Proverbi, adagi, motti e detti milanesi
Transcript
Proverbi, adagi, motti e detti milanesi
1 Proverbi, adagi, motti e detti milanesi Fra le varie scartoffie che arricchiscono la mia biblioteca, ho rinvenuto un volumetto, ormai datato in cui sono elencati i modi dire, gli adagi e quant’altro, in vernacolo “meneghino”, per chi lo sapesse Meneghino è il diminutivo di Domenico, ed è la maschera tipica di Milano a cui si accompagna la sua Cecca (Francesca). Questa espressioni tipiche della città lombarda e dei suoi abitanti, almeno è da sperare che via sia ancora qualche milanese che sappia parlare in dialetto, cosa alquanto dubbia, proveremo ad esporle con buona pace di chi milanese non è, e con la speranza che trovino qualche buon diavolo che insegni loro il nostro dialetto e chissà che in mezzo a tutta quella mescolanza etnica in cui si trova ora la città ambrosiana, non salti fuori qualcuno di questi che parlino un po’ in milanese. E’ altrettanto vero che i dialetti sono un patrimonio culturale di tutte le regioni e di tutti i paesi, è altresì vero che con il progredire dei tempi, con le nuove scoperte scientifiche, con l’avanzamento industriale, con l’arte che si adegua alle novità, anche i dialetti si conformano a queste situazioni. Però ritengo più consono e più divertente riproporre questi motti e detti dialettali nella loro forma originale e inerenti alla Milano di un tempo, la cui composizione grammaticale risale al XIX secolo, un periodo storico fantastico, con personaggi più o meno illustri di grande valenza sia per Milano e la Lombardia, ma anche per l’Italia stessa. Dobbiamo obbligatoriamente rammentare che spesso l’accaduto cui si riferiscono questi adagi, spesso si perdono nella notte dei tempi e il risalire alle origine è impresa impossibile, sono le cosiddette tradizioni orali che si tramandano di generazione in generazione, resta allora una certa curiosità e talvolta si è anche stimolati per iniziare una ricerca. Proverbi, adagi, lettera – P – 2 Pacifich….. come ón trè lira. Qui l’Oceano Pacifico non c’entra per nulla. Invece risaliamo all’anno 1862, quando in virtù del percorso unitario nazionale, che in quell’anno vide un Italia unità per gran parte del suo territorio e perciò divenire Regno d’Italia, anche la moneta assunse un aspetto unitario con l’introduzione della Lira, quale valuta nazionale. L’espressione in oggetto nasce in tempi in cui gli stipendi pagati a lavoratori con mansioni di una certa caratura, impiegati, contabili, cassieri potevano arrivare addirittura anche a cento lire mensili! Quindi circa tre lire al giorno, e con quello stipendio la famiglia dello stipendiato poteva vivere con una certa tranquillità. Nacque allora questo simpatico detto ambrosiano, che può capitare di sentirlo ancora pronunciato da qualche buon ambrosiano di una certa età. Probabilmente se dovessimo convertire questo adadgio ai giorni nostri, dovremmo dire: “Pacifich…. come ón trècent euro….. al dì! “ o è forse troppo? 3 Pan poss. E’ risaputo che il pane dopo qualche giorno diventa raffermo, s’indurisce, non ha più la bontà di origine, però ci si guarda bene dal buttarlo via, gettare via del pane è un atto blasfemo, un’orrenda bestemmia, non per nulla sull’impasto che poi produrrà i vari tipi di pane, è apposto il segno di croce; anche se indurito si utilizza in magnifiche zuppe, oppure si fanno degli eccellenti, profumatissimi pancotti, insomma il pane è vita. Nonostante tutto, se una persona è abulica, non è per nulla reattiva, in poche parole è un pigrone incallito, questa persona è indicata come un “pan poss” proprio perché non ha in se quelle qualità del pane fresco, appena sfornato. Però ricordiamoci che se si tratta di pane, fresco o raffermo che sia, la “micchetta” è sempre qualche cosa di sacro. 4 Pan poss, vin brusch, lègna verda, fan l’economia d’ona cà. Questo motto è un complimento più che meritato per Milano e i milanesi, ed anche per i lombardi in generale. L’economia di una famiglia si basa essenzialmente su dei sacrifici, grandi e piccoli, il nucleo famigliare che ha come principi lavorare e il comportarsi in modo onesto, non abbattersi se nella vita vi sono momenti sfortunati, avere sempre una coscienza che non cede alle facili tentazioni di guadagni dubbi, amare i propri cari, riconoscere sinceramente eventuali errori commessi, e ancor più lealmente chiedere scusa, sono queste le cose che fin dai tempi più antichi hanno formato il patrimonio genetico della gente ambrosiano, e ripetiamo, della gente lombarda, naturalmente la perfezione non esiste e le mele marce ci furono, ci sono e ci saranno, l’importante è sbatterle fuori dal contesto ambrosiano-lombardo. Sono tre i simboli che determinano tutto ciò che si è scritto; il pane, anche se raffermo va sempre rispettato e comunque si può utilizzare alla mensa famigliare; il vino, anche se aspro, brusco, non va disdegnato e la legna verde anche se ha più difficoltà nel bruciare e quindi sia a riscaldare la casa e sia a vivificare un fuoco per cuocere il pasto quotidiano, tutto ciò fu comunque accettato e spinse la popolazione a fare sempre di più e meglio. 5 Parla come te manget. Questo è uno sbrigativo e caustico invito a coloro i quali quando iniziano a parlare, fanno sfoggio di frasi e parole ricercatissime, assumendo atteggiamenti da laureati in varie discipline, proprio per far colpo sugli ascoltatori, fra i quali, anche se sprovveduti su certi argomenti, sono però persone di buon senso e capiscono che il loro intrattenitore è solamente un pallone gonfiato che ciò che dice non è altro che una mera ripetizione di qualche cosa imparato a memoria, oggigiorno diremmo che è uno stucchevole “bla-bla-bla”. Perciò, è più che naturale dire all’intrattenitori, di non fare il furbo, sanno tutti chi è, perciò: “Ma parla come te manget!” magari aggiungendo anche un “pistola”, che non è l’arma. 6 Pass de padron de cà. Per questo motto dobbiamo ritornare nell’ottocento o ai primissimi anni del ‘900, quando a Milano circolavano le carrozze a cavalli appartenenti a privati, perciò a persone più che agiate; permettersi carrozza con cocchiere, oltre ad altro personale di casa, era certamente indice di florida prosperità. Fra questi ricchi si annoveravano i proprietari di case: i “padron de cà”, ecco che la bonaria satira milanese ha inventato questo modo di dire per indicare una persona benestante, riferendosi al passo regolare del cavallo che trainava la carrozza; potrebbe capitare di sentire pronunciare questo detto, ancora oggi, ma solamente da parte di qualche milanese che a sua volta l’ha sentito in famiglia. 7 Pela-brocch. Sul significato di questo adagio si possono trovare origini controverse: nel dialetto di parecchio tempo addietro i “brocch” erano gli alberi, infatti, a primavera c’era il detto “I brocch comincien a diventà verd” (gli alberi cominciano a inverdire); ma la parola in questione indicava anche delle frasche, della ramaglia, inoltre era, il pela-brocch, anche un mestiere alquanto umile, lo svolgeva un bracciante che doveva sfrondare i gelsi, le cui foglie servivano poi quale nutrimento per i bachi da seta, era un mestiere occasionale, svolto proprio da chi aveva assoluto bisogno di mettere qualche cosa sotto i denti, ecco che allora questo “pela-brocch”, sta a indicare una persona di poco conto, misera, con capacità lavorative modestissime. Anche un cavallo ormai anziano e anche un po’ malandato è definito un “brocco-brocch”. Il detto è diventato poi di uso comune, ancora oggi, per indicare persone mediocri o addirittura scadenti operanti in qualsiasi campo. 8 Pell de Gigio. Non si tratta di qualche persona che si chiama Gigio, che può essere il diminutivo di un qualche nome proprio, come Luigi o Luigino, è si un nome ma che si dava agli asini, i quali sono il simbolo della pazienza, dell’ostinata volontà ed anche della tacita sofferenza, sono stati presi, e crediamo a torto, quale esempio di mediocre intelligenza, invece l’adagio in questione tratta della pelle dell’asino, che è dura, scorbutica da trattare, quando l’animale moriva dato che in campagna tutto si utilizzava, la pelle pur servendo in qualche cosa era difficile da trattare. Quindi questo modo di dire divenne tipico per indicare una persona, non troppo malleabile, anzi, un poco di buono, da cui è meglio girare al largo. Ricordiamo però, che questa umile bestia assieme al bue, assistette e diede calore a un certo Gesù, proprio per testimoniare come l’umiltà è una delle qualità più ricche di cui il genere umano è dotato, e di cui spesso, perfidamente, volutamente se ne dimentica. 9 Pimpin cavallin….. Sott al pèe del taôlin, pan poss, pan fresch, induvina che l’è quest! Chissà se questo gioco di parole è ancora in uso; crediamo proprio di no. Era un giochetto per tirare a sorte a chi toccava andare “sotto” fra bambini nel gioco del nascondino, oppure il papà o la mamma, o qualche parente nascondeva nel pugno della mano una caramella e poi mostrando a ragazzino i due pugni iniziava la conta, saltellando con il dito da un pugno all’altro, è pero risaputo che anche qualche adulto in caso di dubbio, non sapendo cosa fare o scegliere, sia ricorso al pimpin cavallin… e magari ha fatto fortuna. 10 Pinoll de cusinna e decott de cantinna. Questo è l’antico rimedio per combattere i postumi dell’influenza. I “pinoll de cusinna” sarebbero le pillole, ma non le medicinali, ma del cibo genuino, addirittura certi anziani intendevano preparare delle buone galline, mentre il “decott de cantinna”, è ovvio che s’intende “tirare il collo” a qualche buona bottiglia di rosso. Carissime amiche ed amici, il sottoscritto è più che d’accordo su questo rimedio, al punto da inneggiare a “Sciora influenza” e come diceva un vecchio meneghino “Ona malattia vèggia che g’han daa el nomm noeuv de influenza”.