I. Gli anni Novanta del XX secolo da pochissimo
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I. Gli anni Novanta del XX secolo da pochissimo
I NTRODUZIONE I. Gli anni Novanta del XX seco lo da po chissimo passato a miglior vita sono stati part ico larmente r igogliosi per la lir ic a ita liana medioe vale. Si sono ravvivat i gli studi cavalcant iani, soprattutto l’indag ine sui r apport i di amic izia e di ideo log ia fr a Guido e Dante, coinvo lgendo ad hoc la strao rdinar ia canzone Donn a me prega “int orno alla quale le acque sono andat e sempre più agita ndosi”, seco ndo un efficace giudizio di Mart i 1. La spino sa quest io ne ha dat o luogo , in casi est remi, a sper ico late disput e fr a crit ici e scritt ori finite sulle pagine di prest igio si quot id iani vertent i per lo più sul presunto odio di Dante nei confro nt i di Guido. In altr i casi ci si è chiest i se il Do lce st il nuovo fo sse stato o meno un’avanguard ia. Cesare Gar bo li, all’alba del nuovo seco lo, alle vessaz io ni di S ebast iano Vassalli t aglia cort o e dice che il posto delle avanguardie è il Novecento con l’auto mobilis mo ed il soc ialismo, dunque il problema no n si pone! S i è infine chiesto a st oric i de lla lingua e filo lo gi d i for mulare un loro parere mot ivato intorno al cano ne relat ivo a i “poet i sic ilian i” e ai poeti “siculo-t oscani”, preludio di una nuova edizio ne co mmentata dei poeti attivi alla corte di Feder ico II e de i 1 M. Marti, Acque agitate per «Donna me prega», in : «GSLI», Tor in o, Vol. CLXXVII, Ann o CXVII, Fasc. 578 (II trim. 2000), pp. 161 – 167. 2 loro cont inuat ori ( la cui uscit a sarebbe imminent e a cura d i Costanzo di Giro lamo e Rosario Co lucc ia). Acque agit ate co me si vede dopo un perio do più o meno lungo di stagnazio ne che ha co invo lto , secondo il mio parere, maggior mente i poeti della Magna Curia (la grande corte imperiale). Oggi si vuo l st abilire definit ivament e chi realment e appart eneva a l gremio dei poeti federic iani (e se anche i non insulari abbiano d ir it t o a ll’ inc lu s io ne) 2 partendo naturalme nte dalle edizio ni crit iche delle lir iche pubblicate nel corso degli anni e cerca ndo di capire le ragio ni per le quali gli edito r i hanno di vo lta in vo lta inser ito o trascurato, nella per sonale selez io ne di poesie att ribuite alla cosiddett a Scuola sic iliana, quest o o quell’aut ore. Prima di tutto esiste ancora un problema di co llocaz io ne temporale al quale se ne connett e strettamente uno di car att ere filo log ico. I l mo vimento più corale e unitario della tradiz io ne lett erar ia ita liana, r iunito si into rno a Feder ico II (1194 – 1250), mo narca co lto e pot ente, e ai figli Manfredi e E nzo, si cost itu isce per t radizio ne nel 1220 circa, poco dopo l’incoro naz io ne dell’Hohenstaufen co me I mperato re (dal 1198 era re di S icilia), e s i disso lve nel 1250 co n la mort e di quegli. I primi versi della S cuo la r isalirebbero agli anni Trenta de l seco lo per allusio ni e fatti precis i 2 Un o schema ti co el enco d ei r im ator i sicili ani vede con i s ovran i Feder ico II, il suoc er o Gi ovan ni di Br ienn e, Manfr edi, En zo e Feder ico d’ An ti och ia , poeta r e dign it ari di cor te, giovan i delle fam igl ie n obil i del r egno come Ia copo Mostacci e Rin al do d’Aqui n o, fal coni eri di Feder ico, Giac omi n o Pugli ese e Ia cop o d’Aqui n o. P oi ci s on o i n ota i e giur ist i com e Gia como da Len tin o, il caposcu ola, Pier dell a Vign a, Stefan o Pr oton otar o, Guid o e Od o dell e C olon n e. A p ar t e t r ovi a mo C iel o d ’ Al ca m o, p iù l e ga t o a l t ea t r o e a l la g iu ll ar i a, e i „n on in sulari”, i più tar di r imator i toscan i Folcac chi ero de’F olcac chi eri di Siena, Paga nino da Sar zana, Arr igo Testa di Ar ezzo e C ompa gn etto da Pr at o. Per fin ir e un gen oves e, Per civall e D ori a, uni co a la sciar e una comp osiz ion e in pr oven za le. 3 contenut i nei test i 3. I S icilian i se mbra – e questa è la prima novit à che avessero costitu ito già un genere fiorente alla metà di quegli anni Trenta perché i loro testi erano divulgat i lo nta no dalla Sicilia, in base alla recent e scoperta da part e di Giusepp ina Brunett i di u n cospicuo frammento della canzone di Giaco mino Pugliese Resplendiente stella d e albor conservato in un manoscr itt o (C 88) della Bibliot eca Centra le di Zurigo 4. Un ignot o copist a lo t rascrisse in un per iodo co mpreso fra il 1234 – 35 in un luogo (Italia nordorienta le, Fr iuli o Veneto ) e in una lingua che, purtro ppo, pur essendo lo nta ni dalla Toscana non ci rest itu isco no neanche stavo lta l’ idio ma con il quale i poet i federic iani composero le loro r ime. Alla mort e di Federico è seguita con mo lta probabilit à un’e marginazio ne della cu ltura sveva ad opera degli angio ini, una damnatio memoriae devastat rice anche e sopratt utto della poes ia origina le, la cui perdita va ascr it t a alla mancanza di una racco lt a manos critt a curata dai S ic iliani, un canzo niere «siciliano de i sicilian i» che avr ebbe evit ato le co nfusio ni attribut ive ne i manoscr itt i to scani. Purtuttavia, la diffusio ne di poesie su “fog liett i vo lant i” pot rebbe aver favor ito il loro cammino da Sud a Nord. Indiz i sulla scrivibilità de lla lir ica sicilia na ci sono o ffert i so lta nto in due versi, uno di Giaco mino Pug liese («che ‘l libro di Giaco mino », v. 70, Donna, di voi mi lamento) e l’altro de l Contrasto di Cie lo d’Alcamo ( «sovr ’esto libro iuro t i – mai no n t i vegno meno», v. 153, Ro sa f resca aulentissima): se il pr imo 3 Si vedan o la canz on e Ben m’è venuto prima cordoglienza e il son ett o Angelica figura e comprobata ent ram bi di Gia com o da Len ti n o che r iman dan o ad even ti polit ico-mil itar i r isalen ti, rispettivamen te al 1234 e al 1236. 4 Cfr . il Cap. I.3 di questa t esi. Lo studioso Br ugnolo in oltr e sostiene l’esistenza di «r ime sicilia n e» già n ella lirica del XII secol o in Romag n a e p r im a d el l a fi n e d el l a d i n a st ia n or m an na , cfr . AA. VV. , D ai S i c i l i ani a i S i c u lo Toscani. Lingua , metro e stile per la definizione del canone (a cura di R.Colu ccia e R. Gualdo), Galatina , 1999, p. 230. 4 esemp io r imanderebbe ad un possibile manoscr itt o il secondo r iguarda sicuramente “il Libro” per eccellenza, la Bibb ia. La S cuo la, se si co nsidera che re E nzo muore so lta nto ne l 1272, Guido delle Co lo nne è ancor a attivo ne l 1280 (ammesso che sia lui l’aut o re - t radutto re in lat ino de l Roman de Troie di Beno ît de Saint Maure) e Ste fano Protonotaro è mort o nel 1301, può anche esser sopravvissuta al t ramo nt o svevo e alla co nquist a angio ina, smente ndo così chi ha sempre ind icato il 1250 co me la data de lla disso luzio ne della Curia. D’a ltro nde i ta nti poet i anonimi di vo lta in vo lt a inser it i ne lle sillo g i 5 possono far r iflettere sulla persiste nza d i una linea sic ilianeggiante e cort ese nei decenni che vanno t ra il 1265 e il 1285 – 90. Nei lor o versi sono fac ilmente r isco nt rabili le “r ime sic iliane”, però manca ndo un r epertorio che copre la zona co mpresa tra i Sicilian i e gli St ilno vist i è impossibile fare un esame metrico accurato . Inoltre poeti come Rustico, Bonagiunta e anche lo st esso Guinizze lli recuperano Giaco mo da Lent ino e in ge nere la linea sicu lo – provenzale. Si r ico nosce po i finalmente piena dignità, o ltre agli stu d i linguist ici e metr ici, alle r icostruzioni sto rico-soc iali affinché s i possano fornire ulteriori infor mazio ni utili a de finire la testé menzio nata quest io ne de l ca none. Le r ico struz ioni edito r iali da so le non sono infatt i or mai sufficient i, e la mia tesi di dottorato prova a conciliare in ta l modo indag ini sto rico - letterarie e letterar io – lingu ist iche, anche perché, ad esempio, in una corte – stat o come quella di Federico non si può cert o prescindere l’att ivit à lett erar ia da que lla po lit ica e scient ifica. La cort e dell’Ho henstaufen, per quanto it inerante (Feder ico, per controllare meglio i vast i terr ito r i del suo do minio, non r is iedeva in un luo go fisso), era per lo più 5 Ma sopr at tutto quelli del C odi ce Ch igi ano (Chig. L. VIII. 305), man oscr it to fi oren tin o del Tr ecen to ch e in clud e 23 son ett i an onim i poi acc olti da Pan vin i n el suo Rime dell a Scuola siciliana del 1962. 5 st abilit a in S icilia, che così era divenuta il ce nt ro non so lo po lit ico ma anche cult urale dell’I mpero. Federico concepiva il pot ere in modo moderno, e cioè accentrato e unit ario. Ciò escludeva il frazio namento del siste ma feudale ed esigeva invece un massimo d i omoge neit à po lit ica, giur idica ed amminist rat iva. La Magna Cur ia era il fulcro da cui doveva dir amarsi a r aggiera la vasta artico lazio ne di uno stato amministrato in modo unit ario da una nutrita schiera d i funzio nari laici borghesi e provvist i di una cu ltura spec ifica di t ipo giur idico e co munque indipe ndente da quella ecclesiast ica. Cercando di rea lizzare un’egemo nia ghibe llina in It alia, Federico si contrapponeva alla Ch iesa non so lo sul terreno della po lit ica ma anc he su qu ello de lla cu lt ura, inco ragg iando ne la laicit à e le t endenze scient ifiche. La sua figura quasi leggendaria è immort alata in ben sette novelle de Il No vellino (Le ciento novell e antike): una di quelle lo descrive in modo inequivoc abile: «(...) verament e fu specchio del mo ndo, in par lare ed in costu mi, ed amò mo lto dilicato parlare ed istudiò in dare savi r isposi» 6 I l te ma poet ico della nobiltà di spir ito 7 cont rapposta a quella data dalla nascita pot rebbe servire come punto di partenza per l’esplora zio ne de ll’ ideo log ia della S cuo la poetica siciliana. Questo topos che enfat izza e glor ifica cortesia ed individualis mo faceva già parte del r eperto rio dei tro vatori dai quali i Sicilian i lo hanno ereditato . Tuttavia nella poesia de lla Magna Curia questo te ma 6 Il Novellino (Le ciento novelle antike), Libro di novelle e di bel parlar g e n t i l e, a cura di G. Man ganelli, Milan o, 1987, p. 13. 7 Il topos, fr equ ent e n ella lett era tura la tin o- medie val e e r ipr eso n el XIII secolo, r isal e al fil os ofo Sene ca (Lettere , 4 4, 5 ). C ur ti us ci r i fer i sce ch e v en n e discus s o al la cort e feder icia na anch e n ella comm edia Paulinus et Polla (1229 ) di Riccar do di Ven osa, un a dell e pi ù n otevoli oper e la tin e in ver si comp ost a n el r egn o, r appr esen ta ta in pr esen za dell’ Imper at or e. Cfr. E. Curt ius, Europeische literatur und Lateinisches Mittelalter (Letteratura europea e Medio Evo latino ), a cura di R. An tonelli, Scandicci (FI), 1992, p. 356. 6 divent a una problemat ica poet ica cent rale che, cosa sign ificat iva, l’ imper atore svevo non scoraggia 8. Una p icco la t enzone fra Rust ico di Filippo e Bond ie Dietaiut i – poeti “co rtesi to scani” anche se il seco ndo è stato inserit o da Panvini nelle sue già menz io nate Rime – può servirci da esemp io per illu strare la succit ata problemat ica. I l dibatt ito poetico è incentrato su una po lemica fra due cavalier i inna morat i della st essa dama. Un pret endent e è di no bile sch iatt a mentre l’altro è dotato di cortesia. Quale fra i due è il più degno ? Due cavalier valent i d’un paragg io aman di core una do nna valente ; ciascuno l’ama ta nto in suo coraggio che d’avanzar d’amar saria neiente. L’un è cort ese ed insegnato e saggio, largo in do nare ed in tutto avenente ; l’altro è prode e di grande vassallaggio, fiero ed ardit o e dott ato da gent e. Qual d’est i due è più degno d’avere da la sua do nna ciò ch’e’ ne disia, t ra quel c’ha ‘n sé cort esia e savere e l’a lt ro d’ar me mo lt a va le nt ia ? Or me ne co nta tutto il tuo volere: 8 Nel s on etto Misura provede nza e maturanza at tri buit o a Feder ic o II l’i mperat or e offre un a defin iz ione della n obil tà diver sa da quella at tri buit a da Dan te al l’imper ator e in Convivio (IV, III, 6), «e d op o aver asserit o la supr emaz ia del „bon s enn o” sull a n obil tà e d etto che „dell a or din ata costuman za/ discen de gent il ezza fr a la gent e”, am moni sce conven zi on alment e l’” omo ch’ è saggi o” che „non s’al zi troppo…, ma tut tor a man tegn a cor tesia” ». C fr . G. Fol en a , Cultura e poesia dei Siciliani, i n : S LI , d i r e t t a d a E. C ecch i e N.Sapegn o, Vol. I, Le Origini e il Duecento, Milano, 1965-69, pp. 287-288. 7 s’io fosse donna, ben so qual vorr ia. (Rust ico di Filippo , Due cavalier valenti d’un paraggio) 9 Non ci sorprende il fatto che Bondie Dietaiut i, poeta al limit e fra “S icilian i” e “S icu lo – to scani” e diretta mente influenzato da Giaco mo da Lent ino, dia la sua preferenza al prete ndente dot ato d i cort esia. Alla corte di Federico II il dibatt ito sulla superior ità de lla nob iltà spir itu ale non era r istretto alle lir iche cortesi dei poet i imper iali. Secondo lo sto rico de Stefan o il topos era una delle quest io ni più accesament e dibatt ut e nella Magna Cur ia e l’op inio ne prevalente fr a i cortigiani era che la nobilt à di spirito era di gra n lunga migliore di quella ereditata dalla nobile discende nza 10. Gli sto rici generalment e co ncordano che nella burocrazia imper ia le de l regno – all’interno dello stato federic iano avanza mento di carriera e r ico mpensa era no garant it i in confro nt i dell’ imperato re ed base alla ai r isult ati lealt à per sonale ne i individuali, per non disce ndenza. L’imperato re cercava di diminuir e il pot ere polit ico d i nob ilt à e clero e di prot eggere e appoggiare il ceto che rappresent ava per lui una minacc ia po litica minor e. A t al scopo Federico II r ifor mò la burocrazia imper iale rendendo prat icament e impossibile ai no bili potent i l’accesso a posizio ni di primo piano r iservate invece ai rangh i minor i o anche ai plebei per basi d i mer it o 11. Sembr a evidente a questo punto come Federico II, tollerando la discussio ne presso la sua cort e sulla no biltà di costume o d i nasc it a, e grazie alla sua po lit ica di promuo vere funz io nari e 9 B. Pan vini , Rime della Scuola sicili ana, Fir enze, 1962, pp. 648 – 50. 10 A. de Stefan o, L’idea imperiale di Federico II, Par ma, 1978, p. 234. 11 A. de Ste fan o, La cultura alla corte di Federico II imperatore, Palermo, 1938, p. 143. 8 burocrat i so lo in base a merito ind ividuale e devoz io ne, appoggiasse l’ ideo log ia de lla merito crazia. Ciò era tuttavia vero fino a un certo punto , sicco me un piano imper iale senza limita zio ni che promuo veva la causa dell’ ind ividua lismo non avrebbe certo aiutato g li int eress i po lit ic i de ll’ imperat o re. La r io rg anizzaz io ne dell’amminist razio ne regale e i vant aggi che ne der ivavano per nob iltà minore e plebei ( entra mbe le classi avevano uguali opportunità di avanzamento soc iale) avevano lo scopo reale ma sott int eso di r idurre il pot ere dei nemic i e di increment are quello dello stupo r mundi. Vist o in quest a luce, Federico II non può esser considerato né pro moto re di individualismo né co me uo mo appart enent e più all’età moder na che al Medio evo (come mo lt i sto rici de l passato hanno creduto) 12. Il contro llo di Feder ico sull’amministra zio ne dell’ impero era strett issimo: così co me egl i dispensava favor i in seg no di r iconoscenza per i servigi o ffert igli, allo ste sso modo li r it ir ava t ir annicamente (si veda la ben not a sto ria in cui P ier della Vigna viene drammat icamente escluso da l novero dei fedeliss imi dell’ imperatore) 13. Tuttavia una ragio ne per la quale Feder ico II permise, anzi, incoraggiò la co mposizio ne di lir iche cortesi che pro muo vevano l’ ideale dell’ individualis mo sta nel fatto che si forn ì ai suo i funz io nari e per sonaggi della corte uno “sfogo ” inno cuo quanto efficace per esprimere emoz io ni e ideali che, se presi lett eralment e, 12 Lo st ori co Ama r i er a dell ’opini one ch e Federi co foss e un uomo del XVIII secolo capita to per sbagli o n el Medi oevo. Cfr . M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia , Vol. III, Catania, 1939, p. 730. 13 I l p oet a , p r ot on ot a r o e l og ot et a er a p er v en u t o a d u n a in vi di a bi l e ed i n vi di a ta posiz i on e polit ica e social e. Tut ta via n el 1249, per motivi che n on si son o ben potut i accer ta r e, cadde in disgra zia, venn e fat to im pr igi on are ed ac cecar e da Fed eri co II e gli venn er o confis cati i molti ben i accumula ti , sia a lui che ai suoi fam il iar i. Cfr . G. Lazzer i, Antologia dei primi secoli della letteratura italiana, Milan o, 1954, p. 746 e il br eve profilo a lui d edicat o al I.1.5 della pr esen te tesi. 9 potevano appar ire anche sovversivi, minacciosi agli interess i dell’I mpero e dell’I mperato re. Monteverd i mette in ev idenza il caratt ere di evas io ne della poesia dei S icilian i: «La concezio ne ch’egli ebbe della poesia ci è ormai chiara: poesia gioco , poesia oblio della realt à. Ed è la co ncezio ne che ebbero, con lui, t utti i poeti della scuo la s iciliana, ma che egli forse più di ogni alt ro e prima d’ogni altro contr ibuì a fissare» 14. La lirica amorosa in Sicilia perde t utta la pot enza de l co nt enut o lett erale che ave va presso i primi tro vatori. Ne l co ntesto della Mag na Curia, r ispett o a quello delle coeve cort i feuda li in Provenza e nella Francia sett entrionale, la lir ica cortese è servita co me metafora per esprimere una rea lt à più pert inent e, in part ico lare la r iva lit à quot idiana che dev’essere esist ita fra i perso naggi di corte federician i in lot ta fr a loro per conquistare posizio ni di potere all’inter no della gerarchia imperiale. Così, nell’ incoragg iare la co mposizio ne di lir iche cort esi, Federico II era capace no n so lo di pro muo vere una att ivit à cu ltura le st imo lant e ma anche di co nt enere potenziali ost ilit à latent i in un’a mministrazio ne nella quale l’avanzamento all’ int erno dei rangh i burocrat ici dipende va esclus iva mente dall’operato personale e da lla fedeltà 15. Rispetto ad altr i sovr ani dell’epoca l’ imperatore svevo era un organizzato re cult urale no n so lt ant o per svago . Aveva scop i be n precisi nel co mmissio nare r icerche e st udi in ca mpo mate mat ico, filo so fico, bio log ico, medico, architet tonico, musicale, lingu ist ico e, naturalmente, in quello più vicino ai nostri interessi, quello della traduzione. Azzarderei a dire che la vit a inte llett uale nella sua cort e rappresentava una sort a di “mini univer sit à”. Studiosi di tutti i cred i religiosi e filo so fici conven iro no in Ita lia meridio nale dall’ Europa e, soprattutto, dal Medio Oriente: fra tutti r icordiamo infatt i gl i 14 A. Mon tever di, Federico II poeta, in : Atti del Convegno Internazionale di Studi Federiciani , Palermo, 1962, p. 365. 15 A. de Stefan o, L’idea, op. cit., p. 231. 10 arabi Michele Scoto, astrologo di corte, e Leonardo Fibo nacci, matemat ico, che intro dusse in Europa il siste ma numerico arabo e lo zero 16. Feder ico aveva una vera e propria sete di conoscenza - ta nto da definir si vir i nquisitor et sapientiae amado r 17 - e la mod ernità della sua meto dolog ia scient ifica 18 influenzò non poco anche l’ immag inar io ed i conte nut i delle lir iche vertent i sulla feno meno log ia amoro sa, tutte dett ate dalla conoscenza e dalla r icerca di ver it à. C’è chi sost iene che egli incoraggiò e finanziò le att ivit à art ist iche ed int ellett uali no n so lt ant o per l’amore per sona le verso la conosce nza, ma anc he perché consapevo le de ll’ import anza po lit ica, era profo ndament e oltre che inte llett uale e mora le, de l problema de lla cult ura: «Nessuno ebbe certo tra i so vrani del suo seco lo, coscienza par i alla sua della forza, della fecondit à e della universa lit à de l sapere. Nell’ inviare ai dottori e agli sco lari dello Studio di Bo log na le prime traduzio ni lat ine dei trattati aristotelic i, egli scrive di r ite nere necessar i al fast igio del suo trono, o ltre alle leggi e alle ar mi, anche i sussidi de lla scienza vo lt i contro i per ico li de lla oscura ignora nz a e della sfrenata lascivia, onde si snervano le forze e si corro mpe il potere stesso della g iust izia» 19. Mentre il fior ir e di studi ed attivit à culturali nel Regno federiciano può esser t ranquilla ment e int erpretato più co me u n 16 Agli studi matematici del Fibon acci lo studios o Wilh elm Pötter s riti en e si sia ispir ata la str uttura fissa e r egolar e del son etto. Cfr . il Cap. I, § 6.2.3 di questa tesi e W. Pött er s, Nascit a del sonetto. Met rica e matematica al tempo di Federico II, Raven na, 1999. 17 A. E. Hor st, Federico II di Svevia , Milano, 1996, p. 166. 18 L’ im per a t or e è st a t o vi st o c om e i l p r ed ec es s or e d i Al ber t o Ma gn o e Ru gg er o Bac on e. Cfr. C. Guerr ier i- Cr ocett i, La Magna Curia (la Scuola poetica siciliana), Milano, 1977, p. 5. 19 A. de Stefan o, L’idea, ivi. 11 r iflesso del personale int eresse dell’I mperatore in quest i campi ch e per un freddo calco lo po lit ico, la fo ndazio ne della nuo va Univer sit à di Napo li nel 1224 ed il r iconoscimento ufficia le della prest igiosa Scuo la med ica di Salerno pochi anni più tardi, senza dubbio fanno pensare a decis io ni imper iali ne lle quali le co nsiderazio ni po lit iche giocano un ruo lo importante 20. D’altro nde l’ord ine di Feder ico in virt ù del quale nessun med ico del regno poteva prat icare senza una laurea consegu it a presso la Scuo la raffo rzava ult erior ment e il suo contro llo sull’ istruzio ne. La fo ndazio ne dell’ Univer sità di Napo li cont eneva in sé l’ int enzio ne di r iva legg iare, se non di sorpassare, con l’ Univer sit à di Bo log na, la fo nte dalla quale l’acerrimo nemico di Federico, il Papato , attinge va il suo brain trust in g iur ispru de nz a ed in altr i camp i de l sapere. Lo stupor mundi reclut ava i funzio nar i che for mavano la sua burocrazia imper iale dalle fila deg li student i di giur isprudenza dell’ Universit à di Napoli. Ne l cost itu ire il suo apparato burocrat ico con funzio nar i che venivano da stud i legal i piutt osto che co n membr i dell’ar ist ocrazia feudale, Federico era r ivo luzio nar io r ispetto ad altr i sovr ani dell’epoca. I n ciò egli emulava anche il Papato che aveva amministrato ri for mat isi alla catt edra di giurisprudenza di Bo log na. Bisogna r icordare po i che gl i st essi I nnocenzo III, Gregorio IX, Innoc enzo IV e Bonifac io VIII erano giurist i. I nso mma, la fo ndazio ne della nuova Un iver sità ed il r ico noscimento uffic iale della S cuo la medica di S alerno avevano co me unico e semplice scopo quello di forn ir e al regnu m un’aut onoma, e contro llata, r isorsa di espert i in giur isprudenza, medicina e in a ltr i campi del saper e. Att uale co me mai in quest i gior ni in cui Occide nte ed Orient e sono l’un contro l’altro armat i, Federico fu l’unico regnant e crist iano ad ent rare in Gerusale mme e a concludere felice ment e la crociata del 1228 in te mpi record: lo nta no dall’Italia per appe na u n 20 D. Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale , Torin o, 1998, p. 235. 12 anno e otto gior ni, di cui 235 spesi in Terra Sant a senza neppure sguainare la spada 21. L’eret ico sco municato da Innocenzo IV rest itu ì Gerusalemme ai fedeli ma allo stesso tempo, in segno di grande amic izia e di to lleranza per la cultura isla mica, no n perpetrò i crimini de lle altre croc iate, le quali nasconde ndosi dietro ideal i religiosi portarono mort e e distruzio ne nei paesi del Vic ino Oriente. Le sue r icerche e la cur ios ità verso l’Islam lo guidarono anche alla scoperta della poesia araba di cui è innegabile l’ influsso su quella provenzale. I l grido del poeta Ibn al Far idh, «ch i no n muore del suo amore non può viver ne» 22, oltre a isp ir are la mist ica occidenta le giungerebbe fino alla lir ica dei Siciliani seppur mediato dai tro vatori. Studi recent i giud icano comunque difficile valutare gli effett i del rapporto dirett o con il mo ndo musulmano ; questo è dovuto in effett i alla scar sezza di fo nt i letterarie. I l seco ndo capito lo del presente studio è quello più de licato , perché si propo ne la lett ura e l’int erpretazione delle lir iche lent iniane allo scopo di dimostrare che la fondazio ne di una lingu a di prest igio culturale, e capace di veico lare sign ificato , è il fine ult imo dei lir ic i sicilian i. Per quest i po eti, inso mma, condizio ne amoro sa e creazio ne verba le sono la stessa cosa. Una lingua che, per vo lere di Federico II, si doveva spostare dai mode lli provenza l i piutt osto che – strano a dirsi! - co ntrastare il lat ino de lla nemica Chiesa. Nella tesi si discuterà ino ltr e su quale t ipo di siciliano abbiamo a che fare con i t est i poet ic i sment endo il Mo nt everd i seco ndo il quale il sic iliano venne ado ttat o perché il provenzale, lingua tradizio nale della f in’amors, suona va t ro ppo est ranea alle orecchie de i poeti di corte 23. 21 R. Ior io, 1228. La crociata dello scomunicato , i n : « St or i a e D os si er » , A nn o XII/ 112, Fir enze, Genn aio 1997, p. 30. 22 D. de Roug emont , L’amore e l’occide nte, Milano, 1996, p. 153. 23 A. Mon tever di, La poesia liric a provenzale, Roma, 1969, p. 7. 13 Infine, int errogare i t est i lett erar i è un’att ivit à con la qua le non si finisce mai di scoprire cose nuo ve anche se co mport a purtroppo il r ischio di r icavar ne ciò che l’estro del mo mento potrebbe sugger ir e, magari lo nta nissimo da lle inte nzio ni de ll’auto re da no i studiato . Nelle pagine seguent i mi accingo a raccont are una st or ia soc iale e lingu ist ica della lir ica d’a more ita liana delle or igin i cercando di sta bilire quanto del retaggio tro bador ico sull’amore “impossibile” sia stato recepito consapev olmente da i Sicilian i, al d i là di met ico lose t raduzio ni e r ifaciment i, e sopratt utto cercando di individuare quali sono i pu nt i di rottura con i modelli d’o ltra lpe. Bisog na part ire affermando co me la lir ica amoro sa medio evale par li, paradossalment e, di assenza e d i fr ust razio ne: in alt re paro le, l’amor e celebrato nel XII e XIII secolo ha bisog no non della presenza dell’a ltro ma della sua assenza. Il to rmento dell’amor e lo ntano è ind iscut ibilmente man ifest at o nella r et o rica co n un largo impiego di ossimor i – eccez io na li evo cato ri di sospensio ne de l senso, di paradosso, appunt o (l’amar desamatz) – qua li le “do lc i lacr ime” oppure il “caro so ffr ir e”. Oc corre osservare però che l’Amor e Assurdo, il serviz io del poeta per nulla r ipagat o da alcuna mercede no n è no vità esclusivamente med ioe vale, esiste va già ne i grand i po et i lat ini. Tutt avia ne ll’et à o vid iana è l’effett ivo t radiment o femminile ad avvilire il poeta. La dist anza fr a lat ini e trovato ri si misura in prat ica propr io nella “diso nestà” muliebr e lamentat a dai primi, nel piacere per verso e realist ico di causare e r icevere do lore; nei tro vatori tro viamo invece tutto il co ntrario d i questo furio so erot ismo in quanto prevalgono le rego le de ll’algido gioco cortese. Ai tro vato ri, sempre in paro le po vere, sembra a questo punto int eressar e no n tanto amare la donna quanto il sent ir si amato. 14 L’amore impossibile, la to rtura delizio sa, un amore “r it ardato” fino a perdere di vist a il suo vero sogget to porta necessaria ment e i l poet a a par lare so lo di se stesso. Perfino se un pensiero viene presentato come pensato da una donna sappiamo co me in realt à sia un uo mo ad averlo elaborato per il piacere de l proprio pubblico maschile. I poeti federician i ad esempio si spingo no anche o ltre i loro co lleg hi tra nsalpini nell’affermare che l’esperienza del poeta – a ma nt e è e sc lu s iva me nt e me nt a le: «U n[ o ] d is ïo d ’a mo r e so ve nt e/ m i t en la mente (. .. )» (G iaco mo da Lent ino , vv. 1 – 2). La do nna, g ià oggetto nella poesia cort ese provenzale, è a vo lt e messa da parte da Giaco mo da Lent ino per far posto allo sviluppo di metafore o di immag ini, specie nelle tenzoni in cui vero protagonista è Amor e in quanto tale. I trovatori, poet i assoc iat i all’eret ismo cataro, già nel XII seco lo giungo no in It alia scacciat i dalla propria t erra dalla crociat a contro gli Albigesi e tro vano r iparo in Italia settentr ionale. I l cont atto con la cort e siciliana avviene per via ind ir ett a con medium sicuramente librar io 24, sia att raverso un canzo niere donato da Ezzelino da Ro mano a Federico, t esi quest a su ffragata dal grand e stud ioso Roncaglia, che co n le traduzio ni – ma del ro manzo o itanico crist aniano - fatt e appront are dallo stesso imperato re ancora in Ger mania. 24 Un par er e cont r ario è qu ello di S chi affin i il qual e an ti ciperebbe la dat a di n ascita della poesia lir ica in volga r e: «(…) già ai tempi della monar chia n or mann a, la tri lin gue Sicili a, la tin a gr eca e ar aba, - ma quadrilin gue, se si consider a l’idi oma d’oïl par lat o al la Cor te, - er a sta ta centr o di super ior e cultur a n el mondo cri stian o, e r ifletteva i moti spir it uali della Fr ancia sett ent r ionale: così che sar ebbe le cito far r isalire al secolo XII la n ascita, sott o l’i n flusso fr an cese, della li r ica sicili ana d’am ore» (A. S chi affin i, Momenti di s t or i a d e l l a li n g ua i t al i a n a, Rom a , 1 95 3, p . 1 0). Di p ar e r e si m i le, m a n utr e n do gr osse r iser ve, è an ch e F. Bru gnolo, La scuola poetica siciliana, in : Storia della let teratura italiana, dir etta da E. Malat o, Vol. I, dalle Origini a Dante, Roma, 1995, p. 275. 15 I l diver so panora ma po lit ico e culturale della corte sicilian a viene a sopprimere inta nto , restando alla tecnica poet ica, mo lt i degli ele ment i peculiar i della versificaz ione tro badorica: prima d i tutto si giunge a separar e la poesia dal canto (per rest itu ir le dignit à letterar ia) giust ificando in ta l modo l’assenza di senhal e t ornada ; ino ltr e, una vo lta diventata letteratura “scritt a”, la poesia circo la scevr a da spunt i sto rici, di cronaca o autobio grafici ponendosi in u n t empo immot o (sco mpare di conseguenza il sirventese, grande genere cantat o di conte nuto satir ico e po lit ico insp iegab ile ne l so lido Stato – corte federiciano in cui l’ imper ato re st esso era il primo isp ir ato re della scuo la poetica) ; r ispetto ai tro vatori infine i poeti sic iliani si devo no definir e a r igore i veri primi cortigian i dipe ndent i da un (unico) signore. Quest i, in br eve, alcu ni de i principali pu nt i di divergenza che verranno affro ntati nel mio lavoro . Ritengo tutt avia opportuno procedere per ord ine e proporre, in sede di intro duzio ne e per r ito rnare al grande mot ivo dell’Amor e Assente, una breve presentazio ne de lla po esia lir ica provenzale da cui prenderà vit a la prima grande lir ica ita liana. II. La poesia ispiratr ice de i Sicilian i fio r isce nella Franc ia meridio nale e in Pro venza tra la fine de l seco lo XI e i primi due decenn i del XIII seco lo ( l’u lt ima poesia databile de ll’u lt imo trovatore, Guir aut Riquier, è de l 1292) e co nta fra gli auto r i conosciut i il ragguardevo le numero di 460 poeti. Le origini de lla poesia provenzale sono diffic ili da indiv iduare, possiamo so lo fare delle conget t ure. Nat uralment e la prima fonte è quella da me cit at a della t radizio ne class ica lat ina di poesia erot ica segu it a da que lla 16 araba o infine, ipot esi da non trascurare, dalla poes ia religiosa d i esalt azio ne della Verg ine 25. I poet i, i vulga res eloquentes, i doctores illustres di Dant e possono essere grandi signor i e feudatar i, co me Guglielmo I X d’Aqu ita nia, ma per lo più provengono dalle fila della picco la nob iltà (sono paubres chavaliers, cavalieri pover i), esalta no la nob iltà de ll’animo e il servizio d’amore e difendono i ver i princip i dello “stato ” nobiliare vivendo ne nel mo do più aute nt ico gli ideali. Essi, in cambio del loro canto di lo de e di de voz io ne, chiedono amore o almeno protezione alla mog lie del signore. Le donne de i signor i feudali, infatt i, a causa de lle guerre e delle crociate r imangono a lungo so le nelle corti e nei caste lli e si tro vano nella condizio ne non so lo di prete nder e il r ispetto dei nobili minor i e degli altr i sot toposti ma anche di esercit are dir ettamente il potere. E leonora d’Aquit ania, Maria di Champagne e Maria di Francia sono promot rici di arte e poetesse anch’esse ed asso lvono nella r ealt à la stessa funzio ne che, nell’ immag inar io ha nno Isott a e Ginevra, le due più famo se prot agonist e del ro manzo cort ese: «invent ano l’amor e moderno» 26. Nell’amore cortese, il corteggiamento viene r itualizzato come fase necessaria dell’a more, il r ispetto per la donna è valore supremo e alla donna si att ribuisco no le virtù più nobili e preziose. La soc ietà cortese nel suo complesso r ico nsidera posit ivamente la figura femminile r ite nuta in tut to l’alt o medioe vo «la peggior e 25 Tarda risposta cattolica all a Maria catara nel tent ati vo della Ch iesa di app r opri arsi di quel «pr incip io femmi n il e» così fort e n elle eresie. All ’ or igin e dell’An gelicazi on e femmin il e, desessua li zz azion e ec citan te e sp ogli az ione carn al e della don n a r eale, sua mi stica Assun zion e sta, sul gr an de sfon do del pa gan esimo or ien ta le e occid en ta le, il catari smo, con le sue esigen ze r ig or os e di castit à. Deni s de Rougemont n el su o class ico L’amo re e l’occide nte ci avver te an cor a che la castità è man ich ea ed eretica, n on già catt oli ca. 26 A. Hauser , Storia sociale dell’arte , Vol. I, Torin o, 1987, p. 214. 17 incarnazio ne del ma le» 27 port ando di co nsegue nza a de mo nizzare corpo e sensua lit à 28. L’amore diventa un codice soc iale ma si affina pure facendosi esperienza spir ituale, r icerca inter iore. L’innamor ato ripete nei co nfro nt i de ll’a mata l’atto di vassallaggio feudale che ogni dipendente deve esibire nei co nfro nt i del signore: chiede co me benefic io uno sguardo o un saluto o addiritt ura la correspo nsio ne piena dell’ amore, ma più spesso un puro atto simbo lico di r ico noscimento o di pro moz io ne soc iale, e offre in cambio il proprio serviz io e cioè, come dicevo prima, le proprie lod i e la propr ia devoz io ne. L’amore cort ese è inso mma omogeneo all’ ideo log ia feuda le: è in grado di dar ne un’int erpret azio ne che soddisfa le esige nze della picco la nobilt à ma può anche esprimere quelle de l siste ma feudale nel suo complesso. C’è una contraddizio ne paradossale in tutto questo : da un lato l’amor e cort ese è ant imatr imo niale ( la donna è in genere la mog lie del signore) e quindi eversivo ; da ll’altro , rafforza invece i vinco li della co munit à arist ocratica. Nella realt à, infatt i, la cont raddizio ne 27 J. Le Goff, L’immaginario medieval e, Roma – Bari, 1991, p. 127. 28 Esist on o di verse stim ola n ti tesi a pr oposit o d el la mi sogini a medieval e. Un a di queste r it ien e gli uomini n el Medioevo s pesso in im bar azzo di fr on te al l’a ppetit o sessuale delle pr opr ie compagn e. Lor o son o in olt r e in vidi osi della ma ggior e im munità delle don n e n ei confr on ti delle ma la ttie in fettive cont rat te dai ma schi in seguit o al le loro ma ggior i possi bil it à di spostam ent o (via ggi e guer r e). L’uomo voleva quin di pun ire la pr esunta superi or it à geneti ca dell ’a ltr o sess o, an ch e inconscia men te. Non a cas o, fa n ota r e giu sta men te Cla ude Th oma sset in un suo a ffascin ant e studi o, n el Tristano di Beroul, Is ott a è pun ita per il suo adul ter io e costr etta ad esser e pr eda di cen to lebbr osi. Is otta tut ta via è in tenzionata a dim ostrare la sua inn ocen za e, salen do sulle spall e di Tri stano tr avestit o da le bbr os o, at tr aver sa la palude d el le bbr osar io mostr ando tut ta la sua pr epoten te bellezz a, più for te del fan go e della decomp osiz ion e. Isott a s fida ci oè qu el dual ismo che vede va la don n a a metà fr a bellezza e putr efaz ione. Cfr. C. Thomasset, La natura dell a donna, in : G. Duby – M. Per r ot, Storia delle donne, Il Medioevo, a cur a di C. Klapisch – Zuber, Bar i, 1995, pp. 56 – 87. 18 era mo lto spesso r iso lta con l’alt issima fo r malizzazio ne, astrazio ne, r itualizzazio ne de lla r ichiesta d’amore e con la trasfor mazio ne simbo lica de i suo i cont enut i: la donna, invece che concedere i l proprio corpo, concede onore, r ispet to, protezione e pro moz io ne soc iale al cavaliere – poeta. Non per nulla si ass ist e, nella poesia provenzale, al superamento della posizio ne di Bernat de Ventadorn. Mentre nella sua poesia si not ano ancora un conte nuto esiste nzia le preciso e una r ichiesta d’amore seppure alta mente r itualizzata (riassumibili nella for mula «io amo e dunque canto , il mio canto fa sì che la do nna mi ami» 29), successivamente il principio feudale dello sca mbio delle prestazio ni e della r eciprocità dei serviz i è s ì mante nuto, ma il benefic io r ichiesto coincide ormai con una protezione sostanzialmente priva di implicazio ni erotiche. Il “serviz io d’amore” si è professio nalizzato e ciò ne esclude g li aspett i più trasgressivi ed eversivi. S i va da un massimo d i r itualizzazio ne, astrazio ne, for malizzazio ne tip ico del t robar clus (poetare “chiuso”, diffic ile) a un’apert ura alla concret ezza, all’a mabilit à e alla lev ità della vita, ben espressa da l trobar le u (poetare “lieve”) ; dal più raffinato e idealizzato amor de lon h (“amore da lo nta no”), cantat o da Jaufré Rudel, uno dei più not i poeti provenzali, alla descriz io ne anche sensua le de lla donna e degl i inco ntr i d’amore. Questo secondo t ipo di poesia è reso possibile da u n atteggiamento di minore ch iusura della lir ica provenza le ne i confro nt i della realt à della vit a quot idia na e bor ghese. Ment re ne l Nord la no biltà feudale è ferocemente ant iborg hese, anche per il timore che il re str inga allea nza co n la nuova classe mercant ile, ne l Sud, in assenza di un for t e potere cent rale e in presenza di u n 29 R. Luper in i, Realtà, ideologia e immaginario nella società cortese: una nuova concezione del la donna e dell’amore, in : La scrittu ra e l’inte rpretazione, a cu r a d i R. Lu p e r i n i e P . C a t a l d i , V ol . I , P a l er m o, 1 9 9 9, p . 38. 19 not evo le sviluppo delle citt à, nobilt à e borghesia hanno rapport i miglior i e l’oppos izio ne t ra “cort esia” e “villan ia” è r ivo lt a so lo contro i co ntadini e gli strati popo lari più bassi. “Co rt ese” è o pposto a “villano” sino nimo di grett ezza , ignoranza, rozzezza di costu mi, e di avarizia. L’amor e cortese diventa infine non so lo un mot ivo poetico ma un argo mento d i trattazione scient ifica e filoso fica. Fra romanzo e lir ica da un lato e trattatist ica da ll’altro vi sono fitt i intrecci: anzi, ro manzo e lir ic a contr ibuiscono anch’essi alla trattatist ica d’amore, che ha un grande sviluppo nel periodo che va dalla fine dell’Alto Medio evo ai primi seco li de l Basso. I l trattato più noto e più import ante è il De Amore d i Andre a Cappe llano, scr it t o in lingua d’o ïl fra il 1174 e il 1204. Esso da u n lato accoglie le teorie d’amor e più diffuse e dall’altro le codifica in modo or iginale, dando vita a una tradizio ne che cont inuerà per tutto il Duecento e il Trecento e influenzerà profonda mente la Scuo la lir ica siciliana, gli St ilno vist i e Da nte. La morum p robitas, l’o nest à dei costu mi, o vvero la ge nt ilezza, la no biltà di spir ito è un te ma d i base. I l De Amore definisce i princ ipali “co mandament i d’amore” e cont iene i segue nt i nuc lei teor ici: 1) Si propone una de finizio ne dell’amore in cui co nfluiscono aspett i ist int ivi e passio nali e aspett i legat i all’ immaginazio ne e a lla r ifless io ne: «Amor e è una passio ne naturale che si or ig ina da lla vista e da l r ipe nsare ossessiva mente all’ immag ine di una per sona dell’ alt ro sesso (...)» 30. Di qui l’ importanza della vista, la cui funzio ne diventa un topos de lla poesia d’amor e, ma anche della fant asia e della capac it à d i immag inazio ne; 2) il rapporto innamor ato-donna r iflette quello feuda le fra vassallo e signore: al servitium ( il ser viz io d ’a mo re) d e l primo deve corr ispondere la co ncessio ne di un privilegium (beneficio) da part e della seconda, la quale no n può respinger e l’o maggio dell’amante, se quest’ult imo è animato da un amore puro 30 A. Cappellano, De Amore, a cura di J. In san a, Mil ano, 1992, p. 14. 20 e da gent ilezza di costu mi; 3) si prospetta una posizio ne inco nciliabile fr a amore libero e matr imo nio e si teorizza che so lo il primo è vero amore, ma si aggiunge anche che ciò non deve indurr e al libert inagg io: vengo no anzi teorizzat e l’unic ità del rapporto d’amore e la t endenza di quest ’ult imo a giungere a un massimo d i per fez io ne ideale; 4) si affer ma l’esiste nza di uno stretto rapporto fra ge nt ilezza e amore: la gent ilezza, cioè la purezza e la nobilt à d i costumi (morum probitas) e d i sent iment i, non dipende dalla no bilt à di sangue – si r icord i che Andrea non era un nobile -, ma dalla nob iltà d’animo e si assoc ia di necessit à al bisog no di amore. I l primo punto è import ante perché dest ina all’a more lo spazio ideale dell’esper ienza inte llett uale, uno spaz io do minat o dalla med itazio ne, dalla fantas ia, part ico larment e adatto alla lir ica. Nella poes ia, che pure in genere canta il mo mento di joi (gio ia) dato dalla f in’amor (o amore perfett o) 31, è inevita bile il mot ivo de lla so fferenza d’amore per l’ inaccessibilit à de lla donna, provocat a dalla sua lo nt ana nza o dalla sua superbia. Accant o a quest i sent iment i ana lizzat i co n grande sott ig liezza psico logica, ne l t esto lir ico si possono incontrare r iflessioni sulla poesia st essa, su l rapporto fra tecnica impiegata e teor ie de ll’amor e, con d ichiarazio ni 31 Il joi , porta tore di slan cio vit al isti co è tut ta via il r isult ato di un equili brio sempr e pr ecar io a causa d ell’im perscrut abile vol on tà della don na e dell’asp ett o vol ont ar ist ico pr opr io di un amor e ch e è abn egaz ion e e super am en to di sé; da ciò si deduce che «il discor s o dell’a more cort ese, n ella Pr ovenz a del XII e XIII se c ol o, n on è u n d isc or s o c on l a d on n a, m a con se st es si , c on i p r op r i fa nt a sm i […]. La can zon e [cor tese d’a mor e] r uota in stancabilm ent e in torn o al la pr ima per son a dell ’a man te, con un orr or e segr eto per la descr iz ion e, per la per cezi on e, per ogn i possi bil e in tr usion e dell ’ogg etti vit à. È espr ession e d el desider io come desi der io del s ogg ett o, è esi biz ion e del sogg etto d esid er ant e. Il cor po, pr opr io e dell’a lt r o, vien e elus o. Cer to, la domna vien e desider at a, quest o ci dice il test o, ma n on sappia mo più bene come e p erch é» (M. Man cini, Il punto su: I trovatori, Bari, 1991, p. 21). 21 di poet ica che r ivelano l’alt a coscienza de lla propria arte che ebbero i poet i provenzali. La for ma principa le di poes ia lir ica è rappresentat a dalla canzo ne di quatt ro, cinque o sei stro fe, co struite secondo lo stesso sche ma, in versi otto sillabici in r ima, e una chiusa for mata da uno o più congedi. La canzone d’amor e è estremamente for ma lizzata, sia nella strutt ura metr ica che in quella t emat ica: eso rd isce co n u n topos che descr ive la nat ura ( mos t rando per esempio la corrisponde nza tra amore e primavera), poi rappresenta la donna e ne canta le lod i, infine intro duce la figura de l r iva le o de i mald icent i che possono danneggiare l’amante; la chiusura è affidat a a un co ngedo che spesso cont iene una decisio ne dell’ innamorat o in relazio ne alla sua vice nda d’amor e. Altr i sottogeneri t ipici della poesia provenzale sono il sirventese, già citato, il partimen o d ibat t it o , il planh o co mpianto, l’alba ( la separaz io ne de i due amant i dopo una nott e passat a ins ieme), la pastorella ( inco ntro d’amore fra un cavaliere e un a villana). Le poesie lir iche erano trasmesse per via orale e dest inate alla recitazio ne co n acco mpagnamento musicale. Poiché però il tro vatore affida va al giullare un testo che conte neva anche la melod ia, ne è r imasta una relat ivamente ampia documentazione. La differ enza che separa il trobar clus e il t robar l eu è be ne espressa dall’op posizio ne fra Ra imbaut d’Aurenga, che segue la prima te ndenza, e Bernat de Ventadorn, servo d’amore di E leonora d’Aqu ita nia, il quale segue invece la seconda. Entra mbi sono att ivi fra il 1150 e il 1180. I due presenta no tesi opposte anche sull’a mor e cort ese: Ra imbaut (Non chant per auzel ni per f lor) lo esalt a ne i suo i aspett i ant imatr imo nia li giungendo a proporre l’inganno ne i confro nt i del marito e a prendere co me modello Tr istano. Ber nat (Quan vei la lauzeta mover) lo respinge, arrivando a r ifiutare la propria condizio ne di amante, giacché l’amore gli si presenta so lo 22 co me so ffere nza e negat ivit à asso luta. Raimbaut sostiene dunque l’et ica de lla felicit à fo ndat a su un rapporto d’amore to tale, Ber nat la natura do loro sa di un amore che per definiz io ne non co nosce l’appagamento del desiderio 32. A questa polemica int erviene Chrét ien de Tro yes, altro autore important issimo per i S ic iliani, soprattutto per il Notaro Giaco mo da Lent ino ; r iporto a proposito alcuni pensier i di Di Giro lamo: «La dista nza tra la posizio ne di Raimbaut – Tr istano e quel la di Bernat è ben chiara. In un certo senso, entra mbi forz ano, in direz io ni opposte, lo spazio lir ico cortese: Raimbaut propo ne il supera ment o dell’o staco lo dell’adult erio con la finzio ne e co n l’ inganno, e comunque con la per fett a intesa tra gli amant i, e teorizza un rapporto segreto ma sott o ogni aspetto felice; Bernat, a l contrar io, forza lo spazio cortese perché r inuncia alla condizio ne d i amante, inte ndendo l’amore co me una pro iez io ne narcis ist ica de l sogget to, e qu indi co me negat ivit à asso luta (d i qu i il co ro llar io della r inuncia alla poesia, che per lui si giust ifica so lo se è l’a mor e che la isp ira). L’ int er vento dall’est er no , e da una pro spet t iva r igoro samente equidista nte dai due, di Chrét ien de Tro yes appar e senza dubbio finalizzato al r ista bilimento dell’ort odossia» 33 L’orto dossia consiste nel r ibadire la fedeltà asso luta ad Amor e qualunque sia la r ico mpe nsa, perché amore è frutto di liber a scelt a e di cuore puro e vo lo nt à ferrea. La po le mica ant it r istanian a che att raversa per int ero l’opera narrat iva del grande ro manz iere med ieva le si lega così all’et ica tro bador ica dell’amore parados sale. Rinuncia alla so luzio ne di Marcabru di un coniuga le amore cort ese, che nel co ntesto trobador ico resta peraltr o iso lata, ma che è difesa, 32 33 A. Varvar o, Lett era ture r oman ze del Medioevo, Bol ogn a, 1985, p. 155-6. C. Di Girolamo (a cura di), La let teratura romanza mediev ale , Bol ogn a, 1994, p. 94. 23 magari in for ma proble mat ica, proprio da Chrét ien ro manziere 34. Nella orto dossia propugnata da Chrét ien non è presente so lo un fattore etico ma, cosa più importante per il discorso che verrà fatto, anche l’inventi o, ast razio ne auto rizzando lingu ist ica che quel i S icilian i processo di porteranno progressiva alle estre me conseguenze. Anche quest o rappresent a uno dei t ratti differenziali fra poesia tro bador ica e siciliana 35. III. La S cuo la poetica siciliana nel XIII seco lo gioca un ruo lo essenz iale nella for t una dei t ro vatori, nella diffusio ne in suo lo ita lico dei loro lavor i, vuoi per i calchi linguist ici e metr ici vuoi per i casi ben documentabili di traduzio ne dirett a. Tuttavia, ne l caso della letteratura ita liana e della nascita di una lir ica d’arte nostrana, la co nt inuit à insit a nella prass i poe t ica è co munque meno import ante della consapevo lezza di una rott ura. Sta in questo la vera differenza fr a poesia tro bador ica e siciliana. A Giaco mo da Lent ino e agli altr i r imatori feder iciani interessava so lta nto promuo vere poesia più che present are un’esper ienza amoro sa (e il suo insegnamento mora le, sulla scort a di Andrea Cappellano): «no n il „serviz io d’amore” è al centro della poesia dei S icilian i, e neppure, (…) la donna, ma l’amore stesso in quanto realtà ontolog ica 36 o 34 C. Di Girolam o, La fondazione trobadorica, in : Manuale di lette ratura itali ana. Storia per generi e problemi, a cur a di F. Br ioschi e C. Di Girola mo, Vol. I, Dalle Origini alla fine del Quattrocento, Torin o, 1994, p. 295. 35 Non app are casual e se an che al la cor te di Feder ico II la fond az ion e di un a li rica d’ar te pr ovenz al eggiant e si accompa gn a a un a riflessi on e meta li n guistica sulla n at ur a ess enz ialm ente gr atuita e pr ivata di Amore, così com e è dich ia r ata da l caposcu ola Gia com o da Len tin o per esemp io n ella can zon e Amor non vole ch’io clami . 36 Seppur con i dovuti li mi ti , visto che l’ele vaz ion e dell’Am or e a pr incipi o mora le è un mer ito tut to guin iz zell ian o e stil novistic o. Giac om o da Len tin o 24 feno meno naturale, la cui descr iz io ne co incide con l’att o st esso de l poet are (…)» 37. Essi avevano so lta nto bisog no degli stru ment i adatt i: part irono dunque da lla lingua d’Oc prendendo ne la t ecnica co mpo sit iva, le r ime, il less ico e g li schemi, v isto che il pro ve nza le aveva rego le r igide, mentre da lla lingua d’Oïl furo no desunte le t emat iche legat e all’ ideo lo g ia d ’Amor e. Tutt avia i «prest it i» so no r igorosamente selezio nat i allo scopo di creare un sist ema, un cano ne poetico or iginale. Gli stessi poet i occit anici ai quali i Sicilia n i att ingono so no in numero esiguo ed appartengo no alla fine de l Millecento e i primi de l Duecento , segno questo che i no str i primi poeti avevano bene in mente quale discorso seguire all’ interno della f in’amor. Co me vedremo di seguito , il preferito appare Fo lquet de Marselha (att ivo fr a 1179 e 1195), anch’egli dilett ante co lto e d i origine borg hese, co me i funz io nar i della Magna Cur ia, ed int eressat o a discett azio ni filo so fico – scient ifiche su lla nascit a d i Amor e in cui sono present i similitudini, ant itesi e paradossi al posto dei tro pi 38. Lo scriver e in una lingua che non fosse il tradizio nale lat ino 39 rappresentava una sfida, e il nuo vo, cioè la scritt ura, doveva allor a avere il co mpito di creare il bello, il bonum f actum. Un po eta co me Giaco mo da Lent ino era consapevo le de ll’estre ma stereot ipia delle temat iche co nsent ite e r iso lse il divario fr a co ntenuto ed tut ta via si avvicin a al lo Stiln ovo n el moment o in cui insi ste sull a vision er ivela zi on e e sulla immagine come fon te di piacer e. 37 F. Br ugn olo, La Scuola, op. cit., p. 327. 38 Ibid., p. 318. 39 Non si dim entichi che la ma ggior part e della produzi on e curi al e era in la tin o: i dictamina di Pier della Vigna, la succitata commedia comico n arr ativa di Ric car do da Ven osa, l’epop ea sv eva De rebus Si culis carmen di Pietro da Eboli mostr an o come il la tin o foss e an cor a capa ce di r icch e possi bil it à espr essive e di affr on ta r e tut ti i temi pr opr io quan do n asce la poesia sicili an a. Pr oba bil men te n on è per cen sur a ma per la sua an cor a scar sa espr essi vit à s e vien e affidat o al volga r e il tema amor oso. 25 espressio ne a favore della seconda co n un uso quasi os sessivo d i paragoni, r ipet izio ni, accumuli e sino nimi fino a celare il messaggio del co ntenuto poetico: lo nta no dagli estre mi di certa prima poesia occitan ica ma tende nte sit uazio ni co me la così diffico lt à verso della l’astrazio ne. Ne der ivano manifestazio ne verbale, l’ incertezza de lla paro la o meglio, il t imore della paro la assoc iat a alla t irannia di Amore (che tro viamo nel Notaro in Un[o] desio d’amore sovente). Ci trovia mo davant i ad un tema to pico in tutta la Magna Cur ia, forse la dichiarazio ne di fr agilità di una lir ica in una nuo va lingu a vo lgare 40. È innegab ile che il divorz io fra poesia e musica sancito da i S icilian i ci prospett a una prassi e una poetica ben diverse da quelle che reggo no la lir ica d’arte provenzale fondate sulla paro la cant ata e mus icata. Ne lla Mag na Cur ia di Federico II la dott rina cort ese s i vede r idott a a fatto temat ico. Nel nuovo contesto po lit ico – culturale in cui l’ele mento direttivo è rappresentato dal pot ere regio, le tensio ni di classe che sono alla base della fin’amor e che ne garant iscono la co llocazio ne sociale, diventano asso lutament e irr ilevant i; in ogni caso, no n vi è posto per il «paradosso amoro so» e per il programma educat ivo che esso co mport a, o, meg lio, que l paradosso e quel programma r est ano sullo sfo ndo co me ele ment i inatt ivi, iso lat i sulla cart a a livello di fatt i linguist ici accet t ati in blo cco insie me al modello. In questo contesto risult a di estre mo int eresse r iport are in ballo il fatt ore etico insit o ne lle opere d i Chrét ien; per una lir ica d’arte ita liana di tipo mora le o po lit ico s i dovrà att ender e una nuo va t ran slatio, questa vo lt a da lla Magna Curia ai co muni to scani, dove il provenzalis mo di r ito rno d i Guitt one d’Ar ezzo (1225 – 1293) tro verà alimento nelle infuocate contese di parte 41. Di qui l’emarginazio ne della metafora feudale, di cui sopravvive il r icordo nell’equiparazio ne dell’amata al senhor. 40 Si vedano le pp. di questa tesi. 41 F. Fabio, I rimatori della Scuola siciliana, Napoli, 1968, p. 60. 26 Tale operazio ne è registra bile sempre nei versi di Giaco mo da Lent ino, il vero organizzatore del mo vimento poetico, il cui amp io canzo niere possiede meglio degli altr i un’amp ia gamma di registr i su cu i r iesce a muoversi, da quello sublime e potente della canzone, co me in Madonna, dir vo voglio o in Troppo son d imorato, a quello veloce della canzonett a. Dal ge nere dialog ico al discordo. Alla var ietà dei regist r i si acco mpag na quella degli st ili, da que llo aspro e difficile, gio cat o su rime int erne e bist icci di paro le, a quello agile e lineare. I co mpon iment i di G iacomo sono una «palestra » per sper iment are t emi, concett i e st ili da r ielaborare fino a sviluppare qualcosa di nuovo. L’int era t opica cort ese è amminist rata con estre ma eleganza, a part ire da quella ca nzo ne, la succitat a Madonna, dir vo voglio, che par zialmente traduzione pedissequa di A vos, midonz, vuoill ret rair’en cantan di Fo lquet, si r ivela tuttavia u n esercizio di r iduzio ne alla r icer ca di brevitas nella sinta ssi, u n eserc izio di reinvenzio ne della strutt ura metr ica 42 e un modo di presentare il racco nt o cortese agile ed es senz iale. Soprattutto nella pr ima stanza: Madonna, dir vo vog lio como l’amor m’à priso, inve r’lo gra nde o rgo glio che vo i bella mo strate, e no m’ait a. Oi lasso, lo meo core, che ‘n ta nte pene è miso che vive quando more per bene amare, e tenerselo a vita. Dunque mor ’e viv’eo ? No, ma lo core meo 42 Il Notar o r imodella il testo fon te, composto esclusivament e da decasilla bi, in un diver so s chema metri co di sett ena ri ed endecasill abi. 27 more più spesso e fort e che no faria di mort e – naturale, per vo i, donna, cui ama, più che se st esso br ama, e vo i pur lo sdegnate: amor, vostra mistate – vidi male. Eccoc i immediatamente di fronte all’inte nto della canzone: il poeta dichiara la sua soggez io ne alla da ma, perché essa è super ba e l’amor e non può porvi r imedio. Evita ndo il patet ismo il poeta s i sfoga in un lamento che lascia trasparire una contraddizio ne: il cuore si sente vivo nel mo mento in cui la pass io ne lo to rmenta e considera que lla la sua vera vit a. Dobbiamo t uttavia sot tolineare che qu i Giaco mo non par la per la perso na inter a ma so lta nto per il cuore (nella do manda « Dunque mor’ e viv’eo ?» il poeta allo nt ana quest’a mbiguit à) distrutt o da un do lore più fort e della mort e vera e propria. La sta nza si chiude con l’ innamo rato che si sente vitt ima d i un ing a nno . All’o pposto si tro va l’esordio di un’altra belliss ima canzo ne sempre isp irata da Fo lquet : Meravig liosa- mente un amor mi distr inge e mi t ene ad ogn’ora. Co m’o m che pone mente in altro exemplo pinge la simile p int ura, così, bella, facc’eo, che ‘nfra lo core meo porto la tua figura. 28 Un amore felice che rende o maggio alla potenza sogg iogant e di amore, un’immag ine simile alla ca nzo ne precedent e. Le st rade però divergo no con la più or igina le de lle similit udini lent iniane, quella de l pitt ore, o della pitt ura, presentat a in questa sede: il pitto re, guardando un diverso modello torna sempre a dipingere lo st esso soggetto; l’innamorat o al cont empo , reca con sé, nel segreto del proprio cuore ( in camera cordis), l’immag ine della donna a mata. L’analog ia co n il pitt ore rende maggior mente co mplessa l’ idea di partenza di Fo lquet, il poeta che conte mpla l’ immag ine d i madonna r iflessa nel suo cuore. Ad Amor e viene r ifer ita la possibilità de l gra nde di entrare nel picco lo ; è implic ita ovvia mente un’as similaz io ne alla donna amat a, co me sembr a indicare la miniatura del ms. N nella quale il poet a mo stra alla donna co me la grande to rre sullo sfo ndo possa r iflett ersi ne l picco lo specchio che ha in mano 43. Lo specchio metafor izzante degli occhi è co munque att ribuit o a Chr ét ien de Tro yes e sarà t ratt ato più avant i in quest a tesi. Nel Notaro non mancano not e di originale iro nia, spunt i legger i, maliz iosi e po lemic i r ispetto al r egistro cortese elevato. Si veda il sonetto Io m’aggio posto in core a Dio servire: Io m’aggio posto in core a Dio servire, co m’io pot esse gir e in paradiso, al santo loco, c’aggio aud ito dire, o’si mant ien so llazzo, gioco e riso. Ma il poeta dich iara di vo lerci andare solo a condiz io ne che con lu i sia la sua donna, «quella ch’à blonda t est a e claro viso », e 43 I versi 45-48 di Mout i fetz gran pechat Amors r ecit an o così: «(…)qua r , si be.us etz gr an s eissamen/ podetz en me caber le umen / quo.s devezi s un a grans tor s/ en un pauc mir alh» (gi acch é, sebben e si at e gran de, pur e potet e esser con ten uta facil men te in me, così com e un a gr ande t or r e si la scia ved ere in un pi ccol o sp ecch io). C fr. S. Bia n ch in i, Cielo d’Alcamo e il suo contrasto, Soveria Mann elli (Catanz aro), 1996, p. 30. 29 ciò non «perch’io pecato ci vo lesse fare», ma per pot ere conte mplare la sua bellezza e veder la in glor ia. Ancor a, nella canzone Amor non vole ch’i o clami il po eta no n fa co me g li alt r i amant i e no n vuo le chiedere mercè ( vv. 1-8 ; 1520): Amor non vo le ch’io cla mi Merze[d e] c’o nn’o mo clama, nè ch[e] io m’avant i c’ami, c’og n’o mo s’avanta c’ama: chè lo servir e c’o nn’o mo sape fare no nn- à no mo ; e no è in pregio di laudare quello che sape ciascuno: (...) [e] per zo, [ma]donna mia, a vo i no n demander ia merze[de] né pieta nza, ché tant i son li amato ri, ch’est’escita di savor i merzede per t roppa usanza. Giaco mo qui affer ma che tant i so no gli amant i che mercede ha perso il suo sapore per t ro ppo uso. Il caposcuo la dei S ic ilian i difende qu indi il suo credo sul p iano del sent imento parafrasando Raimbaut d’Aurenga ( nella te nzo ne con Giraut de Bornelh, Era. m platz, Giraut de Bo rnel h) il qua le d ifend e invece la for ma poet ica, il difficile t robar clus: «Aisso. m diat z/ si t an prezat z/ so que vas totz es co munal: car adonc t uch sera n egal» ( vv. 1 – 3) 44. 44 «Ditemi se fat e ta n ta stim a di ciò che è al la por tata di tutti: ch é in tal modo tutt i [i poeti] saranno uguali ». Cfr . G. Folena , Cult ura, op. cit., pp. 311 – 312. 30 I l Notaro meglio di tutti adopera il me tro poetico, cioè il sonett o, quale stru mento adatto per discettare sulla feno meno log ia amoro sa, mentre r icorre alle r ievocazioni o ita niche quale fo nt e privileg iata. Le tenzo ni, i dibatt it i accademic i fra i Provenzali, sono appunto in for ma di so netto e tro vano come interlocuto ri un no n meglio ident ificato abate di Tivo li ed altri poeti del gremio siciliano co me I acopo Mostacci e Pier de lla Vigna. I n una te nzone con quest i ult imi se Amore fo sse cosa t rascendent e o naturale i l Notaro taglia corto dichiarando, nel sonetto Feruto sono isva riatamente, «c’amore à deïtat e in sé inc los a;/ ed io sì dico che non è neiente (...)». Egli att ribuisce dunque ad Amore un caratt ere nat urale. Anche so nett i ano nimi qua li Non truovo chi mi dica chi sia Amore sembrano seguire le or me di que lli fr a il Notaro e Mostacci e proseguir e il discorso di quello fra il Notaro e l’abate di T ivo li inaugurando una trad izio ne di pe nsiero. Nel co mpo nimento troviamo un incipit in cui l’auto re pone una do manda presa da l dibatt ito sulla natura d’amore presente nell’En eas e po i r isponde con il Cligés. L’Anto nelli ci fa not are 45 che lo stesso Chrét ien de Tro yes nel suo Cligés si poneva in contrasto con le ideo log ie de ll’ Eneas rendendo ancora più int eressante il fatt o di co me mai i poet i S icilian i pot essero così bene avvert ire questa contraddizio ne. I vers i 2-3 ant icipa no ino ltre il dibatt ito stesso fra l’Orlandi e Cavalcant i su dove dimor i e da che cosa nasca Amore . I l De Am ore, in Ita lia meglio co nosciuto come Libro di Gualtieri (dal no me del dest inatar io del trattato), aveva diffuso in tutta Europa i principi r ivo luzio nar i di pa ssione e immoderatezza in amore venendosi a scontrare peraltro con i princ ipi religio si a cu i co mu nqu e i po et i no n a ve va no r inu nc iat o . I n I t alia la lir ic a a mo ro sa è in r it ardo r ispett o ad altr i paesi d’Europa ma subito si appropria degli insegnament i del mister ioso Cappellano nonosta nte Alberta no da Brescia de finisca pravus quel libro che coniuga tradizio ne 45 Si veda il Cap. I.6.4 di questa tesi. 31 lett erar ia lat ina e crist iana, araba e co rt ese. Giaco mo recupera proprio il passo più famoso e co ndannato di Andrea [ «Amor est passio quaedam innat a procedens ex visio ne et immo derat a cogitatio ne for mae a lter ius sexus (...)»] per for mulare una teoria seco ndo la quale l’atto del vedere la bellezza della donna pone gl i occhi in primo piano. I l nutrimento viene prodotto invece dalla r iflessio ne amoro sa ed ha sede nel cuore. La t eoria della vis io ne s i spinge in Giaco mo su territo ri sempre più co mplessi, fino ad arr ivare all’un ico esempio di obscura brevitas nella Scuo la, i l sonetto [E ]o viso – e son divi so – da lo viso co mposto sull’ iterazio ne della paro la viso, in cui r itro viamo naturalment e l’abit udine de l Not aro all’accu mulo, alla r ipet izio ne di paro le e der ivat i da esse. So lt ant o che qui l’a dnominatio, la replicacio e la deri vatio r aggiungo no il massimo grado di parossis mo tanto da dar forma all’ immoderata cogitatio da cui amor e, seco ndo il Cappe llano, si for ma. Eo viso può esser e a seco nda d i co me lo s i int erpreta il vo lto di madonna o lo sguardo del poeta in un cont inuo r ibalt amento e ambiguit à di assert i (tecnica dell’adoubl emen t). La S cuo la siciliana r appresenta un ponte fra i tro vatori e lo Stil novo (co mpresi Guido Cavalcant i e Dante) non so lo per aver for nito a quest i ult imi gli stru ment i linguist ic i ma anche alcune immag ini e te mi poet ici legat i alla feno meno log ia amoro sa. I poet i federiciani non hanno tuttavia fo ndato una ideo log ia (o un’et ica che dir si vog lia) amoro sa vera e propr ia basata sui dett ami de l De Amore di Andrea Cappellano o sul Cligés di Chrét ien de Troyes (che pur erano stati per loro testi fondamenta li), ma una psico log ia dell’amore fo ndata piutt osto sulla co noscenza e sulla verità 46. S i 46 A con fer ma di quan to affer ma to sta nn o le par ole di Federi co II n el prolog o del su o im por tan ti ssimo tra tt ato di fal coner ia De arti venandi cum avibus: « In t en t i o ver o n ost r a est m an ifest a r e i n h oc l i br o ( …) ea q ua e su n t, si cu t sun t » (La n ostr a int en zi on e è di il lustr are in questo li br o (…) le cose che s on o, così come s on o). Cfr. E. Hor st, Federico, op. cit., p. 166. 32 parte dalla teoria della «nascit a di amor e dal piacere» confermat a dalla prima delle canzoni amoro se di Gu ittone, Se da voi, donna gente ( «ché da cosa piacente/ savemo de vertà ch’è nato amore», vv. 5 – 6) e infine r ielaborata con maggior spessore dagli St ilno vist i. La dott rina appart iene naturalment e a Gia co mo da Lent ino espost a prima nel suo sonetto Solicitando un poco meo savere [ «Ben tro va l’o m u na a mo ro sit ate/ la quale par che nasca d i p iacere (.. .), vv. 9 10] e successiva ment e in Amo r è un[o] desio: Amor è un[o] disïo che ven da core per abondanza di gran piacimento ; e li occhi in prima genera[n] l’amore e lo core li dà nutricamento . (vv. 1 – 4) ma si co mplica e mod ifica, ancora all’ interno dei Sicilian i, in un adespoto, Con gran disio pensando lunga mente: E par che da verace piaciment o lo fino amor discenda guardando quel ch’al cor torni piacente ; ché po i ch’o m guarda cosa di ta lento , al cor pensier i abonda, e cresce con dis io immante nente ; e poi dirittamente fior isce e mena frutto 47 (vv. 12 – 19) La stud io sa Spa mpinato Berett a fa r isalire questa second a int erpret azio ne ad Aimeric de P eguilhan (attivo nel 1190 – 1221), Ancmais de ioy ni de chan ( «sapchan qu ’Amor s es fina bevo lensa/ que na ys del cor e dels huelhs, sens dupt ar,/ que l’uelh la fan flor ir 47 B. Pan vini , Rime, op. cit., pp. 580 – 1. 33 e.l cor granar», vv. 42 – 44) 48, con un r iscontro che attesta non so ltanto una gener ica co nfor mità di dottrine, ma una dirett a relazio ne con il modello trobador ico, relazio ne che caratt erizza partico larment e la produzio ne dei “S icu lo – toscani”, segnat a da un gusto assai più letterariamente allusivo e “to pico”, r iferibile a lett ure ed esperienze prove nza li part ico lari 49. Aimer ic godett e di larga r iso nanza in It alia, for se in seguit o al suo lungo soggior no presso i signor i di Mo nferrato , gli Este, i Malaspina 50 ed infine presso la cort e di Feder ico II, per il quale scriver à la celebre Metgia (1220), co m’è dimo strato dalle numero se citazio ni ed imit azio ni, sia tra i “Federiciani” che o ltre. Le citaz io ni di Aimeric nei poeti federician i, tuttavia, sempre seco ndo la studiosa, r ipre ndono temi, immagini o similitud ini (una ha 51 part ico lare succes so: quella della ca lamit a ) che no n pert engo no mai agli aspetti dottrinar i della ge nesi e della feno meno log ia d’amore. Solo i S iculo – to scani a questo punto der iveranno d a l trovatore i te mi r iferentesi al dibatt it o trobadorico sull’amore cort ese ed i suo i effett i, con un amplia ment o t emat ico anche ne i confro nt i di una delle fo nt i predilette dei poeti svevi. In un altro testo di area siciliana, Vostr’orgogliosa ciera, attribuito da due codici al Notaio Arrigo Testa da Lent ino ma d i 48 M. Spampin ato Beretta , Tra „Sicili ani” e „Siculo – toscani”, in : AA. VV., dai Sicili ani ai Siculo – toscani. Lingua, metro e stile per la definizione del canone (a cura di R. Coluccia e R. Gualdo), Galatina , 1999, p. 115. 49 50 Ibid., p. 116. C. Bol ogn a, La letteratura dell ’Italia settentrionale nel Duece nto , in: LIE, ( di r e t ta d a A . A sor R osa ) , S t o ri a e G e o gr af i a , V ol . I , L ’e t à m e d i e v a l e, T or in o, 1987, pp. 127 - 130. 51 C fr . i l s on et t o Pe rò c ’ A mo re n o s i p ò v e d e re d i Gi a com o d a L en t in o ( v v. 9 – 14): «Per la vert ute de la cala mita / como lo ferr o at [i]r a n o si vede,/ ma sì lo ti ra signorevolmen te;/ e questa cosa a creder e mi ’n vit a/ c’Amor e sia, e dàm i gr ande fede/ che tut or sia creduto fr a la gente». 34 so lito messo fra le false att ribuz io ni del Notaro, compare pure il dua lismo occhi – cuore, ma si dice che: «so l la vist a lo prende/ ed in cor lo not risce», assegnando al cuore una parte più passiva d i custo dia e nutr imento dell’amore, nel r is petto di quanto codificato dal t rattato di Andrea Cappe llano nel so lito passo «Amor est passio quaeda m innata procedens ex visio ne» e da Giaco mo stesso, il quale nell’elaborazio ne della sua teo ria differisce da quanto scrive Aimer ic proprio into rno al proble ma de lla cooperazione degli occh i e del cuore. In un sonetto adespoto di ambito extra federiciano, S’ha tort o voglio gli o cchi giudicare, ne i versi 2 – 6 il poet a affer ma, invece, che gli oc chi partecipa no dell’amor e so lo nella misura in cui lo concede il cuore: inver di loro nonn-a io dritt a fede, ché ‘l core è quello che mi face amare; e provo al core ch’egli è que’che vede, e gli occhi accio neiente hanno che fare, se non quanto lo core lor concede 52 Un poeta “al limite ” fra «S ic iliani» e «S icu lo-t oscani», Bondie Dietaiut i, con ambiz io ni più drammat iche e psico log iche, pone diret t ament e in co nt rast o occhi e cuore in un suo sonet t o, Gl’occhi col cor e stanno in tenzamento ai vv. 1 - 6: Gl’occhi col core sta nno in tenzamento e dicono conquisicanno il core, e lo core risponde con to rmento : non ci aio pecca, nant i fue l’Amore; e vo i vedeste cosa a piacimento , onde no’ siamo in pena ed in do lore 52 P.Gr esti, Sonetti anonimi del Vaticano Lat. 3793, Fir enz e, 1992, p. 112. 35 Amor e inter viene e sentenzia: ma’l core, chè seg nor dela mag iune, costringea gli occhi a veder lo peccato e co lpa cui li piace e pon cagiune 53 Inso mma, fuor i dall’a mbito strettamente “sic iliano” , dominato dal mod ello lent iniano, il mot ivo de l percorso occhi – cuore si co mplica ed assume po lemica ment e co nfigurazio ni nuo ve o r iadatt ate, sino a Cavalcant i, il quale dispiegherà sulla natura e feno meno logia d’a more il maggiore e coerente impegno di t eorizzazio ne, creando int orno agli occhi e al cuore un co mplesso réseau lessicale, che va dai ben not i spirit i alla mente, all’anima, ecc. co n un arricchimento della dist inzio ne inter no – esterno finor a connessa esclus ivament e al rapport o “occhi cuore”. I l mio lavoro , lungi da ll’essere esaust ivo in una proble mat ica letterar ia, la poesia dei Siciliani, appar ente mente claustro fob ica e scontata eppure r icca di punt i int errogat ivi, ha vo luto mett ere davant i agli occhi del lettore alcuni sp unt i di r iflessio ne da me r itenut i degn i di sviluppo. Per esempio non sappiamo ancora nulla di ciò che è accaduto prima che il Not aro scrivesse i suo i versi; le ipot esi degli stud io si che c i segnalano la presenza di poesie in vo lgare in Ita lia sett entr ionale prima che i S icilian i co minc iassero la loro attività r imesco la sicuramente le carte della filo log ia. Anche par lando del “dopo-s icilian ismo” conservia mo sempre i nostr i dubbi: so lta nto se un poeta è posteriore ai S ic iliani e non mo stra tracce di guitt onismo né di st ilno vis mo allora lo et ichettiamo sicuramente come siculo – to scano o toscano – siculo. E po i viene l’ int erpr etazio ne de i t est i, co me il sign ificato preceda la poesia, 53 Cfr . B. Pan vini , op. cit., pp. 296 – 297. 36 esista ed att enda di essere port ato alla luc e. La sto ria de lla poesia è d’altro nde la sto ria della costruzione di immag ini attraverso cui il vero viene custo dito ed esposto alla possibilit à de llo svela mento . La scr it t ura in prat ica crea oggett i nuovi, la singo la paro la amplifica i l significato originario ed aumenta la propria possibilit à di imp iego, facendo aumentare a sua vo lta la co mplessità semant ica. Per concludere po i aggiungo quanto la po esia ant ica d’amor e sia per vasa anche e soprat t utto da immagini t ragiche, sia poes ia dell’assenza, dell’ irraz io nalit à espressa in lod i e repro baz io ni, sulla realtà psico log ica dell’ambivalenza e su mo lt i altr i nod i affermando, sulla scorta di un pensiero di Denis De Rougemo nt, che «l’amore felice no n ha sto ria»! 54. 54 D. De Roug emon t, op. cit., p. 59.