Arthur et la guerra dei due mondi

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Arthur et la guerra dei due mondi
LIBRO
IN ASSAGGIO
ARTHUR ET LA
GUERRA DEI DUE
MONDI
DI LUC BESSON
Il sole inizia la sua lenta ascesa verso lo zenit e la foschia mattutina si
disperde, come un sospiro che si allontana. La natura è sempre meravigliosa
nel l’angolo di paradiso che circonda la casa di Arthur.
Gli alberi si innalzano dritti come pali, le foglie so n verdi e lucide, i fiori
splendono di colori. L’immagine sarebbe perfetta, se non fosse per
quell’assoluto silenzio che opprime il bosco: non si sente un rumore, neppure
lo scalpiccio leggero di un mille- piedi. Persino il celebre usignolo, professore
di canto della famiglia reale, oggi resta muto. Lui che da quando è nato non
ha mai lasciato sorgere il sole senza dedicargli qualche nota.
Noi conosciamo bene la ragione di questo angosciante silenzio. Emme il
Malvagio è nei paraggi e non c’è animale, per quanto piccolo, che non
subisca l’effetto delle malefiche onde emanate dal tenebroso personaggio.
Tuttavia un rumore sottile spezza di tanto in tanto l’aria muta. Sembrano passi
maldestri... Quale creatura è tanto folle da muoversi in una simile situazione?
Bisogna essere ciechi, sordi e affetti da un raffreddore leggendario per non
essersi accorti di niente. Chi può mai essere tanto stupido da camminare a
quel modo, scostando le felci e provocando lo scricchiolio di un pavimento di
legno in una casa abitata dagli spiriti? Ovviamente è un uomo. E la razza
umana ci offre il suo esemplare più tipico: l’homo brutus, più comunemente
detto François.
— Arthur? — sussurra il padre del bambino, scostando due felci, come se
stesse giocando a nascondino. — Puoi uscire, sai? Papà non è arrabbiato!
È vero che François non è arrabbiato. Perché è preoccupato. Suo figlio è
scomparso la notte precedente, mentre sembrava dormire pacifico in
macchina. Al suo posto è rimasto, come per magia, Alfred il cane. Da allora
nessuno l’ha visto, né nonno Archibald, né nonna Marguerite. Quanto a sua
madre, ha gli occhiali cosi graffiati, dopo le avventure palustri di quella notte,
che se anche il figlio le fosse passato sotto il naso, l’avrebbe confuso di sicuro
con il cane.
— Hai vinto tu, Arthur, adesso puoi uscire! Dai, guarda che papà sta per
perdere la pazienza! — esclama François, alzando un po’ la voce.
Sarà per via della stanchezza o della preoccupazione, ma l’uomo sta davvero
diventando nervoso. Il bosco resta comunque muto.
— Se esci ti regalo un pacco intero di gelatine! — dice con una vocifla
sdolcinata, per rendere l’offerta più allettante. — E ti autorizzo a mangiarle
tutte, fino a farti venire mal di pancia!
La proposta appare divertente, ma li nessuno ha voglia di divertirsi. Tuttavia,
poiché la golosità è una debolezza universale, qualcuno sembra reagire,
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perché due grandi felci si muovono leggermente. Negli occhi di François
rinasce la speranza e un sorriso gli illumina il volto.
— Ah, la pancina brontola, eh? Chi lo vuole un bel sacchetto di gelatine? —
esclama, come se avesse dimenticato che Arthur non ha più tre anni.
A quanto pare il riferimento alla pancia è efficace, perché le piante si
muovono di più: forse è proprio il suo bambino che si avvicina. Ma quei tonfi
di passi pesanti come macigni sono un po’ inquietanti.
L’uomo si blocca. D’accordo che ha la sensazione di non vedere il figlioletto
da un’eternità, e nel frattempo potrebbe anche essere cresciuto, ma di sicuro
non tanto da portare il cinquantadue di scarpa...
François è sempre più agitato. Purché non sia successo niente al suo
Arthur... Come per scongiurare la cattiva sorte, l’uomo continua a chiamarlo
con voce zuccherosa.
Allora, chi le vuole le gelatine?
La suspense non dura a lungo, perché due felci si aprono di colpo e compare
un mostro alto due metri e quaranta. Maltazard in persona.
— Io, le voglio io! — canticchia il Principe delle Tenebre, dimostrando che si
può essere a un tempo ignobili e buongustai.
Senza rendersene conto, François ha riempito d’aria i polmoni e si appresta a
battere il record dell’urlo più disumano che sia mai stato emesso, ma il terrore
gli ha annodato le corde vocali, e ha un bel soffiare: dalla bocca semiaperta
non esce alcun suono. Ci prova ancora, ma ha il fiato cosi corto che non
riuscirebbe nemmeno a spegnere tre candeline su una torta.
Maltazard fa un passo verso di lui e lo guarda dall’alto in basso. Il padre di
Arthur trema tanto da far vibrare tutte le foglie intorno con un fruscio quasi
musicale. Aggiungiamo i denti che battono e il grido inespresso che si è
tramutato in un rantolo, e non saremo troppo lontano da una samba.
Maltazard, che ha sempre avuto un buon orecchio musicale, non è insensibile
a quel ritmo e comincia dondolarsi. Quando si parla dell’orecchio di
Maltazard, si tratta ovviamente di una metafora, visto che l’essere, per metà
putrefatto, non ha più orecchie da molto tempo. Il che non lo disturba più di
tanto, dal momento che lui non ascolta mai nessuno.
— Allora? Queste gelatine? — si spazientisce. François fa appello a tutto il
suo coraggio e farfuglia: — Io-io.., le-le va-va...
— Yole Vavà? E chi sarebbe questa fanciulla? — si stupisce il Malvagio, che
comincia ad arrabbiarsi.
— A-a...! Là-là... — balbetta François, che è letteralmente terrorizzato.
— Cosa c’entra Allah, adesso? È lui che ce le ha queste benedette gelatine?
— scatta Maltazard.
François scuote la testa con energia, il che gli fa battere ancora di più i denti.
— No! No! Gela... tine... va-vado.., là... a ca-casa! Io va-vado a pre-prendere
le ge-gelatine! — continua a balbettare, ingarbugliandosi le braccia.
Maltazard sembra aver capito, più o meno. — Va bene, va’ e sbrigati! La
pazienza è la sola cosa per cui mi concedo un limite!
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Congeda con un gesto il povero umano, che annuisce e schizza via come una
lepre che corre verso la tana.
Il Principe delle Tenebre non può impedirsi di sogghignare. Gli esseri umani
sono ancora più facili da manipolare di quanto si aspettasse. Persino per
controllare gli Accoliti, le sue guardie del corpo personali, gli occorreva un po’
più di tempo.
Stavolta gli è bastato mostrare la sua straordinaria bruttezza per sottomettere
l’umano. Non è stato neppure necessario cacciare uno di quegli orribili urli di
cui soltanto lui conosce il segreto, né di minacciare con gli artigli, come fanno
le aquile. Basta la sua sola presenza perché qualunque uomo si trasformi in
un agnellino.
A quel pensiero, il mostro si concede un sorriso che peggiora ulteriormente le
orrende fattezze. Poi si guarda intorno, osservando quel pezzetto di bosco
deserto e silenzioso. In realtà non è poi cosi deserto, perché centinaia di
occhi sono nascosti in ogni angolo, e osservano, spaventati a morte,
quell’orrore giunto da un altro mondo. Maltazard li sente, più che vederli, ma
uno come lui sa bene di essere, in ogni caso, costantemente sotto
osservazione. È quella la sua funzione, in fondo: essere il bersaglio, il centro
di tutte le attenzioni, come un faro nella notte, che guida in porto i poveri
marinai smarriti.
Il suo sorriso si allarga all’idea dell’assemblea che ha raccolto intorno a sé.
Tutti in ansiosa attesa del prossimo gesto, che dovrebbe chiarire le sue
intenzioni.
Tuttavia non accade nulla. Maltazard si limita a osservare e a sorridere, come
se volesse godere fino all’ultimo della calma prima della tempesta. Bisogna
dire che per un essere perverso come lui, l’attesa è la più raffinata delle
torture.
Decine di roditori battono i denti, centinaia di uccelli sbattono il becco, i
millepiedi hanno le ginocchia di gelatina.
A un tratto Maltazard inspira una gran boccata d’aria e tutti trattengono il
fiato. Dopo qualche attimo di insostenibile suspense, il Malvagio finisce per
esclamare: — Bù!
Un suono tanto debole da essere quasi ridicolo, ma il bosco intero sussulta e
si scatena una baraonda totale. Gli uccelli cadono svenuti, i millepiedi si
arrampicano sugli alberi, gli scoiattoli e i conigli si ammasso all’ingresso di
ogni tana disponibile. panico generale. Se Maltazard avesse sparato un colpo
di cannone non avrebbe ottenuto miglior risultato. E scoppia in una risata
scrosciante, a scatti e scossoni. Una risata poderosa che, una volta di più,
invade il bosco e le colline tutt’intorno facendo fremere il mondo come una
folata di vento glaciale.
© 2005 EuropaCorp – Avalanche Productions – Apipoulaï Prod
© 2005 Intervista. All Rights Reserved
© 2007Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.
Titolo dell’opera originale Arthur et la guerre des deux mondes
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