I soldi ci sono. Rassegna degli sprechi e

Transcript

I soldi ci sono. Rassegna degli sprechi e
I SOLDI CI SONO. RASSEGNA DEGLI SPRECHI E PROPOSTE OPERATIVE
PER IL RECUPERO DI RILEVANTI RISORSE ECONOMICHE *
Davvero “Non ci sono più soldi”, come ha detto il Presidente della Regione
Piemonte e Presidente della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino, in un
recente incontro con i Sindaci della Provincia di Novara? (1). Alla luce delle quotidiane notizie di male gestioni e reati ai danni dello Stato, la mancanza di risorse è
una colossale bufala: miliardi di euro in Italia vengono sottratti al settore pubblico
o sono spesi per opere che esulano dalle competenze degli Enti pubblici e sono
molto spesso fonte di ingenti passivi di bilancio. Intanto resistono vergognosi privilegi, a partire dai vitalizi.
«Non ci sono soldi». Da decenni con lo stesso slogan, rilanciato purtroppo anche da molti
rappresentanti delle organizzazioni sociali e da
operatori delle associazioni di volontariato, la
carenza di risorse è un falso luogo comune
ripetuto da molti esponenti delle istituzioni del
nostro Paese per giustificare il mancato o parziale intervento a favore delle fasce più deboli
della popolazione e in particolare di coloro che
non possono difendersi da sé, perché non
autosufficienti. Tale intervento dev’essere invece sempre pienamente assicurato quando
esso è un diritto esigibile in base alle leggi in
vigore.
È evidente che i finanziamenti delle istituzioni
pubbliche (Parlamento, Governo, Regioni,
Province, Comuni, ecc.) dovrebbero essere
destinati in primo luogo (il che non vuol dire in
modo esclusivo) a garantire condizioni accettabili di vita alle persone in gravi condizioni di
disagio e non in grado di provvedere autonomamente alle loro esigenze vitali. É buona
* Si vedano sullo stesso tema i seguenti articoli apparsi su questa rivista: “Indifferibili esigenze dei soggetti deboli: valutazioni e
proposte in merito all’evasione fiscale, agli sprechi e ai patrimoni
sottratti ai poveri” n. 171, 2013; “Una prima risposta al pretesto
della scarsità delle risorse economiche indispensabili per le esigenze vitali delle persone non autosufficienti” n. 175, 2011;
“Ulteriori risposte al pretesto della mancanza di sufficienti risorse
pubbliche per le vitali esigenze delle persone non autosufficienti”,
n. 176, 2011; “Possibili risparmi concernenti il Servizio sanitario
nazionale e altri settori”, n. 177, 2012; “Beni per 100 milioni di
Ipab sostanzialmente inattive: la Regione Piemonte e il Comune
di Torino stanno a guardare” e “Immobili di proprietà del settore
pubblico per un valore di 42 milioni di euro rapidamente vendibili” n. 178, 2012.
(1) La Stampa, 11 novembre 2014 – Fonte: http://www.lastampa.it/2014/11/16/edizioni/novara/novara-chiamparino-incontra-isindaci-non-abbiamo-pi-soldi-TKZbHkT0iAgRRFgkFyHBrJ/pagina.html
50
norma di tutte le persone di buon senso provvedere prima alle spese indispensabili per vivere e poi a quelle concernenti i bisogni non vitali (svago, tempo libero, ecc.).
In realtà, come è dimostrato anche dagli
esempi più avanti riportati, il Parlamento, il
Governo, le Regioni e gli Enti locali continuano
a finanziare attività non indispensabili e, intanto, non assicurano le risorse necessarie per
garantire le cure socio-sanitarie agli anziani
malati cronici non autosufficienti, alle persone
colpite da demenza senile, a quelle con disabilità intellettiva grave o affette da patologie psichiatriche che ne limitano, fino ad annullarla,
l’autonomia. Così facendo, le istituzioni, che
dovrebbero tutelarli, non forniscono alle persone non in grado di autodifendersi condizioni
accettabili di vita.
Riportiamo di seguito alcune informazioni e
proposte, sicuramente non esaustive, in
risposta al pretesto della scarsità delle risorse economiche molto spesso utilizzato dagli
Amministratori ad ogni livello di governo per
negare gli interventi per la fascia più debole
della popolazione. Si tratta di indicazioni a
nostro parere utili e urgenti da applicare per
eliminare concretamente sprechi e spese
inutili e per l’acquisizione di ingenti nuove
risorse (nell’ordine dei miliardi di euro) fondata su criteri di giustizia.
Premessa
Chi sono le persone più deboli alle quali
devono essere assicurate le prestazioni socio
sanitarie? Si tratta delle persone con disabilità,
inabili al lavoro e prive di risorse economiche,
Prospettive assistenziali, n. 188, ottobre-dicembre 2014
alle quali viene data (anno 2014) la misera pensione di 279,19 euro mensili per 13 mesi. A
coloro che necessitano di assistenza 24 ore su
24, curati a domicilio da congiunti o da terze
persone, è erogata una indennità di accompagnamento il cui importo è di appena 504,07
euro al mese (meno di 17 euro al giorno).
E ancora: sono gli anziani malati cronici non
autosufficienti e le persone colpite dal morbo di
Alzheimer o altre forme di demenza senile, che
sono molto spesso, in violazione delle leggi
vigenti, dimessi da ospedali e case di cura private convenzionate e scaricati alle famiglie
nonostante permanga la necessità della prosecuzione delle prestazioni sanitarie. Le persone malate psichiatriche gravi con limitata o
nulla autonomia alle quali quasi sempre vengono illegittimamente negate le prestazioni di
competenza esclusiva del Servizio sanitario
nazionale, lasciandole a totale carico dei familiari.
Infine, va segnalato che gravemente carenti
sono le prestazioni domiciliari, ambulatoriali e
residenziali (comunità alloggio) per i soggetti
con handicap intellettivo o con autismo e limitata o nulla autonomia, nonostante le leggi vigenti obblighino le Asl ed i Comuni di provvedere
alla istituzione di centri diurni e di strutture di
accoglienza residenziali.
In Piemonte sono 32mila i malati cronici non
autosufficienti in attesa da anni di ricevere le
prestazioni socio-sanitarie a cui hanno pieno e
immediato diritto in base ai Livelli essenziali di
assistenza socio-sanitaria - Lea: cure domiciliari, centri diurni per i soggetti colpiti da demenza
senile, ricoveri convenzionati presso Rsa,
Residenze sanitarie assistenziali. Esclusivamente a Torino, l’illegale lista di attesa è di oltre
12mila persone con patologie invalidanti e non
autosufficienza, di cui circa 3.500 per un posto
convenzionato in Rsa e circa 8.500 per le cure
domiciliari.
PROVVEDIMENTI PER ELIMINARE
IMMEDIATAMENTE VISTOSI SPRECHI
E GARANTIRE IL RECUPERO/RISPARMIO
DI INGENTI RISORSE
Ridurre l’evasione fiscale
I dati dell’evasione fiscale sono impressionanti. È necessaria una politica severa di conProspettive assistenziali, n. 188, ottobre-dicembre 2014
trollo e repressione del fenomeno. «In Italia si
registra un’evasione pari al 27 per cento del
gettito complessivo (e che da sola vale più di un
quinto del totale europeo), mentre la Germania
sta a quota 16 per cento e la Francia al 15. La
Confcommercio stima il fenomeno in 154 miliardi; la Confindustria in 124,5». (L’Espresso, 4
luglio 2013).
Legale erosione delle imposte
Intervistato da Mattia Feltri (La Stampa, 12
settembre 2011) Antonio Martino, economista
ed ex Ministro degli esteri del primo Governo
Berlusconi, ha segnalato quanto segue: «La
lotta all’evasione è ovvia, ma qui si tratta di tappare subito i buchi di questo acquedotto pieno
di falle e ci sono gli strumenti legali. Faccio un
esempio. Un caro amico, che purtroppo non c’è
più, il professore di scienze delle finanze, Giulio
Romani, mi raccontò che lo studio di Giulio
Tremonti, nel solo primo anno di attività, fece
erodere 600 miliardi di lire di base imponibile.
Tutto legale, per carità. Ma basta che non lo sia
più».
Unificazione dei Comuni
Una riduzione notevole della spesa pubblica
sarebbe sicuramente realizzata con l’unificazione dei Comuni (in totale 8.094) di cui ben 3.532
hanno meno di 2mila abitanti, 832 hanno meno
di 500 abitanti e addirittura 47 meno di 100.
Ridurre al minimo
le società partecipate
Occorrerebbe ridurre al minimo la giungla
delle circa 8mila società municipalizzate italiane che costano 13 miliardi di euro all’anno,
hanno accumulato un indebitamento superiore
ai 34 miliardi (dati Libero, 9 aprile 2014). Quelle
censite dal Ministero dell’economia e delle
finanze hanno perso solo nel 2012 1,2 miliardi
di euro, ma è un dato incompleto (La Stampa,
8 luglio 2014).
Risorse da recuperare
dal patrimonio pubblico
Come bacino da cui attingere per le risorse
da destinare alle prestazioni socio-sanitarie
(Livelli essenziali di assistenza), è presente
l’immenso patrimonio pubblico italiano calcola51
to (cfr. La Stampa del 19 ottobre 2010) in 408
miliardi di euro, comprendente immobili e proprietà per un valore di 78 miliardi, delle Regioni
(11 miliardi), dei Comuni (227 miliardi) e delle
Province (29 miliardi). Inoltre c’è il tesoro dello
Stato italiano azionista di oltre 2.500 società
per un importo stimato in 140 miliardi di euro
(La Stampa del 12 agosto 2010); le spese militari del nostro Paese (593 dollari per abitante e
1,8% del Pil) addirittura superiori a quelle della
Germania (558 dollari per abitante e corrispondente all’1,4% del Pil), nonché a quelle del
Giappone (401 dollari, 1% del Pil) (La Stampa
del 9 settembre 2013).
Ridurre i privilegi delle istituzioni
Per quanto riguarda gli enormi e immotivati
privilegi concessi a determinate categorie e
pagati con risorse pubbliche ci limitiamo a
segnalare i casi seguenti:
- i costi della Camera e del Senato incidono
sul bilancio dello Stato ogni anno per l’imponente cifra di 1,5 miliardi di euro. Lo 0,1% del
Pil (Il Sole 24 Ore, 2 giugno 2013). «I guadagni
degli eletti di Camera e Senato sfiorano i 20
mila euro lordi al mese: 5 mila sono stipendio,
altri 7 mila netti sono rimborsi (automatici e
pagati anche senza presentare uno scontrino)
e non vanno dichiarati. In una legislatura
407.940 e 434.400 euro. Tutto esentasse. A
questi soldi vanno aggiunti 1.200 euro l’anno di
spese telefoniche certificate e 1.850 euro circa
al mese per il cosiddetto “esercizio di mandato”. Fanno altri 23.400 euro ogni dodici mesi»
(cfr. Il Fatto quotidiano, 11 luglio 2014);
- gli ex Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato godono di privilegi da
epoca feudale. Da La Stampa del 30 marzo
2012 risulta che Pietro Ingrao, Presidente della
Camera dei Deputati dal 1976 al 1979 ha da 22
anni una stanza a Montecitorio e quattro addetti; Irene Pivetti, Presidente nel 1994 ha due
stanze a palazzo Marino e un impiegato che
lavora per la sua onlus; Fausto Bertinotti
(Presidente della Camera dei Deputati dal
2006 al 2008) ha a disposizione ben cinque
stanze a palazzo Theodoli-Bianchelli e cinque
funzionari; Luciano Violante (1996-2001) ha
un’anticamera, tre stanze e un ufficio con terrazzo e quattro impiegati, mentre Pierferdi52
nando Casini (2001-2006) utilizza tre stanze
con terrazzo a Montecitorio e quattro funzionari, cui ha rinunciato di fronte all’indignazione
popolare. Appresa la riduzione degli assurdi
privilegi (chi lascia i vertici della Camera dei
Deputati o del Senato conserva i privilegi – uffici e addetti – solamente per dieci anni!) l’ex
leghista Pivetti ha avuto l’ardire di affermare:
«É il frutto di un clima forcaiolo, colpiscono chi
non c’entra nulla con la casta (...). Tagli degni
della Russia zarista»;
- tenuto anche conto delle rilevanti spese di
gestione, il Presidente della Repubblica
dovrebbe valutare la possibilità di vendere la
villa Rosebery di Napoli, estesa su una superficie di mq. 66.056 e di ridimensionare la tenuta
di Castelporziano che copre una superficie di
5.862 ettari e comprende ben 3,1 chilometri di
spiaggia ancora incontaminate. Inoltre dovrebbe operare una consistente riduzione delle
spese riguardanti l’oramai anacronistica struttura dei Corazzieri a cavallo. Ricordiamo (cfr.
Prospettive assistenziali, n. 175, 2011) che i
dipendenti della Presidenza della Repubblica
sono oltre 2mila, mentre i Sovrani d’Inghilterra
ne hanno circa 300 e la Casa Bianca poco più
di 450;
- la retribuzione lorda del Presidente della
Corte costituzionale è di 549.407 euro
annui, quella dei giudici costituzionali di
457.839 euro. La retribuzione media lorda dei
12 giudici britannici è di 217.000 euro, meno
della metà. Il Canada è simile: 234.000 euro
per il Presidente, 217.000 per i giudici. Negli
Usa siamo a circa un terzo della retribuzione
italiana: 173.000 euro per il Presidente e
166.000 per i giudici (cfr. “La Corte costituzionale: uno scandalo nascosto” di Roberto
Berotti, lavoce.info, 8 novembre 2013);
- consistenti risparmi sarebbero poi concretizzabili affrontando la questione delle Regioni a
statuto speciale. Come è stato riferito da
Avvenire del 15 dicembre 2013, mentre nel
2012 la spesa pro-capite della Regione Valle
d’Aosta ammontava ad euro 11.725 (Provincia
autonoma di Bolzano euro 9.355, Provincia
autonoma di Trento 8.717), quella del Piemonte era di 2.412 (Lombardia 2.220, Veneto
2.094), fatto che contrasta nettamente con i più
elementari principi di giustizia.
Prospettive assistenziali, n. 188, ottobre-dicembre 2014
Abolizione dei vitalizi
Dovrebbero essere aboliti i vitalizi previsti per
gli ex Parlamentari e gli ex Componenti dei
Consigli regionali e delle Province autonome.
Anche per questi soggetti dovrebbero essere
applicate le norme sul pensionamento previste
per tutti i cittadini.
Ridefinizione della povertà
Occorrerebbe procedere ad una ridefinizione
nazionale della povertà, valutando se, come
avviene oggi, può essere considerata povera la
persona che ha proprietà immobiliari non affittate di qualsiasi valore e beni mobili di un certa
consistenza, poiché la ricchezza viene valutata
molto spesso solo in funzione del reddito e non
dei patrimoni. A questo riguardo ricordiamo che
in base alla legge 133/2008 e il decreto attuativo 16 settembre e 7 novembre 2008, le elargizioni previste dalla Social card non sono concesse solo alle persone che vivono al di sotto
nel minimo vitale, ma purtroppo anche a coloro
che da soli o insieme al coniuge sono proprietari di un immobile ad uso abitativo (di qualsiasi valore economico) per una quota non superiore al 25%, di altri immobili non ad uso abitativo o di categoria C7 (tettoie chiuse o aperte,
anche in questo caso indipendentemente dalla
loro rilevanza economica) per una porzione
non superiore al 10%, non posseggano più di
un’auto di qualsiasi pregio essa sia e dispongano di beni mobili di importo non superiore ai
15mila euro!
Possono accedere alla nuova Social card,
sperimentata in 12 Comuni, che prevede erogazioni bimestrali in ragione della numerosità
del nucleo familiare per un ammontare di: 231
euro mensili per due componenti; 281 per tre
componenti; 331 per quattro; 404 per cinque o
più componenti, anche in nuclei familiari proprietari di abitazione, purché di valore Ici inferiore a 30mila euro, nonché di altri immobili fino
alla concorrenza di un indicatore patrimoniale
Isee inferiore a 8mila euro. Inoltre i componenti del nucleo familiare possono possedere,
senza che questo pregiudichi l’erogazione delle
somme previste, un autoveicolo di cilindrata
inferiore a 1.300 c.c., purché immatricolato da
oltre 12 mesi dalla data di presentazione della
richiesta della Social card, così come di moto di
cilindrata inferiore a 200 c.c., a condizione che
Prospettive assistenziali, n. 188, ottobre-dicembre 2014
la data di immatricolazione dei mezzi risalga ad
oltre tre anni prima.
Non è mai preso in considerazione l’eventuale diritto a crediti esigibili a favore del richiedente della Social card.
Ai possessori di proprietà immobiliari e mobiliari di cui sopra non dovrebbero più essere erogate le prestazioni assistenziali volte a combattere la povertà, ma – qualora necessario –
potrebbero essere concessi dagli Enti pubblici
prestiti a basso interesse.
Ingiustificate agevolazioni fiscali
Per quanto riguarda i trasferimenti di immobili, sono previste dalla normativa vigente rilevanti agevolazioni. Ad esempio, per l’acquisto
di un appartamento viene preso in considerazione per le relative tasse il solo valore catastale, molto spesso di gran lunga inferiore al
valore di mercato dell’alloggio.
Integrazione al minimo delle pensioni
Lo Stato eroga attualmente per l’integrazione
al minimo delle pensioni, per la maggiorazione
sociale e per gli assegni o pensioni sociali la
somma annuale di 54 miliardi di euro.
L’integrazione al minimo della pensione è una
provvidenza condivisibile (anche se occorrerebbe che l’ammontare previsto fosse in grado
di eliminare la povertà assoluta), ma è del tutto
inaccettabile che le integrazioni economiche
siano versate a coloro che posseggono beni
immobili anche di importo molto consistente e/o
patrimoni (azioni, obbligazioni, denaro contante, ecc.) di una certa entità oppure altri beni non
indispensabili di valore rilevante.
Ad esempio l’ex lavoratore ultrasettantenne
che ha conseguito una pensione di 150 euro
mensili (ad esempio perché ha lavorato come
dipendente per un breve periodo di tempo e in
seguito ha svolto attività in proprio) e possiede,
oltre all’appartamento o alla villa dove abita (di
cui non si tiene conto qualunque sia il loro valore), addirittura altri due alloggi (ad esempio
seconda e terza casa non affittati a terzi del
valore complessivo di 400mila euro) i cui redditi calcolati ai fini fiscali sono inferiori a 6mila
euro, riceve dallo Stato ogni anno quale prestazione assistenziale (integrazione al minimo
e maggiorazione sociale) 453,87 euro mensili
53
per 13 mesi che sono comprensivi dei 150,00
euro della pensione.
Pertanto si propone:
a) il blocco delle nuove erogazioni a coloro che dispongono di beni immobili, compresa la prima casa, o beni mobili di rilevante consistenza da definire;
b) vengano assunte idonee misure nei confronti di coloro che già beneficiano delle
provvidenze di cui sopra, compresa, ove sia
possibile, la revoca dell’integrazione.
Pensioni: blocco addizionali
Dovrebbe essere disposto il blocco delle
addizionali economiche relative all’aumento del
costo della vita a coloro che hanno una pensione inferiore all’importo della pensione minima e
che non ricevono l’integrazione al minimo delle
pensioni in quanto sono in possesso di redditi
superiori ai limiti previsti dalle norme vigenti.
Occorrerebbe altresì che l’Inps provvedesse a
inquadrare dette pensioni in una classificazione
specifica, anche al fine di evitare che i relativi
beneficiari continuino ad essere inseriti fra i
poveri, mentre in effetti sono dei benestanti.
Limiti da stabilire
per le pensioni di invalidità
Dovrebbero essere altresì riviste le norme
riguardanti l’importo delle pensioni di invalidità.
Come già accennato sopra, l’umiliante erogazione alle persone impossibilitate a svolgere
qualsiasi attività lavorativa proficua e totalmente prive di risorse economiche, attualmente
(2014) di euro 279,19 al mese (euro 3.629,47
all’anno compresa la tredicesima), viene assegnata anche a coloro che dispongono di un reddito annuo non superiore a euro 16.449,85,
importo che può anche comprendere la proprietà di due alloggi non affittati a terzi.
Riteniamo pertanto assolutamente ingiustificata l’erogazione della pensione di invalidità a
coloro che hanno redditi superiori al minimo
vitale da definire. Le somme risparmiate
dovrebbero essere erogate per elevare dette
pensioni di euro 279,19.
Verifiche bancarie
Segnaliamo come assolutamente positiva – e
54
ne auspichiamo l’estensione per legge a livello
nazionale per tutti gli Enti che erogano contributi economici socio-assistenziali – la condizione imposta dal Consorzio Cisa di Gassino
Torinese a coloro che richiedono l’integrazione
della retta alberghiera a carico dei ricoverati
presso strutture residenziali. La condizione è la
seguente: «Dichiara altresì (…) di autorizzare
espressamente e senza alcuna limitazione, ai
sensi dell’articolo 23 del decreto legislativo
196/2003, il Consorzio Cisa, e per esso il
responsabile del trattamento dei dati personali
ed i relativi incaricati, a richiedere i dati personali dell’assistito ad enti terzi ivi inclusi istituti di
credito e banche, al fine di eseguire le opportune verifiche sulle condizioni socio-economiche
del medesimo». A nostro avviso la sottoscrizione della sopra citata dichiarazione dovrebbe
essere imposta a tutti i componenti maggiorenni dei nuclei familiari che richiedono prestazioni
o agevolazioni economiche.
Obbligo per Asl e Aso di richiedere
il rimborso delle spese sanitarie
Il Parlamento dovrebbe con una apposita
legge obbligare le Asl e le Aso a richiedere a
coloro che, per gravi colpe accertate dalla
magistratura, hanno procurato lesioni a sé e/o
ad altre persone (a seguito di infortuni sul lavoro, malattie professionali, incidenti stradali,
risse o per altri motivi) il rimborso delle spese
sostenute dal Servizio sanitario nazionale per
la cura dei soggetti danneggiati presso ospedali e strutture analoghe. Al riguardo si ricorda
che anche nei casi più eclatanti, come quello
dell’acciaieria Thyssen Krupp, non è stato chiesto ai responsabili il rimborso delle ingenti risorse utilizzate dal sistema sanitario per le lunghe
e costose cure mediche somministrate alle vittime.
Dalla notizia apparsa su La Stampa del 14
ottobre “Pubblicata la tabella di capitalizzazione
delle prestazioni di invalidità civile” sembra che
– finalmente – l’Inps abbia intenzione di chiedere i danni per i sinistri automobilistici che
determinano le prestazioni economiche relative
all’invalidità civile. Si tratta di somme rilevanti,
visto che gli oneri a carico dell’Inps sono i
seguenti: per la donna di 49 anni con l’indennità
di accompagnamento l’esborso è di 105mila
euro, per un uomo di 52 anni con pensione e
Prospettive assistenziali, n. 188, ottobre-dicembre 2014
indennità ciechi 240mila euro e per un ragazzo
di 15 anni con pensione e assegno di accompagnamento di euro 178mila. Analoghe richieste dovrebbero essere obbligatoriamente previste in base ad una legge dello Stato.
Riserva alloggi e realizzazione
delle comunità alloggio nell’ambito
dell’edilizia residenziale pubblica
Una consistente riduzione delle spese si
otterrebbe con l’approvazione di una norma
analoga a quella del 1° comma dell’articolo 4
della legge 17 febbraio 1992, n. 179 “Norme
per l’edilizia residenziale pubblica” in modo da
rendere obbligatoria la riserva di alloggi per
alcune categorie di assistiti (ad esempio comunità alloggio per i soggetti con handicap intellettivo e limitata o nulla autonomia, gruppi
appartamento per malati psichiatrici, ecc.).
Attualmente il succitato comma 1 è così redatto: «Le Regioni, nell’ambito della disponibilità
loro attribuite, possono riservare una quota
non superiore al 15% dei fondi di edilizia agevolata e sovvenzionata per la realizzazione di
interventi da destinare alla soluzione di problemi abitativi di particolari categorie sociali individuate di volta in volta dalle Regioni stesse. Per
tali interventi i requisiti soggettivi e oggettivi
sono stabiliti dalle Regioni, anche in deroga a
quelli previsti dalla legge 5 agosto 1978 n.
457».
Puntare sull’istituto della concessione di pubblico servizio
Nei casi di carenza di fondi pubblici, occorrerebbe puntare sull’istituto della concessione di
pubblico servizio per la creazione dei posti letto
mancanti per gli anziani colpiti da patologie
invalidanti e da non autosufficienza e per le
persone con demenza senile, in base al quale
gli oneri per la creazione di strutture socio-sanitarie (Rsa) sono interamente assunti dal concessionario, che diluisce i costi sostenuti inserendoli nelle rette per il ricovero. La stessa procedura potrebbe essere attuata per i centri diurni e le comunità alloggio. Nei casi in cui l’Asl o
il Comune metta a disposizione i terreni o i fabbricati, il concessionario versa al proprietario le
somme corrispondenti al valore dei succitati
beni.
Prospettive assistenziali, n. 188, ottobre-dicembre 2014
Vendita alloggi dell’edilizia
economica e popolare
Anche al fine di poter disporre delle risorse
necessarie per la costruzione di nuovi alloggi
dell’edilizia economica e popolare, occorrerebbe valutare la possibilità di vendita degli attuali
appartamenti, compresi quelli di proprietà dei
Comuni e degli altri Enti pubblici, agli attuali
inquilini disponibili all’acquisto, se necessario
anche mediante mutui a tasso agevolato.
Nessuna modifica dell’attuale situazione
dovrebbe essere assicurata agli attuali inquilini
che non sono disponibili all’acquisto.
Aumento quota destinata alla sanità
del premio assicurazioni
Al fine di reperire ulteriori risorse occorrerebbe verificare la possibilità di aumentare la
quota versata al Servizio sanitario nazionale
relativa ai premi di assicurazione per auto e altri
veicoli.
Volontari per verifiche fiscali
Sarebbe di estrema importanza la partecipazione di volontari (in particolare pensionati laureati e diplomati) per il disbrigo delle attività di
accompagnamento, come testimoni tenuti al
segreto professionale, di un singolo agente
della Guardia di Finanza (oggi sono almeno
due) nelle attività di verifica, con l’ovvia esclusione degli interventi investigativi e accertativi.
Contributo per le cure domiciliari
Al fine di ottenere consistenti risparmi rispetto
al ricovero in Rsa (mediamente 1.200/1.500
euro al mese per la quota sanitaria a carico
dell’Asl), occorrerebbe che le Asl erogassero
un contributo di euro 500-700 mensili medi ai
congiunti che accettano (e sono idonei) a provvedere a domicilio alle persone colpite da patologie e/o disabilità gravemente invalidante e
non autosufficienza, in aggiunta a tutte le prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative
che occorrono a queste persone e sono per
legge totalmente a carico dell’Asl.
Strutture di deospedalizzazione
protetta
Per un notevole contenimento dei costi sani55
tari è necessario limitare al massimo il trasferimento degli anziani malati cronici non autosufficienti e delle persone con demenza senile
dagli ospedali alle case di cura private convenzionate per attività di lungodegenza. Vi sono
Regioni che, nonostante versino una retta di
150-160 euro al giorno per paziente, non hanno
alcun riscontro al riguardo delle cure praticate e
dei risultati ottenuti. Occorre invece che vengano istituiti percorsi di deospedalizzazione protetta aventi lo scopo di fornire le necessarie
cure sanitarie ad infermi con patologie in atto
che non necessitano più di prestazioni ospedaliere, ma che non possono essere curati a
domicilio o ricoverati in Residenze sanitarie
assistenziali (Rsa). Inoltre hanno la funzione di
promuovere l’inserimento domiciliare qualora i
congiunti del paziente siano idonei e disponibili, nonché il ricovero presso idonee Rsa (costo
medio per la Sanità: 50 euro al giorno per
paziente). In alternativa alla lungodegenza in
case di cura, occorrerebbe – tenendo conto
anche delle positive esperienze in atto a Torino
da anni, ma troppo limitate nel numero di posti
letto – predisporre percorsi di deospedalizzazione protetta presso strutture gestite dagli
ospedali, anche allo scopo di evitare dimissioni
precoci e conflitti fra il personale degli ospedali
e quello delle strutture di deospedalizzazione
protetta.
Indagine sulle condizioni
dei pazienti inviati al pronto soccorso
dalle case di cura
Premesso che al termine della degenza prevista in 60 giorni, le rette della case di cura private vengono ridotte di una quota rilevante
(anche del 40%), occorrerebbe verificare se vi
sono case di cura che inviano i pazienti in
Pronto soccorso degli ospedali e al loro rientro,
considerato come nuovo accesso, addebitano
alla Regione la retta intera.
Indagine sull’ammontare
delle rette praticate dalle Rsa
Occorrerebbe avviare un’indagine anche sull’ammontare delle rette delle Rsa, poiché sono
numerosi i casi in cui la tariffa per i ricoveri dei
pazienti in convenzione è più alta di quella
applicata ai ricoveri privati dei pazienti con
56
onere interamente a carico dei pazienti e dei
loro congiunti.
Obbligo richiesta indennità
di accompagnamento
Sarebbe necessario obbligare i soggetti ricoverati in Rsa o in comunità alloggio e coloro che
li rappresentano a richiedere l’erogazione dell’indennità di accompagnamento concessa alle
persone colpite da disabilità fisiche, psichiche,
cecità, sordità. In caso di inadempienza, gli enti
gestori delle attività socio-assistenziali dovrebbero rivolgersi all’Autorità giudiziaria per la
nomina del tutore o dell’amministratore di
sostegno o per la sostituzione di quelli inadempienti.
LA QUESTIONE DELLE IPAB: INGENTI
PATRIMONI SOTTRATTI AI POVERI E IN
PARTE RECUPERABILI
La vicenda delle Ipab, Istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza, evidenzia una progressiva e rilevante sottrazione dei patrimoni e
dei relativi redditi destinati esclusivamente ai
poveri dalla legge 6972 del 1890. La
Commissione reale, che aveva svolto negli
anni 1880-1888 una approfondita indagine
sulle opere pie, ne aveva censite ben 21.819. Il
Ministero dell’interno nel 1970 segnalava che
quelle funzionanti erano solamente circa 9mila.
Nessuno sa dove siano finite le 12.819 Ipab
mancanti rispetto al censimento del 18801888.
Nel corso dei lavori parlamentari relativi alla
legge 328/2000 di riforma dell’assistenza, il
numero delle Ipab ancora funzionanti era stato
calcolato dal Governo in 4.200. Anche in questo caso non vi sono dati riguardanti le 4.800
Ipab mancanti. Il totale delle Ipab sparite nel
nulla sale così a 17.619 (80,7% di quelle esistenti nel 1888). Il valore del patrimonio delle
Ipab rimaste è imponente: è valutato in 3040mila miliardi di lire dall’on. Marisa Galli
(seduta della Camera dei Deputati del 17 febbraio 1982) e in 50mila miliardi di lire dalla rivista Ipab oggi (n. 6, dicembre 1995).
Nella relazione “Principi etico-sociali sulla privatizzazione delle Ipab” tenuta al convegno
svoltosi a Torino il 12 dicembre 1989, Mons.
Giovanni Nervo, a quel tempo Coordinatore
Prospettive assistenziali, n. 188, ottobre-dicembre 2014
della Conferenza episcopale italiana per i rapporti Chiesa-territorio e Presidente della
Fondazione Zancan, nonché già Responsabile
nazionale della Caritas italiana, aveva affermato quanto segue: «Il primo principio etico equivale per i credenti a un Comandamento di Dio: non rubare. I patrimoni delle
Ipab sono stati donati da privati cittadini
per i poveri. Prima che fossero donati
erano di proprietà dei privati, dopo che
sono stati donati sono diventati di proprietà dei poveri. Questo principio rimane,
qualunque siano le vicissitudini storiche e
giuridiche».
Occorre inoltre tenere presente che l’estremamente ampia privatizzazione delle Ipab, realizzata con la messa a disposizione gratuita a
favore degli enti privati dei beni mobiliari e
immobiliari di detti enti, è stata disposta dall’illegittimo decreto amministrativo emanato dal
Presidente del Consiglio dei Ministri il 16 febbraio 1990, il cui testo è sostanzialmente uguale a quello del decreto legge 113/1979, che il
Parlamento non aveva convertito in legge!
L’importo dei beni sottratti ai poveri è stato
calcolato nel 2000 in 107-140mila miliardi di lire
(Cfr. Maria Grazia Breda, Donata Micucci e
Francesco Santanera, La riforma dell’assistenza e dei servizi sociali. Analisi della legge
328/2000 e proposte attuative, Utet libreria,
2002).
L’ingannevole riforma delle Ipab
in Aziende di servizio alla persona
Sono numerose le Ipab che sono state convertite in Aziende di servizio alla persona.
Infatti, mentre le attività ed i patrimoni immobiliari e mobiliari importanti delle Ipab dovevano
essere dedicati esclusivamente ai poveri, le
Aziende di servizi alla persona sono enti pubblici le cui prestazioni sono fornite a tutti i cittadini.
Di assoluta gravità è stata l’assegnazione a
queste Aziende dei beni già appartenenti alle
Ipab. Allo scopo di assicurare che tali patrimoni
e i relativi redditi vengano distribuiti esclusivamente alla fascia più debole della popolazione,
c’è la necessità urgentissima di una legge che
li trasferisca ai Comuni, con il vincolo di destinazione esclusivamente alle attività di assistenza sociale.
Prospettive assistenziali, n. 188, ottobre-dicembre 2014
La sottrazione dalle Aziende di servizio alla
persona di patrimoni (esclusi eventualmente
quelli direttamente utilizzate per le attività svolte) non può creare alcuna difficoltà alla loro
gestione, in quanto vengono a trovarsi nella
stessa identica situazione degli enti privati che
operano nel settore dell’assistenza le cui risorse sono tratte dalle rette e da altri contributi versati dalle Asl, dai Comuni e dai privati. Le
Aziende di servizio alla persona sarebbero
invece ingiustamente avvantaggiate dal possesso dei beni ulteriori rispetto a quelli in cui
svolgono le loro attività.
A conferma dei rilevanti patrimoni di Aziende
di servizio alla persona, si elencano i beni dell’ex Ipab “Pio Albergo Trivulzio” di Milano e
“Poveri vergognosi” di Bologna (Cfr. Maria
Grazia Breda, Donata Micucci, Francesco
Santanera, La riforma dell’assistenza e dei servizi sociali. Analisi della legge 328/2000 e proposte attuative, Utet libreria, Torino 2001).
Ex Ipab Pio Albergo Trivulzio di Milano
Immobili ad uso abitazione
Numero complessivo unità immobiliari (compresi i condomini): 1.128 di cui: 18 portinerie,
per 678,5 metri quadrati; 11 convitti, metri quadrati 480,5; 8 comunità, metri quadrati 1.063,4;
16 usufrutti, metri quadrati 1.012,7; 18 uso foresteria, metri quadrati 1.333; superficie netta
totale metri quadrati 71.310,1; superficie media
appartamento (71.310,1/1.128) = 63,21 metri
quadrati.
Distribuzione territoriale
Appartamenti a Milano (stabili interi) 742,
metri quadrati 45.877,9; appartamenti fuori
Milano (stabili interi) 193, metri quadrati
12.815,7; appartamenti in condominio in Milano
114, metri quadrati 7.332,8; appartamenti in
condominio fuori Milano 8, metri quadrati 715,6;
stabili di proprietà: 60 di cui 37 in Milano, fuori
Milano n. 23; inquilini dipendenti dell’Ipab: 120
circa.
Immobili ad uso diverso dall’abitazione
405 compresi i box; superficie 1) metri quadrati 18.278, superficie 2) metri quadrati
11.554,96, totale metri quadrati 29.333,06.
La superficie 1) è così composta: 94 negozi,
metri quadrati 5.763,2; 72 uffici, metri quadrati
57
7.845,2; 53 magazzini, metri quadrati 2.369,6;
26 laboratori, metri quadrati 2.300,1.
La superficie dei box, sono 85, è di metri quadrati 1.266,6; quella dei 75 posti auto è di 657,7
metri quadrati.
Immobili ad uso agricolo
43 poderi (tra piccoli e grandi) per una superficie complessiva di circa 25.900 pertiche milanesi (corrispondenti a circa 16,96 chilometri
quadrati).
Ex Ipab “Poveri vergognosi” di Bologna
Patrimonio immobiliare
Il patrimonio immobiliare dell’ente è costituito
da fabbricati urbani e da fondi agricoli. Fra quelli urbani figurano il Palazzo Rossi Poggi Marsili,
via Marsala, sede dell’ente; l’ex Conservatorio
di Santa Marta, strada Maggiore 74, sede della
Casa protetta Santa Marta e del Centro diurno
Riccardo Ballotta; il Palazzo Salaroli, strada
Maggiore 80, sede di alcuni uffici dell’amministrazione provinciale. Gli altri immobili urbani
sono concentrati prevalentemente nel Comune
di Bologna, anche se in questi ultimi anni nel
patrimonio agrario sono state attivate numerose locazioni urbane trasformando case e fabbricati agricoli.
Le proprietà urbane sono costituite da 25 fabbricati per complessivi metri quadrati 30.000
circa con le seguenti destinazioni d’uso: 135
appartamenti, 28 negozi, magazzini e laboratori, una palestra, 16 uffici, 31 autorimesse, un
poliambulatorio, una scuola, una residenza protetta, una casa protetta, due centri diurni e un
centro sociale per anziani.
I fondi agricoli sono sparsi sul territorio della
provincia di Bologna e dislocati nei Comuni di
Anzola dell’Emilia, Baricella, Bologna, Budrio,
Castelfranco Emilia, Castel Guelfo, Castel San
Pietro Terme, Cestenaso, Crevalcore, Granarolo dell’Emilia, Malalbergo, Medicina, Minerbio, Ozzano dell’Emilia, San Giorgio di Piano,
San Giovanni in Persiceto, San Pietro in Casale e Sant’Agata Bolognese. Il patrimonio
agrario, per ragioni storico-organizzative interne all’ente, è suddiviso in tenute che raggruppano a volte anche più Comuni o parte di essi,
per una superficie di circa 2.070 ettari (circa
20,7 chilometri quadrati).
I poderi, tenuto conto del tipo di conduzione,
58
sono così suddivisi: 88 per una superficie di
1.450 ettari (14,5 chilometri quadrati) condotti
con contratti di affittanza agraria da coltivatori
diretti e 13 per una superficie di 620 ettari (6,2
chilometri quadrati) condotti in economia diretta dell’ente.
Tra i beni dell’ex Ipab, anche 160 opere
d’arte che gli esperti attribuiscono al collezionismo privato e non del settecento bolognese, una cospicua raccolta di incisioni, realizzate con tecniche grafiche diverse ed ascrivibili ad un arco temporale che va dalla fine del
XVI alla prima metà del XIX secolo e un archivio storico.
I patrimoni delle Ipab
regalati ai privati
Un elevato numero di Ipab, Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza, è stato privatizzato con l’assegnazione gratuita dei beni
mobili e immobili (sovente molto consistenti).
Pertanto, occorrerebbe verificare se queste
Ipab privatizzate, che non possono venire
meno agli obblighi di legge né ai loro vincoli di
statuto, continuano o meno a svolgere attività
di sostegno ai poveri e alle persone in gravi difficoltà, com’è previsto dalle loro tavole di fondazione. Occorrerebbe individuare le Ipab privatizzate e l’ammontare di beni mobili e immobili posseduti al momento della privatizzazione;
verificare la situazione presente dei beni di cui
sopra e fornire pubblicamente i dati relativi alle
eventuali alienazioni illegittime con i relativi
importi e pareri sulla loro corrispondenza ai
valori di mercato; occorrerebbe poi accertare
ogni altro elemento utile in merito alla correttezza dell’operato degli amministratori in relazione alle finalità istitutive dell’ente e agli scopi
perseguiti.
Come esempio di Ipab privatizzate con rilevanti patrimoni si segnala l’Opera Pia Barolo
di Torino. Come risulta dalla pubblicazione
della Regione Piemonte, Assessorato all’assistenza, Le Ipab in Piemonte, 1980, e dal volume di Piercarlo e Renato Grimaldi, Il potere
della beneficenza - Il patrimonio delle ex opere
pie, Franco Angeli Editore, 1983, i beni immobili e mobili dell’Opera Pia Barolo risultano
essere i seguenti: A) 119 particelle accatastate
per un totale di 3 milioni 57mila 740 metri quadrati di terreni localizzati in quattro Comuni del
Prospettive assistenziali, n. 188, ottobre-dicembre 2014
Piemonte: Venaria Reale mq 759.419, Leinì
684.079, Borgaro Torinese 284.490, Saluzzo
1.329.752; B) fabbricati siti in: a) Torino, Piazza
Savoia 6, Via Corte d’Appello 20/22 e Via delle
Orfane 7, comprendente la sede della stessa
Opera Pia, l’Istituto famiglie operaie, 13 negozi
e 31 alloggi; b) Torino, Via Cottolengo 22, 24 e
24 bis, dove hanno sede l’Istituto delle
Maddalene e il Pensionato S. Giuseppe; c)
Torino, Via Consolata 18 e 20 (Istituto
Sant’Anna); d) Torino, Via Santa Giulia 7; e)
Venaria Reale (Torino), Via Scesa 9, 11, 13, 15
e 17 (vani complessivi 250) e Via Amati 118/12-3-4-5-6 e 7 (totale vani 284); f) Ceres
(Torino), Via Ala, Case operaie (vani 15) e
Pensionato S. Giuseppe (vani 10); g)
Mondrone (Torino) (vani 10); h) Moncalieri
(Torino), Istituto Sant’Anna; C) distributore
benzina, magazzino e terreno, Torino, Via
Cigna; D) titoli per un valore nominale di 26
milioni 483mila 784 lire;
Estinzione delle Ipab inattive o che
non perseguono le finalità statutarie
Occorrerebbe procedere urgentemente all’individuazione delle Ipab che non svolgono più
alcuna attività ed i cui beni dovrebbero essere
gratuitamente trasferiti ai Comuni.
Per quanto riguarda il Comune di Torino, si
segnalano le seguenti situazioni:
L’Ipab Buon Pastore di Torino
Non esercitando alcuna attività l’Ipab Buon
Pastore è commissariata dalla Regione Piemonte da oltre 20 anni. I beni, che valgono
almeno 50 milioni di euro, comprendono l’area
di 46mila metri quadrati (ed i relativi fabbricati in
cui hanno sede gli uffici dell’Assessorato alla
sanità della Regione Piemonte) compresa tra
Corso Principe Eugenio, Via Moris e Corso
Regina Margherita e il fabbricato di Via Monte
di Pietà 12 (vani 58 e metri quadrati 520).
L’Assessorato all’assistenza della Regione
Piemonte continua a dire che estinguerà l’Ipab
trasferendo a titolo gratuito il relativo patrimonio
al Comune di Torino, ma questa procedura non
è mai stata realizzata. I beni dell’Ipab Buon
Pastore devono essere destinati all’assistenza.
Al riguardo si veda la circolare della Regione
Piemonte del 27 maggio 1993 n. 4489/535. Si
segnala che per un adeguato utilizzo dell’area
Prospettive assistenziali, n. 188, ottobre-dicembre 2014
di cui sopra è necessaria la revoca della delibera del Consiglio comunale 1251 del 21
marzo 2011 per la creazione nell’edificio, da
anni in disuso, di 20 alloggi per anziani autosufficienti.
Le Ipab Opera Munifica Istruzione e Educatorio
della Provvidenza
Con istanze del 13 giugno e del 23 settembre 2013, l’Associazione promozione sociale
si è rivolta al Procuratore della Sezione
piemontese della Corte dei Conti con la speranza di ottenere iniziative volte all’estinzione
delle Ipab Opera Munifica Istruzione ed
Educatorio della Provvidenza (che da anni non
svolgono più alcuna attività a favore dei poveri), con il trasferimento dei relativi imponenti
patrimoni (complessivamente oltre 100 milioni
di euro) al Comune di Torino con la speranza
che li utilizzi per la fascia più debole della
popolazione.
Dai dati della ricerca svolta dalla Regione
Piemonte nel 1980 risulta che (dati tratti da P. e
R. Grimaldi, Il potere della beneficienza, Franco
Angeli, 1983):
- l’Ipab Munifica Istruzione possiede i beni in
via San Massimo 17, 21 e 21 bis, vani 83, e altri
locali della superficie complessiva di metri quadrati 11mila; via Giolitti 33 e 35, metri quadrati
9.410; via Rosine 14, 16 e 18, vani 31 e metri
quadrati 7.732; via Garibaldi 18, metri quadrati
1.104; via Bellezia 5, vani 36 e metri quadrati
205; via Giulio 19, metri quadrati 5.439; via
Bligny 16, vani 87,5 e metri quadrati 19; via La
Salle 6, metri quadrati 6.748; via Maria Vittoria
36, metri quadrati 7.371;
- le proprietà dell’Educatorio della Provvidenza risultano essere costitute dai fabbricati di
Corso Trieste 13 e Via Toselli 1 per complessivi metri cubi 40mila, nonché nel Comune di
Spotorno di un terreno di 5,57 are e di un fabbricato nello stesso Comune di 3.200 metri
quadrati.
Destinazione delle risorse
di Ipab ed ex Ipab ai poveri
Occorre evitare che le istituzioni violino
l’esclusiva destinazione alla fascia più povera
della popolazione delle risorse delle Ipab ed ex
Ipab che in base alla legge devono essere
destinate esclusivamente alle persone e ai
59
nuclei familiari in condizioni di grave disagio
socio-economico. Un esempio palese di sottrazione del patrimonio Ipab o ex-Ipab ai poveri è
stato realizzato dal Comune di Torino nel 2008,
quando la Città ha venduto immobili Ipab per
43 milioni di euro, ma invece di assolvere al
suddetto obbligo di destinazione delle risorse,
ha trasferito il vincolo Ipab ad altri immobili
(delibera del 14 dicembre 2007).
CASE FANTASMA, BARBIERI DELLA
CAMERA E PISTE DA BOB ABBANDONATE:
RASSEGNA DI SPRECHI E TRUFFE
MILIARDARIE AI DANNI DELLO STATO
Gestioni di patrimoni pubblici in costante perdita, migliaia di casi di danni erariali, sprechi e
frodi, privilegi ingiustificati e scandalosi, indennità immotivate e sfacciate situazioni di illegalità. Le cronache dei giornali italiani riportano
quotidianamente esempi del mare di risorse
che vengono sperperate nel nostro Paese: episodi che tolgono fondamento a qualsiasi pretesto di mancanza di denaro pubblico che i rappresentanti delle istituzioni (Comuni e Asl)
accampano molto frequentemente per negare
gli interventi destinati alla fascia più debole
della popolazione, venendo meno agli obblighi
stabiliti dalle leggi vigenti.
Il 24 agosto 2013 La Stampa segnalava la
scoperta da parte della Guardia di finanza di
12.500 casi di frodi e danni all’erario nei primi
mesi dell’anno per un valore di 2,5 miliardi di
euro: i controlli riguardarono allora l’esenzione
dei ticket sanitari, gli assegni familiari, i buoni
libro, le mense scolastiche, le agevolazioni
tasse universitarie. Il 5 ottobre 2013 Avvenire
segnalava che l’Agenzia delle entrate aveva
scoperto un milione e 200mila case mai censite: abitazioni fantasma dalle quali recuperare
825 milioni di euro di tasse mai versate.
Il 13 maggio 2013 è stata la Repubblica nell’articolo intitolato “Pontili, svincoli e piste da
bob, le opere pubbliche inutili che ci sono
costate 2 miliardi. In 10 anni inaugurate 40
strutture. Mai utilizzate” a riportare un orripilante resoconto delle opere pubbliche inutili
(semi)realizzate negli ultimi anni e praticamente mai utilizzate: costo delle opere 2 miliardi di
euro. Spicca la pista da bob realizzata a
Cesana Torinese per le Olimpiadi invernali del
60
2006 (nonostante la vicina pista di bob francese in località La Plagne, a meno di tre ore di
auto da Cesana, e quella di Cortina
d’Ampezzo): costo 110 milioni di euro. Oggi,
meno di otto anni dopo i Giochi olimpici, la
pista, da tempo inutilizzata, è stata completamente dismessa e avviata allo smantellamento.
Nell’articolo vengono citati anche: il palazzo
delle Finanze di Scandicci che doveva ospitare
uffici (tre piani, 28mila metri quadrati di proprietà dello Stato, costo 62 milioni) e mai aperto; gli ospedali di San Bartolomeo in Galdo,
provincia di Benevento, e quello di Gerace,
nella Locride: il primo, costato 20 milioni di
euro, in costruzione da 55 anni, ospita solo un
presidio di pronto soccorso, il secondo, terminato nel 1998 dopo 32 anni di lavori costati 5
milioni di euro, non è mai entrato in funzione.
Tra gli altri ingenti sprechi: l’Arsenale dell’isola
La Maddalena (Olbia) dove le strutture costruite per ospitare il G8 del 2009 (poi tenutosi a
L’Aquila) sono in completo abbandono e sono
costate 327 milioni; le dighe di Valfabbrica (Pg),
costata 190 milioni di euro, inutilizzata e in stato
di abbandono, e quella del Pappadai a Monteparano, provincia di Taranto, la più grande
opera idraulica del dopoguerra, costata 190
milioni di euro e mai entrata in funzione. Per il
capitolo sprechi collegati alle infrastrutture di
trasporto non va dimenticata la stazione ferroviaria di Matera, 300 milioni di euro di spesa,
inutilizzata perché non collegata alla rete ferroviaria, o il terminal crociere del molo Ichnusa
del porto di Cagliari, costato 5 milioni e ultimato nel 2008, ma chiuso perché il fondale non è
abbastanza profondo per l’attracco delle navi
da crociera. Solo in Piemonte, secondo l’articolo “Le spese a vuoto dello Stato” del 7 dicembre
2013 pubblicato da Avvenire il costo delle
opere pubbliche incompiute ammonta a ben
206 milioni di euro. A livello nazionale, tra le
spese più contestate, giustamente, quella per
comprare gli aerei da guerra F35: 14 miliardi di
euro, 50 complessivi alla fine del programma di
acquisto (la Repubblica, 10 settembre 2014,
“Stop agli F35. Da Saviano a Zanotelli, da
Servillo a Rorhwacher l’appello ai Parlamentari”).
Il punto sul valore delle truffe allo Stato l’ha
fatto il 26 gennaio di quest’anno l’articolo de La
Stampa: “Spesa pubblica. La lotta alle frodi.
Prospettive assistenziali, n. 188, ottobre-dicembre 2014
Ecco l’Italia dei furbetti. La truffa vale 5 miliardi”, dando notizia del bilancio 2013 dell’attività
della Guardia di finanza: 5 miliardi di euro individuati di frodi e sprechi, 3,5 miliardi di danni
all’erario accertati, 1,4 miliardi di frodi ai finanziamenti comunitari e nazionali, 1.173 persone
denunciate per truffe alla Sanità con un danno
erariale di 23 milioni di euro. Il 13 settembre
2014 il quotidiano torinese riferiva sulle spese
ingiustificate della Sanità: secondo il Ministero
della salute, le spese in eccesso ingiustificate
valgono 5 miliardi di euro; il Ministro Lorenzin
quantificava in 13 miliardi di euro il costo di
accertamenti inutili prescritti dalla cosiddetta
medicina difensiva.
Il 4 luglio 2014 la Repubblica dava conto
delle proteste per le esenzioni dal pagamento
di Imu e Tasi riservato a scuole private con
retta inferiore a 6.800 euro all’anno (la maggioranza) e cliniche accreditate con il Servizio
sanitario nazionale. Lo stesso giorno, a sfatare
il mito dei Comuni “poveri”, in perenne deficit di
risorse per far fronte alle loro competenze, La
Stampa pubblicava un dettagliato elenco delle
società partecipate degli Enti locali che svolgono le più disparate attività con investimenti
pubblici ingenti e gestioni molto spesso in passivo. Secondo l’articolo “Bagni, saline, hotel e
funivie. La saga dei Comuni tuttofare”, infatti,
delle 7.500 partecipate pubbliche italiane più di
un terzo sono nel Nord-Ovest. Una su quattro
nel Nord-Est. L’universo delle partecipate italiane conta 87 società per la pesca e la silvicoltura, 166 che si occupano di sport e divertimento, 187 fanno commercio all’ingrosso o
riparazione auto e moto, 149 noleggio, viaggi e
servizi di supporto alle imprese, 106 si occupano di costruzioni, 383 gestiscono hotel e ristoranti.
A fronte dell’impressionante mole di risorse
del settore pubblico, i mezzi di comunicazione
riportano frequentemente fenomeni di privilegio
inaccettabili e vergognosi. Nell’articolo “In pensione a 50 anni: scivolo d’oro ai militari.
Proteste sul cumulo con l’85% dello stipendio”,
La Stampa del 5 novembre 2013 riportava la
notizia di un testo di legge in discussione in
Commissione difesa del Senato, che prevedeva per i militari cinquantenni stipendio garantito
all’85% per dieci anni senza lavorare e poi la
pensione piena. Molti articoli hanno affrontato
Prospettive assistenziali, n. 188, ottobre-dicembre 2014
le spese del “Palazzo” (Camera dei Deputati,
Senato della Repubblica, Ministeri): il 10 luglio
2014 la Repubblica intitolava un’inchiesta
“Barbieri e autisti da 136mila euro, ecco il gap
Montecitorio-privati. Uno studio evidenzia le
anomalie degli stipendi dei dipendenti della
Camera: troppi pagati come capi”, nella quale
si metteva in evidenza come nel bilancio 2013
di Montecitorio le spese per il personale di servizio ammontassero a 274 milioni: una media di
182mila euro a dipendente, mentre tale costo
nelle società di servizi private è mediamente di
48mila euro. Il 9 dicembre del 2013 La Stampa
aveva sollevato la scabrosa questione delle
«indennità di immissione dati», concesse al
personale parlamentare quando alcuni impiegati avevano a che fare con gli elaboratori di
dati e mai rimossa, così come le «indennità di
rischio» per coloro che si occupano di impianti
come le caldaie quando non erano in vigore le
norme sulla sicurezza del lavoro. Conto complessivo, alla data del’articolo, delle indennità
immotivate e mai rimosse: un milione di euro
all’anno circa a carico dei contribuenti.
Secondo un’indagine del Sindacato Uil
(Avvenire, 17 dicembre 2013), i costi della politica ammontano a 757 euro annui per ogni italiano, ma «7 miliardi su 23,2 di spesa totale
sono immediatamente tagliabili, prima di tutto
accorpando i Comuni».
“Regione, super buonuscita per i dirigenti da
pensionare. L’amministrazione piemontese
dovrebbe pagare sei milioni di euro. Polemica
in Consiglio” è il titolo dell’articolo de La
Stampa che il 27 novembre 2014 dava notizia
dello scellerato accordo siglato tra la passata
Giunta regionale (e ancora non revocato dall’attuale) e i Sindacati che stabiliva un incentivo
di 24 mensilità (circa 200mila euro) a prescindere dalla scadenza naturale del contratto,
per i dirigenti regionali – hanno fatto domanda
in 30 –, che dal 2015 fossero andati volontariamente in pensione.
Immarcescibili, refrattari a qualsiasi revisione
della spesa, simbolo dell’immobilismo a spese
dei deboli e prova provata che le risorse ci
sono, rimangono loro: i vitalizi. Sono 3.200
quelli che ogni anno pesano sui bilanci delle
Regioni per 170 milioni di euro all’anno (la
Repubblica, 22 settembre 2014).
61