Relazione Andrea Arvalli

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Relazione Andrea Arvalli
1 USMI, ROMA, 20 NOVEMBRE 2011 CORSO per AN.VOC.LI, V. di Val Cannuta
DAL TESORO DELL’ACCOMPAGNATORE VOCAZIONALE:
SAPIENZE ANTICHE E SAPIENZE NUOVE
Andrea Arvalli ofmconv.
A.) L’ESSERE dell’ACCOMPAGNAMENTO
A.1. ) IL TESORO DELL’ACCOMPAGNATORE
Anche la guida spirituale ha bisogno di prendersi cura della propria ministerialità. Oltre che ad
essere un testimone il più possibile autentico (atteggiamenti di fondo, buon equilibrio fra
bisogni e valori), occorre possieda il sapere spirituale necessario (possedere le nozioni di
competenza spirituale, vocazionale, e carismatica), ma anche un saper fare (rappresentato da
abilità pedagogiche, strategie e tecniche educative adeguate), nonché da un volere progettuale
chiaro, lineare, purificato.
L’animazione vocazionale non può progredire con una catechesi raffazzonata, una preghiera
inespressiva, un contatto ed un dialogo personale condotti in modo approssimativo. La guida
spirituale dovrà prima di tutto essere un testimone consistente che abbia lui stesso per primo
avviato una buona integrazione fra la propria struttura umana (conosciuta e verificata) e i
propri ideali spirituali (chiariti, approfonditi, assimilati). L’essere un buon testimone: significa
aver maturato un rapporto sufficientemente ricco e significativo con il Signore Gesù, vivendo e
testimoniando la gioia di stare con Lui. Occorre inoltre una sufficiente maturità umana e di
fede: un vero amore per l’uomo, un buon equilibrio ed apertura relazionale, una buona
capacità di riconciliazione, una serena ed equilibrata integrazione eterosessuale (rapporto
uomo-donna), una serena integrazione nella sua comunità, non ritenersi arrivato ma in
cammino. Qui abbiamo delle buone basi, per un apostolato dell’esempio: la mia persona è il
primo strumento educativo.
Il sapere spirituale. Comprende varie dimensioni: dalla famigliarità con la Parola di Dio, e con il
catechismo della fede cristiana, allo spirito della liturgia, dell’ecclesiologia, e della teologia della
vita religiosa della chiesa del Vaticano II. E’ importante abbia dedicato tempo
all’apprendimento delle leggi della vita spirituale, ed in particolare del metodo del
discernimento spirituale. Occorre però abbia anche una buona conoscenza del cuore dell’uomo,
delle dinamiche fondamentali della vita psicologica, della psicologia evolutiva, per comprendere
l’interazione con la sapienza spirituale. Inoltre se non fosse capace di leggere il contesto dei
bisogni culturali del nostro tempo, e dei linguaggi delle diverse persone, non avrebbe il sapere
tipico del testimone ( più importante ed efficace di quello del maestro).
Questo sapere comprende diverse dimensioni: dall’accoglienza, all’empatia,
Il saper fare.
dall’ascolto al rispetto, dalla capacità di comunicare, a quella di stare vicino senza invadere. Sa
come accogliere e far emergere il vissuto della persona e come preparare all’incontro col
Signore. Sa come trasmettere fiducia e gioia. Sa quando attendere e quando incoraggiare,
quando e come comunicare la fede ed i suoi atteggiamenti esistenziali. Conosce le strategie, le
tattiche, e le tecniche del colloquio pedagogico. Sa accogliere le fatiche, le frustrazioni, i
fallimenti.
Il volere. E’ caratterizzato da una grande purezza di cuore, gratuità e libertà. Vi è un pieno
assenso ed obbedienza al disegno di Dio che vuole la crescita e la pienezza della gioia per i
suoi figli. Vuole prima di tutto il bene dell’altro e la piena realizzazione della sua vocazione in
Dio. E’ libera ed immune da ogni tentazione di proselitismo istituzionale . Il modello del suo
operare è Cristo che opera la giustizia (amore in favore dell’uomo). Vuole invitare alla santità
indicando ed additando grandi ideali nella generosità.
Tratterò con voi il punto terzo : il saper fare indicando alcuni atteggiamenti di fondo, ma
soprattutto cercando di delineare un abbozzo di metodo. Una sorta di prontuario, una lista di
attenzioni pedagogiche utili per entrare nel vivo del ministero. Non si tratta di inventare il
ministero dell’accompagnamento. Tanti secoli di vita cristiana hanno aperte vere e proprie
autostrade . Suggerirei, come prima cosa, di scegliersi come protettori alcuni santi speciali
2 nell’accompagnamento…. C’è solo l’imbarazzo della scelta, dai profeti dell’Antico Testamento, a
Giovanni il Battista, ai grandi santi dell’accompagnamento spirituale (S. Benedetto, S. Francois
de Sales, S.Ignazio, S. Leopoldo Mandic, ecc…) ma per la verità penso non ci sia famiglia
spirituale o ordine religioso che conti tra i suoi membri parecchie figure splendide. Rivolgendoci
a questi santi ci manteniamo umili, e impariamo tanto!
Ovviamente il Santo per eccellenza a cui occorre ci votiamo tutti è, e rimane sempre, lo Spirito
Santo, primo dono ai credenti attraverso il quale discende e viene effusa ogni paternità nei cieli
e sulla terra.
A.2.) ATTEGGIAMENTI di FONDO.
A. 2.1.) Vivere il nostro ruolo volentieri, e con gioia, senza cercare nessun vantaggio, né
personale, né per l’istituto, con gratuità, liberamente, proponendosi senza paura come modelli
(1Pt.5,13). Altrimenti, meglio cambiare mestiere.
A. 2.2.) Attenzione a non trattenere l’altro. Se vogliamo vivere nella castità il ruolo di
accompagnatori dobbiamo promuovere la diversità dell’altro, rinunciando al desiderio impuro di
possedere l’altro, attraverso tante forme sottili. Occorre essere disposti a fare due miglia in
più, in ogni caso è un cammino di liberazione e di servizio capace di liberare l’accompagnato
dal bisogno di dover ricorrere sempre a noi.
A.2.3.) Autentica paternità (-maternità) nello Spirito. La qualità del rapporto è il frutto di una
vera sinergia tra l’’impegno dell’uomo e l’intervento del Signore. La guida spirituale è solo una
delle numerose mediazioni che contribuiscono alla formazione, ma ha anche un suo ruolo
preciso capace di dare un contributo preciso ad una vera crescita.
A.2.4.) Rimane autenticamente al fianco, si interessa, si prende cura, fa il tifo per la persona
che accompagna, anche nella neutralità, oggettività, distacco, ma la paternità/maternità nello
Spirito cerca di valorizzare ogni segnale positivo e di buona volontà.
A.2.5.) Prega senza stancarsi in favore di coloro che accompagna. Pregare per qualcuno può
avere un duplice significato, sia quello di pregare al posto di chi per qualche motivo non prega,
sia quello di pregare in favore di qualcuno appoggiando la sua richiesta. E’ un compito
importante e delicato di una guida spirituale!
A.2.6.) Pazientare nello Spirito. La pazienza non come espressione di noncuranza, distacco,
disimpegno, ma pazienza nello Spirito è fiducia, ottimismo, saggezza. E’ un non perdere mai la
capacità di tornare a scommettere in favore del proprio figliolo che si è smarrito. In Luca 13 vi
è la parabola di un contadino e di un fico sterile. A tutti piacerebbe vedere subito dei risultati:
occorre però lasciar maturare le decisioni.
B.) UN METODO PER L’ACCOMPAGNAMENTO
B.1.) INIZIARE L’ACCOMPAGNAMENTO
B.1.a) L’apertura.
Un po’ di sana estroversione ci farà bene. Andare verso l’altro parla della socievolezza
dell’educatore, della sua sensibilità calibrata, rispettosa, attenta, presente e delicata nello
stesso tempo, mai invadente ma neppure assente. Occorre per questo imparare ad
osservare, a prendere contatto (non solo stringendo la mano, ma col ricordo/preghiera, con
attenzioni come quella di ricordare il nome, far vedere che ci si ricorda di, che si nota la sua
presenza…). E’ molto utile avere il senso del tempo opportuno, un sano tempismo che sia
insieme rispettoso ed attento.
B.1. b) I segni dell’accoglienza.
Accogliere solo apparentemente è un verbo passivo, in realtà la nostra reale disponibilità
matura attraverso tante attenzioni con cui veicoliamo atteggiamenti di apertura
accogliente. Ne provo ad elencare alcune molto semplici, quasi scontate. Per esempio il
presentarsi, non diamolo già per scontato, forse gli altri non ci conoscono, ed è bene uscire
dall’anonimato presentando con chiarezza
la nostra identità e il nostro ruolo, e
competenze. Questo fa bene all’interlocutore.
B.1. c.) Il linguaggio non verbale dei segni, è duplice, segni che diamo, e che riceviamo.
3 Segni che diamo noi: * la cornice ambientale, semplice, decorosa * lo sguardo: guardare
negli occhi senza fissare, con discrezione delicata all’inizio * le posizioni del nostro corpo
possono comunicare tanti messaggi * la distanza né troppo ravvicinata, ma neanche
troppo grande (!) * le espressioni del nostro volto comunicano tantissimo, evitiamo troppi
sorrisi, ma anche le espressioni di disgusto, shock, meraviglia ecc … In linea di massima
cerchiamo di esprimere i sentimenti che viviamo ma con un certo controllo (non rigido, ma
naturale) per evitare che talune espressioni possano essere lette come giudizi.
* eliminare gli elementi che inducono a distrazione.
Segni che siamo chiamati a leggere: prendere nota come si presentano i nostri
interlocutori, cosa ci dicono col loro corpo, con il loro muoversi, vestirsi, comportarsi, ecc…
Dall’insieme dei segni comportamentali possiamo fare delle utili inferenze.
Strutturare il tempo: per quello che è possibile dovremmo avviare i nostri interlocutori ad
una serena disciplina del tempo, l’accoglienza non può avere tempi casuali, infiniti,
disordinati, caotici, sia nella frequenza degli incontri, sia nella puntualità, che nella durata
degli stessi. Ovviamente dobbiamo fare attenzione alle situazioni ambientali, e alle persone
che abbiamo davanti a noi, ma non per questo dobbiamo rinunciare ad un’istanza educativa
e disciplinare che tende a fissare le regole del gioco.
B.1. d.) Imparare ad ascoltare
questo è difficilissimo, è una vera ascesi, uno svuotamento, è la testata d’angolo
dell’accompagnamento spirituale. Richiede grande capacità di attenzione, e concentrazione,
dimenticando se stessi ed i propri pensieri, bisogni, desideri. Non è possibile vero ascolto se
non siamo interiormente sereni, pacificati, e sufficientemente purificati. L’ascolto vero, fatto
nella gratuità e nell’agape, è un frutto della grazia preveniente con cui esprimiamo il nostro
amore di Dio e del prossimo, è un atto dell’interiorità di alto valore spirituale. Ascoltando
l’uomo, dobbiamo cercare di udire Dio che parla in e attraverso questo uomo.
Non si apprende ad ascoltare da soli, senza confronto personale, e senza un tirocinio
disciplinato. Come ascoltare il linguaggio non verbale ? Come imparare a riconoscere le
cose importanti da quelle accessorie? Come imparare a non distrarsi? Come sospendere
ogni giudizio mentre ascoltiamo? Come imparare ad attendere prima di rispondere?
Non sempre le domande dell’interlocutore esigono risposta, spesso sono affermazioni poste
in forma interrogativa, ma attendono ascolto. Forse la risposta attesa non è al contenuto
della domanda ma ai sentimenti ad essa retrostanti. E’ utile imparare: * a non avere paura
dei nostri silenzi * non tutto quel che viene detto è oro colato, ma i sentimenti espressi sì
* un vero ascolto è preferibile di una falsa risposta, come una moneta nel cassetto è
migliore di una moneta malamente sprecata.
Segni di non ascolto: * giudico non interessanti, o sciocchi i contenuti che la persona mi
espone
* critico interiormente e sono insofferente per lo stile e la gestualità
dell’interlocutore * mi accaloro troppo nelle descrizioni che l’interlocutore mi dà della sua
vita, rischio di essere troppo coinvolto * fingo di fare attenzioni ma sotto sotto vivo
disistima, rifiuto … * mi sorprendo di frequente ad essere distratto.
B.1. e.) Essere attenti.
* Dare empatia
* Dare considerazione positiva
* Essere autentici
* Aiutare la concretezza. Un rischio nei colloqui è l’eccessiva prolissità, genericità,
vaghezza, indeterminazione delle persone. Dobbiamo aiutare le persone a passare dal
generico al categoriale, dall’astratto al concreto, dall’indeterminato al chiamato per nome.
Chiedere esempi concreti, chiedere la data, l’ora, il giorno, il luogo, il nome (anche
pseudonimo). Bloccare le divagazioni ed esortare ad andare al dunque “quale relazione vi è
tra ciò che dici e il tema su cui mi hai chiesto oggi aiuto?” “Come ti senti a parlare così?”
“Sei tu la ragazza di 25 anni che faceva queste cose?”. Far fare un riassunto, od una
sintesi. “Prova a ridirmi in poche parole tutto…”
B.1. f.) Per una pedagogia parabolica: formulare l’ipotesi di una parabola.
4 Ho cominciato ad accogliere una persona, che ha iniziato ad aprire il suo cuore, io sono ora
chiamato a leggere quella parabola che lui è in Dio. Mi aiuterà essermi annotato mentre
parlava alcuni punti da identificare, ne indico sette od otto.
• Quale senso del sacro vive?
• Quale senso della presenza di Dio nella sua vita emerge?
• Quale intensità e maturità di fede mi pare esprima?
• Quale esperienza della grazia sta facendo?
• Quale senso di colpa e di peccato dimostra? Di quale pentimento è capace?
• Qual è la sua speranza, qual è per lui la salvezza?
• Qual è il senso di appartenenza comunitaria che ha maturato?
• Ha un senso della vita come vocazione?
Non si tratta ovviamente di fare o dare giudizi, ma di formulare delle ipotesi per
comprendere quale sia la parabola esistenziale del mio interlocutore.
B.1. g.) Elaborare un’alleanza educativa.
Allearsi significa lasciarsi coinvolgere per compiere insieme un cammino di crescita. Per
fare questo è utile prima : * chiarire le aspettative reciproche * accordarsi sulle finalità e
sul metodo * prevedere in anticipo le difficoltà principali * motivare con speranza e fiducia
* stabilire qualche piccola regola * impegnarsi reciprocamente
B.2.) CRESCERE
B.2.1.) Partire dall’esperienza
Favorire la narrazione di sé, aiutando ad essere concreti, con ascolto empatico, stima
costruttiva, autenticità emotiva. Una neutralità emotiva ricca di benevolenza empatica
favorisce mantenere il campo sgombro da tutto ciò che non è il vissuto esistenziale della
persona che accompagniamo. Abbiamo già detto qualcosa sulla capacità di ascoltare ed
osservare con attenzione vigile ma non rigida né fissata, ma vissuta con naturalezza ed
amore per il bene dell’altro. Adesso occorre segnalare un altro punto importante e cioè la
necessità di conservare la memoria. Nella paternità/maternità dello Spirito la funzione (per
altro tipicamente biblica) del ricordare consiste nell’individuare (attraverso un ascolto ed un
osservazione attenti) le relazioni ed i legami dei fatti, situazioni, pensieri, sentimenti già
detti in altri momenti. Le ripetizioni, le contraddizioni, l’ampliarsi, il radicarsi di pensieri,
sentimenti, modi di fare, agire e reagire, lentamente vengono a delineare sentieri, e linee
d’esistenza che la persona sta percorrendo forse senza esserne pienamente consapevole
(perché coinvolta ). Questo aiuta anche ad individuare dove sta la vita della persona in Dio,
e l’azione e la presenza di Dio nella persona … Cosa sta facendo Dio per- la, e nella persona
? Conservare la memoria aiuta anche solidificare la propria identità, pur aperta al
cambiamento.
Possiamo a questo livello cercare di verificare le nostre ipotesi su alcuni elementi che ci
sembrano più rilevanti nella vita della persona condividendoli col nostro interlocutore.
Abbiamo molti piccoli accorgimenti per farlo: preparare dei piccoli riassunti, o sintesi; ridire
con parole nostre, facendo delle parafrasi quanto lui ci ha comunicato; fargli fare un
riassunto degli ultimi due o tre incontri; chiedergli se vede alcuni punti che ritornano; dirgli
cosa abbiamo capito e sottoporlo all’attenzione dell’interlocutore. E’ importante attendere
le reazioni del nostro interlocutore, possiamo procedere solo quando vi è un ampio e
stabilito consenso su: * quali siano gli argomenti più rilevanti *come Dio si sta rendendo
presente nella sua vita.
B.2.2.) Comprendere il vissuto
Una volta individuati gli argomenti più importanti occorre domandarci il perché delle cose, è
la fase del comprendere. Il comprendere è un delicato cammino con cui cerchiamo con
intelligenza di vedere le radici delle situazioni per poter poi orientarci in modo sensato e
corretto.
Per farlo dobbiamo sempre cercare d’arricchire l’ipotesi di parabola che abbiamo iniziato ad
intravedere nel nostro fratello/figlio. Per stimolarne la consapevolezza, può essere utile
5 utilizzare il delicato metodo del confronto. E’ questa un’arte difficile, e delicata, attraverso
la quale aiutiamo le persone a prendere consapevolezza di sé. Cerchiamo di mettere
l’interlocutore di fronte alla sua situazione. Esso avviene sempre fra due situazioni : -due
affermazioni che, apparentemente, si contraddicono; - un’espressione verbale che è
contraddetta palesemente dall’espressione non verbale; - la filosofia della persona
contraddetta dalla sua pratica; - un vissuto esistenziale e l’incapacità della persona di
vederne le conseguenze..ecc… Dobbiamo esercitare quest’arte con tanta delicatezza,
umiltà, rispetto, pronti ad ammettere di avere sbagliato nel formulare dentro di noi alcune
ipotesi. Efesini 5,14-15 direbbe di fare la verità nella carità. Occorre che il confronto sia un
azione piena di carità, senza durezze, senza giudizi, senza rigidità, con grande
comprensione, accettazione, rispetto, volontà di aiutare. Meglio essere timidi(come agnelli)
che (lupi) rigidi e giudicanti. Guai ai moralismi! Dobbiamo anche prepararci a molti rifiuti:
moltissime persone preferiscono rimanere dove sono piuttosto che aprire le porte ad un
possibile cambiamento!
Nell’utilizzare lo strumento del confronto l’accompagnatore deve valutare il momento
opportuno, preoccupandosi che l’interlocutore abbia maturato una sufficiente fiducia
nell’alleanza educativa tale da poter avventurarsi nella ricerca dei perché (vera
comprensione) senza troppa ansia e paura. E’ molto utile tenere presente anche a quale
livello di esperienza spirituale si sta situando la persona, la discesa nelle verità più scomode
è possibile nella misura in cui la lotta esistenziale che sta vivendo sta divenendo sempre
più spirituale, giocata cioè alla luce della fede.
Può essere utile qui un po’ di pedagogia salmica, cioè la nostra capacità di cogliere ed
accogliere il gemito della persona che accompagniamo a volte in un delicato e difficile
cammino di crescita. Il gemito è un grido che non riesce ad esprimersi in modo compiuto,
esso ha a che fare con la sofferenza, c’è la voglia di gridare ma si sente mancare l’aria
dentro. Il gemito è un grido violento nella causa, ma debole nella sua espressione (C. M.
Martini). La pedagogia salmica è quella che ascolta, ed individua il gemito e aiuta a darne
espressione . La pedagogia salmica aiuta a sintonizzare il gemito inespresso o represso con
il gemito dello Spirito presente in ogni uomo. E’ un momento alto dell’accompagnamento
quello in cui, per pura grazia, possiamo aiutare a sintonizzare gli aneliti umani con il soffio
ispiratore dello Spirito. E’ come se i gemiti della colomba dello Spirito si aprissero una
strada nel cuore delle coscienze attraverso i gemiti delle sofferenze umane. Un
accompagnatore ricco di compassione e sensibile può facilitare l’esperienza di grazia di una
sofferenza che diviene strada di maturazione e crescita.
B.2.3.) Orientare alla valutazione oggettiva
Vediamo dove siamo arrivati: abbiamo accolto, ascoltato, visto, ricordato, evidenziato,
compreso, iniziamo ad essere abbastanza avanti nel nostro processo, ma abbiamo ancora
passi importanti davanti a noi. Dobbiamo imparare, o meglio stimolare, facilitare,
insegnare, a valutare nel modo più oggettivo possibile le situazioni. Su questo punto avete
avuto molte conferenze con molti apporti, belli, ricchi e profondi, e non c’è bisogno che io
m’intrattenga con voi. Piuttosto che il sapere a me spetta con voi il compito di illustrare il
saper fare che è semplicemente questo: come aiutare i nostri (più o meno) giovani
interlocutori a valutare obiettivamente la situazione in cui si trovano? Se i primi punti
potevano correre abbastanza serenamente (certo non senza molte fatiche e resistenze!)
questo pare oggi molto difficile dato il forte soggettivismo e l’impossibilità quasi di avere un
consenso spontaneo e facile su nessun valore. Eppure l’accompagnatore non può
demordere da questo punto. Provo a dare due o tre idee di fondo che mi sembrano utili:
• Talora l’utilizzo di una pedagogia sapienziale, quella del sapiente che detta i precetti di
sapienza, o dell’anziano che pronunzia i suoi proverbi, se fatta, anch’essa, con
moderata parsimonia, rispetto, adeguato tempismo, può provocare delle onde di
rivitalizzazione all’interno di un acqua troppo quieta o ferma. Certo il risultato ci potrà
essere se dall’altra parte c’è un corrispettivo cammino di personalizzazione.
• È molto utile formare ad una spiritualità seriamente biblica liturgica ed ecclesiale,
preferendola ad altre spiritualità forse immediatamente più facili e fruibili . Forse oggi
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siamo tentati di proporre i corso di meditazione di tipo orientale, o cavalcare il ritorno
delle devozioni. E’ più facile riempire la chiesa con una serata di meditazione, con il
rosario, o l’adorazione, una lectio divina seria richiede impegno e fatica. Non c’è dubbio
che sia più facile recitare il rosario che assimilare seriamente il metodo della lectio
biblica personale. Penso però che chi si abitua ad una spiritualità biblica, liturgica ed
ecclesiale è più facilmente propenso e preparato ad accogliere la dimensione oggettiva
del progetto cristiano ed evangelico di vita. Questo apre all’abitudine normalmente
interiorizzata di valutare in termini oggettivi la propria vita (pedagogia non solo
salmica, ma anche parabolica).
Invitare, indirettamente, con parole adeguate, a leggere e misurare il proprio vissuto
spirituale a partire dai sette od otto punti dell’ipotesi della parabola che noi ci siamo
creati mentalmente per aiutare la persona ad entrare in una spiritualità parabolica …
Addestrare a vedere la differenza fra sincerità e verità. La sincerità è bella ed
importante: esprime la libertà di dire ciò che si pensa, ma occorre anche pensare a ciò
che si dice. La verità aggiunge alla sincerità un elemento importante: la valutazione
oggettiva, il lasciarsi giudicare da un principio esterno all’io, non soggettivo ma
oggettivo, non relativo ma sostanziale. Il fariseo di Lc.18,9 era molto sincero quando
diceva di sé di essere un santo, un grande santo, ma gli mancava un confronto
oggettivo con le richieste della Parola del Signore, in un atteggiamento de-centrato
dall’ego, umile, e in cerca della verità.
Imparare a leggere l’insieme delle motivazioni: ogni comportamento è determinato
dalla ricerca di soddisfare alcune necessità. Le necessità delle persone si radicano in
alcuni ceppi da cui germogliano. Ad esempio un forte senso del dovere, il bisogno di
compiacere le persone importanti, la paura di essere inadeguati, vedersi sempre come
un brutto anatroccolo, un senso di colpevolezza eccessivo. Imparare a conoscere questi
ceppi presenti nella persona aiuta a valutarli e poi coordinarli a livello di riflessione
razionale. Oltre a questo livello psicologico vi è, nell’esistenza personale, anche la forza
e la presenza dello Spirito, l’azione preveniente e concomitante della Grazia, l’azione
della comunità cristiana, anche queste voci ed azioni diverse sono assai importanti da
riconoscere, comprendere, e valutare correttamente per cogliere gli appelli del Signore.
Per la vocazione religiosa poi le motivazioni di natura soprannaturale (il rapporto
personale con il Signore Gesù, lo stile di vita evangelico, la passione per il Regno,
l’amore sincero, gratuito e disinteressato per gli uomini da servire altruisticamente e
senza riserve nel mondo e nella chiesa) sono assolutamente indispensabili. E’ vero che
queste motivazioni si consolidano solo lentamente, e di solito nella fase della seconda
giovinezza (dopo i 24 anni) per cui è possibile che in un giovane in cammino convivano
insieme diversi tipi di motivazione, disomogenei quindi con un grave rischio di
discontinuità, instabilità, e soprattutto soggetti a varie forme di manipolazione. Un caso
tipico è dietro grandissime manifestazioni di devozione sperticata, l’annidarsi di una
pericolosa tendenza a sfuggire gli impegni diretti e coinvolgenti.
B.3.) FAVORIRE I PROCESSI DECISIONALI
E’ una delle caratteristiche dei giovani di oggi: la fatica a prendere decisioni. Non si trova in
giro molta propensione ad una fluida e libera capacità di operare decisioni, si tende
piuttosto ad andare avanti continuando a moltiplicare esperienze su esperienze, decidendo
di non decidere finché non sia la vita a (finalmente!) decidere per noi e al posto nostro.
Non si tratta di spingere e neppure di prendere decisioni al posto di ma forse di insegnare
dei metodi per giungere a delle decisioni sensate, e di addestrare a farlo su piccole
decisioni, sulle quali non si rischia l’osso del collo. Quindi * insegnare un metodo * farlo
applicare e vivere, almeno in modo didattico, per decisioni facili, su argomenti semplici, in
modo da esercitarli spesso al metodo. Far sperimentare che c’è più gioia in una decisione
presa che in una indecisione lasciata marcire nel cuore. Così può essere un buon
allenamento il proporre itinerari positivi di crescita in cui le buone ispirazioni, l’entusiasmo
nato da un ritiro, da un momento di grazia, da un evento nuovo possa essere canalizzato e
valorizzato in un autentico processo di crescita esistenziale. Possiamo dunque indicare e
responsabilizzare verso decisioni concrete in ordine ad alcune mete che debbono però
essere prima ampiamente condivise.
7 B.3.1.)Verso l’assunzione delle propria realtà. Questo significa semplicemente smettere di
dire : “se io avessi, se io fossi, se io potessi … allora sì che….”(atteggiamento di fuga,
evasione) come se la realtà personale fosse quasi invivibile e desiderabile fosse solo
l’altrove. Si tratta di far riconoscere la collera segreta che c’è verso Dio, il mondo, gli altri,
e riconciliati, ancorandosi alla propria realtà fare quel poco qui e ora, che, concretamente,
la Provvidenza mi mette in grado di fare.
B.3.2.) Verso la temperanza. Crescere verso la temperanza e nella temperanza significa
imparare, gradualmente dalla esigenza (bisogni imperiosi) alla preferenza (bisogni
dominati, controllati). I bisogni devono essere educati, vagliati, integrati. Uno stesso
bisogno può essere espresso con infantilismo (esigenza violenta, incapace di attendere,
intensità divorante) o anche con maturità che orienta, attende, integra. Mentre nella
concupiscenza il bisogno ha bisogno solo di essere soddisfatto senza altre valutazioni di
opportunità, la temperanza sa collocarlo all’interno di un quadro più ampio che vede la
necessità di rispettare ed integrare tutto l’humanum.
B.3.3.) Verso la fortezza. La fortezza è uno stato d’animo, un atteggiamento interiore, una
virtù temperamentale e morale che è fatta di grinta, fiducia, determinazione, coraggio. La
fortezza ha bisogno di abbeverarsi anche alla sorgente dell’ira, intesa nel suo senso positivo
e benevolo di lotta per il bene. Il profeta ha il coraggio di alzare altissima la sua voce in
favore del povero e dell’innocente perseguitato. Il contrario è la bassa rassegnazione, la
piattezza, il vile conformismo (che ci vuoi fare, il mondo è sempre andato così! Non te la
prendere, non c’è nulla da fare! Tanto chi altro c’è da mettere al suo poso?). La
rassegnazione è una palude dell’anima fatta di fuga dalle responsabilità, paura,
conformismo, viltà, individualismo, mancanza di spirito critico, magismo, rabbia contro il
Signore.
B.3.4.) Verso l’oltre. Il cristiano è l’uomo dell’oltre, è l’uomo che non si accontenta, che
anela alla santità, cioè ad una misura eccessiva, ed alta della vita. Guai a chi si accontenta,
a chi imposta una vita mediocre, minimalista nei suoi obiettivi, priva di slanci, piatta, già
tutta programmata.
B.3.5.) Verso un’immagine rasserenata di sé. E’ particolarmente necessario per chi ha una
bassa autostima, ed un’immagine negativa di sé, essa è come un forte freno a mano tirato
continuamente che blocca la capacità d’investire la propria mina d’oro, e trafficarla per il
Regno. Chi si sente inadeguato, poi lo diventa realmente, anche se invece non lo è. Aiutare
a scoprire le proprie qualità umane, intellettuali, psicologiche, morali, spirituali, ed a
valorizzarle, aiutarli a non prendersi esageratamente sul serio, a scherzare su di sé con un
pizzico di buon umore, è un grande servizio.
Questi cinque percorsi sono solo degli esempi, altri potrebbero essere aggiunti, che
riguardano dei campi utili per allenare la persona a prendere delle decisioni utili per la
crescita in modo sereno come un abitudine normale.
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C.) VERSO UNA DECISIONE ESISTENZIALE
C.1.) Scalette decisionali
Situarsi alla presenza di Dio, e rimanervi gustando il suo amore. Esperienza di fede, e di
amore riconoscente e sufficientemente stabile.
Esperienza profonda della riconciliazione con Dio, con sé e con i fratelli, il proprio
peccato è riconosciuto, assunto, perdonato mentre è in atto un cammino di
emendazione, riparazione, crescita, integrazione sempre rinnovato nelle varie fasi della
vita.
Far memoria delle tre fedeltà fondamentali: alla propria storia/proprio vissuto, alla
propria comunità/gruppo, alla propria ispirazione spirituale interiormente sentita e
vissuta.
Focalizzare le linee convergenti – divergenti : il tuo progetto di vita, finora dove ti
porta? Le richieste che ti vengono dalla realtà quali sono? Quali sono le tue ispirazioni
più insistenti?
Dove ci si trova oggi? * Si ha chiarezza in ciò che si vuole, ma non si è ancora detto di
sì… * ci si sente attratti da una scelta, ma c’è ancora una frequente alternanza di
pensieri e sentimenti * ci si sente tranquilli ed aperti un po’ a tutte le ipotesi e scelte.
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Nel primo caso: occorre forse aiutare a sciogliere gli ormeggi, con l’aiuto di Dio! Nel
secondo caso: accanto alla voce di Dio è ancora forte la voce dell’uomo, forse c’è una
motivazione mista ancora da verificare e purificare, forse occorre tornare nel deserto
per vedere dove sta l’azione di Dio e l’ispirazione solo umana. Nel terzo caso: le varie
ipotesi vanno gradualmente ridotte fino a lasciarne solo due aperte. Le due situazioni
vanno soppesate nei loro aspetti favorevoli e contrari.
Quale decisione rappresenta un aumento di amore, fecondità e generosità rispetto
all’oggi? Quali reazioni suscita nello spirito? La decisione alternativa invece cosa suscita
dentro la persona? Alla fine possiamo offrire la nostra decisione al Signore…
Così, schematicamente ho riassunto la scaletta di un processo decisionale, ma è chiaro che
quanto detto è molto insufficiente per chiarire il dinamismo di un discernimento vocazionale
che secondo il metodo ignaziano dovrebbe prevedere almeno quattro passaggi : * l’esperienza
dell’amore che, dopo il peccato, solleva,riconcilia e ricrea. E’ fondamentale l’esperienza di un
incontro col Signore che cambia la vita, una nuova creazione che rinnova i cuori. I mortificanti
sensi di colpevolezza sono superati e sciolti nell’incontro con l’amore. * la maturazione di un
atteggiamento di libertà spirituale (in termini ignaziani l’indifferenza), esperienza nella quale al
primo posto nel cuore rimane solo l’amore di Dio, mentre sono libero da ogni altra preferenza!
* La decisione di preferire ad ogni costo Gesù Cristo ad ogni altra attrattiva. L’adesione a Gesù
Cristo diviene l’anima stessa della nostra vita. * Il punto di arrivo è l’interiore ferma
determinazione a stare sempre dove il Signore Gesù è, condividendo con Lui le sue fatiche e le
sue gioie, scegliere pertanto quella vita che mi permette la maggiore conformazione possibile
alla sua vita.
Un ultimo punto per una decisione vocazionale sarebbe quello di verificare la presenza di una
coscienza persuasa (cfr. scheda allegata).
C.2.) Verso la terminazione dell’accompagnamento.
L’obiettivo dell’accompagnamento deve essere l’autonomia dell’accompagnato e non la totale e
continua dipendenza dall’accompagnatore. A volte questo deve avvenire abbastanza
velocemente perché veniamo messi di fronte a situazioni troppo impegnative per le nostre
capacità e competenze, è importante allora che l’accompagnatore sappia indirizzare verso altri
nominativi. Indirizzare ad altri è un’operazione piena di maturità e serietà professionale, ma
che va attuata con grande delicatezza: non è uno scaricare, od un rifiutare una difficoltà, ma
un modo per rispondere meglio alle loro fatiche.
Quando la persona è divenuta più autonoma nella gestione della propria vita, quando è più
orientata, più forte nell’affrontare le fatiche della vita, l’obiettivo è raggiunto e la relazione di
accompagnamento può avviare ad una sua conclusione. Questa separazione non è
umanamente diversa da tante altre situazioni di separazione, la separazione, il lutto, la perdita
fanno parte della vita. Certo ad ogni separazione il livello di sofferenza può essere molto alto.
Occorre imparare a separarsi in modo sano, senza sofferenze distruttive, con fiducia, speranza,
nella gioia per la benedizione ricevuta.
Se la separazione è inevitabile l’esperienza vissuta nel camminare insieme rimane come un
momento indelebile, colmo di grazia particolare, la gioia di quanto vissuto ci accompagna,
consola e rasserena.
D.) SCHEDA: LA COSCIENZA PERSUASA.
(a. Arvalli,. 07)
La coscienza persuasa (abbreviato: cp) è lo stato spirituale del credente che permette di fare
scelte concrete, di passare dalla teoria alla pratica, di entrare cioè nel momento più
direttamente applicativo. E’ il momento in cui matura nel credente quella certezza
sufficientemente convinta e stabile da permettere di dirsi interiormente: sì, sono persuaso, e
mi sento convinto che tutto nella mia vita mi porta a dire che il Signore da me e per me vuole
questo.
Avere una cp è qualcosa di più, e di diverso dal possedere un’idea nuova, o dal prendere una
decisione in modo volontaristico, impulsivo, od estetico - emozionale. La cp deriva al contrario
9 da una prudente ed attenta valutazione di ogni aspetto, e giunge al termine di un processo
completo di decisione che ha utilizzato vari strumenti, umani, spirituali, razionali, e di grazia.
La cp si fonda sul dato che il progetto di Dio sul mio conto passa per quella via che ora
concretamente sto scegliendo e facendo mia per sempre. Per questo la cp può nascere solo
nella preghiera, e nell’adorazione. Essa matura in un atteggiamento profondo in cui il credente
si è posto umilmente, creaturalmente, dinnanzi a Dio (è un’educazione che dovrebbe essere
avvenuta nella prima fase di accompagnamento): Signore cosa desideri da me? Come vuoi che
io viva l’alleanza con te, nella chiesa? Come ed in quale parte del popolo santo di Dio tu vuoi
che io cammini nel deserto della storia?
Si suppone che qui si siano già formati gli atteggiamenti di abbandono, di povertà, di
disponibilità piena al piano di Dio, e ci si sia impegnati in un serio lavoro per scoprire cosa fare.
Occorre sia nutrita la fiducia sempre rinnovata nell’immancabile risposta di Dio. Dio non lascia
inascoltata la voce dei suoi figli che lo implorano, e non trascura di rispondere con le sue luci.
D’altronde la grazia di Dio previene e non solo accompagna la ricerca dell’uomo. Accanto ed
insieme alla preghiera vi è ovviamente anche un’incessante attività di ricerca, giocata su di un
piano più razionale. Fides et ratio sono necessarie alla sua formazione.
Una cp non si forma automaticamente, non basta la mera presenza di alcuni segni. Come
sappiamo i segni sono sempre poveri, ed ambivalenti, soggetti ad interpretazioni diverse. Sono
solo vie di comunicazione, la chiarezza con cui una cp legge le situazioni, non è il risultato d’un
pensarci sopra , si può stare a pensarci intere giornate di ritiro e di esercizi spirituali senza fare
un passo nella linea di una maggiore chiarezza! D’altro canto la cp è distante anche da una
forza di volontà lanciata ad alta velocità. La cp è un tipo di convinzione interiore particolare e
nuova, capace di dare alla persona una risolutezza, ed un vigore inaspettato. Il risultato va ben
oltre il metodo, i mezzi e le vie di ricerca. La cp si forma attraverso diverse esperienze vissute,
lette, verificate, ed interpretate sia alla luce della fede, sia con mezzi razionali, (cioè le
mediazioni umane ed educative proporzionate).
Per intenderci non si può formare in me la cp che sono chiamato a sposarmi con Luisa se
dentro di me non sono cresciuti determinati parametri: convinzioni umane, religiose, valoriali,
esperienze affettive, sentimentali, emotive, relazionali, che intrecciano e collegano insieme
molti elementi sia emozionali – affettivi, che razionali e spirituali. Tutto ciò non avviene
miracolosamente o d’incanto, ma attraverso percorsi formativi. Accompagnare un credente dal
primo discernimento alla decisione vocazionale vuol dire anche farsi formatori d’una coscienza
persuasa più matura.
Quando alla vigilia di una scelta importante di vita un credente esclama : Io sento con
sicurezza che questa è davvero la strada che Dio ha tracciato per me! Cosa esprime? Come
viene usato il verbo sentire? C’è un sentire riferito ad emozioni transitorie, ad una spinta
emotiva, che dura poco tempo, ma c’è un modo di sentire ben più profondo, completo,
integrato, ed è quello che si verifica quando tutti gli aspetti principali della decisione sono stati
affrontati ed elaborati ed hanno trovato una strada, ed una modalità di risposta. All’interno di
una coscienza persuasa la forza di volontà diviene allora espressione matura d’una capacità di
oblazione e d’amore che diviene progressivamente la forza trainante di tutta la vita del
credente. Nella coscienza persuasa di un credente che giunge a prendere la massima decisione
della sua vita la luce della relazione con Dio si è unita profondamente, ben dentro alla persona,
al vissuto personale, alla sua capacità di valutazione critica, ed al suo desiderio, motivando
profondamente la decisione.