universita` degli studi di padova

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di laurea in tecniche della prevenzione
nell’ambiente e nei luoghi di lavoro
Presidente: Prof. Bruno Onofrio Saia
TESI DI LAUREA
“PRESENZA
NEL
TERRITORIO
DELL’ALTO
CITTADELLESE DI CROMO TRIVALENTE, ESAVALENTE E
TOTALE,
NICKEL
E
PIOMBO
NELLE
FONTI
DI
APPROVVIGIONAMENTO DI ACQUA AD USO UMANO.
PRIME INDICAZIONI SU POSSIBILI MANIFESTAZIONI
DI EFFETTI DANNOSI PER LA SALUTE DELLA POPOLAZIONE
ESPOSTA”.
PRESENCE OF TRIVALENT, HEXAVALENT AND TOTAL CHROME, NIKEL AND
LEAD IN THE SOUCES OF WATER SUPPLY FOR HUMAN EMPLOYMENT IN THE
TERRITORY OF NORTHERN CITTADELLA.
FIRST INDICATIONS OF THE EVENTUAL MANIFESTATION IN THE EXPOSED
POPULATION OF BAD HEALTH EFFECTS.
Relatore: Ch.mo Prof. Massimo Riolfatti
Laureando: Omero Negrisolo
Matricola:
570363 TPA
Anno Accademico 2006/2007
1
SOMMARIO
ACRONIMI e DEFINIZIONI…………………………………………………….7
INTRODUZIONE…………………………………………………………………13
I.
LO SCENARIO ESPOSITIVO DELL’INQUINAMENTO DA
CROMO VI, NICKEL e PIOMBO OGGETTO DELLA PRESENTE
TESI……………………………………..........................................16
1. DATI GENERALI……………………………………………….16
A. L’AREA INTERESSATA DAL FATTO………………….16
A.1 Inquadramento geografico e geologico………16
A.2 Idrogeologia……………………………………..……17
A.3 Il territorio…………………………..………...…….18
B. LA FONTE INQUINANTE…………………….…..……….21
2. LE FASI DELL’ACCERTAMENTO DELLA SORGENTE
DELL’INQUINAMENTO DELLA FALDA ACQUIFERA
DEL CONOIDE DEL BRENTA……………………………...22
3. L’AZIENDA ED IL SUO INSEDIAMENTO………………..28
4. LA DIMENSIONE DELL’INQUINAMENTO
AMBIENTALE………………………………….………………..34
A) Suolo……………………………………….…..…………….34
B) Acque della falda freatica……………….…………….35
C) Nota sulla mobilità di cromo VI, cromo III e nickel
nel terreno e nelle acque…………………………………..36
D) Modalità d’inquinamento del terreno e della falda
entro l’area dello stabilimento………………..…………39
5. POPOLAZIONE ESPOSTA…………………………………..47
2
II.
ACQUISIZIONI SULLA CANCEROGENESI UTILI AI FINI DELLA
PRESENTE RELAZIONE………………………………………………..48
1. La dimensione epidemiologica dei tumori………..48
2. Gli agenti cancerogeni e le situazioni in cui
possono essere presenti………………………………..48
3. Le caratteristiche dell’azione degli agenti
cancerogeni…………………………………………………49
III.
I POTENZIALI RISCHI PER LA SALUTE DELL’ESPOSIZIONE
PER VIA CUTANEA, INALATORIA E ORALE A CROMO VI,
NICKEL E PIOMBO……………………………………………………...51
1. CROMO……………………………………………………………………51
Presenza in natura, produzione e uso……………………………….51
Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione
generale………………………………………………………………………52
Tossicocinetica……………………………………………………………..53
A) Via cutanea………………………………………………….……….53
B) Via inalatoria…………………………………………………..…..54
C) Via ingestiva…………………………………………………….…..55
Tossicità acuta e cronica……………………………………………..…56
A) Via cutanea………………………………………………………...56
B) Via inalatoria……………………………………………………… 57
C) Via ingestiva……………………………………………….….…… 58
Cancerogenicità…………………………………………………….……..58
A) Via cutanea…………………………………………………………58
B) Via inalatoria………………………………………………………58
C) Via ingestiva………………………………………………………..60
D) Altri dati rilevanti per la cancerogenesi………………….63
a) Effetti riproduttivi………….……………………….64
3
b) Genotossicità………………………………………….64
E) Il giudizio sul pericolo concreto per la salute
pubblica…………………………..………………………………….64
2. NICKEL…………………………………………………………………….69
Presenza in natura, produzione e uso……………………………….69
Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione
generale………………………………………………………………………70
Tossicocinetica…………………………………………………….……….71
A) Via cutanea………………………………………………….………71
B) Via inalatoria………………………………………………..……..71
C) Via ingestiva…………………………………………………..…….72
Tossicità acuta e cronica………………………………………….…….73
A) Via cutanea………………………………………………….………73
B) Via inalatoria……………………………………………….………74
C) Via ingestiva………………………………………………….……..75
Cancerogenicità…………………………………………………………….77
A) Via Cutanea………………………………………………..……....77
B) Via inalatoria……………………………….……………..……….77
C) Via Ingestiva………………………………….……………..………78
D) Altri dati rilevanti per la ancerogenesi……………..…….79
a) Effetti riproduttivi…………………………………….….79
b) Genotossicità…………………………………………….….79
E) Il giudizio sul pericolo concreto per la salute
pubblica…………………………..………………………………….79
4
3. PIOMBO…………………………………………………………………….81
Presenza in natura, produzione e uso……………………………….81
Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione
generale………………………………………………………………………81
Tossicocinetica…………………………………………………….….…. 83
A) Via cutanea……………………………..…………….…….83
B) Via inalatoria………………………………………….…..84
C) Via ingestiva…………………………………………..…...84
Tossicità acuta e cronica……………………………….………….......86
Cancerogenicità………………………………………………………….…88
A) Altri dati rilevanti per la cancerogenesi………....90
a) Effetti riproduttivi……………………….….….....90
b) Genotossicità……………………………….………..91
B) Il giudizio sul pericolo concreto per la salute
pubblica……………………………………………………….92
IV.
CENNI SULLA NORMATIVA RIGUARDO AI LIVELLI DI
CROMO VI, NICKEL E PIOMBO AMMESSI NELLE ACQUE E NEL
SUOLO………………………………………………………………………….....94
1. Acque destinate ad uso umano…………………….……..94
2. Acque destinate allo scarico in pubblica fognatura o
al convogliamento ad impianti di
depurazione…………………………………………………….95
3. Suolo, sottosuolo e acque sotterranee…………………95
V.
VALUTAZIONI CONCLUSIVE SUI POTENZIALI RISCHI PER
LA SALUTE DELL’ESPOSIZIONE PER VIA CUTANEA, INALATORIA
E ORALE A CROMO VI, NICKEL E PIOMBO…………………….……..97
5
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………100
APPENDICE ……………………………………………………………………125
Tabella 1. Elenco delle violazioni più rilevanti dei limiti di legge per le
acque di scarico dell’azienda……………………………………………. .. 126
Tabella 2. Concentrazioni di cromo VI, nickel e piombo nei campioni
di terreno prelevati a diverse profondità nell’area dello stabilimento
della galvanica “Alfa”………………………………………………………….129
Tabella 3. Concentrazione di cromo VI, nickel e piombo nei fanghi
campionati nell’area dello stabilimento della Galvanica “Alfa”………130
Tabella 4. Limiti attualmente in vigore per le concentrazioni di cromo,
nickel e piombo nelle acque e nel suolo come stabilito dal Decreto
Legislativo 152/’06.........................................................................131
Allegato 1. Mappa in scala 1 : 25.000 del territorio coinvolto con
isofreatiche e situazione al 4 aprile 2002.
Allegato 2. Mappe comparate con monitoraggio qualitativo sulla
presenza di cromo esavalente nelle acque sotterranee nei comuni di
Tezze sul Brenta, Cittadella e Fontaniva: Gennaio – Luglio 2003.
Allegato 3. Mappa in scala 1 : 17.500 del territorio coinvolto con
concentrazioni di cromo esavalente nella falda freatica, riscontrate alla
fine del mese di Maggio 2004.
Allegato 4. Mappe comparate con monitoraggio qualitativo sulla
presenza di cromo esavalente nelle acque sotterranee nei comuni di
Tezze sul Brenta, Cittadella e Fontaniva: Maggio 2004 – Maggio 2006.
6
ACRONIMI e DEFINIZIONI
ABS: American Biogenics Corporation
ACGIH: American Conference of Governamental Industrial Hygienists.
ADI: Accettable Daily Intake (detto anche TDI: Tolerable Daily Intake). Dose
Giornaliera Accettabile per l’organismo umano. Dose che può essere ingerita,
inalata, o venire a contatto da varie fonti ogni giorno per tutto l’arco della vita senza
alcun rischio apprezzabile per la salute. Dà la stima dell’esposizione per tutta la vita
ad un agente tossico che si presume non abbia alcun effetto avverso alla salute.
(Per il cromo VI la quota di dose accettabile per il solo consumo d’acqua - valore
“soglia” tossicologico per gli alimenti - è stato stabilito dalla World Health
Organization (1990) EHC no. 104 pari a 210 µg/die).
ALARA: As Low As Reasonably Achievable.
ottenibile.
Il più basso ragionevolmente
ALLELE: una delle due o più forme alternative di un gene; gli alleli occupano
posizioni corrispondenti (loci genici) su cromosomi omologhi e vengono separati
l’uno dall’altro durante la meiosi.
ATSDR: Agency for Toxic Substances and Disease Registry, Department of
Health and Human Services, Atlanta, GA, USA.
BEI: Biological Effect Index. Indice Biologico di Esposizione.
BMD: Benchmark Dose. Limite di confidenza inferiore di una dose corrispondente
ad uno specifico livello di rischio. Dose di riferimento che corrisponde ad uno
specifico livello di incremento della risposta. (Trevisan A.).
Cal EPA: Distaccamento EPA (Environmental Protection Agency) della
California.
CANCEROGENO. Nome generico di tutti gli agenti che provocano il cancro, per
esempio il fumo di tabacco, certi composti chimici industriali, e le radiazioni
ionizzanti (come i raggi X e i raggi ultravioletti).
CE: Comunità Europea.
CEE: Comunità Economica Europea.
7
CONSUMO IDRICO GIORNALIERO MINIMO DI UN INDIVIDUO ADULTO
TIPO CHE PESA 70 kg: 2 litri d’acqua (U.S. EPA).
CONSUMO IDRICO GIORNALIERO MEDIO DI UN INDIVIDUO ADULTO
TIPO CHE PESA 70 kg: 3 litri d’acqua (Direttiva 98/83 EC del 03/11/1998).
DGA: Dose Giornaliera Accettata.
DGT: Dose Giornaliera Tollerata.
DHHS: Department of Health and Human Services (U.S.A.).
Dose: concentrazione per il tempo di esposizione.
EC: European Community.
ECC: European Economic Community.
ED: Effective Dose. Dose necessaria per la risposta terapeutica richiesta.
EI: Effect Index. Dose richiesta per una risposta nel 50% della popolazione (o per
causare il 50% di una risposta massimale).
EPA: Environmental Protection Agency (U.S.A.). Agenzia per la Protezione
dall’Inquinamento.
EPIGENETICO: sostanza o composto non reattivo con il DNA ma in grado di
provocare altri effetti biologici (es.: promotori, citotossici, composti che inducono
squilibri ormonali, immunosoppressori, composti allo stato solido).
FDA: Food and Drug Administration (U.S.A.).
GENE: unità ereditaria presente nel cromosoma; sequenza di nucleotidi nella
molecola di DNA che svolge una funzione specifica, come codificare una molecola di
RNA o un polipeptide.
GENOMA: insieme dei geni presente in un corredo cromosomico completo di una
cellula
8
GENOTOSSICO: sostanza o composto capace di interagire con il DNA (es.:
sostanze che non necessitano di attivazione metabolica, sostanze che devono essere
attivate, composti inorganici, compresi i metalli). Hanno un centro elettrofilo capace
di reagire con i siti nucleofili del DNA producendo distorsioni della molecola che si
concretizzano nello spaiamento di basi di sintesi del DNA stesso, rottura della catena,
perdita di basi ed errori nella riparazione. I processi cellulari, in ultima analisi,
possono portare alla fissazione di questi errori genetici che conducono sia alla
citotossicità che alla mutagenesi e cancerogenesi. La creazione di DNA anormale
permanente rappresenta una mutazione che è indicata essere alla base dell’evoluzione
neoplastica delle cellule.
HI: Hazard Index.
IARC: International Agency for Research on Cancer. Agenzia Internazionale per
la Ricerca sul Cancro della Organizzazione Mondiale della Sanità.
LD50: dose che porta a morte il 50% degli animali trattati nelle 24 ore seguenti il
trattamento.
LOAEL: Low Observed Adverse Effect Level.
LOAEL: the lowest exposure level at which there are biologically significant
increases in frequency or severity of adverse effects between the exposed population
and its appropriate control group. (EPA).
MAC: Maximun Allowable Concentrations. Concentrazione Massima Ammissibile
(Accettabile). (1940 U.S.A., poi divenuta TLV).
MAK: Maximale Arbeitsplatz Conzentrationes. (1968, Germania).
MCL: Maximun Contaminant Level (US EPA). The highest level of a contaminant
that allowed in drinking water. MCLs are set as close to MCLGs as feasible using the
best available technology and taking cost into consideration. MCLs are enforceable
standards. (Internet U.S. – EPA, aggiornato al 09/06/2006).
MCLG: Maximum Contaminant Level Goal (US EPA). The level of a contaminant
in drinking water below which there is no known or expected risk to health. MCLGs
allow for a margin and are non-enforceable public health goals. (Internet U.S. – EPA,
aggiornato al 09/06/2006).
9
MRL: Minimal Risk Level. Limite minimo di rischio di effetti dannosi per
esposizione dell’organismo ad una sostanza (Department of Health and Human
Service – Agency for Toxic Substances and Desease Registri: DHHS-ATSDR).
MTD: Massima Dose Tollerata.
MUTAGENO, agente: agente che causa un aumento nel numero dei mutanti di una
popolazione. Gli agenti mutageni agiscono sia provocando variazioni nel DNA dei
geni, e quindi alterando il codice genetico, sia danneggiando i cromosomi. E’
accertato che vari composti chimici (ad es. la colchicina) e varie radiazioni (ad es. i
raggi X) sono agenti mutageni.
MUTAZIONE: alterazione di un gene da una forma allelica ad un’altra;
cambiamento ereditario nella sequenza del DNA di un cromosoma.
NAS: National Academy of Sciences (U.S.A.).
NIES: National Institute of Environmental Science.
NIOSH: National Institute for Occupational Health and Safety.
NOAEL: No Observed Adverse Effect Level. Livello di esposizione senza alcun
effetto avverso osservabile. (mg/kg/die) (µg/kg/die). Livello al quale non viene
osservato nessun effetto negativo: il massimo livello di esposizione al quale non ci
sono aumenti biologicamente significativi nella frequenza o nella gravità di effetti
negativi di una coorte esposta rispetto al suo appropriato termine di controllo; alcuni
effetti possono essere prodotti a questo livello, ma non sono considerati negativi o
precursori di effetti negativi (EPA).
NOAEL: the highest exposure level at which there are no biologically significant
increases in the frequency or severity of adverse effect between the exposed
population and ist appropriate control; some effects may be produced at this level, but
they are not considered adverse or precursors of adverse effects. (EPA).
NOEL: No Observed Effect Level. Livello di esposizione senza alcun effetto
osservabile. Livello al quale non viene osservato nessun effetto: un livello di
esposizione al quale non ci sono aumenti statisticamente o biologicamente significativi
nella frequenza o nella gravità di effetti negativi di una coorte esposta rispetto al suo
appropriato termine di controllo.
NOEL: an exposure level at which there are not statistically or biologically
significant increases in the frequency or severy of any effect between the exposed
population and its appropriate control. (EPA).
10
NTP: National Toxicology Program.
OEHHA: Office of Environmental Health Hazards Assessment dell’EPA.
OSHA: Occupational Safety and Health Administration.
PEL: Permissible Exposure Level. Livello di Esposizione Permessa. Stabilito dal
NIOSH, dall’OSHA e dall’ACGIH (µg/kg/die) (µg/m3).
PERICOLO: proprietà posseduta da una determinata entità capace di causare danni
per la salute e/o la sicurezza.
PRINCIPIO di PRECAUZIONE: Quando ci si propone di introdurre nuove
sostanze o nuove tecnologie nell’uso quotidiano, bisogna partire dalla presunzione che
esse possano avere un effetto nocivo sull’uomo. Perciò, prima di commercializzarla e
utilizzarle su larga scala, bisogna sottoporle ad un’analisi preventiva dei danni e dei
benefici che possono procurare alla salute dell’uomo e dell’ambiente in cui l’uomo
vive. Qualsiasi sostanza deve preventivamente essere ritenuta pericolosa per l’uomo e
l’ambiente, fino a prova contraria.
RfD: Reference Dose (US – EPA). E’ una stima (con incertezza che può estendersi
per un ordine di grandezza) dell’esposizione orale giornaliera alla popolazione umana
(inclusi i sottogruppi sensibili), che è probabile essere esposti senza un apprezzabile
rischio di effetti negativi durante il periodo di vita. Può essere ricavato da un NOAEL,
o da un LOAEL, o da una dose di benchmark, mediante (l’uso di) fattori di incertezza
generalmente applicati per riflettere le limitazioni dei dati utilizzati. E’ generalmente
utilizzato dall’EPA nelle valutazioni di salute non legate al cancro.
E il valore limite di dose alla quale non sono prevedibili effetti avversi nell’uomo.
Viene espresso in mg/kgpc/die o in μg/kgpc/die. (Kgpc: kilogrammi di peso corporeo).
Per il cromo VI (EPA):
nel 1996 = 5 µg/kgpc/die;
nel 1998 = 3 µg/kgpc/die.
Per il nickel (Hinsen et al., 2001; Jensen et al., 2003; ATSDR, 2005a): 10 µg/kgpc/die.
RfD: NOAEL/ UF [Uncertain Factors: fattori di incertezza (finterspecie, fintraspecie,
f data base incompleto, …)].
Reference Dose (RfD): an estimate (with uncertainly spanning perhaps an order of
magnitude) of a daily oral exposure to the human population (including sensitive
subgroups) that is likely to be without an appreciable risk of deleterious effects during
a lifetime. It can be derived from a NOAL, LOAEL, or benchmark dose, with
uncertainty factors generally applied to reflect limitations of the data used. Generally
used in EPA’s noncancer health assessments. (EPA).
RfD: NOAEL/UF
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RfD per il cromo VI. Un individuo adulto del peso medio di riferimento di 70 kg può
assumere fino a 350 μg/die di cromo VI senza che gli vengano rilevati effetti
avversi.
RfD = concentrazione di cromo VI x consumo medio di acqua = 350 μg/die.
RISCHIO: probabilità che si produca una alterazione dello stato di salute in seguito
all’esposizione ad una determinata sostanza chimica, o ad una determinata entità fisica
(Trevisan A.).
RTI: Research Triangle Institute.
TDI: Tolerable Daily Intake. Valore “soglia” tossicologico per le sostanze tossiche
(sinonimo di ADI).
TI: Terapeutic Index = LD50 / ED50. Rapporto tra la dose richiesta per produrre un
effetto tossico e la dose necessaria per la risposta terapeutica richiesta.
TOSSICODINAMICA: la sostanza tal quale o un metabolita può legarsi in modo
reversibile o irreversibile con diverse strutture biologiche e da luogo a una serie di
trasformazioni biologiche che si possono concludere con la comparsa di alterazioni, le
quali precludono allo sviluppo, in una fase precoce, di lesioni precliniche e, in una
fase più avanzata, a lesioni cliniche.
UE: Unione Europea.
UF: Uncertain Factor. Fattore di incertezza.
US EPA: Environmental Protection Agency Federale, Stati Uniti.
USGS: United States Geological Survey.
VLP: Valore Limite Ponderato. (Termine proposto in Italia, nella metà anni ’70,
dalla Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale).
WHO: World Health Organization. Organizzazione Mondiale della Sanità.
WOE: Weight of Evidence.
12
INTRODUZIONE
La massiva contaminazione da cromo esavalente, cromo
trivalente, nickel e piombo delle matrici suolo ed acqua
sotterranea nella zona compresa nei comuni di Tezze sul Brenta
(VI), Cittadella e Fontaniva (PD), che costituisce l’oggetto della
presente tesi, è stata scoperta nel 2001 e la sua conoscenza si è
progressivamente arricchita nel corso degli anni 2002 – 2006.
Dapprima la contaminazione è stata accertata dalle autorità
amministrative competenti (fra queste: Dipartimenti Provinciali
ARPAV di Vicenza e Padova, coordinati dall’Osservatorio
Regionale Acque – ORAC – dell’ ARPAV regionale, Comuni di
Tezze sul Brenta, Cittadella, Fontaniva, Rosà, Provincia di
Vicenza,
Società
“Brenta
Servizi”
S.p.A.,
Consorzio
Pedemenontano Brenta, CNR – “Grandi Masse”, APAT, Regione
del Veneto), quindi le indagini sono state coordinate dalla
Procura della Repubblica e dalla Polizia Giudiziaria di Padova e
sono proseguite anche dopo l’esercizio dell’azione penale, nel
corso di quasi tre anni di dibattimento presso il Tribunale di
Padova, sezione staccata di Cittadella.
L’istruttoria è stata frequentemente arricchita con
l’apporto di importanti indagini integrative ex art. 430 Codice di
Procedura Penale: dati, referti analitici, documentazione
rinvenuta o formatasi a posteriori, sopralluoghi, esecuzione di
trincee conoscitive, carotaggi, nuovi pozzi piezometrici.
Il complesso insieme delle indagini ha accertato che
l’inquinamento era stato causato da uno stabilimento di Tezze
sul Brenta (VI): l’insediamento “Alfa”, con attività di galvanica (di
seguito indicato con “galvanica Alfa”).
I risultati di queste indagini, svolte in buona parte dal
sottoscritto e dal collega F.B. dell’ARPAV - sede territoriale di
Bassano del Grappa - e la cui rilevanza è stata evidenziata anche
dai mass-media regionali e nazionali, sono stati rielaborati e
riportati in questa tesi, rapportandoli ai potenziali rischi per la
salute derivanti dall’esposizione per via cutanea, inalatoria e
orale a tali prodotti chimici.
L’entità di questo fenomeno inquinante (si sono rilevati
livelli di concentrazione di tali elementi nell’acqua e nel suolo
spaventosamente superiori ai limiti consentiti dalla legge) e la
cancerogenicità di simili prodotti in relazione all’elevato numero
di persone esposte all’inquinamento, ha evidenziato la potenziale
13
criticità per la salute delle persone che vivono in quei luoghi
(soprattutto insorgenze tumorali e disturbi di tipo neurologico su
bambini e anziani), le cui reali conseguenze potrebbero essere
valutate solo mediante un’adeguata indagine epidemiologica.
Nella stesura della tesi si è quindi iniziato con la
ricostruzione dello scenario espositivo dell’inquinamento da
cromo esavalente, nickel e piombo, basandosi soprattutto sui
documenti giudiziari formatisi grazie all’attività di polizia
giudiziaria del sottoscritto e del collega F.B., nonché all’attività
amministrativa attuata dalle autorità competenti; documenti
presenti nel fascicolo del Pubblico Ministero di Padova e nel
fascicolo del Giudice del dibattimento del Tribunale di Padova,
sede staccata di Cittadella.
Si è quindi proceduto con le acquisizioni sulla
cancerogenesi in relazione a tale fenomeno e alla disamina dei
potenziali rischi per la salute dell’esposizione per via cutanea,
inalatoria e orale a cromo, nickel e piombo, effettuate attingendo
alla copiosa letteratura in materia pubblicata soprattutto in area
anglosassone.
E’ stata quindi la volta dell’analisi della normativa vigente
negli ultimi 40 anni riguardante i livelli di questi elementi
ammessi nelle acque e nel suolo ed infine della stesura di alcune
valutazioni conclusive sui potenziali rischi per la salute causati
dall’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo
esavalente, nickel e piombo.
14
La presente tesi è articolata in 5 punti:
I. lo scenario espositivo dell’inquinamento da cromo VI, nickel e
piombo oggetto della presente ricerca:
area interessata dal fatto (inquadramento geografico e
geologico, idrogeologia, territorio),
la fonte inquinante;
II. acquisizioni sulla cancerogenesi utili ai fini della presente
tesi;
III. i potenziali rischi per la salute dell’esposizione per via
cutanea, inalatoria e orale a cromo VI, nickel e piombo;
IV. cenni sulla normativa riguardante i livelli di cromo VI, nickel
e piombo ammessi nelle acque e nel suolo;
V. valutazioni conclusive sui potenziali rischi per la salute
dell’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo VI,
nickel e piombo.
Nella stesura del presente elaborato ci si è avvalsi delle
seguenti fonti:
1) dati e documentazione sullo scenario espositivo desunti:
- dall’indagine di Polizia Giudiziaria attuata dallo scrivente e
-
-
-
dal Tecnico della Prevenzione ARPAV F. B. nel
Procedimento Penale n. 2210/2002, assegnato al Pubblico
Ministero P. F. della Procura della Repubblica di PADOVA;
dalla perizia dei Consulenti Tecnici (Dr. L. V., Ing. S. C., P.
Ind. E. S.) nominati dal Giudice del Tribunale di Padova,
sezione staccata di Cittadella,
dalla sentenza n. 140/06 del Giudice del Tribunale di
Padova, sezione staccata di Cittadella, passata in
“giudicato”,
dai documenti contenuti nel fascicolo formatosi durante
tutto il dibattimento del citato Giudice,
2) dati
della letteratura sulle conoscenze generali dei
meccanismi della cancerogenesi e sui rischi per la salute, con
particolare riguardo a quelli cancerogeni, dell’esposizione a
cromo VI, nickel e piombo;
3) normativa in tema di esposizione a cromo VI, nickel e piombo.
15
I.
LO SCENARIO ESPOSITIVO
DELL’INQUINAMENTO DA CROMO VI, NICKEL E
PIOMBO OGGETTO DELLA PRESENTE TESI
1. DATI GENERALI
L’accertamento dell’inquinamento della falda acquifera del
conoide del Brenta con cromo VI, nickel e piombo è avvenuto nel
2002 in seguito all’ effettuazione di campionamenti sulle acque
per uso umano di pozzi privati e comunali attuati nei comuni di
Tezze sul Brenta (VI), Fontaniva (PD) e Cittadella (PD) e su pozzi
sentinella realizzati dal 2002 al 2006 all’interno e all’esterno del
sito sorgente dell’inquinamento. Va precisato che gli sforamenti
dei limiti di legge sulle acque per uso umano dei pozzi privati e
comunali sono avvenuti solo relativamente ai valori di cromo VI.
Il dato è perfettamente concorde con le caratteristiche dei tre
metalli nel caso di episodi di inquinamento per percolamento
come quello in oggetto: nickel e piombo infatti, una volta dispersi
nel terreno, tendono a formare composti con un bassissimo
indice di solubilità, mentre il cromo, principalmente nella sua
forma esavalente, risulta particolarmente solubile in acqua. Il
cromo trivalente si comporta invece come nickel e piombo e
questo giustifica la pressoché totale coincidenza dei livelli di
cromo totale con quelli di cromo esavalente nelle acque
campionate.
Dal punto di vista idrogeologico, l’identificazione della fonte
inquinante e la sua caratterizzazione sono state effettuate con i
rilievi delle concentrazioni del cromo VI nelle acque dei pozzi
campionati.
A. L’AREA INTERESSATA DAL FATTO
A.1. Inquadramento geografico e geologico
E’ necessario premettere alcune informazioni di base
pacificamente acquisite con tutta l’attività amministrativa e
giudiziaria.
Il territorio interessato dal fatto oggetto della presente tesi
è compreso nei Comuni di Cittadella (Padova), Fontaniva
(Padova) ed in parte Tezze sul Brenta (Vicenza).
Tale area è situata nella porzione centrale del territorio
della Regione Veneto, in corrispondenza del passaggio tra l’Alta e
la Media Pianura Veneta. L’Alta Pianura è formata da una serie
di conoidi alluvionali ghiaiosi, depositatisi in corrispondenza
dello sbocco in valle dei grossi corsi d’acqua, che,
sovrapponendosi ed intersecandosi tra loro, hanno creato un
unico deposito in cui circola una falda di tipo freatico (acquifero
indifferenziato) che inizia a monte, a ridosso dei rilievi.
16
Scendendo verso la media pianura il sottosuolo è costituito
da materiali progressivamente più fini, costituiti da ghiaie
minute con livelli sabbiosi e componenti limose e argillose le
quali diventano sempre più frequenti da monte a valle.
In prossimità di Fontaniva prevalgono sedimenti a
granulometria molto sottile con conseguente passaggio dal
sistema indifferenziato (“monofalda”) a quello multifalde in
pressione, rappresentato da una porzione di territorio a sviluppo
est-ovest, larga anche qualche chilometro e variabile nel tempo,
denominata “fascia delle risorgive”. La falda si avvicina
progressivamente alla superficie del suolo fino ad emergere,
anche a causa della presenza delle sottostanti lenti argillose,
formando le tipiche sorgenti di pianura dette appunto risorgive
(o fontanili). Esse costituiscono il “troppo pieno” della falda
freatica dell’alta Pianura Veneta, e finché resteranno attive
assicureranno la disponibilità idrica al sistema differenziato
posto a valle.
I dati geofisici dell’AGIP Mineraria hanno permesso di
stabilire che in prossimità del Comune di Cittadella il materasso
alluvionale raggiunge, ed in alcuni casi supera, spessori di 600
metri.
A.2. Idrogeologia
L’acquifero indifferenziato presente nel sottosuolo è
alimentato dall’infiltrazione diretta delle precipitazioni efficaci,
dai contributi idrici derivanti dalle irrigazioni e soprattutto dalle
dispersioni del fiume Brenta.
L’area interessata dal processo è situata a circa tre
chilometri ad Est del fiume stesso. L’influenza delle dispersioni
del corso d’acqua sull’andamento dei livelli freatici è molto forte,
tale da condizionare il regime della falda freatica, che è
caratterizzata, nel corso di un anno idrologico, da due fasi di
piena (primavera ed autunno) e due fasi di magra (inverno ed
estate).
Il tratto disperdente del Fiume Brenta è compreso
approssimativamente tra Bassano del Grappa e circa un
chilometro a monte del limite settentrionale (superiore) della
fascia delle risorgive. Il fiume Brenta disperde una portata media
annua di circa 10 -12 m3/s.
Utilizzando i dati idrogeologici prodotti nel corso dello
studio dell’episodio inquinante, e quelli relativi ai pozzi della rete
di monitoraggio delle acque sotterranee della Regione Veneto e
dell’Area di Ricarica del Bacino Scolante in Laguna di Venezia,
sono state realizzate varie carte isofreatiche.
Dall’analisi dettagliata delle cartografie ottenute si sono
tratte alcune osservazioni:
17
-
-
-
la direzione di deflusso media delle acque sotterranee è NOSE, tendenzialmente NNO-SSE nella porzione meridionale del
Comune di Cittadella, con componente maggiormente N-S nei
periodi di magra, ed E-O in quelli di piena;
il comportamento disperdente del fiume Brenta nell’area di
ricarica è evidenziato dalla morfologia conica e divergente
delle isofreatiche, e il comportamento drenante a sud delle
risorgive è evidenziato dalla morfologia conica e convergente
delle isofreatiche;
la diminuzione del gradiente idraulico a partire dalla porzione
settentrionale dell’area scendendo verso il comune di
Fontaniva è visibile dalla minore spaziatura delle isofreatiche.
(Cfr. allegato 1).
A.3. Il territorio
L’area interessata dall’inquinamento è posta a valle di una
zona industriale situata in località Stroppari in Comune di Tezze
sul Brenta (Vicenza); più a Nord inoltre esistono altre aree
industriali, e precisamente nei Comuni di Cartigliano, Rosà e
Bassano del Grappa. In questi territori esistono tra l’altro alcune
aziende che utilizzano il cromo nel loro ciclo produttivo, sia nella
forma trivalente (concerie) sia in quella esavalente (galvaniche e
laboratori orafi).
Considerati i grandi volumi d’acqua presenti nel sottosuolo
e l’ottima qualità della stessa, nel territorio esaminato sono
presenti da tempo immemorabile numerosi punti di attingimento
di acqua potabile.
Va ricordato, al proposito, che solo l’acqua piovana non è
dello Stato.
Chiunque pertanto può realizzare un pozzo da falda per
uso domestico liberamente e gratuitamente, salvo l’obbligo di
denuncia. Già il Testo Unico sulle Acque Pubbliche del 1933
prevedeva l’obbligo di denuncia al Genio Civile; attualmente la
materia è trasferita alla competenza regionale. I pozzi privati
censiti o comunque segnalati sono 2.500/3.000 nel Cittadellese,
circa 2.000 nel territorio di Fontaniva.
Le derivazioni ad uso industriale sono, invece, soggette a
concessione.
E’ importante evidenziare che buona parte della
popolazione ha prelevato fino al 2001, ed in alcune aree preleva
tutt’ora, direttamente dal proprio pozzo, acqua a scopo potabile.
L’acqua è prelevata generalmente da profondità variabili
tra 15 e 30 metri dal piano campagna (p.c.), per quanto riguarda
i pozzi di vecchia costruzione e circa 50 metri dal p.c. per quelli
terebrati di recente.
18
L’acqua usata a scopo potabile è prelevata sia
dall’acquifero indifferenziato (Cittadella e Tezze sul Brenta) sia
dall’acquifero differenziato (Fontaniva); in quest’ultimo caso si
sta abbandonando l’uso della falda superficiale in quanto
inquinata, preferendo il prelievo dalla falda artesiana profonda,
di ottima qualità e protetta dagli strati superiori d’argilla.
A
causa
dell’elevata
permeabilità
dei
terreni
alluvionali, l’acquifero indifferenziato è molto vulnerabile:
pertanto qualsiasi sostanza sversata in superficie è libera di
percolare in profondità.
19
La galvanica “Alfa” nel contesto del bacino scolante in laguna di Venezia
20
B. LA FONTE INQUINANTE
La causa della contaminazione è stata individuata
all’interno del perimetro aziendale della galvanica “Alfa”; il “focal
point” si trova nel sottosuolo e nella falda sottostante tale
perimetro.
Il focal point può essere rappresentato come “un’enorme
pastiglia” di cromo VI ed altri metalli pesanti (soprattutto nickel
e cromo III) formatasi sotto l’insediamento produttivo da ultimo
denominato galvanica “Alfa”, nella zona industriale di Tezze sul
Brenta (VI), in Via ****.
Le dimensioni della “pastiglia” sono state concretamente
definite solo nel 2005: è un tronco di cono di matrice ghiaiosa e
sabbiosa, con la base minore rivolta verso l’alto, la cui altezza
raggiunge i 22 - 25 metri.
La “pastiglia” comprende tutto il materasso litoideo
alluvionale dal piano campagna fino alla “tavola d’acqua”, ossia
il limite superiore della falda acquifera sotterranea, posto a circa
22 - 25 metri sotto il livello del suolo.
Gli ioni di cromo VI, disciolti dall’acqua di processo o di
origine meteorica, attraversano il materasso ghiaioso e sabbioso
alluvionale, senza essere in nessun modo sequestrati, e la loro
velocità di diffusione nella matrice liquida è molto elevata.
Di contro, la diffusione dello ione nickel bivalente e piombo
bivalente nelle matrici ambientali, solida e liquida, è di molto
inferiore; analogamente per lo ione cromo trivalente.
Ciò causa il quasi totale “sequestro” degli ioni di nickel
bivalente, piombo bivalente e cromo trivalente nella matrice
solida costituita dal materasso litoideo alluvionale esistente sotto
il perimetro aziendale della Galvanica “Alfa”.
La falda acquifera non mantiene un livello di altezza
costante: la “tavola d’acqua” si alza o si abbassa con escursioni
che facilmente raggiungono il mezzo metro anche nel breve
tempo “geologico” di due settimane; ne consegue che può
verificarsi una escursione annua del livello di falda anche di 5
metri.
Si attua pertanto il “periodico dilavamento della
pastiglia di cromo VI”, con conseguente rilascio dalla stessa
di ioni di tale sostanza; gli ioni vengono poi trasportati dallo
scorrimento della falda da Nord - Nord Ovest verso Sud – Sud
Est.
Questa è la spiegazione dei rilevamenti di cromo VI nella
acque attinte da pozzi privati nei comuni di Cittadella,
Fontaniva, Tezze sul Brenta.
Fino alla cessazione dell’attività produttiva, al dilavamento
del materasso litoideo contribuiva l’eluizione negli strati del
sottosuolo dei fluidi comunque provenienti dalle fasi di
21
lavorazione, manutenzione, depurazione, e da eventuali incidenti
legati alla conduzione degli impianti.
Episodi analoghi si sono verificati in precedenza, come
risulta dagli atti processuali svolti a Cittadella presso la sezione
staccata del Tribunale di Padova, oltre che da una pubblicazione
CNR del 1999: risulta che il sito della Galvanica “Alfa” è stato
fonte di altri eventi analoghi dal 1974, all’80, all’86, all’89,
al ‘93, al ’94.
2. LE
FASI
DELL’ACCERTAMENTO
DELLA
SORGENTE
DELL’INQUINAMENTO DELLA FALDA ACQUIFERA DEL
CONOIDE DEL BRENTA
L’indagine
per
l’accertamento
della
sorgente
dell’inquinamento da cromo VI della falda acquifera, condotta
in coordinamento da Procura della Repubblica di Padova,
ARPAV e Regione Veneto, ha inizio nel 2002. Il procedimento
viene avviato principalmente a seguito di due episodi:
-
l’inquinamento da cromo VI di un pozzo privato nel
comune di Cittadella segnalato nel giugno 2001;
-
la successiva campagna di campionamenti condotta
da ARPAV su complessivi 106 pozzi nei comuni di
Tezze sul Brenta, Fontaniva e Cittadella dall’estate
2001 al marzo 2002.
I valori superiori ai limiti di legge per 29 dei pozzi
campioni hanno consentito di definire area e entità della
contaminazione.
22
Numero
pozzo
Comune
Via
Profondità colonna
metri da pc
200
233
233bis**
234
202
193
180
1154
N1154*
178
143
198
237
146
172
175
173
203
2
1
13
3
4
5
6
196
8
7
11
12
10
9
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Cittadella
Fontaniva
Fontaniva
Fontaniva
Fontaniva
Fontaniva
Fontaniva
Fontaniva
Cittadella
Fontaniva
Fontaniva
Fontaniva
Fontaniva
Fontaniva
Fontaniva
Battistei, 133
Pani
Pani
Ponte Gobbo
Campagna Tron
Campagna Tron
Del Tron
Postumia di Ponente
Postumia di Ponente
Valliera
Casaretta
Casaretta
Giusti
Fontanivese
Casaretta
Lazzaretto
Lazzaretto
Muri d'Orsato
Marconi
Marconi
Carducci
Chiesa
Dante
Kennedy
Ciliegi
Pieve
Sant'Antonio
Della Riva
Boschetti
Contrà Beggio
Montagnola
Cultura
25,0
66,0
16,0
30,0
18,0
20,0
20,0
26,0
30,0
30,0
17,5
30,0
30,0
25,0
20,0
20,0
20,0
25,0
18,0
15,0
14,0
18,0
15,0
18,0
15,0
14,0
20,0
15,0
43,0
16,0
43,5
Acquifero
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Freatico
Artesiano
Freatico
Artesiano
Tabella 1. Anagrafica dei pozzi utilizzati per il monitoraggio periodico.
*Il pozzo 1154, è stato sostituito, a partire dal 02 Aprile 2002, dal Pozzo N1154.
**Il pozzo 233, è stato sostituito, a partire dal 13 maggio 2002, dal Pozzo 233bis.
Nel corso della campagna di monitoraggio avvenuta alla fine di Marzo, allo scopo di approffondire
le conoscenze nell’area posta a nord dei pozzi 234 e 202, sono stati effettuati dei sopralluoghi mirati
all’individuazione di nuovi pozzi da inserire nel controllo periodico.
Le ricerche effettuate hanno permesso di individuare un pozzo freatico, sito a Tezze sul Brenta
(M2002), realizzato alla profondità di 35 metri dal p.c.; il giorno 22 Marzo 2002 sono stati
riscontrati 140 μg/l di cromo esavalente.
23
La Procura della Repubblica di Padova ha avviato così una
serie di indagini per identificare l’origine dell’inquinamento.
Sulla base dei dati forniti da ARPAV, è stato identificato il
conoide inquinato e l’area del possibile “focal point” all’origine
della contaminazione, ai confini fra i comuni di Rosà e Tezze
sul Brenta.
Ricostruita la storia antropica della zona, se ne è studiata
la sua idrogeologia.
In seguito sono state ricercate, individuate e mappate le
attività artigianali ed industriali, con particolare riguardo per
quelle che usavano nel loro ciclo produttivo dei composti
contenenti cromo VI.
In questa fase, è stato ispezionato anche l’insediamento
produttivo gestito dalla società “Alfa”, con attività galvanica,
che presentava un elevato livello di degrado di strutture e
macchinari e, all’interno del suo perimetro aziendale, una
palese contaminazione delle superfici scoperte esterne alle
strutture edilizie con sostanze chimiche. In particolare, nei
mesi di marzo e aprile 2002 si è constatata la presenza e la
contaminazione da cromo VI (tra l’altro per la presenza di
cristalli di colore giallo su pavimentazioni interne ed esterne al
capannone produttivo) e da nickel (per la colorazione
verdognola di liquami fuoriuscenti da sacchi usati per lo
stoccaggio dei fanghi, prodotti dall’impianto interno al fine di
trattare i reflui).
La Regione Veneto stabiliva a questo punto di realizzare,
entro il termine del 2002, una serie di piezometri, (denominati
“pozzi Pz”), ossia di pozzi ricavati con trivellazione del terreno
(terebrazione), a monte (uno) e a valle dell’azienda (da subito
tre) per meglio valutare la situazione di inquinamento delle
acque (cfr. allegati 2, 3 e 4).
Particolarmente interessante e rappresentativa è la
trasformazione antropica ed urbanistica, da agricola ad
artigianale-industriale, avvenuta negli ultimi decenni nella
zona dove insiste la galvanica “Alfa”.
24
Foto aeree dal 1955 fino all’anno 2000 della zona industriale di
Tezze sul Brenta, luogo in cui si insedierà la galvanica “Alfa”.
Tezze sul Brenta (VI). Volo 6 luglio 1955
Tezze sul Brenta (VI). Volo 31 luglio 1967
25
Tezze sul Brenta (VI). Concessione 12 ottobre 1981
Tezze sul Brenta (VI). Concessione 2 luglio 1990
26
Industria Galvanica
Area ricerca sorgente
Roggia Brotta
Vicenza 06.10.2004
27
ARPAV
A seguito del fallimento della galvanica “Alfa” alla fine del
2003, sono stati realizzati alcuni piezometri all’interno del
perimetro aziendale (denominati “Pozzi G”) che hanno consentito
anche, attraverso l’analisi delle carote di terreno, di valutare il
grado di inquinamento del suolo sottostante la fabbrica.
Il monitoraggio veniva integrato con la realizzazione di
alcune vere e proprie trincee che contribuirono anch’esse,
sempre attraverso l’analisi del terreno asportato, di quello di
fondo e delle pareti, a valutare l’inquinamento di cui sopra.
Ulteriori piezometri sono stati successivamente terebrati
negli anni che seguirono, fino al 2006, sia all’interno del
perimetro aziendale, sia all’esterno, nelle sue immediate
vicinanze.
3. L’AZIENDA ED IL SUO INSEDIAMENTO
Lo stabilimento industriale in cui ha operato la galvanica
“Alfa” è stato realizzato agli inizi degli anni ’70 in Via *****, nel
comune di Tezze sul Brenta in una zona a vocazione
prettamente agricola. L’area in questione si trova al confine fra
quattro comuni situati in due province diverse: Tezze sul
Brenta e Rosà nel vicentino e Fontaniva e Cittadella in
provincia di Padova. I due comuni del padovano si trovano
rispettivamente a sud e a sud-est del complesso industriale.
Nel 1974 ha avuto inizio l’attività produttiva della
cromatura di elementi di arredamento da parte dell’azienda
denominata “Cromatura Beta” la cui ragione sociale, nel
febbraio 1975, è stata convertita in” Gamma”. Quest’ultima
nel 1995, in seguito alla contrazione della propria area di
mercato, ha smantellato la sua attività cedendo il settore della
cromatura alla “Galvanica Alfa”. La “Galvanica Alfa” ha gestito
gli impianti galvanici “ex-Gamma” fino al suo fallimento, nel
2003.
L’attività della “Cromatura Beta” e della “Gamma”
riguardava in particolare: la lavorazione metalmeccanica di
materiali ferrosi, come taglio, piegatura e saldatura; la
pulitura e smerigliatura dei semilavorati; nickelatura,
cromatura, ottonatura e argentatura dei prodotti, quindi
finitura con applicazione di vernici trasparenti e successiva
cottura in forni.
La galvanica “Alfa”, in seguito alla riduzione dell’attività ha
svolto dalla fine degli anni ’90 le sole fasi di nickelatura e
cromatura.
Dal momento dell’entrata in attività dell’azienda sono stati
eseguiti controlli, da parte di diversi enti preposti, sulle
28
caratteristiche delle acque di scarico. Da tali indagini sono
emerse numerose irregolarità, in violazioni alle leggi al tempo
vigenti. Tali irregolarità vengono elencate nella Tabella 1.
Da quel che si evince dalla documentazione agli atti del
Tribunale, fino al 1986 l’azienda ha scaricato i reflui prodotti
dall’attività nella “Roggia Brotta”, un corso d’acqua
superficiale che scorre a margine della strada comunale (Via
*****), a sud dell’insediamento produttivo, roggia che riceveva
e riceve ancor oggi gli scarichi delle acque meteoriche di tutta
la zona industriale.
E’ altresì risultato che la condotta non era stata realizzata
con tratto di tubatura continua, bensì i tratti stessi erano (e
sono) opportunamente distanziati di alcuni centimetri al fine
di creare delle “feritoie” attraverso le quali le acque piovane (e
non) veicolate potessero agevolmente disperdersi nel terreno
ghiaioso sabbioso circostante e sottostante, andando più
agevolmente
a
rimpinguare
il
sottostante
acquifero
indifferenziato.
Successivamente lo scarico dell’azienda è stato collegato ad
un ramo di rete fognaria, nel frattempo predisposto e
realizzato, che convogliava e convoglia le acque ad un
impianto di depurazione consortile.
Dopo il 1999 e fino alla chiusura dell’attività nel 2003, non
sono state riscontrate dalle autorità competenti altre violazioni
dei parametri delle leggi vigenti per quanto concerne le acque
di scarico (cfr. Tabella 1).
Va evidenziato e sottolineato che, contestualmente a quanto
riportato in Tabella 1, esistono tracce documentate di episodi
di inquinamento da cromo VI delle acque di falda che
attraversano gli abitati dei comuni a valle. L’evento
sicuramente più eclatante risale all’ anno 1977 quando, in
seguito al campionamento su 53 pozzi privati nei comuni di
Cittadella e Fontaniva in provincia di Padova, l’ autorità
sanitaria di allora (poi USL 19) ha rilevato superamenti del
limite di legge per le acque potabili riguardo al cromo VI. Tale
episodio si è esaurito spontaneamente nel gennaio 1978. Di
particolare interesse risulta il fatto che il conoide inquinato al
tempo descritto, è molto simile a quello identificato dai
campionamenti che ARPAV ha effettuato dal 2002 in avanti.
Altri episodi successivi simili, ma meno circostanziati,
risalgono:
- al periodo 1980-81, in cui venivano coinvolti i
comuni di Galliera Veneta (PD), ad est di Cittadella, e
Tombolo (PD) a sud-est di Cittadella,
29
-
al periodo 1983-84, in cui furono interessati i
territori in prossimità del fiume Brenta, a nord di
Fontaniva.
Foto recuperata da un quotidiano del 1977.
Alla distribuzione dell’acqua per la popolazione coinvolta
dall’inquinamento di cromo VI provvedono con autobotti i
militari del “Pordoi” e del “Valles”.
30
20 Febbraio 1980 : Comune di Tezze sul Brenta “Autorizzazione
provvisoria, per la durata di tre mesi dalla data della presente, allo
scarico nella Roggia Brotta dei rifiuti liquidi provenienti dalle
lavorazioni dell’ insediamento produttivo”.
-
31
32
Area con valori di
cromo esavalente
superiori a 10
microgrammi/litro
.
Marzo 1977
Vicenza 06.10.2004
pozzi con concentrazioni di Cr6+
che hanno superato almeno in un
evento i 50 ug/l
(rete 2001-2005)
Cusinati
5064000
PM Galvanica srl
Granella
?
5063000
pozzi con concentrazioni di Cr6+
che non hanno mai superato 50 ug/l
(rete 2001-2005)
Tezze sul Brenta
Belvedere
Stroppari
Campagnari
Galvanica “Alfa”
5062000
pozzi della rete 1977
Friola
a
5061000
Postumia
5060000
direttrici della
contaminazione da cromo 6
a: 1977
b: 2001
Cà Tron
Valliera
5059000
b
Fontaniva
5057000
plume 2001-2005
(inviluppo non
temporale dei pozzi
con CrVI>5.0 ug/l)
5058000
Cittadella
5056000
Fontanivetta
0
500
1000
1500
2000
5055000
plume 1977
(inviluppo non
temporale dei
pozzi con
CrVI>50.0 ug/l)
Ponte di Fontaniva
San Giorgio
in Brenta
1709000
1710000
1711000
1712000
1713000
1714000
1715000
1716000
1717000
(metri)
33
4. LA DIMENSIONE DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE
Complessivamente, le indagini condotte dallo scrivente in
stretta collaborazione con il Tecnico di Prevenzione F. B. (in
forza al Dipartimento Provinciale ARPAV di Vicenza, sede di
Bassano del Grappa) e la perizia dei Consulenti Tecnici
nominati dal Giudice P. C., hanno consentito di dare una
dimensione all’entità dell’inquinamento, sia per quanto
riguarda il suolo in corrispondenza dell’insediamento
industriale, sia per quanto riguarda le acque della falda
freatica nell’area interessata.
A) Suolo
Si è giunti alla conclusione che la contaminazione
prodotta
dall’attività
di
cromatura/nickelatura
ha
determinato la formazione di una “pastiglia” di terreno
inquinato, principalmente da cromo VI, cromo III e nickel, al
di sotto dell’azienda. Essa è stata descritta come una forma
tronco-conica con la base minore rivolta verso l’alto e con
una profondità di circa 25 metri. I livelli di concentrazione
di cromo VI, nickel e piombo riscontrati nel terreno
sottostante l’azienda sono riassunti nella Tabella 2.
Alte concentrazioni di nickel sono state rilevate in carote
ottenute da piezometri realizzati nelle adiacenze del
perimetro aziendale.
Anche l’analisi del terreno prelevato ad una profondità di
20-50 cm durante la realizzazione delle trincee, ha
consentito di evidenziare livelli di cromo VI, cromo totale e
nickel nettamente superiori ai parametri di legge in quasi
tutti i campioni.
Va rilevato inoltre che l’analisi dei fanghi di depurazione
(Tabella 3), delle acque di dilavamento e di quelle dei
pozzetti per la raccolta delle acque meteoriche hanno
rivelato concentrazioni di cromo VI, cromo totale, nickel e
piombo al di sopra dei limiti di legge.
L’analisi delle carote di terreno dei piezometri
realizzati a varie distanze dall’azienda, nei comuni di
Fontaniva e Cittadella, non ha evidenziato superamenti
dei limiti di legge da parte degli inquinanti ricercati. Il dato
è concorde con l’assenza, in queste aree, di un
percolamento dei contaminanti dal piano di campagna alla
sottostante falda e con l’alta solubilità del cromo VI che,
seppure transitando attraverso aree di terreno non
contaminate, non si àncora alla matrice solida.
34
B) Acque della falda freatica
L’analisi della documentazione agli atti consente di
ricavare una “fotografia” dell’andamento quantitativo e
temporale dell’inquinamento della falda freatica a valle
dell’insediamento industriale.
Dalla relazione del Dottor F. M. dell’Osservatorio
Regionale per le Acque (ORAC) dell’ARPAV, si evince la
criticità degli andamenti temporali del livello della falda.
La falda freatica del conoide del Brenta è infatti
alimentata per la maggior parte dallo stesso fiume Brenta
che nelle zone pedemontane cede acqua alla falda stessa dal
proprio letto per infiltrazione del terreno ghiaioso.
Durante la stagione invernale le temperature rigide non
consentono lo scioglimento di nevai e ghiacciai e la portata
del fiume è relativamente diminuita e così anche il livello
della falda è molto basso.
Nella stagione calda, lo scioglimento dei nevai e dei
ghiacciai aumenta la portata del fiume e quindi il livello
delle acque di falda.
Durante i periodi di innalzamento della falda freatica la
“pastiglia”
di
terreno
contaminato
viene
transitata
dall’acqua in scorrimento.
I
contaminanti
con
più
alto
livello
di
solubilità,
principalmente il cromo VI, vengono quindi dilavati dal
terreno impregnato e trasportati a valle dove vengono
ritrovati nelle acque dei pozzi per uso umano e nei pozzi
sentinella terebrati negli anni precedenti.
Dai numerosi pozzi campionati nel periodo 2002-2005 al
fine
di
quantificare
e
poi
monitorare
gli
andamenti
dell’inquinamento da cromo VI delle acque per uso umano,
sono stati raccolti i dati che poi sono stati riportati nelle
specifiche relazioni peritali sullo stato idrogeologico della
falda.
I superamenti dei limiti di legge sono stati numerosi, fino
a raggiungere un valore massimo di cromo VI di 275 μg/l
35
rilevato nel pozzo di Via Pani in comune di Cittadella
(PD).
Complessivamente, il valore medio delle misurazioni
delle concentrazioni di cromo VI effettuate è risultato
di 100 μg/l per i campioni con valori al di sopra del
limite di legge.
Va
sottolineato che l’analisi delle portate e della
traiettoria della falda effettuata dai geologi interpellati, ha
condotto alla definizione di uno scenario secondo il quale si
può
presupporre
che
in
passato
i
livelli
di
concentrazione di cromo VI hanno raggiunto valori
anche superiori 500 μg/l.
Per quanto riguarda nickel e piombo, nonostante siano
scarsamente solubili, essi erano presenti a concentrazioni al
di sopra dei parametri di legge nei “pozzi sentinella”
terebrati all’interno dell’azienda (i pozzi “G”). Il fenomeno è
indicativo dell’altissimo livello di inquinamento del terreno
in quest’area.
Il
nickel
e
il
piombo
hanno
infatti
raggiunto
concentrazioni tali da saturare la capacità del terreno di
trattenerli sotto forma di composti insolubili.
C) Nota sulla mobilità di cromo VI, cromo III e nickel nel
terreno e nelle acque.
Il cromo VI ha una mobilità molto superiore rispetto al
cromo III, in quanto il cromo VI è molto solubile in acqua,
mentre il cromo III è praticamente insolubile e perciò si
blocca facilmente nel terreno.
Di conseguenza è più facile trovare nelle acque di falda
la presenza di cromo VI.
In un ambiente neutro o tendente al basico, come il
terreno o l’acqua di falda, il cromo nella valenza bassa
(cromo III) è insolubile, perché, avendo un comportamento
metallico, tende a formare idrossidi, che non sono solubili
in acqua; per trovarlo in forma solubile bisognerebbe
essere in ambiente acido.
Anche il nickel in ambiente neutro o basico tende a
formare idrossidi poco solubili: gli studi sulla mobilità dei
36
metalli in suoli contaminati evidenziano che il nickel è uno
dei metalli meno mobili.
Per tale motivo, anche se il terreno è inquinato sia da
nickel sia da cromo VI, nella falda si rilevano alte
concentrazioni di cromo VI e basse quantità di nickel.
37
38
D) Modalità d’inquinamento del terreno e della falda
entro l’area dello stabilimento.
Le trincee e i carotaggi eseguiti nel sito hanno
evidenziato la presenza di cromo nel terreno dalla
superficie fino al livello più volte raggiunto e superato dalla
superficie della falda nelle sue periodiche oscillazioni.
Nello stabilimento la zona più inquinata comprende i
piezometri G9, G11, G5, G10, G8 e G7. Visti i valori del
G11 può affermarsi, inoltre, che la parte notevolmente più
inquinata è quella che comprende la linea galvanica attiva
fino alla dismissione dell’impianto (G8, G10 e G7).
Gli inquinanti, nel caso specifico cromo e nickel, si
sono infiltrati e propagati nella porzione insatura di
sottosuolo per le perdite che si sono verificate
ripetutamente nelle vasche dei bagni galvanici. Nel fondo
delle vasche dei bagni di cromo, così come nella vasca dei
concentrati, sono stati osservati dopo il loro svuotamento
dei rattoppi di resina, per la chiusura di fenditure e di
zone dove la soletta di fondo vasca si era disgregata per
l’azione delle soluzioni.
Un’altra importante e costante via di dispersione e
penetrazione del cromo VI nel terreno, è rappresentata dai
gocciolamenti, dai pezzi in lavorazione al pavimento, nei
passaggi dall’una all’altra vasca di elettrodeposizione –
durante le fasi della cromatura – e dall’una all’altra vasca
di lavaggio – a cromatura avvenuta.
Va evidenziato che i gocciolamenti in parola sono
soluzioni acquose di acido cromico, classificato come
“molto tossico per inalazione” ai sensi del 29°
Adeguamento al Progresso Tecnico della direttiva
67/548/EEC (T+; R26; direttiva “Seveso”), oltre che – come
tutti i composti del cromo VI – cancerogeno di categoria 2 e
pericoloso per l’ambiente acquatico (N; R50/53).
Il riscontro analitico dei percolamenti proviene dai
risultati dei carotaggi.
39
G11
G8-CR0
G7-CR2
40
Piezometro G7-CR2
41
Piezometro G8 - CR0
05/11/2008
42
La propagazione della soluzione contenente cromo,
dunque,
è
un
dato
di
evidenza
sperimentale
incontrovertibile.
Essa può essere avvenuta secondo due modalità, in
funzione della composizione tessiturale del terreno:
- propagazione dalla superficie alla falda secondo un
percorso verticale o sub verticale (si ha propagazione
prevalentemente verticale quando il terreno ha una
composizione omogenea e non ci sono livelli o lenti di
terreno a minore permeabilità);
- propagazione con andamento verticale e laterale. E’ il
caso più frequente ed è quanto si verifica nel sito in esame
(nella sua propagazione verticale verso la falda
l’inquinante
subisce
delle
deviazioni
laterali
in
corrispondenza di strati di terreno a minor permeabilità,
nel caso specifico livelli a tessitura fine e strati addensati e
talora cementati (livelli conglomeratici). Il flusso
inquinante, infatti, tende a deviare orizzontalmente
quando incontra livelli poco permeabili dato che la
permeabilità orizzontale è maggiore di quella verticale.
L’ampiezza dello spostamento può essere considerevole ed
è in funzione all’estensione e alla continuità dello strato
meno permeabile o impermeabile, che impedisce il
percorso verticale.
Nel caso del sito della Galvanica “Alfa” le stratigrafie dei
sondaggi hanno mostrato una situazione di discreta non
omogeneità in tutta l’area con livelli a granulometria mediofine e frequenti lenti conglomeratiche a debole grado di
cementazione. E’ quindi ragionevole pensare che la
propagazione del flusso inquinante segua tragitti diversi dalla
verticalità, raggiungendo la falda dopo aver seguito vie
preferenziali di scorrimento in rapporto alla costituzione del
terreno.
43
44
Galvanica “Alfa”. Particolare di materiale impregnato da cromo VI
Galvanica “Alfa”. Sasso posizionato alcuni metri sotto la vasca del
cromo.
Galvanica “Alfa”. Particolare di materiale già costituente la platea
cementizia impregnato da cromo VI
45
Galvanica “Alfa”. Sezione di un sasso del peso di circa 5
kg prelevato alcuni metri sotto la vasca del cromo VI
Un sasso proveniente dal primo metro dell’insaturo contaminato,
lo si è immerso in acqua bidistillata.
Esso ha continuato a rilasciare per circa 6 mesi cromo VI fino a
raggiungere una concentrazione nel solvente di circa 158.000
microgrammi/litro.
Prelevato poi lo stesso sasso e riposto in un secondo recipiente
contenente un altro litro di acqua bidistillata, esso ha continuato a
rilasciare cromo VI:
46
-
dopo 19 giorni di immersione la concentraz di cromo Vi nella
soluzione era di 2.000 microgrammi/litro;
dopo 39 giorni era di 4.000 microgrammi/litro;
dopo 83 giorni era di 6.150 microgrammi/litro;
dopo 346 giorni era di 10.500 microgrammi/litro.
5. POPOLAZIONE ESPOSTA
La contaminazione delle acque di falda ha comportato, fino ai
primi anni ’90, l’esposizione della popolazione del territorio
interessato. I residenti delle aree interessate sono stati
potenzialmente esposti in via principale:
1. al cromo VI per via ingestiva a causa della sua diffusa
presenza nell’acqua;
2. al cromo VI per contatto con l’acqua attinta e utilizzata
per scopi igienico sanitari, per allevamento animali
domestici, per irrigazione di colture ed ortaggi.
Si è inoltre sicuramente verificata un’ importante
esposizione della popolazione lavorativa
a cromo VI,
nickel e piombo per contatto, ingestione e inalazione a
causa del quotidiano utilizzo per scopi produttivi di
soluzioni acquose contenenti i suddetti metalli, nonché
con le matrici ambientali particolarmente inquinate
presenti all’interno del perimetro aziendale. Ne è
conseguita
pertanto
la
concreta
possibilità
di
“contaminazioni
incrociate”,
ad
esempio
tra
i
lavoratori/maestranze e i loro familiari a causa anche solo
degli indumenti di lavoro imbrattati/contaminati).
In via secondaria, si è altresì verificata un’esposizione
a nickel e piombo nella popolazione per i motivi elencati
alle pagine 92 e 93.
Un ordine di grandezza della popolazione potenzialmente
coinvolta è data dal numero dei residenti dei tre comuni che,
al 2001, era la seguente:
− Tezze sul Brenta (VI): 10.405 abitanti.
− Fontaniva (PD): 7.460 abitanti.
− Cittadella (PD): 18.743 abitanti.
Nel considerare la popolazione esposta va prestata una
particolare attenzione alle fasce a maggior rischio. Bambini,
anziani, gestanti e immunodepressi sono notoriamente i
gruppi più deboli in quanto altamente sensibili ad agenti
chimici e fisici con effetti a breve e lungo termine per la salute.
47
II.
ACQUISIZIONI SULLA CANCEROGENESI UTILI AI
FINI DELLA PRESENTE RELAZIONE
1. La dimensione epidemiologica dei tumori
I tumori rappresentano oggi il più grave problema di sanità
pubblica: essi infatti sono responsabili, nei paesi industrializzati,
di oltre il 30% della mortalità. I tumori non colpiscono soltanto le
fasce più anziane della popolazione, in quanto costituiscono la
prima causa di morte nella fascia dell'età produttiva.
L'incidenza dei tumori è cresciuta gradualmente, ma
costantemente, negli ultimi decenni.
La ragione di tale incremento dipende da tre fattori
essenziali:
1) l'invecchiamento della popolazione;
2) l'aumento della diffusione (per tipologia e quantità) di
agenti cancerogeni nell'ambiente di lavoro e di vita generale;
3) l'inizio della esposizione ad essi in età sempre più giovani
(per alcune tipologie addirittura fin dalla vita embrionaleperinatale-neonatale).
Se l’incidenza non diminuirà, la mortalità per cancro non
potrà subire modifiche sostanziali.
2. Gli agenti cancerogeni e le situazioni in cui possono
essere presenti
Gli agenti che hanno maggiore rilevanza nella induzione di
tumori nell'uomo sono di tipo fisico e chimico ed hanno una
origine prevalentemente artificiale. Essi sono il prodotto delle
attività produttive e consumistiche dell'era industriale: sono cioè
l'effetto dei nostri modelli di sviluppo.
Gli agenti cancerogeni sono presenti nei minerali che vengono
superficializzati (carbone, minerali radioattivi, fibre, ecc.); nel
petrolio; nelle fasi di produzione, trasporto ed utilizzo dell'energia
(fossile, nucleare, elettrica, ecc.); nella produzione di beni di
consumo vari, i quali hanno avuto un grande impulso con lo
sviluppo dell'industria chimica e petrolchimica; nei prodotti che
vengono utilizzati in agricoltura (in particolare i pesticidi) e
nell'industria alimentare (conservanti, additivi, coloranti, ecc.);
nelle scorie (rifiuti solidi urbani, industriali, ecc.).
48
3. Le caratteristiche dell'azione degli agenti cancerogeni
Il processo di cancerogenesi presenta alcune caratteristiche
peculiari:
A) gli effetti degli agenti cancerogeni sulle cellule sono in larga
misura irreversibili, e il processo neoplastico può pertanto
continuare a svilupparsi anche quando l'esposizione agli
agenti cancerogeni è stata interrotta;
B) non esiste una dose senza effetto (effetto stocastico);
C) esiste un rapporto fra entità dell'esposizione ed entità della
risposta neoplastica;
D) agenti cancerogeni, anche di natura diversa, possono avere
effetti additivi e moltiplicativi sulla risposta neoplastica
(sincancerogenesi). Con il termine “effetto moltiplicativo” (o
sincancerogenesi) si intende descrivere una risposta
cancerogena, indotta da due o più agenti cancerogeni, tale
da determinare (rispetto all'entità dell'effetto cancerogeno di
ciascun agente) una più alta incidenza di tumori, oppure un
periodo di latenza (cioè il tempo intercorso tra l'inizio
dell'esposizione e l'insorgenza del tumore) più abbreviato, o
infine un più elevato numero di tumori nell'organo/tessuto
bersaglio predestinato.
L'effetto sincancerogenetico può riguardare un solo
organo/tessuto quando gli agenti cancerogeni considerati
hanno lo stesso organotropismo, oppure può riguardare più
organi e tessuti se gli agenti cancerogeni considerati hanno
diverso organotropismo;
E) appare sempre più evidente, sulla base di indagini
epidemiologiche più precise e di saggi sperimentali più
adeguati (soprattutto quelli che non prevedono sacrifici a
tempi arbitrari, in genere dopo due anni, ma l'osservazione
degli animali fino a morte spontanea) che la maggior parte
degli agenti cancerogeni, pur potendo avere dei tessuti ed
organi bersaglio, hanno in realtà effetti cancerogeni
multipotenti, cioè la capacità di indurre tumori di vario
tipo in molte sedi anatomiche;
F) tra l'inizio dell'esposizione ad un agente cancerogeno e
l'insorgenza delle neoplasie da esso provocate, intercorre un
periodo di latenza (incubazione) più o meno lungo,
caratterizzato quasi sempre dall'assenza di alterazioni
clinicamente e patologicamente rilevabili, che tuttavia si
può considerare come la dimensione temporale nella quale
si attuano e si sviluppano alterazioni "minime", che
costituiscono lo stadio critico, ma forse più importante, del
processo neoplastico.
49
Il problema del potenziale cancerogeno ambientale e
professionale e dei suoi effetti va valutato tenendo in
considerazione, oltre che il numero e la quantità degli agenti
cancerogeni immessi nell'ambiente, anche le suddette
caratteristiche degli effetti cancerogeni e del processo
neoplastico, ed in particolare le infinite possibilità di
sincancerogenesi.
Oggi, in termini scientifici e per le conseguenti implicazioni
di sanità pubblica, non è corretto valutare i rischi cancerogeni
in termini di singoli agenti cancerogeni e singoli tumori
specifici in organi "bersaglio": bisogna invece considerare,
innanzitutto, il rischio totale ("total risk") e la risposta totale
("total burden"), intesa quest'ultima come la totalità dei tumori
maligni osservati. Le ricadute di questa nuova impostazione
sulle valutazioni, regolamentazione e strategie di controllo e di
sanità pubblica sono pertanto assai considerevoli.
50
III. I
POTENZIALI
RISCHI
PER
LA
SALUTE
DELL’ESPOSIZIONE
PER
VIA
CUTANEA,
INALATORIA E ORALE A CROMO VI, NICKEL E
PIOMBO
Al fine di poter esprimere una valutazione qualitativa sui
potenziali rischi per la salute, in particolare a lungo termine, del
cromo VI, nickel e piombo, rilasciati nelle falde acquifere
utilizzate per fornire l’acqua potabile alla comunità locale,
vengono di seguito riportati i dati essenziali ricavati dalla
revisione della letteratura scientifica disponibile.
1.
CROMO
Presenza in natura, produzione e uso
Il cromo è un elemento naturale che fa parte del gruppo VI
della serie dei metalli di transizione della tavola periodica degli
elementi. Si presenta in diversi stati di ossidazione che vanno da
2− a 6+. La forma elementare del cromo con stato di ossidazione
0 non esiste in natura. Le forme più rappresentate sono quelle
con stato di ossidazione 2+ (II), 3+ (III) e 6+ (VI). Lo ione cromo più
stabile è il III, seguito dal VI e dal II, che tende ad essere
rapidamente ossidato a cromo III. Il cromo VI viene naturalmente
ridotto alla forma III in presenza di materiale organico ossidabile.
Tuttavia la carenza di tale materiale nelle acque, conferisce al
cromo VI una buona stabilità quando disciolto in questa matrice
(EPA, 1984).
Il cromo VI è tuttavia molto raro in natura in quanto si e si
trova:
- nel minerale crocoite, un cromato di piombo (PbCrO4)
(Hurlbut Jr., 1971),
- nel minerale cromite, un bicromato ferroso (FeCr2O4),
- come prodotto antropogenico (EPA, 1984).
I composti del cromo III sono normalmente poco solubili in
acqua mentre alcuni composti del cromo VI lo sono molto di più,
come ad esempio quelli contenenti ammonio e metalli alcalini
come sodio e potassio.
L’estrazione di cromo nel 2005 ammontava, a livello mondiale,
a circa 18.000.000 tonnellate (USGS, 2005a). Una seconda fonte
di produzione di cromo proviene dal riciclaggio di materiali che lo
contengono in leghe di varia natura; nei soli Stati Uniti, nel
2005, la produzione da questa sorgente ammontava a 170.000
tonnellate (USGS, 2005a).
Il cromo è soprattutto utilizzato nell’industria metallurgica,
chimica e dei refrattari: esso viene infatti usato per la produzione
51
di acciai, per la placcatura di leghe ferrose e per la produzione di
leghe non ferrose, principalmente per la sua resistenza alla
ruggine e la sua brillantezza (IARC, 1990; ATSDR, 2000). La
caratteristica di inalterabilità alle alte temperature inoltre lo
rende materiale di elezione per i rivestimenti di forni e fornaci,
mentre le sue caratteristiche ioniche ne hanno favorito un largo
impiego nell’industria dei pigmenti e del trattamento delle pelli
(IARC, 1990; ATSDR, 2000).
Per l’uomo il cromo nella sua forma III
costituisce un
micronutriente che svolge un ruolo fondamentale principalmente
nel metabolismo del glucosio (potenziando l’effetto dell’insulina),
ma anche di grassi e proteine. Il cromo III picolinato viene anche
utilizzato come integratore della dieta (Broadhurst et al, 1997).
Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione
generale
Le concentrazioni naturali di cromo nel suolo sono correlate
alla tipologia del terreno. In aree ricche di basalti, serpentini,
rocce ultramafiche e fosforiti, le concentrazioni di cromo possono
arrivare ad alcune migliaia di mg/kg (Merian, 1984), mentre in
suoli di origine granitica o sabbiosa le concentrazioni sono molto
più basse (Swaine et al, 1960). Negli Stati Uniti sono state
rilevate concentrazioni da 1 a 2.000 mg/kg con un valore
mediano di 37 mg/kg (USGS, 1984). In Canada analoghi studi
hanno fornito un range da 5 a 1.500 mg/kg con una media di 43
mg/kg (Cary, 1982).
Nelle acque dell’oceano le concentrazioni medie di cromo sono
attorno a 0,3 μg/l (Cary, 1982), molto inferiori rispetto ai 5 μg/l
dei laghi (Borg, 1987) e ai 10 μg/l dei fiumi (Eckel et al, 1988).
La concentrazione di cromo totale a livello atmosferico negli
Stati Uniti è tipicamente fra 0,005 e 2,6 ng/m3 in aree remote
(ATSDR, 2000); al di sotto dei 10 ng/m3 nelle zone rurali e di 1030 ng/m3 nelle aree urbane (EPA, 1990). I livelli di cromo
nell’ambiente domestico sono invece stati analizzati in diverse
indagini che hanno fornito valori da 0,1 a oltre 80 ng/m3 in
relazione alla distanza da siti industriali dove veniva utilizzato il
cromo (ATSDR, 2000).
Diversi studi si sono anche occupati della valutazione delle
concentrazioni di cromo nelle acque potabili. Pur soffrendo di
varie limitazioni dovute a volte a strumentazioni di misura non
perfettamente idonee o a metodi analitici non del tutto
appropriati, si può ritenere che il cromo sia presente a
concentrazioni comprese in un range fra 0,4 e 8,0 μg/l con un
valor medio di 1,8 μg/l (Greathouse et al, 1978).
L’esposizione a cromo della popolazione generale può avvenire
attraverso le tre principali vie: cutanea, inalatoria e ingestiva. Il
52
contatto cutaneo si verifica in seguito all’esposizione ad alte
concentrazioni di cromo nell’aria o al contatto con acque
contenenti elevati livelli di cromo (ATSDR, 2000). L’esposizione
per via inalatoria è sostanzialmente dovuta alle emissioni di
cromo in atmosfera ad opera delle principali attività produttive
umane. L’ingestione di cromo è invece principalmente da
ricondurre alla dispersione dell’elemento o dei suoi composti
nelle acque potabili, principalmente in forma VI, dalle stesse
fonti industriali e secondariamente dalla piogge che sono in
grado di intercettare le particelle presenti nell’aria e veicolarle
nelle falde acquifere attraverso la percolazione nel terreno.
Tossicocinetica
A) Via cutanea
Uno studio sperimentale sull’uomo ha dimostrato che,
applicando sulla cute di volontari dischetti di carta da filtro
imbevuti con soluzioni di cromo VI, lo ione metallico può entrare
nel circolo sanguigno (Wahlberg, 1970). La quantità di cromo VI
assorbita dipende dalla concentrazione della soluzione di
partenza e raggiunge il livello di plateau dopo 5 h
dall’applicazione (Liden et al, 1979). La quantità di cromo VI
assorbita può raggiungere 1,1 μg/cm2/h per soluzioni di
partenza 0,01 M di cromato di sodio (520 mg/l di cromo VI)
(Baranowska-Dutkiewicz, 1981).
Lo studio di casi clinici su individui trattati con soluzioni di
cromo VI per curare le lesioni cutanee prodotte dalla scabbia, ha
dimostrato l’elevata capacità del cromo VI di penetrare la cute
danneggiata ed entrare nel circolo sanguigno (Brieger, 1920). Il
cromo VI può inoltre penetrare facilmente l’epidermide umana
incisa (Mali et al, 1963).
In letteratura sono riportati numerosi casi clinici di donne
esposte a cromo VI sotto varie forme e a varie concentrazioni per
via cutanea: essi hanno evidenziato effetti tossici per cuore,
stomaco, muscoli e reni oltre che a carico del sangue (ATSDR,
2000). Questi dati inducono a ritenere che i suddetti organi e
tessuti siano le principali sedi di accumulo dello ione metallico
dopo la sua penetrazione nell’organismo umano attraverso la
cute.
Studi
sperimentali
sull’animale
(guinea
pig)
hanno
ulteriormente dimostrato che l’applicazione cutanea di soluzioni
di cromo VI determina una penetrazione del metallo attraverso la
cute. Utilizzando l’isotopo radioattivo 51Cr è stata rilevata la
successiva distribuzione del Cr nelle forme III e VI nel sangue,
53
milza, midollo osseo, linfonodi, reni, oltre che la presenza nelle
urine (Wahlberg et al, 1965).
B) Via inalatoria
Diversi studi hanno dimostrato la presenza di cromo nelle
urine di lavoratori esposti per via inalatoria in ambiente di lavoro
(Gylseth et al, 1977; Randall et al, 1987; Mancuso, 1997). Il dato
testimonia la capacità del polmone di assorbire il cromo VI che
viene quindi distribuito al circolo sanguigno ed escreto.
L’analisi autoptica dei tessuti di lavoratori giapponesi occupati
nell’industria delle cromature ha consentito di rilevare alti livelli
di cromo VI nei linfonodi, polmone, milza, fegato, reni e cuore
(Teraoka, 1981).
In uno studio su lavoratrici russe di una fabbrica per la
produzione di cromati è stata rilevata la presenza di cromo VI nei
feti e nei neonati. Il monitoraggio delle suddette donne durante e
dopo
la
gravidanza
aveva
infatti
evidenziato
livelli
significativamente elevati di cromo nel sangue e nelle urine delle
madri durante la gravidanza, e quindi nel cordone ombelicale,
nella placenta e nel latte. Alti livelli di cromo sono inoltre stati
rilevati in feti abortiti dopo 12 settimane dall’inizio della
gravidanza (Shmitova, 1980).
Uno studio per valutare il grado di assorbimento del
dicromato di potassio (cromo VI) e del tricloruro di cromo (cromo
III) è stato condotto su ratti trattati per via inalatoria alle
concentrazioni rispettivamente di 0, 7, 3 e 15,9 mg/m3 o 0,8 e
10,7 mg/m3 per la durata di 2 e 6 h. La clearance polmonare è
risultata dipendente, per ambedue le forme ioniche del cromo,
dalla dimensione delle particelle disperse in aria. In generale
però l’assorbimento del cromo VI è di circa tre volte più rapido
del cromo III (Suzuki et al, 1984).
La concentrazione di cromo è stata misurata nei linfociti, nel
sangue e nelle urine di gruppi di ratti Wistar trattati per
instillazione intratracheale con 0,44 mg/kg pc di sodio
dicromato (cromo VI) o cromo acetato (cromo III). Le
concentrazioni del cromo VI rispetto al cromo III valutate a 6, 30
e 72 h dalla somministrazione, sono risultate 4 volte superiori
nel sangue, 7 volte superiori nei linfociti, mentre nelle urine le
concentrazioni di cromo VI era circa la metà del cromo III. Il
picco delle concentrazioni è stato rilevato a 6 h dal trattamento
mentre a 72 h i livelli risultavano già molto ridotti. (Gao et al,
1993).
54
Via ingestiva
Diversi studi sperimentali sull’animale e sull’uomo, condotti
soprattutto nel passato, attestano che l’ambiente fortemente
riducente dello stomaco generato dalla presenza di succhi
gastrici con un elevato livello di acidità è in grado di ridurre il
cromo dalla sua forma VI (6+) a quella III (3+), limitando in questo
modo il pronto assorbimento del cromo nella sua forma VI, la
più tossica (Visek et al, 1953; MacKenzie et al, 1959; Donaldson
Jr et al, 1966; Henderson et al, 1979). Il cromo III non è infatti in
grado di attraversare la membrana cellulare se non per
diffusione, un fenomeno che avviene molto lentamente. Il cromo
VI per contro è in grado di superare efficacemente la barriera
cellulare attraverso il canale per il trasporto di anioni, utilizzato
anche per il passaggio di solfati e fosfati (De Flora, 2000). La
quantità di cromo VI che sfugge all’effetto riducente dei succhi
gastrici è quantificata in un 2-10% sia nell’uomo che
nell’animale, in dipendenza del cibo ingerito (ATSDR, 2000).
In uno studio, condotto su volontari di sesso maschile, i quali
avevano assunto 5 mg di cromo VI in acqua o in succo d’arancia,
è stato evidenziato: 1) i livelli di cromo esavalente nei globuli
rossi erano rispettivamente di 5,5 μg/l (quando ridotto nel succo
d’arancia) e di 18 μg/l senza succo d’arancia; 2) i livelli di cromo
nel plasma erano 2,2 μg/l (in succo d’arancia) e 26 μg/l senza
succo d’arancia; e 3) i livelli di cromo nelle urine erano 24 μg/g
di creatinina con succo d’arancia e 209 μg/g di creatinina senza
succo (Kerger et al, 1996; Costa et al, 1997). Ciò vuol dire che la
mucosa gastrica non era altrettanto efficiente quanto il succo
d’arancia nel ridurre il cromo da esavalente a trivalente.
Diversi studi sperimentali evidenziano che il cromo VI, una
volta superata la barriera della mucosa gastrica, diffonde in vari
organi e tessuti. Topi trattati con potassio dicromato (cromo VI)
nell’acqua da bere alle dosi di 4,4, 5,0 e 14,2 mg/kg pc/die per 1
anno, hanno dimostrato un accumulo del composto in vari
tessuti (Maruyama, 1982).
La distribuzione del cromo VI nell’organismo è stata
riscontrata in uno studio condotto su ratti Fisher e topi
C57BL/6J, trattati con cromato di potassio somministrato con
l’acqua da bere alla dose di 8 mg/kg pc/die per 4 e 8 settimane.
Lo studio ha evidenziato accumulo di cromo VI in fegato, reni
milza polmoni, cuore e sangue in concentrazioni diverse a
seconda della specie (Kargacin et al, 1993).
Da questi dati risulta quindi che la capacità riducente
dello stomaco è limitata e quindi che il cromo VI è in grado
di superare la mucosa gastrica e di accumularsi come tale
nei vari distretti corporei.
C)
55
Viceversa De Flora, in studi condotti alla fine degli anni ’90,
sosteneva che era praticamente impossibile che il cromo VI
ingerito potesse provocare effetti dannosi per la salute, proprio
per l’efficiente capacità riducente della acidità gastrica
combinata con l’altrettanto efficiente capacità riducente dei
globuli rossi nel caso in cui il cromo VI fosse riuscito a superare
la barriera della mucosa dello stomaco (De Flora et al, 1997; De
Flora, 2000). Secondo Zhitkovich invece (2005), i risultati degli
studi di De Flora sovrastimavano l’efficienza riducente del cromo
VI da parte dei succhi gastrici, probabilmente per alcuni limiti
intrinseci alla metodologia analitica utilizzata.
Tossicità acuta e cronica
A) Via cutanea
Nell’ambito del trattamento utilizzato nel passato per la cura
delle lesioni cutanee prodotte dalla scabbia con soluzioni di
cromato di potassio (cromo VI) sono stati riscontrati effetti
cardiovascolari con alterazioni del battito cardiaco, vomito,
albuminuria e poliuria. In individui deceduti a seguito del
trattamento sono state descritte degenerazioni del tessuto
cardiaco, iperemia della mucosa gastrica e necrosi tubulare
(Brieger, 1920).
Studi su lavoratori esposti per contatto a cromo VI
aerodisperso hanno dimostrato l’insorgenza di lesioni cutanee
anche in individui esposti a concentrazioni di 1 μg/m3 (Pastides
et al, 1994).
In lavoratori esposti a cromo VI per via cutanea sono stati
osservati effetti irritativi e ulcerativi dell’epidermide, oltre che
risposte allergiche come eczemi e dermatiti (Fregert, 1975;
Peltonen et al, 1983; Eun et al, 1990). Gli stessi effetti sono stati
osservati anche in persone che avevano fatto uso frequente di
detergenti e sbiancanti contenenti composti a base di cromo VI
(Wahba et al, 1979).
Complessivamente si può affermare che sono stati descritti
diversi casi clinici in cui sono stati riportati effetti tossici per lo
stomaco, cuore, muscoli e reni in individui esposti per via
epidermica a cromo VI. Ciò suggerisce l’ipotesi di una
distribuzione preferenziale per questi organi (ATSDR, 2000).
L’applicazione di diversi composti a base di cromo VI ad una
concentrazione finale variabile da 42 a 55 mg/kg pc ha prodotto
infiammazione della cute, edema e necrosi (Gad et al, 1986).
Sensibilizzazione dell’epidermide è stata indotta nel topo con
una soluzione all’1% di potassio dicromato (cromo VI = 0,35%)
applicata per 50 volte sull’addome depilato. L’applicazione al
56
dotto uditivo della stessa soluzione ha prodotto risultati analoghi
determinando un aumento dello spessore del padiglione
auricolare e infiltrazione di leucociti neutrofili evidenziata
all’esame istologico (Mor et al, 1988).
B) Via inalatoria
Esiste una vastissima letteratura epidemiologica, riportata in
monografie di varie agenzie internazionali, nelle quali sono
riassunti studi sugli effetti tossici dell’esposizione a cromo VI per
via inalatoria (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000). Dispnea,
tosse, iperemia della mucosa nasale, prurito nasofaringeo,
associati anche ad episodi di reattività cutanea con casi di
eritemi ed eczemi, sono fra i sintomi più comuni registrati pure a
livelli espositivi piuttosto bassi. Sintomatologie di questo tipo
sono infatti state descritte inoltre al di sotto del limite massimo
di 100 μg/m3 permesso in ambiente di lavoro (PEL – Permissibile
Exposure Level) stabilito dal National Institute for Occupational
Health and Safety (NIOSH), l’Occupational Safety and Health
Administration (OSHA) e l’American Conference of Governmental
Industrial Hygienists (ACGIH).
Analogamente a quanto si verifica nell’uomo, irritazioni
e infiammazioni dell’epitelio bronchiale e delle mucose nasali,
modificazioni transitorie delle attività enzimatiche della fosfatasi
alcalina sono state riscontrate in animali sperimentali esposti
per via inalatoria a composti del cromo VI (IARC, 1990; EPA,
1998; ATSDR, 2000).
Studi recenti dimostrerebbero che il cromo VI avrebbe
effetti tossici sul sistema nervoso. In uno studio epidemiologico
condotto su diverse migliaia di lavoratori dell’industria del cromo
è stato osservato un eccesso di decessi, rispetto agli attesi, per
cause di origine nervosa (Gibb et al, 2000). Alcuni studi
sperimentali hanno dimostrato che il cromo VI può penetrare il
sistema nervoso centrale (Travacio et al, 2000; Travacio et al,
2001; Ueno et al, 2001).
C) Via ingestiva
Sintomatologie quali nausea, vomito, dolori addominali,
diarrea e ulcerazioni gastriche sono state riportate in lavoratori
esposti a cromo VI nell’ambiente di lavoro (Lucas et al, 1975;
Sterekhova et al, 1978), a seguito di ingestione di alimenti
contaminati (Partington, 1950) e di ingestione di acqua potabile
contaminata (Zhang et al, 1987).
In uno studio su ratti trattati con cromato di potassio
(cromo VI) alla dose di 13,5 mg/kg pc/die per 20 giorni è stato
57
riscontrato un iperaccumulo di lipidi nel fegato (Kumar et al,
1982) e alterazione della funzionalità epatica (Kumar et al,
1985).
Ratti trattati per gavaggio con 13,5 mg/kg pc/die di
cromo VI per 20 giorni hanno mostrato un aumento di fosfolipidi
e trigliceridi in diverse aree del parenchima renale rispetto al
gruppo di controllo e l’inibizione dell’attività funzionale di alcuni
enzimi di membrana (Kumar et al, 1984).
Riduzione dell’attività motoria e dell’equilibrio è stata
descritta in ratti a cui è stata somministrata la dose di 98 mg/kg
pc/die per 28 giorni (Diaz-Mayans et al, 1986).
Cancerogenicità
La International Agency for Research on Cancer (IARC)
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO: World
Health Organization) ha classificato nel 1990 il cromo VI e i suoi
composti nel Gruppo I, cancerogeni per l’uomo (IARC, 1990).
A) Via cutanea
Non risultano essere stati condotti studi epidemiologici
adeguati per valutare gli effetti a lungo termine dell’esposizione
per via cutanea a cromo VI e alle sue soluzioni/miscele
nell’uomo (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000).
Gli studi sperimentali disponibili riguardano invece
principalmente la determinazione degli effetti tossici acuti e
cronici dell’applicazione di soluzioni di cromo VI sulla cute
depilata di ratti, topi e conigli (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR,
2000).
B) Via inalatoria
Il primo studio epidemiologico che attesta la cancerogenicità
del cromo per via inalatoria risale al 1948, quando su una coorte
di lavoratori occupati in 7 diverse aziende per la produzione di
cromati è stato riportato un aumento statisticamente
significativo della mortalità per tumore al polmone (Machle et al,
1948).
A questo studio ne sono seguiti numerosi altri di tipo
epidemiologico, principalmente condotti su coorti di lavoratori
esposti nei vari settori lavorativi in cui il cromo viene utilizzato
nella forma esavalente. Fra questi settori rientrano: la
produzione di cromati, produzione e uso di pigmenti a base di
cromo VI, la cromatura, la saldatura degli acciai e produzione di
leghe ferrocromiche. Tali studi epidemiologici sinotizzati in varie
58
monografie (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000), hanno
confermato la cancerogenicità del cromo VI sull’uomo,
soprattutto per quanto riguarda il polmone.
Recentemente sono stati pubblicati i risultati di una ulteriore
indagine epidemiologica molto ampia condotta su 2.357
lavoratori di un’azienda di produzione di cromati. I livelli
dell’esposizione a cromo VI toccavano un massimo di 100 μg/m3,
coincidente con il PEL (Permissible Exposure Level) stabilito da
NIOSH, OSHA e ACGIH. L’indagine ha mostrato una chiara
correlazione tra aumentata incidenza di tumori del polmone ed
esposizione a cromo (Gibb et al, 2000).
Oltre all’aumento del rischio di carcinoma polmonare in
lavoratori esposti a cromo VI, in altre revisioni di studi
epidemiologici è stato evidenziato un aumento del rischio di
tumori dello stomaco, del rene, della prostata e della vescica
(Cohen et al, 1993) oltre che di linfomi di Hodgkin e leucemie
(Costa et al, 1997).
Gli effetti dell’esposizione ambientale a cromo VI sono stati
molto meno indagati. Il primo studio epidemiologico risale al
1980 ed è stato condotto sulle popolazioni residenti in
prossimità di due fonderie svedesi per la produzione di leghe
ferrocromiche. Le concentrazioni atmosferiche medie di cromo VI
vicino ai due insediamenti industriali sono risultate nel range
dai 100 ai 400 ng/m3. La mortalità per tumore del polmone
nell’area ha avuto un picco di 253 casi per milione rispetto ai
194 attesi nella popolazione dell’intera regione (Axelsson et al,
1980).
I primi dati in animali sperimentali risalgono al 1971.
L’esposizione di 136 topi C57BL/6 per sesso e per gruppo a
concentrazioni da 0 a 13 mg/m3 di polveri di cromato di calcio
per 5 h/die, 5 giorni/settimana per 18 mesi seguiti da 12 mesi
di osservazione, ha evidenziato un aumento statisticamente
significativo dell’incidenza di tumori del polmone nel gruppo
esposto alla concentrazione di 4,3 mg/m3 (Nettesheim et al,
1971).
In uno studio condotto su 13 gruppi di 40 ratti SpragueDawley per sesso, trattati con dicromato di sodio per
instillazione tracheale a dosi che vanno da 0 (gruppo di
controllo) a 12,5 mg/kg pc, in una unica somministrazione o
frazionata su 5 giorni, e osservati per oltre 30 mesi, è stato
dimostrato un aumento dell’incidenza di tumori polmonari nei
ratti trattati con la più alta dose (Steinhoff et al, 1983).
Gruppi di 20 ratti Wistar sono stati trattati con aerosol di
cromato di sodio alle concentrazioni calcolate di cromo VI di 0,
0,025, 0,05 e 0,1 mg/m3 per 22 h/die, 7 giorni/settimana per 18
mesi. Un gruppo aggiuntivo è stato trattato con le stesse
59
modalità utilizzando ossido di cromo VI/III pirolizzato con una
concentrazione finale di cromo VI calcolata in 0,063 mg/m3. Tre
tumori del polmone e uno del laringe sono stati osservati nel
gruppo trattato con l’alta dose di cromato di sodio e 1 in quello
trattato con ossido di cromo VI/III (Glaser et al, 1986).
In definitiva risulta da tempo consolidata l’evidenza che il
cromo VI inalato risulta cancerogeno per il polmone sia sulla
base di studi epidemiologici che sperimentali. Studi più
recenti hanno dimostrato anche che il cromo VI inalato può
arrivare, attraverso l’apparato circolatorio, ad altri organi
aumentando anche in quelle sedi il rischio di cancro.
C) Via ingestiva
Per quanto a conoscenza, in letteratura esiste un solo studio
epidemiologico programmato per valutare i rischi cancerogeni del
cromo VI ingerito attraverso l’acqua da bere: quello condotto da
Zhang e Li (1987) su una popolazione di circa 10.000 persone
residenti in un’area rurale della Cina contaminata da cromo VI
rilasciato nell’ambiente da una fonderia di prodotti a base di
cromo. La fonderia fu attivata nel 1965 e contemporaneamente
iniziò anche la produzione di grandi quantità di rifiuti industriali
smaltiti nell’ambiente circostante, al di fuori di un adeguato
sistema di controllo. Ciò è durato fino all’inizio degli anni ’80
(Zhang et al, 1987).
A partire dal 1965, l’acqua da bere prelevata da pozzi vicini
all’area della fabbrica cominciò ad assumere un colore giallo a
causa della contaminazione da cromo. Si scoprì che tale
contaminazione si estendeva alla quasi totalità dei pozzi
compresi in un’area di oltre 45 km2. La concentrazione di cromo
VI raggiungeva livelli fino a 20.000 μg/l.
Una sorveglianza medica iniziata nel 1965 mise in evidenza
una elevata morbilità fra i residenti caratterizzata da ulcerazioni
della mucosa del cavo orale, diarrea, vomito e dolori allo
stomaco, tutti i sintomi associati alla esposizione a cromo.
Nella loro pubblicazione Zhang e Li (1997) rilevarono che
l’incidenza di tumori fra le popolazioni residenti nel periodo
1965-78 nei villaggi con più alte concentrazioni di cromo VI
nell’acqua da bere prelevata dai pozzi contaminati era inferiore
60
rispetto a quella della popolazione che viveva in villaggi meno
contaminati1.
Poiché non risultavano chiari i diversi livelli espositivi delle
popolazioni esposte a cromo VI nell’acqua da bere, l’Office of
Environmental Health Hazards Assessment (OEHHA) dell’EPA
dello stato della California ha rielaborato i dati, aggregando la
mortalità per cancro fra la popolazione dei villaggi contaminati
da cromo VI, in modo da costituire una singola popolazione di
esposti. I tassi di mortalità per tutti i tipi di tumore, per il
tumore del polmone, e per il tumore dello stomaco fra le
popolazioni esposte erano confrontati con i tassi della provincia
1
Nel 2000 in U.S.A. l’interpretazione di Julia Roberts portò alla ribalta la storia di Erin
Brockovich e il caso della Pacific Gas & Electric (PG&E), l’azienda chimica che ha usato per
anni il cromo esavalente come antiruggine senza avere un sistema di smaltimento adeguato e
inquinando le falde acquifere. Nella zona, in seguito all’esposizione a questo agente
cancerogeno, è aumentata l’incidenza dei tumori e molti cittadini sono morti. Il film è stato
tratto da una storia vera che ha sconvolto l’America.
Dopo 6 anni di distanza dall’uscita del film si ritornò a parlare di questo caso sulle
pagine della rivista The Scientist.
L’Environmental Working Group ha ufficialmente chiesto alla Society of Toxicology
di ammonire uno dei suoi membri: Dennis PAUSTENBACH, reo di aver collaborato ad una
ricerca che è stata pubblicata nel 1997 nella quale si dichiarava che il Cromo VI non era
una sostanza cancerogena.
In particolare, lo studio era stato condotto da due ricercatori, Jian Dong ZHANG e
ShuKun LI, su una popolazione rurale cinese esposta al cromo esavalente a causa della
vicinanza di un’industria di lavorazione acciaio: uno scenario, dunque, simile a quello che si
sarebbe verificato dopo alcuni anni negli Stati Uniti.
A questo lavoro aveva partecipato anche, in qualità di collaboratore, PAUSTENBACH.
La ricerca fu pubblicata sul Journal of Occupational and Environmental Medicine.
Questo lavoro era stato finanziato anche dalla PG&E, ma gli autori non hanno
dichiarato il conflitto di interesse.
Questa ricerca è stata usata dai legali della PG&E durante la causa come prova della
non colpevolezza della società.
E’ storia che invece la PG&E è stata riconosciuta colpevole e costretta a risarcire le
vittime.
Nel 2006, a nove anni di distanza, l’Environmental Working Group nella persona del
suo vicepresidente Richard WILES ha denunciato Dennis PAUSTENBACH per “attività
fraudolenta” richiedendo la censura sulla ricerca pubblicata.
L’evoluzione di questa storia, al di la delle aule del tribunale e delle sale
cinematografiche, è singolare: si chiede un richiamo ufficiale ad un tossicologo accusato di
essersi fatto corrompere; una sorta di tribunale scientifico che ripudia uno scienziato per un
comportamento scorretto. Quello scienziato, Dennis PAUSTENBACH è il presidente e
fondatore della ChemRisk ed è stato chiamato dall’amministrazione BUSH al National
Center for Environmental Health dei CDC di Atlanta.
(http://it.health.yahoo.net/print.asp?id=16409)
61
di cui i villaggi erano parte. I risultati di questa rielaborazione
sono stati anticipati in una recente pubblicazione (Sedman et al,
2006). Da essa risulta un aumento non statisticamente
significativo del rischio relativo per tutti i tumori; un
aumento statisticamente significativo del rischio relativo di
cancro dello stomaco; il rischio relativo per il cancro del
polmone era pure elevato ma con minore significatività
statistica.
Come rilevato dagli autori, lo studio pubblicato da Zhang e Li
soffre di importanti limitazioni: 1) la mancanza di dati sulle
esposizioni individuali; 2) la mancanza di dati sui livelli di
contaminazione atmosferica da cromo VI; e soprattutto 3) il
periodo ancora troppo breve di osservazione, 13 anni.
Nonostante tutto ciò, come affermano gli Autori, non può essere
sottostimato l’aumento del rischio per i tumori del polmone e
dello stomaco.
Altri studi epidemiologici hanno evidenziato un aumento, in
alcuni casi statisticamente significativo, della mortalità per
neoplasie gastrointestinali in ambienti lavorativi dove la
dispersione aerea di cromo VI e di altri inquinanti era così
elevata da determinarne anche una parziale ingestione (IARC,
1990; ATSDR, 2000).
La cancerogenicità del cromo VI assunto per via ingestiva con
l’acqua da bere è stata studiata in due esperimenti condotti su
topi.
Il primo esperimento (Borneff et al, 1968) è stato eseguito su
tre generazioni di topi HMRI maschi e femmine, esposti per tutta
la vita a vari regimi di trattamento. Un gruppo di 120 femmine e
10 maschi è stato trattato con 1 mg/die (500 ppm) di cromato di
potassio in acqua da bere (contenente 3% di detergente
domestico). Un uguale numero di animali è stato trattato con
acqua contenente 3% di detergente domestico. In aggiunta, due
gruppi di 120 femmine e 10 maschi hanno ricevuto benzo-apirene da solo e benzo-a-pirene più 500 ppm di cromato di
potassio in acqua da bere. Complessivamente lo studio
comprendeva 4 gruppi sperimentali. Gli animali sono stati
accoppiati dopo 6 settimane di trattamento (F0). Due topi per
sesso/gruppo di ogni nidiata sono stati selezionati dalla prima
generazione (F1) ed accoppiati per dare origine alla seconda
generazione F2. La generazione F2 ha ricevuto lo stesso
trattamento di F0 e F1. Durante la sperimentazione si è verificata
una epidemia che ha drasticamente ridotto la popolazione
animale senza però pregiudicare la potenza statistica dello
studio.
Aggregando i tumori dello stomaco maligni e benigni delle tre
generazioni, sono stati osservati due carcinomi e nove papillomi
62
nelle femmine delle generazioni trattate con cromato di potassio.
Nessun tumore maligno dello stomaco è stato trovato nel gruppo
di controllo. L’aumento dell’incidenza dei tumori maligni e
benigni aggregati nelle femmine trattate con cromo (11/66) era
statisticamente significativo rispetto al controllo (2/79). Il
riferimento all’ipotesi che i tumori del prestomaco siano stati
causati dall’infezione virale verificatasi durante il corso dello
studio, risulta in verità alquanto bizzarra dal momento che né
tra i maschi né nel gruppo di controllo è stato riscontrato un
analogo effetto.
In un altro studio condotto da Davidson et al, (2004), gruppi
di topi SK1-hrBR (20 per gruppo) sono stati esposti a cromato di
potassio somministrato a varie dosi con l’acqua da bere e/o a
raggi UV e osservati fino a 224 giorni di età per quanto riguarda
l’insorgenza di tumori cutanei. Nessun tumore cutaneo è
apparso negli animali trattati con solo cromo VI. L’associazione
dell’esposizione a raggi UV e cromo VI ha provocato invece un
aumento dei tumori cutanei dose-correlato con l’aumentare delle
concentrazioni di cromo VI. Gli Autori concludono che poiché
molte persone possono essere esposte simultaneamente a
raggi solari UV e cromo VI presente nell’acqua da bere, i
risultati di questo studio non possono essere sottostimati.
Il limite delle concentrazioni di cromo nell’acqua da bere
ancora oggi utilizzato sia in Italia che dall’EPA, è di 50 μg/l e si
basa sui risultati del sopraccitato studio di Borneff et al, 1968
(ATSDR, 2000).
L’Agency for Toxic Substances and Disease Registry
(ATSDR) del Department of Health and Human Services
(DHHS) del governo statunitense ha stabilito un limite
massimo di assunzione giornaliera di cromo VI e III per via
ingestiva di 210 μg, corrispondenti ad un valore di 3 μg/kg
pc/die per un adulto di 70 kg come livello di rischio minimo
(Minimal Risk Level – MRL). La determinazione del valore di
riferimento viene definita necessaria a causa della dispersione di
cromo da siti di stoccaggio di rifiuti tossici, l’assenza di dati
scientifici soddisfacenti e il fatto che il cromo è un nutriente
essenziale (ATSDR, 2000).
Altri dati rilevanti per la cancerogenesi
D)
Effetti riproduttivi
Studi sperimentali su ratti e topi hanno evidenziato alcuni
effetti tossici del cromo VI sullo sviluppo dei feti. Un esperimento
condotto trattando gruppi di topi Swiss femmine con le dosi di 0,
52, 98 e 169 mg/kg pc/die di cromo VI sotto forma di cromato di
potassio, somministrato nell’acqua da bere 20 giorni prima
a)
63
dell’accoppiamento, ha prodotto nei feti: diminuzione del numero
e del peso, comparsa di petecchie emorragiche subepidermiche,
riduzione dell’ossificazione, deformità e riduzione della lunghezza
della coda (Junaid et al, 1996a; Junaid et al, 1996b).
Dati simili sono stati ottenuti in diversi altri studi sperimentali
condotti con modalità analoghe. Altri studi sperimentali su ratti
e topi hanno dimostrato inoltre l’effetto del cromo VI su
comportamenti sessuali, fertilità maschile, con riduzione di
numero e funzionalità degli spermatozoi e, per quanto riguarda il
sesso femminile, riduzione di numero e funzionalità dei follicoli
(ATSDR, 2000).
Genotossicità
Gli effetti genotossici del cromo VI sono stati valutati
attraverso numerosi studi in vitro e in vivo. I meccanismi
ipotizzati sono principalmente tre: 1) danneggiamento indiretto
del DNA attraverso la formazione di radicali liberi (Cohen et al,
1993); 2) danni ossidativi sul DNA direttamente mediati dal
cromo VI (Sugden et al, 2000); e 3) formazione di addotti fra il
DNA e il cromo VI (Zhitkovich, 2005).
Una volta entrato nella cellula il cromo VI viene ridotto a
cromo III dall’enzima cellulare glutatione (Petrilli et al, 1978;
Debetto et al, 1988) portando alla formazione di diverse molecole
di radicali liberi. Tali molecole, come noto, sono poi in grado di
attaccare, danneggiandole, molte strutture cellulari fra cui lo
stesso DNA e quindi di introdurre mutazioni e/o rotture nella
doppia elica (Wiegand et al, 1985). A questo si aggiunga che in
particolare il cromo III ha dimostrato una buona tendenza a
formare addotti con alcune basi del DNA (Wetterhahn et al,
1989; Blankenship et al, 1997; Zhitkovich, 2005) e la formazione
di legami crociati DNA-proteine (DPC = DNA-Protein Crosslinks)
(ATSDR, 2000).
La formazione di addotti con il DNA è in grado di portare
all’insorgenza di mutazioni, rotture nei filamenti, formazione di
DPC, aberrazioni cromosomiche e scambio di cromatidi fratelli
(IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000).
b)
E) Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica
Acqua di falda ipoteticamente attinta dal pozzo G11,
realizzato all’interno del perimetro aziendale
Si ricorda che, fra le cognizioni scientifiche condivise a
livello internazionale, vi sono le concentrazioni di cromo VI che
64
hanno prodotto effetti tossici da ingestione: effetti acuti si sono
osservati con valori fra 50 e 70 mg/Kg; effetti subacuti (quali
gastrite, nefrotossicità, epatossicità e disturbi gastrointestinali
meno gravi) sono stati osservati a dosi stimate nell’ordine di 0,57
mg/Kgpc/die (Zhang e Xilin 1987), ossia 570 μg/Kg/die.
Ipotizzando un consumo giornaliero minimo di 2 l d’acqua
(tale è il consumo giornaliero al quale fa riferimento U.S. EPA)
proveniente dal Pozzo G11 nella concentrazione massima del
7.11.2005 (26.000 μg/l), l’utilizzo costante del Pozzo G11
porterebbe a stimare un’ingestione giornaliera minima di
52.000 μg di cromo VI. Si tratterebbe di un consumo
giornaliero 247 volte superiore al consumo giornaliero
ammissibile (prendendo il riferimento condiviso del valore di
Reference Dose previsto da U.S. EPA) di 210 μg.2 Inoltre è
evidente che si va ben al di là del valore di 39.900 μg/die3
(ottenuto moltiplicando i 570 μg/kg/die x 70 Kg di p.c.
dell’adulto tipo), che è la soglia oltre la quale sono conosciuti
effetti tossici subacuti da ingestione. Sussiste, pertanto, non
solo il pericolo, ma l’alta probabilità del danno4.
Ipotizzando, conformemente alla normativa vigente nel
nostro Paese (Direttiva 98/83 EC del 3.11.98), un consumo
giornaliero medio di 3 litri della stessa acqua, si conclude che
l’utilizzo costante del Pozzo G11 porta a stimare un’ingestione
giornaliera media di 78.000 μg/l di cromo VI5. Si tratterebbe di
un consumo giornaliero 371 volte superiore al consumo
giornaliero ammissibile di 210 μg6. Inoltre si tratta del
doppio del valore di 39.900 μg/die (ottenuto moltiplicando i
570 μg/kg/die x 70 Kg di p.c. dell’adulto tipo), che è la
soglia oltre la quale sono conosciuti effetti tossici subacuti
da ingestione.
Sussiste, pertanto, non solo il pericolo, ma l’alta
probabilità del danno.
2
52.000 μg/l : 210 μg/l = 247
570 μg/kg/die x 70 Kg di p.c. dell’adulto tipo = 39.900 μg/die
4
Nel nostro caso si avrebbe: 52.000 μg/die x 70 kg = 3.640.000 μg/die
5
26.000 μg/l x 3 l = 78.000 μg/l
6
78.000 μg/l : 210 μg/l = 371 circa
3
65
Fra le altre cognizioni scientifiche, vi sono le
concentrazioni di cromo VI di cui si conoscono gli effetti
immunologici da contatto: la reazione cutanea si determina in
soggetti già sensibilizzati al cromo VI per concentrazioni
superiori a 35 mg/l. La concentrazione massima di cromo VI in
G11 il 7.11.2005, pari a 26 mg/l, è nello stesso ordine di
grandezza della concentrazione provatamente dannosa e non
molto lontana da quel limite. Il pericolo, dunque, sussiste.
Altro dato della letteratura scientifica condiviso sono le
evidenze sperimentali circa l’assorbimento cutaneo di entità
estremamente contenute di cromo VI in soggetti volontari
immersi in acqua con cromo VI ad una concentrazione
estremamente elevata (22 mg/l per 3 h: Corbett et al., 1997).
In caso di esposizione da contatto con l’acqua contaminata
da 26 mg/l di cromo VI (corrispondenti alla concentrazione
superficiale in G11 il 7.11.2005) si verificherebbe, quindi, un
assorbimento
cutaneo
di
una
sostanza
pacificamente
cancerogena e pacificamente ad azione genotossica, ossia capace
di provocare alterazioni del corredo genetico, per la quale (e
maggiormente perché genotossica) non v’è dose soglia.
Infine, fra le cognizioni scientifiche condivise in tema di
cancerogenesi, v’è quella per cui la risposta cancerogena è
funzione della dose espositiva.
E’ indiscusso, inoltre, che “livelli non bassi” di esposizione
per inalazione a cromo VI sono causa di cancro polmonare.
Con riferimento all’anzidetta dose di 26 mg/l presenti in
G11 il 7.11.2005, premesso che una prolungata esposizione per
inalazione causerebbe il rischio di cancro al polmone, vi sarebbe
anche il rischio di contrarre altre patologie cancerose per effetto
dell’ingestione di acqua contaminata.
In proposito non è necessario discutere, qui, la validità
degli studi di Zhang, perché il dato quantitativo è assorbente.
Considerato che anche soltanto il 2% del cromo VI ingerito
sfugga alla barriera riducente della saliva e del succo gastrico
(per le evidenze sperimentali circa la non illimitata capacità
riducente della acidità gastrica dello stomaco si vedano US-EPA
1998, Paustenbach et al. 1996), “è plausibile”, sulla base delle
evidenze scientifiche in punto farmacocinetica e genotossicità del
cromo VI, che un eccesso rilevante di cromo VI rispetto alla ADI
possa superare le capacità riducenti dello stomaco, e quindi
produrre in quella sede il cancro, in analogia a quanto
succederebbe nel polmone.
66
Acqua di falda attinta dai pozzi privati
Va rilevato che le concentrazioni di cromo VI nei pozzi
privati sono spesso superiori ai limiti di legge, per quantità che,
nel biennio aprile 2002-aprile 2004, sono arrivate ad oltre
cinque volte il limite anzidetto.
(Nelle acque destinate al consumo umano la
legislazione nazionale prevede in 50 μg/l il limite massimo
consentito di cromo totale, anche se al 100% nella sua
forma esavalente).
Alcuni esempi diretti possono essere effettuati calcolando i
valori di assunzione di cromo VI sulla base delle rilevazioni
dell’ARPAV effettuate in data 26/03/2002 (pozzo n° 233 di M.
O.), 15/07/2002, 24/07/2002 e 30/07/2002.
A livello internazionale l’Agenzia per la Protezione
dell’Ambiente Statunitense (EPA, Environmental Protection
Agency) ha stabilito nel 1996 un livello di 5 μg/Kg/die per
ingestione come riferimento al di sotto del quale non si
registrano effetti avversi per la salute.
A tale livello si farà riferimento nel seguito, anche se nel
1998 esso fu portato dall’EPA a 3 μg/Kg/die.
L’EPA ha introdotto altresì il concetto di Reference Dose
(RfD), definendolo come la stima numerica dell’esposizione
giornaliera per via orale della popolazione generale, inclusi i
sottogruppi sensibili (bambini, anziani, gestanti, immunodepressi)
che non è in grado di causare effetti avversi per la salute durante
il corso dell’intera vita.
In generale si può affermare che, sempre sulla base
dell’ipotesi dell’adulto di peso medio di 70 kg, il livello di rischio
per la rilevazione di effetti tossici si debba calcolare come segue:
RfD = concentrazione di cromo VI
giornaliero di acqua = 350 μg
x consumo medio
dove:
- RfD : dose di riferimento per il cromo VI. Un individuo adulto del
peso medio di riferimento di 70 kg può assumere fino a 350 μg/die di
cromo VI senza che gli vengano rilevati effetti avversi.
- concentrazione di cromo VI = quantità di cromo VI
misurata nell’acqua, espressa in μg/l;
- consumo medio giornaliero di acqua = assunzione
giornaliera di acqua, espressa in litri: nel nostro caso = 3,
così come indicato dalla Direttiva 98/83 CE del
03/11/1998.
67
Questo significa che, considerando un individuo adulto
del peso medio di riferimento di 70 Kg, il limite massimo di
assunzione di cromo VI in termini di rilevazione di effetti
tossici è di 350 μg/die.
Facendo pertanto riferimento che l’adulto medio di 70 Kg
di peso assume mediamente 3 l/die di acqua nel periodo
estivo si ottengono i seguenti valori in base alla formula sopra
esposta:
-
26/03/2002:
15/07/2002:
24/07/2002:
30/07/2002:
Assunzione
Assunzione
Assunzione
Assunzione
giornaliera
giornaliera
giornaliera
giornaliera
=
=
=
=
(275
(215
(220
(215
μg/l)
μg/l)
μg/l)
μg/l)
x
x
x
x
3
3
3
3
l
l
l
l
=
=
=
=
825
645
660
645
μg
μg
μg
μg
>
>
>
>
350
350
350
350
μg
μg
μg
μg
Il che equivale a dire che chi ha usato o ha rischiato di
usare l’acqua di questi pozzi come fonte di liquidi, ipotizzando
un consumo medio giornaliero di 3 l/die, ha assorbito o ha
rischiato di assorbire fino a 825 μg di cromo VI, ossia più del
doppio del limite stabilito per gli effetti tossici, se si
considera il riferimento universale dell’adulto di 70 Kg.
Su questa base si può affermare che nel biennio aprile
2002 - aprile 2004, si sono verificati almeno 20 superamenti
accertati dei limiti di legge, fra i quali 5-7 superamenti accertati
dei limiti per la manifestazione di effetti tossici, e un generale
elevato livello di rischio per quanto riguarda possibili effetti
cancerogeni dell’esposizione a cromo VI.
Il livello di rischio cancerogeno deve essere quantificato
come alto rispetto ai meccanismi di induzione degli effetti
cancerogeni e al concetto di soglia come limite “socialmente
tollerabile” e non come equazione matematica, ancor meno in
presenza di una sostanza ad azione anche genotossica. Il dato
sopra esposto va, inoltre, valutato alla luce dell’esposizione della
popolazione infantile, di quella anziana, dei soggetti
immunodepressi, delle donne gravide.
Nel primo caso, infatti, a fronte di un consumo di acqua
non così dissimile da quello adulto, il peso corporeo è spesso
molto più ridotto e il raggiungimento dei livelli di soglia più
rapido.
Gli anziani invece rappresentano una fascia di popolazione
a rischio a causa della ridotta efficacia delle funzioni
metaboliche. Basti pensare che i dati di cancerogenesi umana
attestano
che
l’80%
dei
tumori
si
verificano
in
ultrasessantacinquenni.
68
2.
NICKEL
Presenza in natura, produzione e uso
Il nickel è un elemento naturale che fa parte del gruppo VIIIA
della serie dei metalli di transizione della tavola periodica degli
elementi. Complessivamente costituisce, in termini di peso, il
quinto elemento più diffuso dell’intero pianeta e si presenta nella
sola forma ionica di (2+) in condizioni ambientali standard.
Viene estratto dalla garnierite, dalla pirrotite nickelifera e dagli
“speiss” nickeliferi. I procedimenti di estrazione sono piuttosto
complessi e variano con la natura del minerale da trattare; in
ogni caso si ottiene l’ossido da cui si ricava il metallo per
riduzione con carbone di legna oppure con vapore acqueo a 350
– 400 °C.
L’estrazione di nickel nel 2002 ammontava, a livello mondiale,
a 1.340.000 tonnellate (Kuck, 2002). La seconda sorgente di
nickel deriva dal riciclaggio di materiali che lo contengono. Da
questa fonte, secondo dati che risalgono al 1988, sono stati
prodotti in quell’anno 54.712 tonnellate (ATSDR, 2005a)
Il nickel viene principalmente utilizzato nelle leghe metalliche
per le sue caratteristiche di resistenza alla corrosione e al calore
e per la durezza e la solidità che ad esse conferisce (IARC, 1990;
ATSDR, 2005a). A seconda del tipo di utilizzo, le leghe contenenti
nickel possono anche contenere rame, cromo, ferro, molibdeno,
argento e zinco. Le leghe di nickel sono principalmente utilizzate
nell’industria metalmeccanica navale e petrolchimica, come
agente anticorrosivo, nella costruzione di motori per le turbine,
per la produzione di magneti e per la produzione di posateria. A
seconda del tipo di uso, il nickel viene utilizzato nelle forme
iniziali di ossido, idrossido, solfato o sale (IARC, 1990; ATSDR,
2005a).
69
Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione
generale
I valori di concentrazione del nickel che naturalmente sono
presenti nel terreno variano notevolmente a seconda delle aree
geografiche e della tipologia del terreno. Le concentrazioni tipiche
riportate vanno da 4 a 80 μg/g (ATSDR, 2005a).
Acque
continentali
e
marine
incontaminate
contengono
mediamente circa 0.3 μg/l di nickel (Barceloux, 1999).
Le concentrazioni di nickel nell’acqua da bere normalmente
vanno da 0.55 a 25 μg/l con valori medi fra 2 e 4,3 μg/l (FDA,
2000).
Le concentrazioni di nickel in atmosfera in aree remote, rurali
e urbane degli Stati Uniti sono risultate rispettivamente nei
seguenti range: 0,01-60, 0,6-78 e 1-328 ng/m3 (Schroeder et al,
1987). Secondo una valutazione della Environmental Protection
Agency (EPA) nel 1996 il valore medio di concentrazione di nickel
nell’aria sarebbe stato di 2,22 ng/m3 (EPA, 2003).In ambiente
domestico sono state determinate concentrazioni di nickel
nell’aria al di sotto di 10 ng/m3 da diversi autori (ATSDR,
2005a).
Anche per il nickel l’esposizione della popolazione generale
può avvenire attraverso le tre principali vie: cutanea, inalatoria e
ingestiva. L’inalazione è di gran lunga la più importante ed è
dovuta alle emissioni di nickel in atmosfera ad opera delle
principali attività produttive umane. Data la scarsa solubilità dei
composti del nickel, la possibilità che esso possa entrare a
contatto con la cute o possa essere ingerito risulta poco
probabile. Una tale evenienza potrebbe essere possibile solo in
seguito a massicci inquinamenti diretti di acque per uso umano
oppure, in vicinanza di una falda, a sversamenti tali da saturare
completamente il terreno portando a una migrazione del nickel
in falda.
In un recente studio condotto dalla National Academy of
Sciences (NAS) americana, l’assunzione media di nickel nei due
sessi al di sopra dei 18 anni di età è risultata compresa fra i
70
valori di 101 e 162 μg/die; questo range è di 136-140 μg/die
negli uomini e di 107-109 μg/die nelle donne. I valori salgono a
121 e 162 μg/die nelle donne durante il periodo della gravidanza
e dell’allattamento (NAS, 2002). Si valuta inoltre che l’assunzione
giornaliera
di
nickel
sia
mediamente
intorno
agli
8
μg
considerando una concentrazione media nell’acqua da bere di 4
μg/l.
Tossicocinetica
A) Via cutanea
Studi sull’uomo hanno dimostrato che il nickel in soluzione è
in grado di penetrare la cute. In particolare soluzioni di cloruro
di nickel hanno un livello di permeabilità circa 50 volte superiore
al solfato di nickel (Fullerton et al, 1986). Il dato risulta
confermato da indagini condotte su coniglio e su altre specie che
hanno portato al rinvenimento di nickel nelle urine a 24 h dalla
applicazione cutanea (Norgaard, 1957; Lloyd, 1980).
Gli
unici
dati
relativi
alla
distribuzione
del
nickel
nell’organismo dopo assorbimento cutaneo, sono disponibili da
studi su animali che attestano un accumulo dello ione metallico
nel sangue, reni e fegato (Norgaard, 1957).
Non esistono dati sulla tossicodinamica del nickel assorbito
per via cutanea.
B) Via inalatoria
Nell’uomo circa il 20-35% del nickel inalato, dopo aver
raggiunto i polmoni, entra nel circolo sanguigno (Grandjean,
1984), mentre la restante parte viene ingerita, oppure esalata o
trattenuta all’interno delle vie respiratorie (Angerer et al, 1990).
Il
nickel
assorbito
viene
quindi
escreto
nelle
urine
a
concentrazioni che sono dipendenti dal grado di solubilità della
soluzione di partenza (Torjussen et al, 1979).
71
Esami autoptici hanno rilevato concentrazioni di nickel di
circa 330 μg/g di tessuto secco in lavoratori dell’industria della
nickelatura esposti a composti insolubili del nickel; 34 μg/g di
tessuto secco in lavoratori dell’industria di elettroliti esposti a
composti solubili del nickel e di 0,76 μg/g in persone non
esposte (Svenes et al, 1998).
Uno studio condotto su gruppi di ratti F344/N trattati per via
inalatoria con solfato e ossido di nickel marcati con
63Ni,
ha
evidenziato un tempo di dimezzamento del solfato di nickel nei
polmoni pari a 32 h rispetto a 120 giorni per quanto riguarda
l’ossido di nickel. È stato inoltre osservato che l’unica via di
eliminazione per l’ossido di nickel è attraverso le feci, mentre il
solfato viene ritrovato anche nelle urine (Benson et al, 1994).
C)
Via ingestiva
Studi di assorbimento gastrointestinale del nickel sull’uomo
hanno dimostrato che lo ione viene assorbito 40 volte più
efficacemente quando assunto con acqua anziché col cibo
(Sunderman Jr., 1989).
I livelli ematici di nickel raggiungono il picco dopo 1,5-3 h
dall’ingestione ed il tempo di dimezzamento è di circa 60 h
(ATSDR, 2005a).
Studi sull’animale hanno rivelato che il nickel si accumula
preferibilmente nel rene dopo trattamenti sia a lungo sia breve
termine. Incrementi delle concentrazioni tissutali di nickel si
rilevano anche in fegato, cuore, polmoni, nervi periferici, cervello
e nei depositi di grasso (ATSDR, 2005a). Il nickel è anche in
grado di attraversare la placenta come dimostrato dall’aumento
delle concentrazioni del metallo in feti di topo durante la vita
fetale (Schroeder et al, 1964; Jasim et al, 1986).
Circa il 51-82% del nickel assunto dall’uomo con la dieta
viene eliminato in 5 giorni dall’assunzione (Patriarca et al, 1997).
Nel ratto per contro, il 94-97% del nickel assunto per via orale
viene eliminato nell’arco delle 24 h (Ho et al, 1973).
72
Tossicità acuta e cronica
A) Via cutanea
L’osservazione di dermatiti allergiche da contatto rappresenta
un evento comune nell’uomo a seguito dell’esposizione a nickel.
Uno studio ha evidenziato che su 75.000 individui sottoposti a
patch test, il 15,5% è risultato positivo (Uter et al, 2003). Altri
studi analoghi, condotti su coorti più ridotte, hanno confermato
questo dato (Nielsen et al, 2002; Ozkaya-Bayazit et al, 2002;
ATSDR, 2005a).
La dermatite da contatto con il nickel viene descritta più
frequentemente in giovani donne rispetto ai maschi e alle
persone adulte, probabilmente a causa di una sensibilizzazione
dovuta all’utilizzo prolungato di gioielleria, quale ad esempio gli
orecchini (Dotterud et al, 1994).
La distanza temporale fra le esposizioni cutanee a nickel e la
costante localizzazione dell’esposizione nella stessa sede hanno
dimostrato
di
essere
due
elementi
importanti
per
la
cronicizzazione della reazione allergica (Keczkes et al, 1982;
Hindsen et al, 1997).
Studi sperimentali su animali hanno dimostrato la capacità
del nickel di indurre una sensibilizzazione della cute in guinea
pig trattati con applicazione cutanea o iniezione intradermica di
nickel solfato (Wahlberg, 1976; Turk et al, 1977; Zissu et al,
1987).
Il trattamento di ratti a livello epidermico con nickel solfato ad
una concentrazione di circa 40 mg/kg pc/die per 15 o 30 giorni
ha prodotto una alterazione dell’epidermide e del sottostante
derma con ipercheratinizzazione, vacuolizzazione, degenerazione
dello strato basale e atrofia del tessuto. È stata inoltre osservato
un effetto degenerativo a carico dei testicoli (Mathur et al, 1977).
73
B)
Via inalatoria
La
comparsa
di
bronchiti
e
riduzione
della
capacità
ventilatoria polmonare è stata descritta in alcuni lavoratori
dell’industria
dell’acciaio
esposti
ad
alte
concentrazioni
atmosferiche di nickel e cromo (Kilburn et al, 1990).
Fibrosi polmonare di livello moderato è stata invece descritta
fra i lavorati di una fabbrica per la produzione di nickel con un
trend dose-correlato per i gruppi esposti a 0,04, 0,15 e 0,60
mg/m3 (Berge et al, 2003).
L’insorgenza di asma di origine allergica o da irritazione delle
vie respiratorie è stata riscontrata in alcuni lavoratori esposti a
nickel (Dolovich et al, 1984).
Uno
studio
epidemiologico
su
lavoratori
addetti
alla
produzione di nickel ha consentito di rilevare una correlazione
fra la presenza dello ione metallico nelle urine e proteinuria
(Sunderman Jr. et al, 1981). Il dato è stato confermato da uno
studio analogo nel quale era stato determinato un livello
espositivo in 0,75 mg/m3 di nickel sotto forma di solfato e
cloruro (Vyskocil et al, 1994). I due studi sono risultati indicativi
di un danno renale indotto dall’esposizione a nickel (ATSDR,
2005a).
Infiammazioni polmonari, difficoltà respiratorie, degenerazioni
dell’epitelio dei bronchioli, sono state descritte in ratti F344/N e
topi B6C3F1 trattati per via inalatoria con solfato di nickel,
subsolfuro di nickel e ossido di nickel a concentrazioni da 0,7 a
23,6 mg/m3 per 6 h/die in 12 giorni consecutivi. In ratti esposti
a ossido di nickel è stata osservata una diminuzione dei livelli di
ematocrito; viceversa in quelli esposti a subsolfuro di nickel è
stato rilevato un aumento dei suddetti valori. Diminuzioni del
peso corporeo sono state descritte solo nei ratti (NTP, 1996a;
NTP, 1996b; NTP, 1996c).
Infiammazione a livello degli alveoli polmonari è stata
riscontrata in ratti F344/N e topi B6C3F1 trattati con solfato di
nickel alla concentrazione di 0,11 mg/m3 e ossido di nickel a
74
1,96 mg/m3 per 6 mesi, 6 h/die, 5 giorni/settimana (Benson et
al, 1995).
C)
Via ingestiva
Uno studio su 35 lavoratori che hanno accidentalmente
bevuto acqua contaminata con nickel solfato, nickel cloruro e
acido borico (ad una dose complessiva di nickel stimata fra i 7,1
e i 35,7 mg/kg pc), ha evidenziato in 20 lavoratori una
sintomatologia caratterizzata da nausea e vomito, oltre ad un
aumento dei reticolociti circolanti, un aumento transitorio della
bilirubina sierica e di albumina nelle urine di 3 lavoratori; in
alcuni lavoratori sono stati anche riscontrati disturbi nervosi
quali disorientamento, euforia e mal di testa (Sunderman Jr. et
al, 1988).
Diversi studi sull’uomo hanno indicato che l’ingestione di una
singola dose di solfato di nickel, è in grado di produrre un
aggravamento della dermatite in individui sensibilizzati in
particolare
eritemi
corporei
e
peggioramento
del
quadro
eczematoso delle mani (Hindsen et al, 2001; Jensen et al, 2003).
Dall’analisi dei diversi studi risulta che il livello di soglia per
l’aggravamento
delle
sindromi
eczematose
in
individui
sensibili è di 0,01 mg/kg pc di nickel (ATSDR, 2005a), pari a
350 μg/l di nickel nell’acqua da bere per una persona di 70
kg che beva mediamente 2 litri di acqua al giorno.
Due
studi
condotti
somministrando
nickel
solfato
nel
mangime per 2 anni a ratti alle dosi comprese fra 75 e 187,5
mg/kg pc e a cani alla dose di 62,5 mg/kg pc, hanno evidenziato
nei ratti un aumento del peso del cuore, diminuzione del peso
del fegato e decremento del peso corporeo di oltre il 10%; nei
cani enfisemi polmonari e bronchiectasie, comparsa di vomito,
abbassamento dei livelli dell’ematocrito, poliuria e aumento del
peso dei reni, aumento del peso del fegato e decremento del peso
corporeo (Ambrose et al, 1976).
In
uno
studio
sperimentale,
condotto
dalla
American
Biogenics Corporation (ABS) su ratti trattati per gavaggio per 91
75
giorni
con
soluzioni
concentrazione
di
8,6
contenenti
mg/kg
cloruro
di
sono
state
pc,
nickel
alla
evidenziate
polmoniti, gastriti ulcerate ed enteriti, aumento nel conteggio
delle piastrine, diminuzione del peso di cuore, fegato e reni oltre
che una significativa diminuzione del peso corporeo, dei livelli di
glucosio nel sangue ed effetti neurologici quali letargia, atassia,
prostrazione,
respiro
irregolare
e
abbassamento
della
temperatura corporea (ABS, 1988).
In un test multigenerazione, condotto dal Research Triangle
Institute (RTI) trattando ratti con nickel cloruro alla dose di 55
mg/kg pc per 11 settimane, è stato osservato: un aumento del
peso dei polmoni, una riduzione del peso dei reni, un aumento
del peso dell’ipofisi nei maschi, una diminuzione del peso
corporeo e un aumento della mortalità nella prole (RTI, 1986;
RTI, 1988a; RTI, 1988b).
Ratti trattati con cloruro di nickel somministrato con l’acqua
da bere a concentrazioni di 5,75-28,8 mg/kg pc per 13
settimane hanno evidenziato un incremento della concentrazione
proteica e una diminuzione dell’attività della fosfatasi alcalina
associata ad un aumento del peso dei polmoni, oltre che una
diminuzione del peso del fegato e dei reni con associata oliguria
(Obone et al, 1999).
Una indagine sperimentale su topi trattati per via orale con
nickel solfato alla dose di 1,1 mg/kg pc per 35 giorni, ha
evidenziato un accumulo di nickel negli epididimi, testicoli,
vescicole seminali e prostata. L’accumulo dello ione metallico ha
prodotto alterazioni istologiche patologiche quali vacuolizzazione
e degenerazione dell’epitelio epididimale, atrofia dei tubuli
seminiferi centrali e spermatogenesi irregolare (Pandey et al,
1999).
76
Cancerogenicità
La IARC nel 1990 ha classificato nel gruppo 1 (cancerogeno
per l’uomo) i composti sulfurici del nickel e le miscele di solfato e
ossido di nickel, principalmente a causa degli effetti cancerogeni
per il naso e il polmone riscontrati sia in lavoratori esposti che
sulla popolazione generale. Il nickel metallico è stato invece
inserito nel gruppo 2B (possibile cancerogeno per l’uomo) per la
scarsità dei dati disponibili (IARC, 1990).
A) Via cutanea
Non sono stati condotti studi per la determinazione della
cancerogenicità
del
nickel
per
via
cutanea
sull’uomo
e
sull’animale sperimentale.
B) Via inalatoria
La stragrande maggioranza dei dati disponibili sugli effetti
cancerogeni per l’uomo derivanti dall’esposizione a nickel,
provengono
da
studi
di
coorte
effettuati
su
lavoratori
principalmente esposti a ossido di nickel, nickel metallico
oppure a polveri contenenti percentuali diverse dello ione
metallico (IARC, 1990; ATSDR, 2005a). Si stima che oltre
100.000
lavoratori
siano
stati
considerati
nei
vari
studi
epidemiologici condotti (Seilkop et al, 2003).
Gli studi condotti hanno evidenziato complessivamente un
aumento statisticamente significativo dell’incidenza di neoplasie
dei tessuti delle cavità nasali e del polmone particolarmente fra i
lavoratori
addetti
alla
produzione
del
nickel
ed
esposti
principalmente allo ione metallico sotto forma di solfuro e ossido
(IARC, 1990; ATSDR, 2005a).
Rimane tuttavia difficile definire quale, fra i composti del
nickel, risulti essere quello che possiede il più elevato livello di
cancerogenicità. Dall’analisi delle attività lavorative considerate
nei
vari
studi
epidemiologici,
appare
possibile
comunque
affermare che i dati di cancerogenicità più evidenti sono stati
77
descritti per quelle attività lavorativa in cui si faceva uso di
solfuro di nickel (ICNCM, 1990).
La cancerogenicità del nickel per via inalatoria è stata inoltre
analizzata
in
diversi
studi
sperimentali
su
animali.
Due
esperimenti su ratti F344 esposti a nickel subsolfato alla
concentrazione di 0,7 mg/m3 per 6 h/die, 5 giorni/settimana per
78 settimane hanno mostrato un aumento statisticamente
significativo di tumori al polmone (Ottolenghi et al, 1975). Un
risultato analogo è stato ottenuto nello studio condotto dall’NTP
utilizzando nickel subsolfuro (NTP, 1996c).
C) Via ingestiva
Esistono pochi dati sulla cancerogenicità del nickel e i suoi
composti per via ingestiva nell’uomo. Va tuttavia ricordato che
studi epidemiologici su lavoratori esposti ad alte dosi di nickel
aerodisperso
hanno
evidenziato
aumenti
più
o
meno
statisticamente significativi di neoplasie della cavità orale e del
faringe (ICNCM, 1990), e dello stomaco (Saknyn et al, 1970;
Saknyn et al, 1973). Questi dati conducono ad ipotizzare una
ingestione di quantità rilevanti di nickel tali da indurre neoplasie
delle sedi esposte.
Uno studio epidemiologico condotto in alcune città dello stato
dell’Iowa negli Stati Uniti, ha evidenziato aumenti nell’incidenza
di tumori dello stomaco, colon, polmone, prostata e vescica in
aree i cui pozzi erano inquinati con nickel. L’analisi dei dati ha
mostrato una correlazione tra dose e risposta per quanto
riguarda i tumori della vescica e del polmone (Isacson et al,
1985)
Per quanto concerne i dati sperimentali sull’animale, due
studi condotti su ratto e topo trattati con acetato di nickel
somministrato nell’acqua da bere alle dosi rispettivamente di 0,6
e 0,95 mg/kg/ pc/die, non hanno evidenziato un effetto
cancerogeno del composto (Schroeder et al, 1964; Schroeder et
al, 1974).
78
D. Altri dati rilevanti per la cancerogenesi
a)
Effetti riproduttivi
Un aumento di aborti spontanei è stato riscontrato su 356
donne impiegate presso un’azienda per la produzione di nickel in
Russia. Le concentrazioni di nickel nell’aria sotto forma di
solfato, andavano da 0,08 a 0,196 mg/m3 (Chashschin et al,
1994).
Nello stesso studio di Chashschin et al (1994) sono stati anche
rilevate malformazioni nella prole delle donne esposte a nickel.
L’incidenza percentuale di tutte le malformazioni è risultata
aumentata
in
modo
statisticamente
significativo
quando
paragonata a quella descritta per le lavoratrici del settore delle
costruzioni.
Uno studio condotto dall’NTP su ratti F344/N e topi B6C3F1
ha evidenziato lesioni degenerative a carico dei testicoli (NTP,
1996a; NTP, 1996b; NTP, 1996c).
b)
Genotossicità
Studi in vitro e in vivo hanno fornito risultati controversi per
quanto concerne la genotossicità del nickel e dei suoi composti.
Mutazioni del DNA sono state descritte solo in alcuni modelli
sperimentali in vitro con batteri e linee cellulari di mammiferi
(ATSDR, 2005a); idem la formazione di “gap” nei cromosomi
linfocitari di lavoratori di aziende di produzione di nickel
(Waksvik et al, 1982).
E) Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica
Dai documenti in atti risulta che il nickel impiegato nelle
lavorazioni di nickelatura dalla galvanica “Alfa” era nella forma
di nickel solfato e (meno) di nickel cloruro.
I valori di riferimento sono i 290 μg/l di G5 (acqua
superficiale, 10.10.2005), i 242 μg/l di G8 (acqua superficiale,
10.10.2005), i 210 μg/l di G12 (acqua superficiale, 10.10.2005).
Le dosi anzidette sono inferiori a quelle la cui ingestione ha
posto in evidenza effetti tossici (Sunderman Jr. et al, 1988).
79
La concentrazione di 290 μg/l è, invece, 29 volte maggiore del
livello di soglia
per l’aggravamento delle sindromi eczematose
in caso di ingestione da parte di individui sensibilizzati, livello
indicato in 0,01 mg/kg pc (ossia 10 μg/l) (Hinsen et al., 2001;
Jensen et al., 2003; ATSDR, 2005a).
Infatti ipotizzando, come in precedenza (Direttiva 98/83 EC
del 03.11.1998), un consumo giornaliero di 3 litri d’acqua, si
conclude che l’utilizzo costante del Pozzo G5 porta a stimare
un’ingestione giornaliera di 870 μg di cromo VI.
Si avrebbe quindi il superamento del valore di 700 μg/die
(ottenuto moltiplicando i 10 μ g/die/kg x 70 Kg di p.c.
dell’adulto tipo), che è la soglia oltre la quale sono conosciuti gli
effetti dannosi in discussione.
Sussiste, pertanto, il pericolo del danno in parola.
Ancora, avuto riguardo al fatto che il limite legale di
concentrazione del nickel nell’acqua potabile è pari a 20 μg/l, è
sufficiente osservare che una dose circa dieci - quindici volte
superiore7 comporta un inaccettabile rischio, ossia un
pericolo concreto, di contrarre malattie.
Infine va ricordato che il nickel solfato è classificato da IARC
(sin dal 1990) come cancerogeno per l’uomo; che studi
epidemiologici su lavoratori esposti per inalazione hanno posto
in evidenza aumenti di neoplasie della cavità orale, del faringe,
dello stomaco (ICNCM, 1990; Saknyn et al., 1970 e 1973); che
uno studio epidemiologico su una coorte esposta all’ingestione di
acqua di pozzo contaminata ha evidenziato aumenti
nell’incidenza di tumori dello stomaco, colon, polmone, prostata
e vescica, anche correlati alla dose per quanto riguarda i tumori
della vescica e del polmone (Isacson et al., 1985). I livelli
espositivi ipotizzabili in caso di ingestione e di contatto con
acqua di falda contaminata da nickel nelle concentrazioni sopra
richiamate sono tali da comportare un superamento
inaccettabile del rischio di insorgenza di neoplasie.
Valgono inoltre per il nickel le stesse considerazioni sulla
concreta possibilità di contaminazione della popolazione
riportate nel seguito per il piombo alle pagine 92 e 93.
7
In G5, 290 μg/l : 20 μg/l = 14, 5 volte;
in G8, 242 μg/l : 20 μg/l = 12,1 volte;
in G12, 210 μg/l : 20 μg/l =10,5 volte.
80
3.
PIOMBO
Presenza in natura, produzione e uso
Il piombo è un elemento naturale che fa parte del gruppo IVB
della serie dei metalloidi/non metalli della tavola periodica degli
elementi. Viene prodotto principalmente per estrazione dal
minerale galena sotto forma di ossido di piombo poi trasformato
nello ione metallico.
L’estrazione
di
piombo
nel
2005
ammontava,
a
livello
mondiale, a 3.280.000 tonnellate (USGS, 2005b). La seconda
sorgente di piombo proviene dal riciclaggio di materiali che lo
contengono e principalmente dagli acidi delle batterie esauste,
che ha consentito, nel 2005, nei soli Stati Uniti, di recuperare
circa 1.100.000 tonnellate di piombo (USGS, 2005b).USGS,
2005b
Il piombo possiede importanti caratteristiche quali duttilità,
alta densità, basso punto di fusione, resistenza agli acidi,
capacità di reagire con l’acido solforico e stabilità chimica in
aria, acqua e suolo. Queste peculiarità hanno portato ad un
vastissimo uso di questo metalloide per la produzione di leghe
utilizzate in gioielleria, produzione di sistemi di protezione dalle
radiazioni ionizzanti, copertura di cavi, produzione di materiali
per l’insonorizzazione, per le placcature resistenti agli acidi, nelle
munizioni, nei pigmenti e altri composti nella produzione dei
vetri, nella “metratura” delle ceramiche, nelle batterie e, nel
passato, nelle benzine come ottimizzatore del numero di ottani.
Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione
generale
Le
concentrazioni
naturali
di
piombo
nel
suolo
sono
caratterizzate da una altissima variabilità e, data la scarsa
81
solubilità in acqua, da livelli elevati. Concentrazioni medie di 87
mg/kg sono state riscontrate nelle zone costiere, e di 23 mg/kg
nei
sedimenti
dei
fiumi
(EPA,
1982).
Mediamente
le
concentrazioni di piombo nel terreno vanno da meno di 10 a 30
mg/kg. Questo valore tuttavia è soggetto a notevoli variazioni
soprattutto a livello della superficie del terreno in quanto le
attività industriali e l’inquinamento delle città sono in grado di
aumentare da 2 a 30 volte i livelli di piombo riscontrati nel
terreno (EPA, 1986).
Nelle acque marine le concentrazioni medie di piombo si
aggirano sugli 0,05 μg/l (EPA, 1982), nelle acque dolci dei fiumi
attorno a 5 μg/l (Bowen, 1966).
Il monitoraggio dell’acqua potabile di 580 città degli Stati Uniti
ha consentito di rilevare un valore medio di concentrazione per il
piombo di 29 μg/l con un range che va da 10 a 30 μg/l (EPA,
1989). Ulteriori indagini per verificare l’effetto del rilascio di
piombo dalle tubature nell’acqua negli USA sono state condotte
prelevando campioni presso oltre 1.400 punti di prelievo degli
acquedotti dei consorzi incaricati della loro gestione. Il dato
cumulativo ha fornito un valore di concentrazione di 4,2, 4,5 e
9,0 μg/l rispettivamente per tubature galvanizzate, di plastica e
di rame. Tali concentrazioni di piombo in acqua passante in
materiali che non contengono piombo, sono indicative della
provenienza naturale del metalloide (Lee et al, 1989).
Le
concentrazioni
di
piombo
nell’aria
vanno
da
valori
estremamente bassi di circa 7,6 pg/m3 in aree remote quali le
zone antartiche (Maenhaut et al, 1979), fino ad oltre 10 μg/m3
registrati nei pressi di fonderie (ATSDR, 2005b). Dati del
programma nazionale di monitoraggio della qualità dell’aria
condotto dall’EPA, indicano che nel 2002 la concentrazione
media di piombo nell’aria è diminuita di circa il 94% rispetto
all’inizio degli anni ’80. Il fenomeno si ritiene principalmente
dovuto alla sostituzione del piombo come additivo delle benzine.
I valori registrati usualmente sono mediamente di 0,05 μg/m3
(EPA, 2005).
82
Nell’ambito del progetto nazionale condotto dall’EPA per la
determinazione dell’esposizione umana a diversi inquinanti
atmosferici, le concentrazioni aeree di piombo sono state
misurate nell’ambiente domestico di 213 abitazioni di 6 stati
degli Stati Uniti attraverso il campionamento delle polveri. I
valori medio e mediano registrati sono stati rispettivamente di
15,20 e 6,17 ng/m3. La concentrazione mediana di piombo
registrata nell’aria all’esterno delle abitazioni per queste aree è
stata di 8,84 ng/m3 (Bonanno et al, 2001; Clayton et al, 2002).
Tossicocinetica
A) Via cutanea
Piombo
è
stato
ritrovato
nell’epidermide
di
lavoratori
dell’industria della produzione di batterie prima del loro turno di
lavoro e anche dopo aver lavato la cute. Il dato depone per una
possibile adesione forte del piombo alla pelle o per una
penetrazione dello stesso nel derma (Sun et al, 2002).
In generale è noto che il piombo in forma inorganica (nitrato e
acetato di piombo), in seguito ad assorbimento per esposizione
cutanea, viene escreto dall’organismo umano con il sudore e le
urine (Moore et al, 1980; Stauber et al, 1994).
In uno studio comparativo su due gruppi di ratti, condotto
applicando circa 100 mg di piombo sotto forma di sale organico
o inorganico sulla cute del dorso opportunamente depilata, è
stata rilevata la concentrazione dei composti del piombo nelle
urine prima dell’applicazione e 12 h dopo. Lo studio ha rivelato
come i sali organici del piombo siano in grado di attraversare la
cute dell’animale con un efficacia molto più evidente rispetto a
quelli inorganici (Bress et al, 1991).
83
B) Via inalatoria
Il
piombo
disperso
nell’aria
consiste
principalmente
di
particelle inorganiche che, inalate, si depositano nell’albero
respiratorio a diversi livelli a seconda della loro dimensione
(ATSDR, 2005b). Test sull’uomo hanno infatti consentito di
verificare che l’esposizione a piombo inorganico trasportato da
particelle di diametro inferiore a 1 μm sono in grado di veicolare
lo ione fino agli alveoli polmonari (James et al, 1994).
Studi su soggetti umani volontari esposti per circa 1-2 minuti
a piombo tetraetile marcato radioattivamente con
somministrato
alla
concentrazione
dimostrato che: 1) circa il 37% del
di
203Pb
1
mg/m3,
203Pb,
e
hanno
si era inizialmente
depositato nel tratto respiratorio; 2) il 20% veniva esalato
nell’arco di 48 h dall’esposizione; 3) 1 h dopo l’esposizione circa
il 50% del
203Pb
era localizzabile nel fegato, il 5% nei reni e il
restante distribuito nei vari distretti corporei (Heard et al, 1979).
I dati disponibili sull’uomo sono inoltre confermati da alcuni
studi sperimentali i quali, pur soffrendo di diverse limitazioni
sperimentali,
hanno
fornito
indicazioni
analoghe
(ATSDR,
2005b).
C) Via ingestiva
La quantità di piombo assorbito a livello gastrointestinale
varia notevolmente in relazione all’età, allo stato fisiologico, al
digiuno, ai livelli nutrizionali di calcio e ferro, e dallo stato di
gravidanza (ATSDR, 2005b).
È
stato
calcolato
che
nei
bambini
l’assorbimento
gastrointestinale di piombo nei suoi composti più solubili,
raggiunge il 40-50% (Ziegler et al, 1978). L’assorbimento
degli stessi composti in adulti regolarmente nutriti, non
supera il 3-10% (Watson et al, 1986).
Studi sperimentali su animali hanno confermato il dato. Un
esperimento su scimmie Rhesus giovani e adulte, a cui è stato
somministrato acetato di piombo per intubazione gastrica alla
84
dose di 6,37 mg/kg pc, hanno dimostrato un assorbimento del
38% della dose nei giovani e del 26% negli adulti (Pounds et al,
1978). Analogamente diversi esperimenti su diversi ceppi di ratti,
hanno rilevato che quelli di età più giovane assorbono il piombo,
somministrato in varie forme, in quantità 40-50 volte superiore
agli adulti (Kostial et al, 1978; Aungst et al, 1981).
La presenza di cibo nel tratto gastrointestinale è inoltre in
grado di ridurre drasticamente l’assorbimento del piombo come
dimostrato da innumerevoli studi sperimentali (ATSDR, 2005b).
Nell’adulto, l’assorbimento di acetato di piombo in tracce,
somministrato con l’acqua da bere, è pari al 63% in individui a
digiuno e al 3% se assunto con un pasto (James et al, 1985).
Anche
la
gravidanza
sembra
avere
un
effetto
sulla
concentrazione di piombo. Il dato risulta da alcuni test condotti
sul sangue del cordone ombelicale e in donne dopo il parto. Ciò è
probabilmente
da
ricondurre
ad
un
aumento
della
mobilizzazione del piombo osseo della madre (Schuhmacher et
al, 1996; Gulson et al, 2004).
La distribuzione del piombo assorbito per via cutanea,
inalatoria e ingestiva è pressoché coincidente (IARC, 1980;
IARC,
1987;
ATSDR,
2005b)
e
viene
quindi
discussa
cumulativamente.
La gran parte dei dati disponibili sulla distribuzione del
piombo ai vari tessuti ed organi proviene da indagini autoptiche
principalmente condotte fra gli anni ’60 e ’70 quando il problema
dell’inquinamento aereo da piombo nell’ambiente di vita generale
e in quello lavorativo rappresentava un problema di grande
urgenza.
Gli
esami
autoptici
eseguiti
attestano
di
una
distribuzione del piombo pressoché simile sia nell’organismo di
bambini che in quello degli adulti. Il piombo si accumula
principalmente nel sangue, ossa e tessuti molli (ATSDR, 2005b).
Le concentrazioni medie di piombo nel sangue sono state
verificate su un campione della popolazione americana nel
periodo 1999-2002. Un valor medio di 1,9 μg/dl è stato ottenuto
per i bambini di età fra 1 e 5 anni; concentrazioni di 1,5 μg/dl
85
sono state registrate in adulti fra i 20 e i 59 anni di età; 2,2
μg/dl è la concentrazione media calcolata a partire dai 60 anni
(CDC, 2005).
Il piombo, a livello osseo, tende ad accumularsi nelle regioni
dell’osso
che
sono
in
attiva
calcificazione.
Nel
bambino
quest’area dell’osso coincide con la zona trabecolare a livello
della quale l’osso è in attivo accrescimento. Nell’adulto invece
l’ossificazione è tendenzialmente localizzata nella zona corticale e
dovuta a rimodellamento dell’osso in seguito ad esempio a
fratture (Aufderheide et al, 1992). Un’indagine, condotta con
tecniche di fluorescenza, per valutare l’accumulo di piombo nella
tibia, ha evidenziato un aumento delle concentrazioni dopo i 20
anni di età fino a raggiungere valori superiori a 200 mg nelle
persone fra i 60 e i 70 anni. Al di sotto dei 16 anni il valore
registrato è di 8 mg (Barry, 1975; Kosnett et al, 1994).
Tossicità acuta e cronica
La caratteristica distribuzione del piombo nei vari organi e
tessuti indipendente dalla via di esposizione, sia essa cutanea,
inalatoria o ingestiva, e la quasi totale assenza di studi
epidemiologici e sperimentali per vie diverse da quella inalatoria
(ATSDR,
2005b),
rendono
l’analisi
degli
effetti
tossici
e
cancerogeni del metallo meglio descrivibili in una unica sezione.
Numerosi
studi
l’innalzamento
della
epidemiologici
pressione
hanno
arteriosa
evidenziato
conseguente
all’esposizione (Schwartz, 1995; Nawrot et al, 2002). Indagini
epidemiologiche più approfondite hanno consentito di stabilire
che
l’effetto
di
aumento
della
pressione
arteriosa
è
più
pronunciato in individui di mezza età rispetto ad adulti più
giovani (IARC, 1980; IARC, 1987; ATSDR, 2005b).
L’esposizione al piombo può comportare anche anemie dovute
alla diminuita capacità vitale dei globuli rossi e dall’inibizione
della sintesi del gruppo eme attraverso l’interazione con alcuni
86
enzimi deputati alla sua sintesi (ATSDR, 2005b). Studi sulla
popolazione generale hanno dimostrato che la capacità di
interazione del piombo con gli enzimi deputati alla sintesi
del gruppo eme avviene a concentrazioni ematiche di
piombo molto basse senza un apparente livello minimo di
soglia. L’effetto inibitorio è stato infatti registrato in individui
residenti in zone urbanizzate, non professionalmente esposti a
piombo, per tutti i valori ematici di piombo registrati, da 3 a 34
μg/dl (Hernberg et al, 1970). Il dato trova conferma da ulteriori
studi effettuati sui bambini (Chisolm et al, 1985).
A livello gastrointestinale, l’esposizione ad alte concentrazioni
di piombo è in grado di produrre sintomatologie quali: dolori
addominali, costipazione, crampi, nausea, vomito, astenia e calo
ponderale.
Nonostante
queste
sintomatologie
siano
state
principalmente descritte in lavoratori con valori di piombemia fra
100 e 200 μg/dl, essi sono stati riscontrati anche a livelli
espositivi vicini a 40 μg/dl (Baker et al, 1979; Awad el Karim et
al, 1986; Pagliuca et al, 1990). La comparsa di spasmi
gastrointestinali viene inoltre considerato uno dei sintomi
principali dell’esposizione a piombo nei bambini (EPA, 1986).
Recentemente è stato condotto nello stato di New York, uno
studio
epidemiologico
per
la
determinazione
degli
effetti
dell’esposizione a piombo sulla densità ossea nei bambini. I
bimbi sono stati divisi in due gruppi, uno con livello medio
cumulativo di piombemia pari a 6,5 μg/dl e il secondo di 23,6
μg/dl. I bambini con i livelli di piombemia più elevati hanno
mostrato un livello di densità minerale più elevato rispetto a
quelli con valori inferiori. Questo depone per un’accelerazione
della maturazione scheletrica indotta dall’esposizione a piombo
(Campbell et al, 2004).
Alcuni studi clinici sull’uomo hanno consentito di determinare
gli effetti dell’esposizione a piombo a livello renale. Disfunzioni
quali proteinuria, malfunzionamenti del trasporto di anioni
organici e del glucosio e riduzione della filtrazione glomerulare
87
sono state descritte in alcuni studi (Loghman-Adham, 1997;
Diamond, 2005).
Gli
effetti
neurologici
del
piombo
sono
forse
le
manifestazioni fra le più studiate. Il danno più severo da
esposizione a piombo riportato nell’adulto è caratterizzato da
varie condizioni patologiche quali demenza, irritabilità, difficoltà
a mantenere la concentrazione, cefalee, tremori muscolari,
perdita di memoria e allucinazioni. Nei casi peggiori possono
insorgere anche convulsioni e paralisi (Kumar et al, 1987).
Alcuni
studi
sono
inoltre
stati
in
grado
di
correlare
l’esposizione a piombo con l’insorgenza di sclerosi amiotrofica
laterale (Kamel et al, 2002), schizofrenia (Opler et al, 2004), e
morbo di Parkinson (Gorell et al, 1997; Gorell et al, 1999).
A causa della capacità più elevata che i bambini hanno di
trattenere
il
piombo
assorbito,
gli
effetti
sopra
descritti
nell’adulto, emergono a livelli di esposizione molto più inferiori
(IARC, 1980; IARC, 1987; ATSDR, 2005b).
Sono inoltre stati condotti diversi studi su bambini per
valutare l’influenza dell’esposizione a piombo sul quoziente
intellettivo (IQ = Intelligence Quota). Alcuni dei test effettuati
hanno evidenziato un’associazione tra riduzione dell’IQ ed
incremento della piombemia (Needleman et al, 1979; Rummo et
al,
1979;
Fulton
et
al,
1987).
Studi
recenti
hanno
ulteriormente confermato il dato secondo cui non esiste un
apprezzabile effetto soglia nella correlazione fra i livelli di
piombemia
e
la
comparsa
di
disfunzioni
neurologiche
(Lanphear et al, 2000; Canfield et al, 2003).
Cancerogenicità
La IARC ha classificato il piombo metallico nel gruppo 2B
(“possibile cancerogeno per l’uomo”), i composti del piombo
inorganici nel gruppo 2A (“probabile cancerogeno per l’uomo”) e
88
iquelli
organici
nel
gruppo
3
(“non
classificabile
come
cancerogeno per l’uomo”) (IARC, 1980; IARC, 1987).
Uno
studio
finlandesi
epidemiologico
esposti
a
piombo
su
oltre
20.000
nel
periodo
lavoratori
1973-1983
ha
dimostrato un aumento di 1,4 volte dell’incidenza di tutte le
patologie neoplastiche e di 1,8 volte per il tumore al polmone in
individui con livelli di piombemia ≥21 μg/dl (Anttila et al, 1995).
Una ulteriori rianalisi della coorte ha evidenziato anche un
eccesso di tumori del cervello, in particolare gliomi, in lavoratori
con livelli di piombemia ≥29 μg/dl (Anttila et al, 1996).
La mortalità fra i lavoratori esposti a piombo in una fonderia
italiana è stata analizzata su circa 1.400 soggetti seguiti nel
periodo 1950-1982. Lo studio ha evidenziato eccessi nella
mortalità per tumori del fegato, della vescica e del rene (Cocco et
al, 1997). Un ulteriore riesame dei dati suggerisce anche
un’associazione fra esposizione a piombo e insorgenza di tumori
del cervello. L’indagine è stata condotta confrontando oltre
27.000 casi di decesso per tumore del cervello con più di
100.000 controlli deceduti per patologie non neoplastiche in 24
stati degli USA. Il rischio di sviluppare un tumore del cervello era
associato con la possibile esposizione ad alte concentrazioni
piombo (Cocco et al, 1998).
Uno studio caso-controllo su lavoratori esposti a piombo
tetraetile
ha
evidenziato
un’associazione
statisticamente
significativa fra livello di esposizione e insorgenza di carcinoma
rettale (correlato anche alla latenza) (Fayerweather et al, 1997).
I dati disponibili sugli effetti a lungo termine del piombo in
animali sperimentali, hanno evidenziato un effetto cancerogeno
per
il
rene
(Van
Esch
et
al,
1969;
Koller,
1985).
La
somministrazione di piombo per via parenterale ha prodotto
risultati analoghi (Balo et al, 1965)
È stato condotto uno studio su topi esponendo le femmine
gravide a tre diversi livelli di dose di acetato di piombo nell’acqua
da bere dal 12° giorno di gestazione al 4° giorno successivo al
parto, e quindi i discendenti tenuti sotto osservazione senza
89
trattamento fino al loro decesso. Adenomi e carcinomi renali
sono stati osservati rispettivamente nei gruppi di figli delle madri
trattate con l’alta e la media dose, mentre non sono state
osservate alterazioni simili nei gruppi trattati con la bassa dose e
nel controllo. L’effetto cancerogeno per i reni è risultato più
evidente nei maschi rispetto alle femmine (Waalkes et al, 1995).
A) Altri dati rilevanti per la cancerogenesi
a) Effetti riproduttivi
Uno studio su oltre 2.000 lavoratori professionalmente esposti
a piombo in Finlandia, ha evidenziato una riduzione significativa
della fertilità (Sallmen et al, 2000).
Indagini cliniche hanno dimostrato che esiste una correlazione
fra
i
valori
principalmente
di
piombemia
correlata
e
la
funzionalità
all’integrità
della
spermatica
struttura
cromosomica (Alexander et al, 1998).
In uno studio epidemiologico, condotto su un gruppo di donne
residenti in una cittadina australiana ed esposte a piombo
rilasciato nell’ambiente da una fonderia, è stato evidenziato una
tendenza diffusa all’anticipazione del parto rispetto a quanto
riscontrato in donne che risiedevano in una zona rurale più
distante dalla fabbrica (McMichael et al, 1986).
Lavoratrici di una fonderia svedese esposte a piombo durante
la gravidanza, o che avevano interrotto il lavoro durante la
gravidanza, ma che risedevano ad una distanza inferiore a 10
km dall’azienda, hanno mostrato un elevato indice di aborti
spontanei (Nordstrom et al, 1979).
L’effetto tossico-riproduttivo del piombo trova conferma da
uno studio su ratti Sprague-Dawley trattati con piombo
somministrato alle femmine con l’acqua da bere in modo da
ottenere livelli di piomboemia > 200 μg/dl durante il periodo
gestazionale dal 5° al 21° giorno. È stata rilevata una
90
percentuale di figli nati morti del 19% nel gruppo esposto
rispetto al 2% nel controllo (Ronis et al, 1996).
Studi condotti su scimmie, trattate con piombo a dosi tali da
indurre concentrazioni ematiche paria a 35 μg/dl rispetto a
valori <1 μg/dl del gruppo di controllo, hanno evidenziato danni
all’epitelio seminifero degli animali trattati (Foster et al, 1998).
b) Genotossicità
Diversi studi hanno evidenziato effetti genotossici del piombo
in cellule umane ed animali in vitro, e in sistemi sperimentali
animali in vivo. Sono state osservate aberrazioni cromosomiche
in linfociti di lavoratori esposti a piombo presente nel sangue a
concentrazioni medie di 65 μg/dl (Nordenson et al, 1978).
Un aumento statisticamente significativo dello scambio fra
cromatidi fratelli è stato rilevato in lavoratori esposti a piombo a
cui è stata rilevata una piombemia pari a 32 μg/dl (Wu et al,
2002).
L’esposizione
a
piombo
è
inoltre
stata
correlata
con
l’insorgenza di danni sul DNA. Lavoratori di un’azienda di
batterie contenenti piombo hanno mostrato un elevato livello di
rotture del DNA linfocitario se paragonato a soggetti non esposti.
Il dato inoltre si correla con l’aumento di radicali liberi (ROS =
Reactive Oxygen Species) e con la diminuzione dei livelli di
glutatione, uno degli enzimi deputato alla eliminazione dei
radicali liberi. Il tutto depone quindi per un aumento dello stress
ossidativo correlato all’esposizione a piombo (Fracasso et al,
2002).
Danni sul DNA sono stati anche descritti in topi esposti per
circa 60 minuti a una concentrazione aerea di acetato di piombo
di 6,8 μg/m3 (Valverde et al, 2002).
91
B) Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica.
All’interno del perimetro aziendale, il piombo è stato
analiticamente accertato in concentrazione superiore ai limiti di
legge almeno:
nei fanghi frammisti a terriccio (individuati pressi i punti E,
H, 03 dell’attività di indagine espletata il 08/03/2002);
in un pozzetto (identificato come P8) interno all’insediamento
produttivo e destinato a veicolare le acque di origine
meteorica;
nella “trincea TR 3/2” scavata all’interno del perimetro
aziendale
tra
–50
e
-100
cm
di
profondità
dalla
pavimentazione,
nella “trincea TR 7/1 e TR 7/2”, scavata all’interno del
perimetro aziendale tra -10 e -130 cm di profondità dalla
pavimentazione.
All’esterno
del
perimetro
aziendale
superamenti
di
concentrazioni di piombo sono state constatate su terreni
prelevati in Roggia Brotta in almeno sei campioni di terreno,
prelevati in punti diversi e a varie profondità, con concentrazioni
nettamente superiori sui primi centimetri di terreno superficiale.
Fino alla chiusura della galvanica “Alfa” (avvenuta nel
dicembre 2003) e fino alla bonifica di Roggia Brotta (avvenuta
nel 2006), esisteva pertanto la concreta possibilità di
contaminazione della popolazione almeno per:
-
contatto,
insudiciamento,
imbrattamento
di
cute
e
vestiario della popolazione lavorativa con fanghi o polveri
contenenti piombo;
-
contaminazione a causa di tale vestiario delle abitazioni,
proprietà e cose dei lavoratori stessi e dei loro familiari;
-
contaminazione diretta di familiari (per quanto emerso da
precise testimonianze, previo accordi con i proprietari, i
familiari dei lavoratori effettuavano dei “lavori a cottimo”
92
all’interno del perimetro aziendale quali: insaccamento di
fanghi di depurazione, raccolta e movimentazione di altri
materiali e oggetti ecc.);
-
il prelievo e l’irrigazione con le acque inquinate della
Roggia Brotta delle colture dei terreni agricoli e privati
limitrofi, con conseguente loro contaminazione superficiale
e assorbimento attraverso l’apparato radicale;
-
la raccolta delle colture agricole e di quelle orticole,
quest’ultime abbondantemente consumate dai residenti
stessi;
-
il sollevamento eolico e meccanico di polveri contenenti
sali di metalli pesanti causato dalle macchine agricole sui
campi coltivati;
-
il sollevamento eolico di polveri dagli spazi ed aree abitate
limitrofe alla zona industriale dove insisteva anche la
galvanica “Alfa” (superfici utilizzate in passato come siti di
smaltimento di fanghi e soluzioni esauste).
93
IV.
CENNI
LIVELLI
SULLA
DI
NORMATIVA
CROMO
VI,
RIGUARDO
NICKEL
E
AI
PIOMBO
AMMESSI NELLE ACQUE E NEL SUOLO
Il quadro normativo stabilito a livello nazionale per il controllo
delle immissioni nelle acque e nel suolo di elementi e composti
chimici prodotti dalle attività industriali è divisa in tre ambiti: 1)
acque destinate al consumo umano; 2) acque destinate allo
scarico in pubblica fognatura o convogliate ad impianti di
depurazione; e 3) acque rilasciate sul suolo e sottosuolo e acque
sotterranee.
Scopo della presente sezione è quello di fornire un breve
quadro dell’evoluzione della legislazione per ognuno dei tre
settori dagli anni ’70 ad oggi e di riportare quelli che sono i limiti
di legge attualmente in vigore per i tre metalli: cromo VI, nickel e
piombo.
1. Acque destinate ad uso umano
Fino al 1982, l’unica legge nazionale in vigore in questo
settore era il Regio Decreto (RD) n. 1265 del 27/07/1934, il
quale stabiliva che ogni comune doveva fornire acqua pura e
di buona qualità per uso potabile.
Il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) n. 915 del
3/07/1982, in attuazione della Direttiva dell’Unione Europea
(UE) 75/440, detta i primi limiti per le concentrazioni di
inquinanti nelle acque ad uso umano. Successivamente
saranno il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
(DPCM) del 8/02/1985 e il collegato provvedimento attuativo, il
DPR n. 236 del 24/05/1988 (attuazione della Direttiva UE
80/788), a stabilire i requisiti delle acque potabili.
Il Decreto Legislativo (DLgs) n. 31 del 2/02/2001, attuativo
della Direttiva UE 98/83, stabilisce i limiti di legge per cromo
VI, nickel e piombo attualmente in vigore (Tabella 4). L’ultima
94
approvazione del DLgs n. 152 del 14/04/2006 ha recepito e
confermato i valori già in vigore.
2. Acque destinate allo scarico in pubblica fognatura o al
convogliamento ad impianti di depurazione
Il
primo
quadro
legislativo
nazionale
per
la
regolamentazione delle concentrazioni di sostanze inquinanti
nelle acque di scarico delle attività industriali è riportato nella
Legge (L) n. 319 del 10/05/1976 nota come Legge Merli. Si
deve tuttavia ricordare che già nel 1973, in specifico per la
zona comprendente alcuni comuni del conoide idrico del
Brenta, era stata emanata una specifica legge a tutela della
Laguna di Venezia, ossia la Legge n. 171 del 16/04/1973.
Le due leggi non si pongono in contrasto in quanto è uno
specifico articolo della stessa Legge Merli a stabilire che i limiti
imposti dalla nuova normativa si applicano su tutto il
territorio nazionale fatte salve quelle aree per cui è già vigente
un’altra normativa che stabilisce limiti diversi. Nel caso
specifico della Laguna di Venezia alcuni valori limite imposti
per la tutela della laguna erano più stringenti di quelli previsti
dalla successiva Legge Merli ed esplicitati nel provvedimento
attuativo DPR n. 962 del 20/09/1973.
L’impianto legislativo nazionale è stato successivamente
rivisto con il Decreto Legislativo (DLgs) n. 152 del 11/05/1999
che ha stabilito i nuovi limiti di legge. I limiti stabiliti dal DLgs
152/’99 sono stati successivamente riconfermati dalla recente
approvazione del DLgs 152 del 03/04/2006 (Tabella 4).
3. Suolo, sottosuolo e acque sotterranee
Il DLgs n. 22 del 5/02/1997, noto come Decreto Ronchi,
stabiliva per primo l’applicazione di limiti nella concentrazione
di inquinanti nel terreno dettagliati con il Decreto del
Ministero dell’Ambiente (DM) n. 471 del 25/10/1999. Il DM n.
95
471/’99 stabiliva fra l’altro i limiti di accettabilità della
contaminazione dei suoli come previsto proprio dell'articolo 17
del DLgs 22/’97.
Il DLgs 152/’06, stante la sua natura di impianto legislativo
di riferimento in ambito ambientale, è di recente intervenuto a
riconfermare i limiti per cromo VI, nickel e piombo nel suolo,
sottosuolo e nelle acque sotterranee (Tabella 4).
96
V.
VALUTAZIONI CONCLUSIVE SUI POTENZIALI
RISCHI PER LA SALUTE DELL’ESPOSIZIONE PER
VIA CUTANEA, INALATORIA E ORALE A CROMO
VI, NICKEL E PIOMBO
L’attività
investigativa,
le
perizie
affidate
ai
consulenti
nominati dal Giudice del Tribunale di Padova, sezione staccata
di Cittadella e la sentenza del Giudice hanno stabilito che
l’inquinamento del suolo e delle acque per uso umano dovuto
alla presenza di cromo VI, nickel e piombo, risulta imputabile
alla attività industriale avviata nel 1974 dalla ditta “Gamma”, poi
denominata nel 1975 “ Beta”, e quindi dal 1995 “Alfa”.
In particolare, le cause dell’inquinamento erano dovute alla
inadeguatezza delle pratiche seguite per lo smaltimento dei
rifiuti industriali derivati dalle lavorazioni di cromatura e tale
attività, iniziata a partire dal 1975 e caratterizzata soprattutto
dall’accumulo nel terreno sottostante l’azienda di metalli pesanti
notoriamente tossici e cancerogeni quali cromo VI, nickel e
piombo, ha determinato nel corso degli anni un inquinamento
del terreno, delle acque di falda e di molti pozzi privati dai quali
veniva prelevata acqua per uso umano.
Dalle analisi effettuate è infatti emerso che in ben identificati
pozzi privati la concentrazione di cromo VI nelle acque per uso
umano è risultata costantemente al di sopra dei limiti di legge e
soprattutto al di sopra dei valori raccomandati dalle agenzie
internazionali ai fini della salvaguardia della salute; inoltre
l’inquinamento del suolo dovuto ai suddetti metalli pesanti, in
particolare il piombo, non è stato rilevato soltanto nel perimetro
aziendale, ma anche nell’area circostante, ad esempio così come
evidenziato dai risultati dei numerosi campioni di terreno
effettuati in Roggia Brotta.
La diffusione ambientale degli inquinanti suddetti ha pertanto
determinato una esposizione della popolazione a tali agenti
97
presenti nell’acqua e nelle polveri sollevate dal suolo soprattutto
per via cutanea e ingestiva, ma non può certamente essere
esclusa quella inalatoria;
Sulla base degli studi scientifici più recenti, una volta che tali
agenti vengono a contatto della cute, o vengono ingeriti o inalati,
possono tutti migrare in maggiore o minore misura, ai vari
tessuti ed organi dell’organismo umano e i potenziali rischi per
la salute dovuti al cromo VI, nickel e piombo, in particolare
quelli a lungo termine come gli effetti cancerogeni e quelli a
carico del sistema nervoso, possono essere indotti da livelli di
concentrazione/dose bassi/bassissimi.
Per quanto riguarda gli effetti degli agenti cancerogeni si
devono considerare tre ordini di fattori: non esiste un livello di
soglia; l’esposizione a più agenti cancerogeni può avere un effetto
sinergico; gli agenti cancerogeni sono in grado di produrre effetti
per vari organi e tessuti a seconda delle situazioni espositive.
In particolare:
1. il cromo VI è ritenuto dalla IARC un agente cancerogeno per
l’uomo, soprattutto per il polmone a seguito di esposizioni per
via inalatoria ed esiste sufficiente documentazione scientifica,
sia epidemiologica che sperimentale, dimostrante che il cromo
VI, una volta ingerito, è in grado di superare la mucosa
gastrica, diffondendo in vari organi e tessuti, e quindi
aumentando il rischio di tumori e, fra questi, quelli di origine
gastrica;
2. il nickel è considerato dalla IARC un agente cancerogeno per
l’uomo, soprattutto per il polmone;
3. il piombo è considerato dalla IARC un probabile agente
cancerogeno per l’uomo ed inoltre, secondo studi recenti, non
esiste un apprezzabile effetto soglia nella correlazione tra
piombemia e disfunzioni neurologiche, in particolare per
quanto riguarda il deficit di quoziente di intelligenza in
bambini esposti.
98
Si può quindi concludere che l’esposizione per contatto o per
via ingestiva a cromo VI, nickel e piombo alle concentrazioni
riscontrate nel suolo e nelle acque per uso umano a partire dal
1975 in poi, può avere con forte probabilità conseguenze sullo
stato di salute dei cittadini interessati, in particolare per quanto
riguarda l’incidenza delle patologie tumorali e i disturbi di tipo
neurologico, soprattutto in riferimento al livello del quoziente di
intelligenza dei bambini e, in prospettiva, anche per quanto
riguarda le patologie neurodegenerative degli anziani.
Una quantificazione di tali rischi non è oggi possibile, in
mancanza di dati epidemiologici e clinici disponibili, ma sarebbe
auspicabile la programmazione di una indagine epidemiologica
adeguata al fine soprattutto di orientare i tempi e le priorità di
intervento nella bonifica del territorio interessato.
99
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124
Appendice
125
Tabella 1.
Elenco delle violazioni più rilevanti dei limiti di legge per le acque di scarico dell’azienda
(Parte I)
Periodo
Parametro
(1)
Valore
rilevato
Laguna di Venezia
Limiti di legge
Legge Merli
Scarico in “Roggia Brotta”(2)
pH
Solfati
Anidride solforosa
Cromo(4)
Nickel
9,42
5.431 mg/l
220 mg/l
5,70 mg/l
3,40 mg/l
6,0 – 9,0
500 mg/l
1 mg/l
0,2 mg/l(5)/2 mg/l(6)
2 mg/l
−(3)
−(3)
−(3)
−(3)
−(3)
Febbraio 1975
pH
Solfati
Anidride solforosa
Cromo totale
Nickel
10,35
1.693 mg/l
50 mg/l
7,20 mg/l
3,70 mg/l
6,0 – 9,0
500 mg/l
1 mg/l
0,2 mg/l(5)/2 mg/l(6)
4 mg/l
−(3)
−(3)
−(3)
−(3)
−(3)
Gennaio 1976
Anidride solforosa
Nickel
107 mg/l
2,20 mg/l
1 mg/l
2 mg/l
−(3)
−(3)
Marzo 1977
Solfiti
Solfati
35 mg/l
1.430 mg/l
1 mg/l
500 mg/l
1 mg/l
1.000 mg/l
Marzo 1978
Solfiti
7,5 mg/l
1 mg/l
1 mg/l
Aprile 1978
Solfiti
20 mg/l
1 mg/l
1 mg/l
Maggio 1978
Solfiti
Salinità
7,5 mg/l
2.300 mg/l
1 mg/l
1 mg/l
Giugno 1978
Solfiti
7,5 mg/l
1 mg/l
1 mg/l
Dicembre 1978
Solfiti
10 mg/l
1 mg/l
1 mg/l
Marzo 1979
Solfiti
35 mg/l
1 mg/l
1 mg/l
Aprile 1979
Solfiti
3,5 mg/l
1 mg/l
1 mg/l
Maggio 1979
pH
Nickel
Salinità
4,3
63 mg/l
2.250 mg/l
6,0 – 9,0
2 mg/l
5,5 – 9,5
2 mg/l
Settembre 1979
Nickel
Solfiti
5,5 mg/l
85 mg/l
2 mg/l
1 mg/l
2 mg/l
1 mg/l
126
- 126 -
Settembre 1974
Tabella 1.
Elenco delle violazioni più rilevanti dei limiti di legge per le acque di scarico dell’azienda
(Parte II)
Periodo
Parametro
(1)
Valore
rilevato
Laguna di Venezia
Limiti di legge
Legge Merli
1 mg/l
1 mg/l
Solfiti
366 mg/l
Novembre 1979
Solfiti
33,5 mg/l
1 mg/l
1 mg/l
Dicembre 1979
pH
Solfiti
4,25
78 mg/l
6,0 – 9,0
1 mg/l
5,5 – 9,5
1 mg/l
Gennaio 1980
Solfiti
216 mg/l
1 mg/l
1 mg/l
Maggio 1980
Solfiti
29 mg/l
1 mg/l
1 mg/l
Febbraio 1983
Solfati
1.350 mg/l
500 mg/l
1.000 mg/l
Ottobre 1985
Cromo VI
0,24 mg/l
0,2 mg/l
0,1 mg/l
Novembre 1987
Azoto nitroso
Azoto nitrico
1,57 mg/l
64,5 mg/l
2 mg/l(8)
50 mg/l(9)
Febbraio 1990
pH
Solfati
5,2
1.700 mg/l
6,0 – 9,0
1.000 mg/l
−(10)
5,5 – 9,5
1.000 mg/
Luglio 1993
Cianuri
Nickel
8,3 mg/l
34 mg/l
5 mg/l
4 mg/l
1 mg/l
4 mg/l
Marzo 1994
Solfati
Nickel
1.100 mg/l
5,0 mg/l
1.000 mg/l
4 mg/l
1.000 mg/
4 mg/l
Febbraio 1995
Piombo
Solfati
0,5 mg/l
1.800 mg/l
0,2 mg/l
1.000 mg/l
0,3 mg/l
1.000 mg/
Febbraio 1997
Nickel
9,8 mg/l
4 mg/l
4 mg/l
Gennaio 1999
Solfati
1.250 mg/l
18,7 mg/l
230 mg/l
1.000 mg/l
10 mg/l
2 mg/l
1.000 mg/l
4 mg/l
2 mg/l
(7)
Scarico in fognatura
Tensioattivi totali
Nickel
127
−(10)
- 127 -
Ottobre 1979
(1)
:Legge per la Protezione della Laguna di Venezia = L
171/73; Legge Merli = L 319/76
Tabella A (acque superficiali) della L 319/76
(3)
:non ancora in vigore
(2)
:si applicano i limiti per lo scarico in acque correnti del DPR (4):non altrimenti specificato
(5)
962/73 attuativo della L 171/73 e la
:cromo esavalente (VI)
(6)
:cromo trivalente (III)
(7)
:si applicano i limiti per lo scarico in acque convogliate in fognatura
depurata del DPR 962/73 attuativo della L 171/73 e la Tabella C
(fognature depurate) della L 319/76
(8)
:inteso come NO2−
(9)
:inteso come NO3−
(10)
:nessun limite
- 128 -
128
Tabella 2.
Concentrazioni di cromo VI, nickel e piombo nei campioni di terreno prelevati a diverse profondità nell’area dello
stabilimento della galvanica “Alfa”
Parametro
Bianco
:
:
(3)
:
(4)
:
(2)
Massima
Concentrazioni (mg/kg)
Media degli sforamenti(3)
Limite di legge(4)
Cromo VI
NR
1.480
280
15
Nickel
NR
34.000
6.700
500
Piombo
NR
7.500
3.400
1.000
valori di riferimento ottenuti dall’analisi delle carote di terreno realizzate
NR = Non Rilevabile; inferiore al livello minimo di rilevabilità dello strumento
valor medio calcolato sul numero di campioni per cui è stata rilevata una concentrazione superiore ai limiti di legge
vedi Tabella 4
129
- 129 -
(1)
(1)(2)
Tabella 3.
Concentrazioni di cromo VI, nickel e piombo nei fanghi campionati nell’area dello stabilimento della galvanica
“Alfa”
Concentrazioni (mg/kg)(1)
Cromo VI
Nickel
Piombo
Matrice
Fango misto a terriccio in pozzetto di captazione di acque meteoriche
Fango prelevato presso canaletta lato ovest
Fango misto a terriccio e ghiaino nella zona di stoccaggio solventi e acidi
(1)
: vedi Tabella 4 per i limiti di legge per cromo VI, nickel e piombo
: inferiore ai limiti di legge
(2)
130
−(2)
7.600
4.900
1.900
65.000
22.000
162
145.000
1.740
5.700
5.850
59.000
- 130 -
Fango misto a terreno e residui di lucidatura metalli in pozzetto captazione acque meteoriche
Tabella 4.
Limiti attualmente in vigore per le concentrazioni di cromo, nickel e
piombo nelle acque e nel suolo come stabilito dal DLgs 152/06
Ambito applicativo
Cromo
Acque destinate
uso umano
Esavalente
Totale
−
50 μg/l
ad
Nickel
Piombo
20 μg/l
10 μg/l
− Acque superficiali
≤ 0,2 mg/l
≤ 2 mg/l
≤ 2 mg/l
≤ 0,2 mg/l
− Fognatura
≤ 0,2 mg/l
≤ 4 mg/l
≤ 4 mg/l
≤ 0,3 mg/l
−
1 mg/kg
0,2 mg/kg
0,1 mg/kg
− Verde
pubblico
privato
e
residenziale
2 mg/kg
150 mg/kg
120 mg/kg
100 mg/kg
− Siti
ad
commerciale
industriale
15 mg/kg
800 mg/kg
500 mg/kg
1.000 mg/kg
5 μg/l
50 μg/l
20 μg/l
10 μg/l
− Suolo
Suolo, sottosuolo e acque sotterranee
uso
e
− Acque sotterranee
131
- 131 -
Acque destinate allo scarico in pubblica fognatura o al convogliamento ad impianti di depurazione