premessa – agriturismo e turismo rurale

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premessa – agriturismo e turismo rurale
PREMESSA – AGRITURISMO E TURISMO RURALE
Nella nostra realtà agricola il territorio rurale si presenta in modo via via
più rilevante come uno spazio in cui si incontrano risorse che hanno un
valore naturalistico, culturale e paesaggistico da promuovere, conservare e
tutelare. In tale contesto prende forma con intensità crescente, il turismo
rurale inteso in senso ampio, comprensivo quindi di “agriturismo” e
“turismo rurale” in senso stretto.
Tale fenomeno si presenta pertanto come uno strumento in grado di
armonizzare le esigenze legate alla valorizzazione degli interessi culturali,
naturalistici, storici, paesaggistici con la protezione di quelli economici del
territorio rurale.
Alla luce di ciò, risulta interessante considerare l’evoluzione profonda che
ha caratterizzato la concezione giuridica di paesaggio. La Legge 29 giugno
1939, n. 1497 “Protezione delle bellezze naturali”, ne offriva una visione di
protezione, per arrivare poi con il decreto legge 27 giugno 1985, n. 312
convertito nelle legge 8 agosto 1985, n. 431 (legge “Galasso”), ad una
concezione “territoriale”.
A partire dagli anni ’80, anche sullo scenario della normativa comunitaria
si è fatta strada la concezione di paesaggio inteso in senso globale e come
bene culturale, aspetto che emerge in modo particolare nella Convenzione
europea del paesaggio siglata a Firenze il 29 ottobre del 2000 dagli Stati
membri del Consiglio d’Europa. Tale Convenzione designa con il termine
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paesaggio “una determinata parte del territorio, così com’è percepita dalle
popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e
dalle loro interrelazioni”.
Agriturismo e turismo rurale si collocano pertanto in un complesso di
definizioni che riguardano il paesaggio, il territorio e l’ambiente e si
presentano come due realtà che sembrano rifarsi a discipline differenziate
sotto il profilo legislativo.
Il primo consiste in una pluralità di servizi turistici che l’imprenditore
agricolo offre all’ospite utilizzando le potenzialità polifunzionali della
propria azienda e in connessione con le attività agrarie che devono
rimanere principali.
Nel caso del turismo rurale si comprende invece una serie di offerte di
ospitalità turistica in campagna caratterizzate da un’ospitalità rurale
proveniente da strutture estranee all’azienda agricola, dalla fruibilità del
patrimonio ambientale, nonché delle risorse naturali.
Pertanto agriturismo e turismo rurale hanno un fondo comune costituto dal
contesto ambientale in cui si svolge la pratica turistica, ma si differenziano
sia per i soggetti imprenditori sia per le leggi che ne disciplinano il
funzionamento.
La normativa di questo multiforme fenomeno, è complessa e stratificata a
vari livelli.
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A favore dell’agriturismo intervengono politiche e strumenti diversi che
possono essere raggruppati a seconda delle finalità principali che si
propongono.
Ad esempio, oltre che dalla legge quadro, da quelle regionali e da quella di
orientamento del settore agricolo, l’agriturismo viene promosso e sostenuto
anche nell’ambito dei programmi finanziati dai fondi strutturali, della legge
394/91 (art. 7) “legge quadro sulle aree protette”, della legge n. 426/98
“nuovi interventi in campo ambientale”.
In linea generale, l’elemento che accomuna questi strumenti è il ruolo
chiave assegnato all’agriturismo nel favorire processi di sviluppo
sostenibile.
La normativa comunitaria
Negli ultimi anni l’attenzione verso agriturismo e turismo rurale è cresciuta
di pari passo con l’evoluzione delle strategie di intervento attivate
dall’Unione Europea a favore delle aree rurali.
Si è infatti passati dall’impostazione settoriale delle politiche di sviluppo
rurale all’inclusione di queste in una strategia più generale attraverso
interventi integrati.
Tale evoluzione si è concretizzata proprio nelle varie fasi di Riforma dei
Fondi Strutturali e di attuazione dell’Iniziativa Comunitaria LEADER che
in una prima fase, vale a dire sotto Leader II conclusosi nel 1999, ha
considerato il turismo rurale come asse strategico, per poi passare con
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Leader Plus a sostenere l'asse valorizzazione del patrimonio naturale e del
patrimonio culturale, consentendo comunque il finanziamento delle azioni
di investimento e di formazione nel settore del turismo.
Per l'Unione Europea il turismo rurale é una nozione molto ampia
comprendente qualsiasi attività turistica svolta in ambiente rurale compreso
il turismo nelle aziende agricole o agriturismo (Com (88) 501 del 29 luglio
1988). Secondo questa interpretazione, per i termini turismo rurale ed
agriturismo, è pressoché impossibile pervenire ad una definizione univoca
o operare una differenziazione in funzione delle strutture utilizzate e delle
attività svolte.
In Europa non esiste una normativa di riferimento (direttiva o regolamento)
in materia di agriturismo e turismo rurale. Esistono invece programmi e
iniziative comunitarie di sostegno alle forme di turismo nelle aree rurali.
Le prime misure a favore del turismo rurale si collocano nell’ambito della
politica comunitaria regionale volta a eliminare gli squilibri fra alcune
regioni. Il fenomeno è pertanto sostenuto economicamente in quanto
strumento di integrazione del reddito di chi opera in quelle aree.
Già nei primissimi anni ’80 furono previste le prime incentivazioni
finanziarie del turismo in determinate aree rurali : è il caso dei due
Regolamenti, il n. 2615/80 del 7 ottobre 1980 e il 214 del 18 gennaio 1984,
che si presentavano come strumenti di integrazione del reddito di chi
operava in aree rurali.
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Successivamente , con il Regolamento CEE 797/85, nel quadro di sostegno
strutturale alle aziende agricole, la Comunità aveva previsto investimenti di
"carattere turistico" o artigianale da effettuare nelle aziende agricole
ubicate nelle zone svantaggiate come delimitate dalla direttiva 268/75.
La seconda fase dell’intervento comunitario si caratterizza per l’adozione
di politiche e misure ispirate ad una maggiore consapevolezza dello stretto
legame esistente tra agricoltura, ambiente e territorio, pertanto il turismo
rurale viene incentivato, non solo come forma di integrazione del reddito,
ma anche come strumento di valorizzazione del territorio rurale dal punto
di vista paesaggistico, culturale ed ambientale: fondamentali in tal senso
sono i Regolamenti n. 3808/89 del 12 dicembre 1989, n. 2328/91 del 15
luglio 1991, n. 950/97.
Inoltre, negli stessi anni, nell’ambito della politica di coesione economica e
sociale (articolo 158 Trattato Ce ) e quindi nell’intento di ridurre il divario
tra i diversi livelli di sviluppo delle varie regioni d’Europa, comprese le
zone rurali, la Comunità ha emanato i regolamenti CEE 2052/88, 4253/88,
1260/99, che al loro interno possono prevedere misure di sostegno al
turismo rurale.
La Comunità europea ha quindi sempre ritenuto non praticabile
l’elaborazione di una normativa valida per tutti gli Stati membri, in quanto
risultano essere troppo diversificate le esigenze non solo tra Stato e Stato,
ma anche tra Regione e Regione, e ha quindi favorito la valorizzazione
delle tradizioni locali e il progresso del mondo rurale, lasciando la
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possibilità di disciplinare la cosiddetta attività turistica rurale ai singoli
Stati e Regioni che hanno qualificato di volta in volta tali attività come
agricole o commerciali. La Comunità europea ha pertanto ritagliato per se
stessa il ruolo di polmone finanziario del fenomeno.
La Commissione ha elaborato un documento dal titolo "Misure comunitarie
per la promozione del turismo rurale" COM/ 90/438 , che si rivela utile
per la ricerca di una definizione di turismo rurale e la delimitazione di tale
concetto. Sotto il profilo terminologico infatti gli interventi comunitari
ignorano
il
termine
“agriturismo”
ed
utilizzano
esclusivamente
l’espressione “turismo rurale”, che comprende quindi l’agriturismo, ma non
si esaurisce in esso.
L’approccio del legislatore comunitario è quindi quello di sostenere
economicamente l’erogazione dei servizi di ospitalità turistica in aree
rurali, solo in funzione del collegamento che le lega al territorio.
In tal senso il Regolamento fondamentale per il sostegno allo sviluppo
rurale risulta essere il Regolamento n. 1257/99 del 17 maggio 1999.
Quest’ultimo riunisce per la prima volta in un unico strumento normativo
tutte le misure di sviluppo rurale. Esso agli artt. 4 e 33 permette agli Stati
membri e/o alle Regioni di destinare parti importanti delle risorse
finanziarie comunitarie all'agriturismo e/o al turismo rurale.
Nello specifico l'art. 4 prende in considerazione la promozione della
diversificazione delle attività nell'azienda agricola, mentre l'art.33 parla di
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incentivazione delle attività turistiche e artigianali e ricomprende al proprio
interno le misure di sviluppo rurale.
Il regolamento in oggetto segna inoltre la nascita del II° pilastro della PAC,
accorpando tutti i regolamenti esistenti in materia di sviluppo rurale e
individuando tre obiettivi strategici generali:
- potenziamento del settore agricolo e forestale;
- miglioramento della competitività delle zone rurali;
- salvaguardia dell’ambiente e del patrimonio rurale.
Agli obiettivi tradizionali della politica di sviluppo rurale se ne affiancano
di innovativi, tra i quali figura la diversificazione delle attività agricole e
incentivazione di attività alternative.
Tuttavia il primo tentativo “ufficiale” a livello europeo di definire un
modello di agricoltura multifunzionale nel quale coniugare i requisiti di
competitività, redditività, qualità, sicurezza alimentare, sviluppo integrato,
eco-compatibilità e tutela del territorio nelle aree rurali, si ha nel 1997
quando la Commissione pubblica il documento: “Agenda 2000 - Per
un’Unione più forte e più ampia”.
Nel contesto dell’Agenda 2000 la politica agricola comune "è
principalmente
orientata
a
soddisfare
le
domande
della
società
relativamente alla sicurezza alimentare, alla qualità alimentare, alla
differenziazione dei prodotti, al benessere degli animali, alla qualità
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ambientale e alla conservazione della natura e dello spazio rurale".
Nella proposta di regolamento comunitario della Commissione 490/2004
adottata il 14 luglio 2004, proposta che dovrà disciplinare la politica di
sviluppo rurale nel periodo di programmazione 2007-2013 e sostituire il
regolamento 1257/99, si afferma:
“L’agenda 2000 ha stabilito una politica di sviluppo rurale come secondo
pilastro della PAC (politica agricola comunitaria) per accompagnare la
nuova riforma della politica di mercato nel territorio dell’Unione. La
politica di sviluppo rurale conseguentemente non può essere separata dal
proprio ruolo di secondo pilastro della politica agricola comune
sottolineando il termine «comune», vale a dire la scelta che è stata presa di
organizzare il settore agricolo a livello dell’Unione. Questo aspetto è
particolarmente pertinente per quel che riguarda la necessità di assicurare
una coerenza di strumenti ed obiettivi politici tra i due pilastri”.
La Comunicazione sulle prospettive finanziare per il periodo 2007-2013,
riflettendo le conclusioni della Conferenza di Salisburgo (novembre 2003)
e gli orientamenti strategici del consiglio di Lisbona e di Göteborg che
sottolineano gli elementi economici, sociali ed ambientali della
sostenibilità, ha fissato i seguenti tre obiettivi principali per la politica dello
sviluppo rurale:
– migliorare la competitività del settore agricolo sostenendo la
ristrutturazione;
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– migliorare l’ambiente e lo spazio rurale attraverso un sostegno alla
gestione del territorio (comprendendo le iniziative di sviluppo rurale
legate ai siti natura 2000);
–
migliorare la qualità di vita nelle zone rurali e promuovere la
diversificazione delle attività economiche tramite le misure che si
rivolgono al settore agricolo e ad altri attori rurali.
L’aiuto
comunitario
all’investimento
agricolo
ha
per
oggetto
l’ammodernamento delle imprese agricole e l’incremento della loro
redditività economica tramite il miglioramento dell’utilizzo di fattori di
produzione (compresa anche l’introduzione di nuove tecnologie),
l’individuazione di target della qualità e la diversificazione all’interno o
all’esterno dell’azienda verso attività non agricole, incluso il settore non
alimentare. L’aiuto comunitario è volto, inoltre, a migliorare la situazione
delle aziende in termini di rispetto dell’ambiente, di sicurezza sul luogo di
lavoro, di igiene e di benessere degli animali, nonché accompagnare i
cambiamenti nelle zone rurali al fine di promuovere l’occupazione e
migliorare i servizi di base.
La nuova proposta di regolamento prevede, all'Asse 3 "Diversificazione
dell'economia rurale e qualità della vita in ambiente rurale", diverse misure
tra cui l'incentivazione di attività turistiche. Il sostegno alle attività
turistiche riguarda in particolare le seguenti operazioni:
a) le piccole infrastrutture come i centri di informazione, la segnaletica
relativa ai siti turistici;
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b) le infrastrutture ricreative di accesso agli spazi naturali e gli alloggi con
capacità di accoglienza ridotta;
c) lo sviluppo e l’immissione sul mercato di prodotti turistici legati al
turismo rurale.
Le politiche per lo sviluppo rurale si inseriscono in un cambiamento del
quadro di intervento più generale: infatti si è passati da una organizzazione
di mercato dei prodotti agricoli caratterizzata da garanzie illimitate di
assorbimento delle produzioni ad un quadro di contingentamento
territoriale delle stesse.
Ciò porta a una differenziazione delle politiche dell'Unione nelle diverse
realtà locali, nonché a uno slittamento di accento delle finalità della politica
unitaria dallo sviluppo agricolo allo sviluppo rurale.
L’importanza sempre crescente che lo sviluppo rurale ha assunto nel
quadro della politica comunitaria, emerge anche nel Parere del Comitato
delle regioni sul tema «Progetto giovani per l’agricoltura europea» (2001/C
357/08). In tale documento si conviene : “ […] sulla necessità che lo
sviluppo rurale passi attraverso un’agricoltura multifunzionale” e pertanto
si : “ […] ritiene urgente che Unione europea, Stati e Regioni, ciascuno per
le rispettive competenze, assicurino le condizioni per l’esercizio della
pluriattività da parte degli imprenditori e degli addetti all’agricoltura”
consentendo “specie nelle zone montane e marginali, l’effettuazione di
attività connesse alla foresta, alla sorveglianza e gestione
delle zone
protette e dei parchi, alla manutenzione delle infrastrutture rurali e civili,
alla gestione dei beni culturali, ai servizi, al turismo stagionale, ecc.”;
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sempre nel Parere si sottolinea che “ va definito, infine, un nuovo statuto
d’impresa rurale
diversificata (pluriattiva) nella quale ogni attività
ammissibile sia conforme alla logica d’impresa agricola che resti
prevalente”; infine il Comitato delle regioni “ ritiene utile che nello
sviluppo ulteriore delle iniziative tendenti a realizzare interventi
agroambientali, di agricoltura biologica, di agriturismo e turismo rurale, di
sostegno, promozione e commercializzazione di prodotti alimentari tipici e
rurali, di qualità e caratteristici dell’ambiente di produzione di
valorizzazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti del
bosco e del sottobosco, siano da considerare prioritariamente le presenze,
singole o associate, di giovani agricoltori”.
La normativa comunitaria ha da sempre avvertito la grande opportunità
costituita da un uso intelligente dello strumento turistico per lo sviluppo
delle aree rurali grazie alla crescente richiesta urbana di attività ricreative (e
anche culturali) in ambito agricolo e ha individuato nel cosiddetto “turismo
rurale” lo strumento più adeguato al mantenimento delle popolazioni
agricole sul territorio.
La normativa italiana
Il legislatore italiano, a differenza del legislatore comunitario, con la legge
quadro 5 dicembre 1985, n. 730, ha operato una netta distinzione
nell’ambito dell’ospitalità in aree agricole tra turismo rurale in senso stretto
ed agriturismo, riservando solo a quest’ultimo le misure di sostegno
economico e destinando le forme di turismo rurale nell’impresa turistica,
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soggetta allo statuto dell’imprenditore commerciale.
La legge 730 definisce agrituristica ogni attività di "ricezione ed ospitalità
esercitate dagli imprenditori agricoli attraverso l'utilizzazione della propria
azienda, in rapporto di connessione e complementarità, rispetto alle attività
di coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento del bestiame, che
devono comunque rimanere principali".
Tuttavia la prima legge nazionale che fa riferimento, sia pure in modo
disorganico, al fenomeno agrituristico, è la legge quadro sul turismo, 17
maggio 1983 n. 217.
Tale legge, in particolare, delinea le caratteristiche delle imprese che
possono esercitare attività di organizzazione, di produzione di viaggi e di
soggiorni turistici, quelle degli operatori turistici e definisce le strutture
ricettive.
Tale norma ha condotto il fenomeno agrituristico nell’alveo dell’attività
commerciale e ne ha ridotto la portata ad un semplice problema di alloggi.
Infatti, l’art. 6 include tra le strutture ricettive gli alloggi, che chiama
"agroturistici", definendoli come fabbricati rurali nei quali è data ospitalità
a turisti da imprenditori agricoli. I limiti derivano dal fatto che in questo
modo
si
pone
un’unica
disciplina
amministrativa
sia
per
la
regolamentazione delle più modeste attività turistico – rurali, sia per i
grandi complessi turistico - alberghieri.
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Pertanto, è solo con la legge 5 dicembre 1985 n. 730 (in seguito chiamata
anche legge nazionale o legge quadro), che si ha una legge organica
sull’esercizio dell’attività agrituristica.
Tale legge stabilisce i principi fondamentali e inderogabili cui,
successivamente, il legislatore regionale farà riferimento nel porre in essere
la cosiddetta legislazione regionale di dettaglio. Nella legge si possono
individuare quattro componenti fondamentali:
a) le finalità della normativa (art. 1);
b) la definizione delle attività e dell'operatore agrituristico (art. 2-4);
c) gli aspetti disciplinari dell'attività (art. 5-9);
d) le linee generali per la programmazione e promozione locale dell'attività
agrituristica (art. 10-15).
Le finalità indicate dalla legge-quadro sono molteplici e perseguite
mediante la promozione di idonee forme di turismo nelle campagne.
Vanno dagli obiettivi economici, quali l'integrazione dei redditi aziendali
ed il miglioramento delle condizioni di vita, ad obiettivi socioculturali,
quali la promozione del rapporto tra città e campagna e la promozione delle
tradizioni ed iniziative culturali del mondo rurale, ad obiettivi di riequilibro
territoriale, quali lo sviluppo dell'agricoltura e la permanenza dei produttori
agricoli nelle zone rurali, sino ad obiettivi di salvaguardia e valorizzazione
del territorio, quali la migliore utilizzazione del patrimonio aziendale
naturale ed edilizio e la conservazione dell'ambiente.
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L’art.
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riconduce
l’agriturismo
nell’ambito
dell’attività
agricola
definendola attività di ricezione ed ospitalità esercitata dagli imprenditori
agricoli ai sensi dell’art. 2135 c.c., singoli o associati e dai loro familiari di
cui all’art. 230 bis del Codice Civile, attraverso l’utilizzazione della propria
azienda.
Rientrano tra le finalità: dare stagionalmente ospitalità,
somministrare pasti e/o bevande (che devono essere costituiti per lo più da
prodotti propri), organizzare attività ricreative o culturali nell’ambito
dell’azienda.
Gli unici soggetti che possono esercitare le attività agrituristiche sono gli
imprenditori agricoli, singoli o associati, ed i loro familiari (quali il coniuge
e parenti sino al terzo grado ed affini sino al secondo) che le possono
svolgere mediante l'utilizzazione della propria azienda. Tali attività, inoltre,
non possono essere svolte in maniera disgiunta dalle attività agricole, ma in
rapporto di connessione e complementarietà a quelle di coltivazione del
fondo, di allevamento del bestiame e di silvicoltura. In quanto tale, l'attività
agrituristica viene considerata dalla norma nazionale un’attività agricola
per connessione.
L’agriturismo per il carattere di complementarietà non può né sussistere al
di fuori di un’azienda agricola, né prevalere sulle attività tipicamente
agricole che devono rimanere principali. Possono quindi ricevere
autorizzazione a svolgere attività agrituristiche solo i lavoratori autonomi
dell’agricoltura che esercitano attività di impresa.
Le attività agrituristiche in quanto attività di natura agricola vanno
ricondotte ad un regime proprio di quello dell'impresa agricola, che risulta
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fortemente differenziato da quello dell'impresa commerciale.
Il compito centrale di esercitare un controllo sulle relazioni di connessione
e complementarietà viene delegato, dall'art. 4, alle Regioni, che devono
fissare i criteri e limiti di svolgimento dell'attività in funzione dell'azienda e
del fondo interessati. Allo Stato è attribuito il compito di dettare i principi
fondamentali della materia (attraverso l’emanazione di leggi quadro o
cornice), mentre alle regioni spetta il compito di emanare la c.d.
legislazione di dettaglio.
Gi aspetti disciplinatori dell'attività sono definiti dagli articoli compresi tra
il 5 ed il 9. L'articolo 5, in particolare, indica le norme igienico sanitarie
generali che debbono essere rispettate nell'attività di produzione,
preparazione, confezionamento e somministrazione degli alimenti e
bevande ed assegna alle regioni la competenza di definire le norme che
debbono rispettare gli immobili e le attrezzature impiegate per l'attività
agrituristica.
Gli articoli dal 6 al 9 dettano la disciplina amministrativa ed assegnano le
specifiche competenze.
La legge prevede l’istituzione, da parte delle regioni, di un elenco (che
diverse regioni, in sede d’applicazione, chiameranno "albo"), in cui
iscrivere
i
soggetti
abilitati
ad
esercitare
l’attività
stessa.
L’iscrizione è concessa alla presenza di determinati requisiti oggettivi
(svolgimento di attività agricola, presenza di locali all’interno dell’azienda,
richiesta di iscrizione proveniente dal titolare d’azienda o da altro familiare
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ricompreso nell’articolo 230 bis c.c. e dedito all’attività agricola) e
soggettivi (assenza di determinate condanne penali nel triennio precedente,
assenza di misure di prevenzione o di dichiarazione di delinquenza
abituale, ecc.).
Le linee generali per la programmazione e promozione locale dell'attività
agrituristica sono indicate dagli articoli compresi tra il 10 ed il 15.
L'articolo 10, in particolare, tende a legare lo sviluppo
dell'attività
agrituristica alle finalità di riequilibro e conservazione indicate nell'articolo
1. In particolare, introduce il concetto di piano per l'agriturismo connesso
ad un programma di vitalizzazione delle aree rurali. Tale piano deve
indicare le aree suscettibili di sviluppo agrituristico ed una serie di loro
caratteristiche. Agli imprenditori che operano all'interno di queste aree
possono essere concessi degli incentivi, come previsto dall'articolo 14. Le
regioni in collaborazione con gli enti locali e le associazioni agrituristiche,
devono promuovere studi e ricerche sull'agriturismo, curare la formazione
professionale (art. 11) e
incentivare e coordinare la promozione delle
attività agrituristiche.
Nella direzione di emancipazione dell’ospitalità turistica in area rurale
dallo stretto collegamento con l’azienda agricola, si registrano nel
panorama legislativo nazionale due provvedimenti che per la prima volta
incentivano dal punto di vista economico il turismo rurale. Si tratta della
legge 29 marzo 2001, n. 135 “Riforma della legislazione nazionale del
turismo”, la quale all’art. 1 sollecita la Repubblica a sostenere l’uso
strategico degli spazi rurali in chiave turistica nel contesto di uno sviluppo
rurale integrato. La legge 27 marzo 2001, n. 122 all’art. 23, “Ospitalità
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rurale familiare” presenta lo stesso orientamento e chiama le regioni a
disciplinare l’attività relativa al servizio di alloggio e di prima colazione
nella propria abitazione, precisando che se dette attività hanno carattere
professionale e continuativo e sono esercitate da imprenditori agricoli
rientrano tra le attività agrituristiche.
Queste nuove tendenze si collocano sulla scia del più recente orientamento
comunitario e vedono l’offerta di ospitalità turistica in aree rurali come uno
strumento di valorizzazione del territorio rurale in ogni suo aspetto. Inoltre
l’impresa agricola si prospetta in una dimensione più moderna che ne esalta
la sua multifunzionalità, come una struttura erogatrice di servizi in
collaborazione con altre iniziative imprenditoriali e culturali che si
collocano all’interno delle aree rurali spogliata del suo tradizionale abito di
mero produttore di beni.
Possono ricevere autorizzazione ad esercitare l'agriturismo solo i lavoratori
autonomi dell'agricoltura che a qualunque titolo e forma esercitano attività
di impresa: ciò vale per tutti gli imprenditori agricoli (imprenditori a titolo
principale o a titolo parziale), per tutti i familiari purché siano partecipi
dell'impresa agricola a conduzione familiare.
Le attività agrituristiche possono essere esercitate esclusivamente in una
azienda agricola utilizzando il fondo e i fabbricati rurali, tutti o in parte,
esistenti che non vengono più utilizzati per la normale attività agricola o
per gli usi abitativi dell'imprenditore e della sua famiglia. E' escluso l'uso di
edifici, anche se di proprietà dell'imprenditore, non pertinenti l'azienda
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agricola e ubicati in luogo diverso dal fondo ove si intende esercitare
l'agriturismo. Ogni altra forma turistica esercitata in campagna, anche
all'interno di una azienda agricola, con criteri difformi dalla legge 730
viene considerata turismo rurale ed è quindi inquadrata dalla legge quadro
n. 217 del 17 maggio 1983.
In questo caso l'attività comporta: la
deruralizzazione degli edifici e del fondo interessati; la necessità di fare
richiesta di variazione nella destinazione d'uso del territorio dei comuni
competenti; il rischio per l'imprenditore di perdere la qualifica di
imprenditore agricolo a titolo principale o di coltivatore diretto, per
l'esistenza di un consistente reddito extragricolo.
Nei casi in cui la
normativa in vigore per l'agriturismo e il turismo rurale non fornisca
specifiche direttive bisogna fare riferimento alle leggi vigenti in materia di
turismo, commercio, igiene e sanità.
La definizione che la legge 730 dà di agriturismo, deve essere letta alla
luce delle novità e delle integrazioni introdotte dalla recente legge di
orientamento e modernizzazione del settore agricolo D.Lgs. 18 maggio
2001, n. 228 - Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a
norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, N.57.
Tale norma al terzo comma dell’art. 1 , ha ampliato le attività connesse a
quella agricola, l’art. 2135 c.c. considerava connesse solo le attività dirette
alla trasformazione o alienazione dei prodotti agricoli, mentre adesso “si
intendono comunque connesse le attività esercitate dal medesimo
imprenditore
agricolo,
dirette
alla
manipolazione,
conservazione,
trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad
oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del
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bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura
di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse
dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi
comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e
forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.
L’innovazione è rintracciabile nel fatto che si riqualifica l’agriturismo
dandogli una definitiva natura agricola e si favorisce il processo di
modernizzazione e diversificazione dell’agricoltura.
Questo articolo è rilevante proprio perché riqualifica l’agriturismo. Inoltre
sostituisce l’art. 2135 in base al quale la legge 730/85 “disciplina
dell’agriturismo” definiva la figura di imprenditore agricolo che poteva
esercitare l’agriturismo.
La legge 730 riconduceva all’agriturismo “esclusivamente le attività di
ricezione ed ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’art.
2135 c.c., singoli o associati, e da loro familiari, di cui all’art. 230 bis c.c.,
attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione e
complementarità rispetto all’attività di coltivazione del fondo, silvicoltura,
allevamento del bestiame, che devono comunque rimanere principali”
sostenendo anche che lo svolgimento di attività agrituristiche “non
costituisce distrazione della destinazione agricola dei fondi e degli edifici
interessati.
L’art. 3 della legge di orientamento introduce ulteriori novità e integrazioni
alla 730/85, esso infatti oltre a fare riferimento ad una serie di attività
ricomprese tra quelle che possono svolgere gli iscritti agli elenchi degli
operatori agrituristici, fornisce chiarificazioni in merito ad alcuni aspetti
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amministrativi e gestionali.
E’ ora possibile infatti organizzare iniziative per condurre gli ospiti alla
degustazione dei prodotti aziendali compresa la mescita del vino, ai sensi
della legge n. 268 del 27 luglio 1999 intitolata “Disciplina delle strade del
vino”, nonché alla scoperta dell’ambiente naturale, paesaggistico, culturale
e artistico in cui si colloca l’azienda agricola, come nel caso delle fattorie
didattiche.
Pur intendendo la definizione con una certa elasticità, possiamo definire tali
esperienze come aziende agricole che ricevono ospiti (per lo più studenti
accompagnati dai propri maestri e professori), per una visita o un periodo
di soggiorno il cui scopo è quello di far conoscere uno o più aspetti
specifici della attività aziendale o dell'ambiente rurale e naturalistico del
territorio che circonda l'azienda.
Tale conoscenza si può trasmettere:
- facendo visitare coltivazioni, allevamenti e attrezzature dell'azienda,
- consentendo di assistere allo svolgersi di attività agricole e artigianali,
- promuovendo la visita a luoghi di interesse naturalistico,
- illustrando l’ambiente e le attività tramite personale adeguatamente
preparato,
- proponendo in sale allestite appositamente , dibattiti e proiezioni,
- distribuendo documentazione che accompagni e integri la visita alla
fattoria didattica.
Un primo censimento nazionale di questo tipo di strutture è stato fatto nel
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2001. Dall'indagine, sono emerse 273 esperienze di fattorie didattiche
(ubicate prevalentemente nel Nord Italia) gestite sia da cooperative che da
singoli imprenditori e 3 "city farms".
Con la legge n. 57 del 5 marzo 2001, viene quindi esaltata la
multifunzionalità della impresa agricola. C’è in tale provvedimento
legislativo, il richiamo ad un ruolo polivalente dell’imprenditore agricolo.
Infatti, nell’ Articolo 1 si legge:
“L’articolo 2135 del Codice Civile è sostituito dal seguente:
E’ imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività:
coltivazione del fondo, silvicoltura,allevamento di animali […]nonché le
attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione
prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda, normalmente impiegate
nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione
del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione e di
ospitalità come definite dalla legge”.
L’ospitalità, continua a essere esercitata all’interno dell’azienda in
fabbricati rurali secondo il dettato della legge n. 730/85, la legge di
orientamento chiarisce che la stagionalità si riferisce alla durata del
soggiorno degli ospiti e non, quindi, come a volte è stato interpretato in
alcune disposizioni regionali, al periodo di esercizio dell’attività
agrituristica da parte dell’imprenditore.
Il secondo comma dell’ art. 3, qualifica in modo inequivocabile come
lavoratori agricoli gli addetti alle attività agrituristiche, siano essi lavoratori
dipendenti a tempo indeterminato, determinato o parziale, siano essi
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familiari ai sensi dell’art. 230 bis c.c.
Per una corretta identificazione dell’imprenditore agricolo, e quindi del
soggetto che può esercitare l’agriturismo, occorre far riferimento anche ai
principi contenuti in altri articoli del c.c. (2082, 2083 e 1647) e alla dottrina
e alla giurisprudenza prevalenti.
In tale contesto è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività
economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di merci e
servizi in modo continuativo, ossia non in modo occasionale, ma non
necessariamente esclusivo. Devono essere quindi considerati imprenditori
agricoli a tutti gli effetti anche coloro che esercitano la professione anche
non a titolo principale, mentre non sono considerati tali i proprietari che
concedono in affitto il fondo, i salariati e gli impiegati agricoli.
Secondo l’art. 230 bis c.c. sono considerati partecipi dell’impresa i
familiari (ossia il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il
secondo grado) che in modo continuativo prestano la loro attività
nell’azienda agricola o nella famiglia.
I familiari hanno diritto a partecipare alle decisioni, da adottarsi a
maggioranza, relative agli indirizzi produttivi, l’impiego degli utili e degli
incrementi e l’eventuale cessazione dell’impresa; ai sensi dell’art. 230 bis
c.c., l’impresa agrituristica è una comunità dove la parità di diritti e doveri
è indipendente dalla titolarità.
Tuttavia, l’attività agrituristica è collocata in un regime fiscale diverso da
quella agricola, dalla quale deve comunque dimostrare di originarsi
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restandone connessa.
La normativa regionale
La legge 16 maggio 1970 n. 281 stabilisce che i principi generali, cui le
regioni devono attenersi, in assenza di una legge quadro nazionale, devono
desumersi
dall’insieme
delle
leggi
vigenti,
indi
dall’insieme
dell’ordinamento giuridico. E’ questa la norma che, negli anni settanta, ha
consentito alle regioni di legiferare in materia agrituristica anche in assenza
della norma nazionale di riferimento. A tal proposito è utile sottolineare
che il legislatore regionale ha avuto non poche difficoltà nel distinguere tra
precetti che vincolano la propria attività legislativa, perché stabiliscono
principi fondamentali e disposizioni che possono essere meglio sviluppate
in relazione alle esigenze e alle caratteristiche di ogni singola regione.
Le norme regionali sull’agriturismo possono essere raggruppate in tre
grandi gruppi:
a) le disposizioni emanate prima della legge-quadro nazionale del 1985;
b) le norme successive a tale legge;
c) le disposizioni legislative successive alla comunicazione della
Commissione Europea sul futuro del mondo rurale e da essa influenzate.
Le Regioni che hanno adottato delle norme prima della legge quadro nel
1985, sono state tredici Prime ad emanare norme specifiche erano state nel
1973 la regione Valle D'Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano,
fissando la massima ricettività delle unità che potevano accede ad un
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contributo regionale. Tuttavia tali norme erano caratterizzate da un’
ambiguità derivante dall'assenza di un quadro normativo consolidato. Così,
la disciplina dell'agriturismo veniva ricondotta a quella del turismo extraalberghiero (affittacamere), con tutte le conseguenti difficoltà interpretative
ed attuative.
Con l’entrata in vigore della legge quadro c’è stata una riedizione delle
norme sull'agriturismo e la legiferazione da parte delle regioni che non
avevano ancora prodotto una normativa in materia.
Nelle norme regionali, si può osservare oltre alla coerenza con la
legislazione comunitaria e nazionale; l’indicazione dell'imprenditore
agricolo e dei suoi familiari come i soggetti che possono essere abilitati
all'esercizio delle attività agrituristiche; nonché una definizione delle
attività di agriturismo modellata sul paradigma dell'art. 2 della norma
nazionale.
Le regioni alla luce della legge quadro devono:
a) determinare i criteri e i limiti per lo svolgimento dell'attività,
b) determinare gli obblighi delle imprese e dei requisiti igienico-sanitari dei
locali e delle attrezzature,
c) disciplinare degli interventi per il recupero del patrimonio edilizio rurale,
d) definire, all'interno del quadro programmatorio regionale, delle forme di
incentivazione delle zone a particolare interesse agrituristico.
Le norme regionali, spesso, in merito ai limiti per lo svolgimento
dell’attività, tendono ad individuare dei semplici vincoli quantitativi nel
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numero di posti letto e dei campeggiatori; tali soluzioni si presentano in
modo semplificativo rispetto ai criteri individuati dalla legge nazionale,
vale a dire: la complementarietà dei redditi agrituristici ai redditi agricoli
principali, le caratteristiche del territorio, le dimensioni dell’azienda e del
fondo.
A livello di normativa regionale si può osservare: una variabilità interregionale di soglie di ricettività agrituristica; la differenziazione di tali
soglie a seconda delle dimensioni del fondo ristretta a poche regioni; l’
articolazione limitata di tali soglie a seconda della zona; nonché
l'introduzione, in taluni casi, di criteri non previsti dalla legge-quadro,
quale la forma societaria o il ricorso alle soglie massime previste per gli
affittacamere.
Anche per quanto concerne le incentivazioni finanziarie, relative il
recupero dei fabbricati e l'acquisto di arredi ed attrezzature, si osservano
indicazioni molto differenziate.
Alcune regioni italiane hanno affiancato all’agriturismo un’altra forma di
turismo rurale (designata così) disciplinandola con norme inserite in un
apposito titolo della loro legislazione agrituristica.
È il caso ad esempio della regione Emilia-Romagna che all’art.20 della
L.R. 26/1994 dà la seguente definizione “per turismo rurale si intende una
specifica articolazione dell’offerta turistica regionale composta da un
complesso di attività che può comprendere ospitalità, ristorazione, attività
sportive, del tempo libero e di servizio,finalizzate alla corretta fruizione dei
27
beni naturalistici, ambientali e culturali del territorio rurale”.
A fianco all’attività agrituristica è prevista così anche quella di esercizio
del turismo rurale, possono svolgere quest’ultima attività imprenditori
commerciali:
a) che gestiscono strutture di ristorazione, o di ricezione alberghiera o
extra-alberghiera, o di supporto alle attività sportive, o all'aria aperta, o di
tempo libero in territori non urbanizzati,
b) che offrono prodotti alimentari tipici della zona (e prevalentemente
preparati con materie prime prodotte da aziende agricole locali) ed
utilizzano arredi e servizi consoni alla cultura agricola.
Per una più dettagliata esplicazione delle caratteristiche strutturali degli
edifici e quelle funzionali dei servizi, la norma rimanda ad un successivo
regolamento regionale.
All’incirca nello stesso senso la legge della regione Marche 28/10/ 1999 n.
27.
La norma dell’Emilia-Romagna riprende alcune indicazioni contenute nelle
raccomandazioni della Commissione Europea per l'avvio di una nuova
politica per il futuro del mondo rurale. Essa, modifica parzialmente alcune
norme sull'attività agrituristica e ne introduce altre relative al turismo
rurale.
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Per quanto riguarda le attività agrituristiche, tale legge menziona due
componenti dell'attività aziendale non esplicitamente indicate nella leggequadro del 1985, quali la commercializzazione diretta delle produzioni
aziendali (o dei beni ricavati da materie prime aziendali) e l'allevamento di
cavalli o di altre specie al fine di richiamo turistico. Tali attività (come tutte
le attività agrituristiche) possono essere esercitate esclusivamente da
imprenditori agricoli (o loro familiari) che siano impegnati in tale attività
da almeno un biennio e che abbiano frequentato uno specifico corso.
Per quanto riguarda la complementarietà il criterio assunto è quello
temporale.
Viene quindi mantenuta una netta distinzione tra imprenditore agricolo (che
esercita le attività di agriturismo) ed imprenditore commerciale (che
esercita quelle di turismo rurale), le loro attività sono inquadrate in modo
differente dal punto di vista fiscale, assicurativo e tributario, risulta comune
solo il piano di promozione commerciale.
Conclusioni
Alla luce di questa analisi possiamo concludere che la crescente attenzione
da parte del legislatore comunitario, nazionale nonché delle singole regioni
verso il turismo rurale e l’agriturismo è dettata dalla funzione fondamentale
che queste tipologie esercitano, esse sono non solo una buona fonte
d'integrazione del reddito agricolo, ma anche un fattore trainante per lo
sviluppo delle aree rurali in termini oltre che economici anche della tutela
dell'ambiente e della crescita del mondo rurale.
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La loro funzione è fondamentale, essi infatti si presentano non solo come
elementi che
racchiudono i caratteri distintivi del patrimonio storico,
artistico, culturale, folcloristico, religioso, paesaggistico, ecc. dell'ambiente
in cui si inseriscono, ma anche come occasione di conoscenza di una realtà,
quella agricola e rurale, ricca di interessanti risorse.
Turismo rurale e agriturismo rappresentano pertanto un importante
strumento per il recupero delle aree interne sia dal punto di vista produttivo
che sociale ed ambientale.
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