fino ad ora sono state descritte differenti mutazioni sia nel genoma mitocondriale che in quello nucleare che regola a sua volta l’espressione del DNA mitocondriale, associate a determinati quadri 71 Evidenze / 1 Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X Evidenze / 1 Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X ••• In presenza di una qualsiasi iperglicemia è ormai diventato importantissimo chiedersi la patogenesi di questo sintomo utilizzando tutti gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione. D i fronte ad un caso di iperglicemia persistente in età pediatrica, in attesa di ottenere i risultati del dosaggio dei marker del diabete autoimmune, si impone una accurata anamnesi familiare che deve essere orientata sia sui casi di diabete presenti nel pedigree per svelare forme non autoimmuni ereditarie che sui casi di malattie autoimmuni che si possono associare, invece, nello stesso paziente o nella famiglia, al Diabete tipo 1. L’anamnesi di diabete deve comprendere, quindi, tutti i tipi di diabete presenti negli ascendenti e nei collaterali almeno fino alla terza generazione indipendentemente dalla gravità, dall’età all’esordio e dal trattamento pregresso o in corso. Ciò per evitare equivoci e fare in modo che criteri terapeutici non assumano un valore discriminante in termini patogenetici come, ad esempio, la somministrazione di insulina (dia- bete “insulino-trattato”) che può erroneamente condurre alla definizione di diabete “insulino-dipendente”. Per cercare di porre una diagnosi presuntiva sul tipo di MODY, l’anamnesi familiare per i casi di diabete deve comprendere l’eventuale presenza di complicanze microvascolari negli ascendenti affetti, le caratteristiche dell’esordio (chetoacidosi, iperosmolarità). La presenza o meno di stigmate di sindrome metabolica AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 72 Bibliografia 1. 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Molto utile è la rilevazione della circonferenza addominale con la determinazione dei percentili e, in caso di circonferenza addominale elevata, può essere molto utile notare sul collo o sulla nuca, sotto le ascelle o altre pieghe cutanee la presenza di acantosi nigricans. Concluse la raccolta anamnestica e la visita può essere utile consegnare un apparecchio per la determinazione domiciliare della glicemia al paziente e fare praticare alcuni profili glicemici giornalieri (glicemia pre- e post prandiali). Il consiglio di far praticare profili glicemici anche ai fratelli e ai genitori del paziente può essere di ausilio per svelare iperglicemie familiari misconosciute e indirizzare sulla loro patogenesi. Il dosaggio della glicemia e dell’insulinemia a digiuno permette di calcolare l’indice HOMA-r {[insulinemia (microU/ml) x glicemia (mg/dl)/18] /22,5} nel caso di sospetta insulinoresistenza. Recentemente sono stati pubblicati i percentili italiani di tale parametro glico-metabolico che si è visto dipendere, ovviamente, dallo stadio di sviluppo puberale.9 Tuttavia il semplice dosaggio del livello di c-peptide, meno soggetto a problemi pre-analitici rispetto all’insulinemia, può essere utile per escludere una bassa secrezione insulinica. I marker autoimmuni del diabete devono essere praticati in tutti i casi di diabete in età pediatrica e, forse, anche dell’adulto per rivelare eventuali casi di forme di diabete autoimmuni dell’adulto (LADA=Latent Autoimmune Diabetes in Adults). I n conclusione, la recente acquisizione di nuove tecnologie per la diagnosi del diabete come il dosaggio dei marker autoimmuni della malattia: ICA, GAD, IA2, IAA e dei recentissimi ZnT8 (questi ultimi consentono di classificare correttamente alcuni pazienti che prima sarebbero potuti rimanere “indeterminati”) e delle tecniche di genetica molecolare clinica (come il sequenziamento diretto del DNA genomico o mitocondriale) ha permesso di aggiornare la classificazione eziologica del diabete con insorgenza in età pediatrica e adolescenziale (e nel giovane adulto) che da “type 1 diabetes only” è divenuta molteplice ed articolata. I cambiamenti della classificazione sono stati così repentini che si è reso necessario organizzare corsi di aggiornamento, sessioni di congressi, articoli divulgativi come questo affinché le acquisizioni scientifiche potessero trovare posto al più presto nella pratica clinica.10 La ricaduta pratica di tali acquisizioni è altissima poiché la diagnosi patogenetica delle forme di diabete in età pediatrica rende possibili, nelle forme di diabete non autoimmune, di terapie alternative alla insulina con notevoli benefici sulla qualità di vita dei pazienti . Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 (ipertensione, acantosi nigricans, iperlipidemia) aiuterà nella diagnosi differenziale con le forme di diabete con insulinoresistenza. Molto utile è anche, nella ricerca dei casi di diabete gestazionale, soffermarsi sui pesi alla nascita di tutti i membri del pedigree. Il peso alla nascita, infatti, è un dato che facilmente rimane impresso poiché rappresenta una delle prime notizie sulla salute del bambino che vengono fornite alla madre e ai familiari al momento del parto. Poiché i livelli di insulinemia prenatale condizionano il peso alla nascita, la presenza di un peso alla nascita fuori norma per l’età gestazionale – sia in eccesso che in difetto – è un dato che può essere indicativo per una forma genetica. Un’anamnesi familiare positiva per diabete può favorire una diagnosi CLINICA di diabete non autoimmune familiare (ad esempio MODY, diabete mitocondriale) ed eventuali patologie associate – quali sordità neurosensoriale, maculopatia, cardiomiopatie, patologia muscolare oppure cisti renali e/o malformazioni del tratto genito-urinario indirizzare alla richiesta specifica di indagini genetiche rispettivamente per il diabete mitocondriale o per il MODY-5. D’altra parte nel sospetto di diabete autoimmune è molto utile approfondire l’anamnesi familiare di altre malattie autoimmuni che talora possono associarsi nella famiglia. È necessario, quindi, indagare sulla presenza di tireopatie, celiachia, sindorme di Addison, ma anche su patologie quali la psoriasi, la vitiligine, l’alopecia, la piastrinopenia, il LES, la dermatomiosite, la sclerosi multipla o il Crohn. Terminata l’anamnesi, i segni clinici sono altrettanto importanti nel tentativo di definizione diagnostica del tipo di diabete o della causa dell’iperglicemia. La visita dovrà soffermarsi, in particolare, sulla 73 Evidenze / 1 Diabete Tipo 1, Tipo 2 e Tipo X [ evidenze / 2 ] Infezioni delle vie aeree del bambino: pochi gli antibiotici di prima scelta La conoscenza dell’epidemiologia, dell’etiologia più probabile e della distribuzione in Italia delle resistenze batteriche risulta fondamentale per impostare una terapia antimicrobica razionale. CASO CLINICO 1 Luca, 2 anni, viene condotto in DEA per otite media acuta destra purulenta. Si tratta del secondo episodio, insorto a distanza di circa 3 mesi dal precedente. Luca è stato inserito al nido all’età di 18 mesi. Quando giunge in DEA è sofferente, febbrile (T° 38,8 °C). Gli esami ematochimici mostrano incremento degli indici di flogosi (GB 14080/μl, 68% neutrofili; PCR 97 mg/l, procalcitonina nei limiti). In DEA viene eseguito un tampone sul pus ed il bambino viene ricoverato prescrivendo terapia antibiotica con cefepime ev. L’esame colturale risulterà positivo per Haemophilus influenzae non tipizzabile, sensibile alle penicilline. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 74 CASO CLINICO 2 Sofia, 7 anni, viene visitata in DEA per febbre e tosse. L’anamnesi patologica remota risulta silente, eccetto per allergia all’amoxicillina. All’arrivo in DEA la bambina è febbrile, tachipnoica ma in buone condizioni generali, vigile, reattiva e non presenta segni di dispnea. All’esame obiettivo si riscontrano fini crepitii e rantoli incostanti in campo medio a destra. La radiografia del torace documenta la presenza di un addensamento parenchimale in sede paracardiaca destra. Agli esami ematochimici viene riscontrato un lieve incremento dei GB (10420/μl, 78% neutrofili), PCR 56 mg/l, procalcitonina negativa. La saturazione O2 in aria ambiente si mantiene stabilmente al di sopra del 97% e l’EGA capillare è buono. La bambina viene rinviata a domicilio con indicazione ad assumere levofloxacina per os per 7 giorni. Era necessario ricorrere a tali farmaci? Qual è la terapia antibiotica empirica raccomandata in questi casi? Discussione sintesi delle indicazioni fornite dalle e infezioni respiratorie linee guida italiane (Tabella 1). costituiscono la più frequenPer quanto attiene la faringote patologia infettiva in età tonsillite acuta, ricordiamo che solo pediatrica. Per lo stesso motivo, gli il 15–30% è imputabile allo Strepantibiotici sono fra i farmaci più tococco β-emolitico di gruppo A, frequentemente prescritti nel corche rappresenta di fatto l’unico vero so dell’età evolutiva, anche se con bersaglio della terapia antibiotica, sensibili variazioni territoriali. Prefinalizzata a prevenire le complimesso che le infezioni respiratorie canze sistemiche a distanza, come la sono spesso di origine virale, hanno malattia reumatica, più che a curare perlopiù un decorso autolimitantesi l’infezione dell’orofaringe.1 Le linee e non richiedono terapia antibiotica, guida italiane consigliano di eseguire un test rapido prima di prescrivere la il trattamento delle forme batteriche terapia, strategia sia diagnostica che più comuni si avvale di pochi principi terapeutica non condivisa da altre attivi di costo relativamente contenuraccomandazioni internazionali, vito. Ciò dipende dall’eziologia delle infezioni respiratorie nel bambino, sta la bassa incidenza della malattia reumatica nei Paesi sviluppati ed il ove i cocchi Gram-positivi (in primis rapporto sfavorevole costo/beneficio Streptococcus pneumoniae e Streptodel trattamento. Non entriamo qui cocchi emolitici di gruppo A), Monel merito sui dati a favore o contro raxella catarrhalis, Haemophilus intale scelta diagnostico-terapeutica. fluenzae e Mycoplasma pneumoniae la Seguendo le raccomandazioni itafanno da padroni quasi ad ogni età. liane i farmaci per os di prima scelta Teoricamente, l’impiego ottimasono rappresentati dall’amoxicillina, le di un antibiotico si basa anzitutto da somministrare per 10 giorni, o dalsul germe in causa e la sua suscetle cefalosporine di seconda tibilità ai singoli prodotti; Silvia Garazzino1 generazione (cefaclor, cenella pratica quotidiana Pier-Angelo Tovo2 furoxime axetil, cefprozil) l’uso è, però, prettamente 1 Dipartimento di Scienze per le quali possono bastaempirico. In letteratura della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università re 5 giorni per eradicare lo sono disponibili svariate degli Studi di Torino Streptococcus pyogenes dalla linee guida relative al trat2 SCDU Pediatria 2U, gola. Viene sconsigliato tamento delle più comuni Città della Salute e della Scienza di Torino, il ricorso ai macrolidi per infezioni batteriche delle Presidio: Ospedale l’alta prevalenza di ceppi alte o basse vie aeree. Di Infantile Regina di resistenti. seguito riportiamo una Margherita, Torino L Evidenze / 2 Infezioni delle vie aeree del bambino: pochi gli antibiotici di prima scelta Tabella 1. Indicazioni estrapolate dalle principali linee guida italiane sul trattamento delle infezioni respiratorie batteriche nel bambino Patologia Patogeni prevalenti Farmaci raccomadati Durata Faringite acuta Streptococco ß-emolitico gr. A, Altri (< 1%) •Amoxicillina •Cefaclor, cefuroxime axetil, cefprozil 10 giorni 5 giorni Otite media acuta Streptococcus pneumoniae Moraxella catarrhalis Haemophilus influenzae Forme lievi: •Amoxicillina •Cefaclor Forme gravi: •Amoxicillina + a. clavulanico •Cefuroxime axetil •Cefpodoxime proxetil 5–10 giorni Streptococcus pneumoniae Moraxella catarrhalis Haemophilus influenzae Streptococcus pyogenes Forme lievi: •Amoxicillina •Amoxicillina + a. clavulanico •Cefuroxime axetil •Cefaclor Forme gravi non complicate: •Amoxicillina + a. clavulanico os Forme gravi complicate: •Amoxicillina + a. clavulanico ev •Ampicillina + sulbactam ev •Ceftriaxone ev 10–14 giorni Amoxicillina Amoxicillina + a. clavulanico Cefuroxime axetil Cefalexina + macrolide 14–21 giorni Streptococcus pneumoniae Mycoplasma pneumoniae Haemophilus influenzae L’otite media acuta è sostenuta in oltre l’80% dei casi dall’infernal trio: Streptococcus pneumoniae (40%), Haemophylus influenzae (30%) e Moraxella catarrhalis (15%).2 Negli ultimi anni, l’estesa introduzione del vaccino antipneumococcico 13-valente ha portato ad una significativa riduzione delle forme imputabili ai ceppi vaccinali; sono però aumentate le forme da Haemophilus sp.3 Poiché, nonostante l’etiologia prevalentemente batterica, l’infezione guarisce spesso senza complicanze o reliquati anche senza terapia antibiotica, viene oggi consigliata una strategia “wait and see” in bambini ••• Teoricamente, l’impiego ottimale di un antibiotico si basa anzitutto sul germe in causa e la sua suscettibilità ai singoli prodotti; nella pratica quotidiana l’uso è, però, prettamente empirico. con sintomatologia lieve e garanzie, anche famigliari, che il paziente venga seguito in modo adeguato. In questi casi (in assenza di otorrea, episodi ricorrenti o particolari fattori di rischio per resistenze batteriche), qualora si ritenga opportuno l’uso 14–21 giorni di antibiotici, quelli consigliati sono amoxicillina o cefaclor. Le forme gravi, o con otorrea o ricorrenti, richiedono invece trattamento con amoxicillina + acido clavulanico o con cefuroxime axetil o cefpodoxime proxetil. Più rare, ma non eccezionali, le forme sostenute da Pseudomonas sp. per cui è necessario un trattamento mirato. La durata raccomandata della terapia è di 10 giorni per i casi a rischio di complicanze (bambini < 2 anni di età o con otorrea); può essere ridotta a 5 giorni in quelli con più di 2 anni, ove non sussista un particolare rischio di esito sfavorevole (vedi oltre per la dose appropriata di 75 Polmonite comunitaria 14–21 giorni AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 Rinosinusite acuta 10 giorni Evidenze / 2 Infezioni delle vie aeree del bambino: pochi gli antibiotici di prima scelta ••• AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 76 Fattori prioritari da considerare sono le caratteristiche del paziente, l’epidemiologia locale delle resistenze batteriche e le proprietà farmacologiche di ciascun principio attivo. amoxicillina e l’eventuale associazione con clavulanato). La rinosinusite batterica acuta riconosce un’etiologia simile a quella delle otiti medie: i patogeni più frequentemente isolati sono infatti Streptococcus pneumoniae (30%), Haemophilus influenzae (20%) e Moraxella catarrhalis (20%); sono rare (4%) le forme sostenute da Streptococcus pyogenes.4,5 Il trattamento antibiotico nelle forme lievi ha lo scopo di favorire una più rapida risoluzione dell’infezione, e quindi della sintomatologia, ed è rappresentato principalmente dall’amoxicillina. Tuttavia, nei casi con fattori di rischio per germi con resistenze agli antibiotici (ad esempio presenza di concomitanti patologie sistemiche o locali, trattamenti antibiotici nei 3 mesi precedenti, cure ospedaliere), la prima scelta è rappresentata da amoxicillina + a. clavulanico o cefalosporine orali di III generazione (cefuroxime axetil, cefaclor). Il trattamento antibiotico è invece imprescindibile nelle forme gravi (caratterizzate da febbre elevata, compromissione dello stato generale, marcata rinorrea purulenta, tosse persistente, edema orbitario, cefalea) ed ha lo scopo di eradicare l’infezione e di prevenirne le complicanze: le forme senza complicanze in atto possono essere trattate con amoxicillina + acido clavulanico per os, mentre le restanti richiedono un trattamento per via endovenosa (amoxicillina + acido clavulanico, ampicillina-sulbactam, ceftriaxone). Il trattamento antibiotico di prima scelta delle polmoniti comunitarie non complicate varia in relazione all’età ed alle condizioni cliniche del paziente.6,7 Poiché la maggioranza delle polmoniti è di natura virale, specialmente in età prescolare, l’indicazione è di non ricorrere immediatamente alla terapia antibiotica nei bambini che sono stati regolarmente vaccinati verso lo pneumococco, con segni e sintomi lievi-moderati, che possano essere strettamente monitorati e nei quali le caratteristiche cliniche ed epidemiologiche (eventualmente laboratoristiche e radiologiche) facciano sospettare una forma virale. Il trattamento antibiotico è invece raccomandato in tutte le altre situazioni. Va tenuto conto che nelle forme batteriche i germi più frequenti sono Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae e Mycoplasma pneumoniae: il primo è prevalente nella fascia 3 mesi–5 anni, mentre successivamente, specie tra 10 e 15 anni, prevalgono le infezioni da Mycoplasma pneumoniae. Nella maggior parte dei casi è quindi raccomandato l’uso di amoxicillina ad alte dosi +/- macrolide per os; le possibili alternative (vedi dopo) sono rappresentate da amoxicillina + acido clavulanico, cefuroxime axetil e cefalexina. Generalmente la durata della terapia antibiotica è di 7-10 giorni, anche se recenti studi supportano l’efficacia di terapie più brevi (5 giorni); le forme gravi o complicate richiedono terapie prolungate (oltre i 10 giorni); in caso di infezione da M. pneumoniae è suggerito un trattamento con claritromicina per almeno 14 giorni. Segnaliamo, anche se rara ed in prevalenza riscontrata come complicanza di infezioni virali, la possibilità di polmoniti sostenute da Staphylococcus aureus, spesso meticillino-resistente, che possono evolvere verso gravi forme necrotizzanti: tali infezioni necessitano di terapia mirata e gestione specialistica. Se le linee guida ci indirizzano nelle opzioni terapeutiche più opportune nelle diverse situazioni cliniche, per ottimizzare il trattamento antibiotico (soprattutto empirico) è necessario tenere in dovuta considerazione molteplici fattori. Tra questi prioritari sono le caratteristiche del paziente (gravità clinica, patologie concomitanti, eventuale immunodepressione, terapie precedenti), l’epidemiologia locale delle resistenze batteriche e le proprietà farmacologiche (soprattutto farmacocinetiche/farmacodinamiche) di ciascun principio attivo. Evidenze / 2 Infezioni delle vie aeree del bambino: pochi gli antibiotici di prima scelta a prevalenza delle resistenze batteriche dei singoli patogeni responsabili di infezioni respiratorie condiziona fortemente la scelta tra amoxicillina e amoxicillina + a. clavulanico o cefalosporine di III generazione.8 L’acido clavulanico è un β-lattamico prodotto dalla fermentazione di Streptomyces clavuligerus con scarsa attività antibatterica, in grado però di legare ed inattivare le β-lattamasi (enzimi prodotti da alcuni batteri che distruggendo l’anello β-lattamico dell’antibiotico lo rendono inefficace). L’acido clavulanico previene pertanto l’inattivazione dell’amoxicillina da parte di germi produttori di β-lattamasi e ne ristabilisce l’originario spettro d’azione. Il ricorso all’a. clavulanico è quindi necessario per combattere germi produttori di β-lattamasi. Le cefalosporine di III generazione hanno analogo razionale d’impiego, in quanto non vengono inattivate dalle β-lattamasi. Nei bambini italiani Streptococcus pneumoniae mostra una ridotta sensibilità alle penicilline in almeno il 15% dei casi ed ai macrolidi nel 40% dei casi. L’uso dei macrolidi in mono-terapia è quindi sconsigliato in pazienti con infezione pneumococcica accertata; mentre è giustificato qualora si voglia combattere un’infezione da Mycoplasma pneumoniae. I macrolidi possono comunque essere impiegati in associazione con un β-lattamico, soprattutto in terapia empirica, per sfruttarne l’effetto sinergico, oltre al potenziale intrinseco effetto anti-infiammatorio. Va sottolineato che la ridotta sensibilità dello pneumococco alle penicilline è prevalentemente sostenuta da alterazioni delle Penicillin-Binding Proteins (PBP). Ciò determina una resistenza intermedia, che può essere ••• Se un antibiotico di largo consumo come l’amoxicillina debba essere somministrata (per os) in 2 o 3 somministrazioni giornaliere rappresenta comunque una diatriba lunga almeno 20 anni. Farmacocinetica e farmacodinamica degli antibiotici A mmesso che l’antibiotico scelto sia quello giusto, ricordiamo che i parametri farmacocinetici-farmacodinamici (PK/PD) sono i determinanti più importanti della sua efficacia. A tal proposito va sottolineato che i β-lattamici ed i macrolidi sono antibiotici ad attività prevalentemente tempo-dipendente. Aumentandone la dose oltre la soglia terapeutica non si ottiene infatti un ulteriore aumento dell’attività antibatterica; al contrario, maggiore è il periodo in cui le concentrazioni di antibiotico si mantengono al di sopra della MIC (minima concentrazione inibente) dell’agente infettante, maggiore sarà l’efficacia e minore il rischio di selezionare germi resistenti. Il risvolto pratico è la necessità di frazionare correttamente la dose di β-lattamici per ottimizzarne l’azione. L’emivita dei principali β-lattamici raccomandati per il trattamento delle infezioni respiratorie nel bambino (penicilline semisintetiche e maggior parte delle cefalosporine orali) è inferiore a 3 ore: per avere concentrazioni plasmatiche adeguate sono quindi necessarie almeno 3 somministrazioni giornaliere. Il raggiungimento del target farmacodinamico (ovvero periodo di tempo per cui le concentrazioni del farmaco sono superiori alla MIC) è ancora più rilevante per combattere germi a suscettibilità farmacologica ridotta (ossia con MIC più elevate). Se un antibiotico di largo consumo come l’amoxicillina debba essere somministrata (per os) in 2 o 3 somministrazioni giornaliere rappresenta comunque una diatriba lunga almeno 20 anni. Recentemente è stata pubblicata una Cochrane review che, apparentemente, liquiderebbe il proble- 77 L superata da un incremento della dose: ne deriva il suggerimento di utilizzare dosi di amoxicillina di 80-90 mg/Kg/die (invece dei tradizionali 50 mg/Kg/die) per combattere infezioni da pneumococco. Più raramente la ridotta suscettibilità dello pneumococco alle penicilline è sostenuta dalla produzione di β-lattamasi: in tale evenienza, la scelta terapeutica ricadrà su amoxicillina + acido clavulanico o su una cefalosporina di III generazione. Esistono infine pneumococchi totalmente resistenti ai β-lattamici; in Italia la loro percentuale è per fortuna ancora bassa (circa 2%) e quindi il ricorso a farmaci mirati, quali i glicopeptidi, per trattare una polmonite comunitaria non è al momento giustificato, se non in casi selezionati. Sia Haemophilus influenzae che Moraxella catarrhalis sono spesso resistenti all’amoxicillina in quanto produttori di β-lattamasi (rispettivamente 30% e 80% dei casi). Motivo per cui, in caso di otite media acuta o rinosinusite batterica (ove entrambi i germi sono spesso in causa), viene più spesso suggerito di ricorrere alla combinazione penicillina semisintetica + inibitore delle β-lattamasi o a una cefalosporina di III generazione, per avere una maggiore garanzia di copertura. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 Resistenze batteriche Evidenze / 2 Infezioni delle vie aeree del bambino: pochi gli antibiotici di prima scelta ••• AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 78 I vari antibiotici hanno diverse capacità di penetrare nei singoli tessuti e ciò può ovviamente condizionare la risposta alla terapia. ma dichiarando che una o due dosi di amoxicllina (+ a. clavulanico) sono sovrapponibili alle 3 dosi giornaliere nel trattamento dell’otite media acuta.9 In realtà, riteniamo utile leggere i dati proposti in modo critico. In primo luogo, la review prende in considerazione solo 5 studi, peraltro piuttosto datati (il più recente ha 15 anni), e con regimi terapeutici alquanto disomogenei in termini di dosaggio. Nel frattempo, sono radicalmente cambiati i tassi di resistenza agli antibiotici dei germi “respiratori” (e quindi delle loro MIC), con conseguente diverso impatto di regimi posologici sub-ottimali. Dai 3 studi che analizzano anche le recidive di otite emerge inoltre che le 3 somministrazioni giornaliere di amoxicillina si associano ad un minor rischio di recidiva, a sostegno del fatto che la posologia ottimale riduce il rischio di selezionare ceppi resistenti. Da notare che l’assunzione di dosi molto basse di antibiotico creano meno danno di dosi appena sub-ottimali, in quanto dosi bassissime di antibiotico tendono a selezionare ceppi di pneumococchi a suscettibilità intermedia alla penicillina, mentre dosi di poco inferiori a quelle ottimali, specie se somministrate per periodi prolungati, selezionano ceppi ad elevata resistenza.10 Sede dell’infezione U n altro elemento cardine nella scelta di un antibiotico è la sede dell’infezione. I vari antibiotici hanno diverse capacità di penetrare nei singoli tessuti e ciò può ovviamente condizionare la risposta alla terapia. A livello polmonare il passaggio degli antibiotici attraverso la membrana alveolare è influenzato, ad esempio, dal grado di legame proteico, dalla lipofilicità e dalla ionizzazione del farmaco. Tutti i β-lattamici sono idrofili: hanno pertanto una bassa capacità di attraversare la membrana delle cellule (e quindi di agire contro patogeni intracellulari), tendono a rimanere concentrati nel torrente circolatorio e nel fluido interstiziale e hanno conseguentemente un basso volume di distribuzione; essi vengono eliminati prevalentemente per via renale. Al contrario, i macrolidi ed i fluorochinoloni sono antibiotici lipofili: attraversano quindi facilmente la membrana cellulare, hanno un elevato volume di distribuzione e sono attivi verso patogeni intracellulari; vengono eliminati soprattutto attraverso il metabolismo epatico. Se si analizzano le concentrazioni nel liquido alveolare, si può notare che amoxicillina + a. clavulanico hanno livelli inferiori del 20% rispetto a quelli plasmatici ed alcune cefalosporine orali (cefuroxime axetil, cefpodoxime proxetil e ceftibuten) tra il 10 e il 35% rispetto al plasma; i macrolidi raggiungono invece concentrazioni da 10 a 60 volte superiori rispetto a quelle plasmatiche. I chinolonici in pediatria I chinolonici non sono raccomandati nel trattamento delle infezioni respiratorie del bambino, benché rientrino nelle principali linee guida dell’adulto. Essi rappresenterebbero, infatti, un’ottima opzione terapeutica, sia per lo spettro d’azione (inclusi i germi intracellulari) che per le caratteristiche farmacologiche (buona biodisponibilià orale, ottima penetrazione tessutale). L’utilizzo dei fluorochinoloni in età pediatrica è tuttavia off-label (al di fuori di ristrette indicazioni per la ciprofloxacina: infezioni complicate delle vie urinarie, infezioni da Pseudomonas aeruginosa in pazienti con fibrosi cistica). Le remore nel loro utilizzo derivano da segnalazioni, già nel 1977, di tossicità a carico delle cartilagini e delle grosse articolazioni nell’animale, oltre a dati di tossicità su cellule in coltura. Ciò ha destato preoccupazioni per il possibile impatto sull’accrescimento osseo ed articolare nel bambino. Nell’adulto è del resto documentata la possibilità di provocare danni ai tendini (con possibili rotture). I dati sui florochinoloni in Evidenze / 2 Infezioni delle vie aeree del bambino: pochi gli antibiotici di prima scelta I n sintesi, fermo restando la validità del vecchio adagio che si cura il paziente, non la malattia, il trattamento delle più comuni infezioni batteriche delle vie aeree nel bambino, stante lo spettro relativamente limitato degli agenti più frequentemente in causa, si basa in fondo su pochi antibiotici di prima scelta, diremmo pochissimi se consideriamo le categorie (penicillina semisintetica + inibitore delle βlattamasi, cefalosporine, macrolidi). Farmaci come glicopeptidi, fluorochinoloni e carbapenemi non trovano indicazione in prima battuta, se non le molte variabili che determinano la scelta terapeutica nel singolo paziente: condizioni cliniche, elementi anamnestici, età, immunocompetenza, vaccinazioni, patologie concomitanti, recidive, allergie, precedenti terapie e ricoveri ospedalieri. La crescente presa di coscienza del drammatico impatto che sta assumendo lo sviluppo di resistenze agli antibiotici, legato anche al loro impiego eccessivo, ha portato alcune delle recenti linee guida ad essere più attendiste, consigliando un maggior approccio “wait and see” in caso di infezioni lievi o moderate, senza ricorrere quindi immediatamente alla prescrizione di un antibiotico, specie qualora rimanga verosimile l’ipotesi di un’etiologia virale. Nel caso si ritenga opportuno prescrivere un antibiotico, dosi e tempi di somministrazione devono però essere adeguati, poiché la posologia errata, oltre a non garantire i risultati attesi, favorisce fortemente lo sviluppo di resistenze batteriche . Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse. 79 Conclusioni in casi altamente selezionati e/o con il supporto di un antibiogramma. Nella pratica quotidiana la scelta di una terapia antibiotica, soprattutto nell’ambito delle infezioni respiratorie dell’età evolutiva, si espleta per lo più in maniera empirica: pertanto, la conoscenza dell’epidemiologia, dell’etiologia più probabile e della distribuzione, in Italia, delle resistenze batteriche risulta fondamentale per impostare una terapia antimicrobica razionale. Le posologia e le modalità di impiego dei singoli farmaci non possono prescindere dalle conoscenza della loro farmacologia e farmacodinamica. Le linee guida o le raccomandazioni di esperti ci supportano nelle scelte terapeutiche e forniscono indicazioni di massima sulla terapia antibiotica ottimale nelle singole malattie a seconda dei germi più spesso responsabili dell’infezione. La frequenza con cui queste raccomandazioni si susseguono e le differenze che (talora) fra di loro emergono evidenziano come le conoscenze e informazioni mirate siano in continua evoluzione e alcuni quesiti rimangano aperti e oggetto di accesa discussione. Pur avendo a mente le raccomandazioni specifiche, non ci si può comunque esimere dal tenere nella dovuta considerazione Bibliografia 1. Chiappini E, Principi N, Mansi N et al. Management of acute pharyngitis in children: summary of the Italian National Institute of Health guidelines. Clin Ther 2012;34:1442-58. 2. Marchisio P, Bellussi L, Di Mauro G et al. Acute otitis media: From diagnosis to prevention. Summary of the Italian guideline. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 2010;74:1209-16. 3. Pichichero ME. Acute otitis media: part II. Treatment in an era of increasing antibiotic resistance. Am Fam Physician 2000;61:2410-6. 4. Esposito S, Principi N. 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Quindi, è possibile utilizzare i fluorochinolonici in età pediatrica, riservandoli però a casi selezionati (infezioni respiratorie gravi, insuccesso di trattamenti alternativi), tenendo in considerazione i possibili effetti collaterali (tendinopatia, artralgia, allungamento del QT all’ECG) ed il potenziale sviluppo di resistenze batteriche. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 80 Caso clinico Titolo articolo anche lungo [ Tutto su / 2 ] Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa Se anche un bambino sindromico può non guarire dalla sua condizione, anche grazie alla dedizione del pediatra può aumentare la qualità della sua esistenza. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 81 L e Sindromi Malformative Complesse hanno una prevalenza del 2–4% tra i nati vivi (OMS, 2012) pari a circa un paziente ogni 200 bambini e, pur essendo singolarmente malattie rare, nel complesso sono invece numerose. Si calcola infatti che siano circa 8000, un centinaio delle quali con un’incidenza tra 1:2000 e 1:10.000, circa 250 tra 1:10.000 e 1:100.000, e circa mille fino ad 1:1 milione. Le rimanenti 6500 circa rappresentano casi sporadici (Tabella 1). Quindi, per la comune origine genetica (80% dei casi), per l’insorgenza in età pediatrica, per la frequente associazione con disabilità e per l’interessamento di numerosi pazienti, esse costituiscono un importante problema di Sanità pubblica.1,6 Infatti, in Italia la fascia di età 0–18 anni (età pediatrica-adolescenziale) comprende circa 10 milioni di persone, il 15% circa delle quali (1,5 milioni) è rappresentato dai cosiddetti “bambini con bisogni speciali”, affetti da patologie croniche che necessitano di un approccio sanitario impegnativo. All’interno di questo gruppo di pazienti, la metà circa (8% del totale, pari a circa 800.000 pazienti) è affetta da patologie che comportano “disabilità” (difetti fisici-mentali che Luigi Tarani rendono difficoltosa la parteciDipartimento di Pediatria pazione sociale) che, a loro vole Neuropsichiatria Infantile – ta, includono condizioni diverse “Sapienza” Università di Roma Tutto su / 2 Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 82 Tabella 1. L’incidenza delle sindromi principali Sindrome Prevalenza (stimata) Sindrome Prevalenza (stimata) Down 1/800 Prader Willi 1/10.000 Klinefelter 1/1.200 Trisomia 13 1/10.000 Fra-X 1/2.000 Angelman 1/12.000 Noonan 1/ 2.000 Beckwith-Wiedemann 1/14.000 Neurofibromatosi 1 1/3.000 Acondroplasia 1/15.000 Del 22 (VCF-Di George) 1/4.000 Williams 1/20.000 Trisomia 18 1/5.000 Saethre Chotzen 1/25.000 Turner 1/5.000 Poland 1/30.000 Sclerosi Tuberosa 1/5.800 Kabuki 1/32.000 (Jap) VATER 1/7.000 Smith Lemli Opitz 1/40.000 Artrogriposi multipla 1/10.000 Wolf 1/50.000 CHARGE 1/10.000 Apert 1/70.000 De Lange 1/10.000 Crouzon 1/80.000 Disostosi spondilo-costale 1/10.000 Cohen 1/100.000 Ehlers-Danlos 1/25.000 Holt Oram 1/100.000 Facio-auricolo-vertebrale 1/10.000 Sotos 1/100.000 Marfan 1/10.000 come l’autismo, le paralisi cerebrali infantili, gli esiti di tumori, ma anche patologie ad elevata complessità assistenziale, come le malattie genetiche (fibrosi cistica, talassemia, atrofia muscolare spinale etc.) e nello 0,5% dei casi (50.000 pazienti), le Sindromi Malformative Complesse (s. Down, s. Cornelia de Lange, s. Noonan e altre).3,5 Queste patologie possono comportare problematiche cliniche gravi e limitazioni dell’autonomia personale, con rilevanti ricadute assistenziali e sociali, tanto che, negli ultimi anni, nell’ambito della Società Italiana di Pediatria, si è sentita l’esigenza di sviluppare la branca della “Pediatria della disabilità”, che non comprende soltanto l’approccio sanitario multi-specialistico tipico delle malattie croniche, ma si arricchisce di un approccio multisettoriale, anche di tipo educativo-scolastico e sociale, esteso al territorio. Tale approccio andrebbe realizzato mediante la creazione di una rete assistenziale che integri il Centro di Riferimento per la Malattia Rara, che ha il compito di impostare il programma assistenziale, il Distretto Sanitario di competenza, che dovrebbe contribuire alla sua realizzazione ed il pediatra di famiglia che, ove opportunamente motivato, potrebbe coordinare gli interventi. Qual è quindi il ruolo del pediatra di famiglia in questa rete assistenziale “integrata”? Di sicuro è un ruolo fondamentale e poliedrico, che varia dalla possibilità di sospettare una diagnosi, alla gestione dei suoi risvolti clinici in collaborazione con il Centro di riferimento, all’individuazione dei bisogni socio-assistenziali del bambino, alla gestione iniziale dell’emergenza e dell’invio alla riabilitazione, nonché alla vicinanza empatica alla famiglia. In altri termini egli può essere il responsabile territoriale, che lavora in partnership con la famiglia, per assicurare l’accesso a tutti i servizi socio-sanitari utili a soddisfare i bisogni medici e non medici del bambino e della sua famiglia, al fine di favorire l’espressione più completa delle potenzialità del bambino e di ottenere la sua migliore partecipazione alla vita sociale. Il pediatra incontra il bambino sindromico I l pediatra può “incontrare” il bambino sindromico in vari modi. 1. Quando accoglie tra i suoi assistiti un neonato dimesso con una specifica diagnosi. In questo caso il bambino ha già “un’etichetta” che, oltre alle problematiche comuni alle malattie croniche, può comportare aspetti specifici delle sindromi genetiche che possono essere negativi o positivi. Tra i primi sono: il timore che il bambino venga discriminato per la sua condizione e le possibili difficoltà di attaccamento/relazione tra i genitori ed il bambino stesso. Tra i secondi la definizione della prognosi quoad vitam e quoad valetudinem, l’impostazione di un programma assistenziale semplificato ma accurato perchè tarato sulla specifica sindrome (complicanze, emergenze, riabilitazione etc.), la consulenza genetica, per valutare il rischio di ricorrenza familiare, la certificazione di malattia rara ed il potenziale contatto con un’associazione di genitori per ottenere un sostegno psicologico, pratico e legislativo. A questo punto al pediatra conviene acquisire le maggiori informazioni possibili su quella specifica condizione da cui è affetto il “suo” bambino, in particolare sulla variabilità del quadro clinico, sulle possibili complicanze mediche e sui protocolli di follow-up. Sarebbe inoltre opportuno che il pediatra verificasse la comprensione corretta delle informazioni ricevute dalla famiglia e, in caso negativo, la rimandasse al Centro che ha posto la diagnosi per chiarimenti ulteriori e, al fine di impostare un adeguato follow-up costruisse un’interazione attiva con un Centro di Riferimento, che potrebbe essere diverso dal centro diagnostico. Sarebbe anche opportuno che eseguisse un attento monitoraggio pediatrico generale, provando a Tutto su / 2 Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa li in altri organi e, quindi, se deve attendersi la comparsa di nuovi segni e/o complicanze. A tal fine è opportuno che prescriva dei test laboratoristici, radiologici o funzionali (EEG, ECG, esame audiometrico o oculistico) che svelino le problematiche associate. 4.Quando egli stesso pone una diagnosi post-neonatale di malformazione maggiore e/o di problema funzionale (visivo, uditivo, neurologico, cardiaco, renale etc.) che impone un inquadramento diagnostico più esteso, sarebbe utile che cercasse di documentare i problemi clinici del paziente ed i propri sospetti, anche inviando il bambino al genetista clinico, dopo aver preparato i genitori a questa strana visita, spiegando loro le ragioni (dubbio di patologia complessa) ed il possibile iter diagnostico successivo (prima visita, test genetici o diagnostica di immagini) e sostenendoli nel percorso previsto. A questo punto del percorso diagnostico sarebbe comunque utile per consolidare il rapporto di fiducia con la famiglia, che il pediatra ne spiegasse anche i limiti, in quanto il suo sospetto potrebbe essere sbagliato, oppure una diagnosi certa potrebbe non essere possibile, con la delusione delle aspettative che in qualche modo si creano sempre. Come e quando sospettare una sindrome D a quanto esposto risulta evidente che l’approccio clinico alle sindromi malformative presenta delle peculiarità dovute alla loro estrema varietà clinica, eziologica e patogenetica. Il primo passo consiste, proprio, nel porre un “sospetto diagnostico” che, ovviamente, precede la definizione clinica ma che richiede da parte del pediatra una particolare sensibilità diagnostica. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 “normalizzare l’anormalità”, trattando il bambino sindromico come tutti gli altri assistiti, con valutazioni periodiche dell’accrescimento staturoponderale facendo uso, se disponibili, delle curve di crescita specifiche della sindrome. Inoltre sarebbe necessario impostare l’alimentazione in modo ponderato (ipocalorica nella sindrome di Prader-Willi ed ipercalorica nella sindrome di Costello), ma il più normale possibile e proporre le vaccinazioni facoltative che non presentano alcuna controindicazione a priori ed, anzi, sono di massima utilità, considerato l’elevato rischio di infezioni respiratorie che hanno i bimbi con cardiopatie congenite o disfagia/reflusso gastroesofageo o pneumopatie restrittive da anomalie spondilo-costali e altre. Infine sarebbe opportuno che il pediatra verificasse costantemente dalla sua postazione privilegiata, l’evoluzione del processo di accettazione/adattamento ai problemi da parte della famiglia, nonché l’ efficacia della “rete” socioassistenziale (riabilitazione, inserimento scolastico) che riguarda il suo assistito. 2. Quando accoglie un neonato dimesso senza diagnosi, ma con una o più malformazioni maggiori, il pediatra può essere un sicuro sostegno alla famiglia nella prosecuzione dell’iter diagnostico e può continuare un attento monitoraggio sia pediatrico generale che relativo ai problemi di base del bambino, sapendo che, anche se in qualche caso manca l’etichetta diagnostica, i singoli problemi possono essere affrontati e risolti con le stesse modalità. 3. Quando, tra i suoi assistiti, annovera un bambino inizialmente normale, che inizia a presentare un ritardo dello sviluppo psicomotorio od un problema di accrescimento, il pediatra si dovrebbe chiedere se se si tratta di un difetto isolato o se esistono anomalie strutturali e/o funziona- 83 L’approccio clinico alle sindromi malformative presenta delle peculiarità dovute alla loro estrema varietà clinica, eziologica e patogenetica. Tutto su / 2 Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 84 Gli elementi clinici fondamentali che fanno sorgere il sospetto diagnostico di una sindrome malformativa sono, essenzialmente quattro: 1) la presenza di dismorfismi facciali (Figura 1) come l’ipertelorismo, la proptosi, le rime palpebrali oblique in alto o in basso, il naso corto con narici antiverse, il filtro lungo, la micrognatia e le orecchie impiantate in basso, per citarne alcune tra le più frequenti, che conferiscono al volto un aspetto particolare che rende il soggetto non assimilabile agli altri membri della famiglia (a tal proposito si consiglia di approfondire il metodo per descrivere il fenotipo con la pubblicazione alla voce 8); 2. la presenza di malformazioni maggiori o minori, variamente associate; un’anomalia ano-rettale è sindromica nel 50% dei casi, una palatoschisi nel 30%, una cardiopatia congenita od una cataratta nel 20% ed un’anomalia renale nel 15%. Esistono poi delle malformazioni che rappresentano delle “maniglie diagnostiche” di specifiche sindromi, come l’amartoma linguale per la s. oro-facio-digitale, la stenosi valvolare polmonare per la s. di Noonan, la stenosi sopra-valvolare aortica e delle arterie polmonari per la s. di Williams, una cardiopatia tronco-conale e la palatoschisi per la S. di Di George, la stenosi duodenale per la s. di Down, etc. 3. la presenza di problemi di crescita, sia in eccesso (gigantismi) che in difetto (nanismi) oppure la presenza di disarmonie tra capo e tronco, tra tronco ed arti, tra gli arti stessi, tra emisomi, etc; oppure la presenza di macrocrania (s. di Sotos, idrocefalo) o di microcefalia che può essere presente alla na- Figura 1. Sindrome malformativa Williams (a sinistra) e sindrome malformativa Noonan (a destra). scita, come nella sindrome feto-alcolica o nella s. di Seckel od avere un esordio tardivo, come nella s. di Angelmann o nella s.di Rett. 4. la presenza di ritardo dello sviluppo psico-motorio, specie se associato a deficit sensoriali (udito, vista, olfatto) è tanto più probabilmente sindromica quanto più è grave. Se le anomalie congenite multiple si manifestano tutte alla nascita, è compito del neonatologo tentare un inquadramento, ma, successivamente sarà compito del pediatra identificare eventuali difetti dello sviluppo somatico o psicomotorio, o l’insorgenza di malformazioni maggiori in un bambino che alla nascita appariva normale od era già portatore di una singola malformazione maggiore. In sostanza è fondamentale che il pediatra stabilisca se il difetto che rileva è isolato od associato ad altri segni di una possibile sindrome. Sarà poi compito del genetista clinico giungere ad una “definizione” causale della sindrome, passando attraverso la sua “descrizione” più completa, mediante Tutto su / 2 Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa Si possono seguire due strade per giungere ad una diagnosi: quella della diagnosi gestaltica (a colpo d’occhio) e quella della diagnosi analitica. L’assistenza dopo la diagnosi na volta posta la diagnosi (eziologica, genetica) o anche nel caso che questa mancasse, il pediatra riprende in carico il bambino “sindromico” partendo dalla precisa valutazione delle sue competenze iniziali (diagnosi funzionale) chiedendosi: questo bambino, cosa sa fare? Cosa saprà fare se aiutato? Cosa in lui si può correggere? Cosa si può prevenire? Tutto ciò al fine di programmare il migliore follow-up clinico e riabilitativo possibile. “Il lavoro del pediatra di territorio dovrebbe uscire dalle pareti dell’ambulatorio ed estendersi verso tutto quello che è la vita del bambino” (Zampino G, 2010). Quindi, mediante i bilanci di salute, può attuare interventi medici sul bambino, ma può anche valutare i fattori economici, ambientali e sociali della sua famiglia, può fornire indicazioni di educazione sanitaria, anticipando i possibili problemi e può mettere in atto interventi preventivi. Naturalmente sarà opportuno che conosca la sindrome, documentandosi autonomamente e presso il Centro di riferimento sul decorso, sulle complicanze e sulle emergenze possibili, nonché sui problemi inerenti la gestione dei devices come la PEG, od il CVC o la tracheostomia. Sarà anche opportuno che il pediatra garantisca il giusto apporto nutrizionale al bambino, monitorando le calorie assunte ed i parametri di crescita e valutando possibili deficit vitaminici od elettrolitici provocati da disturbi dell’alimentazione o da eventuali farmaci, integrando quindi con specifici supplementi. Dato che in alcune condizioni esiste un elevato rischio di sindrome da aspirazione, sarà cura del pediatra diagnosticare la disfagia ed il reflusso gastroesofageo, per iniziare una riabilitazione deglutitoria od una terapia medica, prima di inviare il bambino allo specialista per posizionare una PEG od eseguire un intervento di fundoplicatio. La valutazione del sonno è un altro aspetto che spesso necessita l’invio a centri specialistici per risolverne i 85 U AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 un processo fatto di vari elementi e fasi che tendono a completarsi reciprocamente ma che, talvolta, possono condurre alla diagnosi anche se presi singolarmente. Si possono, infatti, seguire due strade per giungere ad una diagnosi: quella della diagnosi gestaltica (a colpo d’occhio) e quella della diagnosi analitica. La prima consiste nel riconoscimento immediato ed intuitivo di un fenotipo noto, avvalendosi della semplice associazione tra memoria ed esperienza, come quando si riconosce un’esantema infantile o un amico tra la folla. Il sospetto diagnostico va poi convalidato con strumenti analitici. La diagnosi analitica invece si avvale degli strumenti tradizionali della medicina, quali l’anamnesi familiare (albero genealogico, di almeno 3 generazioni, per identificare malattie genetiche o deficit funzionali gravi), gravidica (minacce d’aborto, quantità di liquido amniotico, crescita e movimenti fetali, infezioni, assunzione di alcool, droghe, fumo o farmaci, diagnosi prenatale) e perinatale (asfissia, ittero, cianosi), dell’esame obbiettivo e degli esami chimici e strumentali, associati all’uso di sistemi computerizzati di ausilio diagnostico (POSSUM, LDD) che elencano le ipotesi diagnostiche compatibili con il quadro clinico del paziente in esame. Sta poi al genetista clinico definire la diagnosi, avvalendosi anche di controlli clinici successivi, utili a rilevare elementi compatibili con la storia naturale della malattia e prescrivere i test genetici mirati, sapendo che solo 1/3 delle sindromi ha una diagnosi eziologica e che il tasso di diagnosi (detection rate) molecolare/ citogenetica dei singoli test per ogni sindrome è molto variabile: s. di Williams 95%, s. di Sotos 90%, S. di Noonan 80%, S. di Cornelia de Lange, di Kabuki e s. CHARGE 70%.2,4,7 Nella Tabella 2 sono elencate le caratteristiche cliniche e genetiche delle più comuni sindromi genetiche. Tutto su / 2 Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 86 Tabella 2. Aspetti clinici e genetici di alcune sindromi note Sindrome o Associazione Segni principali Difetto genetico Acondroplasia Scarso accrescimento staturale con arti corti, brachidattilia, macrocefalia, dimorfismi facciali Mutazione del gene FGFR3 in 4p16.3 Neurofibromatosi di tipo 1 Chiazze caffelatte, noduli iridei di Lisch, neuro fibromi cutanei, pseudoartrosi tibiale, glioma del nervo ottico Mutazione o delezione del gene NF1 in 17q11.2 S. di Angelman Dismorfismi facciali, microcefalia, ritardo dello sviluppo, assenza di linguaggio, epilessia Assenza del contributo materno nella regione 15q11.2 S. di Apert Craniostenosi, dimorfismi facciali, sindattilia completa mani e piedi Mutazione del gene FGFR2 in 10q26.13 S. di Bardet Biedl Obesità, ritardo mentale,polidattilia post-assiale, nefropatia, ipogenitalismo,retinopatia Sono state identificate mutazioni di 12 geni diversi S. di Beckwith Wiedemann Iperaccrescimento, ernia ombelicale, onfalocele, macroglossia, emipertrofia, visceromegalia Mutazione o delezione dei geni sottoposti ad imprinting nella regione 11p15.5 (H19,KCNQ10T1,CDKN1C) S. di Crouzon Craniostenosi, dismorfismi facciali Mutazione del gene FGFR2 in 10q26.13 S. di Marfan Alta statura con sproporzione arti-tronco, aracno-dattilia, lussazione del cristallino, dilatazione bulbo aortico, prolasso della mitrale Mutazione del gene FBN1 in 15q21.1 S. di Prader-Willi Dismorfismi facciali, ipotonia, mani e piedi piccoli, ipogenitalismo, obesità, iperfagia, bassa statura,ritardo mentale Assenza contributo paterno nella regione 15q11.2 S. di Rubistein-Taybi Dismorfismi facciali, scarso accrescimento, ritardo mentale, pollici e alluci larghi o bifidi Microdelezione 16p13.3, mutazione del gene CBBP nel 16p13.3, mutazione del gene EP300 nel 22q13 S. di Sotos Iperaccrescimento, macrocrania, età ossea aumentata, dimorfismi facciali, ritardo psicomotorio Mutazione o delezione del gene NSD1 in 5q35 nel 90% dei pazienti S. del pianto del gatto Microcefalia e ritardo mentale Delezione di una porzione variabile del braccio corto del cromosoma 5 S. CHARGE Coloboma, cardiopatia congenita, atresia/stenosi delle coane, ritardo di crescita e/o sviluppo, anomalie genitali, ipoacusia, anomalie padiglione auricolare Mutazione del gene CHD7 in 7q21.11, mutazione del gene SEMA3E in 8q12.1-q12.2 (detection rate: 70%) S. di Cornelia De Lange Dismorfismi facciali,ritardo di accrescimento, ritardo di sviluppo, irsutismo, mani e piedi piccoli Mutazione del gene NIBL in 5p13.1, mutazione del gene SMC1L1 in Xp11.22-p11.21, mutazione del gene SMC3 in 10q25 (detection rate 70%) S. di Di George Dimorfismi facciali, cardiopatia tronco-conale, ipocalcemia, deficit immunitario, ritardo dello sviluppo, palatoschisi, disturbo della suzione e deglutizione Microdelezione 22q11.2 S. di Holt-Oram Cardiopatia congenita (o alterazione ECG), anomalia monolaterale dell’arto superiore Mutazione del gene TBX5 in 12q24.21 nel 30% dei pazienti S. di Noonan Dismorfismi facciali, bassa statura, stenosi polmonare, pterigium colli, pectus excavatum/ carenatum Mutazione del gene PTPN11 in 12q24.1 nel 50% circa dei pazienti, mutazione della via metabolica di RAS-MAPK, geni KRASS, SOS1, NRAS, RAF1, (detection rate. 80%) S. di Silver Russell Scarso accrescimento pre e postnatale, asimmetria viso/arti, dimorfismi facciali, sproporzione tra neurocranio e splancocranio Upd materna del cromosoma7 nel 10 % dei pazienti, ipometilazione del gene H19 in 11p15 nel 30% dei pazienti S. di Treacher Collins Dismorfismi facciali, notevole variabilità di espressione clinica Mutazione del gene TCOF1 in 5q32-q33.1, mutazione del gene POLR1C in 6p21.1, mutazione del gene POLR1D in 13q12.2 S. di Williams Dismorfismi facciali, stenosi aortica, ritardo di sviluppo, carattere socievole Microdelezione 7q11.23 (detection rate: 95%) S. di Wolf-Hirschorn Dismorfismi facciali, scarso accrescimento, ritardo mentale, malformazioni oculari, renali e del SNC Delezione 4p16.3 Spettro oculo auricolo vertebrale Asimmetria del volto, microtia o anomalia di conformazione monolaterale del padiglione auricolare, appendici preauricolari, dermoidi epibulbari, anoamlie vertebrali Diagnosi clinica VATER / VACTERL Anomalie vertebrali e anali, atresia esofagea con fistola tracheoesofagea, anaomalie renali/radiali, cardiopatia congenita Diagnosi clinica Tutto su / 2 Il pediatra ed il bambino con sindrome malformativa Un settore nel quale è richiesto al pediatra uno sforzo assistenziale aggiuntivo è quello dell’emergenza nel bambino sindromico. nella s. di Williams e nella Neurofibromatosi di tipo 1 deve orientare verso una crisi ipertensiva od uno stroke cerebrale, mentre l’improvvisa ipotonia/emiplegia nella sindrome di Down, nell’Acondroplasia e nelle Mucopolisaccaridosi devono orientare verso una compressione tronco-encefalica da instabilità atlanto-assiale.6 In conclusione, il pediatra può prendere coscienza del fatto che se anche un bambino sindromico può non guarire dalla sua condizione, anche grazie alla sua dedizione può essere curato al meglio e così può aumentare la qualità della sua esistenza e le probabilità di attuare compiutamente le sue potenzialità di inserimento sociale . 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AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 disturbi. Le vaccinazioni vanno eseguite senza tema di complicazioni, anche perché la copertura vaccinale nei bambini disabili risulta essere molto bassa, mentre la protezione che trarrebbero dai vaccini antiinfluenzale, antiemofilo, antipneumocococco ed antimeningococco è altissima, data la loro maggior propensione alle malattie respiratorie. La supplementazione in vitamine e fluoro deve seguire le linee guida che riguardano tutti i bambini. Infine il pediatra di famiglia, vivendo accanto alla famiglia, può meglio verificare se essa gode di un adeguato sostegno sociale e se il bambino è ben inserito a scuola, se esegue la prescritta riabilitazione e se c’è un dialogo costruttivo tra le varie strutture che lo assistono.5 Un settore nel quale è richiesto al pediatra uno sforzo assistenziale aggiuntivo è quello dell’emergenza nel bambino sindromico. Tale esigenza nasce dalla constatazione che questi bambini accedono ai Pronto Soccorso due volte più degli altri e da qui vengono ricoverati con più facilità. Alla base di questo fenomeno sta una tendenza dei familiari a non fidarsi dei presidi territoriali ed ogni volta a “temere il peggio”, ma anche il timore del pediatra riguardo alla maggior fragilità di questi bambini. La conoscenza della storia naturale della sindrome potrebbe facilitare la diagnosi della sua possibile complicanza e limitare i ricoveri ai soli casi in cui questa si presenti effettivamente ed in forma grave. Alcuni esempi possono spiegare il tipo di approccio richiesto, infatti il dolore toracico in un ragazzo con sindrome di Marfan deve far pensare ad uno pneumotorace od ad una dissecazione aortica, mentre il dolore addominale nella sindrome di Williams deve orientare verso una diverticolite intestinale o vescicale od un’ischemia mesenterica, mentre nella sindrome di Cornelia de Lange, dove la comunicazione potrebbe essere molto difficoltosa, ad un volvolo da malrotazione intestinale e nella sindrome di Ehlers Danlos ad una rottura intestinale. La cefalea Caso clinico Titolo articolo anche lungo Scuola di Specializzazione di Pediatria – Università di Ferrara, Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Anna di Cona, Ferrara 2 Pediatria – Ospedale Maggiore, Bologna 1 AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 88 Doriana Lacorte1 Cristiana Retetangos2 Andrea Lambertini2 Patrizia Alvisi2 [ C ASO Doriana Lacorte1 Cristiana Retetangos2 Andrea Lambertini2 Patrizia Alvisi2 1 Scuola di Specializzazione di Pediatria – Università di Ferrara, Azienda OspedalieroUniversitaria S. Anna di Cona, Ferrara 2 Pediatria – Ospedale Maggiore, Bologna clinico ] La storia di Nicolas: un caso di acalasia È la clinica che, adeguatamente interpretata, deve guidare la scelta delle indagini da eseguire e delle terapie a cui sottoporre il paziente. Caso clinico La storia di Nicolas: un caso di acalasia IL CASO associata a tosse notturna. Il sintomo caratterizza tutti i pasti della giornata ed è presente sia per i solidi che per i liquidi. Mentre mangia o beve – ci racconta la mamma – il bambino si ferma, tossisce, si “incupisce” per qualche secondo, poi quasi sempre deglutisce, tira un sospiro di sollievo e ricomincia a mangiare, ma talvolta finisce per vomitare. Di notte, inoltre, presenta una tosse stizzosa che spesso tiene sveglia l’intera famiglia. Tutto questo dura da ben 7 anni, ma è peggiorato negli ultimi 2 e si è accompagnato ad una crescita ponderale rallentata. Continuando l’anamnesi, emergono frequenti infezioni respiratorie e diversi ricoveri per focolai broncopneumonici interessanti il lato destro. Analizzando la folta cartella di referti medici che la mamma ha raccolto nel tempo, abbiamo avuto la sensazione che fosse stata data molta importanza al quadro respiratorio che era stato indagato da diversi specialisti (pneumologo, sindromologo, allergologo, gastroenterologo ed immunologo); erano stati ipotizzati fibrosi cistica, deficit immunologici, malattie allergiche, ma le indagini erano risultate nella norma. Il sintomo disfagia era stato attribuito ad una malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), “suffragata” solo dall’esecuzione, 2 anni prima, di una radiografia (Rx) del tratto digerente (l’unica eseguita) che aveva documentato “alcuni episodi di reflusso gastroesofageo Epidemiologia e fisiopatologia L’ a pieno canale”. Nel corso degli anni erano stati eseguiti numerosi cicli di antiacidi ed inibitori di pompa che sembravano aver portato solo lievi e transitori benefici sulla tosse; per quanto riguarda la disfagia, invece, non era cambiato nulla. Il bambino continuava ad impiegare molto tempo per terminare il pasto, nonostante fosse di ottimo appetito e avrebbe mangiato voracemente. Tra la documentazione che ci viene portata in visione, ci colpisce il referto dell’Rx con pasto baritato eseguito 2 anni prima che metteva in evidenza una “rallentata clearance esofagea e aspetti di incoordinazione faringo-esofagea”. Alla luce della clinica (la mamma, durante il colloquio, sottolinea più volte l’importanza della disfagia) e del referto radiologico, sospettando una patologia esofagea, riteniamo utile l’esecuzione di una esofagogastroduodenoscopia (EGDS) e di una rivalutazione radiologica. L’indagine endoscopica mostra un esofago con peristalsi torpida, una mucosa iperemica ed edematosa a livello della linea Z e un passaggio “a scatto” dello strumento a livello del cardias. acalasia rappresenta un disturbo della motilità esofagea, raro nella popolazione pediatrica. L’incidenza è di 0,11/100.000 bambini all’anno, con un trend in aumento negli ultime 2 decadi. La condizione è molto rara sotto i 5 anni, meno del 5% dei bambini presenta sintomi sotto i 15 anni. Non sembra ci sia una prevalenza di sesso sebbene alcune casistiche riconoscano una predominanza nei maschi.1,2 Alla base della All’Rx si riscontra un esofago dilatato, con aspetto “a coda di topo” a livello del terzo distale dove si apprezza un filiforme, discontinuo e rallentato passaggio del mezzo di contrasto nello stomaco (Figura 1). La diagnosi a questo punto risultava chiara: si trattava di un caso di acalasia. La manometria ci confermava il quadro mostrando un tono basale dello sfintere esofageo inferiore (SEI) superiore alla norma, rilasciamenti post deglutitivi presenti ma incompleti, peristalsi assente nel 100% delle deglutizioni umide. N. è in attesa di eFigura 1. seguire una valutaEsofago dilatato, zione chirurgica per con aspetto il trattamento. “a coda di topo”. condizione è presente una degenerazione del plesso mioenterico inibitorio che innerva il SEI e il corpo dell’esofago. Questo comporta uno squilibrio tra neuroni eccitatori ed inibitori favorendo il controllo sulla sola azione delle fibre colinergiche non più contrastate da stimoli inibitori. Ne conseguono un mancato rilasciamento del SEI in seguito alla deglutizione, assenza di peristalsi del corpo esofageo e aumento della pressione del SEI a riposo. Sebbene sia da considerare un disturbo idiopatico, sono state ipotizzate 89 enterologia pediatrica perché da circa 7 anni presenta un’importante disfagia AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 N. P., 11 anni, italiano, affetto da trisomia 21, giunge nell’ambulatorio di gastro- Caso clinico La storia di Nicolas: un caso di acalasia La non tipicità dei sintomi è alla base del ritardo diagnostico che, secondo alcune casistiche, va dai 6 ai 10 anni. cause autoimmuni (autoanticorpi diretti contro il plesso di Auerbach), infettive (virus, malattia di Chagas), degenerative o ereditarie.1,2,3 È stata notata un’associazione con trisomia 21, insufficienza surrenalica, sindrome di Alport, sindrome da ipoventilazione centrale congenita, esofagite eosinofila, disautonomia familiare, malattia di Chagas, sindrome di Allgrove (acalasia, alacrimia insensibilità ad ACTH), sindrome di Pierre Robin e di Rozychi (sordità, vitiligine, atrofia muscolare-acalasia).4,5 Presentazione clinica L AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 90 a sintomatologia caratteristica è rappresentata da disfagia progressiva, prima per i solidi e poi anche per i liquidi, vomito, rigurgito, dolore o pirosi retro sternale e perdita di peso. Tuttavia, in età pediatrica, la presentazione è spesso atipica prevalendo i sintomi respiratori come polmoniti ricorrenti, tosse notturna, raucedine, dispnea da compressione tracheale, difficoltà nell’alimentazione. La non tipicità dei sintomi è alla base del ritardo diagnostico che, secondo alcune casistiche, va dai 6 ai 10 anni.6 Diagnosi L’ Rx con pasto baritato è il primo esame da effettuare nel sospetto poiché, eseguita con una sufficiente dose di bario, in genere non manca la diagnosi; è possibile apprezzare una dilatazione dell’esofago con persistenza di cibo e mezzo di contrasto nella porzione distale con lento svuotamento e l’immagine a coda di topo o a becco di uccello a livello cardiale. La manometria è l’esame con maggiore sensibilità; permette di confermare la diagnosi e di stadiare la malattia. È possibile apprezzare un’elevata pressione del SEI a riposo, l’assenza o la riduzione della peristalsi, il mancato rilasciamento del SEI in seguito al- le deglutizioni. Tuttavia, l’assenza di questi riscontri non permette di escludere la diagnosi a causa di una funzione eterogenea del SEI in età pediatrica; la pressione può, raramente, non essere aumentata.3,7 L’EGDS deve essere considerata un’indagine complementare alle precedenti. Da sola ha una bassa sensibilità. Può evidenziare una dilatazione dell’esofago con un ristagno di cibo e di saliva e la presenza di esofagite, ma risulta normale nel 40% dei casi. La sua negatività, quindi, non permette di escludere la diagnosi; rimane tuttavia un esame utile perché permette di eseguire un prelievo bioptico e di escludere la presenza di cause di pseudoacalasia.1,2,3 Diagnosi differenziale Esofagite eosinofila (EoE) È la prima patologia a cui il pediatra deve pensare di fronte ad un bambino che presenta calo ponderale o arresto della crescita, vomito, rigurgito e disfagia. Essa presenta una maggiore incidenza rispetto all’acalasia (0.9/10.000 vs 0.1/10.000 rispettivamente). Se ad arricchire il corredo sintomatologico ci sono una storia di atopia o episodi di impatto del bolo alimentare, la probabilità che si tratti di EoE aumenta vertiginosamente. Già l’Rx del tubo digerente permette di differenziare le due condizioni; nell’acalasia l’esofago è dilatato, nella EoE al contrario è ristretto. L’indagine endoscopica e successivamente l’istologia con il riscontro di un infiltrato di eosinofili (> 15/campo ad alto ingrandimento) consentiranno la diagnosi di certezza. MRGE Tutt’altro che infrequente è che sintomi come dolore retro sternale, pirosi, broncospasmo ricorrente, infezioni respiratorie nel bambino vengano imputati erroneamente Caso clinico La storia di Nicolas: un caso di acalasia Adenocarcinoma, leiomioma, morbo di Crohn Sono alla base della cosiddetta pseudoacalasia perché in grado di simulare l’acalasia stessa sia da un punto di vista sintomatologico che anatomico/strumentale; quando vi è il sospetto, l’EGDS e l’esame istologico permettono di escludere queste condizioni. Disfagia psicogena Si presenta tipicamente in età adolescenziale-pre adolescenziale, il rifiuto a deglutire è sia per i solidi che per i liquidi (anche la saliva) ed è forte la paura di soffocare. La caratteristica principale è che l’insorgenza è improvvisa e conseguente ad un condizionamento (soffocamento, corpo estraneo, vomito). In genere è presente una comorbilità neuropsichiatrica. Terapia L’ obiettivo del trattamento è quello di risolvere l’ostruzione funzionale del SEI consentendo lo svuotamento del bolo nello stomaco per gravità. Non esistono dei protocolli di comportamento, né delle linee guida, essendo l’acalasia una patologia rara. Nessuna delle opzioni terapeutiche correntemente in uso e descritte di seguito è in grado di portare alla guarigione dalla patologia che tende, inevitabilmente, a recidivare nel tempo.8 Miotomia laparoscopica e plastica antireflusso La miotomia laparoscopica secondo Heller è considerata il trattamento di scelta in età pediatrica essendo il più efficace ed essendo gravato da un minor rischio di recidive a lungo termine. Tuttavia, la miotomia può essere causa di reflusso del contenuto gastrico nell’esofago aperistaltico (alcune casistiche riportano un’incidenza di tale disturbo del 60%). Per tale ragione l’intervento deve essere seguito dall’esecuzione di una fundoplicatio. Quest’ultima deve inoltre essere parziale; una fundoplicatio totale infatti potrebbe causare una resistenza troppo elevata a livello Terapia farmacologica I calcio antagonisti e i nitrati a lunga durata d’azione sono le due classi di farmaci che vengono più comunemente utilizzati; rilasciano la muscolatura liscia che porta ad un livello più basso la pressione del SEI ma non incrementano la peristalsi esofagea. Il sollievo dai sintomi è solo parziale e di breve durata. Tra i comuni effetti collaterali ricordiamo cefalea, edema declive ed ipotensione. Per queste ragioni la terapia farmacologica è da considerarsi quasi sempre senza successo e deve essere riservata a quei casi in cui la terapia chirurgica non è eseguibile per caratteristiche legate al paziente.2,8 Iniezione di tossina botulinica La tossina botulinica impedisce il rilascio di acetilcolina dalle terminazioni presinaptiche. La sua iniezione intrasfinterica diretta può essere di qualche utilità nel ridurre la pressione del SEI. Inizialmente allevia i sintomi in circa il 50% dei pazienti . La risposta è però breve e circa la metà dei pazienti ripresenta i sintomi dopo 6 mesi. Il costo, la bassa percentuale di efficacia e il rischio elevato di recidiva non rende questa opzione terapeutica raccomandata in età pediatrica.2,8 Dilatazione endoscopica Un palloncino viene posto in corrispondenza del SEI sotto visione endoscopica diretta. Il suo utilizzo in età pediatrica non è standardizzato (pressione e grandezza del palloncino, numero di dilatazioni ripetute). Il tasso di successo di questa procedura varia dal 55 al 72%; un maggior numero di dilatazioni lo aumentano. Possibili complicanze della manovra sono sanguinamento, ematoma intramurale e perforazione. L’incidenza di quest’ultima varia dallo 0 al 15% ed è operatore dipendente.2,8 Peroral endoscopic miotomy (POEM) È un nuovo approccio di chirurgia mini invasiva per via endoscopica. Viene sezionata la muscolatura circolare del SEI attraverso un’incisione della mucosa e della sottomu- 91 Asma, tracheomalacia La sintomatologia respiratoria caratterizzata da tosse, raucedine, dispnea, che può dominare la scena soprattutto nei bambini più piccoli e che può precedere la comparsa della disfagia, spesso porta alla diagnosi di asma o tracheomalacia. della giunzione gastroesofagea, impedendo lo svuotamento dell’esofago e il passaggio di cibo nello stomaco (ricordiamo che nei pazienti con acalasia manca l’azione peristaltica e l’azione di pompa del corpo è completamente persa). Non esistono dati in letteratura che dimostrino la superiorità assoluta del tipo di fundoplicatio parziale; sia la Dor (fundoplicatio posteriore) che la Toupet (fundoplicatio anteriore) possono essere eseguite in base alle preferenze individuali e all’esperienza del chirurgo.8,9 AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 ad una MRGE. Fino al 50% dei pazienti vengono trattati con antiacidi prima della corretta diagnosi. Caso clinico La storia di Nicolas: un caso di acalasia cosa. Sono stati descritti solo pochi casi in età pediatrica, esiste il rischio di pneumotorace e pneumomediastino.10 Conclusioni I l caso di N., oltre ad aver rappresentato l’occasione per approfondire la conoscenza di una patologia rara in età pediatrica, ci ha portato a riflettere ancora una volta, sull’estrema importanza della clinica, che, adeguatamente interpretata, deve guidare la scelta delle indagini da eseguire e delle terapie a cui sottoporre il paziente. Come spesso avviene nei pazienti affetti da acalasia, la sintomatologia di N. era caratterizzata ‒ oltre che dalla disfagia ‒ da un quadro respiratorio importante (tosse, episodi infettivi delle basse vie respiratorie); quest’ultimo aveva preso il dominio della scena, ponendo la sintomatologia disfagica in secondo piano. A posteriori, il dato della monolateralità delle polmoniti (sempre a destra) associato alla disfagia importante e duratura, poteva suggerire l’ipotesi che questi episodi fossero su base inalatoria piuttosto che da deficit immunitario. Inoltre, la diagnosi di MRGE, disturbo per il quale il paziente era in terapia AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 92 Bibliografia 1. Franklin AL, Petrosyan M, Kane TD. Childhood achalasia: a comprensive review of disease, diagnosis and therapeutic management. World J of Gastrointesinal Endoscopy 2014;6(4):105-11. 2. Rizzello E, Pellegrin MC, Dal Bo S, Starc M, Cozzi G, A Ventura. 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Kiudelis M, Mechonosina K, Mickevicius A et al. The influence of operation technique on long term results of achalasia treatment. Medicina (Kaunas) 2013;49:56-60. 10.Familiari P, Marchese M, Gigante G et al. Peroral endoscopic myotomy for the treatment of achalasia in children: report of 3 cases. J Pediatr Gatsroenterol Nutr 2013;57(6):794-7. da anni, non poteva giustificare né la disfagia (che si può associare alla MRGE solo in rarissimi casi di malattia severa e complicata da stenosi del lume esofageo) né era sufficiente a spiegare un corredo sintomatologico respiratorio così ostinatamente persistente. Infine, gli aspetti radiologici di “ridotta clearance” e di “incoordinazione faringo-esofagea” emersi ad una radiografia eseguita due anni prima, associati ai dati clinici, suggerivano una patologia esofagea diversa dalla MRGE. L’insieme di questi aspetti ha condotto, purtroppo, nel caso di N., a diagnosticare la patologia dopo diversi anni dalla comparsa dei sintomi e di terapie inutili. In letteratura, il ritardo diagnostico per l’acalasia rappresenta la regola piuttosto che l’eccezione. Alcune casistiche riportano un ritardo medio di 4–6 anni, in altre il ritardo arriva a 10 anni. Questo avviene a causa delle caratteristiche epidemiologiche della malattia che porta un pediatra spesso a non incontrare mai nella sua carriera un paziente che ne è affetto, ma anche per l’estrema eterogeneità e aspecificità dei sintomi. La consapevolezza dell’associazione con altre condizioni però (sindrome di Down, di Allgrove, insufficienza surrenalica, ecc) dovrebbe aiutarci nella formulazione dell’ ipotesi diagnostica. Per concludere ricordiamo pochi punti: focalizziamo la nostra attenzione sul paziente, sui suoi sintomi, sull’anamnesi: l’approccio multidisciplinare talvolta rischia di impedire o quantomeno di non facilitare una visione d’insieme, clinica, del paziente che risulta “frammentato” nelle diverse “sottospecialità”; la disfagia che persiste va sempre indagata: l’EGDS deve sempre essere eseguita. La diagnosi di esofagite eosinofila, meno infrequente dell’acalasia, deve essere esclusa in prima battuta e questo è possibile solo con l’esame istologico; una radiografia del primo tratto è il primo esame da eseguire nel caso si sospettino patologie malformative ma, eseguita con una generosa dose di bario, permette di fare la diagnosi di acalasia. La disfagia ai liquidi può essere un valido suggerimento ad eseguire tale indagine; ridimensioniamo la diagnosi di MRGE, o quantomeno, mettiamola in discussione se non c’è risposta alla terapia specifica. · · · · Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse. [quiz] Test di autovalutazione 1. In Italia lo Streptococcus pneumoniae mostra: a.resistenza alle penicilline in almeno il 25% dei casi; b.resistenza ai macrolidi nel 40% dei casi; c.resistenza totale ai β-lattamici nel 10% dei casi; d. assenza di resistenza totale ai β-lattamici . 2. In caso di acalasia: a. registriamo maggiore incidenza rispetto all’esofagite eosinofila; b. l’esofagogastroduodenoscopia è la prima indagine da effettuare; c. la diagnosi avviene nella maggior parte dei casi dopo diversi anni dalla comparsa dei sintomi; D.la terapia farmacologica determina il rilascio della muscolatura liscia esofagea e porta a risoluzione dei sintomi. 3. Il MODY-2 (mutazione del gene della Glucochinasi) può comportare i seguenti sintomi ad eccezione di: a.glicemie a digiuno superiori a 100 mg/dl; b.emoglobina glicosilata (HbA1c) superiore a 6%; 42 mmoli/moli; c.obesità prevalentemente addominale; d.nessuna necessità di terapia con possibili eccezioni in gravidanza. 4. Il MODY-3 (mutazione del gene HNF1alfa) può comportare i seguenti sintomi ad eccezione di: a.glicosuria anche per valori glicemici inferiori a 180 mg/dl; b.malfunzionamento anche del pancreas esocrino con disturbi digestivi; c.insorgenza nei primi anni di vita a addirittura in epoca neonatale; d.possibilità di complicanze micro vascolari come nel diabete mellito tipo 1 e tipo 2. 5. Quante sono le sindromi malformative attualmente descritte? a.1000; b. 3000; c. 5000; d.8000. 6. Quando bisogna pensare ad una sindrome malformativa? Se il bambino presenta: a.dismorfismi facciali, malformazioni maggiori, problemi di crescita e ritardo psicomotorio; b.cardiopatica congenita isolata; c.familiarità per ritardo mentale; d.difetto di crescita ed anomalie minori. 7. La “Non Celiac Gluten Sensitivity“ (NCGS) presenta le seguenti caratteristiche ECCETTO: a.è una entità clinica descritta nella popolazione adulta; b.l’aplotipo HLA-DQ2 e DQ8 è presente in circa il 50% dei soggetti; c.assenza di anticorpi antigliadina di classe G; d.la dieta priva di glutine determina una completa regressione dei sintomi . 8. Quali sono le attuali raccomandazioni dell’AAP sull’utilizzo del Palivizumab nella prematurità? a.<35 settimane EG per i primi due anni di vita; b.<32 settimane EG per lattanti con età inferiore all’anno di vita; c.<29 settimane EG per il primo anno di vita; d.<29 settimane EG per i primi due anni di vita. 9. Quale terapia va effettuata nei pazienti affetti da bronchiolite? a.Terapia di supporto. b.Terapia inalatoria con broncodilatatori. c.Terapia antibiotica di copertura. d.Terapia steroidea inalatoria o per via sistemica. 10. Quale dei seguenti meccanismi sembra essere alla base delle sequele a distanza dell’infezione da VRS? a.Potenziamento della risposta Th1. b.Shift immunologico Th1-Th2. c.Iperproduzione locale di IFNG. d.Iperproduzione sistemica di IL10. Le risposte esatte saranno pubblicate sul prossimo numero della rivista. Quiz Test di autovalutazione Le risposte del numero precedente 1. Che si intende per sequenziamento dell’esoma (WES, “Whole Exome Sequencing”)? Il sequenziamento dell’esoma (WES, “Whole Exome Sequencing”) studia le sole porzioni codificanti del genoma Risposta corretta: B Il WES costituisce un approccio più semplice rispetto al sequenziamento dell’intero genoma, in quanto le regioni codificanti rappresentano l’1% del genoma umano e contengono circa l’85% delle mutazioni patologiche note. 2. Il Disturbo Specifico di Apprendimento è caratterizzato da difficoltà isolate e circoscritte nella lettura (Dislessia) e/o nella scrittura (Disortografia) e/o nel calcolo (Discalculia). Risposta corretta: A AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 2 | aprile–giugno 2015 94 Tali difficoltà hanno carattere evolutivo e persistente. La precocità e la tempestività degli interventi appaiono sempre più spesso tra i fattori prognostici positivi. Il pediatra di famiglia rappresenta una figura centrale e determinate nel riconoscimento precoce. 3. Quale di queste affermazioni non è corretta? L’introduzione tardiva del glutine riduce il rischio di Malattia Celiaca. Risposta corretta: D L’introduzione tardiva del glutine non riduce il rischio di Malattia Celiaca ,come documentato dallo studio CELIPREV. Due gruppi di bambini a rischio per famigliarità ricevevano glutine rispettivamente a partire dal 6° mese e dal 12° mese. Nessuna differenza di diagnosi di MC si rilevava tra i due gruppi a 5, 8 e 10 anni. Unica differenza significativa riguardava il periodo di insorgenza della malattia: il gruppo che aveva introdotto il glutine a 6 mesi aveva una diagnosi in età più precoce (26 versus 34 mesi). 4.Tra i 6 – 12 mesi, l’apporto rac- comandato di lipidi rispetto alle calorie totali è il 40%. Risposta corretta: B L’apporto raccomandato di lipidi tra i 6–12 mesi è il 40% delle calorie totali e non deve essere inferiore al 25%. La quota di grassi saturi dovrebbe essere < 10% dell’energia totale. 5. Quale di queste affermazioni non è corretta? L’apporto proteico è stato aumentato con gli anni per ridurre l’apporto di carboidrati. Risposta corretta: B. L’apporto proteico è stato ridotto negli anni perché quantitativi più alti potrebbero predisporre il bambino all’insorgenza di obesità. 6. La “Non-alcoholic fatty liver disease (NAFLD)” è caratterizzata dalle seguenti condizioni ECCETTO assenza di infiammazione e fibrosi. 8. Le apnee ostruttive del sonno (OSAS) non determinano alcuna alterazione metabolica nei bambini/adolescenti. Risposta errata: D In concomitanza con l’epidemia di obesità in età infantile, è stato registrato un sensibile incremento della prevalenza delle OSAS nei bambini/adolescenti, tale che per ogni aumento di 1 kg/mq di BMI al di sopra della media prevista è descritto un aumento del rischio di OSAS del 12%. I bambini/adolescenti con OSAS presentano livelli più alti di pressione arteriosa, di proteina C reattiva, di insulinemia, dimostrando che le OSAS aumentano considerevolmente il rischio di sviluppare complicanze cardiovascolari e metaboliche anche in questa fascia di età. 9. L’osteomielite acuta (OA) in età pediatrica: in genere le OA sono più frequenti nei bambini più grandi. Risposta errata: C Le osteomieliti sono più frequenti nei bambini più piccoli, in rapido accrescimento osseo, con picco di incidenza intorno a 3 anni. Circa la metà dei casi si verifica al di sotto dei 5 anni e, di questi, il 25% in bambini al di sotto di un anno. Risposta corretta: B La NAFLD fa riferimento ad uno spettro di patologia epatica che va dalla steatosi epatica semplice, a vari gradi di infiammazione e fibrosi fino alla cirrosi epatica. 7. La vitamina D presenta livelli bassi nei soggetti obesi per le seguenti cause, tranne una. Indicare quale: Alterato assorbimento della vitamina D. Risposta corretta: C Molte evidenze hanno riportato una associazione inversa tra accumulo di adipe e bassi livelli di vitamina D, dovuti non soltanto al sequestro di questa vitamina liposolubile nel tessuto adiposo, ma anche all’effetto negativo delle adipocitochine (ad esempio la leptina) sulla sintesi della forma attiva della vitamina D. L’ipovitaminosi D inoltre è stata correlata ad un aumentato rischio di Sindrome Metabolica. Non c’è alcun rapporto con l’assorbimento, anche perché solo il 10% del fabbisogno di vitamina D è introdotto con la dieta, mentre il 90% è sintetizzato dall’effetto dei raggi UVB sul precursore presente sulla cute. 10. L’esame strumentale più utile per la diagnosi di OA è la RMN. Risposta corretta: C La RMN è attualmente la migliore indagine strumentale, in termini di sensibilità e specificità, nei pazienti in cui segni e sintomi siano ben localizzati. In tutti i pazienti con sospetta OA è raccomandata l’esecuzione di una RX standard all’esordio, con cui è possibile escludere la presenza di fratture o malignità, ma essa, nella maggior parte dei casi, è normale per i primi 10–20 giorni. Non esiste opinione concorde sulla reale utilità dell’ecografia nell’iter diagnostico dell’OA. La TC fornisce immagini dell’osso e dei tessuti molli circostanti. Ha però un ruolo limitato nella diagnosi di OA nel bambino in generale e non dovrebbe far parte dell’usuale iter diagnostico. Prove di autonomia in cucina A cura di Maija Koski e Miikka Järvinen, una coppia di giornalisti �inlandesi, genitori di due piccoli ed entusiasti sous-chef. 256 pagine. € 18,50 www.pensiero.it