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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di laurea in tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro Presidente: Prof. Bruno Onofrio Saia TESI DI LAUREA “PRESENZA NEL TERRITORIO DELL’ALTO CITTADELLESE DI CROMO TRIVALENTE, ESAVALENTE E TOTALE, NICKEL E PIOMBO NELLE FONTI DI APPROVVIGIONAMENTO DI ACQUA AD USO UMANO. PRIME INDICAZIONI SU POSSIBILI MANIFESTAZIONI DI EFFETTI DANNOSI PER LA SALUTE DELLA POPOLAZIONE ESPOSTA”. PRESENCE OF TRIVALENT, HEXAVALENT AND TOTAL CHROME, NIKEL AND LEAD IN THE SOUCES OF WATER SUPPLY FOR HUMAN EMPLOYMENT IN THE TERRITORY OF NORTHERN CITTADELLA. FIRST INDICATIONS OF THE EVENTUAL MANIFESTATION IN THE EXPOSED POPULATION OF BAD HEALTH EFFECTS. Relatore: Ch.mo Prof. Massimo Riolfatti Laureando: Omero Negrisolo Matricola: 570363 TPA Anno Accademico 2006/2007 1 SOMMARIO ACRONIMI e DEFINIZIONI…………………………………………………….7 INTRODUZIONE…………………………………………………………………13 I. LO SCENARIO ESPOSITIVO DELL’INQUINAMENTO DA CROMO VI, NICKEL e PIOMBO OGGETTO DELLA PRESENTE TESI……………………………………..........................................16 1. DATI GENERALI……………………………………………….16 A. L’AREA INTERESSATA DAL FATTO………………….16 A.1 Inquadramento geografico e geologico………16 A.2 Idrogeologia……………………………………..……17 A.3 Il territorio…………………………..………...…….18 B. LA FONTE INQUINANTE…………………….…..……….21 2. LE FASI DELL’ACCERTAMENTO DELLA SORGENTE DELL’INQUINAMENTO DELLA FALDA ACQUIFERA DEL CONOIDE DEL BRENTA……………………………...22 3. L’AZIENDA ED IL SUO INSEDIAMENTO………………..28 4. LA DIMENSIONE DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE………………………………….………………..34 A) Suolo……………………………………….…..…………….34 B) Acque della falda freatica……………….…………….35 C) Nota sulla mobilità di cromo VI, cromo III e nickel nel terreno e nelle acque…………………………………..36 D) Modalità d’inquinamento del terreno e della falda entro l’area dello stabilimento………………..…………39 5. POPOLAZIONE ESPOSTA…………………………………..47 2 II. ACQUISIZIONI SULLA CANCEROGENESI UTILI AI FINI DELLA PRESENTE RELAZIONE………………………………………………..48 1. La dimensione epidemiologica dei tumori………..48 2. Gli agenti cancerogeni e le situazioni in cui possono essere presenti………………………………..48 3. Le caratteristiche dell’azione degli agenti cancerogeni…………………………………………………49 III. I POTENZIALI RISCHI PER LA SALUTE DELL’ESPOSIZIONE PER VIA CUTANEA, INALATORIA E ORALE A CROMO VI, NICKEL E PIOMBO……………………………………………………...51 1. CROMO……………………………………………………………………51 Presenza in natura, produzione e uso……………………………….51 Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale………………………………………………………………………52 Tossicocinetica……………………………………………………………..53 A) Via cutanea………………………………………………….……….53 B) Via inalatoria…………………………………………………..…..54 C) Via ingestiva…………………………………………………….…..55 Tossicità acuta e cronica……………………………………………..…56 A) Via cutanea………………………………………………………...56 B) Via inalatoria……………………………………………………… 57 C) Via ingestiva……………………………………………….….…… 58 Cancerogenicità…………………………………………………….……..58 A) Via cutanea…………………………………………………………58 B) Via inalatoria………………………………………………………58 C) Via ingestiva………………………………………………………..60 D) Altri dati rilevanti per la cancerogenesi………………….63 a) Effetti riproduttivi………….……………………….64 3 b) Genotossicità………………………………………….64 E) Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica…………………………..………………………………….64 2. NICKEL…………………………………………………………………….69 Presenza in natura, produzione e uso……………………………….69 Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale………………………………………………………………………70 Tossicocinetica…………………………………………………….……….71 A) Via cutanea………………………………………………….………71 B) Via inalatoria………………………………………………..……..71 C) Via ingestiva…………………………………………………..…….72 Tossicità acuta e cronica………………………………………….…….73 A) Via cutanea………………………………………………….………73 B) Via inalatoria……………………………………………….………74 C) Via ingestiva………………………………………………….……..75 Cancerogenicità…………………………………………………………….77 A) Via Cutanea………………………………………………..……....77 B) Via inalatoria……………………………….……………..……….77 C) Via Ingestiva………………………………….……………..………78 D) Altri dati rilevanti per la ancerogenesi……………..…….79 a) Effetti riproduttivi…………………………………….….79 b) Genotossicità…………………………………………….….79 E) Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica…………………………..………………………………….79 4 3. PIOMBO…………………………………………………………………….81 Presenza in natura, produzione e uso……………………………….81 Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale………………………………………………………………………81 Tossicocinetica…………………………………………………….….…. 83 A) Via cutanea……………………………..…………….…….83 B) Via inalatoria………………………………………….…..84 C) Via ingestiva…………………………………………..…...84 Tossicità acuta e cronica……………………………….………….......86 Cancerogenicità………………………………………………………….…88 A) Altri dati rilevanti per la cancerogenesi………....90 a) Effetti riproduttivi……………………….….….....90 b) Genotossicità……………………………….………..91 B) Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica……………………………………………………….92 IV. CENNI SULLA NORMATIVA RIGUARDO AI LIVELLI DI CROMO VI, NICKEL E PIOMBO AMMESSI NELLE ACQUE E NEL SUOLO………………………………………………………………………….....94 1. Acque destinate ad uso umano…………………….……..94 2. Acque destinate allo scarico in pubblica fognatura o al convogliamento ad impianti di depurazione…………………………………………………….95 3. Suolo, sottosuolo e acque sotterranee…………………95 V. VALUTAZIONI CONCLUSIVE SUI POTENZIALI RISCHI PER LA SALUTE DELL’ESPOSIZIONE PER VIA CUTANEA, INALATORIA E ORALE A CROMO VI, NICKEL E PIOMBO…………………….……..97 5 BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………100 APPENDICE ……………………………………………………………………125 Tabella 1. Elenco delle violazioni più rilevanti dei limiti di legge per le acque di scarico dell’azienda……………………………………………. .. 126 Tabella 2. Concentrazioni di cromo VI, nickel e piombo nei campioni di terreno prelevati a diverse profondità nell’area dello stabilimento della galvanica “Alfa”………………………………………………………….129 Tabella 3. Concentrazione di cromo VI, nickel e piombo nei fanghi campionati nell’area dello stabilimento della Galvanica “Alfa”………130 Tabella 4. Limiti attualmente in vigore per le concentrazioni di cromo, nickel e piombo nelle acque e nel suolo come stabilito dal Decreto Legislativo 152/’06.........................................................................131 Allegato 1. Mappa in scala 1 : 25.000 del territorio coinvolto con isofreatiche e situazione al 4 aprile 2002. Allegato 2. Mappe comparate con monitoraggio qualitativo sulla presenza di cromo esavalente nelle acque sotterranee nei comuni di Tezze sul Brenta, Cittadella e Fontaniva: Gennaio – Luglio 2003. Allegato 3. Mappa in scala 1 : 17.500 del territorio coinvolto con concentrazioni di cromo esavalente nella falda freatica, riscontrate alla fine del mese di Maggio 2004. Allegato 4. Mappe comparate con monitoraggio qualitativo sulla presenza di cromo esavalente nelle acque sotterranee nei comuni di Tezze sul Brenta, Cittadella e Fontaniva: Maggio 2004 – Maggio 2006. 6 ACRONIMI e DEFINIZIONI ABS: American Biogenics Corporation ACGIH: American Conference of Governamental Industrial Hygienists. ADI: Accettable Daily Intake (detto anche TDI: Tolerable Daily Intake). Dose Giornaliera Accettabile per l’organismo umano. Dose che può essere ingerita, inalata, o venire a contatto da varie fonti ogni giorno per tutto l’arco della vita senza alcun rischio apprezzabile per la salute. Dà la stima dell’esposizione per tutta la vita ad un agente tossico che si presume non abbia alcun effetto avverso alla salute. (Per il cromo VI la quota di dose accettabile per il solo consumo d’acqua - valore “soglia” tossicologico per gli alimenti - è stato stabilito dalla World Health Organization (1990) EHC no. 104 pari a 210 µg/die). ALARA: As Low As Reasonably Achievable. ottenibile. Il più basso ragionevolmente ALLELE: una delle due o più forme alternative di un gene; gli alleli occupano posizioni corrispondenti (loci genici) su cromosomi omologhi e vengono separati l’uno dall’altro durante la meiosi. ATSDR: Agency for Toxic Substances and Disease Registry, Department of Health and Human Services, Atlanta, GA, USA. BEI: Biological Effect Index. Indice Biologico di Esposizione. BMD: Benchmark Dose. Limite di confidenza inferiore di una dose corrispondente ad uno specifico livello di rischio. Dose di riferimento che corrisponde ad uno specifico livello di incremento della risposta. (Trevisan A.). Cal EPA: Distaccamento EPA (Environmental Protection Agency) della California. CANCEROGENO. Nome generico di tutti gli agenti che provocano il cancro, per esempio il fumo di tabacco, certi composti chimici industriali, e le radiazioni ionizzanti (come i raggi X e i raggi ultravioletti). CE: Comunità Europea. CEE: Comunità Economica Europea. 7 CONSUMO IDRICO GIORNALIERO MINIMO DI UN INDIVIDUO ADULTO TIPO CHE PESA 70 kg: 2 litri d’acqua (U.S. EPA). CONSUMO IDRICO GIORNALIERO MEDIO DI UN INDIVIDUO ADULTO TIPO CHE PESA 70 kg: 3 litri d’acqua (Direttiva 98/83 EC del 03/11/1998). DGA: Dose Giornaliera Accettata. DGT: Dose Giornaliera Tollerata. DHHS: Department of Health and Human Services (U.S.A.). Dose: concentrazione per il tempo di esposizione. EC: European Community. ECC: European Economic Community. ED: Effective Dose. Dose necessaria per la risposta terapeutica richiesta. EI: Effect Index. Dose richiesta per una risposta nel 50% della popolazione (o per causare il 50% di una risposta massimale). EPA: Environmental Protection Agency (U.S.A.). Agenzia per la Protezione dall’Inquinamento. EPIGENETICO: sostanza o composto non reattivo con il DNA ma in grado di provocare altri effetti biologici (es.: promotori, citotossici, composti che inducono squilibri ormonali, immunosoppressori, composti allo stato solido). FDA: Food and Drug Administration (U.S.A.). GENE: unità ereditaria presente nel cromosoma; sequenza di nucleotidi nella molecola di DNA che svolge una funzione specifica, come codificare una molecola di RNA o un polipeptide. GENOMA: insieme dei geni presente in un corredo cromosomico completo di una cellula 8 GENOTOSSICO: sostanza o composto capace di interagire con il DNA (es.: sostanze che non necessitano di attivazione metabolica, sostanze che devono essere attivate, composti inorganici, compresi i metalli). Hanno un centro elettrofilo capace di reagire con i siti nucleofili del DNA producendo distorsioni della molecola che si concretizzano nello spaiamento di basi di sintesi del DNA stesso, rottura della catena, perdita di basi ed errori nella riparazione. I processi cellulari, in ultima analisi, possono portare alla fissazione di questi errori genetici che conducono sia alla citotossicità che alla mutagenesi e cancerogenesi. La creazione di DNA anormale permanente rappresenta una mutazione che è indicata essere alla base dell’evoluzione neoplastica delle cellule. HI: Hazard Index. IARC: International Agency for Research on Cancer. Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro della Organizzazione Mondiale della Sanità. LD50: dose che porta a morte il 50% degli animali trattati nelle 24 ore seguenti il trattamento. LOAEL: Low Observed Adverse Effect Level. LOAEL: the lowest exposure level at which there are biologically significant increases in frequency or severity of adverse effects between the exposed population and its appropriate control group. (EPA). MAC: Maximun Allowable Concentrations. Concentrazione Massima Ammissibile (Accettabile). (1940 U.S.A., poi divenuta TLV). MAK: Maximale Arbeitsplatz Conzentrationes. (1968, Germania). MCL: Maximun Contaminant Level (US EPA). The highest level of a contaminant that allowed in drinking water. MCLs are set as close to MCLGs as feasible using the best available technology and taking cost into consideration. MCLs are enforceable standards. (Internet U.S. – EPA, aggiornato al 09/06/2006). MCLG: Maximum Contaminant Level Goal (US EPA). The level of a contaminant in drinking water below which there is no known or expected risk to health. MCLGs allow for a margin and are non-enforceable public health goals. (Internet U.S. – EPA, aggiornato al 09/06/2006). 9 MRL: Minimal Risk Level. Limite minimo di rischio di effetti dannosi per esposizione dell’organismo ad una sostanza (Department of Health and Human Service – Agency for Toxic Substances and Desease Registri: DHHS-ATSDR). MTD: Massima Dose Tollerata. MUTAGENO, agente: agente che causa un aumento nel numero dei mutanti di una popolazione. Gli agenti mutageni agiscono sia provocando variazioni nel DNA dei geni, e quindi alterando il codice genetico, sia danneggiando i cromosomi. E’ accertato che vari composti chimici (ad es. la colchicina) e varie radiazioni (ad es. i raggi X) sono agenti mutageni. MUTAZIONE: alterazione di un gene da una forma allelica ad un’altra; cambiamento ereditario nella sequenza del DNA di un cromosoma. NAS: National Academy of Sciences (U.S.A.). NIES: National Institute of Environmental Science. NIOSH: National Institute for Occupational Health and Safety. NOAEL: No Observed Adverse Effect Level. Livello di esposizione senza alcun effetto avverso osservabile. (mg/kg/die) (µg/kg/die). Livello al quale non viene osservato nessun effetto negativo: il massimo livello di esposizione al quale non ci sono aumenti biologicamente significativi nella frequenza o nella gravità di effetti negativi di una coorte esposta rispetto al suo appropriato termine di controllo; alcuni effetti possono essere prodotti a questo livello, ma non sono considerati negativi o precursori di effetti negativi (EPA). NOAEL: the highest exposure level at which there are no biologically significant increases in the frequency or severity of adverse effect between the exposed population and ist appropriate control; some effects may be produced at this level, but they are not considered adverse or precursors of adverse effects. (EPA). NOEL: No Observed Effect Level. Livello di esposizione senza alcun effetto osservabile. Livello al quale non viene osservato nessun effetto: un livello di esposizione al quale non ci sono aumenti statisticamente o biologicamente significativi nella frequenza o nella gravità di effetti negativi di una coorte esposta rispetto al suo appropriato termine di controllo. NOEL: an exposure level at which there are not statistically or biologically significant increases in the frequency or severy of any effect between the exposed population and its appropriate control. (EPA). 10 NTP: National Toxicology Program. OEHHA: Office of Environmental Health Hazards Assessment dell’EPA. OSHA: Occupational Safety and Health Administration. PEL: Permissible Exposure Level. Livello di Esposizione Permessa. Stabilito dal NIOSH, dall’OSHA e dall’ACGIH (µg/kg/die) (µg/m3). PERICOLO: proprietà posseduta da una determinata entità capace di causare danni per la salute e/o la sicurezza. PRINCIPIO di PRECAUZIONE: Quando ci si propone di introdurre nuove sostanze o nuove tecnologie nell’uso quotidiano, bisogna partire dalla presunzione che esse possano avere un effetto nocivo sull’uomo. Perciò, prima di commercializzarla e utilizzarle su larga scala, bisogna sottoporle ad un’analisi preventiva dei danni e dei benefici che possono procurare alla salute dell’uomo e dell’ambiente in cui l’uomo vive. Qualsiasi sostanza deve preventivamente essere ritenuta pericolosa per l’uomo e l’ambiente, fino a prova contraria. RfD: Reference Dose (US – EPA). E’ una stima (con incertezza che può estendersi per un ordine di grandezza) dell’esposizione orale giornaliera alla popolazione umana (inclusi i sottogruppi sensibili), che è probabile essere esposti senza un apprezzabile rischio di effetti negativi durante il periodo di vita. Può essere ricavato da un NOAEL, o da un LOAEL, o da una dose di benchmark, mediante (l’uso di) fattori di incertezza generalmente applicati per riflettere le limitazioni dei dati utilizzati. E’ generalmente utilizzato dall’EPA nelle valutazioni di salute non legate al cancro. E il valore limite di dose alla quale non sono prevedibili effetti avversi nell’uomo. Viene espresso in mg/kgpc/die o in μg/kgpc/die. (Kgpc: kilogrammi di peso corporeo). Per il cromo VI (EPA): nel 1996 = 5 µg/kgpc/die; nel 1998 = 3 µg/kgpc/die. Per il nickel (Hinsen et al., 2001; Jensen et al., 2003; ATSDR, 2005a): 10 µg/kgpc/die. RfD: NOAEL/ UF [Uncertain Factors: fattori di incertezza (finterspecie, fintraspecie, f data base incompleto, …)]. Reference Dose (RfD): an estimate (with uncertainly spanning perhaps an order of magnitude) of a daily oral exposure to the human population (including sensitive subgroups) that is likely to be without an appreciable risk of deleterious effects during a lifetime. It can be derived from a NOAL, LOAEL, or benchmark dose, with uncertainty factors generally applied to reflect limitations of the data used. Generally used in EPA’s noncancer health assessments. (EPA). RfD: NOAEL/UF 11 RfD per il cromo VI. Un individuo adulto del peso medio di riferimento di 70 kg può assumere fino a 350 μg/die di cromo VI senza che gli vengano rilevati effetti avversi. RfD = concentrazione di cromo VI x consumo medio di acqua = 350 μg/die. RISCHIO: probabilità che si produca una alterazione dello stato di salute in seguito all’esposizione ad una determinata sostanza chimica, o ad una determinata entità fisica (Trevisan A.). RTI: Research Triangle Institute. TDI: Tolerable Daily Intake. Valore “soglia” tossicologico per le sostanze tossiche (sinonimo di ADI). TI: Terapeutic Index = LD50 / ED50. Rapporto tra la dose richiesta per produrre un effetto tossico e la dose necessaria per la risposta terapeutica richiesta. TOSSICODINAMICA: la sostanza tal quale o un metabolita può legarsi in modo reversibile o irreversibile con diverse strutture biologiche e da luogo a una serie di trasformazioni biologiche che si possono concludere con la comparsa di alterazioni, le quali precludono allo sviluppo, in una fase precoce, di lesioni precliniche e, in una fase più avanzata, a lesioni cliniche. UE: Unione Europea. UF: Uncertain Factor. Fattore di incertezza. US EPA: Environmental Protection Agency Federale, Stati Uniti. USGS: United States Geological Survey. VLP: Valore Limite Ponderato. (Termine proposto in Italia, nella metà anni ’70, dalla Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale). WHO: World Health Organization. Organizzazione Mondiale della Sanità. WOE: Weight of Evidence. 12 INTRODUZIONE La massiva contaminazione da cromo esavalente, cromo trivalente, nickel e piombo delle matrici suolo ed acqua sotterranea nella zona compresa nei comuni di Tezze sul Brenta (VI), Cittadella e Fontaniva (PD), che costituisce l’oggetto della presente tesi, è stata scoperta nel 2001 e la sua conoscenza si è progressivamente arricchita nel corso degli anni 2002 – 2006. Dapprima la contaminazione è stata accertata dalle autorità amministrative competenti (fra queste: Dipartimenti Provinciali ARPAV di Vicenza e Padova, coordinati dall’Osservatorio Regionale Acque – ORAC – dell’ ARPAV regionale, Comuni di Tezze sul Brenta, Cittadella, Fontaniva, Rosà, Provincia di Vicenza, Società “Brenta Servizi” S.p.A., Consorzio Pedemenontano Brenta, CNR – “Grandi Masse”, APAT, Regione del Veneto), quindi le indagini sono state coordinate dalla Procura della Repubblica e dalla Polizia Giudiziaria di Padova e sono proseguite anche dopo l’esercizio dell’azione penale, nel corso di quasi tre anni di dibattimento presso il Tribunale di Padova, sezione staccata di Cittadella. L’istruttoria è stata frequentemente arricchita con l’apporto di importanti indagini integrative ex art. 430 Codice di Procedura Penale: dati, referti analitici, documentazione rinvenuta o formatasi a posteriori, sopralluoghi, esecuzione di trincee conoscitive, carotaggi, nuovi pozzi piezometrici. Il complesso insieme delle indagini ha accertato che l’inquinamento era stato causato da uno stabilimento di Tezze sul Brenta (VI): l’insediamento “Alfa”, con attività di galvanica (di seguito indicato con “galvanica Alfa”). I risultati di queste indagini, svolte in buona parte dal sottoscritto e dal collega F.B. dell’ARPAV - sede territoriale di Bassano del Grappa - e la cui rilevanza è stata evidenziata anche dai mass-media regionali e nazionali, sono stati rielaborati e riportati in questa tesi, rapportandoli ai potenziali rischi per la salute derivanti dall’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a tali prodotti chimici. L’entità di questo fenomeno inquinante (si sono rilevati livelli di concentrazione di tali elementi nell’acqua e nel suolo spaventosamente superiori ai limiti consentiti dalla legge) e la cancerogenicità di simili prodotti in relazione all’elevato numero di persone esposte all’inquinamento, ha evidenziato la potenziale 13 criticità per la salute delle persone che vivono in quei luoghi (soprattutto insorgenze tumorali e disturbi di tipo neurologico su bambini e anziani), le cui reali conseguenze potrebbero essere valutate solo mediante un’adeguata indagine epidemiologica. Nella stesura della tesi si è quindi iniziato con la ricostruzione dello scenario espositivo dell’inquinamento da cromo esavalente, nickel e piombo, basandosi soprattutto sui documenti giudiziari formatisi grazie all’attività di polizia giudiziaria del sottoscritto e del collega F.B., nonché all’attività amministrativa attuata dalle autorità competenti; documenti presenti nel fascicolo del Pubblico Ministero di Padova e nel fascicolo del Giudice del dibattimento del Tribunale di Padova, sede staccata di Cittadella. Si è quindi proceduto con le acquisizioni sulla cancerogenesi in relazione a tale fenomeno e alla disamina dei potenziali rischi per la salute dell’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo, nickel e piombo, effettuate attingendo alla copiosa letteratura in materia pubblicata soprattutto in area anglosassone. E’ stata quindi la volta dell’analisi della normativa vigente negli ultimi 40 anni riguardante i livelli di questi elementi ammessi nelle acque e nel suolo ed infine della stesura di alcune valutazioni conclusive sui potenziali rischi per la salute causati dall’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo esavalente, nickel e piombo. 14 La presente tesi è articolata in 5 punti: I. lo scenario espositivo dell’inquinamento da cromo VI, nickel e piombo oggetto della presente ricerca: area interessata dal fatto (inquadramento geografico e geologico, idrogeologia, territorio), la fonte inquinante; II. acquisizioni sulla cancerogenesi utili ai fini della presente tesi; III. i potenziali rischi per la salute dell’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo VI, nickel e piombo; IV. cenni sulla normativa riguardante i livelli di cromo VI, nickel e piombo ammessi nelle acque e nel suolo; V. valutazioni conclusive sui potenziali rischi per la salute dell’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo VI, nickel e piombo. Nella stesura del presente elaborato ci si è avvalsi delle seguenti fonti: 1) dati e documentazione sullo scenario espositivo desunti: - dall’indagine di Polizia Giudiziaria attuata dallo scrivente e - - - dal Tecnico della Prevenzione ARPAV F. B. nel Procedimento Penale n. 2210/2002, assegnato al Pubblico Ministero P. F. della Procura della Repubblica di PADOVA; dalla perizia dei Consulenti Tecnici (Dr. L. V., Ing. S. C., P. Ind. E. S.) nominati dal Giudice del Tribunale di Padova, sezione staccata di Cittadella, dalla sentenza n. 140/06 del Giudice del Tribunale di Padova, sezione staccata di Cittadella, passata in “giudicato”, dai documenti contenuti nel fascicolo formatosi durante tutto il dibattimento del citato Giudice, 2) dati della letteratura sulle conoscenze generali dei meccanismi della cancerogenesi e sui rischi per la salute, con particolare riguardo a quelli cancerogeni, dell’esposizione a cromo VI, nickel e piombo; 3) normativa in tema di esposizione a cromo VI, nickel e piombo. 15 I. LO SCENARIO ESPOSITIVO DELL’INQUINAMENTO DA CROMO VI, NICKEL E PIOMBO OGGETTO DELLA PRESENTE TESI 1. DATI GENERALI L’accertamento dell’inquinamento della falda acquifera del conoide del Brenta con cromo VI, nickel e piombo è avvenuto nel 2002 in seguito all’ effettuazione di campionamenti sulle acque per uso umano di pozzi privati e comunali attuati nei comuni di Tezze sul Brenta (VI), Fontaniva (PD) e Cittadella (PD) e su pozzi sentinella realizzati dal 2002 al 2006 all’interno e all’esterno del sito sorgente dell’inquinamento. Va precisato che gli sforamenti dei limiti di legge sulle acque per uso umano dei pozzi privati e comunali sono avvenuti solo relativamente ai valori di cromo VI. Il dato è perfettamente concorde con le caratteristiche dei tre metalli nel caso di episodi di inquinamento per percolamento come quello in oggetto: nickel e piombo infatti, una volta dispersi nel terreno, tendono a formare composti con un bassissimo indice di solubilità, mentre il cromo, principalmente nella sua forma esavalente, risulta particolarmente solubile in acqua. Il cromo trivalente si comporta invece come nickel e piombo e questo giustifica la pressoché totale coincidenza dei livelli di cromo totale con quelli di cromo esavalente nelle acque campionate. Dal punto di vista idrogeologico, l’identificazione della fonte inquinante e la sua caratterizzazione sono state effettuate con i rilievi delle concentrazioni del cromo VI nelle acque dei pozzi campionati. A. L’AREA INTERESSATA DAL FATTO A.1. Inquadramento geografico e geologico E’ necessario premettere alcune informazioni di base pacificamente acquisite con tutta l’attività amministrativa e giudiziaria. Il territorio interessato dal fatto oggetto della presente tesi è compreso nei Comuni di Cittadella (Padova), Fontaniva (Padova) ed in parte Tezze sul Brenta (Vicenza). Tale area è situata nella porzione centrale del territorio della Regione Veneto, in corrispondenza del passaggio tra l’Alta e la Media Pianura Veneta. L’Alta Pianura è formata da una serie di conoidi alluvionali ghiaiosi, depositatisi in corrispondenza dello sbocco in valle dei grossi corsi d’acqua, che, sovrapponendosi ed intersecandosi tra loro, hanno creato un unico deposito in cui circola una falda di tipo freatico (acquifero indifferenziato) che inizia a monte, a ridosso dei rilievi. 16 Scendendo verso la media pianura il sottosuolo è costituito da materiali progressivamente più fini, costituiti da ghiaie minute con livelli sabbiosi e componenti limose e argillose le quali diventano sempre più frequenti da monte a valle. In prossimità di Fontaniva prevalgono sedimenti a granulometria molto sottile con conseguente passaggio dal sistema indifferenziato (“monofalda”) a quello multifalde in pressione, rappresentato da una porzione di territorio a sviluppo est-ovest, larga anche qualche chilometro e variabile nel tempo, denominata “fascia delle risorgive”. La falda si avvicina progressivamente alla superficie del suolo fino ad emergere, anche a causa della presenza delle sottostanti lenti argillose, formando le tipiche sorgenti di pianura dette appunto risorgive (o fontanili). Esse costituiscono il “troppo pieno” della falda freatica dell’alta Pianura Veneta, e finché resteranno attive assicureranno la disponibilità idrica al sistema differenziato posto a valle. I dati geofisici dell’AGIP Mineraria hanno permesso di stabilire che in prossimità del Comune di Cittadella il materasso alluvionale raggiunge, ed in alcuni casi supera, spessori di 600 metri. A.2. Idrogeologia L’acquifero indifferenziato presente nel sottosuolo è alimentato dall’infiltrazione diretta delle precipitazioni efficaci, dai contributi idrici derivanti dalle irrigazioni e soprattutto dalle dispersioni del fiume Brenta. L’area interessata dal processo è situata a circa tre chilometri ad Est del fiume stesso. L’influenza delle dispersioni del corso d’acqua sull’andamento dei livelli freatici è molto forte, tale da condizionare il regime della falda freatica, che è caratterizzata, nel corso di un anno idrologico, da due fasi di piena (primavera ed autunno) e due fasi di magra (inverno ed estate). Il tratto disperdente del Fiume Brenta è compreso approssimativamente tra Bassano del Grappa e circa un chilometro a monte del limite settentrionale (superiore) della fascia delle risorgive. Il fiume Brenta disperde una portata media annua di circa 10 -12 m3/s. Utilizzando i dati idrogeologici prodotti nel corso dello studio dell’episodio inquinante, e quelli relativi ai pozzi della rete di monitoraggio delle acque sotterranee della Regione Veneto e dell’Area di Ricarica del Bacino Scolante in Laguna di Venezia, sono state realizzate varie carte isofreatiche. Dall’analisi dettagliata delle cartografie ottenute si sono tratte alcune osservazioni: 17 - - - la direzione di deflusso media delle acque sotterranee è NOSE, tendenzialmente NNO-SSE nella porzione meridionale del Comune di Cittadella, con componente maggiormente N-S nei periodi di magra, ed E-O in quelli di piena; il comportamento disperdente del fiume Brenta nell’area di ricarica è evidenziato dalla morfologia conica e divergente delle isofreatiche, e il comportamento drenante a sud delle risorgive è evidenziato dalla morfologia conica e convergente delle isofreatiche; la diminuzione del gradiente idraulico a partire dalla porzione settentrionale dell’area scendendo verso il comune di Fontaniva è visibile dalla minore spaziatura delle isofreatiche. (Cfr. allegato 1). A.3. Il territorio L’area interessata dall’inquinamento è posta a valle di una zona industriale situata in località Stroppari in Comune di Tezze sul Brenta (Vicenza); più a Nord inoltre esistono altre aree industriali, e precisamente nei Comuni di Cartigliano, Rosà e Bassano del Grappa. In questi territori esistono tra l’altro alcune aziende che utilizzano il cromo nel loro ciclo produttivo, sia nella forma trivalente (concerie) sia in quella esavalente (galvaniche e laboratori orafi). Considerati i grandi volumi d’acqua presenti nel sottosuolo e l’ottima qualità della stessa, nel territorio esaminato sono presenti da tempo immemorabile numerosi punti di attingimento di acqua potabile. Va ricordato, al proposito, che solo l’acqua piovana non è dello Stato. Chiunque pertanto può realizzare un pozzo da falda per uso domestico liberamente e gratuitamente, salvo l’obbligo di denuncia. Già il Testo Unico sulle Acque Pubbliche del 1933 prevedeva l’obbligo di denuncia al Genio Civile; attualmente la materia è trasferita alla competenza regionale. I pozzi privati censiti o comunque segnalati sono 2.500/3.000 nel Cittadellese, circa 2.000 nel territorio di Fontaniva. Le derivazioni ad uso industriale sono, invece, soggette a concessione. E’ importante evidenziare che buona parte della popolazione ha prelevato fino al 2001, ed in alcune aree preleva tutt’ora, direttamente dal proprio pozzo, acqua a scopo potabile. L’acqua è prelevata generalmente da profondità variabili tra 15 e 30 metri dal piano campagna (p.c.), per quanto riguarda i pozzi di vecchia costruzione e circa 50 metri dal p.c. per quelli terebrati di recente. 18 L’acqua usata a scopo potabile è prelevata sia dall’acquifero indifferenziato (Cittadella e Tezze sul Brenta) sia dall’acquifero differenziato (Fontaniva); in quest’ultimo caso si sta abbandonando l’uso della falda superficiale in quanto inquinata, preferendo il prelievo dalla falda artesiana profonda, di ottima qualità e protetta dagli strati superiori d’argilla. A causa dell’elevata permeabilità dei terreni alluvionali, l’acquifero indifferenziato è molto vulnerabile: pertanto qualsiasi sostanza sversata in superficie è libera di percolare in profondità. 19 La galvanica “Alfa” nel contesto del bacino scolante in laguna di Venezia 20 B. LA FONTE INQUINANTE La causa della contaminazione è stata individuata all’interno del perimetro aziendale della galvanica “Alfa”; il “focal point” si trova nel sottosuolo e nella falda sottostante tale perimetro. Il focal point può essere rappresentato come “un’enorme pastiglia” di cromo VI ed altri metalli pesanti (soprattutto nickel e cromo III) formatasi sotto l’insediamento produttivo da ultimo denominato galvanica “Alfa”, nella zona industriale di Tezze sul Brenta (VI), in Via ****. Le dimensioni della “pastiglia” sono state concretamente definite solo nel 2005: è un tronco di cono di matrice ghiaiosa e sabbiosa, con la base minore rivolta verso l’alto, la cui altezza raggiunge i 22 - 25 metri. La “pastiglia” comprende tutto il materasso litoideo alluvionale dal piano campagna fino alla “tavola d’acqua”, ossia il limite superiore della falda acquifera sotterranea, posto a circa 22 - 25 metri sotto il livello del suolo. Gli ioni di cromo VI, disciolti dall’acqua di processo o di origine meteorica, attraversano il materasso ghiaioso e sabbioso alluvionale, senza essere in nessun modo sequestrati, e la loro velocità di diffusione nella matrice liquida è molto elevata. Di contro, la diffusione dello ione nickel bivalente e piombo bivalente nelle matrici ambientali, solida e liquida, è di molto inferiore; analogamente per lo ione cromo trivalente. Ciò causa il quasi totale “sequestro” degli ioni di nickel bivalente, piombo bivalente e cromo trivalente nella matrice solida costituita dal materasso litoideo alluvionale esistente sotto il perimetro aziendale della Galvanica “Alfa”. La falda acquifera non mantiene un livello di altezza costante: la “tavola d’acqua” si alza o si abbassa con escursioni che facilmente raggiungono il mezzo metro anche nel breve tempo “geologico” di due settimane; ne consegue che può verificarsi una escursione annua del livello di falda anche di 5 metri. Si attua pertanto il “periodico dilavamento della pastiglia di cromo VI”, con conseguente rilascio dalla stessa di ioni di tale sostanza; gli ioni vengono poi trasportati dallo scorrimento della falda da Nord - Nord Ovest verso Sud – Sud Est. Questa è la spiegazione dei rilevamenti di cromo VI nella acque attinte da pozzi privati nei comuni di Cittadella, Fontaniva, Tezze sul Brenta. Fino alla cessazione dell’attività produttiva, al dilavamento del materasso litoideo contribuiva l’eluizione negli strati del sottosuolo dei fluidi comunque provenienti dalle fasi di 21 lavorazione, manutenzione, depurazione, e da eventuali incidenti legati alla conduzione degli impianti. Episodi analoghi si sono verificati in precedenza, come risulta dagli atti processuali svolti a Cittadella presso la sezione staccata del Tribunale di Padova, oltre che da una pubblicazione CNR del 1999: risulta che il sito della Galvanica “Alfa” è stato fonte di altri eventi analoghi dal 1974, all’80, all’86, all’89, al ‘93, al ’94. 2. LE FASI DELL’ACCERTAMENTO DELLA SORGENTE DELL’INQUINAMENTO DELLA FALDA ACQUIFERA DEL CONOIDE DEL BRENTA L’indagine per l’accertamento della sorgente dell’inquinamento da cromo VI della falda acquifera, condotta in coordinamento da Procura della Repubblica di Padova, ARPAV e Regione Veneto, ha inizio nel 2002. Il procedimento viene avviato principalmente a seguito di due episodi: - l’inquinamento da cromo VI di un pozzo privato nel comune di Cittadella segnalato nel giugno 2001; - la successiva campagna di campionamenti condotta da ARPAV su complessivi 106 pozzi nei comuni di Tezze sul Brenta, Fontaniva e Cittadella dall’estate 2001 al marzo 2002. I valori superiori ai limiti di legge per 29 dei pozzi campioni hanno consentito di definire area e entità della contaminazione. 22 Numero pozzo Comune Via Profondità colonna metri da pc 200 233 233bis** 234 202 193 180 1154 N1154* 178 143 198 237 146 172 175 173 203 2 1 13 3 4 5 6 196 8 7 11 12 10 9 Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Cittadella Fontaniva Fontaniva Fontaniva Fontaniva Fontaniva Fontaniva Fontaniva Cittadella Fontaniva Fontaniva Fontaniva Fontaniva Fontaniva Fontaniva Battistei, 133 Pani Pani Ponte Gobbo Campagna Tron Campagna Tron Del Tron Postumia di Ponente Postumia di Ponente Valliera Casaretta Casaretta Giusti Fontanivese Casaretta Lazzaretto Lazzaretto Muri d'Orsato Marconi Marconi Carducci Chiesa Dante Kennedy Ciliegi Pieve Sant'Antonio Della Riva Boschetti Contrà Beggio Montagnola Cultura 25,0 66,0 16,0 30,0 18,0 20,0 20,0 26,0 30,0 30,0 17,5 30,0 30,0 25,0 20,0 20,0 20,0 25,0 18,0 15,0 14,0 18,0 15,0 18,0 15,0 14,0 20,0 15,0 43,0 16,0 43,5 Acquifero Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Freatico Artesiano Freatico Artesiano Tabella 1. Anagrafica dei pozzi utilizzati per il monitoraggio periodico. *Il pozzo 1154, è stato sostituito, a partire dal 02 Aprile 2002, dal Pozzo N1154. **Il pozzo 233, è stato sostituito, a partire dal 13 maggio 2002, dal Pozzo 233bis. Nel corso della campagna di monitoraggio avvenuta alla fine di Marzo, allo scopo di approffondire le conoscenze nell’area posta a nord dei pozzi 234 e 202, sono stati effettuati dei sopralluoghi mirati all’individuazione di nuovi pozzi da inserire nel controllo periodico. Le ricerche effettuate hanno permesso di individuare un pozzo freatico, sito a Tezze sul Brenta (M2002), realizzato alla profondità di 35 metri dal p.c.; il giorno 22 Marzo 2002 sono stati riscontrati 140 μg/l di cromo esavalente. 23 La Procura della Repubblica di Padova ha avviato così una serie di indagini per identificare l’origine dell’inquinamento. Sulla base dei dati forniti da ARPAV, è stato identificato il conoide inquinato e l’area del possibile “focal point” all’origine della contaminazione, ai confini fra i comuni di Rosà e Tezze sul Brenta. Ricostruita la storia antropica della zona, se ne è studiata la sua idrogeologia. In seguito sono state ricercate, individuate e mappate le attività artigianali ed industriali, con particolare riguardo per quelle che usavano nel loro ciclo produttivo dei composti contenenti cromo VI. In questa fase, è stato ispezionato anche l’insediamento produttivo gestito dalla società “Alfa”, con attività galvanica, che presentava un elevato livello di degrado di strutture e macchinari e, all’interno del suo perimetro aziendale, una palese contaminazione delle superfici scoperte esterne alle strutture edilizie con sostanze chimiche. In particolare, nei mesi di marzo e aprile 2002 si è constatata la presenza e la contaminazione da cromo VI (tra l’altro per la presenza di cristalli di colore giallo su pavimentazioni interne ed esterne al capannone produttivo) e da nickel (per la colorazione verdognola di liquami fuoriuscenti da sacchi usati per lo stoccaggio dei fanghi, prodotti dall’impianto interno al fine di trattare i reflui). La Regione Veneto stabiliva a questo punto di realizzare, entro il termine del 2002, una serie di piezometri, (denominati “pozzi Pz”), ossia di pozzi ricavati con trivellazione del terreno (terebrazione), a monte (uno) e a valle dell’azienda (da subito tre) per meglio valutare la situazione di inquinamento delle acque (cfr. allegati 2, 3 e 4). Particolarmente interessante e rappresentativa è la trasformazione antropica ed urbanistica, da agricola ad artigianale-industriale, avvenuta negli ultimi decenni nella zona dove insiste la galvanica “Alfa”. 24 Foto aeree dal 1955 fino all’anno 2000 della zona industriale di Tezze sul Brenta, luogo in cui si insedierà la galvanica “Alfa”. Tezze sul Brenta (VI). Volo 6 luglio 1955 Tezze sul Brenta (VI). Volo 31 luglio 1967 25 Tezze sul Brenta (VI). Concessione 12 ottobre 1981 Tezze sul Brenta (VI). Concessione 2 luglio 1990 26 Industria Galvanica Area ricerca sorgente Roggia Brotta Vicenza 06.10.2004 27 ARPAV A seguito del fallimento della galvanica “Alfa” alla fine del 2003, sono stati realizzati alcuni piezometri all’interno del perimetro aziendale (denominati “Pozzi G”) che hanno consentito anche, attraverso l’analisi delle carote di terreno, di valutare il grado di inquinamento del suolo sottostante la fabbrica. Il monitoraggio veniva integrato con la realizzazione di alcune vere e proprie trincee che contribuirono anch’esse, sempre attraverso l’analisi del terreno asportato, di quello di fondo e delle pareti, a valutare l’inquinamento di cui sopra. Ulteriori piezometri sono stati successivamente terebrati negli anni che seguirono, fino al 2006, sia all’interno del perimetro aziendale, sia all’esterno, nelle sue immediate vicinanze. 3. L’AZIENDA ED IL SUO INSEDIAMENTO Lo stabilimento industriale in cui ha operato la galvanica “Alfa” è stato realizzato agli inizi degli anni ’70 in Via *****, nel comune di Tezze sul Brenta in una zona a vocazione prettamente agricola. L’area in questione si trova al confine fra quattro comuni situati in due province diverse: Tezze sul Brenta e Rosà nel vicentino e Fontaniva e Cittadella in provincia di Padova. I due comuni del padovano si trovano rispettivamente a sud e a sud-est del complesso industriale. Nel 1974 ha avuto inizio l’attività produttiva della cromatura di elementi di arredamento da parte dell’azienda denominata “Cromatura Beta” la cui ragione sociale, nel febbraio 1975, è stata convertita in” Gamma”. Quest’ultima nel 1995, in seguito alla contrazione della propria area di mercato, ha smantellato la sua attività cedendo il settore della cromatura alla “Galvanica Alfa”. La “Galvanica Alfa” ha gestito gli impianti galvanici “ex-Gamma” fino al suo fallimento, nel 2003. L’attività della “Cromatura Beta” e della “Gamma” riguardava in particolare: la lavorazione metalmeccanica di materiali ferrosi, come taglio, piegatura e saldatura; la pulitura e smerigliatura dei semilavorati; nickelatura, cromatura, ottonatura e argentatura dei prodotti, quindi finitura con applicazione di vernici trasparenti e successiva cottura in forni. La galvanica “Alfa”, in seguito alla riduzione dell’attività ha svolto dalla fine degli anni ’90 le sole fasi di nickelatura e cromatura. Dal momento dell’entrata in attività dell’azienda sono stati eseguiti controlli, da parte di diversi enti preposti, sulle 28 caratteristiche delle acque di scarico. Da tali indagini sono emerse numerose irregolarità, in violazioni alle leggi al tempo vigenti. Tali irregolarità vengono elencate nella Tabella 1. Da quel che si evince dalla documentazione agli atti del Tribunale, fino al 1986 l’azienda ha scaricato i reflui prodotti dall’attività nella “Roggia Brotta”, un corso d’acqua superficiale che scorre a margine della strada comunale (Via *****), a sud dell’insediamento produttivo, roggia che riceveva e riceve ancor oggi gli scarichi delle acque meteoriche di tutta la zona industriale. E’ altresì risultato che la condotta non era stata realizzata con tratto di tubatura continua, bensì i tratti stessi erano (e sono) opportunamente distanziati di alcuni centimetri al fine di creare delle “feritoie” attraverso le quali le acque piovane (e non) veicolate potessero agevolmente disperdersi nel terreno ghiaioso sabbioso circostante e sottostante, andando più agevolmente a rimpinguare il sottostante acquifero indifferenziato. Successivamente lo scarico dell’azienda è stato collegato ad un ramo di rete fognaria, nel frattempo predisposto e realizzato, che convogliava e convoglia le acque ad un impianto di depurazione consortile. Dopo il 1999 e fino alla chiusura dell’attività nel 2003, non sono state riscontrate dalle autorità competenti altre violazioni dei parametri delle leggi vigenti per quanto concerne le acque di scarico (cfr. Tabella 1). Va evidenziato e sottolineato che, contestualmente a quanto riportato in Tabella 1, esistono tracce documentate di episodi di inquinamento da cromo VI delle acque di falda che attraversano gli abitati dei comuni a valle. L’evento sicuramente più eclatante risale all’ anno 1977 quando, in seguito al campionamento su 53 pozzi privati nei comuni di Cittadella e Fontaniva in provincia di Padova, l’ autorità sanitaria di allora (poi USL 19) ha rilevato superamenti del limite di legge per le acque potabili riguardo al cromo VI. Tale episodio si è esaurito spontaneamente nel gennaio 1978. Di particolare interesse risulta il fatto che il conoide inquinato al tempo descritto, è molto simile a quello identificato dai campionamenti che ARPAV ha effettuato dal 2002 in avanti. Altri episodi successivi simili, ma meno circostanziati, risalgono: - al periodo 1980-81, in cui venivano coinvolti i comuni di Galliera Veneta (PD), ad est di Cittadella, e Tombolo (PD) a sud-est di Cittadella, 29 - al periodo 1983-84, in cui furono interessati i territori in prossimità del fiume Brenta, a nord di Fontaniva. Foto recuperata da un quotidiano del 1977. Alla distribuzione dell’acqua per la popolazione coinvolta dall’inquinamento di cromo VI provvedono con autobotti i militari del “Pordoi” e del “Valles”. 30 20 Febbraio 1980 : Comune di Tezze sul Brenta “Autorizzazione provvisoria, per la durata di tre mesi dalla data della presente, allo scarico nella Roggia Brotta dei rifiuti liquidi provenienti dalle lavorazioni dell’ insediamento produttivo”. - 31 32 Area con valori di cromo esavalente superiori a 10 microgrammi/litro . Marzo 1977 Vicenza 06.10.2004 pozzi con concentrazioni di Cr6+ che hanno superato almeno in un evento i 50 ug/l (rete 2001-2005) Cusinati 5064000 PM Galvanica srl Granella ? 5063000 pozzi con concentrazioni di Cr6+ che non hanno mai superato 50 ug/l (rete 2001-2005) Tezze sul Brenta Belvedere Stroppari Campagnari Galvanica “Alfa” 5062000 pozzi della rete 1977 Friola a 5061000 Postumia 5060000 direttrici della contaminazione da cromo 6 a: 1977 b: 2001 Cà Tron Valliera 5059000 b Fontaniva 5057000 plume 2001-2005 (inviluppo non temporale dei pozzi con CrVI>5.0 ug/l) 5058000 Cittadella 5056000 Fontanivetta 0 500 1000 1500 2000 5055000 plume 1977 (inviluppo non temporale dei pozzi con CrVI>50.0 ug/l) Ponte di Fontaniva San Giorgio in Brenta 1709000 1710000 1711000 1712000 1713000 1714000 1715000 1716000 1717000 (metri) 33 4. LA DIMENSIONE DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Complessivamente, le indagini condotte dallo scrivente in stretta collaborazione con il Tecnico di Prevenzione F. B. (in forza al Dipartimento Provinciale ARPAV di Vicenza, sede di Bassano del Grappa) e la perizia dei Consulenti Tecnici nominati dal Giudice P. C., hanno consentito di dare una dimensione all’entità dell’inquinamento, sia per quanto riguarda il suolo in corrispondenza dell’insediamento industriale, sia per quanto riguarda le acque della falda freatica nell’area interessata. A) Suolo Si è giunti alla conclusione che la contaminazione prodotta dall’attività di cromatura/nickelatura ha determinato la formazione di una “pastiglia” di terreno inquinato, principalmente da cromo VI, cromo III e nickel, al di sotto dell’azienda. Essa è stata descritta come una forma tronco-conica con la base minore rivolta verso l’alto e con una profondità di circa 25 metri. I livelli di concentrazione di cromo VI, nickel e piombo riscontrati nel terreno sottostante l’azienda sono riassunti nella Tabella 2. Alte concentrazioni di nickel sono state rilevate in carote ottenute da piezometri realizzati nelle adiacenze del perimetro aziendale. Anche l’analisi del terreno prelevato ad una profondità di 20-50 cm durante la realizzazione delle trincee, ha consentito di evidenziare livelli di cromo VI, cromo totale e nickel nettamente superiori ai parametri di legge in quasi tutti i campioni. Va rilevato inoltre che l’analisi dei fanghi di depurazione (Tabella 3), delle acque di dilavamento e di quelle dei pozzetti per la raccolta delle acque meteoriche hanno rivelato concentrazioni di cromo VI, cromo totale, nickel e piombo al di sopra dei limiti di legge. L’analisi delle carote di terreno dei piezometri realizzati a varie distanze dall’azienda, nei comuni di Fontaniva e Cittadella, non ha evidenziato superamenti dei limiti di legge da parte degli inquinanti ricercati. Il dato è concorde con l’assenza, in queste aree, di un percolamento dei contaminanti dal piano di campagna alla sottostante falda e con l’alta solubilità del cromo VI che, seppure transitando attraverso aree di terreno non contaminate, non si àncora alla matrice solida. 34 B) Acque della falda freatica L’analisi della documentazione agli atti consente di ricavare una “fotografia” dell’andamento quantitativo e temporale dell’inquinamento della falda freatica a valle dell’insediamento industriale. Dalla relazione del Dottor F. M. dell’Osservatorio Regionale per le Acque (ORAC) dell’ARPAV, si evince la criticità degli andamenti temporali del livello della falda. La falda freatica del conoide del Brenta è infatti alimentata per la maggior parte dallo stesso fiume Brenta che nelle zone pedemontane cede acqua alla falda stessa dal proprio letto per infiltrazione del terreno ghiaioso. Durante la stagione invernale le temperature rigide non consentono lo scioglimento di nevai e ghiacciai e la portata del fiume è relativamente diminuita e così anche il livello della falda è molto basso. Nella stagione calda, lo scioglimento dei nevai e dei ghiacciai aumenta la portata del fiume e quindi il livello delle acque di falda. Durante i periodi di innalzamento della falda freatica la “pastiglia” di terreno contaminato viene transitata dall’acqua in scorrimento. I contaminanti con più alto livello di solubilità, principalmente il cromo VI, vengono quindi dilavati dal terreno impregnato e trasportati a valle dove vengono ritrovati nelle acque dei pozzi per uso umano e nei pozzi sentinella terebrati negli anni precedenti. Dai numerosi pozzi campionati nel periodo 2002-2005 al fine di quantificare e poi monitorare gli andamenti dell’inquinamento da cromo VI delle acque per uso umano, sono stati raccolti i dati che poi sono stati riportati nelle specifiche relazioni peritali sullo stato idrogeologico della falda. I superamenti dei limiti di legge sono stati numerosi, fino a raggiungere un valore massimo di cromo VI di 275 μg/l 35 rilevato nel pozzo di Via Pani in comune di Cittadella (PD). Complessivamente, il valore medio delle misurazioni delle concentrazioni di cromo VI effettuate è risultato di 100 μg/l per i campioni con valori al di sopra del limite di legge. Va sottolineato che l’analisi delle portate e della traiettoria della falda effettuata dai geologi interpellati, ha condotto alla definizione di uno scenario secondo il quale si può presupporre che in passato i livelli di concentrazione di cromo VI hanno raggiunto valori anche superiori 500 μg/l. Per quanto riguarda nickel e piombo, nonostante siano scarsamente solubili, essi erano presenti a concentrazioni al di sopra dei parametri di legge nei “pozzi sentinella” terebrati all’interno dell’azienda (i pozzi “G”). Il fenomeno è indicativo dell’altissimo livello di inquinamento del terreno in quest’area. Il nickel e il piombo hanno infatti raggiunto concentrazioni tali da saturare la capacità del terreno di trattenerli sotto forma di composti insolubili. C) Nota sulla mobilità di cromo VI, cromo III e nickel nel terreno e nelle acque. Il cromo VI ha una mobilità molto superiore rispetto al cromo III, in quanto il cromo VI è molto solubile in acqua, mentre il cromo III è praticamente insolubile e perciò si blocca facilmente nel terreno. Di conseguenza è più facile trovare nelle acque di falda la presenza di cromo VI. In un ambiente neutro o tendente al basico, come il terreno o l’acqua di falda, il cromo nella valenza bassa (cromo III) è insolubile, perché, avendo un comportamento metallico, tende a formare idrossidi, che non sono solubili in acqua; per trovarlo in forma solubile bisognerebbe essere in ambiente acido. Anche il nickel in ambiente neutro o basico tende a formare idrossidi poco solubili: gli studi sulla mobilità dei 36 metalli in suoli contaminati evidenziano che il nickel è uno dei metalli meno mobili. Per tale motivo, anche se il terreno è inquinato sia da nickel sia da cromo VI, nella falda si rilevano alte concentrazioni di cromo VI e basse quantità di nickel. 37 38 D) Modalità d’inquinamento del terreno e della falda entro l’area dello stabilimento. Le trincee e i carotaggi eseguiti nel sito hanno evidenziato la presenza di cromo nel terreno dalla superficie fino al livello più volte raggiunto e superato dalla superficie della falda nelle sue periodiche oscillazioni. Nello stabilimento la zona più inquinata comprende i piezometri G9, G11, G5, G10, G8 e G7. Visti i valori del G11 può affermarsi, inoltre, che la parte notevolmente più inquinata è quella che comprende la linea galvanica attiva fino alla dismissione dell’impianto (G8, G10 e G7). Gli inquinanti, nel caso specifico cromo e nickel, si sono infiltrati e propagati nella porzione insatura di sottosuolo per le perdite che si sono verificate ripetutamente nelle vasche dei bagni galvanici. Nel fondo delle vasche dei bagni di cromo, così come nella vasca dei concentrati, sono stati osservati dopo il loro svuotamento dei rattoppi di resina, per la chiusura di fenditure e di zone dove la soletta di fondo vasca si era disgregata per l’azione delle soluzioni. Un’altra importante e costante via di dispersione e penetrazione del cromo VI nel terreno, è rappresentata dai gocciolamenti, dai pezzi in lavorazione al pavimento, nei passaggi dall’una all’altra vasca di elettrodeposizione – durante le fasi della cromatura – e dall’una all’altra vasca di lavaggio – a cromatura avvenuta. Va evidenziato che i gocciolamenti in parola sono soluzioni acquose di acido cromico, classificato come “molto tossico per inalazione” ai sensi del 29° Adeguamento al Progresso Tecnico della direttiva 67/548/EEC (T+; R26; direttiva “Seveso”), oltre che – come tutti i composti del cromo VI – cancerogeno di categoria 2 e pericoloso per l’ambiente acquatico (N; R50/53). Il riscontro analitico dei percolamenti proviene dai risultati dei carotaggi. 39 G11 G8-CR0 G7-CR2 40 Piezometro G7-CR2 41 Piezometro G8 - CR0 05/11/2008 42 La propagazione della soluzione contenente cromo, dunque, è un dato di evidenza sperimentale incontrovertibile. Essa può essere avvenuta secondo due modalità, in funzione della composizione tessiturale del terreno: - propagazione dalla superficie alla falda secondo un percorso verticale o sub verticale (si ha propagazione prevalentemente verticale quando il terreno ha una composizione omogenea e non ci sono livelli o lenti di terreno a minore permeabilità); - propagazione con andamento verticale e laterale. E’ il caso più frequente ed è quanto si verifica nel sito in esame (nella sua propagazione verticale verso la falda l’inquinante subisce delle deviazioni laterali in corrispondenza di strati di terreno a minor permeabilità, nel caso specifico livelli a tessitura fine e strati addensati e talora cementati (livelli conglomeratici). Il flusso inquinante, infatti, tende a deviare orizzontalmente quando incontra livelli poco permeabili dato che la permeabilità orizzontale è maggiore di quella verticale. L’ampiezza dello spostamento può essere considerevole ed è in funzione all’estensione e alla continuità dello strato meno permeabile o impermeabile, che impedisce il percorso verticale. Nel caso del sito della Galvanica “Alfa” le stratigrafie dei sondaggi hanno mostrato una situazione di discreta non omogeneità in tutta l’area con livelli a granulometria mediofine e frequenti lenti conglomeratiche a debole grado di cementazione. E’ quindi ragionevole pensare che la propagazione del flusso inquinante segua tragitti diversi dalla verticalità, raggiungendo la falda dopo aver seguito vie preferenziali di scorrimento in rapporto alla costituzione del terreno. 43 44 Galvanica “Alfa”. Particolare di materiale impregnato da cromo VI Galvanica “Alfa”. Sasso posizionato alcuni metri sotto la vasca del cromo. Galvanica “Alfa”. Particolare di materiale già costituente la platea cementizia impregnato da cromo VI 45 Galvanica “Alfa”. Sezione di un sasso del peso di circa 5 kg prelevato alcuni metri sotto la vasca del cromo VI Un sasso proveniente dal primo metro dell’insaturo contaminato, lo si è immerso in acqua bidistillata. Esso ha continuato a rilasciare per circa 6 mesi cromo VI fino a raggiungere una concentrazione nel solvente di circa 158.000 microgrammi/litro. Prelevato poi lo stesso sasso e riposto in un secondo recipiente contenente un altro litro di acqua bidistillata, esso ha continuato a rilasciare cromo VI: 46 - dopo 19 giorni di immersione la concentraz di cromo Vi nella soluzione era di 2.000 microgrammi/litro; dopo 39 giorni era di 4.000 microgrammi/litro; dopo 83 giorni era di 6.150 microgrammi/litro; dopo 346 giorni era di 10.500 microgrammi/litro. 5. POPOLAZIONE ESPOSTA La contaminazione delle acque di falda ha comportato, fino ai primi anni ’90, l’esposizione della popolazione del territorio interessato. I residenti delle aree interessate sono stati potenzialmente esposti in via principale: 1. al cromo VI per via ingestiva a causa della sua diffusa presenza nell’acqua; 2. al cromo VI per contatto con l’acqua attinta e utilizzata per scopi igienico sanitari, per allevamento animali domestici, per irrigazione di colture ed ortaggi. Si è inoltre sicuramente verificata un’ importante esposizione della popolazione lavorativa a cromo VI, nickel e piombo per contatto, ingestione e inalazione a causa del quotidiano utilizzo per scopi produttivi di soluzioni acquose contenenti i suddetti metalli, nonché con le matrici ambientali particolarmente inquinate presenti all’interno del perimetro aziendale. Ne è conseguita pertanto la concreta possibilità di “contaminazioni incrociate”, ad esempio tra i lavoratori/maestranze e i loro familiari a causa anche solo degli indumenti di lavoro imbrattati/contaminati). In via secondaria, si è altresì verificata un’esposizione a nickel e piombo nella popolazione per i motivi elencati alle pagine 92 e 93. Un ordine di grandezza della popolazione potenzialmente coinvolta è data dal numero dei residenti dei tre comuni che, al 2001, era la seguente: − Tezze sul Brenta (VI): 10.405 abitanti. − Fontaniva (PD): 7.460 abitanti. − Cittadella (PD): 18.743 abitanti. Nel considerare la popolazione esposta va prestata una particolare attenzione alle fasce a maggior rischio. Bambini, anziani, gestanti e immunodepressi sono notoriamente i gruppi più deboli in quanto altamente sensibili ad agenti chimici e fisici con effetti a breve e lungo termine per la salute. 47 II. ACQUISIZIONI SULLA CANCEROGENESI UTILI AI FINI DELLA PRESENTE RELAZIONE 1. La dimensione epidemiologica dei tumori I tumori rappresentano oggi il più grave problema di sanità pubblica: essi infatti sono responsabili, nei paesi industrializzati, di oltre il 30% della mortalità. I tumori non colpiscono soltanto le fasce più anziane della popolazione, in quanto costituiscono la prima causa di morte nella fascia dell'età produttiva. L'incidenza dei tumori è cresciuta gradualmente, ma costantemente, negli ultimi decenni. La ragione di tale incremento dipende da tre fattori essenziali: 1) l'invecchiamento della popolazione; 2) l'aumento della diffusione (per tipologia e quantità) di agenti cancerogeni nell'ambiente di lavoro e di vita generale; 3) l'inizio della esposizione ad essi in età sempre più giovani (per alcune tipologie addirittura fin dalla vita embrionaleperinatale-neonatale). Se l’incidenza non diminuirà, la mortalità per cancro non potrà subire modifiche sostanziali. 2. Gli agenti cancerogeni e le situazioni in cui possono essere presenti Gli agenti che hanno maggiore rilevanza nella induzione di tumori nell'uomo sono di tipo fisico e chimico ed hanno una origine prevalentemente artificiale. Essi sono il prodotto delle attività produttive e consumistiche dell'era industriale: sono cioè l'effetto dei nostri modelli di sviluppo. Gli agenti cancerogeni sono presenti nei minerali che vengono superficializzati (carbone, minerali radioattivi, fibre, ecc.); nel petrolio; nelle fasi di produzione, trasporto ed utilizzo dell'energia (fossile, nucleare, elettrica, ecc.); nella produzione di beni di consumo vari, i quali hanno avuto un grande impulso con lo sviluppo dell'industria chimica e petrolchimica; nei prodotti che vengono utilizzati in agricoltura (in particolare i pesticidi) e nell'industria alimentare (conservanti, additivi, coloranti, ecc.); nelle scorie (rifiuti solidi urbani, industriali, ecc.). 48 3. Le caratteristiche dell'azione degli agenti cancerogeni Il processo di cancerogenesi presenta alcune caratteristiche peculiari: A) gli effetti degli agenti cancerogeni sulle cellule sono in larga misura irreversibili, e il processo neoplastico può pertanto continuare a svilupparsi anche quando l'esposizione agli agenti cancerogeni è stata interrotta; B) non esiste una dose senza effetto (effetto stocastico); C) esiste un rapporto fra entità dell'esposizione ed entità della risposta neoplastica; D) agenti cancerogeni, anche di natura diversa, possono avere effetti additivi e moltiplicativi sulla risposta neoplastica (sincancerogenesi). Con il termine “effetto moltiplicativo” (o sincancerogenesi) si intende descrivere una risposta cancerogena, indotta da due o più agenti cancerogeni, tale da determinare (rispetto all'entità dell'effetto cancerogeno di ciascun agente) una più alta incidenza di tumori, oppure un periodo di latenza (cioè il tempo intercorso tra l'inizio dell'esposizione e l'insorgenza del tumore) più abbreviato, o infine un più elevato numero di tumori nell'organo/tessuto bersaglio predestinato. L'effetto sincancerogenetico può riguardare un solo organo/tessuto quando gli agenti cancerogeni considerati hanno lo stesso organotropismo, oppure può riguardare più organi e tessuti se gli agenti cancerogeni considerati hanno diverso organotropismo; E) appare sempre più evidente, sulla base di indagini epidemiologiche più precise e di saggi sperimentali più adeguati (soprattutto quelli che non prevedono sacrifici a tempi arbitrari, in genere dopo due anni, ma l'osservazione degli animali fino a morte spontanea) che la maggior parte degli agenti cancerogeni, pur potendo avere dei tessuti ed organi bersaglio, hanno in realtà effetti cancerogeni multipotenti, cioè la capacità di indurre tumori di vario tipo in molte sedi anatomiche; F) tra l'inizio dell'esposizione ad un agente cancerogeno e l'insorgenza delle neoplasie da esso provocate, intercorre un periodo di latenza (incubazione) più o meno lungo, caratterizzato quasi sempre dall'assenza di alterazioni clinicamente e patologicamente rilevabili, che tuttavia si può considerare come la dimensione temporale nella quale si attuano e si sviluppano alterazioni "minime", che costituiscono lo stadio critico, ma forse più importante, del processo neoplastico. 49 Il problema del potenziale cancerogeno ambientale e professionale e dei suoi effetti va valutato tenendo in considerazione, oltre che il numero e la quantità degli agenti cancerogeni immessi nell'ambiente, anche le suddette caratteristiche degli effetti cancerogeni e del processo neoplastico, ed in particolare le infinite possibilità di sincancerogenesi. Oggi, in termini scientifici e per le conseguenti implicazioni di sanità pubblica, non è corretto valutare i rischi cancerogeni in termini di singoli agenti cancerogeni e singoli tumori specifici in organi "bersaglio": bisogna invece considerare, innanzitutto, il rischio totale ("total risk") e la risposta totale ("total burden"), intesa quest'ultima come la totalità dei tumori maligni osservati. Le ricadute di questa nuova impostazione sulle valutazioni, regolamentazione e strategie di controllo e di sanità pubblica sono pertanto assai considerevoli. 50 III. I POTENZIALI RISCHI PER LA SALUTE DELL’ESPOSIZIONE PER VIA CUTANEA, INALATORIA E ORALE A CROMO VI, NICKEL E PIOMBO Al fine di poter esprimere una valutazione qualitativa sui potenziali rischi per la salute, in particolare a lungo termine, del cromo VI, nickel e piombo, rilasciati nelle falde acquifere utilizzate per fornire l’acqua potabile alla comunità locale, vengono di seguito riportati i dati essenziali ricavati dalla revisione della letteratura scientifica disponibile. 1. CROMO Presenza in natura, produzione e uso Il cromo è un elemento naturale che fa parte del gruppo VI della serie dei metalli di transizione della tavola periodica degli elementi. Si presenta in diversi stati di ossidazione che vanno da 2− a 6+. La forma elementare del cromo con stato di ossidazione 0 non esiste in natura. Le forme più rappresentate sono quelle con stato di ossidazione 2+ (II), 3+ (III) e 6+ (VI). Lo ione cromo più stabile è il III, seguito dal VI e dal II, che tende ad essere rapidamente ossidato a cromo III. Il cromo VI viene naturalmente ridotto alla forma III in presenza di materiale organico ossidabile. Tuttavia la carenza di tale materiale nelle acque, conferisce al cromo VI una buona stabilità quando disciolto in questa matrice (EPA, 1984). Il cromo VI è tuttavia molto raro in natura in quanto si e si trova: - nel minerale crocoite, un cromato di piombo (PbCrO4) (Hurlbut Jr., 1971), - nel minerale cromite, un bicromato ferroso (FeCr2O4), - come prodotto antropogenico (EPA, 1984). I composti del cromo III sono normalmente poco solubili in acqua mentre alcuni composti del cromo VI lo sono molto di più, come ad esempio quelli contenenti ammonio e metalli alcalini come sodio e potassio. L’estrazione di cromo nel 2005 ammontava, a livello mondiale, a circa 18.000.000 tonnellate (USGS, 2005a). Una seconda fonte di produzione di cromo proviene dal riciclaggio di materiali che lo contengono in leghe di varia natura; nei soli Stati Uniti, nel 2005, la produzione da questa sorgente ammontava a 170.000 tonnellate (USGS, 2005a). Il cromo è soprattutto utilizzato nell’industria metallurgica, chimica e dei refrattari: esso viene infatti usato per la produzione 51 di acciai, per la placcatura di leghe ferrose e per la produzione di leghe non ferrose, principalmente per la sua resistenza alla ruggine e la sua brillantezza (IARC, 1990; ATSDR, 2000). La caratteristica di inalterabilità alle alte temperature inoltre lo rende materiale di elezione per i rivestimenti di forni e fornaci, mentre le sue caratteristiche ioniche ne hanno favorito un largo impiego nell’industria dei pigmenti e del trattamento delle pelli (IARC, 1990; ATSDR, 2000). Per l’uomo il cromo nella sua forma III costituisce un micronutriente che svolge un ruolo fondamentale principalmente nel metabolismo del glucosio (potenziando l’effetto dell’insulina), ma anche di grassi e proteine. Il cromo III picolinato viene anche utilizzato come integratore della dieta (Broadhurst et al, 1997). Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale Le concentrazioni naturali di cromo nel suolo sono correlate alla tipologia del terreno. In aree ricche di basalti, serpentini, rocce ultramafiche e fosforiti, le concentrazioni di cromo possono arrivare ad alcune migliaia di mg/kg (Merian, 1984), mentre in suoli di origine granitica o sabbiosa le concentrazioni sono molto più basse (Swaine et al, 1960). Negli Stati Uniti sono state rilevate concentrazioni da 1 a 2.000 mg/kg con un valore mediano di 37 mg/kg (USGS, 1984). In Canada analoghi studi hanno fornito un range da 5 a 1.500 mg/kg con una media di 43 mg/kg (Cary, 1982). Nelle acque dell’oceano le concentrazioni medie di cromo sono attorno a 0,3 μg/l (Cary, 1982), molto inferiori rispetto ai 5 μg/l dei laghi (Borg, 1987) e ai 10 μg/l dei fiumi (Eckel et al, 1988). La concentrazione di cromo totale a livello atmosferico negli Stati Uniti è tipicamente fra 0,005 e 2,6 ng/m3 in aree remote (ATSDR, 2000); al di sotto dei 10 ng/m3 nelle zone rurali e di 1030 ng/m3 nelle aree urbane (EPA, 1990). I livelli di cromo nell’ambiente domestico sono invece stati analizzati in diverse indagini che hanno fornito valori da 0,1 a oltre 80 ng/m3 in relazione alla distanza da siti industriali dove veniva utilizzato il cromo (ATSDR, 2000). Diversi studi si sono anche occupati della valutazione delle concentrazioni di cromo nelle acque potabili. Pur soffrendo di varie limitazioni dovute a volte a strumentazioni di misura non perfettamente idonee o a metodi analitici non del tutto appropriati, si può ritenere che il cromo sia presente a concentrazioni comprese in un range fra 0,4 e 8,0 μg/l con un valor medio di 1,8 μg/l (Greathouse et al, 1978). L’esposizione a cromo della popolazione generale può avvenire attraverso le tre principali vie: cutanea, inalatoria e ingestiva. Il 52 contatto cutaneo si verifica in seguito all’esposizione ad alte concentrazioni di cromo nell’aria o al contatto con acque contenenti elevati livelli di cromo (ATSDR, 2000). L’esposizione per via inalatoria è sostanzialmente dovuta alle emissioni di cromo in atmosfera ad opera delle principali attività produttive umane. L’ingestione di cromo è invece principalmente da ricondurre alla dispersione dell’elemento o dei suoi composti nelle acque potabili, principalmente in forma VI, dalle stesse fonti industriali e secondariamente dalla piogge che sono in grado di intercettare le particelle presenti nell’aria e veicolarle nelle falde acquifere attraverso la percolazione nel terreno. Tossicocinetica A) Via cutanea Uno studio sperimentale sull’uomo ha dimostrato che, applicando sulla cute di volontari dischetti di carta da filtro imbevuti con soluzioni di cromo VI, lo ione metallico può entrare nel circolo sanguigno (Wahlberg, 1970). La quantità di cromo VI assorbita dipende dalla concentrazione della soluzione di partenza e raggiunge il livello di plateau dopo 5 h dall’applicazione (Liden et al, 1979). La quantità di cromo VI assorbita può raggiungere 1,1 μg/cm2/h per soluzioni di partenza 0,01 M di cromato di sodio (520 mg/l di cromo VI) (Baranowska-Dutkiewicz, 1981). Lo studio di casi clinici su individui trattati con soluzioni di cromo VI per curare le lesioni cutanee prodotte dalla scabbia, ha dimostrato l’elevata capacità del cromo VI di penetrare la cute danneggiata ed entrare nel circolo sanguigno (Brieger, 1920). Il cromo VI può inoltre penetrare facilmente l’epidermide umana incisa (Mali et al, 1963). In letteratura sono riportati numerosi casi clinici di donne esposte a cromo VI sotto varie forme e a varie concentrazioni per via cutanea: essi hanno evidenziato effetti tossici per cuore, stomaco, muscoli e reni oltre che a carico del sangue (ATSDR, 2000). Questi dati inducono a ritenere che i suddetti organi e tessuti siano le principali sedi di accumulo dello ione metallico dopo la sua penetrazione nell’organismo umano attraverso la cute. Studi sperimentali sull’animale (guinea pig) hanno ulteriormente dimostrato che l’applicazione cutanea di soluzioni di cromo VI determina una penetrazione del metallo attraverso la cute. Utilizzando l’isotopo radioattivo 51Cr è stata rilevata la successiva distribuzione del Cr nelle forme III e VI nel sangue, 53 milza, midollo osseo, linfonodi, reni, oltre che la presenza nelle urine (Wahlberg et al, 1965). B) Via inalatoria Diversi studi hanno dimostrato la presenza di cromo nelle urine di lavoratori esposti per via inalatoria in ambiente di lavoro (Gylseth et al, 1977; Randall et al, 1987; Mancuso, 1997). Il dato testimonia la capacità del polmone di assorbire il cromo VI che viene quindi distribuito al circolo sanguigno ed escreto. L’analisi autoptica dei tessuti di lavoratori giapponesi occupati nell’industria delle cromature ha consentito di rilevare alti livelli di cromo VI nei linfonodi, polmone, milza, fegato, reni e cuore (Teraoka, 1981). In uno studio su lavoratrici russe di una fabbrica per la produzione di cromati è stata rilevata la presenza di cromo VI nei feti e nei neonati. Il monitoraggio delle suddette donne durante e dopo la gravidanza aveva infatti evidenziato livelli significativamente elevati di cromo nel sangue e nelle urine delle madri durante la gravidanza, e quindi nel cordone ombelicale, nella placenta e nel latte. Alti livelli di cromo sono inoltre stati rilevati in feti abortiti dopo 12 settimane dall’inizio della gravidanza (Shmitova, 1980). Uno studio per valutare il grado di assorbimento del dicromato di potassio (cromo VI) e del tricloruro di cromo (cromo III) è stato condotto su ratti trattati per via inalatoria alle concentrazioni rispettivamente di 0, 7, 3 e 15,9 mg/m3 o 0,8 e 10,7 mg/m3 per la durata di 2 e 6 h. La clearance polmonare è risultata dipendente, per ambedue le forme ioniche del cromo, dalla dimensione delle particelle disperse in aria. In generale però l’assorbimento del cromo VI è di circa tre volte più rapido del cromo III (Suzuki et al, 1984). La concentrazione di cromo è stata misurata nei linfociti, nel sangue e nelle urine di gruppi di ratti Wistar trattati per instillazione intratracheale con 0,44 mg/kg pc di sodio dicromato (cromo VI) o cromo acetato (cromo III). Le concentrazioni del cromo VI rispetto al cromo III valutate a 6, 30 e 72 h dalla somministrazione, sono risultate 4 volte superiori nel sangue, 7 volte superiori nei linfociti, mentre nelle urine le concentrazioni di cromo VI era circa la metà del cromo III. Il picco delle concentrazioni è stato rilevato a 6 h dal trattamento mentre a 72 h i livelli risultavano già molto ridotti. (Gao et al, 1993). 54 Via ingestiva Diversi studi sperimentali sull’animale e sull’uomo, condotti soprattutto nel passato, attestano che l’ambiente fortemente riducente dello stomaco generato dalla presenza di succhi gastrici con un elevato livello di acidità è in grado di ridurre il cromo dalla sua forma VI (6+) a quella III (3+), limitando in questo modo il pronto assorbimento del cromo nella sua forma VI, la più tossica (Visek et al, 1953; MacKenzie et al, 1959; Donaldson Jr et al, 1966; Henderson et al, 1979). Il cromo III non è infatti in grado di attraversare la membrana cellulare se non per diffusione, un fenomeno che avviene molto lentamente. Il cromo VI per contro è in grado di superare efficacemente la barriera cellulare attraverso il canale per il trasporto di anioni, utilizzato anche per il passaggio di solfati e fosfati (De Flora, 2000). La quantità di cromo VI che sfugge all’effetto riducente dei succhi gastrici è quantificata in un 2-10% sia nell’uomo che nell’animale, in dipendenza del cibo ingerito (ATSDR, 2000). In uno studio, condotto su volontari di sesso maschile, i quali avevano assunto 5 mg di cromo VI in acqua o in succo d’arancia, è stato evidenziato: 1) i livelli di cromo esavalente nei globuli rossi erano rispettivamente di 5,5 μg/l (quando ridotto nel succo d’arancia) e di 18 μg/l senza succo d’arancia; 2) i livelli di cromo nel plasma erano 2,2 μg/l (in succo d’arancia) e 26 μg/l senza succo d’arancia; e 3) i livelli di cromo nelle urine erano 24 μg/g di creatinina con succo d’arancia e 209 μg/g di creatinina senza succo (Kerger et al, 1996; Costa et al, 1997). Ciò vuol dire che la mucosa gastrica non era altrettanto efficiente quanto il succo d’arancia nel ridurre il cromo da esavalente a trivalente. Diversi studi sperimentali evidenziano che il cromo VI, una volta superata la barriera della mucosa gastrica, diffonde in vari organi e tessuti. Topi trattati con potassio dicromato (cromo VI) nell’acqua da bere alle dosi di 4,4, 5,0 e 14,2 mg/kg pc/die per 1 anno, hanno dimostrato un accumulo del composto in vari tessuti (Maruyama, 1982). La distribuzione del cromo VI nell’organismo è stata riscontrata in uno studio condotto su ratti Fisher e topi C57BL/6J, trattati con cromato di potassio somministrato con l’acqua da bere alla dose di 8 mg/kg pc/die per 4 e 8 settimane. Lo studio ha evidenziato accumulo di cromo VI in fegato, reni milza polmoni, cuore e sangue in concentrazioni diverse a seconda della specie (Kargacin et al, 1993). Da questi dati risulta quindi che la capacità riducente dello stomaco è limitata e quindi che il cromo VI è in grado di superare la mucosa gastrica e di accumularsi come tale nei vari distretti corporei. C) 55 Viceversa De Flora, in studi condotti alla fine degli anni ’90, sosteneva che era praticamente impossibile che il cromo VI ingerito potesse provocare effetti dannosi per la salute, proprio per l’efficiente capacità riducente della acidità gastrica combinata con l’altrettanto efficiente capacità riducente dei globuli rossi nel caso in cui il cromo VI fosse riuscito a superare la barriera della mucosa dello stomaco (De Flora et al, 1997; De Flora, 2000). Secondo Zhitkovich invece (2005), i risultati degli studi di De Flora sovrastimavano l’efficienza riducente del cromo VI da parte dei succhi gastrici, probabilmente per alcuni limiti intrinseci alla metodologia analitica utilizzata. Tossicità acuta e cronica A) Via cutanea Nell’ambito del trattamento utilizzato nel passato per la cura delle lesioni cutanee prodotte dalla scabbia con soluzioni di cromato di potassio (cromo VI) sono stati riscontrati effetti cardiovascolari con alterazioni del battito cardiaco, vomito, albuminuria e poliuria. In individui deceduti a seguito del trattamento sono state descritte degenerazioni del tessuto cardiaco, iperemia della mucosa gastrica e necrosi tubulare (Brieger, 1920). Studi su lavoratori esposti per contatto a cromo VI aerodisperso hanno dimostrato l’insorgenza di lesioni cutanee anche in individui esposti a concentrazioni di 1 μg/m3 (Pastides et al, 1994). In lavoratori esposti a cromo VI per via cutanea sono stati osservati effetti irritativi e ulcerativi dell’epidermide, oltre che risposte allergiche come eczemi e dermatiti (Fregert, 1975; Peltonen et al, 1983; Eun et al, 1990). Gli stessi effetti sono stati osservati anche in persone che avevano fatto uso frequente di detergenti e sbiancanti contenenti composti a base di cromo VI (Wahba et al, 1979). Complessivamente si può affermare che sono stati descritti diversi casi clinici in cui sono stati riportati effetti tossici per lo stomaco, cuore, muscoli e reni in individui esposti per via epidermica a cromo VI. Ciò suggerisce l’ipotesi di una distribuzione preferenziale per questi organi (ATSDR, 2000). L’applicazione di diversi composti a base di cromo VI ad una concentrazione finale variabile da 42 a 55 mg/kg pc ha prodotto infiammazione della cute, edema e necrosi (Gad et al, 1986). Sensibilizzazione dell’epidermide è stata indotta nel topo con una soluzione all’1% di potassio dicromato (cromo VI = 0,35%) applicata per 50 volte sull’addome depilato. L’applicazione al 56 dotto uditivo della stessa soluzione ha prodotto risultati analoghi determinando un aumento dello spessore del padiglione auricolare e infiltrazione di leucociti neutrofili evidenziata all’esame istologico (Mor et al, 1988). B) Via inalatoria Esiste una vastissima letteratura epidemiologica, riportata in monografie di varie agenzie internazionali, nelle quali sono riassunti studi sugli effetti tossici dell’esposizione a cromo VI per via inalatoria (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000). Dispnea, tosse, iperemia della mucosa nasale, prurito nasofaringeo, associati anche ad episodi di reattività cutanea con casi di eritemi ed eczemi, sono fra i sintomi più comuni registrati pure a livelli espositivi piuttosto bassi. Sintomatologie di questo tipo sono infatti state descritte inoltre al di sotto del limite massimo di 100 μg/m3 permesso in ambiente di lavoro (PEL – Permissibile Exposure Level) stabilito dal National Institute for Occupational Health and Safety (NIOSH), l’Occupational Safety and Health Administration (OSHA) e l’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH). Analogamente a quanto si verifica nell’uomo, irritazioni e infiammazioni dell’epitelio bronchiale e delle mucose nasali, modificazioni transitorie delle attività enzimatiche della fosfatasi alcalina sono state riscontrate in animali sperimentali esposti per via inalatoria a composti del cromo VI (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000). Studi recenti dimostrerebbero che il cromo VI avrebbe effetti tossici sul sistema nervoso. In uno studio epidemiologico condotto su diverse migliaia di lavoratori dell’industria del cromo è stato osservato un eccesso di decessi, rispetto agli attesi, per cause di origine nervosa (Gibb et al, 2000). Alcuni studi sperimentali hanno dimostrato che il cromo VI può penetrare il sistema nervoso centrale (Travacio et al, 2000; Travacio et al, 2001; Ueno et al, 2001). C) Via ingestiva Sintomatologie quali nausea, vomito, dolori addominali, diarrea e ulcerazioni gastriche sono state riportate in lavoratori esposti a cromo VI nell’ambiente di lavoro (Lucas et al, 1975; Sterekhova et al, 1978), a seguito di ingestione di alimenti contaminati (Partington, 1950) e di ingestione di acqua potabile contaminata (Zhang et al, 1987). In uno studio su ratti trattati con cromato di potassio (cromo VI) alla dose di 13,5 mg/kg pc/die per 20 giorni è stato 57 riscontrato un iperaccumulo di lipidi nel fegato (Kumar et al, 1982) e alterazione della funzionalità epatica (Kumar et al, 1985). Ratti trattati per gavaggio con 13,5 mg/kg pc/die di cromo VI per 20 giorni hanno mostrato un aumento di fosfolipidi e trigliceridi in diverse aree del parenchima renale rispetto al gruppo di controllo e l’inibizione dell’attività funzionale di alcuni enzimi di membrana (Kumar et al, 1984). Riduzione dell’attività motoria e dell’equilibrio è stata descritta in ratti a cui è stata somministrata la dose di 98 mg/kg pc/die per 28 giorni (Diaz-Mayans et al, 1986). Cancerogenicità La International Agency for Research on Cancer (IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO: World Health Organization) ha classificato nel 1990 il cromo VI e i suoi composti nel Gruppo I, cancerogeni per l’uomo (IARC, 1990). A) Via cutanea Non risultano essere stati condotti studi epidemiologici adeguati per valutare gli effetti a lungo termine dell’esposizione per via cutanea a cromo VI e alle sue soluzioni/miscele nell’uomo (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000). Gli studi sperimentali disponibili riguardano invece principalmente la determinazione degli effetti tossici acuti e cronici dell’applicazione di soluzioni di cromo VI sulla cute depilata di ratti, topi e conigli (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000). B) Via inalatoria Il primo studio epidemiologico che attesta la cancerogenicità del cromo per via inalatoria risale al 1948, quando su una coorte di lavoratori occupati in 7 diverse aziende per la produzione di cromati è stato riportato un aumento statisticamente significativo della mortalità per tumore al polmone (Machle et al, 1948). A questo studio ne sono seguiti numerosi altri di tipo epidemiologico, principalmente condotti su coorti di lavoratori esposti nei vari settori lavorativi in cui il cromo viene utilizzato nella forma esavalente. Fra questi settori rientrano: la produzione di cromati, produzione e uso di pigmenti a base di cromo VI, la cromatura, la saldatura degli acciai e produzione di leghe ferrocromiche. Tali studi epidemiologici sinotizzati in varie 58 monografie (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000), hanno confermato la cancerogenicità del cromo VI sull’uomo, soprattutto per quanto riguarda il polmone. Recentemente sono stati pubblicati i risultati di una ulteriore indagine epidemiologica molto ampia condotta su 2.357 lavoratori di un’azienda di produzione di cromati. I livelli dell’esposizione a cromo VI toccavano un massimo di 100 μg/m3, coincidente con il PEL (Permissible Exposure Level) stabilito da NIOSH, OSHA e ACGIH. L’indagine ha mostrato una chiara correlazione tra aumentata incidenza di tumori del polmone ed esposizione a cromo (Gibb et al, 2000). Oltre all’aumento del rischio di carcinoma polmonare in lavoratori esposti a cromo VI, in altre revisioni di studi epidemiologici è stato evidenziato un aumento del rischio di tumori dello stomaco, del rene, della prostata e della vescica (Cohen et al, 1993) oltre che di linfomi di Hodgkin e leucemie (Costa et al, 1997). Gli effetti dell’esposizione ambientale a cromo VI sono stati molto meno indagati. Il primo studio epidemiologico risale al 1980 ed è stato condotto sulle popolazioni residenti in prossimità di due fonderie svedesi per la produzione di leghe ferrocromiche. Le concentrazioni atmosferiche medie di cromo VI vicino ai due insediamenti industriali sono risultate nel range dai 100 ai 400 ng/m3. La mortalità per tumore del polmone nell’area ha avuto un picco di 253 casi per milione rispetto ai 194 attesi nella popolazione dell’intera regione (Axelsson et al, 1980). I primi dati in animali sperimentali risalgono al 1971. L’esposizione di 136 topi C57BL/6 per sesso e per gruppo a concentrazioni da 0 a 13 mg/m3 di polveri di cromato di calcio per 5 h/die, 5 giorni/settimana per 18 mesi seguiti da 12 mesi di osservazione, ha evidenziato un aumento statisticamente significativo dell’incidenza di tumori del polmone nel gruppo esposto alla concentrazione di 4,3 mg/m3 (Nettesheim et al, 1971). In uno studio condotto su 13 gruppi di 40 ratti SpragueDawley per sesso, trattati con dicromato di sodio per instillazione tracheale a dosi che vanno da 0 (gruppo di controllo) a 12,5 mg/kg pc, in una unica somministrazione o frazionata su 5 giorni, e osservati per oltre 30 mesi, è stato dimostrato un aumento dell’incidenza di tumori polmonari nei ratti trattati con la più alta dose (Steinhoff et al, 1983). Gruppi di 20 ratti Wistar sono stati trattati con aerosol di cromato di sodio alle concentrazioni calcolate di cromo VI di 0, 0,025, 0,05 e 0,1 mg/m3 per 22 h/die, 7 giorni/settimana per 18 mesi. Un gruppo aggiuntivo è stato trattato con le stesse 59 modalità utilizzando ossido di cromo VI/III pirolizzato con una concentrazione finale di cromo VI calcolata in 0,063 mg/m3. Tre tumori del polmone e uno del laringe sono stati osservati nel gruppo trattato con l’alta dose di cromato di sodio e 1 in quello trattato con ossido di cromo VI/III (Glaser et al, 1986). In definitiva risulta da tempo consolidata l’evidenza che il cromo VI inalato risulta cancerogeno per il polmone sia sulla base di studi epidemiologici che sperimentali. Studi più recenti hanno dimostrato anche che il cromo VI inalato può arrivare, attraverso l’apparato circolatorio, ad altri organi aumentando anche in quelle sedi il rischio di cancro. C) Via ingestiva Per quanto a conoscenza, in letteratura esiste un solo studio epidemiologico programmato per valutare i rischi cancerogeni del cromo VI ingerito attraverso l’acqua da bere: quello condotto da Zhang e Li (1987) su una popolazione di circa 10.000 persone residenti in un’area rurale della Cina contaminata da cromo VI rilasciato nell’ambiente da una fonderia di prodotti a base di cromo. La fonderia fu attivata nel 1965 e contemporaneamente iniziò anche la produzione di grandi quantità di rifiuti industriali smaltiti nell’ambiente circostante, al di fuori di un adeguato sistema di controllo. Ciò è durato fino all’inizio degli anni ’80 (Zhang et al, 1987). A partire dal 1965, l’acqua da bere prelevata da pozzi vicini all’area della fabbrica cominciò ad assumere un colore giallo a causa della contaminazione da cromo. Si scoprì che tale contaminazione si estendeva alla quasi totalità dei pozzi compresi in un’area di oltre 45 km2. La concentrazione di cromo VI raggiungeva livelli fino a 20.000 μg/l. Una sorveglianza medica iniziata nel 1965 mise in evidenza una elevata morbilità fra i residenti caratterizzata da ulcerazioni della mucosa del cavo orale, diarrea, vomito e dolori allo stomaco, tutti i sintomi associati alla esposizione a cromo. Nella loro pubblicazione Zhang e Li (1997) rilevarono che l’incidenza di tumori fra le popolazioni residenti nel periodo 1965-78 nei villaggi con più alte concentrazioni di cromo VI nell’acqua da bere prelevata dai pozzi contaminati era inferiore 60 rispetto a quella della popolazione che viveva in villaggi meno contaminati1. Poiché non risultavano chiari i diversi livelli espositivi delle popolazioni esposte a cromo VI nell’acqua da bere, l’Office of Environmental Health Hazards Assessment (OEHHA) dell’EPA dello stato della California ha rielaborato i dati, aggregando la mortalità per cancro fra la popolazione dei villaggi contaminati da cromo VI, in modo da costituire una singola popolazione di esposti. I tassi di mortalità per tutti i tipi di tumore, per il tumore del polmone, e per il tumore dello stomaco fra le popolazioni esposte erano confrontati con i tassi della provincia 1 Nel 2000 in U.S.A. l’interpretazione di Julia Roberts portò alla ribalta la storia di Erin Brockovich e il caso della Pacific Gas & Electric (PG&E), l’azienda chimica che ha usato per anni il cromo esavalente come antiruggine senza avere un sistema di smaltimento adeguato e inquinando le falde acquifere. Nella zona, in seguito all’esposizione a questo agente cancerogeno, è aumentata l’incidenza dei tumori e molti cittadini sono morti. Il film è stato tratto da una storia vera che ha sconvolto l’America. Dopo 6 anni di distanza dall’uscita del film si ritornò a parlare di questo caso sulle pagine della rivista The Scientist. L’Environmental Working Group ha ufficialmente chiesto alla Society of Toxicology di ammonire uno dei suoi membri: Dennis PAUSTENBACH, reo di aver collaborato ad una ricerca che è stata pubblicata nel 1997 nella quale si dichiarava che il Cromo VI non era una sostanza cancerogena. In particolare, lo studio era stato condotto da due ricercatori, Jian Dong ZHANG e ShuKun LI, su una popolazione rurale cinese esposta al cromo esavalente a causa della vicinanza di un’industria di lavorazione acciaio: uno scenario, dunque, simile a quello che si sarebbe verificato dopo alcuni anni negli Stati Uniti. A questo lavoro aveva partecipato anche, in qualità di collaboratore, PAUSTENBACH. La ricerca fu pubblicata sul Journal of Occupational and Environmental Medicine. Questo lavoro era stato finanziato anche dalla PG&E, ma gli autori non hanno dichiarato il conflitto di interesse. Questa ricerca è stata usata dai legali della PG&E durante la causa come prova della non colpevolezza della società. E’ storia che invece la PG&E è stata riconosciuta colpevole e costretta a risarcire le vittime. Nel 2006, a nove anni di distanza, l’Environmental Working Group nella persona del suo vicepresidente Richard WILES ha denunciato Dennis PAUSTENBACH per “attività fraudolenta” richiedendo la censura sulla ricerca pubblicata. L’evoluzione di questa storia, al di la delle aule del tribunale e delle sale cinematografiche, è singolare: si chiede un richiamo ufficiale ad un tossicologo accusato di essersi fatto corrompere; una sorta di tribunale scientifico che ripudia uno scienziato per un comportamento scorretto. Quello scienziato, Dennis PAUSTENBACH è il presidente e fondatore della ChemRisk ed è stato chiamato dall’amministrazione BUSH al National Center for Environmental Health dei CDC di Atlanta. (http://it.health.yahoo.net/print.asp?id=16409) 61 di cui i villaggi erano parte. I risultati di questa rielaborazione sono stati anticipati in una recente pubblicazione (Sedman et al, 2006). Da essa risulta un aumento non statisticamente significativo del rischio relativo per tutti i tumori; un aumento statisticamente significativo del rischio relativo di cancro dello stomaco; il rischio relativo per il cancro del polmone era pure elevato ma con minore significatività statistica. Come rilevato dagli autori, lo studio pubblicato da Zhang e Li soffre di importanti limitazioni: 1) la mancanza di dati sulle esposizioni individuali; 2) la mancanza di dati sui livelli di contaminazione atmosferica da cromo VI; e soprattutto 3) il periodo ancora troppo breve di osservazione, 13 anni. Nonostante tutto ciò, come affermano gli Autori, non può essere sottostimato l’aumento del rischio per i tumori del polmone e dello stomaco. Altri studi epidemiologici hanno evidenziato un aumento, in alcuni casi statisticamente significativo, della mortalità per neoplasie gastrointestinali in ambienti lavorativi dove la dispersione aerea di cromo VI e di altri inquinanti era così elevata da determinarne anche una parziale ingestione (IARC, 1990; ATSDR, 2000). La cancerogenicità del cromo VI assunto per via ingestiva con l’acqua da bere è stata studiata in due esperimenti condotti su topi. Il primo esperimento (Borneff et al, 1968) è stato eseguito su tre generazioni di topi HMRI maschi e femmine, esposti per tutta la vita a vari regimi di trattamento. Un gruppo di 120 femmine e 10 maschi è stato trattato con 1 mg/die (500 ppm) di cromato di potassio in acqua da bere (contenente 3% di detergente domestico). Un uguale numero di animali è stato trattato con acqua contenente 3% di detergente domestico. In aggiunta, due gruppi di 120 femmine e 10 maschi hanno ricevuto benzo-apirene da solo e benzo-a-pirene più 500 ppm di cromato di potassio in acqua da bere. Complessivamente lo studio comprendeva 4 gruppi sperimentali. Gli animali sono stati accoppiati dopo 6 settimane di trattamento (F0). Due topi per sesso/gruppo di ogni nidiata sono stati selezionati dalla prima generazione (F1) ed accoppiati per dare origine alla seconda generazione F2. La generazione F2 ha ricevuto lo stesso trattamento di F0 e F1. Durante la sperimentazione si è verificata una epidemia che ha drasticamente ridotto la popolazione animale senza però pregiudicare la potenza statistica dello studio. Aggregando i tumori dello stomaco maligni e benigni delle tre generazioni, sono stati osservati due carcinomi e nove papillomi 62 nelle femmine delle generazioni trattate con cromato di potassio. Nessun tumore maligno dello stomaco è stato trovato nel gruppo di controllo. L’aumento dell’incidenza dei tumori maligni e benigni aggregati nelle femmine trattate con cromo (11/66) era statisticamente significativo rispetto al controllo (2/79). Il riferimento all’ipotesi che i tumori del prestomaco siano stati causati dall’infezione virale verificatasi durante il corso dello studio, risulta in verità alquanto bizzarra dal momento che né tra i maschi né nel gruppo di controllo è stato riscontrato un analogo effetto. In un altro studio condotto da Davidson et al, (2004), gruppi di topi SK1-hrBR (20 per gruppo) sono stati esposti a cromato di potassio somministrato a varie dosi con l’acqua da bere e/o a raggi UV e osservati fino a 224 giorni di età per quanto riguarda l’insorgenza di tumori cutanei. Nessun tumore cutaneo è apparso negli animali trattati con solo cromo VI. L’associazione dell’esposizione a raggi UV e cromo VI ha provocato invece un aumento dei tumori cutanei dose-correlato con l’aumentare delle concentrazioni di cromo VI. Gli Autori concludono che poiché molte persone possono essere esposte simultaneamente a raggi solari UV e cromo VI presente nell’acqua da bere, i risultati di questo studio non possono essere sottostimati. Il limite delle concentrazioni di cromo nell’acqua da bere ancora oggi utilizzato sia in Italia che dall’EPA, è di 50 μg/l e si basa sui risultati del sopraccitato studio di Borneff et al, 1968 (ATSDR, 2000). L’Agency for Toxic Substances and Disease Registry (ATSDR) del Department of Health and Human Services (DHHS) del governo statunitense ha stabilito un limite massimo di assunzione giornaliera di cromo VI e III per via ingestiva di 210 μg, corrispondenti ad un valore di 3 μg/kg pc/die per un adulto di 70 kg come livello di rischio minimo (Minimal Risk Level – MRL). La determinazione del valore di riferimento viene definita necessaria a causa della dispersione di cromo da siti di stoccaggio di rifiuti tossici, l’assenza di dati scientifici soddisfacenti e il fatto che il cromo è un nutriente essenziale (ATSDR, 2000). Altri dati rilevanti per la cancerogenesi D) Effetti riproduttivi Studi sperimentali su ratti e topi hanno evidenziato alcuni effetti tossici del cromo VI sullo sviluppo dei feti. Un esperimento condotto trattando gruppi di topi Swiss femmine con le dosi di 0, 52, 98 e 169 mg/kg pc/die di cromo VI sotto forma di cromato di potassio, somministrato nell’acqua da bere 20 giorni prima a) 63 dell’accoppiamento, ha prodotto nei feti: diminuzione del numero e del peso, comparsa di petecchie emorragiche subepidermiche, riduzione dell’ossificazione, deformità e riduzione della lunghezza della coda (Junaid et al, 1996a; Junaid et al, 1996b). Dati simili sono stati ottenuti in diversi altri studi sperimentali condotti con modalità analoghe. Altri studi sperimentali su ratti e topi hanno dimostrato inoltre l’effetto del cromo VI su comportamenti sessuali, fertilità maschile, con riduzione di numero e funzionalità degli spermatozoi e, per quanto riguarda il sesso femminile, riduzione di numero e funzionalità dei follicoli (ATSDR, 2000). Genotossicità Gli effetti genotossici del cromo VI sono stati valutati attraverso numerosi studi in vitro e in vivo. I meccanismi ipotizzati sono principalmente tre: 1) danneggiamento indiretto del DNA attraverso la formazione di radicali liberi (Cohen et al, 1993); 2) danni ossidativi sul DNA direttamente mediati dal cromo VI (Sugden et al, 2000); e 3) formazione di addotti fra il DNA e il cromo VI (Zhitkovich, 2005). Una volta entrato nella cellula il cromo VI viene ridotto a cromo III dall’enzima cellulare glutatione (Petrilli et al, 1978; Debetto et al, 1988) portando alla formazione di diverse molecole di radicali liberi. Tali molecole, come noto, sono poi in grado di attaccare, danneggiandole, molte strutture cellulari fra cui lo stesso DNA e quindi di introdurre mutazioni e/o rotture nella doppia elica (Wiegand et al, 1985). A questo si aggiunga che in particolare il cromo III ha dimostrato una buona tendenza a formare addotti con alcune basi del DNA (Wetterhahn et al, 1989; Blankenship et al, 1997; Zhitkovich, 2005) e la formazione di legami crociati DNA-proteine (DPC = DNA-Protein Crosslinks) (ATSDR, 2000). La formazione di addotti con il DNA è in grado di portare all’insorgenza di mutazioni, rotture nei filamenti, formazione di DPC, aberrazioni cromosomiche e scambio di cromatidi fratelli (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000). b) E) Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica Acqua di falda ipoteticamente attinta dal pozzo G11, realizzato all’interno del perimetro aziendale Si ricorda che, fra le cognizioni scientifiche condivise a livello internazionale, vi sono le concentrazioni di cromo VI che 64 hanno prodotto effetti tossici da ingestione: effetti acuti si sono osservati con valori fra 50 e 70 mg/Kg; effetti subacuti (quali gastrite, nefrotossicità, epatossicità e disturbi gastrointestinali meno gravi) sono stati osservati a dosi stimate nell’ordine di 0,57 mg/Kgpc/die (Zhang e Xilin 1987), ossia 570 μg/Kg/die. Ipotizzando un consumo giornaliero minimo di 2 l d’acqua (tale è il consumo giornaliero al quale fa riferimento U.S. EPA) proveniente dal Pozzo G11 nella concentrazione massima del 7.11.2005 (26.000 μg/l), l’utilizzo costante del Pozzo G11 porterebbe a stimare un’ingestione giornaliera minima di 52.000 μg di cromo VI. Si tratterebbe di un consumo giornaliero 247 volte superiore al consumo giornaliero ammissibile (prendendo il riferimento condiviso del valore di Reference Dose previsto da U.S. EPA) di 210 μg.2 Inoltre è evidente che si va ben al di là del valore di 39.900 μg/die3 (ottenuto moltiplicando i 570 μg/kg/die x 70 Kg di p.c. dell’adulto tipo), che è la soglia oltre la quale sono conosciuti effetti tossici subacuti da ingestione. Sussiste, pertanto, non solo il pericolo, ma l’alta probabilità del danno4. Ipotizzando, conformemente alla normativa vigente nel nostro Paese (Direttiva 98/83 EC del 3.11.98), un consumo giornaliero medio di 3 litri della stessa acqua, si conclude che l’utilizzo costante del Pozzo G11 porta a stimare un’ingestione giornaliera media di 78.000 μg/l di cromo VI5. Si tratterebbe di un consumo giornaliero 371 volte superiore al consumo giornaliero ammissibile di 210 μg6. Inoltre si tratta del doppio del valore di 39.900 μg/die (ottenuto moltiplicando i 570 μg/kg/die x 70 Kg di p.c. dell’adulto tipo), che è la soglia oltre la quale sono conosciuti effetti tossici subacuti da ingestione. Sussiste, pertanto, non solo il pericolo, ma l’alta probabilità del danno. 2 52.000 μg/l : 210 μg/l = 247 570 μg/kg/die x 70 Kg di p.c. dell’adulto tipo = 39.900 μg/die 4 Nel nostro caso si avrebbe: 52.000 μg/die x 70 kg = 3.640.000 μg/die 5 26.000 μg/l x 3 l = 78.000 μg/l 6 78.000 μg/l : 210 μg/l = 371 circa 3 65 Fra le altre cognizioni scientifiche, vi sono le concentrazioni di cromo VI di cui si conoscono gli effetti immunologici da contatto: la reazione cutanea si determina in soggetti già sensibilizzati al cromo VI per concentrazioni superiori a 35 mg/l. La concentrazione massima di cromo VI in G11 il 7.11.2005, pari a 26 mg/l, è nello stesso ordine di grandezza della concentrazione provatamente dannosa e non molto lontana da quel limite. Il pericolo, dunque, sussiste. Altro dato della letteratura scientifica condiviso sono le evidenze sperimentali circa l’assorbimento cutaneo di entità estremamente contenute di cromo VI in soggetti volontari immersi in acqua con cromo VI ad una concentrazione estremamente elevata (22 mg/l per 3 h: Corbett et al., 1997). In caso di esposizione da contatto con l’acqua contaminata da 26 mg/l di cromo VI (corrispondenti alla concentrazione superficiale in G11 il 7.11.2005) si verificherebbe, quindi, un assorbimento cutaneo di una sostanza pacificamente cancerogena e pacificamente ad azione genotossica, ossia capace di provocare alterazioni del corredo genetico, per la quale (e maggiormente perché genotossica) non v’è dose soglia. Infine, fra le cognizioni scientifiche condivise in tema di cancerogenesi, v’è quella per cui la risposta cancerogena è funzione della dose espositiva. E’ indiscusso, inoltre, che “livelli non bassi” di esposizione per inalazione a cromo VI sono causa di cancro polmonare. Con riferimento all’anzidetta dose di 26 mg/l presenti in G11 il 7.11.2005, premesso che una prolungata esposizione per inalazione causerebbe il rischio di cancro al polmone, vi sarebbe anche il rischio di contrarre altre patologie cancerose per effetto dell’ingestione di acqua contaminata. In proposito non è necessario discutere, qui, la validità degli studi di Zhang, perché il dato quantitativo è assorbente. Considerato che anche soltanto il 2% del cromo VI ingerito sfugga alla barriera riducente della saliva e del succo gastrico (per le evidenze sperimentali circa la non illimitata capacità riducente della acidità gastrica dello stomaco si vedano US-EPA 1998, Paustenbach et al. 1996), “è plausibile”, sulla base delle evidenze scientifiche in punto farmacocinetica e genotossicità del cromo VI, che un eccesso rilevante di cromo VI rispetto alla ADI possa superare le capacità riducenti dello stomaco, e quindi produrre in quella sede il cancro, in analogia a quanto succederebbe nel polmone. 66 Acqua di falda attinta dai pozzi privati Va rilevato che le concentrazioni di cromo VI nei pozzi privati sono spesso superiori ai limiti di legge, per quantità che, nel biennio aprile 2002-aprile 2004, sono arrivate ad oltre cinque volte il limite anzidetto. (Nelle acque destinate al consumo umano la legislazione nazionale prevede in 50 μg/l il limite massimo consentito di cromo totale, anche se al 100% nella sua forma esavalente). Alcuni esempi diretti possono essere effettuati calcolando i valori di assunzione di cromo VI sulla base delle rilevazioni dell’ARPAV effettuate in data 26/03/2002 (pozzo n° 233 di M. O.), 15/07/2002, 24/07/2002 e 30/07/2002. A livello internazionale l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente Statunitense (EPA, Environmental Protection Agency) ha stabilito nel 1996 un livello di 5 μg/Kg/die per ingestione come riferimento al di sotto del quale non si registrano effetti avversi per la salute. A tale livello si farà riferimento nel seguito, anche se nel 1998 esso fu portato dall’EPA a 3 μg/Kg/die. L’EPA ha introdotto altresì il concetto di Reference Dose (RfD), definendolo come la stima numerica dell’esposizione giornaliera per via orale della popolazione generale, inclusi i sottogruppi sensibili (bambini, anziani, gestanti, immunodepressi) che non è in grado di causare effetti avversi per la salute durante il corso dell’intera vita. In generale si può affermare che, sempre sulla base dell’ipotesi dell’adulto di peso medio di 70 kg, il livello di rischio per la rilevazione di effetti tossici si debba calcolare come segue: RfD = concentrazione di cromo VI giornaliero di acqua = 350 μg x consumo medio dove: - RfD : dose di riferimento per il cromo VI. Un individuo adulto del peso medio di riferimento di 70 kg può assumere fino a 350 μg/die di cromo VI senza che gli vengano rilevati effetti avversi. - concentrazione di cromo VI = quantità di cromo VI misurata nell’acqua, espressa in μg/l; - consumo medio giornaliero di acqua = assunzione giornaliera di acqua, espressa in litri: nel nostro caso = 3, così come indicato dalla Direttiva 98/83 CE del 03/11/1998. 67 Questo significa che, considerando un individuo adulto del peso medio di riferimento di 70 Kg, il limite massimo di assunzione di cromo VI in termini di rilevazione di effetti tossici è di 350 μg/die. Facendo pertanto riferimento che l’adulto medio di 70 Kg di peso assume mediamente 3 l/die di acqua nel periodo estivo si ottengono i seguenti valori in base alla formula sopra esposta: - 26/03/2002: 15/07/2002: 24/07/2002: 30/07/2002: Assunzione Assunzione Assunzione Assunzione giornaliera giornaliera giornaliera giornaliera = = = = (275 (215 (220 (215 μg/l) μg/l) μg/l) μg/l) x x x x 3 3 3 3 l l l l = = = = 825 645 660 645 μg μg μg μg > > > > 350 350 350 350 μg μg μg μg Il che equivale a dire che chi ha usato o ha rischiato di usare l’acqua di questi pozzi come fonte di liquidi, ipotizzando un consumo medio giornaliero di 3 l/die, ha assorbito o ha rischiato di assorbire fino a 825 μg di cromo VI, ossia più del doppio del limite stabilito per gli effetti tossici, se si considera il riferimento universale dell’adulto di 70 Kg. Su questa base si può affermare che nel biennio aprile 2002 - aprile 2004, si sono verificati almeno 20 superamenti accertati dei limiti di legge, fra i quali 5-7 superamenti accertati dei limiti per la manifestazione di effetti tossici, e un generale elevato livello di rischio per quanto riguarda possibili effetti cancerogeni dell’esposizione a cromo VI. Il livello di rischio cancerogeno deve essere quantificato come alto rispetto ai meccanismi di induzione degli effetti cancerogeni e al concetto di soglia come limite “socialmente tollerabile” e non come equazione matematica, ancor meno in presenza di una sostanza ad azione anche genotossica. Il dato sopra esposto va, inoltre, valutato alla luce dell’esposizione della popolazione infantile, di quella anziana, dei soggetti immunodepressi, delle donne gravide. Nel primo caso, infatti, a fronte di un consumo di acqua non così dissimile da quello adulto, il peso corporeo è spesso molto più ridotto e il raggiungimento dei livelli di soglia più rapido. Gli anziani invece rappresentano una fascia di popolazione a rischio a causa della ridotta efficacia delle funzioni metaboliche. Basti pensare che i dati di cancerogenesi umana attestano che l’80% dei tumori si verificano in ultrasessantacinquenni. 68 2. NICKEL Presenza in natura, produzione e uso Il nickel è un elemento naturale che fa parte del gruppo VIIIA della serie dei metalli di transizione della tavola periodica degli elementi. Complessivamente costituisce, in termini di peso, il quinto elemento più diffuso dell’intero pianeta e si presenta nella sola forma ionica di (2+) in condizioni ambientali standard. Viene estratto dalla garnierite, dalla pirrotite nickelifera e dagli “speiss” nickeliferi. I procedimenti di estrazione sono piuttosto complessi e variano con la natura del minerale da trattare; in ogni caso si ottiene l’ossido da cui si ricava il metallo per riduzione con carbone di legna oppure con vapore acqueo a 350 – 400 °C. L’estrazione di nickel nel 2002 ammontava, a livello mondiale, a 1.340.000 tonnellate (Kuck, 2002). La seconda sorgente di nickel deriva dal riciclaggio di materiali che lo contengono. Da questa fonte, secondo dati che risalgono al 1988, sono stati prodotti in quell’anno 54.712 tonnellate (ATSDR, 2005a) Il nickel viene principalmente utilizzato nelle leghe metalliche per le sue caratteristiche di resistenza alla corrosione e al calore e per la durezza e la solidità che ad esse conferisce (IARC, 1990; ATSDR, 2005a). A seconda del tipo di utilizzo, le leghe contenenti nickel possono anche contenere rame, cromo, ferro, molibdeno, argento e zinco. Le leghe di nickel sono principalmente utilizzate nell’industria metalmeccanica navale e petrolchimica, come agente anticorrosivo, nella costruzione di motori per le turbine, per la produzione di magneti e per la produzione di posateria. A seconda del tipo di uso, il nickel viene utilizzato nelle forme iniziali di ossido, idrossido, solfato o sale (IARC, 1990; ATSDR, 2005a). 69 Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale I valori di concentrazione del nickel che naturalmente sono presenti nel terreno variano notevolmente a seconda delle aree geografiche e della tipologia del terreno. Le concentrazioni tipiche riportate vanno da 4 a 80 μg/g (ATSDR, 2005a). Acque continentali e marine incontaminate contengono mediamente circa 0.3 μg/l di nickel (Barceloux, 1999). Le concentrazioni di nickel nell’acqua da bere normalmente vanno da 0.55 a 25 μg/l con valori medi fra 2 e 4,3 μg/l (FDA, 2000). Le concentrazioni di nickel in atmosfera in aree remote, rurali e urbane degli Stati Uniti sono risultate rispettivamente nei seguenti range: 0,01-60, 0,6-78 e 1-328 ng/m3 (Schroeder et al, 1987). Secondo una valutazione della Environmental Protection Agency (EPA) nel 1996 il valore medio di concentrazione di nickel nell’aria sarebbe stato di 2,22 ng/m3 (EPA, 2003).In ambiente domestico sono state determinate concentrazioni di nickel nell’aria al di sotto di 10 ng/m3 da diversi autori (ATSDR, 2005a). Anche per il nickel l’esposizione della popolazione generale può avvenire attraverso le tre principali vie: cutanea, inalatoria e ingestiva. L’inalazione è di gran lunga la più importante ed è dovuta alle emissioni di nickel in atmosfera ad opera delle principali attività produttive umane. Data la scarsa solubilità dei composti del nickel, la possibilità che esso possa entrare a contatto con la cute o possa essere ingerito risulta poco probabile. Una tale evenienza potrebbe essere possibile solo in seguito a massicci inquinamenti diretti di acque per uso umano oppure, in vicinanza di una falda, a sversamenti tali da saturare completamente il terreno portando a una migrazione del nickel in falda. In un recente studio condotto dalla National Academy of Sciences (NAS) americana, l’assunzione media di nickel nei due sessi al di sopra dei 18 anni di età è risultata compresa fra i 70 valori di 101 e 162 μg/die; questo range è di 136-140 μg/die negli uomini e di 107-109 μg/die nelle donne. I valori salgono a 121 e 162 μg/die nelle donne durante il periodo della gravidanza e dell’allattamento (NAS, 2002). Si valuta inoltre che l’assunzione giornaliera di nickel sia mediamente intorno agli 8 μg considerando una concentrazione media nell’acqua da bere di 4 μg/l. Tossicocinetica A) Via cutanea Studi sull’uomo hanno dimostrato che il nickel in soluzione è in grado di penetrare la cute. In particolare soluzioni di cloruro di nickel hanno un livello di permeabilità circa 50 volte superiore al solfato di nickel (Fullerton et al, 1986). Il dato risulta confermato da indagini condotte su coniglio e su altre specie che hanno portato al rinvenimento di nickel nelle urine a 24 h dalla applicazione cutanea (Norgaard, 1957; Lloyd, 1980). Gli unici dati relativi alla distribuzione del nickel nell’organismo dopo assorbimento cutaneo, sono disponibili da studi su animali che attestano un accumulo dello ione metallico nel sangue, reni e fegato (Norgaard, 1957). Non esistono dati sulla tossicodinamica del nickel assorbito per via cutanea. B) Via inalatoria Nell’uomo circa il 20-35% del nickel inalato, dopo aver raggiunto i polmoni, entra nel circolo sanguigno (Grandjean, 1984), mentre la restante parte viene ingerita, oppure esalata o trattenuta all’interno delle vie respiratorie (Angerer et al, 1990). Il nickel assorbito viene quindi escreto nelle urine a concentrazioni che sono dipendenti dal grado di solubilità della soluzione di partenza (Torjussen et al, 1979). 71 Esami autoptici hanno rilevato concentrazioni di nickel di circa 330 μg/g di tessuto secco in lavoratori dell’industria della nickelatura esposti a composti insolubili del nickel; 34 μg/g di tessuto secco in lavoratori dell’industria di elettroliti esposti a composti solubili del nickel e di 0,76 μg/g in persone non esposte (Svenes et al, 1998). Uno studio condotto su gruppi di ratti F344/N trattati per via inalatoria con solfato e ossido di nickel marcati con 63Ni, ha evidenziato un tempo di dimezzamento del solfato di nickel nei polmoni pari a 32 h rispetto a 120 giorni per quanto riguarda l’ossido di nickel. È stato inoltre osservato che l’unica via di eliminazione per l’ossido di nickel è attraverso le feci, mentre il solfato viene ritrovato anche nelle urine (Benson et al, 1994). C) Via ingestiva Studi di assorbimento gastrointestinale del nickel sull’uomo hanno dimostrato che lo ione viene assorbito 40 volte più efficacemente quando assunto con acqua anziché col cibo (Sunderman Jr., 1989). I livelli ematici di nickel raggiungono il picco dopo 1,5-3 h dall’ingestione ed il tempo di dimezzamento è di circa 60 h (ATSDR, 2005a). Studi sull’animale hanno rivelato che il nickel si accumula preferibilmente nel rene dopo trattamenti sia a lungo sia breve termine. Incrementi delle concentrazioni tissutali di nickel si rilevano anche in fegato, cuore, polmoni, nervi periferici, cervello e nei depositi di grasso (ATSDR, 2005a). Il nickel è anche in grado di attraversare la placenta come dimostrato dall’aumento delle concentrazioni del metallo in feti di topo durante la vita fetale (Schroeder et al, 1964; Jasim et al, 1986). Circa il 51-82% del nickel assunto dall’uomo con la dieta viene eliminato in 5 giorni dall’assunzione (Patriarca et al, 1997). Nel ratto per contro, il 94-97% del nickel assunto per via orale viene eliminato nell’arco delle 24 h (Ho et al, 1973). 72 Tossicità acuta e cronica A) Via cutanea L’osservazione di dermatiti allergiche da contatto rappresenta un evento comune nell’uomo a seguito dell’esposizione a nickel. Uno studio ha evidenziato che su 75.000 individui sottoposti a patch test, il 15,5% è risultato positivo (Uter et al, 2003). Altri studi analoghi, condotti su coorti più ridotte, hanno confermato questo dato (Nielsen et al, 2002; Ozkaya-Bayazit et al, 2002; ATSDR, 2005a). La dermatite da contatto con il nickel viene descritta più frequentemente in giovani donne rispetto ai maschi e alle persone adulte, probabilmente a causa di una sensibilizzazione dovuta all’utilizzo prolungato di gioielleria, quale ad esempio gli orecchini (Dotterud et al, 1994). La distanza temporale fra le esposizioni cutanee a nickel e la costante localizzazione dell’esposizione nella stessa sede hanno dimostrato di essere due elementi importanti per la cronicizzazione della reazione allergica (Keczkes et al, 1982; Hindsen et al, 1997). Studi sperimentali su animali hanno dimostrato la capacità del nickel di indurre una sensibilizzazione della cute in guinea pig trattati con applicazione cutanea o iniezione intradermica di nickel solfato (Wahlberg, 1976; Turk et al, 1977; Zissu et al, 1987). Il trattamento di ratti a livello epidermico con nickel solfato ad una concentrazione di circa 40 mg/kg pc/die per 15 o 30 giorni ha prodotto una alterazione dell’epidermide e del sottostante derma con ipercheratinizzazione, vacuolizzazione, degenerazione dello strato basale e atrofia del tessuto. È stata inoltre osservato un effetto degenerativo a carico dei testicoli (Mathur et al, 1977). 73 B) Via inalatoria La comparsa di bronchiti e riduzione della capacità ventilatoria polmonare è stata descritta in alcuni lavoratori dell’industria dell’acciaio esposti ad alte concentrazioni atmosferiche di nickel e cromo (Kilburn et al, 1990). Fibrosi polmonare di livello moderato è stata invece descritta fra i lavorati di una fabbrica per la produzione di nickel con un trend dose-correlato per i gruppi esposti a 0,04, 0,15 e 0,60 mg/m3 (Berge et al, 2003). L’insorgenza di asma di origine allergica o da irritazione delle vie respiratorie è stata riscontrata in alcuni lavoratori esposti a nickel (Dolovich et al, 1984). Uno studio epidemiologico su lavoratori addetti alla produzione di nickel ha consentito di rilevare una correlazione fra la presenza dello ione metallico nelle urine e proteinuria (Sunderman Jr. et al, 1981). Il dato è stato confermato da uno studio analogo nel quale era stato determinato un livello espositivo in 0,75 mg/m3 di nickel sotto forma di solfato e cloruro (Vyskocil et al, 1994). I due studi sono risultati indicativi di un danno renale indotto dall’esposizione a nickel (ATSDR, 2005a). Infiammazioni polmonari, difficoltà respiratorie, degenerazioni dell’epitelio dei bronchioli, sono state descritte in ratti F344/N e topi B6C3F1 trattati per via inalatoria con solfato di nickel, subsolfuro di nickel e ossido di nickel a concentrazioni da 0,7 a 23,6 mg/m3 per 6 h/die in 12 giorni consecutivi. In ratti esposti a ossido di nickel è stata osservata una diminuzione dei livelli di ematocrito; viceversa in quelli esposti a subsolfuro di nickel è stato rilevato un aumento dei suddetti valori. Diminuzioni del peso corporeo sono state descritte solo nei ratti (NTP, 1996a; NTP, 1996b; NTP, 1996c). Infiammazione a livello degli alveoli polmonari è stata riscontrata in ratti F344/N e topi B6C3F1 trattati con solfato di nickel alla concentrazione di 0,11 mg/m3 e ossido di nickel a 74 1,96 mg/m3 per 6 mesi, 6 h/die, 5 giorni/settimana (Benson et al, 1995). C) Via ingestiva Uno studio su 35 lavoratori che hanno accidentalmente bevuto acqua contaminata con nickel solfato, nickel cloruro e acido borico (ad una dose complessiva di nickel stimata fra i 7,1 e i 35,7 mg/kg pc), ha evidenziato in 20 lavoratori una sintomatologia caratterizzata da nausea e vomito, oltre ad un aumento dei reticolociti circolanti, un aumento transitorio della bilirubina sierica e di albumina nelle urine di 3 lavoratori; in alcuni lavoratori sono stati anche riscontrati disturbi nervosi quali disorientamento, euforia e mal di testa (Sunderman Jr. et al, 1988). Diversi studi sull’uomo hanno indicato che l’ingestione di una singola dose di solfato di nickel, è in grado di produrre un aggravamento della dermatite in individui sensibilizzati in particolare eritemi corporei e peggioramento del quadro eczematoso delle mani (Hindsen et al, 2001; Jensen et al, 2003). Dall’analisi dei diversi studi risulta che il livello di soglia per l’aggravamento delle sindromi eczematose in individui sensibili è di 0,01 mg/kg pc di nickel (ATSDR, 2005a), pari a 350 μg/l di nickel nell’acqua da bere per una persona di 70 kg che beva mediamente 2 litri di acqua al giorno. Due studi condotti somministrando nickel solfato nel mangime per 2 anni a ratti alle dosi comprese fra 75 e 187,5 mg/kg pc e a cani alla dose di 62,5 mg/kg pc, hanno evidenziato nei ratti un aumento del peso del cuore, diminuzione del peso del fegato e decremento del peso corporeo di oltre il 10%; nei cani enfisemi polmonari e bronchiectasie, comparsa di vomito, abbassamento dei livelli dell’ematocrito, poliuria e aumento del peso dei reni, aumento del peso del fegato e decremento del peso corporeo (Ambrose et al, 1976). In uno studio sperimentale, condotto dalla American Biogenics Corporation (ABS) su ratti trattati per gavaggio per 91 75 giorni con soluzioni concentrazione di 8,6 contenenti mg/kg cloruro di sono state pc, nickel alla evidenziate polmoniti, gastriti ulcerate ed enteriti, aumento nel conteggio delle piastrine, diminuzione del peso di cuore, fegato e reni oltre che una significativa diminuzione del peso corporeo, dei livelli di glucosio nel sangue ed effetti neurologici quali letargia, atassia, prostrazione, respiro irregolare e abbassamento della temperatura corporea (ABS, 1988). In un test multigenerazione, condotto dal Research Triangle Institute (RTI) trattando ratti con nickel cloruro alla dose di 55 mg/kg pc per 11 settimane, è stato osservato: un aumento del peso dei polmoni, una riduzione del peso dei reni, un aumento del peso dell’ipofisi nei maschi, una diminuzione del peso corporeo e un aumento della mortalità nella prole (RTI, 1986; RTI, 1988a; RTI, 1988b). Ratti trattati con cloruro di nickel somministrato con l’acqua da bere a concentrazioni di 5,75-28,8 mg/kg pc per 13 settimane hanno evidenziato un incremento della concentrazione proteica e una diminuzione dell’attività della fosfatasi alcalina associata ad un aumento del peso dei polmoni, oltre che una diminuzione del peso del fegato e dei reni con associata oliguria (Obone et al, 1999). Una indagine sperimentale su topi trattati per via orale con nickel solfato alla dose di 1,1 mg/kg pc per 35 giorni, ha evidenziato un accumulo di nickel negli epididimi, testicoli, vescicole seminali e prostata. L’accumulo dello ione metallico ha prodotto alterazioni istologiche patologiche quali vacuolizzazione e degenerazione dell’epitelio epididimale, atrofia dei tubuli seminiferi centrali e spermatogenesi irregolare (Pandey et al, 1999). 76 Cancerogenicità La IARC nel 1990 ha classificato nel gruppo 1 (cancerogeno per l’uomo) i composti sulfurici del nickel e le miscele di solfato e ossido di nickel, principalmente a causa degli effetti cancerogeni per il naso e il polmone riscontrati sia in lavoratori esposti che sulla popolazione generale. Il nickel metallico è stato invece inserito nel gruppo 2B (possibile cancerogeno per l’uomo) per la scarsità dei dati disponibili (IARC, 1990). A) Via cutanea Non sono stati condotti studi per la determinazione della cancerogenicità del nickel per via cutanea sull’uomo e sull’animale sperimentale. B) Via inalatoria La stragrande maggioranza dei dati disponibili sugli effetti cancerogeni per l’uomo derivanti dall’esposizione a nickel, provengono da studi di coorte effettuati su lavoratori principalmente esposti a ossido di nickel, nickel metallico oppure a polveri contenenti percentuali diverse dello ione metallico (IARC, 1990; ATSDR, 2005a). Si stima che oltre 100.000 lavoratori siano stati considerati nei vari studi epidemiologici condotti (Seilkop et al, 2003). Gli studi condotti hanno evidenziato complessivamente un aumento statisticamente significativo dell’incidenza di neoplasie dei tessuti delle cavità nasali e del polmone particolarmente fra i lavoratori addetti alla produzione del nickel ed esposti principalmente allo ione metallico sotto forma di solfuro e ossido (IARC, 1990; ATSDR, 2005a). Rimane tuttavia difficile definire quale, fra i composti del nickel, risulti essere quello che possiede il più elevato livello di cancerogenicità. Dall’analisi delle attività lavorative considerate nei vari studi epidemiologici, appare possibile comunque affermare che i dati di cancerogenicità più evidenti sono stati 77 descritti per quelle attività lavorativa in cui si faceva uso di solfuro di nickel (ICNCM, 1990). La cancerogenicità del nickel per via inalatoria è stata inoltre analizzata in diversi studi sperimentali su animali. Due esperimenti su ratti F344 esposti a nickel subsolfato alla concentrazione di 0,7 mg/m3 per 6 h/die, 5 giorni/settimana per 78 settimane hanno mostrato un aumento statisticamente significativo di tumori al polmone (Ottolenghi et al, 1975). Un risultato analogo è stato ottenuto nello studio condotto dall’NTP utilizzando nickel subsolfuro (NTP, 1996c). C) Via ingestiva Esistono pochi dati sulla cancerogenicità del nickel e i suoi composti per via ingestiva nell’uomo. Va tuttavia ricordato che studi epidemiologici su lavoratori esposti ad alte dosi di nickel aerodisperso hanno evidenziato aumenti più o meno statisticamente significativi di neoplasie della cavità orale e del faringe (ICNCM, 1990), e dello stomaco (Saknyn et al, 1970; Saknyn et al, 1973). Questi dati conducono ad ipotizzare una ingestione di quantità rilevanti di nickel tali da indurre neoplasie delle sedi esposte. Uno studio epidemiologico condotto in alcune città dello stato dell’Iowa negli Stati Uniti, ha evidenziato aumenti nell’incidenza di tumori dello stomaco, colon, polmone, prostata e vescica in aree i cui pozzi erano inquinati con nickel. L’analisi dei dati ha mostrato una correlazione tra dose e risposta per quanto riguarda i tumori della vescica e del polmone (Isacson et al, 1985) Per quanto concerne i dati sperimentali sull’animale, due studi condotti su ratto e topo trattati con acetato di nickel somministrato nell’acqua da bere alle dosi rispettivamente di 0,6 e 0,95 mg/kg/ pc/die, non hanno evidenziato un effetto cancerogeno del composto (Schroeder et al, 1964; Schroeder et al, 1974). 78 D. Altri dati rilevanti per la cancerogenesi a) Effetti riproduttivi Un aumento di aborti spontanei è stato riscontrato su 356 donne impiegate presso un’azienda per la produzione di nickel in Russia. Le concentrazioni di nickel nell’aria sotto forma di solfato, andavano da 0,08 a 0,196 mg/m3 (Chashschin et al, 1994). Nello stesso studio di Chashschin et al (1994) sono stati anche rilevate malformazioni nella prole delle donne esposte a nickel. L’incidenza percentuale di tutte le malformazioni è risultata aumentata in modo statisticamente significativo quando paragonata a quella descritta per le lavoratrici del settore delle costruzioni. Uno studio condotto dall’NTP su ratti F344/N e topi B6C3F1 ha evidenziato lesioni degenerative a carico dei testicoli (NTP, 1996a; NTP, 1996b; NTP, 1996c). b) Genotossicità Studi in vitro e in vivo hanno fornito risultati controversi per quanto concerne la genotossicità del nickel e dei suoi composti. Mutazioni del DNA sono state descritte solo in alcuni modelli sperimentali in vitro con batteri e linee cellulari di mammiferi (ATSDR, 2005a); idem la formazione di “gap” nei cromosomi linfocitari di lavoratori di aziende di produzione di nickel (Waksvik et al, 1982). E) Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica Dai documenti in atti risulta che il nickel impiegato nelle lavorazioni di nickelatura dalla galvanica “Alfa” era nella forma di nickel solfato e (meno) di nickel cloruro. I valori di riferimento sono i 290 μg/l di G5 (acqua superficiale, 10.10.2005), i 242 μg/l di G8 (acqua superficiale, 10.10.2005), i 210 μg/l di G12 (acqua superficiale, 10.10.2005). Le dosi anzidette sono inferiori a quelle la cui ingestione ha posto in evidenza effetti tossici (Sunderman Jr. et al, 1988). 79 La concentrazione di 290 μg/l è, invece, 29 volte maggiore del livello di soglia per l’aggravamento delle sindromi eczematose in caso di ingestione da parte di individui sensibilizzati, livello indicato in 0,01 mg/kg pc (ossia 10 μg/l) (Hinsen et al., 2001; Jensen et al., 2003; ATSDR, 2005a). Infatti ipotizzando, come in precedenza (Direttiva 98/83 EC del 03.11.1998), un consumo giornaliero di 3 litri d’acqua, si conclude che l’utilizzo costante del Pozzo G5 porta a stimare un’ingestione giornaliera di 870 μg di cromo VI. Si avrebbe quindi il superamento del valore di 700 μg/die (ottenuto moltiplicando i 10 μ g/die/kg x 70 Kg di p.c. dell’adulto tipo), che è la soglia oltre la quale sono conosciuti gli effetti dannosi in discussione. Sussiste, pertanto, il pericolo del danno in parola. Ancora, avuto riguardo al fatto che il limite legale di concentrazione del nickel nell’acqua potabile è pari a 20 μg/l, è sufficiente osservare che una dose circa dieci - quindici volte superiore7 comporta un inaccettabile rischio, ossia un pericolo concreto, di contrarre malattie. Infine va ricordato che il nickel solfato è classificato da IARC (sin dal 1990) come cancerogeno per l’uomo; che studi epidemiologici su lavoratori esposti per inalazione hanno posto in evidenza aumenti di neoplasie della cavità orale, del faringe, dello stomaco (ICNCM, 1990; Saknyn et al., 1970 e 1973); che uno studio epidemiologico su una coorte esposta all’ingestione di acqua di pozzo contaminata ha evidenziato aumenti nell’incidenza di tumori dello stomaco, colon, polmone, prostata e vescica, anche correlati alla dose per quanto riguarda i tumori della vescica e del polmone (Isacson et al., 1985). I livelli espositivi ipotizzabili in caso di ingestione e di contatto con acqua di falda contaminata da nickel nelle concentrazioni sopra richiamate sono tali da comportare un superamento inaccettabile del rischio di insorgenza di neoplasie. Valgono inoltre per il nickel le stesse considerazioni sulla concreta possibilità di contaminazione della popolazione riportate nel seguito per il piombo alle pagine 92 e 93. 7 In G5, 290 μg/l : 20 μg/l = 14, 5 volte; in G8, 242 μg/l : 20 μg/l = 12,1 volte; in G12, 210 μg/l : 20 μg/l =10,5 volte. 80 3. PIOMBO Presenza in natura, produzione e uso Il piombo è un elemento naturale che fa parte del gruppo IVB della serie dei metalloidi/non metalli della tavola periodica degli elementi. Viene prodotto principalmente per estrazione dal minerale galena sotto forma di ossido di piombo poi trasformato nello ione metallico. L’estrazione di piombo nel 2005 ammontava, a livello mondiale, a 3.280.000 tonnellate (USGS, 2005b). La seconda sorgente di piombo proviene dal riciclaggio di materiali che lo contengono e principalmente dagli acidi delle batterie esauste, che ha consentito, nel 2005, nei soli Stati Uniti, di recuperare circa 1.100.000 tonnellate di piombo (USGS, 2005b).USGS, 2005b Il piombo possiede importanti caratteristiche quali duttilità, alta densità, basso punto di fusione, resistenza agli acidi, capacità di reagire con l’acido solforico e stabilità chimica in aria, acqua e suolo. Queste peculiarità hanno portato ad un vastissimo uso di questo metalloide per la produzione di leghe utilizzate in gioielleria, produzione di sistemi di protezione dalle radiazioni ionizzanti, copertura di cavi, produzione di materiali per l’insonorizzazione, per le placcature resistenti agli acidi, nelle munizioni, nei pigmenti e altri composti nella produzione dei vetri, nella “metratura” delle ceramiche, nelle batterie e, nel passato, nelle benzine come ottimizzatore del numero di ottani. Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale Le concentrazioni naturali di piombo nel suolo sono caratterizzate da una altissima variabilità e, data la scarsa 81 solubilità in acqua, da livelli elevati. Concentrazioni medie di 87 mg/kg sono state riscontrate nelle zone costiere, e di 23 mg/kg nei sedimenti dei fiumi (EPA, 1982). Mediamente le concentrazioni di piombo nel terreno vanno da meno di 10 a 30 mg/kg. Questo valore tuttavia è soggetto a notevoli variazioni soprattutto a livello della superficie del terreno in quanto le attività industriali e l’inquinamento delle città sono in grado di aumentare da 2 a 30 volte i livelli di piombo riscontrati nel terreno (EPA, 1986). Nelle acque marine le concentrazioni medie di piombo si aggirano sugli 0,05 μg/l (EPA, 1982), nelle acque dolci dei fiumi attorno a 5 μg/l (Bowen, 1966). Il monitoraggio dell’acqua potabile di 580 città degli Stati Uniti ha consentito di rilevare un valore medio di concentrazione per il piombo di 29 μg/l con un range che va da 10 a 30 μg/l (EPA, 1989). Ulteriori indagini per verificare l’effetto del rilascio di piombo dalle tubature nell’acqua negli USA sono state condotte prelevando campioni presso oltre 1.400 punti di prelievo degli acquedotti dei consorzi incaricati della loro gestione. Il dato cumulativo ha fornito un valore di concentrazione di 4,2, 4,5 e 9,0 μg/l rispettivamente per tubature galvanizzate, di plastica e di rame. Tali concentrazioni di piombo in acqua passante in materiali che non contengono piombo, sono indicative della provenienza naturale del metalloide (Lee et al, 1989). Le concentrazioni di piombo nell’aria vanno da valori estremamente bassi di circa 7,6 pg/m3 in aree remote quali le zone antartiche (Maenhaut et al, 1979), fino ad oltre 10 μg/m3 registrati nei pressi di fonderie (ATSDR, 2005b). Dati del programma nazionale di monitoraggio della qualità dell’aria condotto dall’EPA, indicano che nel 2002 la concentrazione media di piombo nell’aria è diminuita di circa il 94% rispetto all’inizio degli anni ’80. Il fenomeno si ritiene principalmente dovuto alla sostituzione del piombo come additivo delle benzine. I valori registrati usualmente sono mediamente di 0,05 μg/m3 (EPA, 2005). 82 Nell’ambito del progetto nazionale condotto dall’EPA per la determinazione dell’esposizione umana a diversi inquinanti atmosferici, le concentrazioni aeree di piombo sono state misurate nell’ambiente domestico di 213 abitazioni di 6 stati degli Stati Uniti attraverso il campionamento delle polveri. I valori medio e mediano registrati sono stati rispettivamente di 15,20 e 6,17 ng/m3. La concentrazione mediana di piombo registrata nell’aria all’esterno delle abitazioni per queste aree è stata di 8,84 ng/m3 (Bonanno et al, 2001; Clayton et al, 2002). Tossicocinetica A) Via cutanea Piombo è stato ritrovato nell’epidermide di lavoratori dell’industria della produzione di batterie prima del loro turno di lavoro e anche dopo aver lavato la cute. Il dato depone per una possibile adesione forte del piombo alla pelle o per una penetrazione dello stesso nel derma (Sun et al, 2002). In generale è noto che il piombo in forma inorganica (nitrato e acetato di piombo), in seguito ad assorbimento per esposizione cutanea, viene escreto dall’organismo umano con il sudore e le urine (Moore et al, 1980; Stauber et al, 1994). In uno studio comparativo su due gruppi di ratti, condotto applicando circa 100 mg di piombo sotto forma di sale organico o inorganico sulla cute del dorso opportunamente depilata, è stata rilevata la concentrazione dei composti del piombo nelle urine prima dell’applicazione e 12 h dopo. Lo studio ha rivelato come i sali organici del piombo siano in grado di attraversare la cute dell’animale con un efficacia molto più evidente rispetto a quelli inorganici (Bress et al, 1991). 83 B) Via inalatoria Il piombo disperso nell’aria consiste principalmente di particelle inorganiche che, inalate, si depositano nell’albero respiratorio a diversi livelli a seconda della loro dimensione (ATSDR, 2005b). Test sull’uomo hanno infatti consentito di verificare che l’esposizione a piombo inorganico trasportato da particelle di diametro inferiore a 1 μm sono in grado di veicolare lo ione fino agli alveoli polmonari (James et al, 1994). Studi su soggetti umani volontari esposti per circa 1-2 minuti a piombo tetraetile marcato radioattivamente con somministrato alla concentrazione dimostrato che: 1) circa il 37% del di 203Pb 1 mg/m3, 203Pb, e hanno si era inizialmente depositato nel tratto respiratorio; 2) il 20% veniva esalato nell’arco di 48 h dall’esposizione; 3) 1 h dopo l’esposizione circa il 50% del 203Pb era localizzabile nel fegato, il 5% nei reni e il restante distribuito nei vari distretti corporei (Heard et al, 1979). I dati disponibili sull’uomo sono inoltre confermati da alcuni studi sperimentali i quali, pur soffrendo di diverse limitazioni sperimentali, hanno fornito indicazioni analoghe (ATSDR, 2005b). C) Via ingestiva La quantità di piombo assorbito a livello gastrointestinale varia notevolmente in relazione all’età, allo stato fisiologico, al digiuno, ai livelli nutrizionali di calcio e ferro, e dallo stato di gravidanza (ATSDR, 2005b). È stato calcolato che nei bambini l’assorbimento gastrointestinale di piombo nei suoi composti più solubili, raggiunge il 40-50% (Ziegler et al, 1978). L’assorbimento degli stessi composti in adulti regolarmente nutriti, non supera il 3-10% (Watson et al, 1986). Studi sperimentali su animali hanno confermato il dato. Un esperimento su scimmie Rhesus giovani e adulte, a cui è stato somministrato acetato di piombo per intubazione gastrica alla 84 dose di 6,37 mg/kg pc, hanno dimostrato un assorbimento del 38% della dose nei giovani e del 26% negli adulti (Pounds et al, 1978). Analogamente diversi esperimenti su diversi ceppi di ratti, hanno rilevato che quelli di età più giovane assorbono il piombo, somministrato in varie forme, in quantità 40-50 volte superiore agli adulti (Kostial et al, 1978; Aungst et al, 1981). La presenza di cibo nel tratto gastrointestinale è inoltre in grado di ridurre drasticamente l’assorbimento del piombo come dimostrato da innumerevoli studi sperimentali (ATSDR, 2005b). Nell’adulto, l’assorbimento di acetato di piombo in tracce, somministrato con l’acqua da bere, è pari al 63% in individui a digiuno e al 3% se assunto con un pasto (James et al, 1985). Anche la gravidanza sembra avere un effetto sulla concentrazione di piombo. Il dato risulta da alcuni test condotti sul sangue del cordone ombelicale e in donne dopo il parto. Ciò è probabilmente da ricondurre ad un aumento della mobilizzazione del piombo osseo della madre (Schuhmacher et al, 1996; Gulson et al, 2004). La distribuzione del piombo assorbito per via cutanea, inalatoria e ingestiva è pressoché coincidente (IARC, 1980; IARC, 1987; ATSDR, 2005b) e viene quindi discussa cumulativamente. La gran parte dei dati disponibili sulla distribuzione del piombo ai vari tessuti ed organi proviene da indagini autoptiche principalmente condotte fra gli anni ’60 e ’70 quando il problema dell’inquinamento aereo da piombo nell’ambiente di vita generale e in quello lavorativo rappresentava un problema di grande urgenza. Gli esami autoptici eseguiti attestano di una distribuzione del piombo pressoché simile sia nell’organismo di bambini che in quello degli adulti. Il piombo si accumula principalmente nel sangue, ossa e tessuti molli (ATSDR, 2005b). Le concentrazioni medie di piombo nel sangue sono state verificate su un campione della popolazione americana nel periodo 1999-2002. Un valor medio di 1,9 μg/dl è stato ottenuto per i bambini di età fra 1 e 5 anni; concentrazioni di 1,5 μg/dl 85 sono state registrate in adulti fra i 20 e i 59 anni di età; 2,2 μg/dl è la concentrazione media calcolata a partire dai 60 anni (CDC, 2005). Il piombo, a livello osseo, tende ad accumularsi nelle regioni dell’osso che sono in attiva calcificazione. Nel bambino quest’area dell’osso coincide con la zona trabecolare a livello della quale l’osso è in attivo accrescimento. Nell’adulto invece l’ossificazione è tendenzialmente localizzata nella zona corticale e dovuta a rimodellamento dell’osso in seguito ad esempio a fratture (Aufderheide et al, 1992). Un’indagine, condotta con tecniche di fluorescenza, per valutare l’accumulo di piombo nella tibia, ha evidenziato un aumento delle concentrazioni dopo i 20 anni di età fino a raggiungere valori superiori a 200 mg nelle persone fra i 60 e i 70 anni. Al di sotto dei 16 anni il valore registrato è di 8 mg (Barry, 1975; Kosnett et al, 1994). Tossicità acuta e cronica La caratteristica distribuzione del piombo nei vari organi e tessuti indipendente dalla via di esposizione, sia essa cutanea, inalatoria o ingestiva, e la quasi totale assenza di studi epidemiologici e sperimentali per vie diverse da quella inalatoria (ATSDR, 2005b), rendono l’analisi degli effetti tossici e cancerogeni del metallo meglio descrivibili in una unica sezione. Numerosi studi l’innalzamento della epidemiologici pressione hanno arteriosa evidenziato conseguente all’esposizione (Schwartz, 1995; Nawrot et al, 2002). Indagini epidemiologiche più approfondite hanno consentito di stabilire che l’effetto di aumento della pressione arteriosa è più pronunciato in individui di mezza età rispetto ad adulti più giovani (IARC, 1980; IARC, 1987; ATSDR, 2005b). L’esposizione al piombo può comportare anche anemie dovute alla diminuita capacità vitale dei globuli rossi e dall’inibizione della sintesi del gruppo eme attraverso l’interazione con alcuni 86 enzimi deputati alla sua sintesi (ATSDR, 2005b). Studi sulla popolazione generale hanno dimostrato che la capacità di interazione del piombo con gli enzimi deputati alla sintesi del gruppo eme avviene a concentrazioni ematiche di piombo molto basse senza un apparente livello minimo di soglia. L’effetto inibitorio è stato infatti registrato in individui residenti in zone urbanizzate, non professionalmente esposti a piombo, per tutti i valori ematici di piombo registrati, da 3 a 34 μg/dl (Hernberg et al, 1970). Il dato trova conferma da ulteriori studi effettuati sui bambini (Chisolm et al, 1985). A livello gastrointestinale, l’esposizione ad alte concentrazioni di piombo è in grado di produrre sintomatologie quali: dolori addominali, costipazione, crampi, nausea, vomito, astenia e calo ponderale. Nonostante queste sintomatologie siano state principalmente descritte in lavoratori con valori di piombemia fra 100 e 200 μg/dl, essi sono stati riscontrati anche a livelli espositivi vicini a 40 μg/dl (Baker et al, 1979; Awad el Karim et al, 1986; Pagliuca et al, 1990). La comparsa di spasmi gastrointestinali viene inoltre considerato uno dei sintomi principali dell’esposizione a piombo nei bambini (EPA, 1986). Recentemente è stato condotto nello stato di New York, uno studio epidemiologico per la determinazione degli effetti dell’esposizione a piombo sulla densità ossea nei bambini. I bimbi sono stati divisi in due gruppi, uno con livello medio cumulativo di piombemia pari a 6,5 μg/dl e il secondo di 23,6 μg/dl. I bambini con i livelli di piombemia più elevati hanno mostrato un livello di densità minerale più elevato rispetto a quelli con valori inferiori. Questo depone per un’accelerazione della maturazione scheletrica indotta dall’esposizione a piombo (Campbell et al, 2004). Alcuni studi clinici sull’uomo hanno consentito di determinare gli effetti dell’esposizione a piombo a livello renale. Disfunzioni quali proteinuria, malfunzionamenti del trasporto di anioni organici e del glucosio e riduzione della filtrazione glomerulare 87 sono state descritte in alcuni studi (Loghman-Adham, 1997; Diamond, 2005). Gli effetti neurologici del piombo sono forse le manifestazioni fra le più studiate. Il danno più severo da esposizione a piombo riportato nell’adulto è caratterizzato da varie condizioni patologiche quali demenza, irritabilità, difficoltà a mantenere la concentrazione, cefalee, tremori muscolari, perdita di memoria e allucinazioni. Nei casi peggiori possono insorgere anche convulsioni e paralisi (Kumar et al, 1987). Alcuni studi sono inoltre stati in grado di correlare l’esposizione a piombo con l’insorgenza di sclerosi amiotrofica laterale (Kamel et al, 2002), schizofrenia (Opler et al, 2004), e morbo di Parkinson (Gorell et al, 1997; Gorell et al, 1999). A causa della capacità più elevata che i bambini hanno di trattenere il piombo assorbito, gli effetti sopra descritti nell’adulto, emergono a livelli di esposizione molto più inferiori (IARC, 1980; IARC, 1987; ATSDR, 2005b). Sono inoltre stati condotti diversi studi su bambini per valutare l’influenza dell’esposizione a piombo sul quoziente intellettivo (IQ = Intelligence Quota). Alcuni dei test effettuati hanno evidenziato un’associazione tra riduzione dell’IQ ed incremento della piombemia (Needleman et al, 1979; Rummo et al, 1979; Fulton et al, 1987). Studi recenti hanno ulteriormente confermato il dato secondo cui non esiste un apprezzabile effetto soglia nella correlazione fra i livelli di piombemia e la comparsa di disfunzioni neurologiche (Lanphear et al, 2000; Canfield et al, 2003). Cancerogenicità La IARC ha classificato il piombo metallico nel gruppo 2B (“possibile cancerogeno per l’uomo”), i composti del piombo inorganici nel gruppo 2A (“probabile cancerogeno per l’uomo”) e 88 iquelli organici nel gruppo 3 (“non classificabile come cancerogeno per l’uomo”) (IARC, 1980; IARC, 1987). Uno studio finlandesi epidemiologico esposti a piombo su oltre 20.000 nel periodo lavoratori 1973-1983 ha dimostrato un aumento di 1,4 volte dell’incidenza di tutte le patologie neoplastiche e di 1,8 volte per il tumore al polmone in individui con livelli di piombemia ≥21 μg/dl (Anttila et al, 1995). Una ulteriori rianalisi della coorte ha evidenziato anche un eccesso di tumori del cervello, in particolare gliomi, in lavoratori con livelli di piombemia ≥29 μg/dl (Anttila et al, 1996). La mortalità fra i lavoratori esposti a piombo in una fonderia italiana è stata analizzata su circa 1.400 soggetti seguiti nel periodo 1950-1982. Lo studio ha evidenziato eccessi nella mortalità per tumori del fegato, della vescica e del rene (Cocco et al, 1997). Un ulteriore riesame dei dati suggerisce anche un’associazione fra esposizione a piombo e insorgenza di tumori del cervello. L’indagine è stata condotta confrontando oltre 27.000 casi di decesso per tumore del cervello con più di 100.000 controlli deceduti per patologie non neoplastiche in 24 stati degli USA. Il rischio di sviluppare un tumore del cervello era associato con la possibile esposizione ad alte concentrazioni piombo (Cocco et al, 1998). Uno studio caso-controllo su lavoratori esposti a piombo tetraetile ha evidenziato un’associazione statisticamente significativa fra livello di esposizione e insorgenza di carcinoma rettale (correlato anche alla latenza) (Fayerweather et al, 1997). I dati disponibili sugli effetti a lungo termine del piombo in animali sperimentali, hanno evidenziato un effetto cancerogeno per il rene (Van Esch et al, 1969; Koller, 1985). La somministrazione di piombo per via parenterale ha prodotto risultati analoghi (Balo et al, 1965) È stato condotto uno studio su topi esponendo le femmine gravide a tre diversi livelli di dose di acetato di piombo nell’acqua da bere dal 12° giorno di gestazione al 4° giorno successivo al parto, e quindi i discendenti tenuti sotto osservazione senza 89 trattamento fino al loro decesso. Adenomi e carcinomi renali sono stati osservati rispettivamente nei gruppi di figli delle madri trattate con l’alta e la media dose, mentre non sono state osservate alterazioni simili nei gruppi trattati con la bassa dose e nel controllo. L’effetto cancerogeno per i reni è risultato più evidente nei maschi rispetto alle femmine (Waalkes et al, 1995). A) Altri dati rilevanti per la cancerogenesi a) Effetti riproduttivi Uno studio su oltre 2.000 lavoratori professionalmente esposti a piombo in Finlandia, ha evidenziato una riduzione significativa della fertilità (Sallmen et al, 2000). Indagini cliniche hanno dimostrato che esiste una correlazione fra i valori principalmente di piombemia correlata e la funzionalità all’integrità della spermatica struttura cromosomica (Alexander et al, 1998). In uno studio epidemiologico, condotto su un gruppo di donne residenti in una cittadina australiana ed esposte a piombo rilasciato nell’ambiente da una fonderia, è stato evidenziato una tendenza diffusa all’anticipazione del parto rispetto a quanto riscontrato in donne che risiedevano in una zona rurale più distante dalla fabbrica (McMichael et al, 1986). Lavoratrici di una fonderia svedese esposte a piombo durante la gravidanza, o che avevano interrotto il lavoro durante la gravidanza, ma che risedevano ad una distanza inferiore a 10 km dall’azienda, hanno mostrato un elevato indice di aborti spontanei (Nordstrom et al, 1979). L’effetto tossico-riproduttivo del piombo trova conferma da uno studio su ratti Sprague-Dawley trattati con piombo somministrato alle femmine con l’acqua da bere in modo da ottenere livelli di piomboemia > 200 μg/dl durante il periodo gestazionale dal 5° al 21° giorno. È stata rilevata una 90 percentuale di figli nati morti del 19% nel gruppo esposto rispetto al 2% nel controllo (Ronis et al, 1996). Studi condotti su scimmie, trattate con piombo a dosi tali da indurre concentrazioni ematiche paria a 35 μg/dl rispetto a valori <1 μg/dl del gruppo di controllo, hanno evidenziato danni all’epitelio seminifero degli animali trattati (Foster et al, 1998). b) Genotossicità Diversi studi hanno evidenziato effetti genotossici del piombo in cellule umane ed animali in vitro, e in sistemi sperimentali animali in vivo. Sono state osservate aberrazioni cromosomiche in linfociti di lavoratori esposti a piombo presente nel sangue a concentrazioni medie di 65 μg/dl (Nordenson et al, 1978). Un aumento statisticamente significativo dello scambio fra cromatidi fratelli è stato rilevato in lavoratori esposti a piombo a cui è stata rilevata una piombemia pari a 32 μg/dl (Wu et al, 2002). L’esposizione a piombo è inoltre stata correlata con l’insorgenza di danni sul DNA. Lavoratori di un’azienda di batterie contenenti piombo hanno mostrato un elevato livello di rotture del DNA linfocitario se paragonato a soggetti non esposti. Il dato inoltre si correla con l’aumento di radicali liberi (ROS = Reactive Oxygen Species) e con la diminuzione dei livelli di glutatione, uno degli enzimi deputato alla eliminazione dei radicali liberi. Il tutto depone quindi per un aumento dello stress ossidativo correlato all’esposizione a piombo (Fracasso et al, 2002). Danni sul DNA sono stati anche descritti in topi esposti per circa 60 minuti a una concentrazione aerea di acetato di piombo di 6,8 μg/m3 (Valverde et al, 2002). 91 B) Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica. All’interno del perimetro aziendale, il piombo è stato analiticamente accertato in concentrazione superiore ai limiti di legge almeno: nei fanghi frammisti a terriccio (individuati pressi i punti E, H, 03 dell’attività di indagine espletata il 08/03/2002); in un pozzetto (identificato come P8) interno all’insediamento produttivo e destinato a veicolare le acque di origine meteorica; nella “trincea TR 3/2” scavata all’interno del perimetro aziendale tra –50 e -100 cm di profondità dalla pavimentazione, nella “trincea TR 7/1 e TR 7/2”, scavata all’interno del perimetro aziendale tra -10 e -130 cm di profondità dalla pavimentazione. All’esterno del perimetro aziendale superamenti di concentrazioni di piombo sono state constatate su terreni prelevati in Roggia Brotta in almeno sei campioni di terreno, prelevati in punti diversi e a varie profondità, con concentrazioni nettamente superiori sui primi centimetri di terreno superficiale. Fino alla chiusura della galvanica “Alfa” (avvenuta nel dicembre 2003) e fino alla bonifica di Roggia Brotta (avvenuta nel 2006), esisteva pertanto la concreta possibilità di contaminazione della popolazione almeno per: - contatto, insudiciamento, imbrattamento di cute e vestiario della popolazione lavorativa con fanghi o polveri contenenti piombo; - contaminazione a causa di tale vestiario delle abitazioni, proprietà e cose dei lavoratori stessi e dei loro familiari; - contaminazione diretta di familiari (per quanto emerso da precise testimonianze, previo accordi con i proprietari, i familiari dei lavoratori effettuavano dei “lavori a cottimo” 92 all’interno del perimetro aziendale quali: insaccamento di fanghi di depurazione, raccolta e movimentazione di altri materiali e oggetti ecc.); - il prelievo e l’irrigazione con le acque inquinate della Roggia Brotta delle colture dei terreni agricoli e privati limitrofi, con conseguente loro contaminazione superficiale e assorbimento attraverso l’apparato radicale; - la raccolta delle colture agricole e di quelle orticole, quest’ultime abbondantemente consumate dai residenti stessi; - il sollevamento eolico e meccanico di polveri contenenti sali di metalli pesanti causato dalle macchine agricole sui campi coltivati; - il sollevamento eolico di polveri dagli spazi ed aree abitate limitrofe alla zona industriale dove insisteva anche la galvanica “Alfa” (superfici utilizzate in passato come siti di smaltimento di fanghi e soluzioni esauste). 93 IV. CENNI LIVELLI SULLA DI NORMATIVA CROMO VI, RIGUARDO NICKEL E AI PIOMBO AMMESSI NELLE ACQUE E NEL SUOLO Il quadro normativo stabilito a livello nazionale per il controllo delle immissioni nelle acque e nel suolo di elementi e composti chimici prodotti dalle attività industriali è divisa in tre ambiti: 1) acque destinate al consumo umano; 2) acque destinate allo scarico in pubblica fognatura o convogliate ad impianti di depurazione; e 3) acque rilasciate sul suolo e sottosuolo e acque sotterranee. Scopo della presente sezione è quello di fornire un breve quadro dell’evoluzione della legislazione per ognuno dei tre settori dagli anni ’70 ad oggi e di riportare quelli che sono i limiti di legge attualmente in vigore per i tre metalli: cromo VI, nickel e piombo. 1. Acque destinate ad uso umano Fino al 1982, l’unica legge nazionale in vigore in questo settore era il Regio Decreto (RD) n. 1265 del 27/07/1934, il quale stabiliva che ogni comune doveva fornire acqua pura e di buona qualità per uso potabile. Il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) n. 915 del 3/07/1982, in attuazione della Direttiva dell’Unione Europea (UE) 75/440, detta i primi limiti per le concentrazioni di inquinanti nelle acque ad uso umano. Successivamente saranno il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 8/02/1985 e il collegato provvedimento attuativo, il DPR n. 236 del 24/05/1988 (attuazione della Direttiva UE 80/788), a stabilire i requisiti delle acque potabili. Il Decreto Legislativo (DLgs) n. 31 del 2/02/2001, attuativo della Direttiva UE 98/83, stabilisce i limiti di legge per cromo VI, nickel e piombo attualmente in vigore (Tabella 4). L’ultima 94 approvazione del DLgs n. 152 del 14/04/2006 ha recepito e confermato i valori già in vigore. 2. Acque destinate allo scarico in pubblica fognatura o al convogliamento ad impianti di depurazione Il primo quadro legislativo nazionale per la regolamentazione delle concentrazioni di sostanze inquinanti nelle acque di scarico delle attività industriali è riportato nella Legge (L) n. 319 del 10/05/1976 nota come Legge Merli. Si deve tuttavia ricordare che già nel 1973, in specifico per la zona comprendente alcuni comuni del conoide idrico del Brenta, era stata emanata una specifica legge a tutela della Laguna di Venezia, ossia la Legge n. 171 del 16/04/1973. Le due leggi non si pongono in contrasto in quanto è uno specifico articolo della stessa Legge Merli a stabilire che i limiti imposti dalla nuova normativa si applicano su tutto il territorio nazionale fatte salve quelle aree per cui è già vigente un’altra normativa che stabilisce limiti diversi. Nel caso specifico della Laguna di Venezia alcuni valori limite imposti per la tutela della laguna erano più stringenti di quelli previsti dalla successiva Legge Merli ed esplicitati nel provvedimento attuativo DPR n. 962 del 20/09/1973. L’impianto legislativo nazionale è stato successivamente rivisto con il Decreto Legislativo (DLgs) n. 152 del 11/05/1999 che ha stabilito i nuovi limiti di legge. I limiti stabiliti dal DLgs 152/’99 sono stati successivamente riconfermati dalla recente approvazione del DLgs 152 del 03/04/2006 (Tabella 4). 3. Suolo, sottosuolo e acque sotterranee Il DLgs n. 22 del 5/02/1997, noto come Decreto Ronchi, stabiliva per primo l’applicazione di limiti nella concentrazione di inquinanti nel terreno dettagliati con il Decreto del Ministero dell’Ambiente (DM) n. 471 del 25/10/1999. Il DM n. 95 471/’99 stabiliva fra l’altro i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli come previsto proprio dell'articolo 17 del DLgs 22/’97. Il DLgs 152/’06, stante la sua natura di impianto legislativo di riferimento in ambito ambientale, è di recente intervenuto a riconfermare i limiti per cromo VI, nickel e piombo nel suolo, sottosuolo e nelle acque sotterranee (Tabella 4). 96 V. VALUTAZIONI CONCLUSIVE SUI POTENZIALI RISCHI PER LA SALUTE DELL’ESPOSIZIONE PER VIA CUTANEA, INALATORIA E ORALE A CROMO VI, NICKEL E PIOMBO L’attività investigativa, le perizie affidate ai consulenti nominati dal Giudice del Tribunale di Padova, sezione staccata di Cittadella e la sentenza del Giudice hanno stabilito che l’inquinamento del suolo e delle acque per uso umano dovuto alla presenza di cromo VI, nickel e piombo, risulta imputabile alla attività industriale avviata nel 1974 dalla ditta “Gamma”, poi denominata nel 1975 “ Beta”, e quindi dal 1995 “Alfa”. In particolare, le cause dell’inquinamento erano dovute alla inadeguatezza delle pratiche seguite per lo smaltimento dei rifiuti industriali derivati dalle lavorazioni di cromatura e tale attività, iniziata a partire dal 1975 e caratterizzata soprattutto dall’accumulo nel terreno sottostante l’azienda di metalli pesanti notoriamente tossici e cancerogeni quali cromo VI, nickel e piombo, ha determinato nel corso degli anni un inquinamento del terreno, delle acque di falda e di molti pozzi privati dai quali veniva prelevata acqua per uso umano. Dalle analisi effettuate è infatti emerso che in ben identificati pozzi privati la concentrazione di cromo VI nelle acque per uso umano è risultata costantemente al di sopra dei limiti di legge e soprattutto al di sopra dei valori raccomandati dalle agenzie internazionali ai fini della salvaguardia della salute; inoltre l’inquinamento del suolo dovuto ai suddetti metalli pesanti, in particolare il piombo, non è stato rilevato soltanto nel perimetro aziendale, ma anche nell’area circostante, ad esempio così come evidenziato dai risultati dei numerosi campioni di terreno effettuati in Roggia Brotta. La diffusione ambientale degli inquinanti suddetti ha pertanto determinato una esposizione della popolazione a tali agenti 97 presenti nell’acqua e nelle polveri sollevate dal suolo soprattutto per via cutanea e ingestiva, ma non può certamente essere esclusa quella inalatoria; Sulla base degli studi scientifici più recenti, una volta che tali agenti vengono a contatto della cute, o vengono ingeriti o inalati, possono tutti migrare in maggiore o minore misura, ai vari tessuti ed organi dell’organismo umano e i potenziali rischi per la salute dovuti al cromo VI, nickel e piombo, in particolare quelli a lungo termine come gli effetti cancerogeni e quelli a carico del sistema nervoso, possono essere indotti da livelli di concentrazione/dose bassi/bassissimi. Per quanto riguarda gli effetti degli agenti cancerogeni si devono considerare tre ordini di fattori: non esiste un livello di soglia; l’esposizione a più agenti cancerogeni può avere un effetto sinergico; gli agenti cancerogeni sono in grado di produrre effetti per vari organi e tessuti a seconda delle situazioni espositive. In particolare: 1. il cromo VI è ritenuto dalla IARC un agente cancerogeno per l’uomo, soprattutto per il polmone a seguito di esposizioni per via inalatoria ed esiste sufficiente documentazione scientifica, sia epidemiologica che sperimentale, dimostrante che il cromo VI, una volta ingerito, è in grado di superare la mucosa gastrica, diffondendo in vari organi e tessuti, e quindi aumentando il rischio di tumori e, fra questi, quelli di origine gastrica; 2. il nickel è considerato dalla IARC un agente cancerogeno per l’uomo, soprattutto per il polmone; 3. il piombo è considerato dalla IARC un probabile agente cancerogeno per l’uomo ed inoltre, secondo studi recenti, non esiste un apprezzabile effetto soglia nella correlazione tra piombemia e disfunzioni neurologiche, in particolare per quanto riguarda il deficit di quoziente di intelligenza in bambini esposti. 98 Si può quindi concludere che l’esposizione per contatto o per via ingestiva a cromo VI, nickel e piombo alle concentrazioni riscontrate nel suolo e nelle acque per uso umano a partire dal 1975 in poi, può avere con forte probabilità conseguenze sullo stato di salute dei cittadini interessati, in particolare per quanto riguarda l’incidenza delle patologie tumorali e i disturbi di tipo neurologico, soprattutto in riferimento al livello del quoziente di intelligenza dei bambini e, in prospettiva, anche per quanto riguarda le patologie neurodegenerative degli anziani. Una quantificazione di tali rischi non è oggi possibile, in mancanza di dati epidemiologici e clinici disponibili, ma sarebbe auspicabile la programmazione di una indagine epidemiologica adeguata al fine soprattutto di orientare i tempi e le priorità di intervento nella bonifica del territorio interessato. 99 BIBLIOGRAFIA ABS (American Biogenics Corporation). Ninety day gavage study in albino rats using nickel. Final report submitted to U.S. Environmental Protection Agency (EPA). Research Triangle Institute and American Biogenics Corporation; EPA Office of Solid Waste Management; Washington, DC, USA; 1988. ALEXANDER BH, CHECKOWAY H, FAUSTMAN EM, VAN NETTEN C, MULLER CH and EWERS TG. Contrasting associations of blood and semen lead concentrations with semen quality among lead smelter workers. Am J Ind Med 1998; 34 (5): 464-9. AMBROSE AM, LARSON PS, BORZELLECA JF and HENNIGAR GR. Long term toxicologic assessment of nickel in rats and dogs. J Food Sci Technol 1976; 13: 181-7. 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ZISSU D, CAVELIER C and DE CEAURRIZ J. Experimental sensitization of guinea-pigs to nickel and patch testing with metal samples. Food Chem Toxicol 1987; 25 (1): 83-5. 124 Appendice 125 Tabella 1. Elenco delle violazioni più rilevanti dei limiti di legge per le acque di scarico dell’azienda (Parte I) Periodo Parametro (1) Valore rilevato Laguna di Venezia Limiti di legge Legge Merli Scarico in “Roggia Brotta”(2) pH Solfati Anidride solforosa Cromo(4) Nickel 9,42 5.431 mg/l 220 mg/l 5,70 mg/l 3,40 mg/l 6,0 – 9,0 500 mg/l 1 mg/l 0,2 mg/l(5)/2 mg/l(6) 2 mg/l −(3) −(3) −(3) −(3) −(3) Febbraio 1975 pH Solfati Anidride solforosa Cromo totale Nickel 10,35 1.693 mg/l 50 mg/l 7,20 mg/l 3,70 mg/l 6,0 – 9,0 500 mg/l 1 mg/l 0,2 mg/l(5)/2 mg/l(6) 4 mg/l −(3) −(3) −(3) −(3) −(3) Gennaio 1976 Anidride solforosa Nickel 107 mg/l 2,20 mg/l 1 mg/l 2 mg/l −(3) −(3) Marzo 1977 Solfiti Solfati 35 mg/l 1.430 mg/l 1 mg/l 500 mg/l 1 mg/l 1.000 mg/l Marzo 1978 Solfiti 7,5 mg/l 1 mg/l 1 mg/l Aprile 1978 Solfiti 20 mg/l 1 mg/l 1 mg/l Maggio 1978 Solfiti Salinità 7,5 mg/l 2.300 mg/l 1 mg/l 1 mg/l Giugno 1978 Solfiti 7,5 mg/l 1 mg/l 1 mg/l Dicembre 1978 Solfiti 10 mg/l 1 mg/l 1 mg/l Marzo 1979 Solfiti 35 mg/l 1 mg/l 1 mg/l Aprile 1979 Solfiti 3,5 mg/l 1 mg/l 1 mg/l Maggio 1979 pH Nickel Salinità 4,3 63 mg/l 2.250 mg/l 6,0 – 9,0 2 mg/l 5,5 – 9,5 2 mg/l Settembre 1979 Nickel Solfiti 5,5 mg/l 85 mg/l 2 mg/l 1 mg/l 2 mg/l 1 mg/l 126 - 126 - Settembre 1974 Tabella 1. Elenco delle violazioni più rilevanti dei limiti di legge per le acque di scarico dell’azienda (Parte II) Periodo Parametro (1) Valore rilevato Laguna di Venezia Limiti di legge Legge Merli 1 mg/l 1 mg/l Solfiti 366 mg/l Novembre 1979 Solfiti 33,5 mg/l 1 mg/l 1 mg/l Dicembre 1979 pH Solfiti 4,25 78 mg/l 6,0 – 9,0 1 mg/l 5,5 – 9,5 1 mg/l Gennaio 1980 Solfiti 216 mg/l 1 mg/l 1 mg/l Maggio 1980 Solfiti 29 mg/l 1 mg/l 1 mg/l Febbraio 1983 Solfati 1.350 mg/l 500 mg/l 1.000 mg/l Ottobre 1985 Cromo VI 0,24 mg/l 0,2 mg/l 0,1 mg/l Novembre 1987 Azoto nitroso Azoto nitrico 1,57 mg/l 64,5 mg/l 2 mg/l(8) 50 mg/l(9) Febbraio 1990 pH Solfati 5,2 1.700 mg/l 6,0 – 9,0 1.000 mg/l −(10) 5,5 – 9,5 1.000 mg/ Luglio 1993 Cianuri Nickel 8,3 mg/l 34 mg/l 5 mg/l 4 mg/l 1 mg/l 4 mg/l Marzo 1994 Solfati Nickel 1.100 mg/l 5,0 mg/l 1.000 mg/l 4 mg/l 1.000 mg/ 4 mg/l Febbraio 1995 Piombo Solfati 0,5 mg/l 1.800 mg/l 0,2 mg/l 1.000 mg/l 0,3 mg/l 1.000 mg/ Febbraio 1997 Nickel 9,8 mg/l 4 mg/l 4 mg/l Gennaio 1999 Solfati 1.250 mg/l 18,7 mg/l 230 mg/l 1.000 mg/l 10 mg/l 2 mg/l 1.000 mg/l 4 mg/l 2 mg/l (7) Scarico in fognatura Tensioattivi totali Nickel 127 −(10) - 127 - Ottobre 1979 (1) :Legge per la Protezione della Laguna di Venezia = L 171/73; Legge Merli = L 319/76 Tabella A (acque superficiali) della L 319/76 (3) :non ancora in vigore (2) :si applicano i limiti per lo scarico in acque correnti del DPR (4):non altrimenti specificato (5) 962/73 attuativo della L 171/73 e la :cromo esavalente (VI) (6) :cromo trivalente (III) (7) :si applicano i limiti per lo scarico in acque convogliate in fognatura depurata del DPR 962/73 attuativo della L 171/73 e la Tabella C (fognature depurate) della L 319/76 (8) :inteso come NO2− (9) :inteso come NO3− (10) :nessun limite - 128 - 128 Tabella 2. Concentrazioni di cromo VI, nickel e piombo nei campioni di terreno prelevati a diverse profondità nell’area dello stabilimento della galvanica “Alfa” Parametro Bianco : : (3) : (4) : (2) Massima Concentrazioni (mg/kg) Media degli sforamenti(3) Limite di legge(4) Cromo VI NR 1.480 280 15 Nickel NR 34.000 6.700 500 Piombo NR 7.500 3.400 1.000 valori di riferimento ottenuti dall’analisi delle carote di terreno realizzate NR = Non Rilevabile; inferiore al livello minimo di rilevabilità dello strumento valor medio calcolato sul numero di campioni per cui è stata rilevata una concentrazione superiore ai limiti di legge vedi Tabella 4 129 - 129 - (1) (1)(2) Tabella 3. Concentrazioni di cromo VI, nickel e piombo nei fanghi campionati nell’area dello stabilimento della galvanica “Alfa” Concentrazioni (mg/kg)(1) Cromo VI Nickel Piombo Matrice Fango misto a terriccio in pozzetto di captazione di acque meteoriche Fango prelevato presso canaletta lato ovest Fango misto a terriccio e ghiaino nella zona di stoccaggio solventi e acidi (1) : vedi Tabella 4 per i limiti di legge per cromo VI, nickel e piombo : inferiore ai limiti di legge (2) 130 −(2) 7.600 4.900 1.900 65.000 22.000 162 145.000 1.740 5.700 5.850 59.000 - 130 - Fango misto a terreno e residui di lucidatura metalli in pozzetto captazione acque meteoriche Tabella 4. Limiti attualmente in vigore per le concentrazioni di cromo, nickel e piombo nelle acque e nel suolo come stabilito dal DLgs 152/06 Ambito applicativo Cromo Acque destinate uso umano Esavalente Totale − 50 μg/l ad Nickel Piombo 20 μg/l 10 μg/l − Acque superficiali ≤ 0,2 mg/l ≤ 2 mg/l ≤ 2 mg/l ≤ 0,2 mg/l − Fognatura ≤ 0,2 mg/l ≤ 4 mg/l ≤ 4 mg/l ≤ 0,3 mg/l − 1 mg/kg 0,2 mg/kg 0,1 mg/kg − Verde pubblico privato e residenziale 2 mg/kg 150 mg/kg 120 mg/kg 100 mg/kg − Siti ad commerciale industriale 15 mg/kg 800 mg/kg 500 mg/kg 1.000 mg/kg 5 μg/l 50 μg/l 20 μg/l 10 μg/l − Suolo Suolo, sottosuolo e acque sotterranee uso e − Acque sotterranee 131 - 131 - Acque destinate allo scarico in pubblica fognatura o al convogliamento ad impianti di depurazione