L`Unione Europea e la nuova statualità Dario Velo

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L`Unione Europea e la nuova statualità Dario Velo
SEMINARI EUROPEI, 2
L'AMPLIAMENTO DELL'UNIONE:
PER UNA RIFLESSIONE SULLE CONSEGUENZE ECONOM ICHE PER L'ITALIA
FONDAZIONE GIOVANNI AGNELLI - TORINO, 6 MARZO 2002
L’Unione Europea e la nuova statualità1
Dario Velo
Università degli Studi di Pavia e Centro Studi sul Federalismo
Sommario
1. L'unione monetaria europea e la nuova statualità
2. Sussidiarietà, nuova statualità, destrutturazione
3. Il ruolo dell'Italia
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Il testo costituisce una versione riveduta e integrata dall’autore dell’intervento presentato nel corso del
seminario.
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Il ruolo di discussant che sono stato chiamato a svolgere mi chiama a sottoporre
alcune domande e alcuni dubbi al relatore che mi ha preceduto, anche per stimolare una
sua replica che arricchisca ulteriormente la colta lezione che ci ha dato.
Vorrei attirare l’attenzione su alcuni aspetti che, sviluppandosi progressivamente
potrebbero incidere nel lungo termine sui problemi oggetto della analisi di Antonio
Calafati.
Un primo dato importante è costituito dal progetto di integrazione fra Unione
Europea e Russia che i Presidenti Prodi e Putin hanno avviato. L’impatto di questo
progetto è per ora limitato; in prospettiva, la creazione di un mercato unico fra Unione
Europea e Federazione Russa è destinata a sostenere un ciclo di sviluppo per entrambe
le economie che presentano molti aspetti di complementarità. Dal punto di vista dei
problemi considerati nella ricerca oggi presentata, questo sbocco dà natura di problemi
di transizione ai rapporti fra l’Unione Europea e i paesi europei nell’Est che si collocano
in posizione intermedia fra Unione Europea stessa e Federazione Russa.
Il problema dei confini dell’ampliamento dell’Unione Europea verso i paesi
dell’Europa centro-orientale si pone in modo diverso ove l’accordo fra Unione Europea
e Federazione Russa si sviluppi, dando attuazione alla volontà di creare un mercato
unico. Le soluzioni a qualsiasi problema di ordine economico-politico, la storia insegna,
dipendono dal contesto entro cui esso si pone, non solo dai contenuti specifici del
problema di volta in volta in discussione. La rilevanza relativa del contesto rispetto ai
singoli aspetti che compongono nel loro insieme il contesto stesso è mutevole; se la
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storia è la prima delle scienze, in una visione hegeliana, questo approccio vale
certamente come criterio interpretativo, almeno in prima approssimazione.
Certamente lo sviluppo dell’integrazione fra Unione Europea e Federazione Russa è
destinato a mutare non solamente il quadro regionale europeo, ma lo scenario
internazionale globale. La creazione di un mercato unico pan-europeo è funzionale allo
sviluppo equilibrato della globalizzazione; il progetto corrisponde agli interessi di lungo
periodo anche dei sistemi extra-europei. Questa interpretazione ci orienta a
comprendere l’atteggiamento positivo del sistema leader della globalizzazione, gli Stati
Uniti, nei confronti di questo accordo regionale.
Un secondo aspetto destinato a svilupparsi nel tempo e ad incidere sempre più sullo
scenario illustrato da Calafati è costituito dall’evoluzione prevedibile della politica
economica europea e, al suo interno, della politica di sviluppo. Questo aspetto ha
particolare rilievo, nella misura in cui l’ampliamento dell’Unione Europea orienterà
quantità crescenti di risorse verso i nuovi mercati in via d’integrazione.
In passato due sono state le iniziative di maggior rilievo a favore del varo di una
incisiva politica di sviluppo, in grado di accelerare l’integrazione dei paesi dell’Europa
orientale e al tempo stesso di sostenere lo sviluppo e la modernizzazione dei paesi
membri. L’interdipendenza di questi due obiettivi è cresciuta nel tempo. Queste
iniziative possono essere identificate con la creazione della Round table, su iniziativa di
un gruppo di imprenditori illuminati, e con il cosiddetto «piano Delors».
La prima iniziativa mirava ad attivare una sinergia innovativa fra i settori pubblico e
privato; la seconda iniziativa rispondeva ad una logica keynesiana ed era culturalmente
debitrice all’esperienza del New Deal voluto da Roosevelt.
Le due iniziative, peraltro, erano accomunate dal fatto di prevedere entrambe una
serie di investimenti infrastrutturali come elemento centrale del piano. Questo aspetto
induce a ricondurre entrambe le strategie ad una visione tradizionale.
Con una semplificazione, giustificabile solo nell’economia di questo breve
intervento, questa visione tradizionale può essere qualificata dall’importanza attribuita
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ad alcuni aspetti: spesa pubblica gestita dal centro, concentrazione della spesa sulle
infrastrutture, fiducia nella efficacia degli investimenti effettuati dal centro per stimolare
a cascata lo sviluppo in tutto il sistema. E’ questa una visioni tradizionale della
statualità, piuttosto che una visione tradizionale dei rapporti stato-mercato;
l’innovazione nei rapporti stato-mercato proposta dalla Round table in realtà metteva in
discussione la visione tradizionale (keynesiana) nella statualità, ma non era questo
l’obiettivo dell’iniziativa. Ex-post, possiamo dire che la Round table ha inaugurato una
fase storica che ha portato a mettere in discussione e avviare il superamento della
visione tradizionale della statualità; tale coscienza, nella misura in cui esisteva, non è
però stata trasmessa, almeno immediatamente, alla società.
Ci sembra lecito affermare che oggi, al contrario, si è aperto a livello europeo un
dibattito innovativo sulla possibilità di varare nuove tipologie di politica economica, nel
quadro della fondazione di una nuova statualità.
Antonio Calafati ha affrontato una serie di problematiche che possono essere
ricondotte al dibattito sulla nuova statualità. Il punto è centrale, anche per valutare la
politica economica dell’Unione Europea, nella sua configurazione attuale e nella sua
possibile evoluzione.
Le affermazioni fatte sulla moneta e sul ruolo della Banca Centrale Europea ci
trovano in disaccordo. Il punto può esser chiarito, con ciò consentendo un più sereno e
approfondito dibattito, riconducendolo alla problematica della nuova statualità, così
come si sta ponendo in Europa.
Ci sia quindi consentito un inciso, per sintetizzare alcune nostre opinioni sulla unione
monetaria europea e sulla nuova statualità, per sviluppare poi alcune considerazioni
critiche sull’analisi di Calafati, alla luce della nostra interpretazione dei processi di
trasformazione in corso.
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1. L’unione monetaria europea e la nuova statualità
E’ nostra convinzione fondamentale che il cardine intorno al quale ruota il nuovo
assetto costituzionale del governo dell’economia sia la gestione ortodossa della politica
monetaria, che coincide con l’affermazione dell’autonomia della banca centrale.
L’unione monetaria europea è nata e si è organizzata sulla base di questo principio,
di cui rappresenta la concretizzazione più coerente.
Considerazioni analoghe valgono per gli Stati Uniti, se pure con alcune attenuazioni.
La svolta a favore della modernizzazione e dell’apertura del sistema economico,
decisa dagli Stati Uniti per porsi nella condizione di poter sostenere la globalizzazione
dell’economia a livello mondiale, è stata accompagnata dalla affermazione di una
politica economica imperniata sul federalismo fiscale, il perseguimento dell’obiettivo di
bilanci pubblici in pareggio, una politica monetaria ortodossa. Questa nuova politica
economica, debitrice delle radici storiche hamiltoniane della Federal Reserve, ha
orientato l’azione delle istituzioni internazionali, FMI in primis.
In un assetto federale, al livello istituzionale più alto è attribuito il potere di gestione
della politica monetaria, mentre ai livelli istituzionali intermedi e di base compete in
misura prevalente la gestione della politica fiscale. Ciò fa sì che sia interesse
irrinunciabile dei livelli istituzionali inferiori di governo – le autorità nazionali e locali –
che il potere di gestione della moneta non sia utilizzato dall’autorità centrale al fine di
drenare discrezionalmente risorse ricorrendo all’emissione di moneta fiduciaria e
deprezzando il valore di quest’ultima. Nei paesi a struttura federale la banca centrale
gode di un elevato grado di autonomia per bilanciare la distribuzione dei poteri fra i vari
livelli istituzionali, garantendo i poteri locali contro un accentramento perseguito
attraverso un uso discrezionale della politica monetaria.
Nelle aree organizzate o che stanno organizzandosi con soluzioni federali – Unione
Europea in primo luogo – l’autonomia della banca centrale come perno dello sviluppo
equilibrato del federalismo fiscale è problema al centro della architettura costituzionale
federale.
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La stessa logica che a livello continentale sostiene l’autonomia della banca centrale,
a livello mondiale sostiene una gestione ortodossa del Fondo Monetario Internazionale,
una tendenza verso i cambi fissi fra le grande aree federali continentali, in prospettiva la
neutralizzazione della politica monetaria come strumento di governo dell’economia.
L’economia globale tende a privilegiare il federalismo fiscale come strumento di
governance, e il superamento dell’uso della moneta come strumento di redistribuzione
del potere di spesa.
Con evidenza, queste considerazioni fanno emergere la visione di un trend di lungo
periodo, che potrà essere contraddetto nel breve periodo da una serie di eventi di segno
contrario riconducibili alla ineguale distribuzione di potere nel mondo. Ciò è tipico dei
processi storici, che raramente si sviluppano in modo lineare. Ciò non di meno, queste
considerazioni orientano il pensiero a cogliere il nesso, di natura costituzionale, fra
cambi fissi, autonomia della banca centrale, politica monetaria ortodossa, federalismo
fiscale. In ultima analisi, si delinea così la logica costituzionale della governance della
globalizzazione e del governo dei sistemi federali.
L’autonomia della banca centrale a livello europeo si è concretizzata con il
trasferimento di un potere fondamentale dagli stati nazionali ad un’autorità funzionale.
A livello mondiale è concepibile l’affermazione di cambi sempre più stabili fra le
monete leader, che sostengano in prospettiva la realizzazione di un sistema di cambi
fissi; tale prospettiva nel lungo termine altro non è che il trasferimento della sovranità
monetaria ad un’autorità funzionale internazionale. Il punto è della massima
importanza; apparentemente esso corrisponde alle posizioni sostenute da Keynes
allorché fu rifondato a Bretton Woods il sistema monetario internazionale. In realtà
l’ordine internazionale che si sta delineando, se la nostra interpretazione è corretta, è
diverso da quello concepito da Keynes e da quanti hanno ripreso nei decenni successivi
il suo insegnamento.
Il disegno costituzionale di Keynes mirava alla creazione di una banca centrale
mondiale, responsabile di fronte ad un’autorità politica mondiale. Il processo di
neutralizzazione della moneta implica la sottrazione del potere monetario agli stati
senza che tale potere venga posto nelle mani di un’autorità politica superiore; esso viene
rialloccato ad un’autorità funzionale, fortemente vincolata nella propria operatività.
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La nuova forma di statualità che si sta delineando può essere analizzata secondo
prospettive diverse. Un fenomeno di portata storica non può essere interpretato
prescindendo della complessità delle forze coinvolte. E’ realistico inoltre che le
implicazioni a breve medio e lungo termine non siano ordinate in modo lineare; nelle
fasi in cui si articolerà il processo, sul piano temporale, emergeranno di volta in volta
problemi centrali che varranno a qualificare ogni singola tappa. Queste considerazioni
non sono astratte; si pensi come storicamente lo sviluppo del processo di integrazione
europea abbia provato che questa impostazione di analisi è condizione necessaria per
orientare il pensiero a fronte di un processo innovativo che supera gli schemi concettuali
tradizionali, funzionali ad un ordine in via di superamento.
In realtà, stiamo assistendo alla fine di un ciclo storico e all’inizio di un nuovo ciclo,
con modificazioni radicali per quanto concerne le istituzioni e il rapporto fra economia e
società.
La fase storica che si sta concludendo è stata caratterizzata dalla nascita del
liberalismo, del socialismo e dei moderni stati burocratici accentrati.
La nascita del mercato nelle forme moderne ha dato all’attività economica autonomia
rispetto all’ordine sociale.
Questa evoluzione ha fatto sorgere l’esigenza di istituzioni votate ad una funzione
economica in modo specifico. A partire dall’inizio del XIX secolo si assiste, nei paesi
avanzati, ad una divaricazione: da un lato il mercato che regola i rapporti economici,
dell’altro lato il potere politico cui competono le responsabilità sociali e il governo della
res publica.
Il processo ha raggiunto una forma stabile negli anni ’30, in coincidenza con il New
Deal statunitense e la affermazione del pensiero keynesiano. In questa fase i rapporti fra
Stato e mercato si razionalizzano, definendo ruoli e politiche complementari nel quadro
di un forte accentramento protezionista. Il mercato liberale costituisce il cuore del
sistema economico. Lo Stato si centralizza e aumenta la propria capacità di intervento,
sviluppa le proprie competenze in campo sociale, organizza un’area economicopubblica complementare al mercato liberale, realizza politiche protezionistiche e
redistributive che sostengono lo sviluppo del mercato. Questo processo ha coinvolto
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tutti i paesi più avanzati, se pure in modo diverso e con tempi diversi nelle singole
esperienze nazionali.
La svolta storica oggi in corso, nella interpretazione qui proposta, può essere
identificata con la crisi del modello keynsiano.
Quest’ultimo si fondava sull’equilibrio di tre forze fondamentali: il protezionismo, lo
statalismo, il mercato liberale. Tale equilibrio entra in crisi nel dopoguerra, in primo
luogo per il superamento del protezionismo, che trascina con sé il modello statalista e
che pone il problema di nuove forme di governo (o di governance) del mercato.
La crisi del modello statalista apre nuovi spazi di innovazione in grado di accogliere
lo sviluppo della sussidiarietà, che a propria volta contribuisce ad aggravare la crisi del
modello statalista.
Questo processo pone in modo nuovo la definizione della statualità stessa.
L’affermazione del principio di sussidiarietà come principio costituzionale cardine
dell’Unione Europea costituisce una svolta storica, simmetrica rispetto al New Deal, di
portata mondiale.
In questo quadro, altresì si pone il problema dell’adeguamento dei rapporti fra il
mercato e la nuova statualità in via di definizione.
La crisi dello Stato tradizionale ha alimentato lo sviluppo di una linea di pensiero a
favore di una nuova supremazia del mercato. Nel binomio stato-mercato, la crisi dello
Stato è stata vista come emancipazione del mercato dal controllo dello Stato, secondo
tale linee di pensiero, che può essere definita di liberalismo estremo.
Il processo di globalizzazione ha portato il mercato a raggiungere dimensioni
superiori a quella di qualsiasi organo di governo; la teoria della governance nasce da
questo squilibrio fra le istituzioni e il mercato. In realtà, in prospettive di lungo periodo,
tali forme di pensiero estremo liberale possono essere forse interpretate come prodotto
di una fase di transizione; il fenomeno di fondo è lo sviluppo squilibrato cui rapporti fra
Stato e mercato, ove il mercato ha raggiunto più celermente una dimensione globale
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mentre una nuova statualità, a livello mondiale così come a tutti i livelli,ha difficoltà a
definirsi. Nella misura in cui tale sviluppo squilibrato sarà ricondotto a forme più
equilibrate, è da interrogarsi se le problematiche attuali di governance evolveranno
verso la ricerca di forme evolute di governo.
2. Sussidiarietà, nuova statualità, destrutturazione
Queste sintetiche considerazioni delineano una interpretazione del processo in corso,
se pure in termini oltremodo semplificati.
Nostro intento è porre il problema dei rapporti fra approcci alternativi oggi in fase di
approfondimento da parte delle scienze sociali, e che portano a privilegiare
rispettivamente i temi della sussidiarietà, della nuova statualità, della destrutturazione
dello Stato. Questi diversi approcci fanno riferimento ad un’unica realtà, cioè la
trasformazione iniziata con il nuovo ciclo storico determinato dalla crisi dello stato
burocratico accentrato e delle politiche keynesiane. Essi peraltro interpretano questa
crisi come inizio di un processo con sbocchi diversi.
Sulla base delle osservazioni sviluppate precedentemente, l’interpretazione della fase
attuale come inizio della destrutturazione dello Stato può essere ricondotta alle teorie
che abbiamo definito liberali estreme.
Questa affermazione risulta tanto più fondata, nella misura in cui il termine
destrutturazione viene utilizzato come strategia di riduzione del ruolo dello Stato e di
sviluppo del mercato con un ruolo sostitutivo dello Stato.
Sussidiarietà, nella nostra interpretazione, fa riferimento alla nuova statualità in via
di affermazione in Europa e, in modo meno intenso, a livello mondiale. Sulla base delle
osservazioni sviluppate precedentemente, la sussidiarietà è il cardine costituzionale del
processo di cambiamento, almeno per quanto concerne l’Unione Europea.
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Il problema è comprendere quale schema interpretativo meglio corrisponda alla
realtà, dandone una interpretazione più semplice e in grado di sostenere lo sviluppo
delle conoscenze e di orientare efficacemente l’iniziativa.
Così, occorre chiedersi quale schema interpretativo, «destrutturazione» piuttosto che
«sussidiarietà», valga a meglio comprendere lo sviluppo dell’Unione monetaria
europea.
Ogni schema interpretativo va verificato applicando consolidati procedimenti
scientifici. Occorre in particolare valutare se la teoria della destrutturazione oppure della
sussidiarietà costituiscano un approccio normativo, piuttosto che un approccio
interpretativo.
Con evidenza, queste osservazioni possono essere addirittura stravolte, dando una
definizione diversa di destrutturazione oppure di sussidiarietà; il problema è reale, in
quanto non esiste una teoria consolidata di entrambi i fenomeni.
A nostro parere, Antonio Calafati ha sviluppato la propria analisi adottando il
concetto di destrutturazione con un significato almeno prossimo a quello da noi
ipotizzato. Di qui il nostro dissenso e la nostra convinzione della maggiore adeguatezza
dell’ipotesi di individuare nella sussidiarietà il punto di ancoraggio per più
compiutamente valutare il processo evolutivo in corso.
Con la nascita dell’Unione monetaria, l’Unione Europa non ha fatto un passo
indietro destrutturando il livello di statualità raggiunto; con l’Unione monetaria,
l’Unione Europea ha fatto un balzo in avanti, di portata storica, verso una nuova
statualità.
Le due interpretazioni sono divergenti.
E’ importante che sia stato creato l’Euro e che sia stata fondata la Banca Centrale
Europea; altrettanto importante è il fatto che si sia deciso uno statuto federale della
Banca Centrale Europea che ha modificato i rapporti, per i paesi membri del sistema, fra
politica monetaria e politica fiscale, accelerando la costruzione di una nuova statualità
fondata sulla sussidiarietà.
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Questa svolta consente all’Unione Europea di inserirsi nel processo di
globalizzazione.
In questo modo i rapporti fra Stato e mercato risultano modificati, valorizzando il
ruolo del mercato e dell’iniziativa imprenditoriale all’interno di una nuova statualità,
previlegiando gli aspetti reali rispetto alle politiche monetarie-finanziarie tipiche
dell’approccio tradizionale keynesiano.
Ci sia consentito ricordare la lezione di Luigi Einaudi, a cui dobbiamo la fondazione
di questa linea di pensiero, con un contributo che mantiene attualità e valenza
innovativa.
La moneta europea può consentire di finanziare le economie dell’Est, come è stato
ricordato da Calafati. Ma probabilmente ha maggiore importanza il fatto che lo Statuto
della Banca Centrale Europea, la politica monetaria ortodossa che quest’ultima è
chiamata a realizzare, l’affermazione di un ordine costituzionale improntato alla
sussidiarietà a livello di Unione Europea e negli Stati membri, nel loro insieme valgono
ad orientare le politiche economiche e i processi di modernizzazione dei paesi
dell’Europa Centro Orientale, avvicinandoli all’Europa e accelerando il loro inserimento
nel processo di globalizzazione internazionale.
Nella misura in cui queste osservazioni consentono di meglio comprendere la storia
recente e l’attualità dell’Europa, esse varranno altresì per prevedere gli sviluppi futuri.
3. Il ruolo dell’Italia
In questo quadro, occorre interrogarsi sul ruolo dell’Italia. La nuova statualità, la
politica monetaria ortodossa della Banca Centrale Europea, la valorizzazione della
politica fiscale enfatizzano l’importanza degli aspetti reali e quindi della competitività
dei sistemi e delle imprese al loro interno.
La realtà sta cambiando e dobbiamo adeguare le nostre idee.
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Una corretta interpretazione del reale, a propria volta, può consentire di influenzarlo
in modo evolutivo.
Lo sviluppo di una strategia economica che consenta al nostro sistema di trarre pieno
profitto dell’integrazione con i paesi dell’Europa Orientale, deve fondarsi sulla
comprensione della nuova statualità. Sono oggi obsoleti gli strumenti a favore
dell’economia che hanno caratterizzato l’iniziative degli stati burocratici accentrati fino
ad un recente passato. Altrettanto vale per strategie che si limitino a replicare il modello
del New Deal keynesiano.
Crisi ed opportunità strutturalmente si accompagnano sempre.
La crisi del ciclo storico apertosi con la rivoluzione industriale e con la nascita degli
stati nazionali moderni offre l’opportunità di aprire un nuovo ciclo storico. Il ruolo che
l’Unione Europea può svolgere perché questo nuovo ciclo abbia caratteri evolutivi, è
certamente centrale. Il nostro paese può partecipare a questo progetto, accelerando lo
sviluppo di una nuova statualità europea. Chi ha avviato la costruzione europea, da
Giovanni Agnelli fino ad oggi, ha aperto una strada compiendo i passi più difficili, di
fondazione.
E’ andata strutturandosi una realtà, che sta cambiando la storia del mondo; l’Europa
si offre come modello di integrazione pacifica alle altre regioni del mondo e al mondo
stesso nel suo insieme. E’ opera non facile rafforzare la struttura europea, sviluppando
una nuova statualità adeguata al momento storico; è certamente opera più difficile
destrutturare tale realtà, nella misura in cui la storia ha un disegno evolutivo
inarrestabile nel lungo periodo. Disegno che gli uomini non conoscono, ma che sono
chiamati, liberamente, a realizzare.
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