gratis i primi 8 capitoli scarica e leggi

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gratis i primi 8 capitoli scarica e leggi
INFERORUM GEMMAE SAGA
I LIBRO
DIAM A N T E
NERO
F. V A N E S S A A R C A D I PA N E
Copyright © 2016
by F. Vanessa Arcadipane
Art Direction & Cover Design a cura di
Ignazio Z. Arcadipane | www.xino.info
ISBN 979-12-200-0868-6
Foto @ 123rf.com
# 33095633 © Alexsandr Buts | # 8409100 © Sergii Telesh
# 6566673 © Vladimir Liverts | # 7924781 © Sergii Popov
# 7747416 © pzromashka
Questo libro è un’opera di fantasia.
Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto
dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in maniera fittizia.
Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone, reali, viventi o
defunte è del tutto casuale.
Anno di pubblicazione: 2016
Autopubblicazione
Stampato in Italia dalla Mediagraf S.p.A
Capitolo 1
S
ono le 08:20 e le lezioni stanno quasi per
­iniziare, corro in corridoio a prendere i libri.
Il mio nome è Lilith, ho diciassette anni e frequento il
collegio Rovoscuro dove ­inoltre abito. La struttura infatti
offre vitto e alloggio a tutti gli ­studenti che non hanno
voglia ogni mattina di partire dalla città per arrivare in
un posto sperduto come questo.
Per quanto riguarda me, beh... questa è stata
da ­sempre la mia unica casa; avevo poche ore di vita
­quando mi hanno ­abbandonata ai piedi del grande e
­freddo cancello e il direttore Rovoscuro mi prese con sé
crescendomi come una figlia. Nonostante la posizione isolata
il collegio ­vanta di un’ottima reputazione e ospita i figli
più brillanti delle ­famiglie ­altolocate del territorio.
Vi sono dormitori maschili e femminili in due edifici
­posti alle spalle della ­struttura ­centrale più grande, dove
si trovano le aule, la mensa e, nei piani superiori, l’ufficio
e la residenza del ­direttore. ­Passeggio lungo gli ampi
corridoi con la mia migliore ­amica ­nonché compagna
di stanza Azura, quando sentiamo una grande c­ onfusione.
La protagonista è sempre lei: Eva, la ­classica ­reginetta
oca, bellissima, popolare ed estremamente ­egocentrica.
Scuote i suoi lunghi e voluminosi capelli color dell’oro
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spostandone qualche ciocca dall’ovale perfetto del suo
viso. “Di bella è bella” penso all’istante, “ma è tanto bella
quanto stronza” affermo riflettendoci.
Parla di un misterioso nuovo arrivato; eccola là, ci
risiamo! Questa notizia è melodia per le sue orecchie, un
altro ­suddito per il regno Eva. Quante povere vittime
erano riuscite a ­mietere quegl’occhi color del mare,
quanti ­morti annegati in quei pozzi senza fondo.
Non conta il sesso, gli ideali, la religione o lo stile di vita;
ogni nuovo ­arrivato, fin da quando era una bambina,
cade nelle sue grinfie, intrappolato nei suoi fili che
crudele muove a suo vantaggio e piacimento, sempre.
Si parla di un ragazzo di diciannove anni... eh, ma così
è troppo facile! Se con le ragazze il fascino di Eva poteva
­rarissime volte ­trovare qualche difficoltà, con i ragazzi la
strada era spianata; chi poteva dire di no ad una come lei?
Suona la campanella e tutti ci dirigiamo verso le
­nostre aule dove stanno per iniziare le lezioni. Mi siedo
allo stesso posto di sempre: terza fila tra Azura e Daniel.
La ­cattedra, sulla quale vi è già poggiato il professore, è al
centro dell’aula; i banchi sono disposti a scala così da poter
tenere sotto ­controllo ­anche quelli dell’ultima fila.
«Forza ragazzi prendete posto e fate silenzio!» urla
il professore. «Il nuovo anno scolastico è iniziato da qualche
giorno, ma c’è una novità per tutti voi. Prego, entra pure...»
afferma, facendo un gesto verso la porta socchiusa.
Tutti gli occhi della classe allora si concentrano su di
essa, colmi di curiosità per la figura che la sta varcando.
Il passo è ­sicuro e fluido, quasi felino, la figura alta e snella,
ma allo stesso tempo possente; porta dei jeans chiari stretti
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in punti da fare arrossire, una felpa nera con cappuccio che
­delinea il petto di roccia e uno zaino sulla spalla. Si avvia
verso la ­cattedra sicuro di sé non degnandoci di uno sguardo
e ­fermandosi proprio accanto al professore.
«Ragazzi questo è Lucio, sarà il vostro nuovo compagno
da oggi. È un po’ più grande di voi perché ha vissuto all’estero».
In quel momento il ragazzo alza finalmente il viso verso di
noi non badando più al professore. «Mi raccomando dategli
una ­buona accoglienza».
Il nulla. Di colpo la classe viene avvolta da un ­
insolito silenzio tombale; non una parola, non un ­
cenno, non un sospiro; tutti immobili a contemplare
ciò che ­abbiamo di fronte agli occhi. Il suo viso: marmo
di Carrara scolpito dalle mani del più abile degli artisti;
gli occhi ­glaciali, pericolosi, ­cristallini e limpidi come
il ­ghiaccio, ­avrebbero paralizzato ­chiunque all’istante
come il più dolce dei veleni, messi ­ancora più in risalto
dalla sua carnagione leggermente più scura del solito,
come costantemente baciata dal sole. L’espressione fiera,
orgogliosa, sicura di sé e quasi maligna è contornata
da arruffati e morbidi capelli ebano.
Improvvisamente, durante l’imbarazzante silenzio,
le sue rosee e carnose labbra si aprono in un affascinante
sorriso lasciandoci tutti senza fiato, illuminandoci. Lui non
è ­umano, gli umani non possiedono quei sorrisi; credo sia
questo il pensiero che attanaglia tutti adesso.
«Piacere di conoscervi, spero di trovarmi bene con tutti voi»
la voce è melodiosa e graffiante e le parole appena scandite,
­uscite dalle sue labbra, sembrano quasi morbido velluto.
«Oh... il piacere è tutto nostro».
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Eva! Eccola, già pronta sulla preda, vedo le sue bave
scendere dal banco.
«Molto bene Lucio, trovati un posto così iniziamo la
lezione».
Così si avvia con calma verso i gradini con un
­sorrisetto ­stampato in faccia. Più vicino a noi la sua
­espressione cambia, si fa seria, alza lentamente il viso
nella mia direzione e mi inchioda con lo sguardo. ­
Rabbrividisco. Perché sta guardando proprio me?
O almeno io credo che stia guardando me. Andiamo Lilith
non essere sciocca! Non farti strane idee, perché dovrebbe
guardare te? Insomma... non ti conosce nemmeno, perché tra
ventisei persone della tua classe dovrebbe fissare così
insistentemente proprio te? Eppure provo una strana
sensazione di fronte a quello sguardo così tagliente, lo ­sento
quasi entrarmi nell’anima, così abbasso subito gli occhi
interrompendo il contatto, sentendomi quasi soffocare.
Lui continua ad avanzare fino ad arrivare alla mia fila,
la ­supera e infine si siede proprio alle mie spalle. Di ­nuovo...
provo una sensazione di profondo fastidio, che dico...
non è fastidio. Non poterlo tenere sott’occhio sapendo che
si trova dietro di me mi innervosisce. Già, non è fastidio;
­stranamente quello che provo è paura.
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Capitolo 2
L
e lezioni sono appena finite e con i miei libri
mi dirigo ­verso gli armadietti. Penso ancora alle
strane sensazioni ­provate con l’arrivo del nuovo compagno,
di Lucio. ­­Lo vedo in ­lontananza sembra già aver fatto
numerose ­amicizie, ­probabilmente molte più di quelle che
abbia mai fatto io in tutti questi anni.
«Lucio è veramente carino non credi? Non si parla d’altro
ormai in tutto il collegio, anche nelle altri classi».
«Ti prego Azura, non ti ci mettere pure tu adesso».
«Andiamo Lilith, so che lo pensi anche tu, ho visto come vi
siete guardati oggi in classe».
«Cosa? L’hai notato anche tu? Credevo fosse stato solo
frutto della mia fantasia».
«Frutto della tua fantasia? Ma non farmi ridere. Insomma,
­perché sei sempre così insicura di te Lilith? L’abbiamo notato
tutti in classe».
Già, la mia insicurezza; ci convivo da quando sono
nata credo o almeno da quanto riesco a ricordare. Tutto ciò
che mi riguarda, tutto ciò che mi rappresenta, ho sempre
l’impressione che non sia abbastanza, che non sia al livello
degli altri. Non che io sia una brutta ragazza, non mi sono
mai considerata tale, mi considero, beh... mediocre, ­normale,
nulla di speciale. Nonostante ciò ho sempre riscontrato un
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notevole successo con l’altro sesso anche se ­personalmente
non mi sono mai interessata a nessuno in particolare;
tranne David, certo. Era un ragazzo più grande che andava
nella classe accanto alla mia, davvero di bell’aspetto ma
­conosciuto per il suo spirito libero e per la sua grande
passione nel sedurre numerose belle ragazze; ho creduto
di poterlo cambiare, così non è stato e ne sono rimasta
bruciata. Ho dato a lui il mio primo bacio e la sera stessa
è nato il litigio che ci portò quasi ad odiarci a vicenda:
quando mi disse chiaro in faccia che per lui quel bacio
non contava ­assolutamente niente. ­Da ­ragazzina
innamorata reagii male. Fortunatamente per me questa
è ormai una vecchia storia.
Apro l’armadietto ancora immersa nei miei pensieri e
mi trovo di fronte lo specchio che ho sistemato all’inizio
­della scuola. I miei occhi color cioccolato sono contornati
da una linea nera irregolare, ho la matita sbavata come al
solito; la sistemo con le dita sfumandola un po’ e sistemo
alcune ­ciocche ribelli dei miei scuri e lunghi capelli lisci
naturali, così scontati, così ovvi, li odio. Le mie labbra sono
carnose al punto giusto e dotate in natura di un colore
piuttosto acceso, probabilmente poiché in contrasto con la
mia carnagione chiarissima come il latte, quasi come se non
avessi mai visto un giorno di sole in vita mia. Poso i libri
sbuffando e infine chiudo l’armadietto.
«Lilith, mi stai ascoltando? Secondo me tu gli piaci dovresti
presentarti, in fondo è lui il nuovo arrivato».
«Ma sei ­impazzita Azura? Non mi sembra affatto un tipo
timido, se avessi ragione sarebbe già venuto a presentarsi da solo
proprio come ha fatto con gli altri».
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Durante il dialogo, vengo stranamente colpita da
una lieve fitta al petto, così, seguendo il mio istinto, mi
giro per controllare alle mie spalle restando subito di sasso.
Eccolo là, proprio lui, in fondo al corridoio poggiato sugli
armadietti, con le braccia incrociate sul solido petto e il viso
rivolto dalla mia direzione, e io non riesco più a muovermi.
Non sorride, non fa un cenno ma rimane ­immobile come se
mi stesse studiando con attenzione.
«Lilith, ti sta fissando di nuovo» sussurra Azura
«vai da lui».
Non riesco nemmeno a risponderle, solo una frase
­rimbomba nella mia testa: ‘’Scappa! Stai lontano da lui!’’.
Perché? ­Perché dovrei scappare?
«Lilith, sta venendo lui» dice Azura ­emozionata.
Ogni passo nella mia direzione è un tonfo allo stomaco,
più si avvicina più la brutta sensazione cresce e non posso
far altro che rimanere immobile. Lui è ormai di fronte me,
ma decide di fermarsi ad una certa distanza.
«Ciao ragazze» saluta con disinvoltura.
«Ciao» ­rispondiamo in coro.
«Voi siete mie compagne di classe, vero?» domanda ­pacato
guardando Azura al mio fianco.
«Esatto, siamo sedute ­proprio davanti a te» ribatte la mia
amica sorridendo.
Lui si volta lentamente nella mia direzione e mi
falcia con il suo sguardo glaciale, senza dire una parola, così
da trovarci in un silenzio a dir poco imbarazzante.
«Io mi chiamo Azura e lei è Lilith» riprende la mia amica
dandomi una gomitata per esortarmi a spiccicare qualche
parola. Niente da fare.
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«Silenziosa la tua amica» esclama di punto in bianco.
«Ti assicuro che solitamente è una gran chiacchierona ma
oggi sta poco bene» giustifica Azura sorridendo nervosamente.
«Lilith eh? Proprio un bel nome. Mi auguro che tu conosca
le sue origini» afferma sicuro, per poi distogliere lo sguardo
dal mio facendomi sentire subito libera.
«Ci vediamo presto, è stato un vero piacere conoscervi»
termina dandoci le spalle allontanandosi con un cenno,
lasciandoci lì ad osservarlo in silenzio per una buona
manciata di secondi.
«Ma si può sapere che ti prende?» strilla nervosa Azura
guardandomi. «Hai fatto la figura della stupida, te ne
rendi conto?»
«Certo che me ne rendo conto accidenti, ma non posso farci
­niente. Non appena lui mi sta vicino io... ecco... non so come
­spiegartelo, mi sento strana; inoltre ho notato che in un ­qualche
modo è come se riuscissi a percepire la sua presenza. Azura,
­dobbiamo stare lontane da lui è pericoloso, lo so!»
«Ma cosa stai farneticando? Se non lo conosci nemmeno».
«Si ma... ti assicuro che lui non è un ragazzo come tutti gli
altri, lui è diverso; credimi».
«Che vuoi dire? E soprattutto come faresti tu a saperlo?»
chiede la mia amica scettica.
«Lo so e basta. Ascoltami ti prego, stagli il più lontano
­possibile!» continuo scuotendola per le spalle.
«Lilith, mi metti paura quando fai così, sembra che ti
manchi qualche rotella» afferma lei liberandosi dalla mia
stretta «io credo dovresti riposare un po’ non mi sembri in gran
forma oggi. Ti rendi conto di quello che stai dicendo, vero?»
E se avesse ragione? Forse il mio è solo nervosismo, forse
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non riesco davvero a stare di fronte ad un ragazzo così carino,
probabilmente sono io il vero problema e non lui.
«Magari hai ragione» affermo calmandomi abbassando
il viso «torno in stanza, vado un po’ a riposare» avviso infine
facendole un cenno prima di allontanarmi.
Così inizio a dirigermi verso i dormitori femminili;
c’è un po’ di strada da fare prima di arrivare, ma non mi è
mai dispiaciuto farla, in fondo è solo una breve passeggiata.
Inoltre adoro questo sentiero contornato da splendidi alberi
di ­mandorlo, pesco e ciliegio che riempiono l’aria con i loro
dolci profumi.
Arrivata a destinazione entro nell’edificio e inizio a
dirigermi verso la mia stanza; davanti la porta però trovo ad
aspettarmi lei: Eva. Che ci fa qui? Non ci parliamo da anni
ormai. Anche lei era solo una bambina quando fu portata
in ­questo posto; non è orfana, non è una trovatella come
me, ma i suoi genitori viaggiano così tanto a causa del loro
lavoro da non potersi dedicare a lei. Ho sempre ­pensato
che la sua ­situazione fosse ancora più triste della mia.
­Eravamo molto legate un tempo, quasi come sorelle. Poi...
non so di preciso cosa sia scattato in lei, ma tutto cambiò
drasticamente e non andammo più d’accordo, anzi, ­ormai
ho la netta sensazione che lei mi odi profondamente
chissà per quale strano motivo.
«Ti stavo aspettando Lilith» sbotta velenosa.
«Cosa vuoi?» rispondo a tono.
«Oggi ti ho vista in corridoio e anche stamattina in classe».
«Frequento questa scuola proprio come te, credo sia
normale i­ncontrarmi».
«Sai benissimo a cosa mi riferisco!»
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«No... ti assicuro che non so di cosa tu stia parlando, Eva».
«Parlo di Lucio! Ho visto come lo guardi. Mi dispiace
Lilith, ma lui non è una persona adatta a te».
«Beh... questo non puoi essere tu a dirlo» e non so
­nemmeno io perché ho risposto così, in fondo non nutro
alcun interesse nei confronti di quel ragazzo, anzi, ho appena
detto ad Azura di volergli stare il più lontano possibile.
Eva si fa una risatella maligna. «Davvero credi che
uno come lui possa avere interessi per una come te? Lui è un­
vincente e si sa che i vincenti scelgono i loro simili; a meno che
non abbiano secondi fini».
Eccola la verità, spietata verità.
«Pensala come vuoi» provo ad entrare nella mia
stanza, ma lei mi blocca subito con un braccio.
«Carina, non sto scherzando; Lucio è roba mia quindi se
non vuoi finire nei guai stagli alla larga, non me ne frega niente
che sei la figlia del direttore».
«Se pensi davvero che uno come lui non possa mai ­
interessarsi ad una come me, perché perdi il tuo tempo con le
minacce?» ribatto sicura di me.
Risponde solo con una smorfia lasciandomi andare.
«Io ti ho avvisata» termina così, voltandomi le spalle
­andandosene e lasciandomi lì ad osservarla.
Entro in stanza sbuffando e mi butto subito sul letto
ad ­osservare il soffitto; è semplicemente assurdo, una singola
­persona può davvero provocare tutto questo? All’improvviso
mi ritornano in mente le sue parole: ­“Lilith eh? ­Proprio
un bel nome. Mi auguro che tu conosca le sue ­origini”.­
Certo che conosco le origini del mio nome, ma per dettagli
più ­approfonditi mi alzo e prendo il pc. ­Ritorno sul letto
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i­ncrociando le gambe e apro Google digitando “Lilith”; ciò
che compare era quello che già sapevo:
“Per gli antichi ebrei ­Lilith era la prima moglie di ­Adamo
(quindi ­precedente ad Eva), che fu ripudiata e cacciata via
perché si rifiutò di obbedire al marito. Nell’immaginario
popolare ebraico è ­temuta come demone notturno, ma alla
fine dell’Ottocento, in parallelo alla crescente emancipazione
femminile nel mondo occidentale, la figura di Lilith diventa
il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile e,
rivalutata nelle religioni neopagane, viene posta a fianco di
simboli come quello della Grande Madre”.
Il mio nome è stato l’unico ­indizio che, probabilmente
mia madre, ha lasciato insieme a me quella fredda notte
di ­diciassette anni fa. Chissà ­perché ­Lucio si è ­impuntato
­proprio su ­questo e chissà lui come fa a ­conoscerlo.
Ah... buffo: Lilith ed Eva, le prime donne che ­furono ­create.
Non mi ­reputo una tipa religiosa, anzi direi che non lo
sono affatto, mi ­viene ­difficile infatti ­credere a queste ­storie,
le vedo più come favolette ­raccontate ai ­bambini per
­spiegare ­qualcosa di ­incomprensibile ­attraverso metafore o­
similitudini. La porta della mia stanza si spalanca, è Azura.
Nei suoi occhi felini color ambra, quasi gialli, leggo una
strana espressione.
«Cosa è successo?» chiedo incuriosita.
«Sai Eva con chi esce stasera? Con Lucio».
«E allora? Scommetto che è stata lei stessa ad invitarlo».
«Già... lo avrei pensato anch’io se non lo avessi appena
visto con i miei occhi. È stato lui ad invitarla fuori. Dovresti
­vederla, è in corridoio a vantarsi con tutti. Dio quanto odio
quella ­sgualdrina!»
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«Io me la sono trovata davanti la stanza».
«Cosa? E non dici nulla? Che voleva da te?»
«Niente di che, che stessi lontano da Lucio».
«Cosa? Lo sapevo, ho sempre saputo che lei in realtà ti
teme e questa ne è la prova. Ah, vedrai che quel povero ragazzo
­quando capirà di che pasta è fatta farà subito dietro front».
«Credimi a me sembra tutto tranne che un povero ragazzo».
«Non ti sta molto simpatico, vero?»
Non so rispondere così rimango in silenzio. Azura
capisce e non chiede più nulla. La adoro anche per ­questo,
ormai mi conosce così bene da sapere alla perfezione
quando è il ­momento di non fare più domande. Anche
per questo le vorrò sempre bene, anche per questo la terrò
sempre al mio fianco a qualsiasi costo, per il resto della vita.
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Capitolo 3
È
già notte. In fondo alla stanza sento Azura
ronfare beatamente sotto le sue calde lenzuola,
mentre io non ­riesco a chiudere occhio come ogni notte
da un po’ di tempo. Mi giro e mi rigiro nel letto, tengo
gli occhi chiusi ma non c’è niente da fare; sbuffo.
Allungo la mano verso il ­comodino e prendo il mio cellulare
per rendermi conto dell’ora, sono le 02:47 del mattino,
un po’ ­tardino ­considerando che domani dovrò andare
a lezione. Penso subito alla possibilità di ­alzarmi, se mi
facessi un giro sicuramente mi verrebbe sonno, lo ­faccio
quasi ogni notte ormai. Prendo un respiro ­profondo e ­
decido di scendere dal letto. Cercando di fare il meno ­
rumore possibile indosso il ­cappotto, le scarpe ed infine
mi dirigo verso la porta.
«Lilith? Dove vai?» chiede la mia amica con voce rauca.
«Azura, tranquilla, dormi almeno tu che ne sei in g­ rado».
«Non riesci ancora a chiudere occhio?»
«No».
«Stai attenta e non farti beccare, sai che non potremmo
uscire la notte da sole» sussurra appena per poi tornare ad
avvolgersi nelle sue coperte girandosi dall’altra parte.
«Va bene» sorrido ­osservandola per poi chiudere la porta
alle mie spalle.
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Certo, so che non si potrebbe uscire dai dormitori la
notte senza un compagno, ma cosa potrebbe mai accadere
in un posto tranquillo come questo? Non mi sono mai posta
­grandi problemi, inoltre chi mai mi accompagnerebbe per
una passeggiata notturna? Avanzo tra i corridoi del collegio
bui e silenziosi e in un lampo sono già fuori. Mi godo la
freschezza dell’aria prendendo un respiro ­profondo e mi
avvio lungo il sentiero che porta all’entrata di un bosco
che si estende per chilometri e chilometri. È ­sempre stato
il mio posto preferito quello: un piccolo angolo di paradiso
­selvaggio con la sicurezza degli edifici abitati vicino.
Una volta arrivata a destinazione mi siedo ai piedi di
un ­grosso pino e poggio la testa alzandola al cielo per
­osservare le stelle. È davvero una nottata stupenda, tanto
da rimanerne ­incantata. D’improvviso vengo colpita da
una strana ­iridescenza alla mia destra che mi invita a
voltarmi dalla sua direzione; stringo gli occhi provando
a capire di cosa si tratti e la riconosco: una lucciola!
Sorrido e quasi come una ­bambina mi ­avvicino a questa
per osservarla meglio.
La ­luminosa ­creaturina inizia però ad addentrarsi
­nel bosco, così mi blocco. Non è consigliabile entrare
da sola di notte in un posto come questo. In fondo però...
cosa potrebbe mai ­accadermi? Alla fine è lo stesso luogo
in cui passo metà delle mie giornate con Azura, non mi
allontanerò troppo. Decido di inseguire la lucciola
ancora per un po’, fino a quando di fronte agli occhi mi
si para uno scenario fiabesco.
Rimango incantata: le lucciole sono così tante da ­
illuminare tutto ciò che mi circonda, un fiumiciattolo scorre
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t­ ranquillo accarezzando delicatamente ma con costanza
i bianchi e ­lucidi sassi perlacei, l’odore di pino e resina è
così intenso da invadere subito le mie narici ­spingendomi a
chiudere gli occhi per assaporare meglio le sensazioni.
Ad un tratto però sento qualcosa, un fruscìo ­lontano;
apro gli occhi e guardo in quella direzione, ma è inutile,
c’è ­troppo buio. Il rumore si fa ­sempre più ­intenso, lo
­sento proprio di fronte a me dopo pochissimi ­secondi. Da
quell’ombra scura avverto un ringhio ­minaccioso, così
mi ­abbasso ­lentamente e raccolgo un grosso ­pezzo di
­legno che mi ritrovo ai piedi. Capisco all’istante: un lupo!
Accidenti, mio padre non scherzava ­quando diceva di
avvistarne qualcuno ogni ­tanto. “Non sono pericolosi” ­diceva
“non escono mai dal loro ­territorio”, ecco... ma sono io ad
essere entrata nel loro adesso. Indietreggio lentamente non
staccando gli occhi dal c­ espuglio di fronte a me.
Lo sento avanzare, esce allo ­scoperto e finalmente lo
vedo. È ancora più minaccioso di quanto ­immaginassi:
le orecchie sono abbassate, i muscoli tesi e mostra le zanne
con grande ferocia. Ecco, sapevo che sarei morta per un
motivo stupido: per una lucciola... no, ancora peggio, per
una camomilla. Se invece di uscire avessi pensato semplicemente ad un infuso che mi tranquillizzasse come la ­maggior
parte delle persone sane di mente, ­adesso non sarei qui.
­Sembra buffo eppure una camomilla mi ­avrebbe salvato
la vita. Il lupo è pronto all’attacco, stringo bene il pezzo di
legno e chiudo gli occhi d’istinto parandomi il viso ­
vedendolo sempre più vicino. È finita, penso, avrò una morte
atroce e dolorosa.
Passano i secondi, ne passano altri ma non succede
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nulla, non sento più niente. Riapro gli occhi e l’animale
di fronte a me non è più in posizione di attacco ma quasi
di ­sottomissione. Abbassa la testa, guaisce, indietreggia ed
infine, con la coda tra le zampe, se ne va rientrando nel fitto
bosco. Rimango immobile per qualche secondo con il cuore
ancora in gola, sorpresa dalla scena appena vista.
«Che diamine stai facendo?»
Mi volto di scatto spaventata a morte cercando di ­capire
a chi appartiene la voce, provando a distinguere i ­lineamenti
del viso nascosti però dall’oscurità. L’ombra si sposta e si
­espone ai raggi lunari quasi come se avesse capito.
«Lucio... sei tu... cavolo mi hai spaventata» affermo
­vedendomelo di fronte.
«Allora parli!» esclama subito. Non posso fare a meno
di lanciargli un’occhiataccia e lui sembra quasi ­accorgersene
anche se non si vede niente.
«Che ci fai nel bosco da sola? Dovresti sapere meglio di tutti
che non è permesso».
«Potrei chiedere la stessa cosa a te».
«Io so difendermi da solo, tu no».
«E tu che ne sai?» rispondo stizzita.
«Giusto... ho visto come ti sei difesa bene con quel lupo».
Già... il lupo. Rimango in silenzio per qualche secondo
­riflettendo. Che sia stata una coincidenza?
«Non aveva intenzione di attaccarmi, infatti è fuggito»
­rispondo infine acida.
«Cosa, fuggito?» comincia a ridacchiare. «Credi ­davvero
che quell’animale non ti stesse attaccando? Magari pensi
pure che sia stato merito tuo se si è bloccato, perché ha avuto
paura di te».
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«Allora magari è di te che ha avuto paura» ribatto.­
Lui sussulta bloccandosi, perdendo di colpo il s­ orriso.
«Non dire sciocchezze» sussurra infine.
«A me non ­sembrano sciocchezze, deve pur ­esserci una
­spiegazione» continuo. È ­normale che ­sapessi che quel lupo
mi avrebbe attaccata all’istante, ma perché è fuggito proprio
quando è arrivato lui? Cosa lo ha spaventato?
Lucio abbassa il viso aprendosi in un sorriso ­silenzioso,
­quasi in sintonia con quello della notte, e mi ­chiedo chi è
mai riuscito a creare una creatura così b­ ella.
«Sei più furba di quello che vuoi far credere. Ammetto
che sei una tipa interessante» afferma infine con voce calda.
Avverto il viso avvamparsi «Perché il lupo è scappato alla tua
vista?» domando avvicinandomi come se non avessi sentito.
«Stammi lontana» risponde però lui deciso.
«Che c’è? Ti faccio forse paura?»
Ritorna a sorridere.
«Pensaci bene, vuoi davvero avvicinarti a me?»
E in quel ­preciso istante mi blocco. È a qualche metro
di distanza, la luce della luna illumina solo una parte del
suo viso ­colorandolo d’argento, l’unico occhio visibile ­brilla
come un faro bianco nell’oscurità della notte e io vengo
­colpita ancora una volta da quel lieve dolore al ­petto... paura.
Indietreggio. Lucio mi guarda per un ­millesimo di ­secondo
senza dire una parola per poi darmi le spalle facendosi
­inghiottire dall’oscurità che ci circonda.
«Chi sei?» urlo.
«In realtà, Lilith, la vera domanda non è chi sono io, ma
chi sei tu» sono le ultime parole che sento, prima di non
percepire nemmeno i suoi passi.
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Capitolo 4
S
ono arrivata in stanza minimo alle 04:30 e come
se non bastasse non ho chiuso occhio pensando a
ciò che è successo nel bosco. Ho deciso, afferrerò il toro per
le corna, oggi ­prenderò Lucio e lo costringerò a spiegarmi
tutto, soprattutto la frase: “In realtà, Lilith, la vera domanda non è chi sono io, ma chi sei tu”, cosa può mai sapere lui
di me che io non conosco?
Passo un po’ di correttore sulle occhiaie che mi ­coprono
il viso e corro in classe. Azura è già andata via da un
pezzo ed è tardissimo. Corro a più non posso verso la
mia classe ma noto che nei corridoi c’è ancora un gran
baccano così ­rallento. Arrivo a pochi metri dall’aula e mi
accorgo che la porta è ancora aperta, Azura è fuori poggiata
ad un muro così la raggiungo.
«Cosa succede?» le chiedo incuriosita.
«Il professore non è ancora arrivato e io non riesco a stare in
classe con quella lì, ho già il mal di testa».
«Di chi parli?»
«Di chi parlo? Ma di Eva naturalmente. Ricordi? Ieri è
uscita con Lucio». Lucio... sentire il suo nome mi riporta
subito al ­nostro ­incontro nel bosco. Ecco... probabilmente
era appena ­tornato dal suo appuntamento. Istintivamente
controllo in classe ma non lo vedo.
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«Sì lo so... e quindi?» rispondo ­concentrandomi di nuovo
su di lei. «E quindi a quanto pare l’ha baciata».
«Cosa??» strillo quasi, guardando dritto negli occhi di
falco della mia amica. «Ti lascio solo immaginare, è da quando
sono arrivata che continua a vantarsi con tutti».
Accidenti, certo che non perde tempo il ragazzo. Non
so ­davvero cosa dire. All’improvviso vengo colpita dalla
­solita strana sensazione, sta arrivando, lo sento. Guardo in
fondo al corridoio e lo vedo. Avanza con la fluidità di una
pantera; ancora oggi indossa jeans ma più scuri di ieri ed
una ­camicia nera un po’ sgualcita e leggermente aperta
sul petto che mette in risalto il candido collo. Gli occhi sono
fissi su di me, non fa un cenno ma continua a guardarmi
­avanzando fino a quando non arriva di fronte la porta, solo
allora ­distoglie lo sguardo ed entra in classe.
«Io non capisco proprio perché continua a fissarti in
quel modo» sussurra Azura osservandolo per poi decidere
entrambe di entrare in classe.
Eva accoglie Lucio come una moglie che attende a casa
il marito da un giorno intero, ma lui ­stranamente passa
avanti, non la guarda, non la saluta, non le fa neanche un
sorriso ma la supera e si siede al suo banco alle mie spalle.
Cosa da non fare! Essere ignorata per Eva è la più crudele
della condanne. Anche lei si siede senza dire una parola
ma sappiamo tutti che manca poco al finimondo.
«Lilith... vedo che sei riuscita a tornare a casa poi ieri
notte» e la canaglia formula la frase con un tono di voce
­abbastanza alto da farlo sentire a tutti. Mi sento gli occhi
dell’intera classe puntati addosso, compresa Azura che
adesso mi guarda in cagnesco.
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«Cos’è questa storia? Eri con lui ieri notte?» sussurra.
«No!... cioè sì. Ci siamo incontrati per caso» rispondo
confusa e impreparata. Non sembra molto convinta dal
modo in cui mi sta guardando, ma fortunatamente arriva
il professore ed iniziano le lezioni facendomi tirare un
sospiro di sollievo.
Durante la seconda ora sentiamo bussare alla porta e
una bella ragazza dai capelli rossi entra in classe, credo sia
più grande di noi.
«Scusi professore, può far uscire Lucio per qualche ­minuto?
La mia professoressa vuole parlare con lui» chiede per poi
indirizzare uno sguardo malizioso proprio verso l’interessato.
Lucio le sorride e lei ricambia, è ovvio che si conoscono
piuttosto bene.
«Sì... sì ragazzo, va’ pure» risponde il professore distratto
rimanendo concentrato sulla lavagna. Lucio allora si alza ed
esce seguito dalla rossa e tutti non possiamo fare a meno
di guardarci sorpresi; a quanto pare si è dato subito da fare
il ragazzo. Non oso nemmeno guardare l’espressione di Eva.
Casanova rientra in classe solo qualche minuto prima della
fine dell’ora. I capelli sono arruffati come se una mano vi
si fosse immersa ripetute volte, la camicia più sgualcita di
prima e abbottonata male e le labbra perfette di un color
rosso sangue, come se protagoniste di chissà quali passioni.
Arriva e si siede tranquillamente al suo banco, non c’è
­nessuno in classe a controllarci il professore è appena
andato via per il cambio dell’ora, occasione perfetta per
Eva. Gli si avvicina decisa.
«Dove sei stato?» chiede nervosa.
Ma lui non le risponde nemmeno continuando invece
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a ­segnare sul suo quaderno gli appunti che si è appena fatto
prestare dalla ragazza seduta al suo fianco.
«Sto parlando con te!» strilla a quel punto facendo
ricadere il silenzio in classe mentre tutti gli occhi si
­concentrano su di loro. È in quel momento che lui si volta
e la falcia con lo sguardo, per poi alzarsi e porsi di fronte a
lei. Eva è una ragazza ­piuttosto alta e con muscoli robusti
eppure accanto a lui sembra così indifesa, così piccola.
«Solo una stupida non capirebbe dove sono stato. Quindi
dimmi... sei una stupida?» chiede tranquillamente.
«Certo che no!»
«Allora sai benissimo dov’ero».
«Volevo sentirmelo dire da te».
Lui in quel momento schiude le labbra in un
crudele ­sorriso e si siede incrociando braccia e gambe con
un’­eleganza che non si era mai vista in un essere umano.
«Senti... Eva, giusto? Non so cosa tu ti sia messa in testa ma
io non sono il tuo ragazzo né tanto meno voglio esserlo. ­Quella
di ieri è stata una serata mediocre, niente di che. Non credi
anche tu?» E sento subito il fuoco ribollirmi dentro.
«Sarai anche carina ma non sei l’unica e il tuo ­atteggiamento
da principessa viziata mi dà sui nervi, quindi ti prego di
­starmi lontano da oggi in poi, odio le ragazze ossessive» termina
­tranquillo e sicuro si sé.
Nessuno fiata; non era mai successo che qualcuno
rifiutasse Eva, mai. Molti sembrano quasi gioirne, magari
con questa botta abbasserà un po’ la cresta pensano, ma io...
io inizio solo a provare un profondo odio verso quel ­ragazzo.
Anch’io sono passata in una situazione del genere e non
è per niente piacevole trovarcisi, non si scherza con
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i sentimenti di una persona per quando la sua anima
possa essere nera. La discussione continua. «Tu ieri mi hai
baciata, perché allora?»
«Oh dannazione... perché devi proprio dimostrare quanto
tu sia infantile? E comunque sei davvero sicura che sia stato io a
farlo?» risponde lui con calma glaciale.
Lei non sa più cosa dire e io sono stufa di ascoltare
altro, così mi alzo ed esco dalla classe sentendomi subito
punte di ­ghiaccio addosso. Arrivo davanti la porta, sospiro.
Non ­posso fare a meno di pensare a quando mi sono trovata
nella stessa situazione con David, è stato bruttissimo, è come
se ­ancora oggi le ferite non si fossero rimarginate del tutto,
le ferite del mio orgoglio.
«Come mai sei uscita in quel modo?»
Riconosco subito la sua voce profonda così mi volto
a guardarlo senza però rispondere. «Non sarai mica gelosa?»
e non riesco a trattenere una risata.
«Io gelosa di te? Perché mai? Senti bello, non proverei
interesse nei tuoi confronti nemmeno se fossi l’ultimo uomo sul
pianeta, soprattutto dopo quello che ti ho sentito dire ad Eva»
e anche lui si apre in un sorriso.
«Non credevo che tu e lei foste così amiche».
«Non lo siamo infatti, ma non è giusto scherzare così
con i suoi sentimenti» affermo abbassando lo sguardo quasi
­vergognandomi.
«Sei davvero così ingenua? Credi che i suoi sentimenti
verso me siano reali? Il suo è solo un capriccio, in quanto nuovo
arrivato devo appartenerle, preferiresti la mia sottomissione
a lei?» chiede poggiandosi al muro di fronte al mio
incrociando le ­braccia al petto. «Io le ho detto solo la verità,
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avrei potuto ­giocare un po’ di più con lei invece di fermarmi ad
un semplice bacio, non credi?»
«Il bacio però gliel’hai dato».
«Ti dà fastidio?» chiede allora malizioso.
«Non nel modo che pensi tu» rispondo innervosita.
«È stata lei a baciarmi che tu ci creda o no».
«Anche la rossa che è venuta in classe, è stata lei a baciarti?»
chiedo inacidita e lui si fa una risata che mi illumina il volto.
«No, lei... lei ha fatto ben altro» dice intensificando il
suo ­sguardo glaciale divertito e io non posso fare a meno
di ­arrossire imbarazzata, rimanendo senza parole. Adesso
lui ­abbassa il suo sguardo fissandomi le guance e io non
­riesco ­proprio a capire cosa stia pensando. La sua ­espressione
­diventa stranamente seria, il suo sguardo è così intenso che
quasi fa male e inizia lentamente ad avanzare nella mia
direzione, staccandosi dal muro.
«Stai lontano!» questa volta sono io a dirlo. Lui si ­blocca,
quasi come se le mie parole lo avessero risvegliato da un­
sonno profondo. «Fino a quando non scopro o non mi
dirai chi sei veramente non voglio che ti avvicini a me»
dico guardandolo fisso negli occhi. «Mi sembra giusto»
indietreggia lui «ma tu lo vuoi sapere adesso, vero?».
«Abbiamo un discorso in sospeso noi due» e in quel
momento fa un sospiro profondo, quasi malinconico,
mentre abbassa il viso. «Lilith... goditi questi giorni,
ascoltami. Arriverà il momento in cui scoprirai tutto e in cuor
tuo spererai ogni maledetto giorno che si tratti solo di un brutto
incubo» e la sua risposta mi paralizza all’istante.
«Riprenderemo questo discorso prima o poi» dice infine
­voltandomi le spalle ed incamminandosi lungo il corridoio.
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Capitolo 5
È
passata quasi una settimana dall’arrivo di
Lucio, è strano ma una singola persona è ­
riuscita a sconvolgere un intero ­collegio. Nell’arco di
questo tempo l’affascinante nuovo ­arrivato è riuscito a
spezzare i cuori di così tante ragazze che ho perso il conto.
La sua tattica è sempre la stessa: farsi ­desiderare a tal
punto di farle buttare spontaneamente tra le sue braccia,
il giorno dopo poi si comporta come se non le avesse mai
conosciute. Il bello è che le ragazze invece di prendersela
con lui in prima persona, fanno la guerra sempre
alla ragazza successiva, accusandola dell’allontanamento
di lui e creando così un circolo vizioso carico di odio che
va avanti all’infinito. Che razza strana le donne.
Da quando è arrivato Lucio comunque i litigi regnano
­sovrani, sembra quasi come se fosse il dio della discordia
in persona. Per quanto riguarda me, non sono ancora riuscita
a fargli le domande che vorrei e comunque sia non ci siamo
parlati molto in questi giorni, infatti sembra quasi evitarmi.
Sono l’unica ragazza con cui non parla e con la
quale tiene sempre una certa distanza. Ha chiesto persino
ad Azura di ­uscire qualche volta con lui ed è ovvio che lei
gli abbia ­risposto di no, anche se non mi è sembrata molto
convinta.
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«Hai finito di prepararti? Oggi dobbiamo arrivare
prima in classe».
«Cosa... perché?».
«Lilith, ma dove hai la testa, hai dimenticato che oggi
c’è la ­caccia al tesoro?».
Già... la caccia al tesoro! La facciamo ­sempre ­almeno
una volta al mese, serve per farci uscire ogni tanto da
­questo posto. Ci portano sempre in zone diverse e ci
lasciano tutto il giorno liberi a cercare indizi su indizi
fino a trovare il vero e proprio tesoro. Eccitata dall’idea
indosso velocemente qualcosa di comodo e corro in classe
insieme ad Azura, arrivando col fiatone appena qualche
secondo prima del professore.
«Sedetevi ragazzi così vi spiego come si svolgerà la ­
giornata oggi» inizia questo aspettando che ci sia ­silenzio
assoluto. «Oggi non ci allontaneremo molto, resteremo ­
pressapoco nei dintorni. Come al solito troverete stand
sparsi un po’ ovunque nel caso vi perdiate, oppure vogliate
abbandonare la partita. Ogni coppia sarà fornita di mappa
e bussola fondamentali per il vostro scopo; il tesoro di oggi è
uno scrigno e per vincere dovrete portare quello che si trova
al suo interno. Per qualsiasi emergenza avete i nostri numeri
di telefono, non esitate un attimo a chiamarci se il vostro
compagno si trova in difficoltà o per qualsiasi altra cosa.
Entro le 21:00, con o senza scrigno, voglio che torniate alla base
altrimenti sarete puniti» afferma guardandoci tutti­
minaccioso. «Bene... le coppie saranno formate come sempre
da un ragazzo e una ragazza, con la differenza che
quest’anno non sarete voi a decidere con chi andare ma
verrà fatto un sorteggio».
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E a quel punto in classe scoppia il putiferio.
«No, no, no... è inutile che vi lamentate questa non è
una gitarella romantica, sappiamo benissimo ogni volta come
va a finire. Onde evitare sarà il caso a decidere... magari sarete
fortunati».
Tutto sommato io sono tranquilla, non cambia
­assolutamente niente per me stare in coppia con uno o con
un altro, il mio unico scopo è recuperare quello scrigno.
«Spero di non uscire con Lucio» mi sussurra ­all’­orecchio
Azura.
Cavolo... è vero! Vengo invasa immediatamente
dall’ansia, e se dovessi capitare proprio con lui? Che ci
diremo durante tutto il giorno? Inoltre stargli vicino mi ha
sempre ­innervosito, non oso immaginare stare sola con lui
un’intera giornata. No... è impossibile, ci sono bassissime
probabilità che io esca proprio con lui.
Dieci minuti dopo il mio nome non è ­ancora uscito
e nemmeno il suo. Le mie compagne hanno il broncio,
speravano che il caso le avesse aiutate a stare con lui e io
invece mi innervosisco sempre più.
«Azura... e Daniel!»
Azura sorride di gioia, va molto d’accordo con lui sono
quasi come fratello e sorella da sempre.
«Bene sono rimasti gli ultimi. Carlotta... e Lucio!»
E subito mi abbandono ad un sospiro di sollievo.
«Professore, Carlotta non viene, ha un po’ di febbre e non
se la sente».
«Davvero? Ok allora accoppiamo Lucio con l’ultima
rimasta che è... Lilith!»
Non ci posso credere... è a dir poco assurdo! Può la
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mia sfiga essere davvero così immensa? Le altre mi guardano
cariche di invidia.
«Un attimo ragazzi è rimasto un foglietto, è Marco...
vediamo... potremmo unirlo all’ultima coppia» propone il
professore ­dubbioso. La speranza mi invade, sempre meglio
di stare sola con lui.
«No professore, ricorda? Marco si è rotto la gamba qualche
tempo fa non può partecipare alla competizione».
Sì... la mia sfiga è davvero così immensa! Mi giro
verso la sua direzione e neanche lui sembra entusiasta. Bene...
sentirmi indesiderata è l’ultima cosa che avrei voluto.
«Così saremo una coppia» mi dice serio.
«Già».
«Non so fino a che punto sia una buona idea» sussurra
appena tra sé e sé.
«Oh... perdonami se non sono ciò che avresti voluto, ma
neanche tu lo sei!» dico subito stizzita sorprendendolo.
«E adesso cammina, altrimenti resteremo indietro» termino
alzandomi dalla sedia senza neanche degnarlo di uno sguardo.
«Agli ordini capitano» risponde subito seccato.
«Ma guarda un po’ questa» sussurra infine seguendomi,
facendomi alzare gli occhi al cielo.
Una volta arrivati sul posto ci assegnano bussola e
mappa. «Bene ragazzi possiamo iniziare. Mi raccomando non
allontanatevi troppo e state attenti. Per qualsiasi bisogno sulla
mappa sono segnati tutti gli stand che troverete un po’ ovunque.
Buona caccia!» termina il professore dandoci il via.
Iniziamo subito a camminare dividendoci dagli
altri e dopo pochi minuti inizio già a grondare sudore sotto
il sole cocente.
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«C’è un caldo assurdo oggi» mi lamento asciugandomi la
fronte.
«Non sembri abituata alle alte temperature» Mi giro
a ­guardarlo e noto che si mantiene sempre ad una certa
distanza. Dal suo corpo scolpito nella roccia non scende
una goccia di sudore, non c’è il minimo affanno, è perfetto
come appena uscito.
«Sei assurdo! Come fai a non sentire caldo?» chiedo
subito facendolo sorridere. «Cosa c’è di divertente?» insisto
allora confusa.
«Nel posto dal quale provengo io c’è molto caldo» confessa.
Ha un’espressione quasi malinconica così non posso fare a
meno di fargli una domanda.
«Ti manca molto quel posto?» azzardo.
«Mhm... sinceramente non molto, mi trovo piuttosto
bene qui». È la prima volta che parliamo così apertamente
l’uno con l’altra. «Ho saputo invece che tu sei sempre vissuta
al collegio» continua lui.
«Sì, mia madre mi ha abbandonata davanti al
cancello lo stesso giorno che sono nata» e lui non sembra
particolarmente sorpreso.
«Sai, anch’io non conosco mia madre» dice abbassando il
viso, stupendomi.
«Davvero?»
«Sì, è stato mio padre a badare a me. Nonostante i suoi
numerosi impegni è sempre stato un padre presente, anche se
duro. Si sa come sono i genitori, inoltre sono il suo unico figlio
quindi si aspetta grandi cose da me».
Non posso fare a meno di osservarlo mentre racconta
­tutto, continuando ad avanzare tenendo gli occhi puntati
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di ­fronte a sé, fino a quando anche lui si gira dalla mia
­direzione. Dopo aver sentito quel discorso d’istinto mi apro
in un sorriso e lui si blocca ad osservarmi.
«È la prima volta che mi fai un sorriso» afferma ­serio
­guardandomi dritta negli occhi. Divento subito rigida,
­imbarazzandomi.
«Questo non è ver... » e un piede perde ­attrito durante
la discesa, ma fortunatamente lui velocissimo mi afferra per
lo zaino evitandomi di rotolare a valle.
«Sta’ attenta o ti romperai l’osso del collo» afferma
infastidito e io mi ricompongo subito prendendo un respiro
profondo.
«Ti ringrazio» dico infine. Lui non risponde ma
continua a camminare come se niente fosse successo.
Passiamo ancora qualche ora sotto il sole cocente. I ­momenti
di silenzio sono molti ma non sono imbarazzanti, ci
godiamo i suoni della natura. Lucio oltre ad essere
spaventosamente bello, cosa che alla fine ho sempre
ammesso, è anche piuttosto sveglio ed ­intuitivo, molto più
di me. Soprattutto grazie a lui, lo ­ammetto, ­troviamo a
fine giornata tutti gli indizi. Ci manca solo lo scrigno adesso.
«Ti prego possiamo fare una pausa? Non ce la faccio più a
camminare» dico esausta.
«Certo» risponde. Così mi siedo su una ­roccia e
mi sento subito meglio, sono davvero esausta. Lucio si
­poggia proprio all’albero di fronte a me lasciandosi
scivolare ­sulla ruvida corteccia e sedendosi ai piedi di
questo, il vento gli ­scompiglia lievemente i capelli e lui
chiude gli occhi per ­assaporarne meglio il tepore. Non
posso fare a meno di ­fissarlo, è una calamita per gli occhi.
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Scuoto la testa come per svegliarmi da un sogno e mi alzo
per prendere la mia ­borraccia accorgendomi che è vuota.
Ormai siamo quasi al tramonto.
«Secondo te dove posso trovare una fontanella?» ­chiedo
avvicinandomi. In quell’istante qualcosa attira il mio
sguardo sulle sue braccia scoperte. Noto subito nella parte
interna del suo avambraccio sinistro, quasi all’altezza
del polso, uno strano simbolo, come un marchio fatto a
fuoco. Strano, sono quasi sicura che poco fa non ci fosse.
All’istante vengo colpita da un fortissimo dolore al petto.
Cado in ginocchio non riuscendo a respirare, il dolore
è ­acutissimo. Lui rimane impassibile, si copre il braccio
e mi offre la sua borraccia senza neanche alzarsi. L’accetto
subito e sto meglio.
«Quando compirai diciotto anni?» chiede all’improvviso.
Lo guardo sbalordita.
«Sono inginocchiata dal dolore senza un motivo preciso e tu
pensi a quando farò il compleanno?» E lui non risponde continuando a guardarmi serio. «Precisamente tra cinque giorni»
decido di confidargli stranita ­adesso che riesco a respirare
normalmente.
«Capisco» sussurra lui.
«Capisci cosa?» chiedo stizzita.
«Presto lo capirai anche tu» si limita a rispondere.
«E no... adesso sono stanca, o mi dici tutto oppure non ci
muoviamo da qui!» sbotto facendolo ridere.
«E questa tu me la chiami una minaccia?»
«Certo! Resteremo fino a domani mattina se sarà necessario
o anche oltre e stai tranquillo che non ti permetterò di andartene
da solo».
- 30 -
«Non è un problema per me, potrei stare qui anche per
l’eternità» sussurra guardando di fronte a sé.
Il freddo e l’umidità della sera inizia solo dopo pochi
minuti ad invaderci.
«Accendo un fuoco altrimenti congeleremo».
Così si alza cominciando a raccogliere la legna che si
trova nei dintorni. Io osservo ogni suo movimento
­accorgendomi che non fa il minimo rumore, ogni suo gesto
è armonico, si muove più come una bestia rara che come
un uomo. ­In men che non si dica ci troviamo di fronte ad un
­robusto ­fuocherello che illumina la sera che ormai è calata,
­riscaldandoci per bene.
«Consiglio di lasciar perdere lo scrigno ormai, ci riposiamo
un po’ e ritorniamo alla base, non mi sembri in forma».
«Non se prima non mi avrai raccontato tutto quello che sai»
e subito sbuffa.
«Sei più cocciuta di un mulo!» sbotta dando vita, ancora
una volta, a pochi minuti di silenzio.
«Stai qua, vado a cercare dell’acqua mi sembra di aver
visto un ruscello nel bosco» dice iniziando ad avviarsi, ma
qualcosa lo blocca: è la mia mano che gli stringe l’orlo dei
jeans.
«Te la vuoi svignare eh?»
«Secondo te ti lascerei qui in mezzo al nulla? Cosa racconto
agli altri?» risponde seccato.
«Anche se fosse vero... non lasciarmi» sussurro ­abbassando
il viso imbarazzata. «Dopo quella notte nel bosco ho paura
a ­restare sola in posti come questi» confesso non ricevendo
­alcuna risposta. Dopo pochi secondi di silenzio decido di
alzare di nuovo lo sguardo verso lui pensando di trovare
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un’­espressione ­infastidita o divertita, come quel suo ­solito
sorrisetto ­maligno; invece no, i muscoli del viso sono
­rilassati, le labbra aperte in un grande sorriso e i suoi occhi,
i suoi ­iceberg, non sembrano più così freddi, così vuoti, ma
trasmettono quasi dolcezza, quasi calore.
«Allora vieni con me così raccogliamo anche un po’ di ­legna
per il fuoco» dice pacatamente facendomi sorridere.
Così ci ­inoltriamo nel bosco; la notte è ­calata
­velocemente e non si vede un palmo dal naso. Come fa
Lucio a muoversi così agilmente, così sicuro di sé?
Cerco di stargli dietro con sforzo. Improvvisamente
lui si ferma di scatto e io sbatto sulla sua schiena non­
accorgendomene. «Ahi!» dico massaggiandomi il naso «sei
­peggio di un muro, accidenti».
Lui si gira verso di me velocemente. «Diamine...
fai attenzione!» afferma infastidito. Ad un ­tratto una ­folata
di vento mi investe ­facendo alzare i miei lunghi capelli
che adesso gli sfiorano ­delicatamente il viso. Lo intravedo
appena, non siamo mai stati così vicini prima d’ora.
Scatta verso di me, mi afferra circondandomi con un ­braccio
e mi stringe a sé ­lasciandomi di stucco. Il suo palmo preme
adesso ­aperto ­sulla mia schiena e io sono poggiata sul suo
duro petto ­confusa. Il suo corpo è fuoco, talmente caldo da
ustionarmi quasi. Non trovo la forza per ribellarmi e anche
se volessi so che non ci riuscirei stretta come sono nella sua
morsa. Sento il suo respiro farsi violento. Abbassa il viso
sul mio collo afferrandomi i capelli con il braccio libero,
inclinandomi la testa da una parte. Cosa sta facendo? Sento
il suo respiro di fiamma sulla mia pelle, gemo. Un ­brivido
­percorre tutto il mio corpo e le pulsazioni ­aumentano
- 32 -
ogni secondo di più. Mi odora quasi come fossi una droga
­sfiorando con le sue labbra vellutate la pelle del mio collo.
Vorrei fuggire il più lontano possibile ma il mio corpo
non risponde, come paralizzato. All’improvviso però
si allontana di scatto ­spingendomi via e ­coprendosi il
viso con una mano, ma io lo vedo, vedo i suoi ­occhi
che nell’oscurità sono fiamme, sono ­fuoco, sono
brace. La pupilla è verticale, come quella dei ­gatti
e le iridi di un rosso-arancio acceso, brillanti come
due stelle nella notte. Vengo invasa subito dal terrore e di
nuovo da quel fortissimo dolore al petto, ma adesso
non mi posso ­accasciare, devo fuggire. Zoppico verso la
luce, verso il fuoco che lui stesso ha acceso e sono sicura
che mi stia seguendo così afferro subito un pezzo di legno
infuocato, voltandomi.
«Lilith... aspetta. Non voglio farti del male».
«Stai lontano da me!» urlo agitando il bastone in fiamme.
«Se avessi voluto farti del male avrei potuto farlo molto
prima, non credi?» Ma io non rispondo, non mi fido. Adesso i
suoi occhi sono di nuovo ghiaccio ma la mia paura non cessa
e calde lacrime iniziano a rigarmi il viso.
«Non hai motivo di piangere, credimi. Ti prometto che
non succederà più. Dopo il tramonto i miei sensi diventano più
sensibili e sentendo il tuo odore ho perso il controllo per un
attimo, ma sono perfettamente in grado di controllarmi, te lo
assicuro» spiega tranquillamente cercando di avanzare,
mentre io agito ancora l’unico mio strumento di difesa.
«Sposta quel bastone tanto è inutile» continua. Non ho la
minima intenzione di farlo, ma lui continua ad avvicinarsi
incurante delle mie minacce, per poi afferrare il legno con
- 33 -
una mano proprio nel punto in cui le fiamme sono più
alte. Rimango di sasso di fronte alla scena: il fuoco non gli
causa alcun danno anzi sembra piegarsi al suo volere, quasi
come se lo rispettasse; non lo annienta, non lo brucia ma
lo sfiora, lo accarezza dolcemente ed allora cado subito in
ginocchio sconvolta.
«Non puoi ferirmi con il fuoco» sussurra lui buttando il
­bastone.
«Cosa sei?» chiedo con voce tremante osservandolo.
«Volevi... volevi il mio sangue, ho sentito che lo desideravi»
continuo ­poggiando una mano sul collo. «Sei un vampiro,
vero?»
Lui si siede cautamente, quasi per non spaventarmi
ancora di più. «Non era mia intenzione spaventarti Lilith.
Hai ragione avrei bevuto il tuo sangue in quel momento ma...
ma io non sono un vampiro».
«Non sei un vampiro? E allora cosa sei?» chiedo confusa.
«Qualcosa di molto più pericoloso...» sospira, fa una breve
pausa «sono un demone».
- 34 -
Capitolo 6
S
ono ancora inginocchiata a terra accanto al
fuoco, Lucio è di fronte a me e mi fissa negli
occhi con attenzione.
«Tu... tu sei un demone?!» balbetto sconvolta.
«Sì Lilith».
«Ma tu... tu non sembri uno di loro».
«Perché ne hai mai visto uno prima d’ora?» chiede ­confuso.
«No, ma i demoni dovrebbero essere dei mostri con la pelle
rossa, le corna e le zampe di capra» e subito si apre in una
rumorosa risata.
«Quelle sono solo leggende» dice infine.
Rimango di sasso.
«Il mio compito è quello di attrarre, sedurre, indurre al
male come faccio ad essere “la Tentazione” se non affascino?
Per quanto riguarda le corna, però, quelle ci sono veramente
ma solo la stirpe reale le possiede».
«Stirpe reale?» ripeto confusa.
«Sì, il re degli Inferi e i suoi diretti discendenti. Le corna
sono il simbolo del loro comando».
Resto qualche secondo in silenzio ancora stupita, per
poi ­concentrarmi sul fuoco di fronte a me.
«Quindi... vi nutrite di sangue umano? Credevo fossero i
vampiri a farlo e non i demoni».
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Lui inizialmente non risponde abbassando invece il viso.
«Beh... Sì, per voi umani è più logico pensare questo e non
avete torto». Che vuole dire adesso?
Improvvisamente mi tornano in mente tutte quelle
ragazze, così mi alzo in uno scatto sorprendendolo.
«Tutte le mie compagne con cui sei uscito! Hai fatto loro
del male? Hai provato a succhiare anche il loro sangue?» grido
­furiosa.
«No» risponde con un filo di voce.
«Non ti credo! Se solo scopro che hai fatto qualcosa a
qualcuna di loro, giuro che io...»
«Non ci nutriamo di sangue umano!» grida anche lui
zittendomi e facendomi rabbrividire. Preoccupata ritrovo
subito il controllo e mi calmo.
«Allora perché hai provato a mordermi?» domando
confusa.
«Questo non posso ancora dirtelo».
Questa risposta riesce solo a farmi innervosire.
«Portami a casa, ora!» dico con voce ferma. Lui mi
lincia con lo sguardo e incrocia le braccia al petto.
«Non sono il tuo servo, se proprio vuoi andartene lì c’è la
mappa» risponde severo.
«Bene!»
Prendo il pezzo di carta che fuoriesce dal suo zaino
poggiato a terra e mi incammino subito verso il bosco.
«Dove pensi di andare?» chiede a quel punto rimanendo
­immobile.
«A casa!» Continuo a camminare furiosa.
«È pericoloso per te inoltrarsi a quest’ora nel bosco, come
pensi di muoverti? Non hai nemmeno una torcia».
- 36 -
Mi blocco proprio davanti all’ingresso di quel mondo
­oscuro e tenebroso. Ripenso al lupo e vengo assalita dalla
paura, in fondo ha ragione cavolo. Mi volto ad osservarlo
e lui è ­ancora davanti al fuoco, non mi guarda neanche.
Controllo la mappa, forse non è necessario passare per
forza per il bosco.
«È inutile che controlli la mappa, non c’è altro modo per
tornare al collegio».
Mi volto di nuovo per guardarlo ed è ancora girato di
spalle. «Come hai fatto a capire...»
«Ti ricordo che tutti i miei sensi sono più sviluppati
dei tuoi» mi interrompe rispondendo alla mia domanda
ancora prima di formularla. Non so che fare. Da una
parte non voglio ­restare sola con lui ma dall’altra
non voglio ­nemmeno entrare nel bosco. Ho un’idea.
Prendo il cellulare e ­compongo velocemente il numero
del direttore, mio padre, ­ringraziando l’epoca in cui sono
nata. Il telefono squilla.
«Lilith... che succede? Tutto bene?» risponde preoccupato.
«Papà, ho bisogno che mi veniate a prendere, subito!»
«Cosa è successo? Lucio non è con te?»
Come fa a sapere che sono con lui? Non era con noi
durante il sorteggio. Mi volto verso la direzione di Lucio e
lui mi guarda tranquillo.
«Sì ma non vuole accompagnarmi a casa».
«Passamelo».
Sorrido soddisfatta, dovrà accompagnarmi per forza
­altrimenti finirà nei guai.
«Il direttore ti vuole parlare» dico falciandolo con lo
sguardo mentre lui prende il telefono con serenità.
- 37 -
«Buonasera direttore. Sì, esatto! Guardi credo che
la cosa ­migliore sia rimanere qui fino a domani mattina.
Non ­correrà rischi con me vicino lo sa benissimo. Perfetto allora...
le ­ripasso sua figlia. A presto» conclude porgendomi di nuovo
il cellulare mentre io lo prendo stupita.
«Lilith... » sento e subito intuisco. No, non può essere
d’accordo a tutto ciò.
«Papà, io non voglio rimanere qui» affermo con voce
rotta dalle lacrime che iniziano a bagnarmi il volto.
«Lilith, non ti succederà niente ti puoi fidare di Lucio non
ti farà del male».
«Ma... ma non ha alcun senso, tu non capisci lui è...»
«Ci vediamo domani, buonanotte piccola» ­riaggancia
bruscamente lasciandomi senza parole. Resto qualche
secondo con il cellulare in mano ad osservarlo delusa
per poi infine ritornare accanto al fuoco sconfitta
stringendomi, con le lacrime agli occhi, le ginocchia al
petto. Perché papà è d’accordo con tutto questo, perché
è disposto a farmi passare la notte fuori quando non l’ha
mai permesso prima d’ora?
«Hai fame?» sento dopo un po’. Non rispondo, allora
Lucio apre il suo zaino e mi porge un panino.
«Non ho fame!» dico con rabbia girandomi dall’altra
parte.
«Non hai mangiato tutto il giorno non costringermi ad
imboccarti».
«Non ci riusciresti».
«Scommetti?» e nello stesso istante vedo la pupilla dei
suoi occhi diventare verticale e il ghiaccio trasformarsi in
fuoco. Vengo subito invasa dalla paura così afferro il panino
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e gli do un morso svogliata facendolo sorridere. Lui afferra
di nuovo il suo zaino e prende questa volta un pacchetto di
plastica. Osservo con attenzione, sembrerebbero cioccolati.
Ne scarta uno e se lo infila in bocca con aria soddisfatta.
«Non credevo che i demoni mangiassero cioccolato».
«La gola è uno dei peccati più gratificanti» risponde
ancora con la bocca piena per poi entrambi rimanere in
silenzio.
Finisco il panino velocemente, era veramente buono e
in ­fondo avevo davvero una gran fame.
«Perché restare qui solo con me? Cosa hai intenzione di
farmi?» domando alquanto timorosa. Inizialmente mi ­guarda
confuso, poi intuisce.
«Non pensare male non voglio farti assolutamente ­niente,
non sono quel genere di persona. È solo che devi iniziare a
capire a piccoli passi chi sei e chi ti circonda».
«Va bene allora, dimmi chi sono».
«Perché per ora invece non ci concentriamo maggiormente
su chi ti circonda? Su di me per esempio, avrai molte domande
da farmi».
«Beh, qualcuna».
«Puoi farmi tutte le domande che vuoi» afferma ­
mettendosi comodo e io mi concentro sul fuoco facendo un
po’ di mente locale.
«Cos’è quel segno sul tuo braccio?» Ormai è coperto dalla
­manica ma lui adesso lo stringe ugualmente con una mano.
«È il nostro marchio, quello che ci identifica» eppure la sua
risposta non mi sembra sincera.
«Ma oggi non mi sembra di averlo notato» continuo.
«Diventa evidente solo dopo il tramonto».
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«E perché quando l’ho visto... ho sentito quel dolore
al petto?»
«A questo ancora non posso rispondere».
«Ma hai detto che avrei potuto farti qualsiasi domanda».
«Qualsiasi domanda che riguardi me in persona».
Niente da fare, dovrò aspettare ancora per le spiegazioni
che voglio avere.
«Posso avvicinarmi un po’ di più?» chiede con cautela
stupendomi.
«Solo un po’» rispondo osservandolo bene.
Lui si avvicina leggermente e stranamente non ho
più paura.
«Quella sera il lupo ti ha riconosciuto subito vero? Ha
avuto paura di te».
«Gli animali sono i primi a riconoscerci».
«Quindi saresti in grado di ucciderne uno senza problemi».
Mi guarda per qualche secondo.
«Ovvio, Lilith» risponde appena.
«Nessuno è in grado di battervi?» e lui sospira come se
­infastidito.
«Solo i nostri opposti. Posseggono la nostra stessa forza
ed esattamente come noi possiamo uccidere loro, loro possono
uccidere noi»
«Stai parlando di...»
«Angeli, sì».
«Quindi esistono anche loro? Incredibile» affermo sorpresa.
«Certo, non può esistere il Male senza il Bene e viceversa».
«E come sono gli angeli? Sono come te?»
«Beh... no. Intendi fisicamente vero?» ed annuisco
­immediatamente, sempre più interessata a questa ­storia.
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«Hanno una carnagione molto chiara, occhi blu mare e ­capelli
biondi. La maggior parte non sono molto alti e sembrano
quasi dei bambini in viso... hanno espressioni così innocenti»
dice quasi con sdegno «però sono forti. Sicuramente da non
sottovalutare».
«Hai mai ucciso un angelo?» dico quasi con voce tremante.
«Purtroppo no è vietato ucciderci ormai, da entrambi le
parti, bisogna seguire delle regole ben precise per poterlo fare,
niente di semplice. Ma ho avuto i miei battibecchi con alcuni
di loro, quelli ci sono sempre» sorride ripensandoci, come se
stesse parlando di semplici scorribande adolescenziali.
«E voi rispettate questo divieto?» chiedo sorpresa.
«Certo è un accordo che vige ormai da secoli e secoli».
«Ma... pensavo che i demoni non rispettassero le regole»
affermo confusa.
«Hai mai sentito parlare di Apocalisse? Se non le
­rispettassimo è così che finirebbe. Non conviene a nessuno».
«Se potete uccidervi a vicenda allora non siete immortali».
«No, non lo siamo è solo molto più difficile ucciderci.
Inoltre non invecchiamo, smettiamo di farlo intorno ai
quarant’anni circa, le donne anche prima».
«Quindi... tu hai realmente diciannove anni».
«Esatto» risponde subito.
Guardo le sue punte di ghiaccio e non posso fare a meno
di formulare la domanda.
«Tutti... tutti i demoni hanno occhi come i tuoi?»
Subito lui aggrotta la fronte rimanendone sorpreso.
«Ti piacciono i miei occhi?» chiede aprendosi in sorriso
malizioso.
«Cosa? Io... io non ho detto questo» affermo ­probabilmente
- 41 -
arrossendo.
«È stato il modo in cui l’hai detto infatti a farmelo
intuire» mi sfida, ma io non rispondo semplicemente perché
mi sono già persa di nuovo in quei labirinti di cristallo
«comunque no... hanno occhi scuri solitamente, io sono solo
un’eccezione insieme a mio padre».
Il mio interrogatorio continua ancora per qualche
ora ­quando improvvisamente sento ululare, così mi alzo in
uno scatto impaurita.
«Tranquilla fino a quando starai accanto a me non si
­avvicineranno nemmeno».
«Ma sono più di uno, sarà un branco» e lui subito mi
guarda innervosito spingendo un sopracciglio.
«Ma per chi mi hai preso?» sussurra irritato. Cosí si
sdraia sull’erba morbida e mi passa la sua giacca.
«Adesso dormi, è tardi».
«Ma se nessuno fa la guardia ci attaccheranno!» strillo.
Vedo le loro ombre muoversi vicino i perimetri del
bosco, sono in molti avranno visto il fuoco.
«Eccoli là» urlo ancora.
«Già... sembrano piuttosto affamati e tu che volevi
tornare al collegio da sola. Tsk» afferma tranquillamente
osservandoli, per poi ridacchiare.
«Non c’è niente da ridere, mi mangeranno mentre tu
dormi».
«Magari lo facessero» sbuffa.
«Cosa??» urlo ancora guardandolo innervosita.
«Se non la smetti subito di strillare giuro che ti ci porto
io da loro» dice davvero innervosito. «Ora dormi!» conclude
­porgendomi di nuovo la giacca. Io lo falcio con gli occhi
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e gliela strappo dalle mani, mi avvolgo ad essa e mi giro
dall’altra parte.
«Vai all’Inferno!» sussurro appena.
«Conto di tornarci entro la prossima settimana»
risponde ­sorridendo e pensandoci anche le mie labbra si
aprono ­subito in un sorriso.
Senza neanche rendermene conto è già l’alba; fa ­
piuttosto freddo ma tutto sommato la sua giacca mi ha
­tenuta calda per tutta la notte. Mi ci strofino il viso, ha un
buon odore. Mi volto verso il cielo e sbadiglio. I lupi sono
scomparsi e il fuoco è spento. Infine vedo lui. Sta ­dormendo.
Giuro, non ha per niente l’aspetto di un demone: i suoi
­muscoli sono rilassati, le labbra socchiuse e i primi raggi del
sole sembrano accarezzare il suo viso e il suo collo. Mi siedo
per osservarlo meglio. Il vento trascina il suo odore fino a
me, lo riconosco è come quello che mi ha tenuto compagnia
l’intera notte. L’odore si fa sempre più inteso intorno a me e
mi sembra quasi di vedere scie che partono dal suo corpo; è
acqua di rose, dolcissimo, quasi nauseante, ma è un aroma
dal quale non riesco a staccarmi. Mi riempio i polmoni più
volte e questo diventa sempre più intenso, brucia come fosse
fuoco. Mi sento quasi in trance. Inizio a gattonare verso lui
lentamente senza fare rumore quasi senza rendermene conto.
Non riesco a farne a meno, devo avvicinarmi.
Sono vicinissima adesso, posso toccarlo, voglio toccarlo
ma non solo, voglio il suo odore, voglio inebriarmi, voglio il
fuoco nei miei polmoni, voglio bruciarmi, voglio farmi male.
Avvicino il viso al suo, la punta del mio naso quasi lo
sfiora, chiudo gli occhi e prendo una boccata profonda e
subito braci entrano nel mio corpo. Riapro gli occhi ed è
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a­ llora che mi accorgo che è sveglio. I suoi iceberg mi fissano
e adesso ­illuminati dal sole sembrano quasi fatti d’argento.
È ­immobile, impassibile, solo ora mi rendo conto quanto
­siamo vicini. Mi allontano di scatto sorpresa. Cosa diamine
è successo? Lui si siede.
«Cosa volevi fare?» chiede guardandomi.
Metto una mano in testa sconvolta, in realtà era come
se stessi sognando.
«Non lo so... io... non ero in me. Scusami» rispondo
­imbarazzata.
«No, non devi scusarti. Puoi avvicinarti se vuoi, i miei
sensi di giorno sono un po’ atrofizzati. Non corri rischi se è
questo che ti spaventa».
In realtà non stavo proprio pensando a questo così non
rispondo.
«Avevi voglia di toccarmi e hai perso il controllo? Cosa?
Puoi parlarne tranquillamente voglio solo capire»..
Lo guardo incuriosita, lui sa.
«Ecco... inizialmente volevo solo toccarti, non so perché,
­curiosità credo. Poi però... ho sentito il tuo odore...» e subito la
sua espressione si fa dubbiosa «è imbarazzante ma ho perso
il controllo pensando al tuo profumo. È un effetto che fate voi
demoni?»
«Non devi sentirti imbarazzata, se ci pensi bene ieri sono
stato io a perdere il controllo sentendo il tuo di odore» dice
­tranquillamente anche se sovrappensiero. Il mio cervello in
quel momento connette qualcosa.
«Mi hai sempre fatto intuire che c’è qualcosa che devo
scoprire su di me. Oggi ho avuto il tuo stesso atteggiamento di
ieri» affermo intimorita.
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«Non sei un demone se è questo che mi stai chiedendo.
Ricordi? Ti ho appena detto che di giorno perdiamo parte dei
nostri poteri. Inoltre io ieri ti avrei morso tu non hai le zanne
per farlo».
Allora osservo le sue labbra dubbiosa e lui capisce
­immediatamente.
«Questo non è il mio vero aspetto da demone o almeno
non lo è completamente» spiega incrociando le braccia e
abbassando il viso per poi infine sospirare.
«Sembra che tu sia già attratta dal mio odore».
«Già?» ripeto confusa.
«Forza, sarà meglio tornare a casa ora. Ne parleremo con
calma lì» dice però lui senza darmi alcuna risposta. Perché
deve sempre essere così misterioso?
«Va bene» rispondo così rassegnata.
- 45 -
Capitolo 7
O
rmai svegli ci incamminiamo verso il collegio con
il sole già alto nel cielo. Non riesco a ­spiccicare
parola, ripenso alla scena di stamattina, a quello che è
successo ieri sera, a tutto. Mi sento confusa forse il mio
cervello non è davvero pronto ad assimilare così tante
informazioni in una sola volta. Lucio cammina più avanti di
me finché ad un tratto si volta a guardarmi.
«Se non ci diamo una mossa arriveremo tra un mese al
collegio» sbuffa.
«Sì» rispondo appena tenendo lo sguardo fisso a terra.
«Tranquilla» dice dandomi di nuovo le spalle
­continuando a camminare «non saresti di certo la prima a
perdere il controllo a causa del mio odore». Lo guardo
­lanciandogli un’occhiataccia che lui però non vede.
«Questo dovrebbe consolarmi?»
«Beh, in teoria sì» ridacchia invitandomi a riflettere.
«Evidentemente il tuo sangue dev’essere buono» e
­pensandoci sento stranamente la gola farsi secca. Lui si
ferma di scatto e si gira dalla mia direzione inchiodandomi
con lo sguardo.
«Parli come se lo desiderassi» afferma serio.
Mi fermo anch’io stupita dalla sua reazione. «Cosa?
Che ti viene in mente? Non berrei mai del sangue ­soprattutto
- 46 -
il tuo» dico stizzita, ma la sua espressione non ­migliora,
­continuando invece ad osservarmi in totale silenzio e quel
suo sguardo adesso mi fa paura.
«Meglio così allora» dice però alla fine serenamente
­ricominciando a camminare.
Ci vogliono un paio di ore prima di arrivare finalmente
davanti il cancello. Avanziamo ancora insieme lungo il
vialetto che conduce presso l’istituto principale e ci­
fermiamo proprio di fronte al grande portone aperto.
«Dovresti andare a riposare adesso, vado io a ­comunicare
al direttore che siamo tornati» e io non ho la forza di obiettare.
«Va bene» rispondo allora «ci vediamo più tardi» e lui
non mi degna di una risposta ma continua a guardarmi serio.
«Ti devo chiedere una cosa» dice improvvisamente.
«Dimmi» rispondo incuriosita.
«Non raccontare a nessuno... quello che sono».
«Nemmeno ad Azura?»
«Meglio di no».
«E cosa le spiego allora? Chiederà perché non siamo
tornati».
«Inventati qualcosa» risponde ovvio «Non dirmi che non
sei nemmeno in grado di raccontare un’innocente bugia» mi
sfida.
Quanto mi fa innervosire! Ci penso e so già che non
­cambierà idea cocciuto com’è. «Va bene» rispondo allora
­sconfitta, sono troppo stanca per fare storie. Così senza
neanche ­salutarci mi incammino verso il dormitorio
femminile che è ­completamente vuoto, evidentemente sono
ancora tutti a lezione. Entro nella stanza e mi concentro
subito sul letto di Azura, la coperta è rialzata probabilmente
- 47 -
non sarà andata a lezione così mi avvicino a lei.
«Azura...» sussurro delicatamente e vedo il castano
­chiarissimo dei suoi capelli uscire dalle coperte. «Azura...»
mi ­avvicino ancora di più e stranamente vedo accanto a lei
un ­ammasso biondo. La coperta si alza, la mia amica scopre
il suo viso ancora confusa ma io mi concentro sull’altra
figura al suo fianco. «Daniel!» esclamo con sorpresa
­coprendomi la bocca sorridendo.
«Ciao Lilith» risponde lui tranquillo. Azura si copre
­completamente la faccia imbarazzata.
«Forse... è meglio se vi lasci un po’ soli» dico divertita.­
Daniel sorride ­mentre Azura scopre gli occhi g­ uardandomi.
«Io e te dobbiamo ­parlare!» ­afferma prima che io esca
dalla stanza.
«Direi» rispondo chiudendo la porta alle mie spalle.
Azura e Daniel, chi l’avrebbe mai detto e io che mi
aspettavo una sfuriata colossale. Sorrido, meglio così.­
Guardo l’ora, le lezioni stanno ormai per finire così mi
dirigo verso la scuola. Andrò a parlare con papà e mi farò
spiegare perché mi ha ­permesso di dormire fuori, tutta
questa storia mi ­convince ben poco.
Cammino tranquillamente per i corridoi e le ­lezioni
si sono appena concluse, sento gli occhi di ­tutti ­addosso;
sguardi carichi di odio e invidia, ma decido di non ­badarci
troppo così continuo a camminare a testa alta ­andando
verso le scale, cominciando a salirle dirigendomi verso lo
studio del direttore.
«Ehi, sgualdrinella!» sento improvvisamente alle mie
spalle, ma non ci faccio caso e continuo ad avanzare.
«Dico a te... Lilith» urlano.
- 48 -
Riconosco subito la voce così mi volto... Eva,
­accompagnata da altre quattro amiche che le stanno alle
spalle come ­fossero le sue guardie del corpo.
«Dici a me sgualdrinella? Hai ­davvero un gran coraggio»
non ho paura di loro.
«Ti avevo avvisato di stare lontana da Lucio adesso non
puoi certo prendertela con me se ti faremo un po’ male» afferma
­malvagia avanzando.
«Avvicinati e giuro che io...» indietreggio.
«Che tu... cosa? Non sei proprio nella condizione di
minacciare carina».
«Ma non hai pensato che forse a Lucio non importa
niente di te?»
Si fa una risata. «La notte prima della caccia al tesoro io
e lui siamo andati a letto, ed è rimasto con me tutta la notte».
Rimango pietrificata.
«Quindi non credi io abbia il diritto di sapere cosa è
successo ieri?» avanza sempre più innervosita.
«Eva, ascolta... lui non è quello che sembra, potrebbe farti
del male devi stargli alla larga. È pericoloso ascoltami, ti prego!»
inizio subito a farfugliare.
Lei mi afferra violentemente per un braccio. «Ti piace
già così tanto eh? Mi dispiace carina ma nessuno può ­permettersi
di mettermi i bastoni tra le ruote e passarla liscia».
Nello stesso istante si avvicinano anche le sue amiche
così mi libero dalla sua stretta e provo a correre su per le
scale, fuggire mi sembra l’unica soluzione sensata piuttosto
che fronteggiare sola cinque pazze, ma subito mi afferrano
per i capelli e mi buttano giù. Io mi giro e do una pedata
alla ragazza che mi si para di fronte, cercando di difendermi
- 49 -
come meglio posso; un pugno mi colpisce in pieno labbro
e sento il sangue scorrere mentre cado a terra. Vedo Eva
proprio di fronte me che si prepara a scagliarmi contro un
altro pugno, paro la faccia con le braccia e non sento più
niente. Apro la difesa e vedo Lucio tenere con una mano il
braccio di Eva, linciandola con gli occhi.
«Lucio» dice la bionda «non è come sembra, ti posso
spiegare tutto è stata lei ad iniziare».
Lui non risponde ma continua a tenerle il braccio e a
­guardarla in malo modo. Io mi alzo appoggiandomi al muro
indolenzita asciugando con una mano il sangue dal labbro
che pulsa.
«Lucio, mi stai facendo male» si lamenta Eva.
«Sparisci dalla mia vista» ringhia lui con aria minacciosa.
«Ma...» e lo vedo stringere di più la presa sul braccio
della ragazza che urla di dolore.
«Va bene, va bene» dice svelta.
Lucio allora lascia la presa, lei mi lancia un’occhiataccia
che ricambio e se ne va, mentre lui si avvicina a me.
«Stai bene?» chiede guardandomi, ma io raccolgo tutta
la forza e l’odio che ho in corpo e gli scarico un ceffone sulla
sua guancia sinistra, il suo viso si volta automaticamente
dall’altra parte mentre lo guardo con occhi carichi di rabbia.
Lui si ricompone subito massaggiandosi la mascella.
«Potrei sapere adesso questo a cosa è dovuto?» chiede
piuttosto innervosito.
«Tu... sei andato a letto con Eva!»
«Oh... quello. Non pensavo la prendessi così male»
afferma quasi sprezzante. Sto per dargli un altro ceffone
ma lui ­velocemente mi blocca la mano senza problemi
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diventando spaventosamente serio.
«Non prenderti confidenze che non ti ho dato. Ricordati
sempre chi hai di fronte» ringhia quasi. Il suo tocco brucia
sulla mia pelle come fuoco, così ritiro il braccio in uno scatto.
«Appunto, tu sei un demone. Dovresti vergognarti per
quello che hai fatto!»
«Perché mai? È la mia natura e comunque è stata più lei ad
approfittarsi di me che il contrario».
Scuoto la testa. «Sei spregevole, stammi lontano tu porti
solo guai» sbotto ­rivolgendogli un ultimo sguardo di fuoco
prima di a­ ndarmene.
Decido subito di tornare in stanza ancora piuttosto
­innervosita. Busso per sicurezza. «Avanti» sento. Entro ed
Azura è sola.
«Lilith» afferma correndomi incontro «ma che hai
combinato?» chiede preoccupata fissando il mio labbro
pulsante. Io mi butto sul letto e le racconto tutto quello che è
successo sulle scale con Eva e Lucio.
«Lilith, dimmi la verità, è successo qualcosa tra te e Lucio?»
«Azura, ti assicuro che non è successo assolutamente niente.
­Siamo stati costretti a restare fuori perché ormai non potevamo
più attraversare il bosco in piena notte, ci siamo allontanati
troppo», come vorrei poterle raccontare tutto, la paura che ho
avuto, la verità su di lui; come vorrei dirle che le mie cattive
­sensazioni su di lui erano sensate, vorrei ma non posso.
«Comunque c’è qualcosa in te che lo attrae, qualcosa che le
altre non hanno».
«Che vuoi dire?»
«Sai, quando lui ti dice che sono le altre a saltargli addosso
non credo stia mentendo. È strano ammetterlo ma ho notato che
- 51 -
è un effetto che provoca lui; no so spiegartelo confonde le idee,
quando non ho accettato di uscirci insieme ricordo benissimo
che non è stato facile rifiutare, inoltre ho sempre visto le altre
avvicinarsi a lui come se non potessero farne a meno. Con te
invece si comporta in modo diverso, è premuroso, interessato,
gentile, sei tu quella che fugge».
Se solo sapesse che è il mio sangue ad interessarlo, sono
­sicura che capirebbe il mio atteggiamento.
«Ti si sta gonfiando il labbro, forse è meglio se vado a
prendere un po’ di ghiaccio».
Sospiro, abbasso gli occhi e vedo il suo polso fasciato.
«Che ti è successo alla mano?» come diamine ho fatto a non
accorgermene prima?
«Oh... questo. È stata la scusa che ha spinto me e
Daniel ad ­avvicinarci» spiega sorridente.
«Sembri felice» affermo ­guardando i suoi occhi carichi di
una luce diversa dal solito.
«Lo sono. È stato tutto stupendo Lilith».
«Non pensavo ti piacesse Daniel al punto di... cioè è stata
la tua prima volta».
«Non so come ma ho capito di essere pronta e che doveva
accadere con lui e non me ne sono pentita assolutamente»
afferma radiosa e felice. Che sia questo l’amore?
«Lo conosco da una vita, gli ho sempre voluto un bene­
dell’anima lui sa tutto di me e io so tutto di lui... eppure non
eravamo mai riusciti a capire veramente il sentimento che
ci legava. Fino a ieri».
«Io non mi sentirò mai pronta con nessuno» dico
quasi con amarezza.
«Vedrai che ti sbagli, queste felicità arrivano ­quando
- 52 -
meno te lo aspetti Lilith, l’importante è non avere mai
fretta» ­sussurra ­dandomi un bacio sulla fronte come fosse
una mamma premurosa, per poi uscire dalla stanza per
prendermi il ­ghiaccio canticchiando allegramente.
Sono già passati tre giorni dall’ultima volta che ho
visto ­Lucio. Nessuno l’ha più visto dal giorno in cui gli diedi
quello ­schiaffo. Mi sento in colpa, forse ho ­esagerato, in
­fondo era intervenuto solo per aiutarmi. Domani è il mio
diciottesimo compleanno. È tradizione in collegio che la
sera prima della maggiore età venga organizzato un ballo,
come ricchi ­aristocratici che festeggiano l’entrata in società.
Con il passare degli anni naturalmente le cose si sono un
po’ ammodernate, anche se la tradizione di una festa nella
sala più bella dell’istituto è sempre rimasta.
La festeggiata può scegliere il tema della serata e io
ho ­scelto un ballo in maschera, mi sono sempre ­piaciuti
ma sono ­ancora talmente indietro con i preparativi
che non so dove mettere le mani. La festa inizierà intorno
alle 20:00, sono già le 17:00 e ancora devo sistemare le
ultime cose. ­Fortunatamente ­finisco tutto un’ora dopo
anche grazie all’aiuto di Daniel mentre Azura è
praticamente scomparsa. Accidenti non sono riuscita
nemmeno a comprare un vestito adatto alla serata così
dovrò cercare una soluzione tra i vecchi abiti che
riempiono il mio armadio. Non ho niente in testa.
Inizio a buttare vestiti sul letto cercando di ­trovare
i migliori abbinamenti provandone qualcuno; cavolo
sono la ­festeggiata non posso sembrare ­vestita con quattro
stracci proprio stasera, mi do la colpa per avere il
­dannato vizio di pensare sempre tutto all’ultimo minuto.
- 53 -
Sento aprire la porta e Azura è proprio di fronte a me con un
grosso pacco riccamente adornato tra le mani.
«Azura... Aiuto; non ho niente da mettere ed già
tardissimo» p
­ iagnucolo.
«Sei sempre la solita» dice porgendomi il pacco «una
persona mi ha detto di darti questo» afferma sorridendo.
Lo prendo e leggo subito il biglietto incuriosita: “Spero sia
di tuo gradimento. Auguri. Lucio”. Sento immediatamente il
cuore ­fermarsi. «È... è tornato?» balbetto. Azura sorride.
«Sì, ha detto che è un impegno per lui non perdersi il tuo
­compleanno. Ma adesso apri, sono curiosa di vedere cosa ti ha
comprato» dice euforica strofinando le mani tra loro.
Inizio a scartare e sollevo il coperchio. Rimango ­incantata.
Lo prendo facendolo uscire dalla scatola ­osservandolo, è
un vestito. È un abito riccamente ricamato corto e stretto
color panna, il corpetto è a cuore e in vita vi è una stretta
fascia dalla quale partono leggeri, sottili e trasparenti veli
­leggermente più chiari che arrivano fino ai piedi, coprendo
la parte ­posteriore delle gambe creando giochi di trasparenze,
ma lasciandole scoperte davanti. Lo adoro.
Lo provo immediatamente sperando che la misura sia
­quella giusta ed è così. Prendo la maschera di piume bianche
che trovo insieme al vestito e la indosso.
«Mio Dio Lilith... sei ­bellissima. Ti ha comprato un vestito
da angelo». Sorrido all’idea, sono entusiasta non potrò fare a
meno di ­ringraziarlo a vita.
«Beh, visto che siamo in vena, ecco...» dice porgendomi
un ­pacchetto più piccolo «questo è da parte mia e di Daniel».
«Oh Azura, non dovevi».
«Sì invece, forza apri» dice euforica.
- 54 -
Scarto il pacchetto e mi ritrovo tra le mani una
collana ­bellissima. La indosso subito e valorizza ancora di più
il ­vestito, iniziamo davvero bene la serata. Abbraccio la mia
amica con gratitudine e infine corro a truccarmi.
La festa è appena cominciata e già sembra che non
manchi nessuno, è d’obbligo infatti invitare tutto il ­collegio
durante questi eventi. Azura indossa un delizioso abito
azzurro da fata turchina, Daniel è elegantemente vestito ma
indossa un lungo e buffo naso di plastica: pinocchio, ­proprio
da lui. Non riesco a distinguere molte persone ma sono
sicura che la strega sexy che mi sta linciando con lo sguardo
sia Eva. Il mio nuovo vestito svolazza seguendo i miei
passi quasi come se i veli fossero vere ali, lasciandomi le
­gambe ­scoperte mentre vado avanti e indietro salutando
i miei ospiti o ­almeno quelli che riesco a riconoscere.
«Azura andiamo a bere qualcosa dai, oggi è la mia festa»
dico entusiasta e felice. Mi avvicino al bancone e mi ­faccio
riempire un ­gin-lemon iniziando subito a sorseggiarlo
­parlando ­tranquillamente con i miei amici, quando ad
un ­tratto ­vengo colpita dalla figura che è appena entrata
dal ­portone. È in vestito nero elegantissimo, anche la
cravatta è nera ­mentre la camicia di un bordeaux molto
scuro simile al sangue, all’occhiello una rosa rossa. ­Il fisico è
perfetto, statuario; cammina sicuro di sé facendosi notare
da tutti, è praticamente impossibile non ­farlo. Il viso è
coperto da una maschera di pelle nera ­riccamente ornata
da simboli anch’essi bordeaux e con ­piccole corna che si
ergono ai lati che gli lascia scoperte solo le ­labbra rosse e
perfette, gli ­occhi di ghiaccio sono gli unici punti ­luminosi
dietro quella maschera scura. Viene verso la mia direzione
- 55 -
fermandosi proprio davanti a me e con i tacchi raggiungo
quasi la sua altezza permettendomi così di vedere meglio
quei pozzi di argento liquido. Mi dedica uno dei suoi soliti
sguardi per poi aprirsi in un sorriso e messe così in evidenza
le sue labbra sono ancora più dannatamente irresistibili.
Inaspettatamente mi afferra la mano ­portandosela alla
bocca baciandola sotto gli occhi di tutti come il più elegante
dei cavalieri ed è come se la mia pelle venisse toccata da braci
ardenti mentre sento il mio viso avvampare.
«Sinceramente pensavo che non avresti mai messo il vestito»
afferma tranquillamente lasciandomi il b­ raccio.
«Beh... in realtà l’ho messo solo perché non avevo
nient’altro da indossare» ­rispondo con aria di ­superiorità
­sorridendo «e appunto per questo mi hai salvato la vita, ti
ringrazio è d­ avvero molto bello» termino tornando seria.
«Ne è valsa la pena, ti sta bene» dice con voce ­
suadente ­bloccando il mio respiro. In imbarazzo finisco il
mio ­gin-lemon in ­pochi secondi mentre lui si concentra
a ­guardarsi intorno per poi tornare su di me.
«Il tuo bicchiere è vuoto» afferma osservandolo «che dici
di andarlo a riempire?»
«Oh... va bene» rispondo entusiasta sorridendo.
Ci sono proprio due posti liberi davanti al ­bancone
così mi siedo in uno di questi accavallando le ­gambe e i
veli ­immediatamente scivolano sulla mia pelle ­scoprendole
­completamente. Lui prende posto al mio fianco.
«Cosa beviamo?» chiedo girandomi dalla sua direzione.
Allora lo vedo mentre mi squadra dalla testa ai piedi ­facendo
un sorriso malizioso.
«Sì, ti sta proprio bene questo ­vestito, sei molto provocante»
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sorride appoggiando una mano sul mio g­ inocchio.
«Se non togli immediatamente quella mano ­giuro che ti
ficco il mio tacco 12 in un occhio» e lui ride subito ­alzando le
mani in segno di arresa.
«Con te ho perso le speranze ormai».
«Ecco, bravo».
«Facciamo qualche giro di tequila?»
«Tequila?» ripeto io che solitamente non amo bere
alcolici.
«Certo, ho trascorso le mie migliori serate con la tequila»
spiega lui mentre ne ordina due.
«Non oso immaginare».
«Sì, meglio non farlo» sorride accattivante girandosi
di nuovo dalla mia direzione.
«Sei proprio un demonio» non posso fare a meno
di c­ ommentare scuotendo la testa.
«Perspicace non c’è che dire» afferma serio prendendomi
in giro facendomi sbuffare.
«Sarà davvero una lunga serata» commento osservando
i ­nostri bicchieri appena arrivati.
«Oh... non immagini quanto angioletto».
- 57 -
Capitolo 8
M
ancano pochi minuti alla mezzanotte
così ­inizio a ­preparare lo ­spumante. Ho il
­sorriso stampato sul viso, sono felice. Mi sto divertendo
come probabilmente non ho mai fatto. Io e Azura non
­smettiamo di ridere, siamo ubriache ­fradice ma va bene
così. Lucio mi è rimasto a fianco per quasi tutta la serata
insieme ad Azura e Daniel contribuendo ­notevolmente
nella riuscita della serata, non lo facevo così simpatico.
Ormai non lo vedo da un po’, come al solito si è dileguato
senza lasciare tracce e stranamente me ne rattristo.
Mezzanotte e stappo la bottiglia per dare subito dopo
inizio alla fase successiva: auguri, auguri e ancora auguri.
Mi guardo intorno e lui non c’è... oh, insomma che mi
­succede? Devo smetterla di pensare a lui e di cercarlo
ovunque. Si ricomincia con i festeggiamenti e tutti ci
­buttiamo sulla pista da ballo. Ad un tratto lo vedo in
lontananza e non ­posso fare a meno di sorridergli, lui
ricambia avvicinandosi per poi, una volta di fronte a
me, ­staccare la rosa rossa dal suo occhiello e porgermela
­gentilmente.
«Auguri per i tuoi diciotto anni Lilith, adesso una nuova
vita ti attende» ed è più serio del solito mentre pronuncia
queste parole.
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«Grazie» rispondo io accettandola volentieri.
«Stasera ti stai comportando da vero gentiluomo».
«Stasera? Io sono sempre un gentiluomo» afferma
­pavoneggiandosi rubandomi un sorriso. Mi sento chiamare
così mi volto dando le spalle a Lucio; sono le amiche di
Eva le riconosco subito. Mi fanno dei sorrisetti che anche
a chilometri di distanza ci si può accorgere di quanto
siano falsi.
«Auguri Lilith, è stata davvero una bella festa» io non
rispondo nemmeno, mi limito esclusivamente a ricambiare
con un sorrisetto acido. Mi rigiro e lui è di nuovo scomparso
così noto Azura avvicinarsi.
«Mentre tu parlavi con quelle, Eva ha preso Lucio per un
braccio e si sono allontanati. Sono venute apposta per distrarti
mi sa» sussurra al mio orecchio.
«Cosa? Ma questo è assurdo, come se a me importasse
qualcosa di lui». Azura mi guarda in uno strano modo.
«Vuoi dirmi che non ti dà fastidio?» chiede.
«Certo che no, perché dovrebbe?»
«Beh meglio così allora perché sono proprio lì, di fronte a
te» ­conclude la mia amica facendo un cenno. Seguo il suo
­sguardo e li vedo. Stanno parlando o meglio è lei a parlare,
lui ascolta serio. Eva sembra quasi accorgersi del mio sguardo
su di loro e si gira immediatamente dalla mia parte facendo
un sorriso maligno guardandomi dritto negli occhi.
Si volta di nuovo a guardare Lucio finché gli si avvicina
ancora afferrandogli il viso tra le mani ­facendolo ­abbassare
leggermente verso lei, per poi baciarlo sulle ­labbra davanti a
tutti. Lui rimane immobile senza ­obiettare ­lasciandola fare.
Mi paralizzo all’istante.
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«Non ci posso ­credere!» ringhia Azura al mio fianco.
«Quella strega baldracca, sarebbe capace di qualsiasi cosa pur di
farti un torto» afferma ancora con rabbia.
«Non mi sembra però che a lui dispiaccia».
«Stai bene?»
«Certo perché non dovrei?» dico sforzandomi però a fare
un sorriso.
«Mhmm non mi convinci tanto» continua la mia a­ mica.
«Te lo assicuro è solo che mi gira un po’ la testa, forse è
meglio se prendo una boccata d’aria».
«Vengo con te».
«No, no non serve, tu sta’ con Daniel e goditi la serata
anche con lui» le sorrido.
«Sicura?»
«Certo».
«Va bene allora, sta attenta e non te la prendere, in fondo
è stata lei a baciarlo».
«Azura, ti assicuro che non mi importa assolutamente
niente» e adesso non so nemmeno io se è vero quello che dico
visto la sensazione di fastidio che provo in questo momento.
Mi avvio verso l’uscita non degnando nessuno di uno
sguardo. Sento le amichette di Eva guardarmi e ­ridacchiare
così alzo anch’io il mio sguardo verso loro e mi apro in un
sorriso. Queste ­rimangono confuse, non capiscono la mia
reazione ed è proprio questo quello che voglio.
Finalmente sono fuori e ­assaporo l’aria, è fresca.
Ho la scena di quel bacio impressa nella mente. Decido
di ­allontanarmi, voglio silenzio e ­tranquillità così tolgo
le scarpe ed è già un gran sollievo. I veli del ­vestito
adesso strisciano a terra mentre continuo a ­camminare ­
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dirigendomi verso il mio posto preferito: l’ingresso del bosco.
Arrivo quasi subito e mi siedo sull’erbetta fresca
prendendo un respiro profondo per poi togliere la maschera
­lasciandomi accarezzare dalla brezza notturna; è davvero
piacevole. Ascolto i rumori della natura rilassandomi.
«Sapevo saresti venuta qui». Non serve girarmi per capire
di chi si tratta.
«Perché sei venuto? Avevo voglia di restare un po’ sola».
Lucio si siede accanto a me e toglie anche lui la maschera.
«Davvero?» Non rispondo non degnandolo nemmeno
di uno sguardo.
«Sembri innervosita, c’è qualcosa che non va?» domanda.
So dove vuole arrivare, ma io continuo a non rispondere con
l’intenzione di non calcolarlo affatto.
«Hai visto che è stata lei a baciarmi» dice a­ ll’improvviso.
«Sì, ho visto anche come tu ti sei opposto».
«Ah... allora è davvero questo che ti ha dato fastidio»
sorride soddisfatto facendomi sbuffare.
«In realtà non è il bacio in sé a darmi fastidio, ma il fatto
di aver compiuto quel gesto soprattutto per fare un torto a me
davanti a tutti, quasi come per far capire chi comanda, e ­questo
mi ­innervosisce parecchio» spiego guardando l’entrata del
bosco che ho di fronte.
«Se è solo quello il problema potresti baciarmi anche tu»
­propone tranquillo e allora mi giro a guardarlo sbuffando
­rendendomi subito conto di aver quasi dimenticato la ­
bellezza e la ­perfezione del suo viso nascosto da quella
maschera.
«Neanche morta!» rispondo facendolo ridere.
«Hai ­proprio una passione nel farti baciare, mi chiedo se tu
- 61 -
abbia mai ­baciato qualcuno di tua spontanea volontà»
è l’alcol a farmi parlare. Lui mi guarda, stupito dalla ­domanda.
«In realtà no, non ne ho mai avuto voglia».
«Quindi non ti sei mai innamorato di nessuno».
«Innamorarmi? Dimentichi che sono un demone e ai
demoni non è concesso amare». Lo guardo confusa.
«Non vi è concesso amare? È una cosa tristissima questa».
«Triste? A me non sembra affatto» risponde ­lui.
«E tu? Ti sei mai innamorata?» chiede infine ­guardandomi.
«Beh... in verità c’era un ragazzo che mi piaceva ma non
credo si trattasse di vero amore, penso fosse più un’infatuazione».
«E qual è la differenza?» chiede curioso. Rifletto.
«Ecco... in realtà sono l’ultima persona a cui puoi
chiederlo. ­Personalmente penso che l’infatuazione corrisponda
più alla ­prima fase, cioè quando vi è solo attrazione fisica e
chissà per quale motivo voglia di conoscere e approfondire il
rapporto con l’altra persona, probabilmente per capire se la
cosa possa ­diventare seria. Mentre l’amore... beh penso che
innamorarsi di una persona sia completamente diverso.
È donarsi ­totalmente e incondizionatamente anche senza
ricevere nulla in cambio, mettere al primo posto il bene
di colui o colei che ami ­piuttosto che il tuo, aspirare alla
sua felicità anche se ­significa far ­qualcosa che ti rende
­infelice, essere ognuno la spalla dell’altro ­sempre e comunque,
voler conoscere ogni aspetto del suo ­carattere, del suo essere;
avere lo stomaco sottosopra, gioire delle sue vittorie senza
invidia e piangere per le sue disgrazie come fossero le tue,
essere un’unica cosa insomma. Penso sia questo il vero
amore o almeno lo spero» concludo guardando di fronte a me
non ricevendo alcuna risposta.
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Mi volto a guardarlo e mi accorgo che si è ­avvicinato
parecchio ­senza che me ne rendessi conto. Allunga la mano
sulla mia spalla avvicinandosi ancora, spiazzandomi, per
poi spingermi a sdraiarmi delicatamente continuando a ­
tenere il suo viso a pochi centimetri dal mio e io non ho
la forza di obiettare. Sento il suo profumo e me ne inebrio.
Il suo ­respiro diventa pesante, il suo fiato caldissimo.
Che sta ­facendo? Chiude gli occhi e con la punta del naso
sfiora la mia guancia scendendo lentamente verso il collo
e allora intuisco.
«Lucio, no... togliti» mi dimeno cercando di ­allontanarlo
con le braccia e la sua pelle scotta. Lui alza il viso per
fissarmi e mi paralizzo. I suoi occhi dalla pupilla ­verticale
sono fiamme ardenti e mi incutono una gran paura
­affascinandomi allo stesso tempo.
«Ferma!» sussurra fissandomi e in quel preciso istante
le mie braccia cadono. Per quanto continui a sforzarmi
non riesco più a controllare il mio corpo, è paralizzato,
vittima del suo comando.
«Cosa mi hai fatto? Non riesco più a muovermi! Non ti
azzardare a...» ma le mie parole vengono bloccate dalla sua
mano che adesso copre la mia bocca. Affonda di nuovo il
suo viso nel mio collo prendendo boccate profonde, ­sento
­qualcosa di freddo sfiorarmi e capisco subito che sono
i suoi denti, mentre io sono costretta a guardare il cielo
senza ­potermi ribellare. Mi prende un braccio e annusa
anche il polso salendo lentamente verso la spalla e il mio
cuore ­inizia subito a battere all’impazzata. Ora si ­avvicina
al mio ­orecchio.
«Se non ti calmi non sarò più in grado di controllarmi,
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sento le vene pulsare sotto la tua pelle» sussurra ­facendomi
­rabbrividire. Infine poggia la testa sul mio petto non
muovendosi più, ­mentre le sue labbra sfiorano ancora il
mio collo. Prende ­ancora qualche boccata profonda e
­finalmente mi libera la bocca.
«Stai... stai cercando di mordermi?» chiedo piuttosto
intimorita.
«No» risponde appena lui e da una parte riesco
a ­tranquillizzarmi, anche se non so fino a che punto
sia ­sincero.
«Lilith... devi venire con me» afferma ­improvvisamente.
«Che vuoi dire?»
«Stanotte andremo via da qui».
«Che cosa? Sei impazzito? Io non vengo da nessuna parte».
«Non è una decisione che spetta a te prendere» e allora
il terrore si impossessa di nuovo di me.
«Che cosa vuol dire? Certo che è una mia decisione.
Perché mai dovrei venire con te?» e lui sbuffa subito, quasi
annoiato.
«Perché è il tuo destino. In realtà mi hanno mandato in­
questo collegio solo per prendere te. Aspettare il tuo ­diciottesimo
­compleanno e portarti via» spiega con spaventosa calma.
Si alza e finalmente sono libera di muovermi
accorgendomi che adesso i suoi occhi sono ritornati chiari
e cristallini come il ghiaccio.
«Ma che stai dicendo? Non puoi costringermi» ringhio
­alzandomi.
«È inutile ribellarsi o scappare, verrò a riprenderti
ovunque tu vada» afferma guardandomi fisso negli occhi con
sguardo tagliente aumentando ancora di più il mio terrore.
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«Tu sei pazzo, mio padre non ti permetterà di portarmi
via!»
«Stiamo andando proprio da lui» comunica alzandosi
«è ora che tu scopra chi sei veramente».
Mi sembra di vivere un incubo, sono così confusa che
sento quasi la testa esplodere eppure decido lo stesso di
­andare subito da papà, molto meglio che stare sola con lui in
un posto isolato come questo.
Arriviamo quasi subito davanti alla porta del suo studio
­mentre io continuo a ripetermi che probabilmente si ­tratta
solo di uno scherzo. Stranamente papà è ancora sveglio,
Lucio apre la porta senza neanche bussare e lo vedo
subito seduto dietro la scrivania con il viso segnato da
un’espressione ­serissima.
«Papà, spiegami ­immediatamente cosa sta ­succedendo
perché non ho proprio capito cosa vuole questo qua da me»
­affermo agitata indicando Lucio.
«Calmati Lilith... sedetevi tutti e due» dice con voce
­tremante passandomi un bicchiere d’acqua che bevo
all’istante. Così io e Lucio ci ­sediamo sul divanetto e mio
padre prende un respiro profondo.
«Lilith... non so da dove iniziare, sono anni che mi preparo
questo discorso eppure adesso non so che dirti» inizia tenendo
il viso basso.
«Papà, mi stai spaventando» confesso.
«Ti racconterò una storia» continua alzandosi ­prendendo
un libro che non avevo mai visto prima, sembra molto
antico. Lo apre.
«Tempo fa vi fu una guerra feroce e sanguinosa in cui
demoni e angeli combatterono tra loro senza esclusione di colpi.
- 65 -
I demoni uccidevano gli angeli spinti dalla sete del loro
sangue, quasi ­irresistibile per essi; mentre gli angeli, a volte per
difesa altre per vendetta, uccidevano i demoni, dando così vita
a gravissime perdite in entrambi i lati.
Questa guerra durò moltissimo tempo, fino a quando si
decise di arrivare ad un accordo. Uno degli angeli più
importanti del cielo, il messaggero di Dio Gabriel e il più
fidato consigliere di Lucifero, Giuda, decisero di stipulare un
patto. I demoni non si sarebbero mai fermati spinti dalla loro
maledetta sete, a meno che, non avessero trovato un modo per
accontentarli.
Così nacque l’idea di sacrificare una ­singola persona, un
singolo angelo, per il bene di tutti. Ogni cento anni, da quel
giorno, il caso decide quale famiglia colpire, quale famiglia di
angeli darà alla luce il cosiddetto “Diamante nero”, ­riconoscibile
dagli altri grazie ai suoi occhi e i suoi capelli scuri; un
bambino senza poteri ma con il sangue di angelo con il quale i
demoni possono sfamarsi.
Il compito della famiglia colpita è sempre ­stato quello
di portare il bambino in questo collegio per tenerlo allo scuro
di tutto fino a quando non avesse compiuto 18 anni, ­giorno
in cui inizia la metamorfosi vera e propria e ­giorno in cui
sarebbe giunto il tempo di affrontare il proprio ­destino.
Purtroppo Lilith, bambina mia, sei proprio tu il ­nuovo
Diamante nero» conclude guardandomi con occhi lucidi.
Che storia è mai questa? Inizio subito a ridere.
«È uno scherzo vero? Non è affatto divertente sapete,­
quando vi siete messi d’accordo voi due?» chiedo ­sorridendo
guardando ­entrambi che però rimangono seri.
«Cioè... ­insomma non può essere vero, è solo uno scherzo
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g­ iusto?» ripeto ­guardando mio ­padre che però abbassa il viso
­demoralizzato.
«Ma... ma tu mi hai cresciuta come una figlia, mi hai
sempre dato tutto! Se questa assurda storia fosse vera tu...
tu non puoi permettere che mi portino al macello così,
senza obiettare» urlo seriamente ­preoccupata, ma mio padre
continua a ­tenere lo sguardo b­ asso senza rispondere.
«Il sacrificio di un’unica persona per il bene di tutti»
commenta Lucio t­ ranquillo.
«Il mio sacrificio! Io non sono il tuo cibo!» strillo
guardandolo. «Papà, ti prego non puoi permettere che mi ­
porti via» scoppio ­adesso in lacrime.
«Purtroppo non ­posso fare ­niente Lilith, è un ­compito che è
­sempre spettato alla mia ­famiglia quello di far ­crescere in salute
il Diamante nero e ­anche se mi ribellassi non avrei nessuna
­possibilità contro ­Lucio» s­ ussurra appena.
«Appunto, quindi credo sia ora di ­andare adesso» dice il
­demone alzandosi.
«Non osare ­avvicinarti, preferisco di gran ­lunga
­morire ­piuttosto che venire con te» dico alzandomi
mentre di colpo la mia vista si appanna e ­tutto ­intorno
a me inizia a girare. Metto una mano in testa perdendo
l’equilibrio ­appoggiandomi sul tavolo.
«Che cosa mi succede?» e in quell’istante noto nei bordi
del ­bicchiere d’acqua che mi ha offerto mio padre una
strana polverina bianca. Mi ha ­drogata! Lo guardo ­carica
d’odio. «Come hai ­potuto farmi questo?» ­riesco appena
a ­sussurrare mentre riesco a vedere sempre meno dettagli
prima di cadere nel buio t­ otale.
Riesco ad aprire gli occhi non so quanto tempo dopo.
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«Ti sei svegliata finalmente» sento. Mi manca quasi l’aria fa
un caldo assurdo, mi guardo attorno confusa. Sono ­distesa
su un grande letto di una stanza priva di finestre, vi è solo
un’enorme porta in fondo. Lucio è seduto di fronte a me
con le gambe accavallate ed espressione seria. Mi siedo
anch’io con sforzo.
«Vigliacco, dove mi hai portata?» chiedo con un filo di
voce.
«Sei a casa mia adesso, agli Inferi» afferma senza ­
cambiare espressione. Prendo un respiro profondo e mi
alzo in uno scatto correndo subito verso la porta mentre
lui rimane immobile. Cerco di aprirla con forza ma è ­chiusa
a chiave così inizio a darle delle pedate, dei pugni, cerco di
sfondarla con una spallata ma niente da fare. Mi guardo
­intorno, non ci sono altre possibili uscite.
«Se esci da quella porta sarai automaticamente morta, ti
attaccheranno tutti a vista con il profumo che fai».
«Meglio morire che essere il vostro pasto!»
«Anche se stiamo parlando di una morte atroce?» mi ­zittisce.
Non lo riconosco. Dov’è finito il gentiluomo della
scorsa notte? Quello che mi faceva ridere, che mi difendeva.
«Fammi uscire».
Lui si limita ad alzarsi avvicinandosi ad un tavolo ­della
stanza. «Ti ho portato qualcosa da mangiare. Avrai fame»
afferma.
«Ti ho detto di farmi uscire!» strillo. Mi guarda ­impassibile.
«Anche se volessi non potrei quindi è inutile che fai storie».
«Ti prego, ti scongiuro...» e iniziano subito a scendere
calde lacrime dai miei occhi «fammi uscire».
«Spero imparerai molto presto che pregare, con me, è del
- 68 -
tutto inutile» afferma duramente. «Ti ho portato anche un
ricambio e delle scarpe, sarai più comoda» continua.
I miei occhi si posano sulla tavola apparecchiata per
me e noto subito un coltello affilato, allora corro, lo afferro
­velocemente e mi lancio contro di lui. Lucio alza il ­braccio
mentre io gli affondo la lama nella carne aiutandomi con
entrambe le braccia prima di essere colpita subito da una
­violenta spinta che mi scaraventa sul letto. Lui afferra il
coltello ancora ­conficcato nel suo braccio e lo estrae come
se nulla fosse e quasi contemporaneamente, sotto il mio
sguardo stupito, vedo la sua ferita richiudersi in pochi attimi.
Rimango pietrificata. I suoi occhi si infiammano, procede
velocemente verso me afferrandomi il viso con una mano
stringendolo con forza, e mi fa male.
«Prova a ferirmi un’altra volta e giuro che te la faccio
pagare» ­afferma con voce dura aumentando il mio terrore.
Ad un tratto però, sento qualcosa: un odore ­fortissimo,
­irresistibile e non penso più nemmeno a cosa stia ­
succedendo. ­Chiudo gli ­occhi inebriandomi con esso ­
facendo respiri ­profondi. Lui sembra accorgersene e ­decide
di lasciare la presa ­guardandomi incuriosito. ­Avvicina
il suo braccio ­insanguinato al mio viso e cado in estasi.
Il suo sangue ha l’odore più dolce che abbia mai sentito.
Lo ­afferro con ingordigia; lo voglio, voglio ­assaggiarlo.
Avvicino le mie labbra e ne lecco una goccia. Lui me lo
­strappa subito dalle mani e mi rendo conto solo adesso di
quello che ho fatto, così mi allontano con rapiditá.
«Non sai in quanti sono morti per molto meno.
Te lo dico bello chiaro e tondo, non ti ­azzardare mai più
a provare a bere il mio sangue».
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«Perché mi succede questo?» chiedo confusa e s­ convolta.
«A quanto pare la metamorfosi sta avvenendo molto più
­velocemente di quanto pensassi» sussurra riflettendo, per
poi indirizzare ancora una volta il suo sguardo su di me.
«Ci vediamo tra qualche giorno, qualcuno verrà a prendersi
cura di te» conclude con freddezza dirigendosi verso la porta.
Io cerco di alzarmi il più velocemente possibile
iniziando a correre dalla sua direzione, ma quando arrivo
a toccare l’uscio questo è ormai di nuovo chiuso a chiave,
così mi accascio a terra disperata accorgendomi di indossare
ancora l’abito che proprio lui mi ha regalato e che sono stata
felice di ricevere.
Ma l’unico conforto che adesso riesco a trovare mi è
dato ­esclusivamente dal ridurlo in brandelli con le mie stesse
mani, tra le urla e il pianto.
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LA
INFERORUM
GEMMAE
SAGA
è composta da:
I LIBRO
DIAMANTE NERO
II LIBRO
RUBINO ROSSO
III LIBRO
ZAFFIRO BLU
Rubino Rosso e Zaffiro Blu
prossimamente
disponibili
anche in formato
cartaceo.
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