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Scuola di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Scienze Chimiche Sintesi di sequenze peptidiche di enterovirus Coxsackie e hGAD per lo studio di una possibile correlazione tra agenti infettivi e diabete di tipo 1 Synthesis of peptide sequences of enterovirus Coxsackie and hGAD for the study of a possible correlation between infectious agents and type 1 diabetes Relatore Prof. Anna Maria Papini Correlatore Prof. Chiara Azzari Candidato Lorenzo Altamore Anno Accademico 2013/2014 Abstract Candidato: Lorenzo Altamore ([email protected]) Relatore: Anna Maria Papini ([email protected]) Correlatore: Chiara Azzari ([email protected]) Controrelatore: Antonella Capperucci ([email protected]) Il diabete mellito di tipo 1, sia nella sua forma giovanile (Insulin-Dependent Diabetes Mellitus, IDDM) che negli adulti (Latent Autoimmune Diabetes in Adults, LADA) è una patologia sulla quale sono stati effettuati, negli ultimi decenni numerosi studi, al fine di comprenderne i meccanismi molecolari e soprattutto le cause scatenanti, che accettate essere di natura genetica e/o ambientale. Fra gli agenti ambientali più probabili, legati allo scatenamento e allo sviluppo di questa patologia è sempre più accettato il ruolo di un’infezione virale precoce causata dall’enterovirus Coxsackie B4. Il meccanismo che lega i due eventi rimane però ancora ignoto. Una delle ipotesi più probabili al riguardo suggerisce un meccanismo di mimicry verso una porzione, denominata P2C, di una proteina genomica del virus rispetto a frammenti delle due isoforme della Glutamic Acid Decarboxylase (GAD65 e GAD67), un enzima coinvolto nella regolazione del glucagone. La P2C condivide infatti con GAD65 e GAD67 un possibile epitopo, il frammento peptidico PEVKEK (J.C. Tong et al. Ann.N.Y.Acad.Sci. 2002). Questo mimetismo potrebbe generare una cross-reattività degli anticorpi anti-Coxsackie verso le due isoforme della GAD e portare al riconoscimento di neo-epitopi nella GAD stessa. Ne conseguirebbe un danno all’enzima da parte del sistema immunitario e una conseguente disregolazione dei livelli di glucagone, con possibile scatenamento della patologia. La GAD è infatti riconosciuta ad oggi come uno dei più significativi autoantigeni legati al diabete di tipo I e gli anticorpi anti-GAD sono accettati a livello clinico come uno dei biomarker più caratteristici di questa patologia non solo a livello diagnostico, ma anche predittivo. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di porre le basi per un approfondimento mirato ad avvalorare questa ipotesi. Sono stati perciò selezionati e sintetizzati tramite strategia di sintesi di peptidi su fase solida Fmoc/tBu assistita da microonde, i tre frammenti peptidici: 2 hGAD65: 250AMMIARFKMFPEVKEKGMAALPRL273, 258SIMAARYKYFPEVKTKGMAAVPKL281 hGAD67: e CVB4 P2C: 28FIEWLKVKILPEVKEKHEFLSRL50. I peptidi sono stati sintetizzati sia in forma non acetilata all’estremità N-terminale (I-III), che acetilata (IV-VI). Il motivo di tale scelta è legato ad introdurre un ulteriore legame ammidico in posizione N-terminale, mimando un frammento interno alla putativa proteina antigenica e favorire l’interazione con anticorpi specifici eventualmente presenti nel siero dei pazienti. I peptidi I, II e III sono stati utilizzati per studi di immunoaffinità mediante Risonanza Plasmonica di Superficie (BIACORE), mentre i peptidi IV, V e VI sono stati utilizzati in test immunoenzimatici su fase solida SP-ELISA. In entrambi i casi sono stati utilizzati sieri di pazienti diabetici e controlli provenienti sia dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer di Firenze (sieri IDDM) che dall’Università di Padova (sieri LADA). Nei sieri si pazienti IDDM è stato possibile rivelare, tramite SP-ELISA, anticorpi solo di classe IgM. In particolare nel caso dei sieri 15 e 43 è stata osservata una netta positività al test contro tutti e tre i peptidi IV, V e VI, mentre i sieri 1 e 37A hanno dato risultati positivi nei confronti dei peptidi hGAD67 (258-281) e CVB4 P2C (2850) e dei peptidi hGAD65 (250-273) e CVB4 P2C (28-50) rispettivamente. Inoltre sono stati ricercati gli stessi anticorpi anche in una coorte ridotta di sieri appartenenti a pazienti LADA, al fine di verificare se questi fossero presenti anche in soggetti adulti. Anche in questo caso non sono stati ritrovati anticorpi IgG, ma solo IgM con valori di assorbanza elevati verso le tre sonde peptidiche IV, V e VI. Essendo le IgM la prima classe di anticorpi prodotta in seguito a infezione, la loro presenza può essere un indice di reminiscenza dell’infezione stessa. Possiamo perciò affermare che anche se in un numero esiguo di pazienti, abbiamo una prima dimostrazione dell’effetto di mimicry ipotizzato tra hGAD 65, hGAD 67 e la porzione P2C della sequenza della proteina genomica virale del Coxsackievirus B4.. Gli studi di binding effettuati con i peptidi I, II e III mediante BIACORE T100, ottimizzati ad oggi per il riconoscimento di anticorpi IgG, hanno dato come atteso risultati negativi sia nei sieri dei pazienti diabetici che nei controlli. Misure d’interazione tra le IgM identificate per la prima volta in questo lavoro di tesi e le nuove sonde peptidiche I, II e III sono attualmente in corso. 3 INDICE 1. INTRODUZIONE 1.1. LA RISPOSTA IMMUNITARIA 1.1.1. Regio 1.1.2. ni variabili: caratteristiche strutturali e legame con l’antigene 1.1.3. 1.1.4. 1.2. 11 funzioni effettrici 12 Legame anticorpo-antigene 16 Diabete mellito di tipo 1 (T1D) 17 18 1.2.1.1. Ruolo metabolico della GAD 20 1.2.1.2. Coxsackie Virus 23 2. PRESUPPOSTI DELLA RICERCA 2.1. 7 Regioni costanti: caratteristiche strutturali e PATOLOGIE AUTOIMMUNI 1.2.1. 7 25 CORRELAZIONE FRA DIABETE MELLITO DI TIPO 1 ED INFEZIONE DA COXSACKIE VIRUS: MIMETISMO 2.1.1. Danneggiamento diretto e distruzione delle β-cellule delle isole pancreatiche 2.1.2. 25 25 Reazione autoimmune: danneggiamento del procedimento chimico metabolico di regolazione del glucosio nel sangue 2.1.2.1. Anticorpi anti-GAD 3. SVILUPPO DELLA RICERCA 26 31 32 4 3.1. SPPS 33 3.1.1. Teoria e applicazioni delle microonde in SPPS 37 3.1.2. Microonde in sintesi peptidica 40 3.2. 3.1.2.1. Reazioni collaterali 41 3.1.2.2. Liberty BlueTM CEM 44 SINTESI DEI PEPTIDI hGAD65 (250-273) (I), hGAD67 (258-281) (II) e CVB4 P2C (28-50) (III) 3.3. 46 SINTESI DEI PEPTIDI hGAD65 Ac-(250-273) (I), hGAD67 Ac-(258-281) (II) e CVB4 P2C Ac-(28-50) (III) 3.3.1. Reazione di Acetilazione 3.4. 47 PURIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DEI PEPTIDI 3.5. 46 47 RILEVAZIONE E QUANTIFICAZIONE DI ANTICORPI TRAMITE TECNICA BIACORE E TECNICA IMMUNOENZIMATICA ELISA 3.5.1. Biacore 49 49 3.5.1.1. Risonanza Plasmonica di Superficie 52 3.5.1.2. La superficie del biosensore 54 3.5.1.3. Procedura di pH-scouting 56 3.5.1.4. Immobilizzazione del ligando sul chip 60 3.5.1.5. Risultati dei test al BIACORE 64 3.5.2. Tecnica immunoenzimatica ELISA 68 3.5.2.1. Risultati dei test SP – ELISA 71 5 4. CONCLUSIONI 77 5. PARTE SPERIMENTALE 80 5.1. SPPS – MATERIALI E METODI 80 5.1.1. Sintesi automatica di peptidi su fase solida 81 5.1.2. Cleavage dalla resina 82 5.1.3. Acetilazione dell’estremità N-terminale 83 5.1.4. Purificazione dei peptidi 84 5.2. 5.1.4.1. Pre-purificazione 84 5.1.4.2. HPLC semi-praparativa 84 5.1.4.3. Caratterizzazione dei peptidi 85 TEST DI IMMUNOAFFINITA’ BIACORE – MATERIALI E METODI 86 5.2.1. Immobilizzazione dei peptidi sul chip 86 5.2.2. Studi di binding 87 5.3. TEST IMMUNOENZIMATICI IN FASE SOLIDA (SP-ELISA) – MATERIALI E METODI 5.3.1. Test SP-ELISA – Fasi sperimentali 88 89 6. BIBLIOGRAFIA 91 7. RINGRAZIAMENTI 94 6 1 INTRODUZIONE 1.1 LA RISPOSTA IMMUNITARIA Si definisce antigene (Ag) una qualunque sostanza in grado di essere riconosciuta dal sistema immunitario, avente la caratteristica di combinarsi con i prodotti di una reazione immunitaria (anticorpi o cellule T). Possono essere suddivisi in due macrocategorie: “self”, generalmente tollerati dal sistema immunitario e spesso di natura endogena, e “non-self”, in genere identificati come invasori e attaccati dal sistema immunitario (spesso di natura esogena). Spesso si fa riferimento, erroneamente, agli antigeni come “generatori di anticorpi”[1]. Si definisce invece immunogeno una sostanza che provoca in un organismo suscettibile una risposta immunitaria (e quindi la produzione di molecole di anticorpi specifici). Un immunogeno è un tipo specifico di antigene. Gli immunogeni possono essere composti semplici (monomerici) o complessi (polimerici). Generalmente però sono caratterizzati da un peso molecolare relativamente alto e sono di natura proteica o polisaccaridica. Molecole di piccole dimensioni non sono in grado, di per sé, di attivare i linfociti B, ossia non funzionano da immunogeni. Per generare anticorpi diretti verso queste piccole molecole è necessario coniugarle a macromolecola prima di procedere all’immunizzazione: in questo caso la molecola piccola viene definita aptene, mentre la macromolecola è chiamata carrier. Il complesso aptene-carrier, diversamente dall’aptene da solo, è in grado di comportarsi da immunogeno. Riassumendo, si definisce quindi immunogenicità la capacità di una sostanza di indurre in un organismo una risposta umorale e/o cellulo-mediata di tipo immune; l'antigenicità è invece la capacità di combinarsi specificamente con i prodotti finali della risposta immunitaria (cioè gli anticorpi secreti e/o i recettori di superficie presenti sulle cellule T). Anche se tutte le molecole che hanno proprietà immunogene hanno anche proprietà antigeniche, non è vero il contrario[2]. Un anticorpo (o Ab, anche conosciuto come immunoglobulina) è invece un substrato di natura proteica con una peculiare struttura quaternaria a forma di “Y”. Gli anticorpi sono presenti nel sangue e in tutti gli altri fluidi degli organismi 7 vertebrati. Sono prodotti dal sistema immunitario in seguito al contatto con un determinato antigene e la loro funzione è quella di identificarlo e neutralizzarlo[3]. Gli anticorpi hanno la capacità di legarsi in maniera specifica agli antigeni (microorganismi infettivi come batteri, tossine o qualunque macromolecola estranea che provochi la formazione di anticorpi). Negli organismi a sangue caldo vengono prodotti dai linfociti B, trasformati per adempiere a questo compito, in seguito a stimoli specifici, in plasmacellule. Le immunoglobuline, insieme ai recettori dei linfociti T, TCR (T Cell Receptors), e alle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità, MHC (Major Histocompatibility Complex), sono le uniche molecole capaci di legare l'antigene. La porzione strutturale dell’antigene che viene riconosciuta e legata dall’anticorpo viene definita epitopo o determinante (Fig. 1). Epitopo Figura 1 – Interazione Antigene-Anticorpo Le macromolecole solitamente contengono molteplici epitopi, alcuni dei quali possono essere ripetuti: ognuno di essi può ovviamente essere legato da un anticorpo. Quando in uno stesso antigene sono presenti epitopi multipli identici si parla di polivalenza o multivalenza. La maggior parte delle proteine globulari non 8 contengono epitopi identici ripetuti, e non sono quindi polivalenti, a meno che la proteina non sia in forma aggregata. Esistono tre diverse tipologie di epitopi: • Epitopi lineari: sono definiti così quegli epitopi formati da una semplice sequenza di residui amminoacidici. Di solito, il sito di legame per una molecola anticorpale può alloggiare un determinante antigenico composto da circa 6 amminoacidi. Gli epitopi lineari possono essere accessibili agli anticorpi se sono esposti sulla superficie esterna dell’antigene, o in una regione conformazionale estesa nella proteina nativa ripiegata; più spesso invece gli epitopi lineari sono inaccessibili nella conformazione nativa della proteina, e compaiono solo quando essa viene denaturata. • Epitopi conformazionali: sono costituiti da amminoacidi non in sequenza e si creano per avvicinamento spaziale, dovuto al ripiegamento della proteina, di regioni distanti tra loro. • Epitopi neo-antigenici: vengono generati in seguito a modifiche posttraduzionali aberranti, quali fosforilazione o proteolisi, che, alterandone la struttura covalente, possono generare nuovi epitopi. In Figura 2 sono raffigurati i diversi tipi di epitopi. Figura 2 – Tipologie di determinanti o epitopi antigenici 9 Tutte le interazioni di legame, generalmente non covalenti quali i legami a idrogeno, le interazioni di Van der Waals ecc., avvengono quindi fra i siti di legame specifici presenti sull’anticorpo/recettore e questa porzione del peptide antigenico (epitopo). La restante parte della sequenza amminoacidica può quindi eventualmente giocare un ruolo prettamente strutturale, ovvero permettere l’esistenza stessa dell’epitopo (nel caso di epitopi conformazionali) o coadiuvare l’avvicinamento dell’antigene all’anticorpo. L’approccio sintetico generalmente utilizzato per lo studio delle interazioni antigene-anticorpo prevede quindi la sintesi non dell’intera proteina antigenica, ma esclusivamente della sequenza che teoricamente rappresenta l’epitopo. Come evidenziato in Figura 1, tutte le molecole anticorpali posseggono identiche caratteristiche strutturali (regione costante), ma mostrano una variabilità notevolissima nelle regioni che legano l’antigene (regione variabile). Questa variabilità spiega la capacità delle diverse molecole anticorpali di legarsi ad un numero enorme di antigeni strutturalmente differenti; ogni specie anticorpale è dotata nel sito di combinazione con l’antigene di una sequenza amminoacidica assolutamente unica, diversa da quella di tutti gli altri tipi di anticorpo. Le caratteristiche chimico-fisiche e le funzioni effettrici delle Ig sono legate alla porzione anticorpale che non lega l’antigene, che mostra una variabilità relativamente bassa tra i diversi anticorpi. Ogni anticorpo è costituito da un nucleo strutturale simmetrico, composto da due catene leggere identiche tra loro (ciascuna del peso di circa 24 KD) e due catene pesanti anch’esse identiche tra loro (ciascuna del peso di circa 55 o 70 KD). Ognuna delle due catene leggere è legata attraverso un legame covalente ad una delle due catene pesanti da un ponte disolfuro; le due catene pesanti sono a loro volta legate da ponti disolfuro. Sia le catene leggere che quelle pesanti contengono una serie di unità omologhe, della lunghezza di circa 110 amminoacidi ciascuna, che prendono il nome di dominio immunoglobulinico. Un dominio Ig contiene due strati di foglietto planare, ciascuno dei quali composto da 3-5 “nastri” polipeptidici ad andamento antiparallelo (Fig. 3) 10 Figura 3 – Domini immunoglobulinici della catena leggera degli anticorpi Sia le catene pesanti che quelle leggere sono composte da una regione variabile (rispettivamente VH e VL) N-terminale e da una regione costante (rispettivamente CH e CL) C-terminale. Le regioni V sono definite tali in quanto contengono regioni di variabilità della sequenza amminoacidica che differenziano gli anticorpi prodotti da un clone di linfociti B da quelli prodotti da un clone diverso. Dal momento che il nucleo strutturale di ogni molecola di anticorpo è costituito da due catene pesanti e due catene leggere, ogni molecola Ig avrà due siti di legame per l’antigene. I domini della regione C sono spazialmente separati dal sito di legame per l’antigene e non partecipano al riconoscimento di quest’ultimo; tali domini possono tuttavia interagire con molecole e cellule effettrici del sistema immunitario, mediando così gran parte degli effetti biologici svolti dagli anticorpi. L’estremità C-terminale delle catene pesanti serve, inoltre, ad ancorare gli anticorpi sulla membrana dei linfociti B, dove svolgono le funzioni di recettore antigenico. D’altra parte la regione C delle catene leggere non svolge alcuna funzione effettrice, né funge da ancora per la membrana cellulare. 1.1.1 Regioni variabili: caratteristiche strutturali e legame con l’antigene La maggior parte delle differenze strutturali tra le diverse molecole di anticorpo si concentra in tre brevi tratti situati nella regione V delle catene leggere e delle catene pesanti, denominati segmenti ipervariabili. Ciascuna di queste regioni 11 altamente diversificate ha una lunghezza di circa 10 amminoacidi; i tre segmenti ipervariabili sono tenuti assieme da regioni dette “cornice”. Dal momento che queste sequenze possiedono una conformazione complementare alla struttura tridimensionale dell’antigene che ad esse si lega, le regioni ipervariabili sono spesso denominate anche CDR (Complementary-Determining Regions) (Fig. 4) Figura 4 – Regioni ipervariabili delle molecole di immunoglobuline Queste regioni sono chiamate rispettivamente CDR1, CDR2 e CDR3. Sia nella regione VH che in quella VL, il segmento più variabile delle tre sequenze è CDR3. L’analisi cristallografica degli anticorpi ha rivelato che le CDR formano delle anse esposte sulla superficie degli anticorpi e quindi disponibili ad interagire con l’antigene. 1.1.2 Regioni costanti: caratteristiche strutturali e funzioni effettrici Le molecole anticorpali possono essere divise in classi in base a differenze nella struttura delle regioni C delle catene pesanti. Queste classi sono chiamate anche isotipi, e sono denominate IgA, IgD, IgE, IgG ed IgM (Tab. 1). 12 Tabella 1 – Isotipi delle immunoglobuline Ognuna di queste classi possiede una specifica sottoclasse di catene pesanti, che sono denominate rispettivamente α, δ, ε, γ, µ; sono invece noti due diversi tipi di catena corta, denominati k e l. Le IgG, o gammaglobuline, rappresentano la frazione più abbondante (70-75%) delle immunoglobuline presenti nel sangue, svolgono un ruolo importante nella difesa dalle infezioni: si legano ai macrofagi e ai leucociti permettendo loro di individuare efficacemente il bersaglio da fagocitare. Le IgG sono anche capaci di scatenare una serie di reazioni biochimiche, detta cascata del complemento, che si conclude con l’eliminazione del microorganismo. Inoltre, le IgG sono l’unica classe anticorpale efficace contro le tossine batteriche. Sono gli anticorpi maggiormente impiegati durante la risposta immunitaria secondaria, cioè sono prodotte tardivamente e in maniera massiva dai linfociti B differenziatisi in plasmacellule. In questo esse si contrappongono alle IgM, che sono prodotte invece nelle fasi più precoci dell'infiammazione, ma che hanno un'efficacia decisamente minore. Le gammaglobuline hanno un'importantissima funzione nel proteggere il neonato durante i primi mesi di vita, quando ancora non è in grado di produrre anticorpi da solo. Le IgG sono infatti in grado di passare la barriera placentare, immettendosi nel sangue del feto: questi possiede dunque lo stesso repertorio anticorpale della madre per circa sei mesi, finché gli anticorpi ormai vecchi vengono degradati, ed è quindi in grado di difendersi nei confronti di tutti quei patogeni con cui la madre è 13 venuta a contatto (anche solo per vaccinazione). Dopo la nascita, la madre continua comunque a passare immunoglobuline al neonato mediante l'allattamento: il latte materno contiene infatti grandi quantità di IgG ed IgA, che passano nell'apparato digerente del neonato. Mentre le IgA si fermano nel canale digerente, le IgG vengono assorbite dall'epitelio intestinale del lattante mediante uno specifico recettore neonatale per le Fc, ed immesse nel torrente circolatorio. Le IgM rappresentano circa il 10% delle immunoglobuline del sangue e sono costituite dall’aggregazione di cinque, più raramente sei, monomeri di immunoglobulina. La loro produzione è caratteristica delle risposte primarie agli organismi infettivi. È sufficiente una sola molecola di IgM legata all’antigene per attivare la cascata del complemento. L'emivita delle IgM nel siero è di 5-6 giorni, circa tre volte inferiore a quella delle IgG. Possono essere sintetizzate dai linfociti B in due forme: monomerica e pentamerica. Nel primo caso si ritrovano (insieme alle IgD) sulla membrana del linfocita B immaturo e la loro funzione principale è quella di captare gli antigeni circolanti per i quali sono specifiche e di trasmettere all'interno del linfocita il segnale di attivazione, che lo porterà a differenziarsi in una plasmacellula secernente anticorpi. Le IgM vengono prodotte già in uno stadio molto precoce della maturazione dei linfociti B: catene μ possono essere ritrovate già nel citoplasma dei linfociti pre-B, dove vengono assemblate con una catena leggera sostitutiva e permettono la formazione del recettore pre-B, utilissimo ai fini della selezione positiva. Dopo l'attivazione del linfocita per il contatto con l'antigene ed il suo differenziamento in cellula secernente anticorpi, le IgM subiscono un processo di maturazione dell'affinità per l'antigene, per cui vengono prodotte IgM ad alta affinità non più in forma di membrana ma in forma secretoria. Nel secondo caso la principale funzione è l'opsonizzazione (potenziamento del processo di fagocitosi dei batteri): essendo pentameriche, esse dispongono infatti del quintuplo di siti di legame rispetto a tutte le altre immunoglobuline, e perciò sono opsonine molto efficaci. Contrariamente alla maggior parte delle opsonine, la funzione principale delle IgM non è però quella di favorire la fagocitosi della particella opsonizzata da parte delle cellule immunitarie: pochissimi fagociti possiedono, infatti, un recettore specifico per la porzione Fc delle IgM (Fig. 5). 14 Frammenti “Fab” o “frammenti leganti l’antigene” Frammento “Fc” o “frammento cristallizzabile” Figura 5 – Le due porzioni derivanti dal clivaggio di un anticorpo La loro funzione principale è invece quella di attivare il complemento: le IgM sono infatti i migliori iniziatori della via classica dell'attivazione del complemento, meglio ancora delle IgG. Il sistema del complemento, insieme agli anticorpi, è un elemento essenziale del sistema immunitario nei meccanismi di difesa umorale contro gli agenti infettivi. Esso è costituito da una ventina di proteine circolanti e di membrana, capaci di interagire reciprocamente e con le membrane cellulari. L'attivazione a cascata delle sue proteine solubili, che convenzionalmente vengono chiamate componenti, è alla base di attività biologiche varie come la lisi cellulare, batterica o virale. Queste si introducono nelle membrane degli agenti patogeni provocando su di esse pori che portano alla lisi. Durante l'attivazione del complemento si ha inoltre il reclutamento di varie cellule immunocompetenti, quali le cellule fagocitarie (monociti, macrofagi, polinucleati), i linfociti B e i linfociti T. Le IgA sono gli anticorpi più rappresentati nelle secrezioni: saliva, latte, lacrime e secrezioni respiratorie, digerenti e genitourinarie. Possono esistere sia in singola unità (monomeri), sia aggregate in coppia (dimeri). Costituiscono un vero e proprio sistema difensivo nelle mucose, rappresentando la prima barriera specifica che si oppone alla penetrazione del materiale antigenico nell’organismo. Le IgD rappresentano meno dell’1% delle immunoglobuline totali del plasma, ma sono presenti in grande quantità sulla membrana di molti linfociti B circolanti. Esse sembrerebbero svolgere un importante ruolo di recettori per l’antigene dei linfociti B. 15 Le IgE, pur trovandosi in piccolissime quantità nel siero plasmatico, sono presenti sulla superficie dei basofili e dei mastociti di tutti gli individui, agendo come recettori per gli antigeni. L’avvenuto legame stimola la degranulazione di queste cellule che, liberando istamina e altri mediatori, provocano le manifestazioni cliniche tipiche delle reazioni allergiche (asma, orticaria, febbre da fieno). Le IgE svolgono inoltre un importante ruolo nella difesa dai parassiti, in particolar modo dai vermi[4]. 1.1.3 Legame antigene-anticorpo Il legame tra l’antigene e l’anticorpo coinvolge diversi tipi di interazioni non covalenti, tra cui forze elettrostatiche, ponti a idrogeno, interazioni di van der Waals ed interazioni idrofobiche. La forza di legame tra un singolo sito combinatorio di un anticorpo ed un epitopo antigenico, viene definita affinità dell’anticorpo. L’affinità è solitamente espressa come costante di dissociazione (Kd), che definisce la concentrazione di antigene necessaria per occupare i siti combinatori di metà delle molecole di Ig presenti in una data soluzione di anticorpi. Una Kd bassa indica un’affinità di interazione elevata, poiché significa che è necessaria una concentrazione minore di antigeni per saturare la metà dei siti combinatori. Per gli anticorpi rivolti verso antigeni d’interesse biologico, la Kd di solito oscilla tra 10-7 M e 10-11 M. Dal momento che la regione cerniera conferisce agli anticorpi una certa flessibilità, una molecola di anticorpo può legarsi ad un antigene multivalente con più di un sito combinatorio. Per le IgG e per le IgE questo legame può coinvolgere al massimo due siti combinatori, situata su ognuno dei due Fab (cioè la coppia di domini VL e VH, ognuno dei quali mantiene la capacità di legare l’antigene); per le Ig pentameriche come le IgM, una singola molecola di anticorpo può legare fino a 10 molecole di epitopi. Sebbene l’affinità di un sito combinatorio sia la stessa nei confronti di ogni epitopo di un antigene polivalente, la forza di legame dell’antigene all’anticorpo deve tener in conto il legame di tutti i siti combinatori a tutti gli epitopi disponibili: questa forza complessiva di legame tra antigene ed anticorpo è chiamata avidità, ed è ovviamente molto maggiore dell’affinità di ogni singolo sito combinatorio. Il valore dell’avidità cresce in modo quasi geometrico per ogni sito combinatorio occupato: pertanto, una molecola di 16 IgM a bassa affinità può legarsi in maniera molto forte ad un antigene polivalente, poiché molte interazioni a bassa affinità possono produrre un’interazione complessiva ad avidità elevata. 1.2 PATOLOGIE AUTOIMMUNI Con il termine malattia autoimmune, in medicina, si indica l'alterazione del sistema immunitario che dà origine a risposte immuni anomale o autoimmuni, cioè dirette contro componenti dell'organismo umano in grado di determinare un'alterazione funzionale o anatomica del distretto colpito[5]. L’autoimmunità consiste quindi in una risposta immunitaria contro antigeni self (autologhi) e rappresenta un’importante causa di malattia. È importante sottolineare che non sempre il verificarsi di una risposta autoimmunitaria implica il successivo sviluppo di una patologia autoimmune. Sono noti molti casi, legati soprattutto ad infezioni, in cui è presente una risposta autoimmunitaria (transiente) che non sfocia in nessuna malattia autoimmune. La malattia autoimmune è quindi una condizione patologica in cui è avvenuta una rottura della tolleranza immunologica verso uno o più antigeni self. Il risultato della scomparsa di questa tolleranza è la formazione di autoanticorpi e/o linfociti T autoreattivi che determinano/inducono un danno tissutale e la malattia. Si stima che l’1-2% degli individui soffra di malattie autoimmuni, sebbene si debba ammettere che molte malattie associate a risposte immunitarie dirette contro antigeni ignoti (e quindi non necessariamente self) vengano semplicisticamente incluse tra le malattie autoimmuni. Le malattie autoimmuni vengono convenzionalmente suddivise in due categorie: organo-specifiche e non-organo-specifiche (o sistemiche). Nelle prime la risposta autoimmunitaria è diretta verso antigeni multipli di un organo. Tipicamente coinvolgono le ghiandole endocrine e gli autoantigeni sono spesso recettori ormonali o enzimi intracellulari tipici dell’organo interessato (es. diabete di tipo 1). Le seconde colpiscono invece più organi e sono associate ad una risposta immunitaria diretta contro molecole self largamente distribuite nell’organismo, in particolare molecole intracellulari coinvolte nella trascrizione del DNA (es. artrite reumatoide). 17 I principali fattori che contribuiscono allo sviluppo dell’autoimmunità sono di origine genetica (ereditarietà di geni predisponenti che contribuiscono alla mancata tolleranza verso antigeni self) o di origine ambientale (come le infezioni che possono attivare in modo patologico linfociti reattivi verso antigeni self) (Fig. 6). Figura 6 – Meccanismi ipotizzati per lo sviluppo dell’autoimmunità 1.2.1 Diabete mellito di tipo 1 (T1D) Il diabete mellito di tipo 1 è una forma di diabete che si configura come malattia autoimmune caratterizzata dalla distruzione delle cellule β pancreatiche e conseguente insulino-deficienza[6]. La forma più comune di T1D è conosciuta come Insulin-Dependent Diabetes Mellitus (IDDM) o diabete giovanile. La velocità con cui le cellule β vengono distrutte è variabile; è stata infatti osservata una maggiore velocità di distruzione cellulare nei bambini, che risulta invece più lenta negli adulti. In quest’ultimo caso si parla di Latent Autoimmune Diabetes in Adults (LADA) [7]. 18 Alcuni pazienti, specialmente bambini ed adolescenti, possono presentare una rapida chetoacidosi come prima manifestazione della patologia. Altri mostrano invece una più lenta iperglicemia, che assume rapidamente importanza in presenza di infezioni o stress. Negli adulti, in alcuni casi, si è osservata una conservazione di un’attività residua delle β cellule, sufficiente a prevenire la chetoacidosi [8]. Le cause scatenanti sono un insieme di fattori che riguardano la genetica, l'ambiente e l'immunologia. Ad una predisposizione genetica di base si unisce uno stimolo immunologico che, con il passare del tempo, porta alla distruzione delle cellule β. L'insorgenza ha variazione stagionale e può seguire, tra l'altro, quella di diverse patologie virali quali il morbillo, l'epatite o infezioni da Coxsackie Virus. Si teorizza che tali infezioni realizzino una risposta autoimmunitaria, portando infine alla comparsa di linfociti T citotossici che completino la distruzione delle cellule β del pancreas, producenti insulina. Per quanto riguarda i fattori ambientali, sembra che, come altre malattie autoimmuni, il T1D sia correlato a particolari combinazioni di alleli HLA (Human Leukocyte Antigen). La presenza di HLA del cromosoma 6 fu il primo locus ad essere sospettato di una correlazione col diabete di tipo 1 mentre i B8 o B15 aumentano di circa tre volte il rischio di sviluppare T1D[9]. L'eziologia genica è però ancora incerta. Inoltre non c'è prevalenza nella trasmissione verticale. Non esistono invece ancora prove certe riguardo al coinvolgimento dei fattori ambientali nello sviluppo del T1D. Una recente ipotesi prende in considerazione fenomeni di mimetismo con antigeni del Mycobacterium avium subspecie paratuberculosis, già chiamato in causa per la patogenesi della malattia di Crohn[10]. Infezioni croniche subcliniche di tale micobatterio, contratto durante l'infanzia, comporterebbero, in individui suscettibili, interazioni crociate di stampo autoimmunitario, come rilevato in alcuni studi[11]. Inerentemente invece alle infezioni da Coxackie, il sierotipo B4 è stato correlato all'insorgenza di diabete insulino-dipendente (vedi paragrafo “Correlazione fra T1D ed infezione da Coxsackie Virus B4: mimetismo” nella sezione “Presupposti della Ricerca”). 19 1.2.1.1 Ruolo metabolico della GAD La GAD (Glutamic Acid Decarboxylase) è un enzima il cui ruolo primario è la decarbossilazione del glutammato (1) (Glu, E) a GABA (2) e CO2 (Schema 1). + CO2 GAD (1) (2) Schema 1 – Sintesi del GABA Esiste nell’organismo umano in due isoforme denominate hGAD65 (65 kDa) e hGAD67 (67 kDa) (Fig. 7). GAD65 (88-584) GAD67 (93 – 593) Figura 7 – GAD65 e GAD67 Queste sono espresse da due geni diversi, denominati rispettivamente GAD2 e GAD1, prevalentemente a livello cerebrale e pancreatico. La GAD67 è caratterizzata da una distribuzione uniforme all’interno della cellula, mentre la GAD65 è localizzata esclusivamente nelle terminazioni nervose e a livello della membrana; questa caratteristica riflette una differenza funzionale delle due 20 isoforme. La GAD67 infatti ha il compito di sintetizzare il GABA per l’attività neuronale non legata alla neurotrasmissione, some la sinaptogenesi e la protezione da danni neurali, funzione che richiede una distribuzione ubiquitaria del GABA; la GAD65 invece sintetizza il GABA specificatamente per la neurotrasmissione, che di conseguenza è necessario solo a livello delle terminazioni nervose. La GAD67 viene di conseguenza sviluppata per prima dall’organismo durante la fase iniziale di sviluppo, mentre la GAD65 viene trascritta solo più tardi[12]. Ancora una volta questo riflette la differente funzione delle due forme nell’organismo, la prima necessaria durante lo sviluppo per il normale funzionamento della cellula, la secondo necessaria solo quando l’inibizione sinaptica è più diffusa. Entrambe le isoforme sono regolate tramite reazioni di fosforilazione[13], anche se in modo diametralmente opposto; mentre la GAD65 è attivata dalla fosforilazione, la GAD67 viene inibita da essa. La GAD67 viene fosforilata sulla treonina in posizione 91 ad opera della protein kinasi A (PKA); la GAD65 invece viene fosforilata dalla protein kinasi C (PKC). Esiste poi un ulteriore regolatore comune, denominato piridossal-5-fosfato (PLP). La GAD risulta attiva solo se legata al PLP[14]; mentre, per gli stessi motivi già elencati precedentemente, la GAD67 risulta sempre legata al PLP, la GAD65 si lega ad esso, attivandosi, solo in caso di necessità. Come già accennato, la GAD, nelle sue 2 isoforme 65 e 67, e di conseguenza il GABA, sono espressi anche nelle cellule β delle isole di Langerhans, in quantità paragonabili a quelle incontrate nel SNC. Il GABA è un γ-amminoacido, principale neurotrasmettitore inibitorio nei mammiferi del sistema nervoso centrale, responsabile della regolazione dell'eccitabilità neuronale in tutto il sistema nervoso. Negli esseri umani GABA è anche direttamente responsabile della regolazione del tono muscolare. Viene rilasciato da neuroni dei circuiti locali presenti nel cervello (neuroni gabaergici). La loro funzione fisiologica però rimane ad oggi ancora poco chiara. Alcune ipotesi suggeriscono che il GABA prodotto nelle β-cellule possa servire da regolatore del rilascio degli ormoni pancreatici oppure come molecola di segnalazione paracrina 21 per la comunicazione tra le suddette β-cellule e le altre cellule endocrine delle isole di Langerhans. La comunicazione paracrina si verifica quando la molecola segnale agisce a brevissima distanza su cellule bersaglio diverse poste presso la cellula di segnalazione. La velocità di questo segnale dipende dalla distanza delle cellule bersaglio e dalla risposta generata che può avvenire in frazioni di secondo, qualora sia finalizzata a cambiare la conformazione di una proteina, ma può richiedere anche minuti o ore quando modifica l'espressione genica. Ci sono inoltre prove convincenti a supporto del fatto che il GABA potrebbe avere un effetto inibitorio sul rilascio del glucagone (in vitro), anche se non è ancora chiaro come il GABA agisca da molecola segnale nell’inibizione della secrezione del glucagone[15]. Il glucagone (Fig. 8) è un ormone peptidico secreto dal pancreas, più precisamente dalle cellule α delle isole di Langerhans, che ha come bersaglio principale alcune cellule del fegato; esso permette il controllo dei livelli di glucosio nel sangue, affinché rimangano entro certi limiti: se il livello ematico di glucosio scende sotto una soglia di circa 80 - 100 mg/dl (= 0,8 - 1 g/l), le cellule α cominciano a secernere glucagone. Figura 8 – Glucagone Di seguito è riportata la sequenza completa del glucagone umano (http://www.uniprot.org). 10 MKSIYFVAGL 60 KRHSQGTFTS 110 GTFTSDVSSY 160 FSDEMNTILD 20 FVMLVQGSWQ 70 DYSKYLDSRR 120 LEGQAAKEFI 170 NLAARDFINW 30 40 50 RSLQDTEEKS RSFSASQADP LSDPDQMNED 80 90 100 AQDFVQWLMN TKRNRNNIAK RHDEFERHAE 130 140 150 AWLVKGRGRR DFPEEVAIVE ELGRRHADGS 180 LIQTKITDRK 22 Questo si lega immediatamente ai suoi recettori presenti principalmente sugli epatociti, attivando la degradazione del glicogeno (glicogenolisi) ed un conseguente rilascio di glucosio nel sangue. Sebbene venga in genere considerato antagonista dell'insulina per il suo compito di contrastare l'ipoglicemia, insulina e glucagone intervengono in sinergia in seguito all'introduzione di proteine/amminoacidi, poiché il primo determina lo stivaggio degli amminoacidi (proteosintesi) nei tessuti, mentre il secondo previene l'ipoglicemia causata dall'insulina[16]. In Figura 9 è rappresentato schematicamente il ciclo dell’insulina e del glucagone, a seconda che l’organismo si trovi in condizioni di alta o bassa glicemia. Figura 9 – Schema del ciclo dell’insulina e del glucagone 1.2.1.2 Coxsackie Virus I Coxsackie sono virus citolitici della famiglia dei Picornaviridae, degli Enterovirus. Ci sono 61 Enterovirus non poliomielitici che possono causare malattie umane, di questi 23 sono Coxsackie A e 6 sono Coxsackie B. Gli Enterovirus sono il secondo più comune agente infettante virale nella specie umana (dopo i Rhinovirus). La classificazione moderna non prevede più che il genere Enterovirus abbia come uno dei suoi gruppi i Coxsackievirus, ma che sia diviso, più rigorosamente, in varie specie fra cui i Poliovirus, gli Enterovirus umani A (con vari Coxsackie A), gli Enterovirus umani B (con i Coxsackie B), gli Enterovirus umani C (con altri Coxsackie 23 A), ecc. Inoltre due Coxsakie (A4 e A6) non sono ancora stati assegnati a nessuna delle precedenti specie. Tra le malattie causate dai sierotipi Coxsackie A, la più famosa è la malattia manopiede-bocca, ma anche congiuntivite emorragica, herpangina, e meningite asettica (per i sierotipi sia A che B). Il Coxsackie B causa anche miocardite e pericardite infettive e pleurodinia (malattia di Bornholm). Secondo recenti ipotesi, i virus Coxsackie produrrebbero alterazioni a carico delle cellule β del pancreas, fenomeno che quindi li chiama in causa come possibile fattore eziologico del T1D insulinodipendente. Tuttavia la sua virulenza è strettamente correlata alla funzionalità del sistema immunitario: tale agente infettivo ha maggior facilità a manifestare determinate patologie in un soggetto molto giovane o molto anziano o comunque immunocompromesso piuttosto che in individui adulti e sani. In Figura 10 è riportato a titolo esemplificativo il sottogruppo Coxsackie B3. Figura 10 – Coxsackie Virus B3 24 2 PRESUPPOSTI DELLA RICERCA 2.1 CORRELAZIONE FRA T1D ED INFEZIONE DA COXSACKIE VIRUS: IPOTESI DEL MIMETISMO Negli ultimi anni è risultato sempre più evidente il coinvolgimento dei fattori ambientali, in particolar modo le infezioni di tipo virale, nello sviluppo del T1D. Fra gli agenti patogeni più comunemente associati a questa patologia si ritrovano soprattutto virus appartenenti al genere degli enterovirus, e nello specifico il sottogruppo B4 del Coxsackie Virus, appartenente alla specie degli enterovirus umani B. A partire dalla fine degli anni ’90, numerosi studi hanno cercato di comprendere quale fosse la correlazione fra l’infezione e l’insorgere della patologia. I danni evidenti riscontrati nei soggetti affetti da T1D e risultati positivi ad infezione da Coxsackie sono fondamentalmente due: • danneggiamento diretto e distruzione delle β-cellule delle isole pancreatiche[17] • reazione autoimmune con danneggiamento del processo chimico/metabolico di regolazione del glucosio nel sangue[18] 2.1.1 Danneggiamento diretto e distruzione delle β-cellule delle isole pancreatiche In caso di infezione particolarmente aggressiva, le β-cellule delle isole pancreatiche infette possono essere direttamente distrutte dalla citolisi, ovvero dalla rottura della membrana cellulare, indotta dal virus. La distruzione diretta delle isole implica ovviamente una cessazione della produzione di insulina ed un conseguente aumento dei livelli di glucosio nel sangue, che sfocia poi nelle complicanze già descritte precedentemente. Un’infezione meno aggressiva potrebbe invece causare una reazione infiammatoria nelle isole, generando una distruzione delle cellule β a livello subclinico ed un conseguente rilascio di antigeni normalmente sequestrati, che quindi attivano la risposta di cellule T, autoreattive patogene[17][19]. 25 2.1.2 Reazione autoimmune: danneggiamento del processo chimico/metabolico di regolazione del glucosio nel sangue Tutte le ipotesi gravitano intorno ad un evidente fattore comune, ovvero la possibile omologia (Fig. 12) tra una porzione della sequenza amminoacidica della proteina virale genomica del Coxsackie Virus B4, denominata protein 2C o P2C (1099 – 1427) (Fig. 11), e due porzioni delle due isoforme, 65 (250 – 273) e 67 (259 – 282), della glutammico decarbossilasi umana, o GAD, espressa nelle cellule β del pancreas da un unico gene. Figura 11 – CVB4 genome polyprotein (http://www.uniprot.org) 26 Figura 12 – Omologia nelle sequenze di GAD e P2C virale[18] Di seguito sono riportate le sequenze complete delle due isoforme della GAD e della P2C, nelle quali sono stati evidenziati i frammenti ipotizzati quali mimetici e sintetizzati in questo lavoro di tesi (http://www.uniprot.org). GAD67 10 MASSTPSSSA 60 LQRTNSLEEK 110 RDLLPAKNGE 160 MEGFNLELSD 210 AGEWLTSTAN 260 GGAISNMYSI 310 LGFGTDNVIL 360 GAFDPIQEIA 410 WNPHKMMGVL 460 KAIQCGRHVD 510 EMVFNGEPEH 560 TTMVGYQPQG 20 TSSNAGADPN 70 SRLVSAFKER 120 EQTVQFLLEV 170 HPESLEQILV 220 TNMFTYEIAP 270 MAARYKYFPE 320 IKCNERGKII 370 DICEKYNLWL 420 LQCSAILVKE 470 IFKFWLMWKA 520 TNVCFWYIPQ 570 DKANFFRMVI 30 TTNLRPTTYD 80 QSSKNLLSCE 130 VDILLNYVRK 180 DCRDTLKYGV 230 VFVLMEQITL 280 VKTKGMAAVP 330 PADFEAKILE 380 HVDAAWGGGL 430 KGILQGCNQM 480 KGTVGFENQI 530 SLRGVPDSPQ 580 SNPAATQSDI 40 TWCGVAHGCT 90 NSDRDARFRR 140 TFDRSTKVLD 190 RTGHPRFFNQ 240 KKMREIVGWS 290 KLVLFTSEQS 340 AKQKGYVPFY 390 LMSRKHRHKL 440 CAGYLFQPDK 490 NKCLELAEYL 540 RREKLHKVAP 590 DFLIEEIERL 50 RKLGLKICGF 100 TETDFSNLFA 150 FHHPHQLLEG 200 LSTGLDIIGL 250 SKDGDGIFSP 300 HYSIKKAGAA 350 VNATAGTTVY 400 NGIERANSVT 450 QYDVSYDTGD 500 YAKIKNREEF 550 KIKALMMESG GQDL Il frammento evidenziato (259 – 282) è caratterizzato strutturalmente da: • Helix (252 – 267) • Helix (270 – 274) • Helix ( 276 – 278) • Beta strand (282 – 287) 27 GAD65 10 MASPGSGFWS 60 DAEKPAESGG 110 CDGERPTLAF 160 DQPQNLEEIL 210 NTNMFTYEIA 260 MMIARFKMFP 310 LIKCDERGKM 360 ADICKKYKIW 410 PLQCSALLVR 460 DVFKLWLMWR 510 HTNVCFWYIP 560 GDKVNFFRMV 20 FGSEDGSGDS 70 SQPPRAAARK 120 LQDVMNILLQ 170 MHCQTTLKYA 220 PVFVLLEYVT 270 EVKEKGMAAL 320 IPSDLERRIL 370 MHVDAAWGGG 420 EEGLMQNCNQ 470 AKGTTGFEAH 520 PSLRTLEDNE 570 ISNPAATHQD 30 ENPGTARAWC 80 AACACDQKPC 130 YVVKSFDRST 180 IKTGHPRYFN 230 LKKMREIIGW 280 PRLIAFTSEH 330 EAKQKGFVPF 380 LLMSRKHKWK 430 MHASYLFQQD 480 VDKCLELAEY 530 ERMSRLSKVA 580 IDFLIEEIER 40 QVAQKFTGGI 90 SCSKVDVNYA 140 KVIDFHYPNE 190 QLSTGLDMVG 240 PGGSGDGIFS 290 SHFSLKKGAA 340 LVSATAGTTV 390 LSGVERANSV 440 KHYDLSYDTG 490 LYNIIKNREG 540 PVIKARMMEY 50 GNKLCALLYG 100 FLHATDLLPA 150 LLQEYNWELA 200 LAADWLTSTA 250 PGGAISNMYA 300 ALGIGTDSVI 350 YGAFDPLLAV 400 TWNPHKMMGV 450 DKALQCGRHV 500 YEMVFDGKPQ 550 GTTMVSYQPL LGQDL Il frammento evidenziato (250 – 273) è caratterizzato strutturalmente da: • Helix (243 – 258) • Helix (262 – 265) • Helix (267 – 269) • Beta strand (273 – 278) Recentemente sono state individuate due subunità della GAD65 denominate α e β, aventi differente mobilità in elettroforesi su gel di SDS-poliacrilammide ed aventi differente comportamento nei confronti di reazioni come la fosforilazione (solo la subunità α viene fosforilata, sia in vivo che in vitro), fondamentale al fine di regolare la funzione della proteina delle membrane vescicolari sinaptiche[20]. 28 CVB4 P2C 1100 NN 1110 NWLKKFTEMT 1160 LPLLESQIAT 1210 SLEKKMSNYI 1260 SVYSLPPDPD 1310 MAALEEKGIL 1360 MYSQNGKINM 1410 LDMLVTEMFR 1120 NACKGMEWIA 1170 IEQSAPSQSD 1220 QFKSKCRIEP 1270 HFDGYKQQAV 1320 FTSPFVLAST 1370 PMSVKTCDEE 1420 EYNHRHSVGA 1130 VKIQKFIEWL 1180 QEQLFSNVQY 1230 VCLLLHGSPG 1280 VIMDDLCQNP 1330 NAGSINAPTV 1380 CCPVNFKKCC 1430 TLEALFQ 1140 KVKILPEVKE 1190 FAHYCRKYAP 1240 AGKSVATNLI 1290 DGKDVSLFCQ 1340 SDSRALARRF 1390 PLVCGKAIQF 1150 KHEFLNRLKQ 1200 LYAAEAKRVF 1250 GRSLAEKLNS 1300 MVSSVDFVPP 1350 HFDMNIEVIS 1400 IDRRTQVRYS La P2C ha diversi ruoli, fra cui la morfogenesi del virione e l’incapsidazione dell’RNA virale per interazione con la proteina VP3 del capside (per similarità[21]). La similarità di due sequenze è una quantità misurabile che può essere espressa come, ad esempio, percentuale di identità. Confrontando infatti le tre sequenze a coppie tramite algoritmi di BLAST, si ottiene: • hGAD65 (250-273) / hGAD67 (258-281) = 91% di sovrapposizione, 16 amminoacidi identici • hGAD65 (250-273) / CVB4 P2C (28-50) = 37% di sovrapposizione, 7 amminoacidi identici, rispettivamente tutti nella regione (261-266) / (39-44) • hGAD67 (258-281) / CVB4 P2C (28-50) = 26% di sovrapposizione, 5 amminoacidi identici, rispettivamente tutti nella regione (269-274) / (39-44) Si evidenzia quindi in particolare la presenza di un frammento identico nelle sequenze di hGAD65 e CVB4 P2C, ovvero PEVKEK, leggermente diverso invece nella hGAD67 (PEVKTK). L’importanza di questo frammento come epitopo è stata dimostrata in alcuni recenti studi, nei quali viene mostrato come mutazioni indotte in questa regione riducono di circa l’80% la reattività di anticorpi monoclonali specifici contro le due isoforme della GAD, rispetto alle forme intatte[22]. Questa omologia nei suddetti frammenti fra la GAD e la P2C del Coxsackie Virus, teoricamente, può condurre ad una cross-reattività con esito di autoimmunità, che 29 inizialmente si manifesta come blocco della prima fase di secrezione dell’insulina, quindi degenera in un vero e proprio danneggiamento delle isole di Langerhans[17]. In seguito all’infezione da Coxsackie, il sistema immunitario produce naturalmente degli anticorpi specifici (principalmente IgM prima ed IgG dopo), contro le proteine virali, come la P2C in questo caso. È stato quindi ipotizzato che, a causa della similitudine di alcune porzioni delle suddette sequenze, gli anticorpi prodotti contro le proteine virali non riescano a differenziare queste ultime dalle due isoforme della GAD, attaccando indiscriminatamente sia l’una che le altre. In altre parole, si può verificare una cross-reattività anticorpo-antigeni quando antigeni virali e antigeni self condividono gli stessi determinanti antigenici. Come già accennato precedentemente, la GAD ha la funzione biologica di produrre il GABA per decarbossilazione dell’acido glutammico. Ci sono prove convincenti a supporto del fatto che il GABA potrebbe avere un effetto inibitorio sul rilascio del glucagone (in vitro), anche se non è ancora chiaro come il GABA agisca da molecola segnale nell’inibizione della secrezione del glucagone[15]. L’attacco quindi da parte degli anticorpi anti-Coxsackie sulle isoforme della GAD potrebbe conseguentemente portare ad uno squilibrio nel sistema di gestione e regolazione dei livelli di glucosio nel sangue, degenerando poi nella patologia oggetto del nostro studio. A supporto di tale ipotesi, è stato dimostrato che topi NOD giovani trattati per via endovenosa con GAD65 o GAD67 ricombinante sono stati significativamente protetti da T1D. L’effetto antidiabetogenico è stato riscontrato anche somministrando GAD65 per altre vie (intraperitoneale, intranasale, orale)[23]. Da segnalare è anche la presenza di specifici anticorpi anti-GAD nella quasi totalità dei sieri provenienti da pazienti diabetici in caso di diabete giovanile, a conferma comunque del ruolo, per quanto ancora ignoto, di questo enzima nello sviluppo e nel meccanismo di questa patologia. La maggior parte della letteratura disponibile a riguardo, risalente all’ultimo decennio, concentra i propri sforzi nel cercare di evidenziare un’eventuale correlazione o riconoscimento degli antigeni self (GAD) e di quelli virali (P2C) da parte di cellule T. Solo recentemente l’attenzione della ricerca è stata posta anche su molecole anticorpali di tipo IgM ed IgG, purtroppo con risultati spesso discordanti o deludenti. 30 2.1.2.1 Anticorpi anti-GAD La letteratura relativa gli studi effettuati finora in merito all’insorgenza ed allo sviluppo del T1D riporta la proteina GAD come uno dei più importanti autoantigeni legati a questa patologia[18][24][25][26]. A livello clinico il test per la rilevazione di tali anticorpi è commercialmente disponibile ed effettuato di routine sui pazienti diabetici. Viene considerato un marker predittivo importante, associato ad un alto rischio di sviluppo della patologia[26]. Gli anticorpi anti-GAD rilevati attraverso questo test appartengono alla classe delle IgG. Si ritrovano nel 65-85 % dei pazienti affetti da IDDM e nel 70-90 % dei pazienti affetti da LADA, generalmente in concentrazioni inferiori a 100 U/mL. I valori standard per uomini donne o bambini stanno in un range fra 0 e 1 U/mL. Sotto le 10 U/ml il test viene comunque dichiarato negativo. Il test in questione è un test SP-ELISA quantitativo in vitro (Fig. 13). Come antigene viene utilizzato hGAD65 ricombinante. Figura 13 – Test SP-ELISA per la rilevazione di IgG anti-GAD. 31 3 SVILUPPO DELLA RICERCA Il diabete mellito di tipo 1 (T1D) viene classificato all’interno delle patologie autoimmuni e può presentarsi in due forme: giovanile (Insulin-Dependent Diabetes Mellitus o IDDM) nei primi anni di vita dell’individuo, o adulto (Latent Autoimmune Diabetes in Adult o LADA). Fra i più importanti autoantigeni legati a questa patologia viene riportata la proteina acido glutammico decarbossilasi o GAD. Questa esiste in due isoforme, GAD65 e GAD67. Negli ultimi anni è stata evidenziata un’omologia fra le sequenze già molto simili delle due isoforme della GAD con quella di una porzione, denominata P2C, della poliproteina genomica di un virus appartenente al genere degli enterovirus, il Coxsackie B4 (CVB4). Il legame esistente fra l’infezione da CVB4 e lo sviluppo dell’IDDM è sempre più evidente, nonostante i meccanismi che determinano tale legame siano ancora ignoti. In particolare, è stato individuato un sequone (PEVKEK) identico in tutte e tre le sequenze. Sono state avanzate quindi numerose ipotesi, finora mai del tutto verificate, riguardanti un possibile effetto di mimetismo nei confronti delle sequenze in esame. L’esistenza di questo fenomeno porterebbe quindi ad una mancata differenziazione, da parte degli anticorpi sviluppati per contrastare l’infezione, della sequenza virale rispetto a quelle autoantigeniche. Avendo la GAD un ruolo di regolazione nei confronti del glucagone, il suo danneggiamento e la sua distruzione da parte di questi anticorpi porterebbero ad uno squilibrio nell’intero sistema di regolazione del metabolismo del glucosio che sfocerebbe infine nella patologia. In base a questi presupposti, l’obiettivo di questo lavoro di tesi è quello di porre le basi per cominciare a verificare l’esistenza di questo fenomeno di mimetismo, così da poter cominciare a fare chiarezza sul reale conivolgimento del CVB4 nello sviluppo del T1D giovanile. A tal proposito sono quindi stati identificati e sintetizzati i tre frammenti peptidici contenenti il sequone comune: • hGAD65 (250-273) – 250AMMIARFKMFPEVKEKGMAALPRL273 • hGAD67 (258-281) – 258SIMAARYKYFPEVKTKGMAAVPKL281 • CVB4 P2C (28-50) – 28FIEWLKVKILPEVKEKHEFLSRL50 32 Le tre molecole sono state realizzate, sfruttando la strategia di sintesi di peptidi su fase solida (SPPS) assistita da microonde tramite lo strumento Liberty BlueTM CEM, sia in forma N-terminale libera (peptidi I, II, III) che acetilata (peptidi IV, V, VI). È stato scelto di fare questo per valutare l’eventuale importanza di un ulteriore legame ammidico in posizione N-terminale in termini di mimetismo da parte del frammento rispetto alla proteina completa. Con i suddetti due gruppi di peptidi sono stati quindi effettuati dei test immunoenzimatici e di immunoaffinità tramite tecniche ELISA (per i peptidi IV, V, VI acetilati) e Biacore (per i peptidi I, II, III non acetilati) su sieri, forniti dal reparto di immunologia pediatrica dall’azienda ospedaliera Meyer di Firenze (IDDM) e dall’università di Padova (LADA), provenienti da pazienti diabetici in età infantile o adolescenziale nel primo caso ed adulta nel secondo. I sieri dei pazienti sono stati selezionati dalla Prof. Chiara Azzari (IDDM) e dalla Prof. Annunziata Lapolla (LADA) ed appartengono a pazienti affetti da diabete I ed a donatori sani. I pazienti sono stai selezionati in maniera casuale e non precedentemente sottoposti a test per la reattività immune tramite test ELISA o BIACORE. Questo studio, i metodi e le procedure di consenso sono stati approvati dal Comitato Etico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer di Firenze e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Padovana. Tutti i dati utilizzati in questo studio sono stati riportati in forma anonima. Tramite questi test si è voluto studiare una eventuale cross-reattività fra i suddetti anticorpi ed antigeni self, quali le due isoforme della GAD, e non-self, quali la proteina virale, al fine di compiere una prima indagine preliminare per far luce sull’ormai evidente ruolo dell’infezione virale nello sviluppo dell’autoimmunità legata alla patologia del T1D e sul meccanismo che lega questi due eventi. 3.1 SPPS La sintesi di peptidi su fase solida (SPPS) consente di far accrescere la catena peptidica nella direzione C-terminale → N-terminale, a partire dal primo amminoacido ancorato ad una matrice solida insolubile (resina polistirenica funzionalizzata). Il supporto solido deve essere meccanicamente stabile ed inerte nei confronti dei reagenti utilizzati per la sintesi. Per la sintesi dei tre peptidi 33 oggetto di questo lavoro di tesi si è scelto di utilizzare una resina di tipo Fmoc-Rink Amide (Fig. 14). Figura 14 – Resina Fmoc-Rink Amide Tutte le operazioni di allungamento avvengono in fase eterogenea, con la possibilità di rimuovere i prodotti secondari tramite lavaggi senza dover isolare ogni intermedio di reazione. Il legame tra l’ultimo amminoacido della sequenza peptidica e il supporto solido avviene tramite una molecola bifunzionale (linker). Questo conferisce in genere una buona stabilità nei confronti di tutte le operazioni di sintesi e di crescita del peptide e garantisce un distacco sicuro del prodotto dal supporto una volta terminata la sintesi, evitando il più possibile danni alla struttura (per quanto sensibile possa essere). La scelta del linker deve essere valutata attentamente anche in base al tipo di peptide che si vuole ottenere. Gli amminoacidi introdotti nella catena devono avere una protezione temporanea sulla funzione α-amminica ed eventualmente una protezione semipermanente in catena laterale (eliminata durante il distacco del peptide dalla resina). Nella strategia Fmoc/tBu (introdotta da Sheppard e Atherton negli anni ’70) la protezione temporanea sulla funzione amminica è rappresentata dal gruppo Fmoc (labile in ambiente basico), mentre le eventuali protezioni semipermanenti presenti sulle catene laterali degli amminoacidi sono rappresentate dai gruppi Pbf, tBu, Boc e Trt (labili in ambiente acido) (Fig. 15). Questi gruppi protettori sono caratterizzati quindi da un alto grado di selettività (ortogonalità) che consente di rimuoverli indipendentemente (in condizioni diverse) l’uno dall’altro. 34 CH3 H3C CH3 H3C CH2 C CH3 CH3 O C H3C CH3 O O O Pbf: 2,2,4,6,7-Pentamethyldihydrobenzofurane-5sulfonyl tBu: t-Butyl Fmoc: Fluorenylmethoxycarbonyl S CH3 H3C C CH3 O C Trt: Trityl C O Boc: t-Butoxycarbonyl Figura 15 – Principali gruppi protettori In questo lavoro di tesi, oltre al gruppo Fmoc per la protezione di tutte le estremità N-terminali, sono stati utilizzati i seguenti gruppi protettori per la protezione temporanea dei seguenti amminoacidi: Pbf per Arg, Trt per Hys, Boc per Lys e Trp e tBu per Ser, Thr e Tyr. Ciascun ciclo di accoppiamento per ogni amminoacido della sequenza prevede quattro passaggi: • deprotezione del gruppo amminico della funzione N-terminale dell’ultimo amminoacido inserito nella catena che si accresce sulla resina; • lavaggio dopo la deprotezione; • accoppiamento con l’amminoacido protetto sulla funzione amminica in alfa come Fmoc; • lavaggio dopo l’accoppiamento. La deprotezione del gruppo amminico della resina per l’ancoraggio del primo amminoacido, e del gruppo α-amminico dell’ultimo amminoacido legato, è stata effettuata trattando la resina con una soluzione di piperidina al 20% in DMF, seguito da una serie di lavaggi con DMF per eliminare i residui di base. 35 L’ancoraggio del primo amminoacido alla resina (ultimo amminoacido della sequenza) e i successivi accoppiamenti sono stati ottenuti facendo reagire la funzione amminica libera, inizialmente sulla resina e poi sull’ultimo amminoacido legato alla catena peptidica crescente, con uno Fmoc-amminoacido, eventualmente protetto in catena laterale, in presenza di DIC (diisopropilcarbodiimmide, activator) (3) ed oxima (etil (2E)-2-ciano-2-idrossimminoacetato, activator base) (4) se la sintesi viene fatta tramite sintetizzatore automatico, altrimenti in presenza di HBTU (activator) (5) e DIPEA (6) (N,N-Diisopropiletilammina, activator base) in caso di sintesi manuale (Fig. 16) La reazione avviene attraverso la formazione in situ di un estere attivo. (3) (4) (6) (5) Figura 16 – Attivante ed attivante basico Il distacco dei peptidi dalla resina con la conseguente deprotezione delle catene laterali (se non sono necessarie reazioni convergenti sulle catene laterali di alcuni amminoacidi, nel qual caso sono necessarie strategie di protezione ortogonale tri- o tetra-dimensionali) è stato eseguito in ambiente di TFA, usando opportuni scavenger (agenti nucleofili rappresentati nel nostro caso solo da TIS ed H2O, necessari per bloccare i carbocationi reattivi che si formano dall’acidolisi dei gruppi protettori presenti sulle catene laterali degli amminoacidi e dai gruppi funzionali presenti sul linker della resina) (Schema 2). 36 Gruppo protettore in catena laterale Gruppo protettore in catena laterale TFA O H 3C C HN Rn O C H C H N Rm O C H C TFA H N Linker Resina n-1 TFA/H2O/TIS t. a., 4 h O H 3C Rn C HN C H O C H N Rm O C H C NH 2 n-1 Schema 2 – Reazione di distacco del peptide dalla resina e contemporanea deprotezione delle catene laterali 3.1.1 Teoria e applicazioni delle microonde alla SPPS Sin dalla sua introduzione, è stato dimostrato che l’energia delle microonde è in grado di aumentare la velocità di reazione, ridurre la presenza di reazioni secondarie e permettere una maggiore scelta e risparmio di solventi. Nella sintesi peptidica su fase solida, in particolare, l’uso delle microonde ha ricoperto un ruolo di notevole importanza negli ultimi anni. Le microonde sono una forma di energia elettromagnetica situata nello spettro fra la radiazione infrarossa e le onde radio con frequenze nella scala tra 0.3-300 GHz (ovvero lunghezze d'onda di 1 mm-1 m) (Fig. 17). Soltanto la frequenza di 2.45 GHz, corrispondente ad una lunghezza d'onda di 12.24 cm, molto vicina alla frequenza di rotazione molecolare, è utilizzata negli strumenti industriali e domestici a microonde, per evitare interferenze con i radar e le attività di telecomunicazioni che funzionano all'interno di questa scala. 37 Figura 17 – Lo spettro elettromagnetico Quando una molecola è irraggiata da una frequenza esattamente pari alla sua frequenza di rotazione, inizia a ruotare, mentre i dipoli o gli ioni molecolari provano ad allinearsi al campo elettrico alternato delle microonde e ad assorbire energia, innescando un processo di rotazione dipolare e conduzione ionica. I vantaggi principali dell’utilizzo delle microonde sono essenzialmente legati ad un trasferimento di energia dalla radiazione al composto più veloce e allo stesso tempo più omogeneo rispetto alle tecniche di riscaldamento convenzionali. Le microonde sono costituite da un campo elettrico e da un campo magnetico, tra loro perpendicolari, in cui solo il primo interagisce con le molecole aumentando la velocità delle reazioni tramite la conduttività dipolare o ionica (Figura 18). Figura 18 – L’onda elettromagnetica 38 Il riscaldamento con le microonde sfrutta la capacità di alcune molecole (liquide o solide), sulla base delle loro proprietà dielettriche, di trasformare l'energia elettromagnetica in calore[27]. Questo riscaldamento dielettrico può avvenire attraverso due meccanismi: polarizzazione dipolare e conduzione ionica (Fig. 19). Figura 19 – Riscaldamento tramite microonde Dato che solo il campo elettrico trasferisce energia per riscaldare una sostanza, la sua azione induce i dipoli e gli ioni ad allinearsi al campo elettrico generato dalle microonde. Poiché l'allineamento tuttavia non è mai completo, una parte di questa energia è persa come calore e causa l’aumento improvviso della temperatura molecolare e, quindi, dell’intera miscela di reazione. L'irradiazione delle microonde è veloce e volumetrica, cioè la soluzione si riscalda uniformemente, contrariamente al riscaldamento convenzionale dove il calore diffonde dalla superficie del materiale e lentamente viene trasferito al bulk. Non a caso l’utilizzo a volte di opportuni solventi, che possono assorbire la radiazione, può incrementare la temperatura dell’ambiente di reazione e favorirne lo svolgimento[26]. Gli idrocarburi per esempio non possono assorbire direttamente le microonde, mentre solventi polari a basso peso molecolare ed alta costante dielettrica, sono invece in grado di aumentare molto velocemente la loro temperatura (es. acqua, metanolo, cloroformio, acetone, DMF, solvente tipico della SPPS). 39 Un fenomeno indesiderato, tuttavia, di questa tecnica è l’incremento imprevisto della temperatura della soluzione, che può portare ad un acceleramento anomalo della reazione. In genere è causato dalla presenza di ioni o gruppi ionizzati nell’ambiente di reazione. I vantaggi derivati comunque dall’utilizzo delle microonde sono tali da consentirne l’impiego in molti ambiti, ad esempio per migliorare i processi, modificare la selettività e persino per effettuare reazioni che con riscaldamenti convenzionali non avverrebbero. 3.1.2 Microonde in sintesi peptidica La sintesi in soluzione assistita dalle microonde ha trovato un grande successo nella chimica organica, come confermato dalla vasta letteratura in questo campo, migliorando fortemente la resa ed il completamento di molte reazioni[28]. Il grande successo ottenuto in campo organico ne ha permesso anche l’applicazione nel campo della chimica dei peptidi (in particolare della SPPS), determinando nel 1992 la pubblicazione del primo lavoro sull’uso di questa energia impiegando un forno a microonde multimodale domestico. In questo studio tale energia era stata sfruttata per accelerare la reazione di coupling con un’anidride asimmetrica e i metodi di attivazione con l’estere attivo dell’N-idrossibenzotriazolo preformato in situ. Dal momento che il successo di una sintesi peptidica necessita del completamento di due reazioni per ciclo (deprotezione e accoppiamento), l’energia delle microonde rappresenta una via efficiente per portare a termine queste reazioni. Un problema frequente in sintesi peptidica, in particolare in sequenze peptidiche lunghe (30 o più amminoacidi) o idrofobiche è l’aggregazione della catena. Si ritiene che l’energia derivata dalle microonde sia in grado di rompere l’aggregazione permettendo al peptide di assumere la conformazione più favorevole a minore energia. L’uso delle microonde infine può talvolta migliorare, in termini di resa e di purezza, la sintesi in fase solida convenzionale, che invece avviene a temperatura ambiente. Entrambi i gruppi di peptidi sintetizzati in questo lavoro di tesi sono state ottenute attraverso sintesi automatica coadiuvata da microonde (Liberty BlueTM CEM). 40 3.1.2.1 Reazioni secondarie Durante la sintesi peptidica possono avvenire alcune reazioni secondarie , come la racemizzazione, la formazione dell’aspartimmide, la formazione del lattame dell’arginina, il capping della guanidina e la formazione della dichetopiperazina. Queste potenziali reazioni secondarie sono in generale ben documentate ed esistono una serie di protocolli e precauzioni in grado di limitarle. Racemizzazione Le proprietà dei peptidi e delle proteine dipendono criticamente dalla configurazione dei loro centri chirali. L’alterazione di un singolo centro chirale può avere un effetto drastico sull’attività biologica: a parte la Gly, gli altri 20 amminoacidi naturali contengono un centro chirale sull’atomo di carbonio α e in più l’Ile e la Thr ne contengono un altro in catena laterale. Nella SPPS la racemizzazione è ben documentata durante la reazione di coupling, tuttavia alcuni casi sono stati accertati anche durante le fasi di deprotezione catalizzate da basi. Durante la reazione di coupling usando amminoacidi come His e Cys, sono frequenti l’epimerizzazione, attraverso la formazione di intermedi ossazolone, o la diretta enolizzazione. Infatti, durante il coupling, la conversione di tali amminoacidi nel corrispondente estere attivo aumenta notevolmente l’acidità del carbonio α e quindi la sua tendenza ad enolizzare e al riarrangiamento interno. Anche reazioni di coupling ad elevate temperature tramite tecniche convenzionali o con le microonde, possono determinare un aumento dell’epimerizzazione. Il fenomeno dell’epimerizzazione viene di solito ridotto utilizzando un metodo di coupling modificato, in cui le microonde vengono applicate nell’ultima parte dell’accoppiamento. Una volta inseriti nel peptide, tali amminoacidi sono protetti dall’epimerizzazione durante i successivi step di deprotezione e di coupling fino a temperature di massimo 80°C. Formazione dell’aspartimmide Una delle più comuni e problematiche reazioni secondarie nella SPPS è la formazione dell’aspartimmide (Schema 3), che di solito avviene in sequenze contenenti il frammento “Asp X” (dove X=Gly, Asn, Ser,Thr). Questo fenomeno coinvolge l’attacco dell’atomo di azoto, legato al carbonio α, di un acido aspartico o di una asparagina sulla catena laterale di un gruppo estereo o di un gruppo 41 ammidico, rispettivamente. Il successivo attacco nucleofilo causa poi l’apertura successiva dell’anello, determinando la formazione di una miscela di α- e β-aspartil peptidi. Schema 3 – Formazione dell’aspartimmide Ogni ciclo di deprotezione dopo la sequenza “Asp-X” incrementa la possibilità di formazione dell’aspartimmide, determinando così numerosi problemi durante la sintesi di peptidi a lunga catena e con residui multipli di Asp. Il frammento “Asp-X” in particolare è molto suscettibile alla formazione dell’aspartimmide, a causa della mancanza di ingombro sterico della Gly in grado di inibire tale reazione. L’uso della piperazina al posto della piperidina ha portato a notevoli diminuzioni dei livelli di aspartimmide sia nella sintesi convenzionale che con le microonde. Tuttavia la piperazina, avendo una pKa di 9.8 rispetto alla piperidina che invece presenta una pKa di 11.1, risulta essere un reagente di deprotezione ad azione più lenta e poco adatto per la sintesi convenzionale di sequenze peptidiche idrofobiche, determinando una scarsa rimozione del gruppo Fmoc. Formazione del lattame dell’Arg Durante la reazione di coupling, la catena laterale nucleofila dell’Arg risulta suscettibile alla formazione del δ-lattame (Schema 4). L’attivazione dell’acido carbossilico promuove facilmente l’attacco da parte del gruppo δ-guanidinico altamente basico (pKa=12.5) dell’Arg attraverso una ciclizzazione intramolecolare. 42 Questa reazione collaterale irreversibile rende inattivo il derivato argininico attivato, durante il coupling. Schema 4 – Ciclizzazione intramolecolare dell’Arg Durante le normali sintesi peptidiche questo fenomeno può non essere riscontrato, dal momento che la reazione di coupling avverrà sicuramente prima che si formi una considerevole quantità di δ-lattame. Tuttavia, nella reazioni di coupling più complesse, la formazione del δ-lattame può risultare favorita tanto quanto quella di coupling: in tal caso persino un prolungamento della durata del tempo di coupling non sarà in grado di portare a completamento la reazione. Per migliorare e rendere più facili i coupling con l’Arg, sono stati progettati dei metodi che impiegano l’uso di pseudo proline, di resine a base di PEG o delle microonde. Formazione di dichetopiperazine La formazione di dichetopiperazine può avvenire durante la deprotezione dello Fmoc del secondo amminoacido sulla catena peptidica. Il gruppo amminico libero può a questo punto staccare il legame estereo del peptide alla resina e formare il piperizinedione: nella maggior parte dei casi questo comporta un distacco quantitativo del dipeptide dalla resina. Questo fenomeno viene particolarmente promosso in presenza di Gly o di Pro come primo o secondo amminoacido, a causa dello scarso ingombro sterico nel caso della Gly e del legame cis-ammidico nel caso della Pro. L’uso della resina 2-clorotritile è risultato essere ottimale per prevenire tale reazione, a causa dell’ingombro sterico dell’atomo di cloro, in grado di proteggere il legame estereo dall’attacco nucleofilo. Altrimenti occorre fare la seconda deprotezione in tempi molto brevi (in genere due deprotezioni da 5 minuti ciascuna). 43 3.1.2.2 Liberty BlueTM CEM Dai paragrafi precedenti è risultato chiaro come la SPPS convenzionale rimanga sempre la strategia principale per la sintesi peptidica, ma anche come l’uso delle microonde possa talvolta migliorare, in termini di resa, di purezza e di tempo, la sintesi su fase solida convenzionale. Ovviamente occorre ricordare che la sintesi peptidica su fase solida mediata da microonde (MW-SPPS) non è priva di reazioni secondarie e che la maggior parte di esse sono legate all’aumento di temperatura dei reagenti. Attualmente uno degli strumenti più all’avanguardia nel campo della sintesi di peptidi mediata da microonde (MW-SPPS) è il sintetizzatore di peptidi automatizzato Liberty BlueTM CEM (Fig. 20). Costruito sulla piattaforma a microonde del Discover flessibile della CEM Corporation, il Liberty Blue è in grado di sintetizzare peptidi su scale che vanno da 0.05 a 5 mmol in modo più veloce ed efficace dei sintetizzatori manuali e delle versioni automatiche senza microonde precedenti (tipo Aaptec), grazie alla cavità circolare a microonde del sistema. Figura 20 – Liberty BlueTM CEM Il Liberty Blue gestisce il trasferimento di tutti i solventi e soluzioni all’interno e all’esterno del reattore, interfacciandosi con un sistema computerizzato in grado di monitorare ogni step della sintesi peptidica. All’interno del reattore è presente un termometro a fibra ottica per monitorare la temperatura di esercizio, in modo tale 44 da evitare surriscaldamenti anomali che potrebbero compromettere la sintesi peptidica (es. reazioni secondarie). Ogni ciclo della sintesi peptidica è caratterizzato da: • Swelling: rigonfiamento della resina • Deprotection Cycle: ciclo di deprotezione della resina con 20% piperidina in DMF • Coupling Cycle: cicli di accoppiamento diversi a seconda del tipo di amminoacido da inserire; i reagenti attivante ed attivante basico utilizzati sono stati comunque, rispettivamente, DIC e Oxima (Fig. 16). Nel caso del Coupling Cycle dello strumento sono presenti programmi appositi per l’inserimento di amminoacidi soggetti a reazioni secondarie (His e Arg): qui per praticità ho riportato i due casi che ho applicato durante la sintesi peptidica. Nel primo caso, quello dell’inserimento dell’His, il ciclo di coupling procede in modo tale che nei primi due minuti venga svolto il coupling convenzionale, mentre negli ultimi quattro minuti il coupling venga portato a termine con l’impiego delle microonde a 50°C, limitando così la racemizzazione. In questo modo il primo step permette ad una porzione significativa di tali amminoacidi di accoppiarsi, mentre il secondo passaggio accelera la reazione anche nei siti più difficili rimasti. Nel caso dell’accoppiamento dell’Arg, il metodo prevede l’applicazione delle microonde alla fine del ciclo di coupling convenzionale, in modo tale che il derivato attivato dell’Arg risulti protetto dall’energia delle microonde, che potrebbe accelerare la reazione collaterale di formazione del δ-lattame dell’Arg. In questo modo rimangono solo i siti non accoppiati più difficili da far reagire. La presenza di un secondo ciclo di coupling infine permette che siano minimizzate le sequenze di delezione, risultanti dalla formazione del δ-lattame. Un ciclo completo di accoppiamento per ogni amminoacido avviene in circa 20 minuti. Questo strumento rispetto alla prima generazione di Liberty CEM è in grado di effettuare accoppiamenti arrivando ad una temperatura di 90°C, mentre per la prima generazione la temperatura di accoppiamento era di 75°C. Questo ha permesso di ridurre i tempi di accoppiamento e di deprotezione, riducendo ancora di più i tempi totali di sintesi di un peptide. 45 Inoltre lo strumento è stato programmato per ridurre anche i volumi dei solventi utilizzati: questo è un altro grande vantaggio visto che il maggior costo nella sintesi peptidica sono i solventi. 3.2 SINTESI DEI PEPTIDI hGAD65 (250-273) (I), hGAD67 (258-281) (II) e CVB4 P2C (28-50) (III) I peptidi I,II,III sono hGAD65 (250-273) (I), hGAD67 (258-281) (II) e CVB4 P2C (2850) (III), in versione non acetilata nella posizione N-terminale. La sintesi delle tre sequenze, non richiedendo alcuna modifica delle stesse o l’introduzione di building block o amminoacidi modificati, è stata effettuata per intero attraverso lo strumento Liberty BlueTM CEM, che sfrutta la tecnica SPPS mediata da microonde, i cui vantaggi e caratteristiche sono già state descritte nel paragrafo 3.1.2. 3.3 SINTESI DEI PEPTIDI hGAD65 Ac-(250-273) (I), hGAD67 Ac-(258-281) (II) e CVB4 P2C Ac-(28-50) (III) I peptidi IV, V, VI sono hGAD65 (250-273) (IV), hGAD67 (258-281) (V) e CVB4 P2C (28-50) (VI), in versione acetilata nella posizione N-terminale. La sintesi delle tre sequenze, esattamente come per le precedenti, è stata effettuata per intero attraverso lo strumento Liberty BlueTM CEM. 46 3.3.1 Reazione di Acetilazione Sui peptidi IV, V, VI è stata effettuata, prima del distacco dalla resina e della deprotezione finale, una reazione di acetilazione dell’estremità N-terminale utilizzando Ac2O. Questa reazione è stata fatta al fine di valutare l’eventuale importanza di un ulteriore legame ammidico in posizione N-terminale in termini di mimetismo da parte del frammento rispetto alla proteina completa. • Ac-hGAD65 (250-273) – Ac-250AMMIARFKMFPEVKEKGMAALPRL273 (IV) • Ac-hGAD67 (258-281) – Ac-258SIMAARYKYFPEVKTKGMAAVPKL281 (V) • Ac-CVB4 P2C (28-50) – Ac-28FIEWLKVKILPEVKEKHEFLSRL50 (VI) 3.4 PURIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DEI PEPTIDI Per poter effettuare i test ELISA sui peptidi sintetizzati I-VI, questi devono essere caratterizzati da una purezza ≥ 95%. A questo scopo è stata necessaria una purificazione preliminare su fase inversa, per allontanare l’elevata quantità di sali e gli eventuali sottoprodotti formatisi durante la fase di cleavage, ed una successiva purificazione tramite RP-HPLC semi preparativa. Per quanto riguarda la prepurificazione, come fase stazionaria è stata impiegata una colonna di silice funzionalizzata con catene alchiliche idrofobiche C18 (la lunghezza delle catene alchiliche idrofobiche impiegate dipende dalla polarità dei peptidi trattati), mentre come fase mobile è stata usata una miscela di H2O e CH3CN in proporzioni variabili, dipendenti dal metodo di pre-purificazione scelto. In questo lavoro di tesi i peptidi sono stati pre-purificati tutti con lo stesso metodo, come riportato in Tabella 2. 47 Numero Peptide I hGAD65 (250-273) II hGAD67 (258-281) III CVB4 P2C (28-50) IV Ac-hGAD65 (250-273) V Ac-hGAD67 (258-281) VI Ac-CVB4 P2C (28-50) Metodo di prepurificazione 30%-70% di acetonitrile in 35 minuti 30%-70% di acetonitrile in 35 minuti 30%-70% di acetonitrile in 35 minuti 30%-70% di acetonitrile in 35 minuti 30%-70% di acetonitrile in 35 minuti 30%-70% di acetonitrile in 35 minuti Tabella 2 – Pre-purificazione dei peptidi Successivamente le frazioni raccolte sono state ulteriormente purificate mediante RP-HPLC semi-preparativa. Anche in questo caso è stata impiegata come fase mobile una miscela di H2O e CH3CN in proporzioni variabili, a seconda del metodo di purificazione semi-preparativa usato (Tabella 3). Numero Peptide I hGAD65 (250-273) II hGAD67 (258-281) III CVB4 P2C (28-50) IV Ac-hGAD65 (250-273) V Ac-hGAD67 (258-281) VI Ac-CVB4 P2C (28-50) Metodo HPLC semipreparativa 30%-50% di acetonitrile in 30 minuti (20 mg iniettati) 25%-65% di acetonitrile in 30 minuti (20 mg iniettati) 30%-50% di acetonitrile in 40 minuti (20 mg iniettati) 30%-70% di acetonitrile in 20 minuti (20 mg iniettati) 30%-70% di acetonitrile in 20 minuti (20 mg iniettati) 40%-80% di acetonitrile in 20 minuti (20 mg iniettati) Tabella 3 – RP-HPLC semipreparativa 48 I peptidi sono stati infine caratterizzati tramite spettrometria di massa (ESI-MS) (Tabella 4). Numero I II III IV V VI Peptide Purezza HPLC (%) Metodo HPLC hGAD65 (250-273) hGAD67 (258-281) >95 CVB4 P2C (28-50) Ac-hGAD65 (250-273) Ac-hGAD67 (258-281) Ac-CVB4 P2C (28-50) >95 >95 >95 >95 >95 mg Resa RT (min)a ottenuti (%) 30%-70% di acetonitrile 25%-65% di acetonitrile 57,37 27 3.00 48,52 24 2.95 30%-70% di acetonitrile 30%-70% di acetonitrile 25%-65% di acetonitrile 30%-70% di acetonitrile 39,29 20 3.20 50,26 26 3.56 44,99 25 2.48 38,86 23 3.00 ESI-MS; [MH]+2 (m/z) trovato (calcolato) 1383 (1382,75) 1350 (1349,75) 1441 (1440,85) 1404 (1403,76) 1371 (1370,76) 1462 (1461,85) Tabella 4 – Caratterizzazione dei peptidi 3.5 RILEVAZIONE E QUANTIFICAZIONE DI ANTICORPI TRAMITE TECNICA BIACORE E TECNICA IMMUNOENZIMATICA ELISA 3.5.1 Biacore[29] Per lo studio delle interazioni tra antigene e anticorpo in questo lavoro di tesi è stato adottato il sistema Biacore (Biomolecular Interaction Analysis), un biosensore che sfrutta il fenomeno ottico della risonanza plasmonica di superficie (SPR). La tecnologia Biacore presenta numerosi vantaggi: le interazioni biomolecolari vengono monitorate in tempo reale grazie alla continua registrazione del segnale SPR, non è necessario l’utilizzo di traccianti in quanto il sensore risponde ai cambiamenti di massa, la sensibilità è molto elevata, basti pensare che sono 49 sufficienti cambiamenti di massa di pochi pg per mm2 di superficie per generare un segnale. Le applicazioni di questa nuova tecnologia riguardano: • la specificità dell’interazione: la semplice registrazione di una risposta SPR è indice di una specificità tra l’analita in soluzione e il ligando immobilizzato; • le costanti cinetiche: l’aumento del segnale che si verifica quando l’analita passa sulla superficie riflette direttamente la velocità di formazione del complesso, che sarà proporzionale alla concentrazione dell'analita; mentre la diminuzione della risposta che si verifica quando il campione smette di fluire sul chip indica la velocità di dissociazione di tale complesso. Attraverso una serie di algoritmi di calcolo il software è in grado di fornire le rispettive costanti di associazione e dissociazione del complesso; • l’affinità dell’interazione: calcolata a partire dalle costanti cinetiche o in base alla massima capacità di legame dell’analita allo stato stazionario; • la concentrazione di molecole attive: dopo aver costruito un’apposita curva di taratura si possono ottenere informazioni sulla concentrazione di una specifica sostanza in una soluzione pura o in una miscela complessa. Tutti questi studi possono essere applicati a interazioni tra molecole biologiche di qualsiasi tipo: proteina-proteina, lipidi-proteina, acidi nucleici-proteina, o proteina con molecole di basso peso molecolare quali farmaci, substrati e cofattori. La strategia analitica Biacore grazie all’estrema versatilità che la caratterizza trova applicazione in diversi settori: • in campo biomedico può essere utilizzata per quantificare l’espressione di specifiche proteine in diverse condizioni di salute del paziente, per selezionare i migliori anticorpi da impiegare come strumento di ricerca o in ambito terapeutico, per identificare e valutare l’efficacia di inibitori e antagonisti, individuare marcatori di malattia in campioni biologici; • nel Drug Discovery and Development per l’individuazione di candidati farmaci, per ottimizzare il lead compound tramite studi cinetici, per definire alcuni parametri farmacocinetici come ad esempio il legame alle proteine plasmatiche. 50 La strategia Biacore è una tecnica ottica che usa il fenomeno dell’onda evanescente per misurare cambiamenti dell’indice di rifrazione nella regione di spazio adiacente alla superficie di un chip su cui è stata immobilizzata una delle due molecole interagenti che prende il nome di ligando, mentre il campione contenente l’analita libero in soluzione viene fatto passare continuamente sulla superficie grazie al flusso di un tampone chiamato Runnig Buffer (Fig. 21) Figura 21 – Ligando associato alla superficie del sensore e analita libero in soluzione Nel presente lavoro di tesi è stato utilizzato uno strumento Biacore T 100 (Fig. 22) interfacciato a un computer che permette di regolare lo strumento tramite il software Biacore T 100 Control e di analizzare e rielaborare i sensogrammi tramite il Biacore T 100 Evaluation. Figura 22 – Biacore T100 51 Il funzionamento di uno strumento Biacore è basato su due tecnologie fondamentali: • il fenomeno ottico della SPR; • le proprietà della superficie del sensor chip dove viene immobilizzato il ligando; 3.5.1.1 Risonanza Plasmonica di Superficie La SPR è un fenomeno ottico che si verifica all’interfaccia tra due mezzi con diverso indice di rifrazione, quando la luce polarizzata linearmente colpisce un film metallico in condizioni di riflessione interna totale (TIR). Una radiazione elettromagnetica nel passaggio da un mezzo più denso a uno meno denso (con diverso indice di rifrazione) in parte viene riflessa e in parte rifratta proseguendo il suo cammino al di là della superficie di separazione dopo che ha subito una deviazione. All’interfaccia tra i due mezzi, al di sopra di un angolo critico di incidenza (proporzionale al rapporto tra gli indici di rifrazione), non ci sarà rifrazione ma si verificherà la TIR. In questa condizione la luce incidente viene completamente riflessa e una componente del campo elettromagnetico penetra a breve distanza nel mezzo con indice di rifrazione più basso; questa componente è chiamata onda evanescente, la sua ampiezza decresce esponenzialmente allontanandosi dalla superficie e decade a una distanza di circa una lunghezza d’onda dall’interfaccia (Fig. 23). Figura 23 – Riflessione Interna Totale (TIR) 52 Se l’interfaccia tra i due mezzi è ricoperta da un sottile strato di metallo e la luce è monocromatica e polarizzata linearmente, per uno specifico angolo di incidenza si verificherà l’eccitazione dei plasmoni nel film metallico che comporterà un caratteristico assorbimento di energia attraverso l’onda evanescente e il segnale SPR sarà visto come una caduta dell’intensità della luce riflessa (Fig. 24). Figura 24 – Risonanza Plasmonica di Superficie (SPR) Questo fenomeno ottico è altamente sensibile all’indice di rifrazione della soluzione presente all’interfaccia della superficie del biosensore. Come mostrato nella figura 6, inizialmente la diminuzione dell’intensità riflessa si registrerà a un certo angolo di risonanza (angolo I), quando l’analita in soluzione andrà a legare la molecola immobilizzata si verificherà un cambiamento di massa e quindi di indice di rifrazione, che provocherà un cambiamento dell’angolo di risonanza (angolo II); nel sensogramma è riportata la variazione di tale angolo di risonanza in funzione del tempo di analisi. L’angolo SPR è misurato in Unità di Risonanza (RU) e il suo cambiamento è direttamente collegato alla concentrazione di biomolecole sulla superficie del chip: in particolare una variazione dell’angolo SPR di 0.1° determina una risposta strumentale pari a 1000 RU che corrispondono a una variazione di massa sulla superficie del chip di 1 ng/mm2. Le molecole rilevabili con questa tecnica devono quindi avere un peso molecolare superiore a 100 Da in modo da indurre un sufficiente cambiamento dell’indice di 53 rifrazione; considerando inoltre che la profondità di penetrazione dell’onda evanescente è di 300-400 nm, si spiega perché particelle di dimensioni superiori a 400 nm non possano essere misurate completamente in quanto il segnale che generano non è lineare e quindi non può essere eseguita un’analisi cinetica o quantitativa, ma è comunque possibile uno studio di tipo qualitativo. Nel sistema Biacore la lunghezza d’onda e l’indice di rifrazione del mezzo più denso sono tenute costanti e il fenomeno della SPR è usato per monitorare l’indice di rifrazione nello strato acquoso immediatamente adiacente alla superficie d’oro del chip. Oltre al biosensore sono quindi necessari una sorgente di luce polarizzata, un detector bidimensionale e un sistema di flow cell che veicoli il mezzo in cui è contenuto l’analita. I segnali misurati dal detector verranno poi processati da algoritmi di interpolazione che calcolano l’angolo SPR con elevato grado di accuratezza. 3.5.1.2 La superficie del biosensore Il sensor chip è la chiave della tecnologia Biacore, indispensabile perché si verifichi un segnale SPR, tutte le interazioni monitorate dipendono dalla capacità di immobilizzare il ligando sulla superficie del chip. Le caratteristiche fondamentali di un sensor chip sono due: • una superficie di vetro ricoperta da un sottile film d’oro (50 nm) che fornisce le condizioni fisiche richieste per generare un segnale SPR e che è quindi una caratteristica comune a tutti i tipi di chip. Queste condizioni fisiche in temini di angolo di risonanza e lunghezza d’onda della radiazione incidente variano a seconda dello spessore e della natura del materiale conduttore utilizzato e l’oro è l’elemento ideale in quanto consente di utilizzare radiazioni vicine all’IR facilmente riproducibili ed è inerte nelle condizioni fisiologiche dei tamponi utilizzati per le analisi; • un rivestimento di qualsiasi genere al di sopra dello strato d’oro che varia a seconda dei diversi tipi di chip e che fornisce il mezzo per ancorare il ligando e rappresenta l’ambiente in cui avvengono le interazioni molecolari. Questo rivestimento non interferisce col segnale SPR. 54 Lo strato d’oro e il rivestimento sono stabili a una varietà di condizioni che includono valori di pH estremi e medie concentrazioni di solventi organici. Una volta che il ligando è stato immobilizzato, la resistenza della superficie del biosensore sarà determinata dalle proprietà di tale ligando; il rivestimento è fondamentale perché un adsorbimento diretto del ligando su una superficie d’oro avrebbe un effetto denaturante e non creerebbe un ambiente favorevole alle interazioni biomolecolari. In commercio sono disponbili sensor chip caratterizzati da matrici di rivestimento di varia natura che permettono l’immobilizzazione di una vasta gamma di composti. Ogni sensor chip è inserito in un supporto di plastica per renderlo più maneggevole dall’operatore (Fig. 25). Figura 25 – Sensor Chip Il rivestimento più comune dei sensor chip è costituito da una matrice di destrano carbossimetilato, si tratta di un polissacaride ramificato estremamente flessibile che, nel caso del chip della serie CM5, utilizzato in questo lavoro di tesi, ha uno spessore di 100 nm e consente l’immobilizzazione di diversi tipi di ligandi, sia piccole molecole organiche che macromolecole come proteine, acidi nucleici e carboidrati. La matrice di carbossidestrano presenta numerosi vantaggi: costituisce un ambiente idrofilo favorevole alla maggior parte delle interazioni in soluzione, evita la denaturazione delle molecole, può essere funzionalizzata in modo da possedere le strutture chimiche necessarie per un’immobilizzazione covalente del ligando, instaura interazioni elettrostatiche con molecole cariche positivamente facilitando quindi il processo di immobilizzazione, è inerte e la flessibilità delle sue catene permette all’analita in soluzione di muoversi liberamente (Fig. 26). 55 Figura 26 – Rappresentazione schematica di un chip della serie CM5 3.5.1.3 Procedura di pH-scouting Al fine di ottenere un sufficiente livello di immobilizzazione di ligando sulla superficie del chip, è indispensabile ottimizzare ogni fase del processo e fare in modo che la maggior quantità possibile di ligando iniettato si avvicini alla matrice di destrano. Questa situazione ideale può essere raggiunta grazie a una corretta preconcentrazione elettrostatica del ligando che viene valutata con la procedura del pH scouting. Lo scopo del pH scouting è quindi quello di individuare le migliori condizioni in termini di pH e di forza ionica che massimizzino l’interazione elettrostatica tra ligando e chip; a questo punto sarà possibile attivare la matrice del chip e immobilizzare covalentemente il ligando. La matrice di destrano carbossimetilato dei chip CM5 ha una pKa di 3.5, quindi per valori di pH superiori a 3.5 i gruppi carbossilici presentano cariche negative e sono in grado di interagire elettrostaticamente con molecole cariche positivamente come peptidi o proteine. Il requisito fondamentale per ottenere questa preconcentrazione elettrostatica è che il pH della soluzione in cui è presente il ligando sia compreso tra 3.5 e il Punto Isolelettrico del peptide in modo che ligando e superficie del chip abbiano cariche nette opposte. A pH superiore a 3.5 si perdono infatti le cariche negative della matrice per protonazione dei suoi gruppi carbossilici mentre a un pH superiore al punto isoelettrico il peptide assume carica negativa e non può interagire col chip (Fig. 27). 56 Figura 27 - B) Intervallo di pH ideale per favorire la preconcentrazione elettrostatica del ligando sul chip; A) e C) Valori di pH rispettivamente troppo bassi o troppo alti non consentono l’interazione elettrostatica tra le due entità. Generalmente le interazioni in questione sono favorite da un basso valore di forza ionica del tampone in cui è solubilizzato il ligando, quindi per l’immobilizzazione di peptidi e proteine è comune utilizzare tamponi 10 mM di acetato di sodio a un pH compreso tra 4 e 5.5; comunque le migliori condizioni devono essere identificate volta per volta. In una tipica analisi di pH scouting, per individuare il miglior tampone di immobilizzazione senza alterare la superficie del biosensore, si procede con l’iniezione del ligando sul chip non preventivamente attivato e alla fine di ogni iniezione si effettuano brevi rigenerazioni con una soluzione di idrossido di sodio 0,1 M per eliminare il ligando residuo che ha interagito elettrostaticamente col chip. La preconcentrazione elettrostatica del ligando sul chip sarà indicata da un aumento del segnale SPR proporzionale all’entità dell’interazione stabilita e tale segnale decadrà subito dopo la fine dell’iniezione (Fig. 28). 57 Figura 28 – Rappresentazione schematica di un sensogramma In questo lavoro di tesi è stato effettuato un pH scouting utilizzando i peptidi I, II e III sintetizzati in forma non acetilata. Sono quindi state preparate 10 soluzioni a pH e concentrazione variabile di un tampone acetato di sodio 1, 5, 10, 25 e 50 mM a pH 4.5, 5.5, 6. I tamponi di immobilizzazione ottimali scelti per ciascun peptide sono riportati in tabella 5. PEPTIDE CONCENTRAZIONE pH hGAD65 (250-273) (I) 5 mM 4.5 hGAD67 (258-281) (II) 10 mM 4.5 CVB4 P2C(28-50) (III) 25 mM 4.5 Tabella 5 - Tamponi selezionati per l’immobilizzazione dei peptidi Nei grafici sottostanti sono riportate le curve relative alle prove di pH scouting effettuate sui tre peptidi I,II e III, attraverso i quali sono state scelte le soluzioni dei tamponi ottimali riportate in Tabella 5. 58 È stata scelta come ottimale la soluzione 5 mM a pH 4.5, rappresentata dalla curva viola scuro, in quanto avente l’andamento più simile allo standard. È stata scelta come ottimale la soluzione 10 mM a pH 4.5, rappresentata dalla curva blu scuro, in quanto avente l’andamento più simile allo standard. 59 È stata scelta come ottimale la soluzione 25 mM pH 4.5, rappresentata dalla curva azzurra, in quanto avente un andamento estremamente regolare. 3.5.1.4 Immobilizzazione del ligando sul chip Le biomolecole possono essere immobilizzate sulla superficie dei sensor chip utilizzando tre diversi approcci: • legame covalente: grazie all’impiego di vari reagenti chimici; • cattura ad alta affinità: la molecola di interesse viene immobilizzata attraverso un legame non covalente con un’altra molecola che è invece ancorata covalentemente alla superficie (sistema streptavidina – biotina); • adsorbimento idrofobico: sfrutta interazioni idrofobiche per attaccare alla superficie la molecola di interesse o un carrier idrofobico come un singolo o doppio strato lipidico. La miglior tecnica di immobilizzazione deve essere scelta di volta in volta considerando le proprietà chimico-fisiche del ligando e dell’analita riconosciuto e le finalità dello studio. L’immobilizzazione covalente è la strategia più comunemente utilizzata in quanto consente di sfruttare diversi tipi di reazioni chimiche per 60 ottenere un legame covalente tra i gruppi carbossilici del chip e i gruppi reattivi presenti sulla molecola. Il legame che si forma tra chip e ligando con questo approccio è sufficientemente stabile da rimanere inalterato durante i normali processi di rigenerazione a cui è sottoposta la superficie per rimuovere l’analita che ha interagito e rendere quindi disponibile il chip a un nuovo ciclo di analisi. I principali svantaggi di questo approccio riguardano le modifiche chimiche e quindi strutturali che vengono introdotte sul ligando e l’orientazione finale di quest’ultimo che in alcuni casi può risultare non prevedibile: tutto ciò potrebbe limitare la capacità di legame alla molecola target. Qualsiasi metodo di immobilizzazione covalente prevede: 1. l’individuazione delle condizioni di pH e di concentrazione ionica più adeguate applicando la metodologia del pH scouting; 2. l’attivazione della superficie del sensor chip tramite l’iniezione di appositi reagenti (solitamente EDC/NHS); 3. l’iniezione della soluzione di ligando; 4. l’iniezione di reagenti che disattivano i rimanenti gruppi reattivi sulla superficie e rimuovono il ligando non legato covalentemente. Le modalità di accoppiamento covalente più comuni sono: • Accoppiamento con la funzione amminica: porta alla formazione di un legame amidico tra una funzione amminica primaria del ligando e un carbossile della matrice di destrano preventivamente attivato; • Accoppiamento con la funzione tiolica: sfrutta lo scambio tra gruppi tiolici e ponti disolfuro attivi introdotti sul ligando o sulla matrice; • Accoppiamento con la funzione aldeidica: si basa sulla reazione tra un gruppo aldeidico del ligando e la superficie del chip opportunamente attivata (Fig. 29). 61 Figura 29 – Strategie di immobilizzazione covalente La quantità di ligando immobilizzato sulla superficie del chip viene stimata in base alla differenza tra il segnale indicato dalla linea di base immediatamente prima dell’attivazione della superficie e il segnale misurato dopo la disattivazione finale della superficie (Fig. 30). Figura 30 – Sensogramma che indica la quantità di ligando immobilizzato su un chip In questo lavoro di tesi l’immobilizzazione dei tre peptidi I, II e III è stata effettuata utilizzando il metodo di accoppiamento tramite la funzione amminica. I risultati sono riportati nei sensogrammi seguenti e in Tabella 6. 62 63 Peptide Tampone Immobilizzazione (RU) GAD 65 5 mM AcNa pH 4.5 3469 GAD 67 10 mM AcNa pH 4.5 714 COXV 25 mM AcNa pH 4.5 619 Tabella 6 – Immobilizzazione 3.5.1.5 Studi di binding al BIACORE e risultati Una volta immobilizzati i tre peptidi sui rispettivi canali del chip, sono stati effettuati studi di binding con tutti i sieri oggetto di questo studio, dei quali 19 IDDM forniti dalla Prof. Chiara Azzari del Reparto di Immunologia Infantile dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer di Firenze e 8 LADA forniti dalla Prof. Annunziata Lapolla dell’Università di Padova. I sieri IDDM sono classificati in Tabella 7 in base alla presenza o meno della patologia ed alla positività o meno verso anticorpi antiGAD o verso infezione da CVB4; i sieri LADA provengono semplicemente da pazienti diabetici, sui quali non sono state però effettuate analisi al riguardo. 64 DIABETICI CODICE 1 3 7 13 15 36 37 A 43 62 63 IgG ANTI GAD + + + + + + +/- NON DIABETICI IgG ANTI CVB4 CODICE IgG ANTI GAD IgG ANTI CVB4 - 37 B - 56 20 21 22 23 24 25 26 - + Tabella 7 – Classificazione dei sieri I sieri sono stati classificati come positivi e negativi in base ai risultati del test ELISA commerciale effettuato dall’azienda Meyer, descritto nel paragrafo 2.1.2.1. Di seguito sono riportati i sensogrammi ottenuti. 65 66 Il parametro di Stability (tabella 8) in questo caso viene considerato 15 secondi dopo la fine dell’aggiunta del campione. Controlli Diabete Stability (RU) Siero 1:50 GAD 67 1 102.9 13 82.0 15 81.2 36 97.7 37A 99.0 43 78.5 62 46.3 63 76.8 7 86.8 3 102.9 20 120.1 21 122.2 22 85.1 23 104.3 24 110.3 25 132.3 26 60.3 37B 82.9 56 126.3 GAD 65 CVB4 1156.1 0.0 1001.3 0.0 1254.3 0.0 1237.3 2.2 1203.5 16.2 1050.1 10.8 936.6 0.0 1045.8 5.9 1165.1 8.7 1207.2 2.4 1169.9 27.9 1211.1 23.7 1025.5 26.5 1178.4 27.9 1158.5 28.1 1141.3 63.5 1089.5 0.0 1152.9 19.4 1275.0 55.0 Tabella 8 – Valori del parametro di Stability 67 Riportando questi valori in un grafico si ottiene il seguente istogramma. 1400,0 Stability_Anticorpi sierici totali 1200,0 800,0 GAD 67 RU 1000,0 GAD 65 600,0 CVB4 COX V 400,0 200,0 0,0 1 13 15 36 37A 43 62 63 7 3 20 21 22 23 24 25 26 37B 56 Sieri I valori relativi a hGAD65 sono ovviamente più alti rispetto agli altri due peptidi testati in quanto la quantità di peptide immobilizzatasi sul chip risultava quantitativamente nettamente superiore alle altre (vedi Tabella 6). 3.5.2 Tecnica immunoenzimatica ELISA[30] I pepitdi IV, V e VI, ovvero i peptidi in forma acetilata in posizione N-terminale, sono stati utilizzati come antigeni sintetici in saggi immuno-enzimatici su fase solida, denominati test ELISA. Il test ELISA consiste nel far adsorbire l’antigene su un supporto solido, ovvero sulla superficie dei pozzetti di piastre in polistirene (Fig. 31), bloccando poi i siti di legame aspecifici con un opportuno anticorpo inerte, normalmente contenuto in siero fetale bovino (10% FBS in Tween). 68 Figura 31 – Piastra ELISA Successivamente nei pozzetti sono stati aggiunti i sieri contenenti gli anticorpi, ovvero le immunoglobuline IgG e IgM. Ogni siero è stato aggiunto in triplicato sia sulla piastra relativa al test per le IgM che su quella per le IgG, in modo da poter esprimere il risultato come media dei tre valori di assorbanza ottenuti, ed entrambi i test sono stati effettuati due volte. I sieri trattati nei test, fornitici dalla Prof. Chiara Azzari e dalla Prof. Annunziata Lapolla, appartengono a pazienti affetti da diabete I (IDDM nel primo caso e LADA nel secondo) e/o da infezione da Coxsackie B4 e a donatori sani. Le immunoglobuline se presenti dovranno legarsi quindi ai determinanti antigenici specifici, che nel nostro caso sono i peptidi sintetizzati. Il legame antigene-anticorpo è stato successivamente rivelato aggiungendo ai pozzetti un anti-siero contenente anti-immunoglobuline, marcate con un enzima (nel caso specifico una fosfatasi alcalina), capaci di legarsi alle immunoglobuline già impegnate nel complesso con l’antigene. La struttura di un anticorpo infatti è costituita da quattro catene polipeptidiche (due sequenze costituite da circa 450 amminoacidi cosiddette “catene pesanti” e due di circa 200 amminoacidi “catene leggere” variabili in ogni anticorpo), unite da legami non covalenti e ponti disolfuro. La regione N-terminale (Fab) riconosce l’epitopo dell’antigene legandosi in modo specifico, mentre la porzione C-terminale (Fc) è la responsabile dell’interazione con l’anti-immunoglobulina marcata con la fosfatasi alcalina, accennata prima. Successivamente è stato aggiunto un adeguato substrato, il p-NPP (para69 nitrofenilfosfato), capace di legarsi all’anticorpo mediante interazioni idrofobiche e di essere trasformato dall’enzima dando luogo ad una reazione colorimetrica (Fig. 32). Ovviamente non deve essere presente nei fluidi biologici utilizzati nel test, per evitare possibili interferenze. Figura 32 – Reazione colorimetrica per la rivelazione del test ELISA Il complesso finale è stato quindi determinato quantitativamente, tramite l’uso di uno spettrofotometro per la misurazione dell’assorbanza a determinate lunghezze d’onda: in questo caso è stata effettuata la lettura a 405 nm con lo strumento Tecan-Sunrise (Fig. 33). Figura 33 – Tecan Sunrise 70 È importante sottolineare che, dopo ogni fase del saggio, sono stati effettuati abbondanti lavaggi per eliminare tutto ciò che restava in soluzione e non avere interferenze nelle fasi successive. Inoltre dopo ogni aggiunta si è atteso un certo intervallo di tempo detto periodo di incubazione, che è dipeso dal tipo di operazione effettuata. Infine per l’esecuzione corretta di ogni test ELISA sono fondamentali la scelta del supporto, il pH e la forza ionica del tampone utilizzato per diluire l’antigene, la concentrazione dei vari reagenti e la temperatura. 3.5.2.1 Risultati dei test SP – ELISA Nelle Tabelle 9 e 10 sono riportati i valori di assorbanza a 405 nm ottenuti dalla lettura delle piastre SP-ELISA relative ai test per le IgG e per le IgM effettuati sui sieri in esame. I risultati sono poi stati schematizzati nei diagrammi sottostanti. Controlli Diabete IgG Codice 1 13 15 36 37 A 43 62 63 37 B 56 20 21 22 23 24 25 26 3 7 GAD65 0.101 0.048 0.079 0.211 0.068 0.104 0.049 0.028 0.044 0.066 0.096 0.246 0.043 0.063 0.074 0.175 0.090 0.063 0.156 GAD67 0.130 0.075 0.378 0.145 0.125 0.134 0.067 0.046 0.096 0.054 0.136 0.257 0.043 0.058 0.121 0.126 0.101 0.111 0.228 CVB4 0.086 0.076 0.088 0.000 0.061 0.075 0.065 0.030 0.053 0.034 0.080 0.255 0.027 0.046 0.060 0.208 0.096 0.120 0.281 Tabella 9 – Valori di assorbanza per il test SP-ELISA IgG 71 tr ol li co n di ab et e A405nm Il valore di cut-off per le IgG non è stato calcolato in quanto i valori di assorbanza ottenuti dai sieri provenienti da pazienti diabetici sono risultati assolutamente paragonabili a quelli dei controlli, e quindi da considerarsi negativi. 72 Diabete Controlli Codice 1 13 15 36 37 A 43 62 63 37 B 56 20 21 22 23 24 25 26 3 7 GAD65 0.693 0.705 0.891 0.159 0.824 1.135 0.579 0.673 0.391 0.416 0.352 0.258 0.419 0.530 0.618 0.589 0.515 0.622 0.560 IgM GAD67 1.370 0.846 1.308 0.195 1.062 1.472 0.721 0.888 0.649 0.807 0.752 0.427 0.537 0.803 0.932 0.792 0.774 0.849 0.823 CVB4 0.657 0.695 0.814 0.012 0.669 1.052 0.475 0.563 0.240 0.268 0.213 0.111 0.441 0.302 0.407 0.366 0.364 0.500 0.435 Tabella 10 – Valori di assorbanza per il test SP-ELISA IgM a di te be r nt co li ol 73 Il valore di cut-off (tabella 11) per le IgM, a causa del numero limitato di sieri disponibili, è stato calcolato per ogni peptide considerando la media dei sieri di controllo più 3 deviazioni standard. GAD65 GAD67 CVB4 Media 0.45 0.72 0.30 Dev. Stand. 0.12 0.16 0.10 Cut-off 0.81 1.18 0.61 Tabella 11 – Calcolo del Cut-Off In base ai valori di cut-off calcolati, i sieri di diabete 15 e 43 risultano positivi a tutti e tre i peptidi (25%), mentre il siero 1 è positivo a GAD67 e CVB4 (12.5%), il siero 37A è positivo a GAD65 e CVB4 (12.5%) e il siero 13 solo a CVB4 (12.5%); nessun siero è positivo solo a GAD65 o solo a GAD67. 74 GAD 65 1 2 CVB4 1 GAD 67 1 Sugli stessi tre peptidi sono stati testati in SP-ELISA anche 8 sieri di pazienti LADA di diabete di tipo I. IgGdiabete diabete Lapolla IgG LADA 0.4 0.2 0.1 CV B 4 D 67 G A D6 5 0.0 G A A405nm 0.3 75 4 VB C D6 7 G A G A D6 5 LADA IgM diabete LADA 76 4 CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI Il diabete mellito di tipo 1, sia nella sua forma giovanile (Insulin-Dependent Diabetes Mellitus, IDDM) che negli adulti (Latent Autoimmune Diabetes in Adults, LADA) è una patologia sulla quale sono stati effettuati, negli ultimi decenni numerosi studi, al fine di comprenderne i meccanismi molecolari e soprattutto le cause scatenanti, che sono accettate essere di natura genetica e/o ambientale. Fra gli agenti ambientali più probabili, legati allo scatenamento e allo sviluppo di questa patologia, è sempre più accettato il ruolo di un’infezione virale precoce causata dall’enterovirus Coxsackie B4. Il meccanismo che lega i due eventi rimane però ancora ignoto. Una delle ipotesi più probabili al riguardo suggerisce un meccanismo di mimicry verso una porzione, denominata P2C, di una proteina genomica del virus rispetto a frammenti delle due isoforme della Glutamic Acid Decarboxylase (GAD65 e GAD67), un enzima coinvolto nella regolazione del glucagone. La P2C condivide infatti con GAD65 e GAD67 un possibile epitopo, il frammento peptidico PEVKEK. Questo mimetismo potrebbe generare una cross-reattività degli anticorpi antiCoxsackie verso le due isoforme della GAD e portare al riconoscimento di neoepitopi nella GAD stessa. Ne conseguirebbe un danno all’enzima da parte del sistema immunitario e una conseguente disregolazione dei livelli di glucagone, con possibile scatenamento della patologia. La GAD è infatti riconosciuta ad oggi come uno dei più significativi autoantigeni legati al diabete di tipo I e gli anticorpi antiGAD sono accettati a livello clinico come uno dei biomarker più caratteristici di questa patologia, non solo a livello diagnostico, ma anche predittivo. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di porre le basi per un approfondimento mirato ad avvalorare questa ipotesi. Sono stati perciò selezionati e sintetizzati tramite strategia di sintesi di peptidi su fase solida Fmoc/tBu assistita da microonde, i tre frammenti peptidici: • hGAD65 (250-273): 250AMMIARFKMFPEVKEKGMAALPRL273 • hGAD67(258-281): 258SIMAARYKYFPEVKTKGMAAVPKL281 • CVB4 P2C (28-50): 28FIEWLKVKILPEVKEKHEFLSRL50. I peptidi sono stati sintetizzati sia in forma non acetilata all’estremità N-terminale (IIII), che acetilata (IV-VI). Il motivo di tale scelta è introdurre un ulteriore legame 77 ammidico in posizione N-terminale, mimando un frammento interno alla proteina putativamente antigenica e favorire così l’interazione con anticorpi specifici eventualmente presenti nel siero dei pazienti. I peptidi sintetizzati sono stati ottenuti con rese grezze valutate tramite HPLC rispettivamente dell’ 80% (I), 78% (II) e 71% (III). I peptidi grezzi sono stati quindi pre-purificati tramite SPE ed infine sottoposti a purificazione tramite HPLC semi-preparativa. Sono stati quindi ottenuti tutti i peptidi con una purezza >95% (rese dal 20% al 30%). In tabella 16 paragrafo 5.1.4.3 sono riportati i dati di caratterizzazione tramite HPLC analitica ed ESI-MS. I peptidi I, II e III sono stati utilizzati per studi di immunoaffinità mediante Risonanza Plasmonica di Superficie (BIACORE T100), mentre i peptidi IV, V e VI sono stati utilizzati in test immunoenzimatici su fase solida SP-ELISA. In entrambi i casi sono stati utilizzati sieri di pazienti diabetici e controlli provenienti sia dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer di Firenze (sieri IDDM) che dall’UOC di Diabetologia e Dietetica dell’Università di Padova (sieri LADA). In particolare, i sieri provenienti dal Meyer sono classificati, oltre che come diabete di tipo 1 o controlli, anche in base alla presenza o meno di anticorpi anti-GAD, identificati tramite un test commerciale utilizzato dalla AOU Meyer al momento del prelievo. Nei sieri di pazienti IDDM è stato possibile rivelare, tramite SP-ELISA, anticorpi solo di classe IgM. In particolare nel caso dei sieri 15 e 43 è stata osservata una netta positività al test SP-ELISA da noi messo a punto contro tutti e tre i peptidi IV, V e VI, mentre i sieri 1 e 37A hanno dato risultati positivi verso i peptidi hGAD67 (258-281) e CVB4 P2C (28-50) e verso i peptidi hGAD65 (250-273) e CVB4 P2C (2850) rispettivamente. I risultati sono riportati in tabella 10, paragrafo 3.5.2.1. Inoltre sono stati ricercati anticorpi anche in una coorte ridotta di sieri appartenenti a pazienti LADA, al fine di verificare se fossero presenti anche in soggetti adulti. Anche in questo caso non sono stati ritrovati anticorpi IgG, ma solo IgM con valori di assorbanza elevati verso le tre sonde peptidiche IV, V e VI. I risultati sono riportati nei grafici del paragrafo 3.5.2.1. Dall’analisi dei dati emerge che nei sieri IDDM e LADA sono presenti solo IgM, dirette contro le tre nuove sonde peptidiche oggetto di questo lavoro di tesi ed in particolare hGAD65 (250-273), hGAD67 (258281) e CVB4 P2C (28-50). Essendo le IgM la prima classe di anticorpi prodotta in caso di infezione nonché la prima a manifestarsi prima dello shift a IgG, è evidente 78 che la loro presenza può essere indice di reminiscenza di un’infezione mai riconosciuta. Una possibile spiegazione dei nostri risultati potrebbe ritrovarsi in una persistente e prolungata infezione, e quindi in una produzione latente di anticorpi che, sulla base della nostra ipotesi di cross-reattività tra CVB4 P2C (28-50), hGAD65 (250-273) e hGAD67 (258-281), porterebbe nei sieri di pazienti diabetici, sia IDDM che LADA, IgM dirette contro i peptidi della GAD. Avendo inoltre le tre sequenze in comune tra loro solo il sequone PEVKEK, l’ipotesi di un fenomeno di mimicry confermerebbe anche la natura del neo-epitopo scatenante la risposta aberrante perché presente anche nei peptidi GAD da noi selezionati. Inoltre, dall’analisi del Diagramma di Venn, riportato a pag. 73, si evince che, per quanto riguarda i campioni provenienti da pazienti diabetici IDDM, i sieri 15 e 43 risultano positivi a tutti e tre i peptidi (25%), mentre il siero 1 è positivo a hGAD67 (258-281) e CVB4 P2C (28-50) (12.5%), il siero 37A è positivo a hGAD65 (250-273) e CVB4 P2C (28-50) (12.5%), mentre il siero 13 è positivo solo a CVB4 P2C (28-50) (12.5%). Nessun siero è positivo solo a a hGAD65 (250-273) o a hGAD67 (258-281). Infine i peptidi I, II, e III sono stati utilizzati per studi di immunoaffinità tramite risonanza plasmonica di superficie (BIACORE T100). Il metodo utilizzato per questi test è ad oggi ottimizzato per la rivelazione di soli anticorpi IgG, come mostrato in tabella 8, sono negativi.. Questi risultati confermano i dati negativi per le IgG ottenuti in SP-ELISA con i tre peptidi testati. Misure d’interazione via SPR tra le IgM identificate per la prima volta in questo lavoro di tesi e le nuove sonde peptidiche I, II e III sono attualmente in corso. L’esiguo numero di sieri analizzati, nonostante abbia permesso di identificare una cross-reattività tra le frammenti della sequenza virale e dell’enzima, non ha permesso di ottenere un dato statisticamente significativo. L’analisi di un maggior numero di sieri e il confronto dei nostri risultati con quelli ottenuti utilizzando il test commercialmente disponibile, potranno portare ad una migliore comprensione del fenomeno e ad una eventuale conferma dell’esistenza di cross-reattività con l’infezione da Coxsackievirus. Inoltre l’analisi di un numero maggiore di sieri provenienti da pazienti LADA potrebbe avvalorare ulteriormente la nostra ipotesi, permettendo di estendere la nostra ipotesi anche a soggetti adulti precocemente infettati. 79 5 PARTE SPERIMENTALE 5.1 SPPS – MATERIALI E METODI L’acetonitrile (CH3CN) per HPLC, la dimetilformammide (DMF) e il diclorometano anidro (DCM) per sintesi peptidica sono stati utilizzati senza ulteriori trattamenti. Le sintesi peptidiche in fase solida sono state effettuate con il sintetizzatore Liberty Blue (CEM Corporation), utilizzando una resina Fmoc-Rink Amide 0,48 mmol/g. Il distacco dei peptidi dalla resina è stato effettuato con una miscela di TFA/H2O/TIS (triisopropilsilano) (98:1:1). La reazione di acetilazione è stata effettuata usando una miscela di anidride acetica/NMM (10 eq) in DCM. I prodotti sono stati analizzati mediante HPLC analitica in fase inversa; si è utilizzato un apparecchio Waters Alliance (modello 2695) equipaggiato con rivelatore a schiera di diodi, colonna Jupiter Phenomenex C18 (5 μm, 300 Å, 250 × 4.6 mm di diametro interno), ad un flusso di 1 ml/min di una miscela di eluenti a composizione variabile nel tempo: (A) 0.1% TFA in H2O (MilliQ) e (B) 0.1% TFA in CH3CN (84%). Per la purificazione dei peptidi sono state utilizzate due tecniche: 1. Pre-purificazione mediante Solid-Phase Extraction (SPE) usando come fase stazionaria gel di silice Merck LiChroprep RP-8 (40-63 m) e come eluente una miscela a composizione variabile di H2O (MilliQ) e CH3CN ; 2. HPLC semipreparativa in fase inversa con strumento Waters modello 600 su colonne Jupiter C18 (10 μm, 250 × 10 mm) e colonne tipo Varian Polaris di tipo Aqua (5 μm, C18, 200Å, 250 × 10 mm), a flussi di 4 ml/min. con miscela H2O (MilliQ)/ CH3CN come eluente. Gli spettri di massa sono stati registrati mediante spettrometro Waters micromass ZQ, accoppiato ad un sistema UPLC analitico Acquity ultra performance LC Waters dotato di una colonna C18 con flusso di 450 μL/min, usando come eluenti miscele a composizione variabile nel tempo di: (A) 0.1% TFA in H2O (MilliQ) e (B) 0.1% TFA in CH3CN 84% in H2O. Per la liofilizzazione è stato utilizzato un liofilizzatore Edwards mod. Modulyo. 80 5.1.1 Sintesi automatica di peptidi su fase solida I peptidi oggetto di studio di questo lavoro di tesi (vedi paragrafo 3 “Sviluppo della Ricerca”) sono stati sintetizzati con il sintetizzatore automatico a microonde Liberty BlueTM CEM utilizzando la strategia Fmoc-tBu. Gli amminoacidi sono stati acquistati da CBL Patras, aventi le seguenti protezioni temporanee: Fmoc-Ala-OH, FmocArg(Pbf)-OH, Fmoc-Glu-OH, Fmoc-Gly-OH, Fmoc-His(Trt)-OH, Fmoc-Ile-OH, FmocLeu-OH, Fmoc-Lys(Boc)-OH,, Fmoc-Met-OH, Fmoc-Phe-OH, Fmoc-Pro-OH, FmocSer(tBu)-OH, Fmoc-Thr(tBu)-OH, Fmoc-Trp(Boc)-OH, Fmoc-Tyr(tBu)-OH, Fmoc-ValOH. Il Liberty BlueTM CEM utilizza soluzioni stock di tutti i reagenti; in tabella (12) sono state riportate le concentrazioni delle soluzioni standard per la sintesi. Soluzione di Lavaggio DMF Deprotezione 20% Piperidina in DMF Amminoacidi 0.2 M in DMF Attivamte (DIC) 0.5 M in DMF Base (Oxyma) 1.0 M in DMF Tabella (12) – Soluzioni utilizzate dal Liberty BlueTM CEM Il software permette grande versatilità e può essere impostato in modo da effettuare molteplici operazioni in base a specifiche esigenze. Una volta calcolate la quantità di resina Fmoc-Rink Amide (grado di sostituzione: 0.48 mmol/g; scala di lavoro 0.1 mmol), le quantità di reagenti da pesare, di DCM e di DMF tramite le funzioni Usage Calculator e Reagent Calculator dello strumento, i contenitori sono stati inseriti negli appositi spazi. Una volta avviato, lo strumento ha eseguito i seguenti metodi in ordine: • High Swelling: rigonfiamento della resina DMF (ml) TIME (sec) 5 120 81 • • Deprotection Cycle: metodo di deprotezione della resina T (°C) POWER (W) TIME (sec) 75 155 15 90 30 30 Coupling Cycle: metodi di accoppiamento diversi a seconda che si tratti di un comune amminoacido (Standard Coupling), di un’Arg (Double Arg Coupling: viene ripetuto due volte un Arg Coupling) o di un’His (50 °C Coupling) STANDARD COUPLING T(°C) POWER (W) TIME (sec) 90 170 15 90 30 110 DOUBLE Arg COUPLING T(°C) POWER (W) TIME (sec) 25 0 1500 75 30 300 50°C COUPLING T(°C) POWER (W) TIME (sec) 25 0 120 50 35 140 5.1.2 Cleavage dalla resina Per il distacco del peptide dalla resina e la contemporanea deprotezione delle catene laterali, è stato effettuato il cleavage con una miscela di TFA/H2O/TIS (95:2.5:2.5) (1 ml ogni 100 mg di resina), mantenendo il tutto sotto continua agitazione a temperatura ambiente per circa 3 ore. Successivamente è stata filtrata 82 la sospensione, la resina è stata lavata con TFA (1 ml), la soluzione risultante è stata quindi concentrata sotto flusso di N2 fino a ridurne il volume del 95%. Il peptide è stato precipitato con diisopropil etere freddo, ottenendo un solido bianco che è stato lavato e centrifugato per tre volte con etere. La soluzione risultante è stata eliminata e il peptide è stato sciolto in H20 e quindi liofilizzato. In tabella 13 sono riportati i mg e la resa di sintesi dei peptidi in questione. Peptide Grezzo Peso (mg) Purezza (%) Resa (%) hGAD65 (250-273) 212,43 80 80 hGAD67 (258-281) 202,18 76 78 CVB4 P2C (28-50) 196,44 73 71 Tabella 13 – Rese di sintesi 5.1.3 Acetilazione dell’estremità N-terminale La reazione di acetilazione dell’estremità N-terminale è stata effettuata trattando la resina peptidica tramite 2 coupling della durata di 1 ora ciascuno con una soluzione di DCM contenente Ac2O (10 eq) ed NMM (10 eq), aggiunti rigorosamente in quest’ordine, sotto agitazione. In tabella 14 sono riportati i mg e la resa di acetilazione ottenuti.Indice Peptide Grezzo Peso (mg) Purezza (%) Resa (%) hGAD65 Ac-(250-273) 193,31 81 91 hGAD67 Ac-(258-281) 179,94 78 89 CVB4 P2C Ac-(28-50) 168,94 72 86 Tabella 14 – Rese di acetilazione 83 5.1.4 Purificazione dei peptidi 5.1.4.1 Pre-purificazione I peptidi ottenuti sono stati sottoposti ad una prima fase di purificazione (prepurificazione) mediante lo strumento Armen Instrument. A questo scopo è stata utilizzata una colonna impaccata con silice C18 (fase stazionaria, capacità di carico 5% in peso), e come eluente un gradiente crescente di H2O/CH3CN. L’operazione prevede alcuni step principali: • condizionamento della colonna con H2O; • solubilizzazione del peptide in H2O (massimo 7 ml) ed eventuale centrifugazione se rimangono dei residui solidi; • inserimento della soluzione acquosa del peptide nel loop apposito dello strumento • eluizione con un gradiente H2O/CH3CN variabile a seconda del metodo utilizzato. Le frazioni sono state controllate tramite HPLC analitica, riunite e successivamente liofilizzate. 5.1.4.2 HPLC semipreparativa I peptidi pre-purificati sono stati ulteriormente purificati mediante HPLC semipreparativa, dopo aver selezionato il metodo più adatto tramite HPLC analitica. Le frazioni raccolte sono state quindi caratterizzate sempre tramite HPLC analitica, andando poi a separare le frazioni più pure da quelle più impure e liofilizzandole. In tabella 15 sono riportate le rese di purificazione. 84 Peptide Metodo mg ottenuti Resa (%) hGAD65 (250-273) 30%-70% di acetonitrile 25%-65% di acetonitrile 30%-70% di acetonitrile 30%-70% di acetonitrile 25%-65% di acetonitrile 30%-70% di acetonitrile 57,37 27 48,52 24 39,29 20 50,26 26 44,99 25 38,86 23 hGAD67 (258-281) CVB4 P2C (28-50) hGAD65 Ac-(250-273) hGAD67 Ac-(258-281) CVB4 P2C Ac-(28-50) Tabella 15 – Rese di purificazione 5.1.4.3 Caratterizzazione dei peptidi I peptidi sintetizzati e purificati sono stati caratterizzati tramite ESI-MS. I tempi di ritenzione ed i picchi identificativi sono riportati in tabella 16. Numero Peptide Purezza (%) Metodo HPLC Rt (min)a I hGAD65 (250-273) >95 3.00 II hGAD67 (258-281) >95 30%-70% di acetonitrile 25%-65% di acetonitrile ESI-MS; [M+H]+2 (m/z) trovato (calcolato) 1383 (1382,75) 2.95 1350 (1349,75) III CVB4 P2C (28-50) >95 3.20 1441 (1440,85) IV hGAD65 Ac-(250273) hGAD67 Ac-(258281) CVB4 P2C Ac-(2850) >95 30%-70% di acetonitrile 30%-70% di acetonitrile 25%-65% di acetonitrile 30%-70% di acetonitrile 3.56 1404 (1403,76) 2.48 1371 (1370,76) 3.00 1462 (1461,85) V VI >95 >95 Tabella 16 – Caratterizzazione dei peptidi 85 5.2 TEST DI IMMUNOAFFINITA’ BIACORE – MATERIALI E METODI I test di immunoaffinità sui peptidi I,II,III sono stati effettuati tramite lo strumento Biacore® T100 (GE Healthcare). Tutte le soluzioni standard e i buffers sono stati preparati con acqua Milli-Q ottenuta con il sistema Sartorius (arium® 611 VF). I sensor chips della serie CM5, Nidrossisuccinimmide (NHS 0.1 M), sono stati forniti dalla GE Healthcare. Il running buffer con cui si eseguono tutte le analisi di binding/cientica è il buffer HBS-EP+ (10x) così costituito: 0.1M HEPES, 1.5M NaCl, 30mM EDTA, 0.5% v/v Tween ed è stato fornita dalla GE Healthcare e diluito 10 volte con acqua Milli-Q a pH 7.4. Il sodio acetato e l’idrossido di sodio per i tamponi di immobilizzazione e rigenerazione sono forniti dalla Carlo Erba (Milano). I buffers vengono filtrati con un sistema MILLIPORE Express™ PLUS 0,22 µm. 5.2.1 Immobilizzazione dei peptidi sul chip Il tampone di immobilizzazione migliore per ogni peptide è stato scelto eseguendo la procedura del pH scouting. A tale scopo sono stati preparati i tamponi alle concentrazioni ioniche e ai valori di pH desiderati: - tampone acetato di sodio 1, 5, 10, 25 e 50 mM a pH 4.5, 5.5, 6 (quest’ultimo solo nel caso del 50 mM). I tre peptidi sono stati solubilizzati nei tamponi elencati partendo da una soluzione stock acquosa 1mg/ml ed eseguendo una diluizione 1:100 per arrivare a una concentrazione finale di peptide 10 μg/ml. La procedura del pH scouting è stata eseguita ripetendo cicli costituiti da: - iniezione del campione per 120 secondi a flusso 10 μl/min; - rigenerazione della superficie del chip dopo ogni iniezione per 60 secondi con NaOH 0.1 M a flusso 10 μl/min. I tamponi di immobilizzazione ottimali scelti per ciascun peptide sono riportati in tabella 17: 86 PEPTIDE CONCENTRAZIONE pH hGAD65 (250-273) (I) 5 mM 4.5 hGAD67 (258-281) (II) 10 mM 4.5 CVB4 P2C (28-50) (III) 25 mM 4.5 Tabella 17 - Buffer selezionati per l’immobilizzazione dei peptidi L’immobilizzazione dei tre peptidi I, II, III in esame, rispettivamente sui canali 3, 2 e 4 del chip, è stata eseguita ripetendo i cicli riportati in seguito per ognuno dei tre antigeni: 1) Due iniezioni di una soluzione di EDC/NHS 0.4 M / 0.1 M rispettivamente per 420 e 60 s al flusso di 10 µl/min 2) Tre iniezioni del peptide in una soluzione 10 mM del tampone scelto tramite pH scouting rispettivamente per 420, 360 e 360 s al flusso di 10 µl/min 5.2.2 Studi di Binding Gli studi di binding sono stati effettuati iniettando contemporaneamente ogni siero testato sui 4 canali del chip (rispettivamente BIANCO, I, II, III), attraverso il seguente ciclo: 1) Iniezione del campione per 180 s al flusso di 30 µl/min 2) Dissociazione (iniezione di running buffer) per 60 s al flusso di 30 µl/min 3) Rigenerazione (1) attraverso l’iniezione di una soluzione di Gly 50 mM pH 2.5 per 30 s al flusso di 30 µl/min 4) Rigenerazione (2) attraverso l’iniezione di una soluzione di NaOH 0.1 M per 60 s al flusso di 30 µl/min I risultati (parametro di stability) vengono considerati dopo 15 secondi dalla fine dell’iniezione del campione, ovvero dopo 15 secondi dall’iniezione del running buffer (punto 2). 87 5.3 TEST IMMUNOENZIMATICI IN FASE SOLIDA (SPELISA) – MATERIALI E METODI In tutti i test ELISA sono state utilizzate le piastre di polistirene da 96 pozzetti (ICN Flow, Linbro/Titertek) e il coating è stato effettuato con i peptidi IV, V, VI. Le soluzioni per eseguire il test ELISA sono le seguenti: 1. il coating buffer, che è un tampone carbonato a pH 9.6 costituito da carbonato di sodio (Na2CO3) e bicarbonato di sodio (NaHCO3) 0.9%, con aggiunta di sodio azide (NaN3) 0.02% 2. il lavaggio è stato eseguito con una soluzione Washing Buffer di NaCl 0.9% e 0.05% di tensioattivo Tween (poliossietilene sorbitan monolaurato) 3. il tampone FBS (siero bovino fetale), che è una soluzione che si deteriora molto facilmente per cui è indispensabile farla fresca ogni qualvolta si esegua l’esperimento. Il siero bovino fetale è diluito 1:10 con soluzione Washing Buffer e Tween 4. il coniugato IgG e IgM va diluito in tampone FBS e una volta diluito può essere mantenuto in frigorifero per non più di una settimana 5. I due coniugati sono: • anticorpo IgM [A-1067, (γ-chain specific), F(ab’)2 fragment of goat antibody SIGMA] marcato con l’enzima fosfatasi alcalina e diluito 1:200 in SBF/Tween • anticorpo IgG [A-3312, (µ-chain specific), F(ab’)2 fragment of goat antibody SIGMA], marcato con l’enzima fosfatasi alcalina e diluito1:8000 in FBS/Tween 6. il Substrate Buffer, che è una soluzione costituita da 10% dietanolammina, 0.1% MgCl2 e portato a pH 9.8 con piccole aggiunte di HCl 37% e sodio azide (NaN3) 0.02%. 7. la soluzione di bloccaggio, che è una soluzione 1 M di idrossido di sodio (NaOH). 8. Le letture delle assorbanze sono state effettuate a 405 nm mediante spettrofotometro Tecan-Sunrise. 88 I sieri dei pazienti sono stati selezionati dalla Prof. Chiara Azzari (IDDM) e dalla Prof. Annunziata Lapolla (LADA) ed appartengono a pazienti affetti da diabete I ed a donatori sani. I pazienti sono stai selezionati in maniera casuale e non precedentemente sottoposti a test per la reattività immune tramite test ELISA o BIACORE. Questo studio, i metodi e le procedure di consenso sono stati approvati dal Comitato Etico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer di Firenze e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Padovana. Tutti i dati utilizzati in questo studio sono stati riportati in forma anonima. 5.3.1 Test SP-ELISA – Fasi sperimentali 1 Coating: i pozzetti delle piastre sono stati funzionalizzati con la soluzione di peptide sciolto in tampone carbonato 0.05 M (pH 9.6) alla concentrazione di 1µg/µL. Ciascun pozzetto è stato quindi riempito con 1 µL di soluzione e la piastra incubata a 4°C per tutta la notte. Per ogni campione di peptide sono state preparate due piastre in modo da testare l’interazione dell’antigene con due anticorpi diversi; 2 Lavaggio: le piastre sono state lavate 5 volte con la soluzione di lavaggio; 3 Blocking: i siti di legame non specifico sono stati bloccati con 110 µL di una soluzione al 10% di siero di bovino fetale (FBS), 0.9 % NaCl e Tween allo 0,05% a temperatura ambiente per 1 h; 4 Applicazione dei sieri: i sieri sono stati aggiunti in triplicato alla diluizione di 1:100 in FBS–Tween. Le soluzioni sono state applicate in quantità di 100 µL per pozzetto ed incubate a 4°C per tutte la notte; 5 Lavaggio: le piastre sono state lavate 5 volte con soluzione di lavaggio; 6 Aggiunta dell’antisiero: per ogni campione di peptide sono stati aggiunti 100 µl per ogni pozzetto di anticorpo secondario anti IgG AP umano, diluito 1:8000 in FBS-Tween o l’anticorpo secondario anti IgM AP umano con una diluizione 1:1200. Gli anticorpi si legano al frammento costante (Fc) delle Ig che sono legate all’antigene. Le piastre sono state incubate per 3 h a temperatura ambiente; 7 Lavaggio: le piastre sono state lavate 5 volte con la soluzione di lavaggio; 89 8 Applicazione del substrato: sono stati applicati 100 µL per pozzetto di substrato (p-NPP, para-nitrofenilfosfato alla concentrazione di 1 mg/mL) in tampone substrato. Si tratta di un cromogeno, cioè un composto non colorato sul quale agisce la fosfatasi alcalina coniugata all’antisiero, un enzima che reagisce in modo specifico con il substrato convertendolo in un prodotto di colore giallo. L’intensità della colorazione di ogni singolo pozzetto dipende dalla quantità di enzima presente e quindi dalla concentrazione di IgG e IgM nel campione da testare. (Il cut-off per le IgG è Abs ≥ , mentre per le IgM è Abs >) 9 Blocco della reazione: la reazione colorimetrica del substrato catalizzata dalla fosfatasi alcalina, è stata bloccata dopo 30 min aggiungendo una soluzione di NaOH 1 M (50 μL per pozzetto); 10 Lettura: l’assorbanza è stata letta mediante spettrofotometro Tecan-Sunrise alla lunghezza d’onda di 405 nm. 90 6. Bibliografia 1. Guyton and Hall, Textbook of Medical Physiology, 2006, 11th edition., Elsevier 2. Richard A. Goldsby, Thomas J. Kindt, Barbara A. Osborne, Kuby Immunology, 2006 Aug 15, 6th edition, Macmillan 3. IUPAC, Glossary for chemists of terms used in biotechnology, 1992 4. Abul K. Abbas, Andrew W. Lichtman, Jordan S. Pober, Meccanismi Effettori dell'Immunità Umorale in Immunologia cellulare e molecolare, 2002, 4ª ed., Piccin 5. Abul K. Abbas, Andrew W. Lichtman, Le basi dell’immunologia: fisiopatologia del sistema immunitario, 2006, 2ª ed., Masson 6. 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H.; Grant, E. H.; Halstead, B. S. J.; Mingos, D. M. P., Chem. Soc. Rev. 1998; 27(3): 213-224 28. A. Fini, A. Breccia, Pure appl. Chem., 1999; 71(4):573–579, IUPAC 92 29. Giada Rossi, Biosensor analysis of anti-citrullinated protein/peptide antibody affinity, PhD Thesis, The University of Florence, 2014, 30. Wells A. Exploring the development of the independent, electronic, scholarly journal. M.Sc. Thesis, The University of Sheffield. 1999. 31. D. Kennett., J. Immunol. Methods, 1998; 106, 203-209. 93 7. RINGRAZIAMENTI Sono tante le persone che voglio ringraziare; alcune perché hanno reso possibile la realizzazione di questo progetto di tesi, che per me significa la degna conclusione di un percorso durato tanti anni, fondamentale nella mia crescita come persona prima di tutto e come scienziato in secondo luogo, altre perché non solo mi hanno permesso di arrivare in fondo a questo viaggio, ma sono al mio fianco ogni giorno, in tutte le esperienze, buone o cattive, che la vita mi ha riservato e mi riserverà negli anni a venire. Voglio cominciare quindi ringraziando i miei genitori, Mario e Patrizia, senza i quali, ovviamente, non sarei qui e senza il supporto dei quali forse non sarei riuscito nell’impresa. Mi hanno cresciuto secondo i più sani princìpi, mi hanno dato coscienza, razionalità e buon senso, mi hanno lasciato la libertà di decidere e capire da solo cosa è giusto e cosa è sbagliato, semplicemente mostrandomi quello che secondo loro, fra i tanti, era il cammino corretto, ma permettendomi sempre di scegliere, alla fine, quale imboccare. Voglio ringraziare la mia principessa, la mia luna splendente, il mio bocciolo il cui profumo è per me profumo di casa, Marika, che è stata ed è per me l’altra metà di qualunque cosa io fossi stato nella mia interezza. È in lei che trovo ogni giorno la forza di fare sempre una cosa in più del necessario, rendendo la vita traboccante di esperienze, di emozioni e di gioie, ed impedendomi così di sprecare attimi irripetibili di un’esistenza che, alla fine dei conti, non è poi tanto lunga. Voglio ringraziare mio fratello, Mattia, che con i suoi eloquenti silenzi sa sempre cosa non dirmi al momento giusto, ma che, quando infine apre bocca, non dice mai qualcosa di superfluo o impulsivo, rendendo impossibile qualsivoglia litigio e risultando di fatto il miglior fratello di sempre. Voglio ringraziare mia sorella, Costanza, che è mia sorella pur non essendolo, con la quale ho condiviso molto di più che con chiunque altro, l’unica persona al mondo che, probabilmente, conosce la vera essenza di me stesso, perché quell’essenza ha contribuito a plasmarla in 26 anni di meraviglioso, puro e genuino rapporto. 94 Voglio ringraziare i miei amici, che per fortuna sono tanti e che, chi in un modo chi in un altro, hanno portato un pezzo indelebile di gioia nella mia esistenza: Dario, un altro fratello non fratello, la cui spontaneità, genuinità e lealtà sono sempre state per me fonte di ispirazione ed ammirazione; Matteo, con cui ho condiviso una parte enorme della mia infanzia e della mia non indifferente capigliatura; Bernardo e Benedetta, due dei miei punti di riferimento da bambino, ai quali mi sono ispirato e che hanno avuto un’influenza non indifferente nella creazione in me un’ideologia ed un modo di essere che tutt’ora sono cardine della mia personalità; Lorenzo, con cui ho condiviso tanto, troppo per poterlo raccontare, ma che è per me sinonimo di certezza, di presenza e di stabilità, perché so che non mancherà mai nella mia vita; Francesco, perché è l’unica persona con cui ho condiviso anche tanto dolore, dolore che però ci ha avvicinato in un modo che non percepisco con nessun altro; Vittoria, altrettanto sorella, che è amore e bontà allo stato puro, uno di quei rapporti che rimangono indissolubili negli anni; Edoardo, il mio modello per tutto il periodo delle scuole medie e adesso un amico capace di rendere esilarante ogni momento, sagace, intelligente e divertente come nessun altro abbia mai conosciuto; Giulia, mia cugina, l’unica persona insieme alla quale posso dire di aver vissuto esperienze letteralmente mortali, esperienze che però hanno creato un legame a cui non potrei rinunciare per niente al mondo; il gruppo di Scandicci, Marco, Vanessa, Barbara, Simone, Sara, Simone, Linda, Andrea, Dario e Giulia, la mia compagnia, alcuni fra i miei amici più cari, che sono parte fondamentale della mia vita e che sono ciò che mi aiuta a rimanere in contatto col mondo, impedendomi di perdermi nella mia innegabile sociopatia; i Nature Mistakes, Stefano, Maria, Simone, Lorenzo e Arianna, con i quali mi sono avvicinato ad una delle più grandi passioni della mia vita, la musica, con i quali ho condiviso le prime esperienze su un palco, con i quali ho sudato, sofferto e fatto sacrifici, ma grazie ai quali ho potuto vivere alcune fra le emozioni più grandi di tutta la mia vita, suonando la nostra musica davanti alle persone; David e Francisco, grazie ai quali questa passione continua ad ardere sempre più forte; il mio maestro di chitarra, Iacopo, che, nonostante tutto, ha l’innegabile merito di avermi trasmesso l’amore per la musica e per la chitarra; il mio maestro, di vita e di capoeira, CM Paahppi, che mi ha raccolto come un filo d’erba in mezzo alla bufera del mondo e che mi ha insegnato, negli anni, come 95 affrontare qualunque avversità, insegnandomi a camminare a testa alta, insegnandomi il valore della mia individualità ed il rispetto per me stesso, introducendomi alla cultura Bahiana e brasiliana, permettendomi di conoscere un mondo ed una disciplina che ora sono colonna portante del mio io, del mio modo di essere, di interpretare la mia vita e del mio modo di rapportarmi con le persone e con il mondo; sua moglie Veronica, che mi ha insegnato il valore imprescindibile della convinzione, che mi ha insegnato l’importanza fondamentale della sicurezza ed a credere nelle mie affermazioni, e la cui razionalità e spontaneità è per me un modello da seguire; i loro figli, Sirio ed Aynarah, che sono due angeli sulla terra; tutti i ragazzi del gruppo Capoeira Angola Palmares, dai più vecchi, Lapo, Gnocco, Pitù, Pititinga, Shrek, Jolly, Mami, Chiara, ai più nuovi, Poeta, Piu Piu, Minimè, Ahmed, Michele, Andrea, Lisa, Zeppola, Cosimo, Irene, Mummia, Pulga, Cupido, Marco, Bambu, Queixo, Acquatico, Giulia, Matilde e tutti gli altri, nei quali ho trovato il gruppo di compagni di avventure che cercavo da sempre; tutti i capoeristi che ho incontrato nella mia vita, fra cui CM Malicia e sua moglie Valentina, con la loro stupenda figlia Isabella, grazie ai quali cresco ogni volta di più; I miei “allievi”, Edoardo e Isabella, con i quali ho condiviso questa passione e che adesso sono due amici importanti; gli amici incontrati all’università, Flavia, Fabiana, Ottavia, Matteo, Gherardo, Giulia, Francesca, Martina, Samuele, Marco, Elena, e tanti altri, insieme ai quali ho condiviso gioie, dolori e paure, ed insieme ai quali ho vissuto questa magica avventura universitaria; i miei cuccioli, Liuba, Luna Darko, Nymeria e Shamrock, che sono le mie gioie quotidiane; lo Zoo di 105, senza il quale non avrei avuto la forza di affrontate con determinazione e ridendoci sopra tutte le difficoltà e le prove degli ultimi anni. Voglio ringraziare tutti i miei parenti, che sono tanti, tantissimi, ma che sono la famiglia più bella che potessi chiedere di avere: Lidia e Daniela, le zie pazzerelle, Stefano, il mio zio Fanano, il mio idolo, Rosalba, Mariangela, Aldo, Paolo, Giuseppe, Leila, Massimo e Donatella, gli zii dei pranzi e delle cene, gli zii delle partite a carte, gli zii della grande famiglia, Vincenzo e Bruna, i nonni della forza e della bontà, Tina e Franco, i nonni della mia infanzia e del divertimento, tutti i miei mille cugini ed i loro rispettivi mariti/mogli e figli, Andrea, Simone, Alessio, Carolina, Alessandra, Ilaria, Alessandra, Chiara, che non mancano mai; mia zia Patrizia, che è zia pur non 96 essendolo, che mi ha insegnato il valore dell’arte, che mi ha insegnato a non sprecare la mia vita, che mi ha insegnato a viverla al massimo col sorriso sulle labbra, e che ora, da qualche parte nell’universo, controlla che io non faccia ca****e, e ride della stupidità umana. Voglio ringraziare tutte le persone che hanno fatto, in un modo o in un altro, parte della mia vita; Pietro, Margherita, Federica e Michele, la cui pazienza (e, in quest’ultimo caso, la cui palpebra) ha fatto si che, nella mia infanzia, avessi intorno una famiglia anche fuori casa; Emilio, Rosalba e Guido, che si sono impegnati affinché nella mia infanzia non mancasse mai quel pizzico di follia che rende la vita interessante; Donatella e Giuseppe, che, come gli altri alle Croci, ci trattavano come se fossimo tutti una grande famiglia allargata; Elisabetta e Gianluca, da cui mi sono sempre sentito a casa; Mauro e Giovanna, con la loro giovinezza, ed i loro figli, Corinna e Mattia, gli animatori della mia infanzia; Massimo, Gloria, Donatella e Mauro, ancora una volta famiglie fuori casa; Alessandro e Cristina, divertenti, frizzanti, spensierati, con cui ho vissuto alcune delle estati più belle; Jean e Ian, che mi hanno fatto conoscere ed amare la Spagna; Lorenzo, il mio primo vero datore di lavoro, che mi ha insegnato un mestiere, che mi ha raccontato mille storie e grazie al quale ho provato per la prima volta l’ebrezza dell’indipendenza. Voglio ringraziare tutti i ragazzi del PeptLab, Chiara, Francesca, Raffaello, Simona, Alessandro, Mario e Giuseppina, per la pazienza, per gli insegnamenti, per i pranzi, per aver reso il luogo di lavoro piacevole e privo di stress; la professoressa Anna Maria Papini, per aver creduto in me e per avermi spronato quando ne avevo bisogno. Voglio ringraziare tutte le persone che hanno contribuito alla mia istruzione, che è una delle cose più importanti che si possano ricevere nella vita. Ci sarebbero ancora tante, tantissime persone da ringraziare, comprese quelle che in futuro entreranno a far parte della mia vita; purtroppo lo spazio scarseggia. Quindi chiedo perdono a tutti coloro che mi sono dimenticato di citare, questo non è altro che un debole tentativo di esprimere la mia gratitudine a tutti coloro che mi hanno condotto fin qui; sia io che voi sappiamo che siete stati parte della mia vita, indipendentemente dal fatto che siate o meno scritti in queste pagine. Grazie, di cuore Lorenzo 97