parola e immagine - ACME, Accademia di Belle Arti

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parola e immagine - ACME, Accademia di Belle Arti
PAROLA E IMMAGINE
(prof. F. Malvezzi)
Partiamo da una considerazione che può sembrare ovvia: le teorie dell’immagine sono
innanzitutto un discorso sulle immagini. Noi spieghiamo discutiamo sulla natura dell’immagine e
sul loro carattere usando il linguaggio, usando le parole. È quindi inevitabile prendere in
considerazione il rapporto tra parola e immagine, tra registro verbale e registro visivo.
(Pinotti – Somaini pag. 17 )
Il dibattito sul rapporto parola - immagine ancora aperto «non è - afferma Pinotti – che
l’ultimo capitolo contemporaneo di una storia molto antica, che getta le sue radici, almeno per
quanto la si è potuta datare, nella cultura greca del VI-V secolo, una cultura per la quale scrivere e
dipingere era uno stesso verbo: graphein.». Era inevitabile che il rapporto parola (la parola poetica)
- immagine visiva fosse inteso come una relazione di somiglianza: la parola del poeta, nel suo
rapporto con ciò che enuncia è analoga alla figurazione del pittore, nella sua relazione al modello
rappresentato, analoga cioè a un artificio che produce un’immagine somigliante. Il poeta greco
Simonide alla fine del VI secolo a. C. aveva affermato che “la parola è l’immagine delle azioni”.
Plutarco precisa così ulteriormente questa affermazione: “Simonide definisce la pittura una poesia
silenziosa e la poesia una pittura che parla, 1 giacché le azioni che il pittore mostra mentre si
producono, le parole le riferiscono e le descrivono quando si siano prodotte” . «Simonide non
intende solo sottolineare, tramite questa assimilazione, il carattere artificiale e sapiente del lavoro di
combinazione che il poeta compie con le parole, ma anche attribuire al prodotto del proprio canto
poetico lo stesso valore di stabilità e di monumentalità, la stessa “realtà” delle opere dello scultore e
del pittore». L’oratore Dione Crisostomo nel 97 d. C. pone nella bocca di Fidia queste parole: “Per i
poeti è facilissimo includere nella loro poesia molte forme e disposizioni di ogni genere,
aggiungendo a esse movimenti e soste, a seconda che essi lo ritengano conveniente in quel dato
momento, e azioni e discorsi, e hanno, penso, ulteriore vantaggio, quanto alla difficoltà e quanto al
tempo”
Il testo che, frainteso, ha influito su tutta la questione è l’Ars poetica di Orazio dove troviamo la
famosa espressione ut pictura poesis. «Quel che in Orazio esprimeva un semplice parallelismo – vi
sono dipinti e poesie che si comportano similmente nel momento in cui li si fruisce, a distanza più o
meno ravvicinata, a seconda dell’acribia critica, a seconda di quante volte ci accostiamo a essi venne proprio a causa della sua vaghezza, presto inteso (e frainteso) nei modi più vari, e
innanzitutto come una prescrizione: ut pictura poesis. Cioè si faccia in modo che col dire si veda,
che la poesia sia come una pittura, la si renda capace di evocare immagini e di presentare
vividamente dinanzi agli occhi del lettore la scena rappresentata come se questi la stesse
effettivamente guardando in un quadro» (Pinotti)
Dall’analogia alla contesa
Nel dibattito rinascimentale dal paragone (ut pictura poesis) si passa poi al confronto tra le due arti
e alla contesa intorno alla superiorità da attribuire all’una o all’altra. Possiamo citare come esempio
Leonardo, che sostiene l’indiscutibile superiorità della pittura. «Il poeta è superato dal pittore “con
infinita proporzione di potenza” che riposa nella più diretta imitazione della natura [...] L’antica
tradizione aneddotica dell’illusionismo pittorico si rianima nell’arringa leonardesca con iniezioni di
teoria della conoscenza, relativamente alla diversa presa che ha la percezione dell’immagine a
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Leonardo, sostenendo la superiorità della pittura sulla parola, dirà: “La pittura è una poesia muta, e la poesia è una
pittura cieca”.
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quella della parola sull’immaginazione e sulla memoria. La proporzione è la stessa che passa tra
un’ombra e il corpo che la proietta» (Pinotti).
Ma la perentoria presa di posizione di Leonardo non ha potuto mettere fine alla questione che ha
saputo sopravvivere adattandosi alle varie posizioni ideologiche nel corso del tempo. Nel Settecento
Du Bos afferma che la pittura ha maggior capacità di appassionare rispetto alla poesia. La
superiorità della pittura sulla poesia è spiegabile con due motivi: “il primo è che la pittura agisce su
di noi per il senso della vista. Il secondo è che la pittura non si serve di segni artificiali, come la
poesia, bensì di segni naturali”
Edmund Burke invece sostiene che una descrizione verbale può suscitare emozioni più intense di
quelle che può suscitare la pittura.
Dalla contesa alla descrizione dei caratteri specifici due forme espressive
Nel Settecento, già anticipato da Diderot, il grande illuminista Gotthod Ephraim Lessing (17291781) abbandona il terreno della contesa e mette in evidenza le peculiarità semiotiche delle due arti
collegandole alla distinzione spazio-tempo: «la pittura, come pure la poesia, si avvale di vari segni:
i segni caratteristici della pittura sono le figure e i colori nello spazio, i segni della poesia sono
suoni articolati nel tempo. I segni della pittura sono naturali, i suoni della poesia sono arbitrari». La
pittura rappresenta “oggetti che esistono uno accanto all’altro”, insomma “corpi con le loro
proprietà visibili”, la seconda”oggetti che seguono uno dopo l’altro, o le cui parti seguono una dopo
l’altra, insomma “azioni”.
Immagine letteraria e immagine visiva
Wunenburger (in Filosofia delle immagini, Einaudi, 1999) affronta il problema del rapporto
tra parola e immagine visiva osservando che dal punto di vista etimologico il termine immagine è
strettamente legato alla rappresentazione visiva, ma nell’uso è anche applicabile alle
rappresentazioni verbali (pensiamo ad esempio alla natura della metafora). L’immagine letteraria
gemella dell’immagine visiva, con una procedura analogica rientra nella categoria delle immagini.
Tuttavia le esperienze mentali dell’immagine letteraria e dell’immagine visiva sono eterogenee,
perché comportano esperienze mentali eterogenee. Infatti «L’esperienza scopica dell’occhio, afferma Wunenburger - -fonte per noi di rappresentazioni analogiche degli oggetti, e l’esperienza
della verbalizzazione, legata costituzionalmente alla voce e sostitutiva del reale attraverso i segni
convenzionali e astratti della lingua, costituiscono, in effetti, due registri differenziati di
informazione e di espressione dell’uomo»: occhio – voce; ottico –verbale . Ci si chiede, continua
Wunenburger,
1) se questi due sistemi neurobiopsicologici di formazione delle immagini sono in congiunzione o
in opposizione logica 2) se l’immaginario al quale essi danno origine sia mentale sia materiale può
essere unificato oppure provoca una sorta di clivaggio2 logico e ontologico insuperabile.
Inoltre si tratta di determinare se l’attività rappresentativa dello spirito ha per fondamento la
funzione descrittiva operante per mezzo di proposizioni linguistiche o «presuppone una dualità
irriducibile tra rappresentazione logico linguistica, di tipo funzionale, e rappresentazione
“pittorialista” di tipo analogico fondata sull’intuizione sensoriale della cosa»
Molti indizi farebbero pensare a una netta opposizione tra i due registri, Franzini afferma che
«L’immagine - visiva, tattile, mentale – possiede un’immediatezza estetica irriducibile a specifici
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clivaggio dal francese clivage propriamente “sfaldare i diamanti o i cristalli”, dall’olandese klieven “l’arte del
tagliare i diamanti”. In seguito il termine è usato per indicare la naturale tendenza di due strutture a separarsi per la
presenza di un’interfaccia fra due materiali diversi. In altre parole, la tendenza a sfaldarsi o a rompersi di due
determinati piani(Nel senso generale del termine, un'interfaccia è il punto, l'area o la superficie sulla quale due entità
qualitativamente differenti si incontrano; la parola è anche utilizzata in senso metaforico per rappresentare la giuntura
tra oggetti). Qui il termine sta ad indicare una frattura tra due piani strutturalmente differenti; il piano dell’espressione
verbale e quello dell’immagine visiva.
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strumenti segnico – linguistici»
L’esperienza visiva può essere considerata inizialmente privilegiata rispetto a quella verbale perché
a parte il caso dell’immagine illustrativa destinata al riconoscimento di un oggetto, ci mette in
presenza direttamente della cosa senza la necessità di qualsiasi tipo di mediazione «Proprio come fa
la pittura non figurativa, che ci consente di rapportarci a un’immagine il cui contenuto si propone
allo sguardo attraverso una serie di eventi psichici, senza previo riconoscimento dell’oggetto
rappresentato o sua eventuale identificazione con un nome. Al contrario l’immagine linguistica,
anche quella trasfigurata nella metafora o nel simbolo, ci pone in presenza di un segno, che si tiene
a distanza dall’apparizione sensibile e ne media l’effetto. Nessuna trascrizione linguistica, in realtà,
può misurarsi con l’estasi percettiva [...]
La visione colloca il soggetto in una posizione privilegiata, di veduta panoramica e sinottica, in cui
tutto si offre, almeno al primo sguardo, istantaneamente e immediatamente, mentre l’immagine
linguistica rimane subordinata alla linearità del discorso, alla temporalità del segno: di qui la
ricchezza sensoriale ed emozionale della veduta, che scaturisce dalla rappresentazione – e non da
una trascrizione astratta e funzionale – dell’essere stesso del mondo (forme, colori, ritmi). La
visione, nella sua globalità, coinvolge quindi il soggetto molto più intensamente della
verbalizzazione, che necessita di un apprendistato, di una scoperta progressiva, e implica una
inibizione del pathos3». Queste considerazioni ci conducono alla filosofia di Husserl che assegna
all’immagine un ruolo determinante nel processo cognitivo.
Bisogna però subito precisare che da una parte l’espressione linguistica ci rende più distanti
dall’immediata presenza del mondo perché interviene, per così, dire il filtro dei segni linguistici
arbitrari, costituiti in un sistema indipendente dalla realtà; dall’altra «si manifesta con un uso più
sfumato e più universale rispetto alla semplice rappresentazione analogica percettiva (figura,
disegno, mimema, ecc.). Questa si trova, infatti, limitata dalla sua dipendenza dalla luce, naturale e
artificiale, mentre la parola, malgrado le costrizione del verbale, si apre a una maggiore
indipendenza, di qui la sua efficacia notturna. L’occhio imprigiona anche lo sguardo in una cornice
chiusa, mentre l’ascolto libera lo spirito dalle stimolazioni troppo particolari e accresce in tal senso
la libertà in rapporto all’ambiente o sguardo». Wunenburger a questo proposito ricorda l’illimitata
possibilità dell’espressione linguistica, fondata sulla “doppia articolazione”.
In questa prospettiva la creatività linguistica indefinita si opporrebbe alla relativa immobilità e
povertà della rappresentazione visiva, delimitata dalla sua spazialità. Inoltre il senso multivoco della
parola offre un vantaggio al senso apparentemente univoco delle immagini materializzate.
«Insomma, la verbalizzazione poetica per la sua intrinseca disomogeneità consente, come ha
sostenuto Bachelard, di rivitalizzare lo spirito e alimentare uno slancio generatore di immagini
nuove».
A questo proposito, riferendoci ai testi letterari, possiamo aggiungere che nel discorso verbale si
annida una ricchezza inesauribile di significati e la linearità, caratteristica del discorso verbale, dà
luogo a un complesso intrico di significati.
«Nelle arti figurative, al contrario abbiamo un discorso non verbale e non lineare irradiato da un
manufatto bi o tridimensionale (pittura su parete o su tela, scultura ecc.), pur esso sostanzialmente
non verbale (anche se può contenere qualche volta scritte che fanno parte del messaggio)
Resta tuttavia la capacità delle immagini di dare corpo a sensazioni ed emozioni che è difficile
esprimere verbalmente. Come suggerisce Segre «Si eviti l’errore di considerare la parola come
aspetto terminale di ogni esperienza. È vero che un’opera letteraria viene parafrasata mentalmente
dal lettore, nella cui memoria rimarrà soprattutto come parafrasi. Però rimane anche una memoria di
forme, di proporzioni, di colori, visti o immaginati: rimane il gesto, che spesso racchiude tutto il
senso di un evento».
E qui tornerebbe interessante approfondire il discorso sul linguaggio “figurato” ossia sulle le
metafore che comunicano sensazioni che l’articolazione razionale del discorso non è in grado di
descrivere.
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In realtà si dovrebbe precisare ‘immediatezza del pathos”, perché tale reazione emotiva è suscitata anche
dall’espressione linguistica seppure con modalità diverse.
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Possiamo concludere che il confronto non deve avere come scopo quello di privilegiare una forma
di espressione sull’altra. Il confronto deve permettere di approfondire i caratteri specifici
dell’immagine visiva e di quella linguistica.
La problematica del rapporto tra parola e immagine si pone nei termini da un lato «della irriducibile
peculiarità del visivo, che non può essere tradotto in un altro codice senza perdere
irrimediabilmente ciò che costituisce la sua natur figurale,e, dall’altro la nostra ineludibile esigenza
di leggerlo, di interpretarlo, di contestualizzarlo, di dirlo: immagine e parola» (Pinotti – Somaini)
PAROLA E IMMAGINE NEI QUADRI DI MAGRITTE
Il filosofo Michel Foucault in un saggio intitolato Questo non è una pipa, riflette sugli sconcertanti
effetti dei quadri di Magritte: Il tradimento delle immagini (Ceci n'est pas une pipe )(1928) e I due
misteri (1966). Il quadro del 1926 è di una disarmante semplicità: una pipa disegnata a mano e
sotto di essa una scritta che sembra smentire la natura del l'oggetto disegnato : questa non è una
pipa. Nella versione I due misteri la situazione si fa più complessa. Testo e figura sono collocati
all'interno di una cornice appoggiata su un cavalletto. Il quadro ha l'aspetto di una lavagna. “forse
un colpo di spugna cancellerà presto il disegno e il testo oppure cancellerà soltanto l'uno o l'altro per
correggere l' “errore” (disegnare qualcosa che non sarà veramente una pipa, o scrivere una frase che
affermi che si tratta proprio di una pipa)” Al di sopra è rappresentata una pipa simile a quella nella
cornice ma più grande. Questo raddoppiamento crea ulteriore disorientamento. Le possibili
interpretazioni sono: 1) Ci sono due pipe,o, meglio, due disegni di una stessa pipa, uno più grande,
uno più piccolo. 2) una pipa “reale” (la grande) e il suo disegno su una lavagna 3) due disegni ohe
rappresentano ciascuno una pipa diversa 4) due disegni dei quali uno solo rappresenta la pipa 5) due
disegni che non rappresentano affatto, né l'uno né l'altro, alcuna pipa. Nessuna di queste
spiegazioni, però, è convincente. Conviene allora concentrarsi sulla frase. Ma cosa significa
propriamente l'enunciato questa non è una pipa?. Possibili spiegazioni: 1) La vera pipa non è quella
piccola, ma quella grande 2) l'enunciato si riferisce a quella grande che sta sospesa nell'aria e si
tratta di una idea di pipa, esprimerebbe la verità dell'oggetto pipa (viene in mente l'idea platonica
che sta nell'iperuranio) . Si noti che la pipa grande è un pezzo unico (non ha il bocchino separato dal
fornello) quasi a suggerire il carattere ideale della
di quella rappresentazione. . In questo caso la pipa grande sarebbe da contrapporre alla instabilità
della pipa piccola. Quella piccola infatti è su un cavalletto che potrebbe cadere e mandare in
frantumi tutto, mentre quella grande è collocata in un'altra dimensione, si trova in un luogo
radicalmente altro dove non esiste un sopra e un sotto e la pipa non può cadere. .
rispetto a quella piccola la pipa grande è stabile nella sicura fissità dell'idea.
Ma rifacciamoci alla versione più semplice: una pipa e una scritta. Come se si trattasse di una
pagina di un manuale di botanica: una figura e un testo che le attribuisce un nome. Ma la scritta
contraddice l'immagine. Tuttavia secondo la logica non si tratta di una contraddizione perché
secondo la logica, la contraddizione si verifica quando due enunciati o proposizioni o affermazioni
sono contrastanti (es. questa è una pipa - questa non è una pipa. (secondo appunto il principio di
non contraddizione.) Qui – osserva Faucault c'è solo un enunciato. Siamo quindi sul terreno
dell'opposizione verità/falsità. In questo caso la frase è semplicemente falsa. La frase non
corrisponde a ciò che vediamo sul quadro. Oppure è vero tutto il contrario: l'enunciato è vero perché
il disegno che rappresenta una pipa non è a sua volta una pipa: non è una pipa reale, che si tiene
in mano e che si fuma4. Eppure quello che vediamo non è un vitello, un quadrato o un fiore. (si
potrebbe dire che la dizione esatta che ci aspetterebbe sia: questa non è una pipa ma la
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Magritte a questo proposito ha precisato: “La famosa pipa...M i è stata rimproverata! E
tuttavia.. Potete riempirla la mia pipa? No, vero? Non è altro che una rappresentazione. Quindi,
se avessi scritto sul mio quadro: ''questa è una pipa' avrei mentito” (1966)
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rappresentazione di una pipa).
A questo punto il problema sembra insolubile: da un lato siamo costretti a mettere in relazione le
parole con l'immagine. Dall'altro le categorie con cui poteremmo interpretare questa noncoincidenza tra immagine e parola (contraddizione o falsità) non sembrano in grado di dare un
contributo decisivo.
Foucault ritiene che bisogna supporre un'operazione preliminare di Magritte di cui nel quadro
vengono riportati i singoli pezzi separati
“Questa operazione preliminare sarebbe un calligramma costruito segretamente da Magritte e poi
disfatto.....Credo necessario supporre che fosse strato formato un calligramma, che poi si è
decomposto. Lì ne abbiamo la constatazione del fallimento e i frammenti ironici”
“Un calligramma è una scrittura che ha il compito di compensare l'alfabeto con l'immagine, di
ripetere senza far ricorso alla retorica, di intrappolare le cose con una doppia grafia (il testo e la
figura). E' una forma di tautologia che per un verso alfabetizza l'ideogramma - simbolo grafico che
rappresenta un concetto e non un valore fonetico -e per un altro pittoricizza la scrittura fonetica”:
ripete due volte la stessa cosa, il medesimo significato, ma con mezzi differenti (Pinotti).
In questo modo il calligramma secondo Magritte, si permette di cancellare per gioco le più antiche
opposizioni della nostra civiltà alfabetica:
mostrare – nominare
imitare – significare
guardare – leggere
I segni che compongono il calligramma funzionano come linee che designano al cosa stessa di cui
parlano, viceversa le parole fissano in un discorso stabile, organizzato in una rete di significati,
quello che i segni disposti in un certo modo evocano. La “cosa “ è così catturata “in una doppia
trappola”: i segni linguistici e l'immagine. Il calligramma fonde insieme, senza però confonderle,
immagine e parola
“Ma il calligramma non dice e non rappresenta mai nello stesso momento. Quella stessa cosa che si
vede e sì legge è taciuta nella visione, nascosta nella lettura”. Se ci concentriamo sul testo
l'immagine sfugge, viceversa se ci concentriamo sull'immagine il testo scritto non è considerato. Si
veda a questo proposito il calligramma di Apollinaire.
Se tale è la caratteristica del calligramma, Questo non è una pipa è un calligramma dissolto. Si è
notato che la grafia richiama un testo scolastico, ma si potrebbe osservare che la forma
tondeggiante del corsivo riflette le linee della pipa. Si potrebbe notare a questo proposito che il
corsivo con le lettere arrotondate riflette le linee della pipa. (Magritte ha scelto una pipa con la testa
il cannello e il bocchino ricurvi: ricorda la forma della pipa del calligramma ma è più una pipa.
Resta il problema della negazione.
Forse si può cercare una spiegazione nel “tipo di indagine avviata dal surrealismo che sposta l'asse
del rapporto tra parola e immagine dal piano della 'espressione (fonica e/grafica) al piano della
forma del contenuto. Il problema5, infatti, non è più tanto quello di capire in che modo la scrittura
possa farsi immagine o, viceversa, in che modo l'immagine possa diventare essa stessa una forma
di scrittura, quanto piuttosto quello di capire quali sono le regole secondo le quali segno verbale e
segno iconico si rapportano alla realtà. È insomma il problema semantico del referente e delle sue
possibili relazioni con il sistema linguistico […] Magritte svolge il tema dell'arbitrarietà e della
convenzionalità del sistema linguistico rispetto all'oggetto rappresentato e/o al significato della
parola
Una parola non serve che a designare se stessa, .
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Guillaume Apollinaire, Poèmes épistolaires
Il pleut des voix de femmes comme si elles
étaient mortes même dans le souvenir
C’est vous aussi qu’il pleut, merveilleuses
rencontres de ma vie. ô gouttelettes!
Et ces nuages cabrés se prennent à hennir
tout un univers de villes auriculaires
Écoute s’il pleut tandis que le regret
et le dédain pleurent une ancienne musique
Écoute tomber les liens qui te
retiennent en haut et en bas.
Piovono voci di donne come fossero morte nel ricordo anche voi piovete meravigliosi incontri della
mia vita oh goccioline! E quelle nuvole impennate incominciano a nitrire un intero universo di città
auricolari. Ascolta se piove mentre il rimpianto e lo sdegno piangono una vecchia musica ascolta
cadere i legami che ti tengono in alto e in basso.
In un altro calligramma ad un disegno uguale (le strisce di pioggia ) corrisponde un diverso
testo: ricorrendo ala terminologica linguistica si potrebbe dire che ad un stesso significante
(le strisce di pioggia) possano corrispondere diversi significati .
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Piove lentamente. Fa freddo. Passano delle raffiche che vengono da Cevennes. Il mio cuore si
spezza pensando ai miei amici che soffrono per affrettare la vittoria. Piove la porta d'Augusto apre
la bocca come per l'ultimo sospiro. Piove e io piango sui miei amici che la pioggia incatena
all'infinito.
O pioggia, o bella pioggia d'acciaio. Cambiami in una corona infinita per i miei amici. Corona i
miei amici vincitori e cambiati, o pioggia di ferro in raggi d'oro. Risplendete , fanfare, Al bel sole
vittorioso, che ora diverrà la triste pioggia
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Il rapporto spazio tempo
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Soffermiamoci sul rapporto tra opera letteraria e immagini pittoriche, riprendendo le distinzioni
individuate da Lessing.
Secondo Lessing, come si è visto, la pittura si esplicherebbe nella spazialità, la letteratura nella
temporalità. La pittura usa figure e colori nello spazio, la letteratura suoni articolati nel tempo: la
prima rappresenta oggetti che esistono uno accanto all’altro, insomma corpi con le loro proprietà
visibili, la seconda oggetti che seguono uno dopo l’altro, o le cui parti seguono una dopo l’altra,
insomma azioni. In generale questa opposizione è validissima.
Tuttavia si può parlare di temporalità, o meglio di diversi tipi di temporalità, anche per arti visive.
«Una prima temporalità è quella fissata nell’opera. In apparenza l’artista fotografa un istante che ha
isolato un momento continuo. Anche se prescindiamo, ovviamente, da tutto il “racconto” che
precede (se un uomo ha in mano una spada, l’avrà prima tratta dal fodero, e prima ancora avrà
reagito, impugnano la spada, a stimoli od ordini), il momento fissato, come un fotogramma, fa parte
di un’infinita gamma di possibilità: una spada può trovarsi all’inizio o alla fine o in una fase
intermedia della sua traiettoria; il volto di chi la impugna, o di quello che ne è bersaglio,, può
rappresentare uno fra i molti momenti della furia aggressiva (del primo) e del dolore, disperazione,
sopportazione, ecc. (del secondo). Lo spettatore avverte, sotto l’immobilità, un segmento di tempo e
di movimento. Abbiamo insomma a che fare con una temporalità a corto raggio (quella dei
movimenti) e una a lungo raggio (quella riferibile a conoscenze storiche e a una possibile teoria dei
piani d’azione)6.
La temporalità dell’opera può poi prolungarsi mediante l’inserimento di una figurazione entro altre
(cfr. L’icona della decollazione di San Giovanni), relative a momenti anteriori o successivi di una
storia». Ci sono poi rappresentazioni in serie «come quando abbiamo riquadri successivi che,
dividendola in fasi, narrano un’impresa o una vita intera».
Va ricordata, inoltre, una temporalità legata alla fruizione, che è altrettanto spaziale che temporale.
«Per costruire, attraverso una serie di appercezioni organizzate, una rappresentazione mentale del
gesto visivo, il tempo è elemento indispensabile. Il nostro occhio continua a percorrere il testo
visivo, e la mente totalizza e riordina i risultati di questa esplorazione» - Va comunque precisato che
su questo piano che « la differenza tra la comunicazione poetica e quella visiva resta netta non solo
sulla base dell’elemento spazio, ma su quella dell’elemento tempo. Il tempo dell’appercezione
poetica è un tempo lineare, in cui anteriorità e posteriorità sono predeterminati dal modo come il
discorso è formulato. Viceversa l’uso del tempo nell’appercezione visiva, è affidato completamente
al fruitore, che sceglie ogni volta i suoi percorsi»
Un caso interessante di rappresentazione della temporalità è quello dell’icona della natività,
in cui si possono facilmente individuare vari momenti precedenti e successivi all’evento della
nascita. Potremmo dire che questa icona è un testo narrativo in cui la temporalità di un “prima” e di
un “dopo” (a differenza della linearità unidirezionali del testo scritto) è espressa su direttrici spaziali
che convergono sulla scena centrale. I dubbi di in Giuseppe nella narrazione del vangelo
appartengono ad un “prima” (quando scopre che Maria è incinta). I Magi sono ancora cammino , le
donne stanno preparando il bagno per il bambino. Inoltre gli eventi successivi alla nascita, centrali
nella storia della salvezza, sono rappresentati medianti simboli. Il bambino è adagiato in una cullasepolcro che allude alla sua morte. La caverna evoca la discesa negli inferi di Cristo risorto.
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«I piani d’azione dono quelli secondo il cui modello le azioni narrate o rappresentate berrebbero compiute nella
realtà. Se si parla, per esempio, di una visita in una città lontana, gli accenni la viaggio, ai mezzi di comunicazione,
alle azioni preparatorie e così via saranno riportati dal fruitore al relativo piano d’azione e facilmente compresi.
Ogni azione è dunque percepita con il pacchetto di azioni sussidiarie che laprecedono»
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Alla temporalità è legata la rappresentazione del movimento sempre presente, nonostante che il
quadro sia fisso, bloccato. Attraverso il movimento noi individuiamo già una temporalità, cioè
«siamo in grado di capire qual era la posizione iniziale e quale sarebbe quella finale di un
movimento di cui ci si rappresenta una
fase intermedia (Segre)
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La decollazione di Giovanni Battista
Decollazione di San Giovanni Battista Scuola del Nord, Russia XV
In questa icona la temporalità, il momento successivo al colpo di spada che si sta
abbattendo sul collo di Giovanni è espresso mediante l’inserimento della figurazione
della testa mozzata, che spicca sul fondo nero dell’ingresso di una caverna (la fauci
dell’abisso ). Nell’icona si vuol significare anche quello che succederà a Giovanni
dopo la morte. Egli non precipiterà negli inferi dai quali la testa è nettamente separata
dall’aureola. Si noti che l’aureola del battista morto rispetto a quella del vivo ha in
più un anello rosso e uno d’oro. L’anello rosso è il simbolo del sacrificio, quello
d’oro indica che ora il Battista godrà della vicinanza di Dio.
Notiamo, per richiamare quanto è già stato detto sulle icone, che la testa mozzata non
ha nulla di macabro. L’atto cruento è smaterializzato dalla luce propria che immerge
la scena in un’atmosfera di intensa spiritualità.
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La temporalità nelle immagini dell’Annunciazione
Si è detto che i casi più evidenti di evocazione della temporalità sono quelli di
affreschi o tele in cui vengono affiancati momenti successivi di un’azione. Ci sono
casi più raffinati in cui il pittore evoca la temporalità in un’unica rappresentazione,
come nella rappresentazione dell’annunciazione. In particolare l’annunciazione offre
un repertorio che contiene: sovrapposizione temporale, estensione della simultaneità,
allusione a movimenti precedenti. Segre propone un esempio di analisi della
temporalità
in
alcuni
dipinti
dell’Annunciazione.
Essa
è
narrata
particolareggiatamente in Luca (I, 26-38) Vi si possono cogliere momenti successivi
ben distinti:
1) Arrivo dell’angelo e saluto (Ave gratia plena Ti saluto piena di grazia) )
2) Turbamento di Maria che rimane cogitabonda
3) Annuncio della prossima maternità (Ecce concipies Ecco concepirai)
4) Obiezione di Maria (Quomodo fiet istud Come accadrà questo?)
5) Spiegazione dell’angelo (lo Spirito Santo verrà sopra di te)
6) Disponibilità di Maria (Ecce ancilla domini Ecco l’ancella del Signore)
Nelle versioni figurative si condensano sempre vari movimenti: l’Angelo è
rappresentato al suo arrivo; ma talora sono rappresentati in parte, mediante filatteri, i
discorsi qui accennati , condensando una successione abbastanza ampia.
Così van Eyck riporta sia (dunque 1-6) - la seconda frase con lettere capovolte, ocosì
da essere leggibile da destra a sinistra, puntando verso l’angelo. Del resto è evidente
che, fermo testando il momento 1, va almeno operata una scelta tra il momento 2
(Maria sorpresa e pensosa) e il momento 6 (Maria pronta a obbedire). E poi, sono
possibili formule più complesse, quando l'Angelo, che è nell'atto di arrivare (1),
pronuncia già l'annuncio (3), o persino la spiegazione (5); così come Maria può per
esempio portare ì segni della sorpresa (2), ma evidenziare anche la sua obbedienza
(6). La spiegazione (5) è spesso già concretizzata dalla presenza, in alto, di Dio padre
o dello Spirito Santo.
Esaminiamo qualcuna delle più note Annunciazionii: Simone Martini e Lippo
Memmi (Fírenze, Uffizi, 1333); Ambrogio Lorenzettì (Pinacoteca Nazionale di Siena,
1344); Leonardo da Vinci (Firenze, Uffizi, 1475 c.); Lorenzo Lotto (Pinacoteca
Civica di Recanati, 1525-1530)..
In Simone Martini e Lippo Memmi, come in Leonardo, come nel Lotto, abbiamo
Maria turbata, cioè 1 e 2, mentre in Ambrogio Lorenzetti Maria è rappresentata
disponibile (1-6). Le due attitudini di Maria (2 o 6) sono codificate con gesti precisi:
mani semisollevate a palme aperte per la sorpresa, mani incrociate al petto per la
disponibilità. Simone Martini, per la sorpresa, immagina il gesto elegantissimo di
chiudere con la mano il manto, verginalmente, e di girarsi quasi sul fianco, a difesa,
mentre nel Lorenzetti (1 -6) la sorpresa ha il suo correlato oggettivo nel libro ancora
aperto sulle ginocchia.
In Martini e nel Lotto c'è anche l'apparizione di Dio padre o dello Spirito Santo (1 -2
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-5). Poi s'incontrano le varianti, talora geniali, come quella appunto di Lorenzo Lotto,
che riflette anche sul gatto il turbamento, anzi lo spavento, di Maria, accentuato dal
fatto che l'Angelo sopravviene dal dietro, non visto, quasi accennando un
inseguimento. Sull'alternativa tra i due atteggiamenti della Vergine, vale la pena di
ricordare il caso dell'Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti nella cappella di San
Galgano a Montesiepi, dove la sinopia mostra che il pittore aveva previsto una
Vergine sorpresa o spaventata, e poi, forse per volontà del committente, le sostituì
con una Vergine che accetta umilmente la missione divina.
La rappresentazione del movimento è soggetta a interessanti variazioni, specialmente
in quanto attiene all'Angelo annunziante. Sintomatici gli angeli del Maestro di San
Miniato e del Beato Angelico, ancora con il piede o il lembo della veste fuori del
porticato che simula la chiusura dell'ambiente casalingo. L'angelo, che spesso sta
inginocchiandosi appena arrivato, altre volte vola ancora in alto, e ha appena avviato i
movimenti per planare (Carlo Braccesco).
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Carlo Braccesco, Annunciazione
Ambrogio Lorenzetti, Annunciazione
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Leonardo da Vinci, Annunciazione
Jan van Eyck, Annunciazione
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Simone Martini e Lippo Memmi, Annunciazione
Maestro di San Miniato, Annunciazione
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IL SEGNO
Le parole che noi usiamo nei nostri atti comunicativi sono dette “segni”.
In generale il segno è “qualcosa che sta per qualcos’altro (e serve a comunicare)”.
Il segno in questa accezione è qualunque manifestazione che noi percepiamo e che assume valore
non per se stessa, ma in quanto è manifestazione di qualche altra cosa. Tra la manifestazione e la
cosa si stabilisce una connessione più o meno immediata e convenzionale.
Esistono vari tipi di segni variamente definiti da diversi studiosi. La scienza che studia i vari
sistemi di segni è la semiologia.
Prima di analizzare il segno linguistico, anticipiamo una possibile classificazione di segni basata sul
criterio della convenzionalità e dell’intenzionalità. Convenzionale, come vedremo, significa che
non c’è un legame naturale tra il segno e la cosa cui il segno si riferisce; intenzionale significa che
la rappresentazione veicolata dal segno non è casuale: il segno è prodotto con la volontà di
comunicare (trasmettere) un’informazione.
Indici: (sintomi) motivati naturalmente / non intenzionali. In questi segni c’è un rapporto di
contiguità naturale con l’oggetto o un rapporto di causa – effetto: il rossore del viso è il segno di
‘sentimento di vergogna’. Le orme sulla neve sono il segno del passaggio di un animale. La
banderuola indica la direzione del vento.
Segnali: motivati naturalmente / usati intenzionalmente.
fuoco acceso con fumo = segnalo la mia presenza
segnali stradali: cunetta a dosso
Icone: motivati analogicamente / intenzionali
Le icone sono segni che presentano qualche somiglianza o affinità formale con l’oggetto da
denotare e sono basati sulla similarità di forma e struttura. Si può anche dire che riproducono anche
in forme stilizzate le proprietà di un oggetto Es. le carte geografiche, le mappe, i diagrammi.
Le curve statistiche iconizzano l’aumento o la diminuzione di certe quantità.
Rientrano in questo ambito le onomatopee. Anche certe espressioni linguistiche assumono un valore
iconico: es. l’espressione veni, vidi, vici (venni, vidi, vinsi) con cui Cesare sintetizza una sua
fulminea vittoria bellica, rappresenta iconicamente la rapidità dell’azione.
Simboli: motivati culturalmente / intenzionali. La croce, l’agnello e il pesce sono simboli di Cristo.
La croce è propriamente simbolo della sua sofferenza, l’agnello simbolo del suo sacrificio. Il pesce
in lingua greca è l’acrostico7 di Gesù Cristo figlio di Dio, salvatore.
La palma è simbolo del martirio, la colomba è simbolo della pace, il nero è simbolo del lutto.
Segni (in senso stretto): non motivati (arbitrari, totalmente immotivati, basati su una convenzione) /
intenzionali.
Oltre i messaggi linguistici, sono segni molti segnali stradali (altri sono icone, altri simboli).
Le caratteristiche del segno sono la convenzionalità e l’intenzionalità.
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l’acrostico non deve essere confuso con l’acronimo che è una parola composta dalle iniziali che si
devono scrivere. Esempio ‘Alfa’ di ‘Alfa Romeo’ è Anonima Lombarda Fabbrica Automobili dell’ing.
Romeo. In questi processi di abbreviazione l’acronimo diventa un nome.
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Il segno linguistico
Ora ci occupiamo del “segno linguistico” che definiamo così:
Il segno è un’unità linguistica bifronte, con due facce, quella dell’espressione (il significante) e
quello del contenuto (il significato).
Saussure afferma che il segno linguistico è un’entità psichica a due facce formate dall’immagine
acustica (il significante) e dal concetto (il significato): «la lingua è paragonabile a un foglio di carta:
il pensiero è il recto ed il suono il verso; non si può ritagliare il recto senza ritagliare nello stesso
tempo il verso».
Il significante - chiamato anche ‘espressione’ - è la parte (o la faccia) fisicamente percepibile
del segno. Per esempio la parola ‘cavallo’ in quanto sequenza di fonemi pronunciati (c/a/v/a/l/l/o) o
di grafemi (le lettere dell’alfabeto) scritti è il significante.
Il significato è il concetto o idea di cavallo che si concepisce mentalmente. Possiamo dire in
altre parole che il significato - chiamato anche ‘contenuto’, è la parte (o faccia) che non percepiamo
materialmente, l’informazione che è fornita dal significante che è invece la faccia che percepiamo
materialmente. Quindi «il significato non è la “cosa”, ma la rappresentazione psichica che della
“cosa” abbiamo, cioè il suo concetto. Tuttavia, quest’ultimo non ha la possibilità per se stesso di
esprimersi : è l’elemento “fenomenologicamente” assente nel segno, che per realizzarsi ha bisogno
di essere veicolato da un significante, ossia da una traccia materiale, percepibile “sensorialmente”».
Questa proprietà dei segni linguistici è detta anche biplanarità perché il significato e il
significante possono essere visti come due piani compresenti (il qualcosa e il qualcos’altro).
Tutti i segni sono indissolubilmente legati nell’associazione di un significato e di un significante.
Arbitrarietà
Una delle proprietà fondamentali sei segni linguistici è la cosiddetta arbitrarietà: Il segno
linguistico è arbitrario a tutti i livelli ed è stabilito per convenzione.
1) Non c’è nessun motivo di ordine naturale che connette il segno nel suo complesso alla
cosa o realtà cui si riferisce (il referente). Tra l’oggetto “colonna” (la realtà esterna) e il
segno che è associato a questo oggetto non c’è alcun legame naturale e necessario.
2) Non c’è nessun motivo di ordine naturale che lega il significante al significato. Il
significante colonna come sequenza di fonemi o di lettere non ha alcun rapporto naturale
con il significato “elemento architettonico a sviluppo verticale e sezione circolare con
funzione portante o ornamentale”.
Caratteri del linguaggio verbale
È universale. Il linguaggio verbale è patrimonio di tutto il genere umano. Tutti gli uomini
possiedono la capacità di esprimersi attraverso segni linguistici.
È onnipotente. Può parlare di tutto: della realtà, di fatti ed esperienze del presente e del passato.
Può dar forma a sentimenti, pensieri, aspirazioni. Permette di esprimere ciò che noi concepiamo con
la nostra fantasia e la nostra immaginazione.
È flessibile, versatile e creativo. È sempre in grado di mutare secondo le esigenze della comunità,
di creare e inserire nel sistema nuove parole per esprimere realtà, idee ed esperienze nuove. Nello
steso tempo “toglie dalla circolazione” le parole e le forme linguistiche che non sono più adatti a
soddisfare le esigenze comunicative. Può trasmettere lo stesso contenuto di un messaggio in modi
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diversi secondo le varie situazioni comunicative e gli scopi dei parlanti.
È riflessivo. Il linguaggio verbale non solo è uno strumento di comunicazione, ma può essere usato
per parlare del linguaggio stesso: può descrivere e i meccanismi che lo governano. È come se una
macchina fosse in grado, oltre che di produrre ciò per cui è stata costruita, di descrivere come
funziona per ottenere il prodotto.
È economico. Combinando pochi elementi minimi (i fonemi e le lettere) produce un grandissimo
numero di parole diverse. La nostra lingua è composta di una quarantina di fonemi e finora si sono
prodotte circa 200.000 parole. E con le parole si possono formare
IL MODELLO JAKOBSONIANO DELLA COMUNICAZIONE
Sulla base di quanto abbiamo finora detto, vediamo ora quali elementi entrano in gioco
nell’atto comunicativo. .
Le ricerche condotte dal linguista Roman Jakobson, in parte sulla base di un modello elaborato dal
filosofo del linguaggio Karl Bülher, hanno permesso di formulare uno schema che esplicita gli
elementi dell’atto comunicativo. Tale schema, limitato dapprima agli atti comunicativi in cui si
usano le lingue storico-naturali, è stato assunto poi come modello generale della comunicazione.
Per avere un atto di comunicazione sono necessari almeno sei fattori:
REFERENTE (CONTESTO)
│
MESSAGGIO
│
MITTENTE-------------CANALE --------------RICEVENTE
(o contatto)
(o ricettore)
│
CODICE
Funzione referenziale
│
│
funzione poetica (o estetica)
funzione emotiva------------- funzione fatica---------- funzione conativa
(o espressiva)│
│
funzione metalinguistica
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In un atto comunicativo un mittente trasmette lungo un canale un messaggio che verte su un
determinato contenuto a un ricevente. Il messaggio è una sostanza messa in forma a partire dalle
regole di un codice.
1. Il referente o contesto è ciò su cui verte il contenuto del messaggio, la cosa cui si riferisce.
Con il termine contesto si intende ‘situazione’ in cui avviene l’atto comunicativo. Nell'analisi
dell'immagine il contesto storico – sociale e culturale al quale essa appartiene.
2. Il mittente è il responsabile della comunicazione che opera la codificazione del messaggio e lo
trasmette. Distinguiamo il mittente dall’emittente che indica semplicemente la fonte della
comunicazione (ad esempio una macchina).
3. Il ricevente o ricettore) è colui riceve il messaggio. Egli non riceve passivamente il messaggio,
ma lo interpreta attraverso un’operazione di decodificazione e di interpretazione. In situazioni
comunicative faccia a faccia il ricevente genera messaggi di feedback che vengono registrati dal
mittente e che influenzano il modo in cui sviluppa il suo discorso.
«Il feedback è la retro comunicazione che il ricevente invia al mittente, mentre la comunicazione sta
avvenendo. È un’informazione di ritorno che permette al mittente, mentre sta comunicando,
[ovviamente in una comunicazione orale faccia a faccia] di percepire se il messaggio sia stato
ricevuto, capito, approvato ecc. e dunque di reagire cercando la via più efficace per raggiungere il
risultato che si è prefisso. Nelle normali comunicazioni facciamo un grande uso del feedback per
“aggiustare la mira” rispetto a quello che stiamo dicendo. Se siamo impegnati a convincere
qualcuno di qualcosa, mentre parliamo osserviamo periodicamente l’interlocutore per cercare
segnali che ci assicurano che stia ascoltando, che stia seguendo il ragionamento, che abbia capito.
Se riceviamo segnali di senso contrario, ripetiamo alcune cose, o scegliamo un altro esempio, o
alziamo il tono di voce, fino a quando non riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo (o decidiamo
di raggiungere)» (Melchior).
Come abbiamo accennato, il ricevente interpreta il messaggio sulla base del proprio sistema
cognitivo. Qualche studioso sostiene che il fattore centrale della comunicazione è il modo in cui il
ricevente comprende il messaggio che in certa misura è imprevedibile e incontrollabile.
4. Il messaggio è l’informazione trasmessa e prodotta secondo le regole del codice.
5. Il canale o contatto è il mezzo fisico – ambientale che rende possibile la trasmissione del
messaggio. Nella comunicazione orale il canale è fonico acustico. Nel messaggio scritto o
nell'immagine è visivo.
Il canale può essere inteso anche come mezzo tecnico con cui il messaggio è trasmesso (telefono,
fax, computer ).
6. Il codice, come si è visto, è il sistema convenzionale di segni e di regole d’uso per mezzo del
quale si scambiano i messaggi. In altre parole è la forma linguistica usata per produrre il messaggio.
La codifica è l’attività che il mittente compie per produrre un messaggio che sia effettivamente
significativo per il ricevente. La codifica si riferisce al processo attraverso il quale il mittente
trasforma le sue idee e le sue intenzioni in parole, o simboli di altro genere, nel tentativo di renderle
comprensibili agli altri. Dunque le idee vengono codificate in messaggi, i quali sono inviati al
ricevente. Questi compie il corrispondente processo di decodifica. La decodifica è la trasformazione
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delle parole in significato, che può essere simile, esattamente uguale o anche completamente
differente rispetto al significato che il mittente aveva in mente quando ha codificato la sua idea.
Il codice non è sempre condiviso dai protagonisti dell’atto comunicativo, di conseguenza la
decodifica non è sempre corretta. Quando un medico descrive al paziente una patologia utilizzando
la terminologia della scienza medica, non si rende conto che il messaggio potrebbe non essere
correttamente decodificabile da parte del ricevente se questi non conosce il codice utilizzato dal
medico.
Le funzioni
Ciascuno di questi sei elementi è collegato a sei diverse funzioni ognuna delle quali comporta una
diversa utilizzazione dei materiali del codice lingua8. La struttura di un messaggio dipende dalla
funzione predominate, che ovviamente si combina con le altre, in tal caso accessorie e sussidiarie.
Ciascuna di queste funzioni è prevalente sulle altre secondo la natura del messaggio e le intenzioni
con le quali è emesso.
1. Al referente corrisponde la funzione referenziale (o informativa, denotativa). Essa è centrata sul
contesto e si ha quando il messaggio serve soprattutto a trasmettere informazioni. La funzione
referenziale è la base di ogni comunicazione ed è pertanto considerata come la più importante,
perché si ritiene che il fine ultimo del linguaggio sia quello di permettere agli uomini la
comunicazione delle informazioni.
La funzione referenziale definisce le relazioni tra il messaggio e l'oggetto al quale esso si riferisce;
il problema fondamentale è difatti quello di formulare a proposito del referente un’informazione
vera, cioè obiettiva, osservabile e verificabile.
2 Al mittente corrisponde la funzione emotiva (o espressiva) che è incentrata sul mittente e pone in
risalto l’atteggiamento del soggetto riguardo a ciò di cui si parla.
Come abbiamo già detto, quando noi comunichiamo trasmettiamo idee relative alla natura del
referente (questa è la funzione referenziale), ma possiamo anche esprimere il nostro atteggiamento
nei confronti di questo oggetto: buono o cattivo, bello o brutto, desiderabile o odioso, rispettabile o
ridicolo9.
La funzione referenziale e la funzione emotiva sono le basi complementari e concorrenti allo stesso
tempo della comunicazione, tanto che spesso si parla della "doppia funzione del linguaggio", una
cognitiva e obiettiva, l'altra affettiva e soggettiva.
«In senso lato la funzione emotiva comprende le connotazioni psicologiche e sentimentali dell’io
come ad esempio nella lirica, nel monologo interiore, nel flusso di coscienza ecc. » (A. Marchese)
3. Al ricevente corrisponde la funzione conativa o appellativa, orientata verso il ricevente. Essa
definisce le relazioni tra il messaggio e il ricevente, dal momento che ogni comunicazione si
propone lo scopo di ottenere una reazione da quest'ultimo: è tesa cioè a suscitare una risposta o un
comportamento.
L’esortazione, l’invito, l’ingiunzione, possono rivolgersi sia all'intelligenza che all'affettività del
ricevente.
Questa funzione ha assunto un'enorme importanza con la pubblicità, nella quale il contenuto
referenziale del messaggio scompare di fronte ai segni che mirano ad una motivazione del
destinatario, sia condizionandolo attraverso la ripetizione, sia stimolando in lui delle reazioni
8
9
Le funzioni del linguaggio sono i veri fini che si assegnano ai messaggi quando sono prodotti.
Non si deve confondere la manifestazione spontanea delle emozioni, del carattere, dell'origine sociale,
ecc., che sono soltanto indizi naturali, con l'uso che se ne può fare al fine di comunicare.
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affettive subconsce.
4. Al messaggio corrisponde la funzione poetica o estetica quando l’attenzione è incentrata sul
messaggio considerato a sé. Si mette in risalto il valore autonomo del segno, il suo carattere
autoriflessivo, l’intenzionalità diretta sull’espressione verbale.
In altre parole nella funzione poetica acquista un valore preminente il modo con cui è elaborato il
testo del messaggio.
L’interesse verte quindi verte più che sul contenuto del messaggio (o non solo sul contenuto del
messaggio, su “ciò che si comunica”) ma principalmente sul messaggio in quanto tale, su “come si
come comunica” e perciò si sfruttano le risorse formali della lingua.
È la funzione estetica per eccellenza: nell'arte, il referente è il messaggio, che cessa di essere lo
strumento della comunicazione per diventarne l'oggetto. Ma nella funzione poetica si comprendono
tutti quei messaggi che, pur non avendo finalità artistiche, sfruttano ugualmente le risorse della
lingua per dare maggior incisività ed espressività al messaggio con lo scopo di attirare l’attenzione
dei riceventi.
Per chiarire meglio, con un esempio, la differenza tra la funzione poetica e la funzione referenziale
leggiamo un passo della poesia “Liguria” di Camillo Sbarbaro.
Scarsa lingua di terra che orla il mare,
chiude la schiena arida dei monti;
scavata da improvvisi fiumi; morsa
dal sale come anello d’ancoraggio
percossa dalla fersa10; combattuta
dai venti che ti recano dal largo
l’alghe e le procellarie11…..
(C. Sbarbaro)
Se confrontiamo questi versi con la seguente descrizione della Liguria:
La costa ligure è una tipica costa frastagliata, il cui aspetto è il risultato in piccola parte
degli apporti alluvionali alla varia costituzione delle rocce che oppongono maggiore o minore
resistenza all’azione demolitrice del mare, constatiamo che il poeta, pur informandoci sulle
caratteristiche della Liguria, organizza le parole in modo da ottenere particolari effetti espressivi.
Nella funzione poetica il ‘come’ è detto qualcosa ha un’importanza pari se non superiore al
contenuto del messaggio.
5. Al canale corrisponde la funzione fàtica (dal latino fari che significa “parlare”). Essa ha lo scopo
di stabilire, di mantenere o di interrompere la comunicazione.
R. Jakobson riprende il termine dall’antropologo Malinowski che «chiamava comunicazione fatica
il complesso delle manifestazioni linguistiche attraverso le quali si attua il contatto sociale entro una
comunità» (Durante).
«Jakobson distingue sotto questo nome i segni che servono essenzialmente a stabilire, prolungare o
interrompere la comunicazione, a verificare se il canale funziona ("Pronto, mi senti?"), ad attirare
l'attenzione dell'interlocutore o ad assicurarsi che questa non si allenti ("Allora, mi ascolti?", o, in
stile shakespeariano "Prestami orecchio!' e all'altro capo del filo: "Ehm, ehm! ").
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Fersa. Variante di ferza forma arcaica e poetica di sferza. Indica l’ardore infuocato dei raggi del sole..
procellarie. Denominazione di varie specie di uccelli marini.
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La funzione fàtica riveste un ruolo molto importante in tutti i modi della vita comunitaria e riguarda
anche forme stereotipate di discorso, come i convenevoli, i saluti, gli auguri ecc. che servono ad
aprire o chiudere il contatto fra due o più interlocutori12.
Sempre nell’ambito della vita comunitaria essa prevale nei riti, nelle cerimonie; nelle conversazioni
familiari, o amorose, in tutte le situazioni in cui più che il contenuto della comunicazione, conta il
fatto di esserci e di affermare la propria adesione al gruppo.
Il referente del messaggio fatico è la comunicazione stessa, così come il referente del messaggio
poetico è il messaggio stesso, e quello del messaggio emotivo il mittente.
6. La funzione metalinguistica ha lo scopo di definire il senso dei segni che potrebbero non essere
compresi dal ricevente. In termini più semplici, si usa la lingua per spiegare la lingua stessa. Per
esempio si mette una parola tra virgolette, o si precisa: "semiologia, nel senso medico del termine".
La funzione metalinguistica riferisce perciò il segno al codice da cui esso trae il suo significato.
Nella funzione metalinguistica rientra anche la scelta del veicolo, del mezzo. La cornice di un
quadro, la copertina di un libro indicano la natura del codice; il titolo di un'opera d'arte si riferisce
spesso molto più al codice adottato che al contenuto del messaggio. Una pala da carbone collocata
al posto d'onore in un'esposizione o in un museo ha, per il fatto di essere lì, un significato estetico, e
il referente del messaggio è in questo caso il codice stesso» (Guiraud).
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«A livello artistico si potrebbero considerare certe opere di Ionesco, in cui l’autore vuole mettere in evidenza la
banalizzazione dei discorsi, l’alienazione linguistica come sintomo dell’alienazione umana, per gli aspetti dominanti
della funzione fatica, utilizzata in senso espressivo» (A. Marchese).
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