Bronzi dauni (VIII - III sec. a.C.) a Nord

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Bronzi dauni (VIII - III sec. a.C.) a Nord
Bronzi dauni (VIII - III sec. a.C.)
a Nord-Ovest di San Severo
di
Armando Gravina
Le arature profonde, effettuate dagli anni ’60 in poi, ed i lavori di sterro per
opere di irrigazione negli anni ’70 ed ’80 hanno sconvolto necropoli e stratigrafie
archeologiche fin quasi ad un metro di profondità dall’attuale piano di campagna in
tutto il Tavoliere. L’uso di potenti mezzi meccanici in agricoltura ha permesso, inoltre, di “ricacciare”, cioè di dissodare vaste aree mai messe a coltura nei tempi passati.
L’opera incontrollata degli agricoltori ha fatto anche emergere aree archeologiche, la cui esistenza era prima del tutto insospettata, ma se ciò ha contribuito a
fornire qualche notizia che ha arricchito il quadro delle nostre conoscenze, ha prodotto, nel contempo, un immane disastro, distruggendo quasi totalmente, in modo
irrimediabile, l’immenso patrimonio archeologico custodito per millenni nel sottosuolo, cosicché spesso allo studioso non è rimasto altro che prendere atto dello
scempio posto in essere e raccogliere le briciole di quelli che erano contesti coerenti,
su cui si sarebbe potuto operare una lettura organica e adeguata dei fenomeni culturali, sociali, politici, economici delle epoche preistoriche e protostoriche.
Molto spesso ciò che per caso viene recuperato in un areale non può essere
coordinato con rinvenimenti similari dello stesso ambito territoriale, per cui si impone la necessità di trovare riscontri in altre zone geografiche ed in altri ambiti culturali, col rischio di creare false prospettive di impostazione e di risoluzione a problemi che, se fossero supportati da un adeguato numero di dati recepiti ‘in loco’,
avrebbero altre dimensioni ed altre possibilità di definizione.
Sottoposta a questo condizionamento, che talvolta può avere funzione di vero e proprio capestro, è soprattutto la esegesi di alcuni oggetti in bronzo, i quali,
non essendo stati prodotti nelle nostre zone, sono tra i più indiziati a fornire elementi che potrebbero sostanziare teorie su correnti commerciali, vie di comunicazione, direttrici di espansione di gruppi, itinerari percorsi da metallurgi o altro.
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Nonostante i forti rischi cui si va incontro per i motivi sopra accennati, è
tuttavia interesse primario, e quindi estremamente importante, presentare i dati
conosciuti, che se per il momento appaiono come tasselli sciolti di un mosaico
scomposto, in avvenire potrebbero costituire punti di riferimento per ulteriori
approfondimenti di tematiche specifiche.
In questa ottica si giustifica in parte l’utilità di collazionare alcuni oggetti in
bronzo rinvenuti nella Daunia settentrionale.
Gli oggetti più antichi che vengono proposti in questa sede sono due fibule rinvenute in località Lauria, depositate attualmente presso l’Antiquarium di
San Severo con i nn. 754 e 755 del Registro d’ingresso del materiale archeologico.
La prima fibula, n. 754 (figg. 3; 4), è “serpeggiante”, con arco foliato 1,
proveniente da Masseria Laurìa, nell’area dell’antica Tiati. Può essere datata alla
prima metà dell’VIII sec. a.C., essendo stato rinvenuto un esemplare simile al
nostro in un contesto tombale (località Due Gravine, nel Metapontino)2, risalente a quest’epoca.
In Puglia si conoscono una decina di fibule dello stesso genere, distribuite su tutto il territorio: la zona di Oria, Gravina di Puglia, Ascoli Satriano,
Ordona, Masseria Cupola presso Manfredonia3; pertanto il nostro reperto, fra i
rinvenimenti di questo genere, appare il più settentrionale della nostra regione.
Fibule simili sono presenti anche sull’opposta sponda adriatica4.
Nella classificazione fatta dalla Lo Schiavo5, queste fibule “tipo Oria”
appartengono al gruppo delle fogge diffuse in Daunia, ma presenti anche sulla
costa orientale dell’Adriatico.
La seconda fibula, n. 755 “ad occhiali”, costituita da una doppia spirale
di filo con elementi di raccordo obliquo (figg. 5; 6), rientra in quel
1 - La fibula appiattita da improvvido restauro è così esposta nella bacheca dell’Antiquarium Comunale di S. Severo.
2 - F.G. LO PORTO, Metaponto. Tombe a tumulo dell’età del ferro scoperte nel suo entroterra, N.S., 1969, p. 132, n. 1, figg. 17:I; 21:5.
3 - E.M. DE JULIIS, Manfredonia, Masseria Cupola (Foggia). Fondi di capanna di età arcaica, N.S., 1977, p. 373 e segg.
4 - S. BATOVIC, Le relazioni tra la Daunia e la sponda orientale dell’Adriatico nell’età del
Ferro, in CIVILTÀ preistoriche e protostoriche della Daunia, Firenze, 1975, pp. 340-347, fig.
103:2.
5 - F. LO SCHIAVO, La Daunia e l’Adriatico, in La CIVILTÀ dei Dauni nel quadro
del mondo italico, Firenze, 1984, pp. 212-247.
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gruppo di fogge diffuse in area transadriatica, ma presenti anche in Daunia6,
dove, a Salapia7, si deve registrare un esemplare integro, con arco a fascetta
senza molla, sostituita da semplice piegatura.
Il nostro reperto può essere inquadrato nell’VIII sec. a.C.; presentava
due borchiette coniche (di queste è rimasta una sola, fig. 4) fissate al centro della
spirale con un chiodino in bronzo 8; manca l’arco e, come la precedente fibula
serpeggiante, rappresenta il rinvenimento più settentrionale in Daunia di questo
genere di oggetti. Essa non si trova diffusa in Italia meridionale, se non in casi
eccezionali, e si è propensi a considerarla come un tipo di ampia diffusione
balcanica, dove, fra l’altro, è frequente a Glasinac9, ma non è presente sulla costa.
Un terzo oggetto in bronzo, che finora sembra un unicum nella Daunia e
forse anche in tutta la Puglia, è un probabile pendaglio composito (fig. 7), costituito da un anello in filo di bronzo di discreta sezione, con diametro medio di
circa cm 2, da cui pendono tre fitte trecce in filo di bronzo a sezione molto più
piccola: la prima a sinistra è lunga quasi cm 3 ed appare chiaramente frammentaria nella parte terminale; quella centrale è lunga circa cm 4,5 e nella parte inferiore probabilmente terminava con un anello; la terza a destra è lunga quasi cm
5 e termina con una fascetta in bronzo ripiegata su se stessa, con la estremità
superiore incatenata alla treccia e quella inferiore aperta, come se fosse predisposta a sorreggere qualcosa.
Ai due lati delle trecce, sull’anello, si notano agganciati due fili di bronzo
frammentari; anche questi, probabilmente, dovevano essere pertinenti ad altri
ornamenti penduli.
Il reperto proviene da Pezze della Chiesa; anche questa località, come
quella precedente di Laurìa, è ubicata nell’area della antica Tiati sul Fortore.
L’interpretazione di questo oggetto appare alquanto problematica, soprattutto per la mancanza di riscontri fra il materiale archeologico presente in
Daunia.
6 - F. LO SCHIAVO, La Daunia... cit., p. 235.
7 - F. BERTOCCHI TINÈ, Formazione della civiltà Daunia dal X al VI sec. a.C., in
CIVILTÀ preistoriche e protostoriche della Daunia, Firenze, 1975, pp. 271-285, tav. 72.
8 - Anche questa fibula, come la precedente, è stata oggetto di un maldestro restauro ed è esposta al rovescio; la documentazione fotografica, che come quella qui presentata è
l’unica possibile senza smontare il supporto che la sorregge.
9 - A. BENAC - B. COVIC, Glasinac, II, Serajevo, 1957.
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Potrebbe trattarsi di parte di un monile di importazione, in quanto ricorda alcuni pendagli della civiltà di Golasecca rinvenuti nel territorio comasco
o della prima età del Ferro della Basilicata, ma sia nei primi che nei secondi appare quasi sempre una catenella e mai il filo fittamente intrecciato.
Non è da scartare neppure l’ipotesi che possa costituire un pendaglio da
fibule, così comuni nella civiltà della costa del medio Adriatico e della Daunia;
un’abbondante documentazione si rinviene, infatti, fra le decorazioni delle stele
daunie10.
Infine, più semplicemente, potrebbe rappresentare la parte terminale di
un orecchino.
La sua datazione, comunque, non dovrebbe scendere oltre il V sec. a.C..
Un quarto reperto, eccezionale per la Daunia, è un elmo in bronzo, tipo
“Negau” (figg. 1 e 2), recuperato in località Marana della Difensola, che fa parte, come i precedenti siti, del territorio della Tiati daunia, occupandone la zona
nord-orientale.
L’elmo, alto circa cm 30, con un diametro di base di circa cm 23-26,
presenta una gola molto bassa (cm 4) rispetto all’altezza della calotta, che, confrontata con altri elmi dello stesso genere, sembra particolarmente sviluppata; al
di sotto della falda corre una corona mediamente alta un centimetro e lievemente inclinata verso l’interno; la superficie ricoperta da una patina verde rame
e da incrostazioni non consente un attento esame per rilevare eventuali decorazioni, incise col bulino, o fori per inserire perni che permettessero il montaggio
di un sottogola, di un cimiero o di altri elementi di ornamenti; la calotta presenta, sulla sommità, una piccola zona frammentaria.
Questo tipo di elmo con calotta a profilo antero-posteriore, a sesto acuto e laterale ad alta cupola, che è “fabbricato in bronzo per fusione e successiva
riduzione in lamina mediante martellamento”,11 è stato descritto anche dal
Cianfarani, che parla di “un elmo a calotta carenata, cioè
10 - Le STELE della Daunia, a cura di M.L. Nava, Foggia, 1988, figg. 226-7.
11 - G. CALZECCHI ONESTI, Elmi, in G. CALZECCHI ONESTI - S. SEBASTIANI, Le armi picene di Castel S. Angelo, a cura di D. Borgia, Roma, 1991, 3^ ed., p. 73.
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sormontata longitudinalmente da una spigolatura che una gola separa da una breve
tesa ad orlo piatto”12.
Esso è noto in letteratura come elmo “Negau” da una località della Stiria settentrionale, dove sono stati rinvenuti alcuni esemplari ed appare diffuso 13 in numerosi siti delle Alpi centrali, orientali e sud-orientali, nonché in Italia, soprattutto
nell’area etrusca, sia tosco-laziale che nella Padania, ad esclusione delle regioni meridionali.
Lungo la costa adriatica, a sud delle Marche, sono stati segnalati solo due esemplari: uno in Abruzzo, proveniente dalla provincia di Chieti14, ed un altro in
Molise, a Larino 15; il nostro reperto è il primo che segnaliamo a sud del Biferno e
del Fortore, e quindi nell’area daunia, in Italia meridionale.
A differenza degli elmi abruzzesi e molisani, che si presentano bassi e larghi
(la larghezza supera sempre l’altezza), quello di Tiati - Marana della Difensola (San
Paolo di Civitate) appare più slanciato; ciò potrebbe indurre a pensare ad una diversa officina di produzione per gli uni e per l’altro, da non individuare, molto
probabilmente, nè nei centri del Piceno nè in quelli dell’Umbria, prossimi alla costa
adriatica o abruzzesi.
Tuttavia il nostro, come quello delle regioni confinanti, può essere ascritto alla variante così detta “etrusca”, che si differenzia da quella “alpina” per alcuni particolari tecnici16.
Secondo una teoria il tipo si sarebbe diffuso in Europa dalla Etruria, dove
fu prodotto ad imitazione di modelli nordici, per cui fu chiamato anche “etrusco-gallico”; altre teorie propendono per una sua origine “illirico-alpina” o dalla
“cultura retica”.
12 - V. CIANFARANI, Culture Adriatiche d’Italia. Antichità tra Piceno e Sannio prima dei
romani, Roma 1970, p. 203.
13 - Per una carta di distribuzione della diffusione degli elmi tipo “Negau”, per altro
incompleta per quanto riguarda il territorio italiano cfr. S. GABROVEC, Halstatske Celade Jugovzhotinoalpskega Kroga, in ARCH. VESTNIK, 1962-63, Karta 4, p. 315; per una distribuzione
nel solo territorio italiano cfr. P.F. STARY, Zur Einsezeitlichen Bowaffnung und Kampfesweise in
Mittelitalien. Mainz arri Rhein, 1981, Karte 8 (Marburger Studien zur vor-und Frühgeschichte,
Band 3).
14 - V. CIANFARANI, Culture adriatiche... cit., p. 203, fig. 204.
15 - V. CIANFARANI, Culture adriatiche... cit., p. 205, fig. 201.
16 - P.F. STARY, Zur Eisenzeitlichen... cit., Karte 8.
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Una delle prime illustrazioni di questo tipo di elmo è stata fatta in un Atlante storico pubblicato a Lipsia nel 188117.
La sua datazione può essere posta con molta approssimazione
nell’ambito del V sec. a.C.18, nonostante non vi siano notizie riguardanti il contesto tombale.
L’ultimo oggetto in bronzo che qui presentiamo è una statuina di Ercole
in assalto 19 (fig. 9), che ha costituito una delle divinità più popolari e caratteristiche del mondo sannitico.
È iscritta al n. 734 del Registro d’ingresso dei reperti archeologici
dell’Antiquarium di San Severo; proviene dal terreno di riempimento delle cripte sottostanti al pavimento della chiesa di San Giovanni Battista, in San Severo,
ed è stata rinvenuta durante i lavori di restauro della chiesa stessa negli anni ’40.
La statuina, alta mm. 115, appare priva di metà dell’avambraccio sinistro
e del polso, oltre che della clava (fusa a parte), di cui rimane solo il foro di alloggiamento nella mano destra; presenta una bella patina lucida, color verde
intenso.
La posizione del pugno destro, sollevato a stringere la clava nell’atto di
vibrarla, la mano sinistra protesa in avanti, come a sorreggere un arco, e la posizione gradiente fanno rientrare questo bronzetto nel consueto schema della
raffigurazione dell’Ercole promachos.
L’inquadramento cronologico e culturale del reperto appare abbastanza
agevole; infatti può essere assegnato ad una fase tardo-ellenistica, in cui emergono gli influssi pergameni20, evidenziati soprattutto dalla torsione del busto e
dall’equilibrio dei movimenti, che in definitiva sortiscono un effetto non troppo
dinamico dell’assalto.
La stilizzazione concettuale dello slancio, la piena consapevolezza dei parametri spaziali, la idealizzazione del volto di Ercole, in contrasto con la tendenza alla “personalizzazione” della produzione più arcaica, indiziano che, col rinvigorirsi dell’influsso greco nel periodo post-annibalico,
17 - KULTURHISTORISCHER Bideratlas I Attertum [a cura di] T. Schreiber Lipsia, 1881.
18 - S. GABROVEC, Cronologie der Negauer Helme, in CONGR. (VI) SC. PREIST.
PROT. Atti, III, Roma, 1962, III, p. 114 segg.
19 - A. GRAVINA, Scheda n. 149 in “IL MUSEO CIVICO DI SAN SEVERO”,
Catalogo ragionato dei reperti archeologici, San Severo, 1989, ivi bibliografia.
20 - G. COLONNA, Problemi di arte figurativa di età ellenistica nell’Italia adriatica, in
CONVEGNO (I) DI STUDI DI ANTICHITÀ ADRIATICHE, Atti, Chieti, 1975, p.
174.
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l’arte italica “si esaurisce in quelle che erano state le sue più genuine manifestazioni e
finisce con l’appiattirsi con una visione soltanto esteriore dell’opera”21.
Il viso, con i tratti anatomici abbastanza curati, non sembra sia stato rifinito
dopo la fusione.
La leonté ricopre il capo dell’Eroe e ne incornicia il volto, intorno al quale è
evidenziata la capigliatura “a cordoncino”; anteriormente appare annodata sul petto
al momento della fusione, formando un piccolo rilievo sotto la gola; gli artigli sono
disegnati da colpi di bulino; con lo stesso strumento sono stati eseguiti anche piccoli
segmenti paralleli, che decorano la parte della protome leonina incorniciante il volto
di Ercole. Dietro le spalle la pelle del leone scende lungo la schiena fino all’altezza
delle scapole, per avvolgersi quindi intorno al braccio sinistro. La muscolatura del
torace, la resa dell’ombelico con un puntino inciso quasi non percepibile, la sottolineatura dell’infossatura sternale, subpettorale e subdiaframmatica, l’eccessiva sporgenza del ventre, la posizione ben equilibrata sulle gambe divaricate (quella sinistra
leggermente avanzata e col piede in fuori), la testa leggermente volta e flessa sulla
sinistra fanno ipotizzare una più che approssimativa conoscenza, da parte
dell’artista, dei canoni che regolavano la statuaria greca.
L’Ercole combattente di San Severo, a quanto fino ad oggi si conosce, costituisce uno dei rari esemplari di questo genere proveniente dalle località di pianura
della Daunia settentrionale e dell’intero Tavoliere, mentre si ha notizia di statuine
recuperate lungo i rilievi dell’Appennino Dauno, come quella di Roseto Valfortore22 ed alcune di Monte Sambuco, dove sembra sia stata intercettata, in prossimità
dell’impianto del ripetitore Radio-TV, nel corso dei lavori per la sua installazione,
una probabile area archeologica, la quale ha restituito almeno tre statuine, andate in
parte disperse.
Un Ercole proveniente da questa località è catalogato fra i reperti del Museo
Nazionale di Taranto 23.
Una scarsità di dati sulla presenza di questo tipo di miniscultura in bronzo
permane per tutta l’area che faceva presumibilmente capo alla Tiati
21 - A. DI NIRO, Il culto di Ercole tra i Sanniti Pentri e Frentani, Nuove testimonianze,
Roma, 1977, p. 17 (Documenti di Antichità Italiche e Romane, IX).
22 - A. FACCHIANO, Roseto Valfortore, S. Agata di Puglia, 1971.
23 - G. COLONNA, Bronzi votivi umbro-sabellici a figura umana, Firenze, 1970, tav.
LXXXIX, fig. 563.
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sul Fortore, a cui apparteneva probabilmente anche il territorio di San Severo.
Le uniche notizie orali, controllate solo in parte, riguardano rinvenimenti, effettuati negli anni 50-60, di alcuni bronzetti di cui si è persa però ogni traccia, in
un’area ubicata appena fuori dal circuito che delimitava la Tiati daunia, sul costone che dal Fortore sale a Pezze della Chiesa, in prossimità di una sorgente.
A questo panorama di emergenze molto povero fa riscontro la documentazione, abbondantissima, registrata nei vicini territori abbruzzesi e quella
meno consistente dei territori molisani, fra cui sono da ricordare gli inediti esemplari del Molise nord-orientale: tre dall’agro di Campomarino, a ridosso
del basso corso del Biferno, ed uno da Portocannone (figg. 9-12) che sembrano più antichi del nostro.
La diminuzione drastica del numero di statuette votive dedicate al figlio
di Alcmena, a mano a mano che si passa dall’area dei Peligni, dei Pentri e dei
Caraceni, dove si è registrata una elevata concentrazione di esemplari, a quella
dei Frentani e soprattutto dei Dauni della pianura (se non è solo una falsa prospettiva generata dalla mancanza di ricerche, ha anche un riscontro oggettivo nei
dati archeologici che finora non hanno documentato alcuna traccia di culto per
questo eroe) potrebbe far ipotizzare una crescente non permeabilità al culto per
Ercole di ambiti culturali dauni, o di influenza daunia, fin dai momenti più antichi della sua affermazione, ed in particolare nel VI-V secolo a.C., quando il culto, proveniente dalla Magna Grecia tramite la mediazione etrusca24, è attestato
già profondamente radicato nel pantheon della religiosità sabellica.
Tale tesi potrebbe essere supportata sia dalle evidenze archeologiche, che
in località Difensola di Campomarino e nell’area compresa tra il Fortore e il
Biferno 25 attestano, dal IX-VIII al VI-V sec. a.C., la presenza di gruppi dauni o
di forte influenza daunia, notoriamente chiusi fino al VI secolo e in parte anche
nel V sec. a.C. agli influssi culturali greci e delle colonie magnogreche, sia dalla
constatazione che finora nel territorio daunio ad est del Fortore non è stata collazionata alcuna scultura bronzea assegnabile al VI-V sec. a.C., e a fasi antecedenti a quella medio-ellenistica.
24 - G. DEVOTO, Gli antichi italici, Firenze, 1967, III^ ed. p. 198 e segg.
25 - A. GRAVINA, Osservazioni sulla topografia della Daunia settentrionale tra l’XI e il
V sec., in TAVOLA rotonda sulla civiltà daunia, in CONVEGNO (VII) DI PREISTORIA,
PROTOSTORIA E STORIA DELLA DAUNIA, Atti, San Severo 1985, San Severo,
1988, p. 307.
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In quest’ultimo periodo la loro produzione, che pure non aveva mai raggiunto precedentemente buoni livelli artistici, appare più scadente dal punto di
vista tecnico, perché gli sconvolgimenti, che interessarono l’Italia centro-meridionale con le guerre annibaliche, resero precari i rapporti con i centri
ellenistici del Mediterraneo orientale26.
Quando, nel corso del II sec. a.C., periodo a cui presumibilmente si deve assegnare il nostro reperto, si ripristinarono rapporti più intensi e regolari
con i centri propulsori dell’arte greca, migliorarono anche la tecnica e la resa del
tutto tondo di questi minimonumenti bronzei27.
Ormai tutta l’Italia centro-meridionale è però entrata totalmente nell’orbita della politica di Roma, a cui è cointeressata a pieno titolo, e gli antichi
popoli italici pretendono l’equiparazione ai cittadini romani, reclamando il riconoscimento della cittadinanza, che otterranno con la guerra sociale.
A questi avvenimenti, e alla conseguente provincializzazione della vita nelle varie regioni, fa riscontro la perdita, da parte delle varie etnìe, di gran parte
dei loro tratti peculiari che le avevano contraddistinte in antico, e fra l’altro Ercole, che caratterizzava uno degli aspetti più significativi della vita religiosa dei
Sanniti, entra a far parte di un più vasto pantheon.
Le nuove divinità tipicamente romane attutiscono la connotazione principale del culto del mitico eroe, che era quello di simbolo dello spirito religioso
di un popolo una volta nomade, dedito alla pastorizia, abituato a combattere
contro le avversità della natura28. L’avanzato processo di “spersonalizzazione”,
già evidenziato nella nostra statuina, ed il conseguente venir meno di particolari
riferimenti ed aspetti etici e storici di determinati gruppi, contribuisce anche alla
diffusione, su più ampie superfici, del culto di Ercole; ciò può giustificare anche
la presenza di un bronzetto dell’eroe nel territorio di San Severo, senza che
comporti la necessità di porre in rilievo peculiari problemi storici, che pur sussistono sotto altri aspetti, inerenti alla specifica posizione geografica del nostro
territorio, che è stato per lungo tempo confinante con quello sannitico.
26 - G. COLONNA, Problemi di arte figurativa... cit., pp. 175-176.
27 - A. DI NIRO, Il culto di Ercole... cit., p. 17.
28 - A. DI NIRO, Il culto di Ercole... cit., p. 12.
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