materiali/15.28.54_Rapporto fiction italiana
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STRATEGIE CONTINGENTI LA FICTION ITALIANA/L’ITALIA NELLA FICTION Ventiquattresimo rapporto annuale stagione 2011-2012 A cura dell’Osservatorio Fiction Italiana Osservatorio Fiction Italiana (OFI) Direttore Milly Buonanno Vice Direttore Fabrizio Lucherini Via di Novella, 8 00199 Roma e-mail: [email protected] Indice L’idillio transatlantico dei television studies e la tradizione di qualità della fiction italiana. PARTE PRIMA – XXIV Rapporto dell’Osservatorio sulla Fiction Italiana Capitolo I. Strategie contingenti. La fiction italiana fra fluidità del mercato e rigidità dell’industria. Bilancio della stagione 2011-2012 di Fabrizio Lucherini 1. Ore: in crescita nella stagione, in calo sui 12 mesi – 2. Titoli: in netta crescita – 3. Formati: la nuova impennata delle miniserie – 4. Programmazione: in aumento le prime serate – 5. Gli ascolti: concentrati e polarizzati - 6. I produttori: prove di deframmentazione Capitolo II. Il programma dell’anno. Paolo Borsellino – I 57 giorni e Il delitto di Via Poma. Due esempi di fiction civile per due misteri italiani. di Giovanni Bechelloni Premessa - 1. Il metodo Falcone. Virtù, esperienza di vita e conoscenza come risorsa per abitare la complessità e contribuire a un mondo migliore - 1.1.Testimonianza sul metodo Falcone - A. Marcelle Padovani - B. Francesca Barra. C - Giuseppe Ayala - D. Giovanni Falcone - E. Riscontri di ricerca - 2. Misteri italiani e fiction civile - 3. Per la prima volta due film-tv come programmi dell’anno – 3.1. I valori produttivi – 3.2. La critica – 4. Riferimenti bibliografici FOCUS SECTION AI CONFINI DEL QUOTIDIANO. IL FANTASTICO NELLA SERIALITA’ ITALIANA Capitolo III. Il Restauratore di Emanuela Cocco 1. La tradizione narrativa – 2. L’immaginario di riferimento – 3. La struttura della serie – 4. Lo statuto dell’eroe – L’elemento straordinario Capitolo IV. Il tredicesimo apostolo di Domenico Ierone 1. La tradizione narrativa – 2. L’immaginario di riferimento – 3. I protagonisti – 4. L’impianto narrativo – 5. La declinazione del fantastico 3 PARTE SECONDA - Schede dei programmi della stagione 2010-2011 1. Film-tv e collection L’affondamento del Laconia – Il delitto di Via Poma – Noi credevamo – A fari spenti nella notte – 6 passi nel giallo – Mai per amore – I guardiani del tesoro – Area Paradiso – Suor Pascalina – Paolo Borsellino-I 57 giorni – L’una e l’altra 2. Miniserie Anna e i cinque 2 – Sangue caldo – Dov’è mia figlia – Il segreto dell’acqua – Il commissario Zagaria – Tiberio Mitri. Il campione e la miss – Il signore della truffa – Il generale Della Rovere – Violetta – La donna che ritorna – Dove la trovi una come me? – Viso d’angelo – Cenerentola – La ragazza americana – Baciati dall’amore – Sarò sempre tuo padre – I cerchi nell’acqua – La figlia del capitano – Anita Garibaldi – La vita che corre – Il generale dei briganti – Walter Chiari-Fino all’ultima risata – La Certosa di Parma – Il sogno del maratoneta – Barbarossa – Maria di Nazareth – Zodiaco-Il libro perduto – L’Olimpiade nascosta 3. Serie e Serial Cento Ventrine – Un posto al sole – Don Matteo 8 – Distretto di polizia 11 – Un amore e una vendetta – Così fan tutte – Tutti pazzi per amore 3 – Camera Café – Che Dio ci aiuti – Il tredicesimo apostolo – Il restauratore – Provaci ancora prof. 4 – Il giovane Montalbano – Le tre rose di Eva – Nero Wolfe – Benvenuti a tavola-Nord vs Sud – Una grande famiglia – Titanic-Nascita di una leggenda La ricerca è realizzata in collaborazione con Direzione Marketing Rai, Rai Fiction, Direzione Diritti e Produzione Fiction Rti, Associazione Produttori Televisivi 4 L’idillio transatlantico dei television studies e la tradizione di qualità della fiction italiana. di Milly Buonanno Relazione presentata al 4° fiction Day della Sapienza (Roma, 28 novembre 2012) ‘Qualità’ non indica la buona televisione in quanto tale, ma la cornice ideologica entro la quale vengono espressi i giudizi sulla buona televisione Simon Frith Quality tv è un termine ideologico che non si riferisce a nessuna forma mediale realmente esistente Sudeep Dasgupta 1. Il problema della qualità L’intento principale del presente contributo non è quello di discutere e valutare la qualità della fiction che si produce in Italia – qualche considerazione al riguardo sarà tuttavia espressa più avanti - ma, in sintonia con le citazioni poste in exergo, quello di indicare e problematizzare la cornice ideologica ovvero la pretesa universalizzante degli assunti, criteri e canoni in base ai quali nel dibattito accademico, e in buona misura anche nel conventional wisdom sulla televisione, si definisce e si identifica cosa sia o debba intendersi oggi per fiction di qualità. Non può essere motivo di sorpresa poiché, per l’appunto, rientra e trova sostegno in un senso comune largamente diffuso, costatare come all’insieme della fiction italiana contemporanea non arrida una positiva reputazione sotto il profilo della qualità, riconosciuta eventualmente solo a una manciata di eccezioni. Piuttosto che esserne il punto di partenza, il giudizio per la verità poco lusinghiero che da più parti si riversa sul prodotto nazionale sarà il punto di arrivo del mio discorso, inteso a ricostruire innanzitutto il contesto delle contingenze e il quadro comparativo internazionale entro cui tale giudizio si elabora e si esprime. E’ bene precisare che qui non si tratta in alcun modo di impegnarsi in una contesa valutativa, prendendo le difese di un sistema di storytelling imputato, a ragione o a torto (verosimilmente, l’una e l’altro), di scarso rendimento qualitativo, al di là o a dispetto di rese d’ascolto calanti ma ancora di qualche entità e qua e là punteggiate da buoni successi. Si tratta piuttosto di utilizzare il caso italiano, dal momento che de re nostra agitur, come un’occasione per tornare a riflettere (senza troppa reverenza) sulla inesauribile e irrisolta questione della qualità televisiva, e per ragionare sulle condizioni in cui, in un certo momento del tempo, prendono forma, maturano e si I impongono determinati giudizi sulla buona e cattiva televisione, sulla fiction di buona o cattiva qualità. Dunque, partiamo dalla qualità, una parola ricolma di complessità e di contraddizioni. Il consenso pressoché universale che la circonda, quando avviene di dover riconoscere la sua importanza cruciale per la televisione, di reclamare l’innalzamento dei suoi standard, di lamentare il suo declino «Quality is one of those things that it’s very hard to be against»1 - trapassa rapidamente in dissenso e controversia non appena si richiede di elaborare una chiara definizione del concetto e di individuare criteri condivisi di valutazione. La nozione di qualità televisiva risulta complessificata dai molteplici livelli di significati implicati in una parola che chiama in causa estetica ed etica, valori di produzione e piaceri del consumo, forme e contenuti, tecnologia e cultura. Ci si può illudere di trovare una via di fuga da questa scoraggiante complessità riposizionando l’intera questione sotto il regime soggettivo del gusto personale, notoriamente sottratto alla disputa (de gustibus…). Ma, come sociologi, siamo avvertiti del fatto che i gusti personali non sono nè innocenti nè neutrali, e pertanto una simile scappatoia di senso comune non preserva dal cadere nella brace di una disputa di schietta matrice bourdieusienne2 sulle determinanti sociali delle preferenze e dei gusti personali, strutturati secondo gerarchie di classe, capitale e potere culturale3. Negli ambienti dell’industria televisiva nazionale e internazionale, dove in anni recenti ha guadagnato largo corso nella comunicazione di marketing, la parola qualità funge convenientemente da brand, marchio di identità4, inteso a esibire e vantare la signature distintiva di reti, produttori5 o prodotti6. Nel contesto industriale lo stesso termine dispiega inoltre una plastica multifunzionalità. Nell’ambiente del narrowcasting, ad esempio, alla qualità si accredita, e se ne apprezza, un elevato potenziale di attrazione nei confronti di pubblici di nicchia scolarizzati e affluenti (i molto ricercati ‘pubblici pregiati’). Alle reti generaliste, invece, accade di mettere sul conto della qualità sia effetti selettivi, ovvero esiti d’ascolto inferiori alle aspettative – il commento «un’operazione di qualità che il pubblico non ha apprezzato» accompagna non di rado un risultato deludente - sia i larghi e inclusivi successi di audience, attribuiti in questo caso alla ‘qualità vincente’ dei prodotti. Al riguardo, si potrebbe G. Mulgan (ed.), The question of quality, London: Bfi, 1990, p. 5 Cfr. P. Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna: il Mulino, 2001 3 Si veda in proposito M. Z. Newman, E.Levine (2011), Legitimating television, London: Routledge, 2011 4 «Quality television has became a label, a brand», afferma S. Frith in “The black box: the value of television and the future of television research”, «Screen» 41:1, 2000, pp. 41 5 Sul proprio sito, ad esempio, Taodue si definisce «la principale produttrice di fiction di qualità» (http://www.taodue.it/?page_id=704) 6 «Un prodotto di grande qualità» è definizione che ricorre spesso nelle tradizionali conferenze stampa di presentazione delle nuove fiction. 1 2 II affermare che attraverso il ricorso frequente alla parola qualità l’industria televisiva contemporanea metta in atto un ‘rituale strategico’. L’espressione è stata coniata quarant’anni fa dalla sociologa Gay Tuchman 7 , per spiegare l’insistenza sulla ‘obbiettività’ che si poteva osservare all’epoca nei discorsi e nelle pratiche giornalistiche; secondo la Tuchman questa insistenza su un alto ed esigente ideale professionale serviva essenzialmente a legittimare la credibilità del giornalismo e dei giornalisti e a prevenire o smussare possibili critiche. Ponendo l’accento sulla qualità, l’industria televisiva si annette a sua volta un marchio ambizioso e prestigioso, e dispiega il rituale strategico inteso ad ottenere apprezzamento e legittimazione culturale. Nel campo dei television studies si possono trovare tracce di un dibattito intermittente sulla qualità. In realtà queste tracce appaiono più o meno profonde e continuative a seconda dei differenti contesti. Più di quanto non sia accaduto in Italia8, ad esempio, una intensa discussione sulla qualità televisiva ha avuto luogo in Gran Bretagna nei primi anni novanta, producendo analisi e riflessioni che configurano ancor oggi contributi autorevoli e imprescindibili al dibattito sull’argomento9. Ma non c’è dubbio che la discussione sulla qualità televisiva non sia mai stata così intensa e corale come negli anni 2000; lo attesta una profusione senza precedenti di lavori accademici – articoli su riviste, edited collections, monografie10 – che hanno affrontato la vexata quaestio della qualità televisiva (anche se non necessariamente in questi termini). Per una analitica e illuminante rassegna storica del nuovo flusso di discorsi sulla qualità, rimando ad alcuni scritti di Robin Nelson11. Come è ampiamente noto, questo nuovo flusso è stato attivato dall’avvento della cosiddetta second golden age della televisione americana12, che si è espressa in un ragguardevole numero di produzioni - nello specifico, serie del prime-time - sotto vari aspetti innovative, non di rado di eccellente fattura, rapidamente e diffusamente etichettate come quality tv. Sebbene il trend della quality tv fosse G.Tuchman, “Objectivity as strategic ritual: an examination of newsmen's notions of objectivity”, «The American journal of sociology», 77:4,1972, pp. 660-679 8 Si veda: C.Sartori, La qualità televisiva, Milano: Bompiani,1993; C.Lasagni, G. Richeri, Televisione e qualità, Roma: RAI-VQPT, 1996; A. De Marzo, Qualità televisiva, Milano: Franco Angeli, 2009 9 Mi limito a segnalare il citatissimo saggio di C.Brunsdon, “Problems with quality”, «Screen», 31:1, 1990, pp. 67-90, e lo smilzo ma prezioso volumetto a cura di G. Mulgan, già citato alla n. 1. 10 Per citare solo i più noti: M. Jancovich, J. Lyons (eds.), Quality popular television, London: British Film Institute, 2003; S. Gwenllian-Jones, R. E. Pearson (eds.), Cult television, Minneapolis: University of Minnesota Press, 2004; J. McCabe, K. Akass (eds.), Quality TV, London: I.B. Tauris, 2007; E. Pujadas, La television de calidad, Barcelona: Aldea Global, 2011. 11 R. Nelson, “Quality television: the Sopranos is the best television drama ever… in my humble opinion”, «Critical studies in television», 1:1, 2006, pp. 58-71; R. Nelson, Quality tv drama: Estimations and influences through time and space, in J. McCabe, K. Akass (eds.) Quality TV, I.B. Tauris:London, 2007, pp.38-51 12 R. J. Thompson, Television’s second golden age, Syracuse: Syracuse University Press, 1997 7 III stato avviato già negli anni Ottanta dai network generalisti (Hill Street Blues13, considerata la serie pioniera del nuovo corso, andava in onda sulla NBC), è stato l’ingresso delle agguerrite e competitive reti via cavo (HBO, Showtime, AMC etc.) nell’arena della produzione originale che ha grandemente contribuito, nell’ultimo decennio o poco più, a dilatare il fenomeno e ad amplificare la sua risonanza sulla scena nazionale e internazionale. Serie come The Sopranos, The Wire, Mad Men, Breaking Bad, The Game of Thrones, hanno acquisito lo status di programmi di culto, guadagnato l’attenzione e il plauso della critica, ottenuto candidature e premi; e hanno cooperato assieme a Lost, CSI, Desperate Housewives e svariati altri titoli dei network, a ridare lustro all’immagine e nuovo slancio al consumo della fiction americana nel mondo14. E soprattutto hanno dimostrato «television’s capacity to produce art»15. Vale la pena sottolineare che, per la prima volta nella (in effetti ancor breve) storia dei television studies, qualcosa di simile alla ‘telefilia’ – la cui assenza era stata perspicuamente osservata da John Caughie un paio di decenni orsono – ha preso a emergere entro l’accademia, non più abitata solo da individui «who can see the seduction but are not seduced» 16 dalla televisione. Oggi taluni studiosi non esitano perfino a riconoscersi nella figura dell’aca/fan, ibrido di accademico e di fan. In ogni caso, nel corso degli anni 2000 gli studiosi di televisione si sono impegnati in un vibrante dibattito internazionale che, tra le altre cose: ha affermato il valore della lungamente svalutata (anche nel mondo accademico) televisione, e contribuito a diffondere l’idea che gli studiosi non debbano astenersi dal valutarne i prodotti; ha introdotto l’estetica nell’agenda accademica (ciò che da qualche parte è stato interpretato come il ritorno a una estetica ‘elistista’, in grado di placare finalmente l’ansia di legittimazione da cui la televisione e gli stessi studiosi di televisione sono stati lungamente ossessionati17); Cfr. J. Feuer, P. Kerr, T. Vahimagi, MTM ‘Quality Television’, London: Bfi, 1984 Non si dimentichi che, anche in paesi come l’Italia dove si è importata e consumata negli anni moltissima fiction americana, quest’ultima veniva considerata tutt’al più un affidabile e ben collaudato prodotto industriale, non certo un modello di qualità – prerogativa che veniva riconosciuta se mai alla fiction inglese. 15 J. Jacobs, “The medium in crisis: Caughie, Brunsdon and the problem of US television”, «Screen», 52:4, 2011, pp. 503-511 16 J. Caughie, Playing at being American, in P. Mellecamp (ed.) Logics of television, Bloomington:Indiana University Press, 1990, pp. 44-58. 17 M.Kackman, HBO Harkens The Return to Elitist Aesthetics?, flowtv.org/2010/03/flowfavorites-quality-television-melodrama-and-cultural-complexity-michael-kackman-universityof-texas-austin/. Si veda anche Newman e Levine, cit. alla nota 3, e il recente intervento di S. Dasgupta, “Policing the people: Television studies and the problem of quality”, «NECSUS. European Journal of Media Studies», Spring 2012, s.i.p. 13 14 IV ha favorito una pratica di sofisticata analisi multivocale dei testi televisivi, che ha consentito di raggiungere livelli profondi di comprensione di un considerevole insieme di serie contemporanee18. La inerente complessità e il carattere elusivo della qualità, unita alla inevitabile diversità fino al contrasto di interessi, posizioni, approcci fra i differenti studiosi impegnati in questo dibattito accademico ha - prevedibilmente – confermato che «la qualità è senza dubbio un motivo di grande controversia»19, ancor più quando si tratta di definire gli indicatori appropriati per riconoscere i segni della sua presenza e stimarne il valore. Per riprendere Charlotte Brunsdon, ci sono sempre problemi con la qualità. 2. Un assunto condiviso E tuttavia sembra esserci un assunto condiviso, un elemento quasi assiomatico che impronta nettamente e identifica, pur nella pluralità delle sue differenziate espressioni e posizioni, il dibattito contemporaneo sulla qualità. Mi riferisco all’abbraccio pressoché universale della televisione americana, delle serie statunitensi per essere più precisi, considerate non soltanto il non plus ultra dell’eccellenza, ma di fatto l’unico e solo corpus di testi televisivi degno di interesse e investigazione accademica in quanto ‘quality tv’ per antonomasia. Robin Nelson rende perfettamente chiaro questo punto quando afferma che «critical discourse on quality TV drama has been dominated by the celebration of American quality TV», per ribadire più avanti che «American quality is currently dominating the discourse» 20 . Basti pensare al profluvio di pubblicazioni su serie come CSI, The Sopranos, Lost. Sul saturante effetto di un interesse accademico egemonizzato da un certo tipo di testi ha espresso qualche insofferenza Stuart Hall, spingendosi fino a dichiarare - nel corso di una intervista che non riguardava peraltro la televisione ma lo stato presente dei cultural studies - «I really cannot read another cultural analysis of…The Sopranos»21. Intendo per l’appunto sollevare il problema che questa sorta di monopolio esercitato dalle serie Usa sull’agenda accademica non è per nulla benefico né per i television studies né per lo stesso dibattito sulla qualità. Di fatto, la 18 Penso soprattutto alla collana “Reading contemporary television” della casa editrice londinese I.B. Tauris, dove sono state pubblicate (al dicembre 2012) 13 edited collections dedicate ad altrettante serie televisive (12 americane, 1 inglese). 19 P. Kerr, Never mind the quality…, in G. Mulgan (ed.), The question of quality, London: BFI Publishing, 1990, pp. 43-55. 20 R.Nelson, Quality tv drama: Estimations and influences through time and space, cit., pp.41.42. 21 C. MacCabe, “An interview with Stuart Hall”, «Critical Quarterly», 50:1-2, 2007, p. 29. Devo precisare che la critica di Hall aveva soprattutto come bersaglio non tanto l’eccesso quanto un certo tipo di analisi testuale, oggi per la verità prevalente, capace anche di attingere livelli profondi dei testi ma sostanzialmente incurante di indagarne le relazioni con più ampie formazioni sociali e tendenze culturali e politiche. Sull’analisi testuale come fine in sé si veda anche G. Turner, What’s became of cultural studies?, London: Sage, 2011, p. 173. V focalizzazione pressoché esclusiva su un corpus testuale che è unico nella sua specificità – in quanto originato e modellato nelle peculiari condizioni di un mercato televisivo ad elevato tasso di frammentazione e di competizione, dove le reti cavo hanno scelto di puntare forte sugli alti valori produttivi, l’innovazione estetica, le tematiche controverse, per conquistare i pubblici ‘pregiati’ delle classi colte e affluenti – comporta per i television studies il rischio di contribuire a validare un’opposizione binaria: ovvero una dicotomia tra una relativamente ristretta selezione di serie statunitensi identificate con la quality tv, e tutto il resto, che viene automaticamente a ricadere nella categoria della non-quality. Questo duplice e correlato processo di selettiva inclusione e di massiccia esclusione appare problematico e contestabile, in qualunque accezione si voglia assumere l’espressione ‘quality tv’. Mi riferisco qui all’ambivalenza semantica di un termine che ha subìto negli anni uno slittamento – in realtà una commistione – di significati e di usi, vedendo la propria originaria valenza valutativa ritrarsi sullo sfondo a favore della accezione puramente descrittiva prevalsa più di recente nel lessico dei television studies. In altri termini, nel discorso accademico contemporaneo si conviene di usare l’espressione ‘quality tv’ non per esprimere un giudizio di valore, ispirato a un concetto di buona o eccellente televisione; ma piuttosto per richiamare una definizione di genere – come dire che una certa serie è un poliziesco, o un teen-drama – che si applica (in linea di principio senza intenti valutativi) ai prodotti nei quali sono riconoscibilmente presenti gli elementi costitutivi del genere stesso. In proposito, Thompson ha stilato una lista di ben 12 requisiti che compongono il profilo della ‘quality television’ come genere vero e proprio22. Naturalmente l’uso descrittivo di un termine come qualità, fortemente connotato in senso valutativo, non è senza problemi e soprattutto senza ambiguità. Un grado maggiore o minore di conflazione fra una classificazione di genere e una valutazione critica incapsulate in una medesima parola è in effetti difficile da evitare, per quanto si voglia tener ferma la distinzione e ribadire che ‘quality tv’ non deve essere intesa come un equivalente o sinonimo di ‘buona televisione’. Ma in realtà proprio questa equivalenza è il presupposto implicito del maggior numero degli studi di caso dedicati alle serie americane contemporanee, da studiosi statunitensi e non. Sara Cardwell, che ha scritto in modo assai convincente sull’importanza di preservare la distinzione analitica e critica fra ‘quality tv’ e ‘good television’, riconosce come gli studiosi che si occupano delle serie USA appaiano di fatto poco turbati dalla questione, e siano «more willing to assume that American quality television is likely to 22 R.J. Thompson, cit, pp. 13-16. VI warrant serious critical attention and that American quality television is also good television»23 (il corsivo è mio). Lo slittamento semantico (francamente improprio ed evitabile24) della parola qualità dal versante valutativo a quello descrittivo non smentisce dunque la diffusa tendenza dei television studies contemporanei a concentrare attenzione, esercizio analitico, produzione discorsiva su un corpus di testi a cui l’iscrizione entro un genere definito significativamente di qualità - e fiorente soprattutto nell’ambiente delle reti cavo americane - conferisce un alto grado di scholarly worthiness, candidandoli a una valutazione accademica non di rado consonante con l’apprezzamento della critica televisiva25, l’entusiasmo dei fan, la messe delle nominations e dei premi agli Emmy e ai Golden Globe. La predilezione di tanti studiosi per la ‘quality tv’ americana è sotto molto aspetti comprensibile. Non occorre condividere quel poco o molto di populismo riecheggiante nelle (peraltro minoritarie) voci critiche verso l’avvento e la celebrazione di una ‘estetica elitista’ in televisione 26 , per riconoscere come un pubblico dotato di un consistente capitale culturale e di sensibilità estetica – quale è per l’appunto, anche se non esclusivamente, il caso di intellettuali e accademici – sia tra i più suscettibili di provare attrazione, interesse, e coinvolgimento nei confronti delle artisticamente e culturalmente ambiziose espressioni della ‘quality tv’ contemporanea. Non si tratta evidentemente di mettere in discussione il diritto degli studiosi di occuparsi delle serie televisive delle quali riconoscono e ammirano (imprimendovi il loro sigillo accademico) l’eccellenza artistica o l’audacia innovativa. Le preferenze e i piaceri che strutturano le nostre relazioni con la televisione possono favorire approcci più profondi e illuminanti ai testi e farne oggetto di indagine e analisi appassionata. Nondimeno dovremmo essere cauti nell’adottare agende di ricerca e indicatori estetici e culturali troppo consonanti con i nostri gusti. Mi riferisco qui ai modelli di preferenza e di valorizzazione che una comunità accademica adotta in un determinato momento del tempo, e che in maggiore o minor misura possono essere dettati dall’air du temps. Gli studiosi sono, tra le altre cose, una selezionata taste community27 le cui gerarchie di valore non sono al riparo da una ricorrente fascinazione per il nuovo. Non sono al riparo, più di preciso, dalla «modernist obsession for innovation and novelty» 28 , che così spesso rende tanti di noi disponibili a condividere, e contribuire a diffondere, l’iperbolica celebrazione che accompagna fenomeni e S. Cardwell, Is quality television any good?, in J. Mccabe e K. Akass, cit., p.24. Sarebbe in effetti preferibile elaborare una definizione diversa, invece di continuare a usarne una che impone uno sforzo costante di disambiguazione. 25 La quality tv è la critics’darling, la favorita della critica. 26 Rimando in proposito alla nota 17. 27 M.Hills, “Television aesthetics: a pre-structuralist danger?”, «Journal of British cinema and television», 8:1, 2011, pp.99-117 28 J. Mulgan, cit., p.18. 23 24 VII processi di cambiamento – ai quali meglio si addicono posizioni più in equilibrio tra celebrazione e problematizzazione, tra adesione e critica -. E mentre una fascinazione storicamente situata non è in alcun modo ‘naturale’, accade che i modelli accademici di preferenza e di valorizzazione contribuiscano dal canto loro a ‘naturalizzare’ gerarchie di rilevanza e di valore che fanno presto a cristallizzarsi in canoni indiscussi. Come ha affermato di recente Roberta Pearson «if such a process of canonization is inevitable… I’d like it to be driven by something other than the tastes of television scholars, who are overwhelmingly the white, middle class upmarket audience at which many of the programs in these series are directed by their producers and distributors»29. 3. L’invisibilità di tutto il resto Una volta che l’opposizione binaria tra ‘quality tv’ americana e tutto il resto è divenuta auto-evidente, una delle conseguenze è che tutto il resto recede nell’invisibilità. Richiamo in proposito la utile nozione di invisible television che è stata avanzata ed esplorata in un recente numero della rivista «Critical studies in television»; l’espressione vuole cogliere e comunicare l’idea che una parte assai cospicua di contenuti televisivi non entra mai o quasi mai nella sfera di attenzione e di interesse degli studiosi dei media, e risulta pertanto letteralmente «invisibile all’interno dell’accademia»30. Matt Hills31, nello stesso numero della rivista, identifica in modo preciso e discute i principali requisiti del tipo di televisione che è oggi più suscettibile di attrarre l’attenzione degli accademici e divenire oggetto di studi di caso: novità immaginativa, temi controversi, complessità narrativa, ambizioni da cinema d’arte, visualità stupefacente, intertestualità, transmedialità, statuto culturale, seguito di fan… tutti perfettamente ritagliati sulla misura delle ambiziose e doviziose produzioni della ‘quality tv’ americana, alla quale assicurano la massima visibilità nella vetrina degli studi accademici. Pertanto, essendo ben difficilmente in grado di esibire analoghi requisiti, la larghissima maggioranza delle serie contemporanee di ogni paese ha scarse chances di entrare nella sfera dell’interesse accademico ed è destinata a recedere nell’invisibilità (con l’eccezione di qualche serie inglese) – rischiando in aggiunta la denigrazione per non essere all’altezza del normativo canone americano. E’ dunque necessario mettere in discussione l’apparentemente indiscussa naturalizzazione e universalizzazione, nei television studies contemporanei, di Dal position paper di Roberta Pearson per la tavola rotonda “The good, the bad and the cult: television studies sensibilities”, nel contesto della quarta Flow conference svoltasi ad Austin, Texas, a novembre del 2012 (http://flowtv.org/conference/schedule/) 30 B. Mills, “Invisible television: the programs no one talks about even though lots of people watch them”, «Critical studies in television», 5:1, 2010, p.1. 31 M. Hills, “When television doesn’t overflow beyond the box: the invisibility of momentary fandom”, «Critical studies in television», 5:1, 2010, pp.97-110 29 VIII standard di qualità e di valutazione che – essendo calibrati su uno specifico genere di fiction americana – non sono estensibili e non sono in grado di rendere giustizia, in tutto o in parte, a ciò che qualità e valore può significare in società e culture al di là dei confini Usa. Di conseguenza, sarebbe opportuno che gli studiosi di televisione abbandonassero senza esitazioni il postulato che solo la qualità e l’eccellenza di certe serie americane sono degne di attenzione accademica, e facessero spazio all’assunto che differenti concezioni e concretizzazioni di rilevanza estetica e culturale possono esistere e di fatto esistono nelle differenti culture televisive; e anche queste richiedono di essere prese in considerazione, interrogate e valutate nei loro propri termini e contesti. 4. La ‘tradizione di qualità’ della fiction italiana Il caso italiano può essere considerato emblematico del ruolo che ha assunto la televisione americana nel fornire la pietra di paragone sulla quale il valore della fiction nazionale viene saggiato, stimato, e posizionato nella gerarchia culturale delle forme mediali contemporanee. In Italia, al pari che altrove, le serie statunitensi dei tardi anni Novanta e degli inizi del Duemila hanno guadagnato pubblico e rinomanza, imponendosi come ‘televisione di qualità’ per eccellenza. E poiché una polarità positiva ha sempre bisogno di essere messa a confronto con un opposto affinché la sua bontà ne risulti meglio validata e intensificata, la celebrazione delle serie americane si è accompagnata alla diffusa tendenza a svalutare e denigrare più o meno in blocco la fiction italiana; la quale è divenuta oggetto costante di riprovazione e critica da parte di commentatori e intellettuali, ed è snobbata dai pubblici pregiati (giovani e giovani-adulti urbani e scolarizzati) per la sua inadeguatezza nel competere - sia pure a grande distanza – con l’audacia creativa e la stupefacente perfezione estetica delle serie a valenza trans-nazionale prodotte negli Stati Uniti. A loro volta, gli studiosi italiani di televisione32 condividono (salvo rare eccezioni) con i colleghi di altri paesi33 il bias a favore delle serie americane. Aldo Grasso, ad esempio, ha sostenuto che l’eccellenza dei telefilm americani è riuscita a redimere la televisione dallo stigma pesantemente negativo che l’ha marcata dalle sue origini, esaltandone le doti e il ruolo da ‘buona maestra’ (A. Grasso, Buona maestra, Milano: Mondadori, 2007). E’ esattamente questo tipo di argomento che viene contestato da quanti (cfr. i già citati Newman e Levine) vedono nel fenomeno della ‘quality tv’ i segni di una svolta elitista, attuata dalle reti che hanno strategicamente scelto di sintonizzarsi sui gusti di selezionati, colti ed esigenti pubblici settoriali. La legittimazione culturale che ne discende dimostra come in realtà la televisione riesca ad accedere al rango delle arti legittime solo se rinuncia o viene sottratta allo statuto di arte popolare per le masse. 33 Mi limito a citare un solo esempio. Nel numero monografico che la rivista francese di studi di comunicazione «Réseaux» ha dedicato di recente (n. 1/2011) alla serialità televisiva, l’unica fiction di produzione locale presa in considerazione era la soap Plus belle la vie; per tutto il resto si trattava delle serie americane. 32 IX Di certo, nessuno potrebbe in buona fede negare che lo storytelling televisivo nazionale attraversi già da qualche anno una fase poco esaltante sotto il profilo delle proposte ideative, della scrittura drammaturgica, talora della stessa realizzazione tecnica. E non c’è alcun bisogno di stabilire confronti con le serie Usa (confronti metodologicamente scorretti, data la sostanziale incomparabilità dell’industria televisiva italiana con quella americana) per scorgere i difetti di ideazione, struttura narrativa, trattamento tematico – o altro – che inficiano con una certa assiduità la buona fattura della fiction domestica. Ma così come ‘quality tv’ non è necessariamente sinonimo di buona televisione, una qualità malferma o discontinua non attesta necessariamente la inconsistenza culturale e artistica di un intero corpus narrativo, giustificando il disinteresse degli studiosi, l’accanimento dei critici, il giudizio sommario enfatizzato dal conventional wisdom. Di fatto, alla domanda se possa darsi buona televisione e buona fiction anche al di fuori di esigenti standard di qualità la risposta è senza esitazioni positiva – e sembra ultimamente delinearsi all’interno dei television studies un orientamento in tal senso, che però attende ancora di ‘passare all’atto’ - . «Let us abandon quality television and embrace good television» ha esortato per prima Sara Cardwell34. Tuttavia, se si adottasse nei confronti della produzione domestica il medesimo approccio selettivo messo in atto per le serie americane – ovvero, restringere il campo a uno specifico genere e a un insieme di programmi che lo rappresentano al meglio – si arriverebbe facilmente a vedere come la fiction italiana abbia a sua volta costruito negli anni una propria ‘tradizione di qualità’, nella quale è possibile ravvisare sia la fisionomia di un genere sia un’idea, nonché esempi riusciti, di buona televisione. Introduco l’espressione ‘tradizione di qualità’ nel preciso intento di evocare quella corrente del cinema francese del secondo dopoguerra (così denominata, appunto) che François Truffaut, all’epoca giovane critico cinematografico, prese a bersaglio della sua acuminata polemica in un celebre articolo dei primi anni Cinquanta, considerato il manifesto della nouvelle vague35. Alla tradizione di qualità – in cui si iscrivevano film e cineasti apprezzati e premiati a livello nazionale e internazionale – Truffaut imputava conformismo culturale e accademismo estetico, il ricorso iterato quanto infedele alle fonti letterarie, e una compiaciuta indulgenza per modi convenzionali e formulaici di narrazione e rappresentazione della realtà; e contro questo ‘cinema de papa’36 invocava l’audacia e lo sperimentalismo di un nuovo cinema d’autore, arrivando a sostenere l’impossibilità della coesistenza fra le due opposte tendenze. S. Cardwell, cit, p. 34. F.Truffaut, “Une certaine tendence du cinéma français”, «Cahiers du cinéma», n°31, 1954, s.i.p. 36 L’espressione ‘cinema de papa’ viene comunemente attribuita a Truffaut, ma non si ritrova tuttavia nell’articolo citato. 34 35 X Trasposta sulla odierna scena televisiva, una analoga contestazione può essere vista all’opera in Italia, dove egualmente l’invocazione di una svolta innovativa (certo necessaria e opportuna) si accompagna volentieri a indiscriminati giudizi demolitori della arretrata e stagnante fiction domestica, e a un misto di derisione e insofferenza per il legame privilegiato che essa ha stabilito e intrattiene con i pubblici di età più avanzata37. La ‘tradizione di qualità’ della fiction italiana ha radici lontane, nella televisione delle origini. E, al di là di inevitabili aggiustamenti intervenuti nel corso del tempo, si è mantenuta nella sostanza coerente con una idea basilare di ambizione e riuscita qualitativa come prerogative costituite e definite primariamente dalla associazione privilegiata, una sorta di affinità elettiva, fra una certa forma narrativa e certi contenuti tematici. Nel nostro caso la forma coincide con la miniserie. Media hybrid38, formula liminale al confine tra cinema e televisione, la miniserie occupa un posto speciale nella storia della fiction italiana, in quanto incorpora la prolungata e duratura refrattarietà della cultura televisiva nazionale nei confronti della serialità. Da noi la reputazione dei formati produttivi e delle formule narrative sembra essere inversamente proporzionale alle ‘quantità’ che mobilitano, sul piano della estensione, segmentazione e durata, in base al convenzionale principio di contraddizione tra quantità e qualità. Il formato corto della miniserie, che in Italia viene realizzata preferibilmente nella versione in due parti, si ritrova pertanto a occupare una posizione privilegiata sulla polarità positiva dell’asse del prestigio culturale, a grande distanza da soap, telenovele e serie lunghe. S’intende che all’estremo opposto della serialità televisiva risiede il cinema. E non a caso - dopo una prima fase risalente alle origini della televisione, quando si presentava sotto specie di sceneggiato e ricercava nei modelli della rappresentazione teatrale i riferimenti alti della propria nobilitazione culturale la miniserie italiana ha preso a guardare direttamente al cinema nell’intento di affrancarsi dalla condizione di ‘figlia di un medium minore’ (non diversamente peraltro dalla ‘quality tv’ statunitense che, secondo Thompson, vanta fra i suoi primari requisiti il pedigree cinematografico39). Gli elevati investimenti finanziari, le campagne promozionali, la ricchezza scenografica, le riprese in esterni e on location, il cast importante che include non di rado attori e autori del grande schermo, nazionale e internazionale: tutti questi elementi innalzano la miniserie al rango di un’opera cinematografica. E al cinema è invalso ultimamente l’uso di equipararla negli stessi titoli di testa che, specie quando i registi o gli Ad esempio, intervenendo il 15 ottobre 2012 a una puntata di Tv talk, il regista Paolo Virzì ha definito la fiction italiana ‘camomilla per gli anziani’. 38 G. Edgerton, The American made-for-tv movie, in B.Rose (ed.), Tv Genres, Westport: Greenwood Press, 1985, pp. 151-180. 39 R. J. Thompson, cit., p. 14. 37 XI sceneggiatori sono (come non è infrequente) personalità rinomate e di formazione e pratica cinematografica, convertono la definizione di miniserie nella più lusinghiera attribuzione autoriale ‘un film di…’. Una piena consacrazione in tal senso si è avuta nel 2003, quando la miniserie in quattro puntate La meglio gioventù diretta dal regista Marco Tullio Giordana, rinomato esponente del cinema civile italiano, ha partecipato al 56° festival di Cannes ottenendo riconoscimenti e premi cinematografici (miglior ‘film’ nella sezione ‘un certain régard’) – e venendo successivamente inclusa dal «New York Times» nella lista dei migliori film distribuiti negli USA nel corso del 2005 -. La meglio gioventù ricostruiva 40 anni della più recente storia socio-politica del Paese. Il che conduce direttamente alla materia narrativa tradizionalmente associata alla miniserie, e di fatto sua parte integrante nella stretta interrelazione di forma e contenuti. Costruire narrative su temi e soggetti seri, rilevanti, ‘impegnati’, è per l’appunto ambizione e prerogativa della miniserie che trae largamente ispirazione da fonti storiche, biografiche, religiose, letterarie, nonché dai problemi dell’attualità sociale: vale a dire, un insieme di materia narrativa caratterizzata da un grado elevato di rispettabilità culturale. Risiede inoltre nella miniserie un potenziale di internazionalizzazione dotato di speciale attrattiva per un paese, come l’Italia, che non è finora riuscito a ritagliarsi un ruolo significativo nella esportazione del prodotto televisivo domestico. Si tratta di un potenziale suscettibile di essere dispiegato per il tramite delle co-produzioni, presenti in modo costante se pure quantitativamente rarefatto nell’ampio catalogo storico delle miniserie italiane40. E quand’anche la promessa o l’aspettativa della circolazione internazionale non vengano soddisfatte, una miniserie co-prodotta costituisce una risorsa di valore aggiunto, poiché attrae e lusinga il pubblico nazionale con l’offerta di fiction ad alto budget che compensa e riscatta le modeste economie e i mediocri valori di produzione di buona parte della fiction italiana corrente. Ma, qualunque sia la tipologia di produzione, la miniserie sembra possedere un inimitabile vantaggio esclusivo: quello che i broadcasters e gli operatori del marketing definiscono ‘illuminazione della rete’, ovvero un lusinghiero ritorno di immagine e un rilucente alone positivo che perdura nel tempo - perfino indipendentemente dai risultati di ascolto, d’abitudine assai elevati come dimostra la sistematica collocazione delle miniserie al top dei successi stagionali -. In proposito, vale la pena sottolineare come la considerazione e l’uso della Per limitarsi a una selezione di titoli degli anni 2000: I miserabili (Canale 5, 2000); Il dottor Zhivago (Canale 5, 2002: candidatura del regista Giacomo Campiotti ai BAFTA Awards del 2003; Papa Giovanni Paolo II (Raiuno, 2005: protagonista John Voight); Guerra e pace (Raiuno, 2007); Caravaggio (Raiuno, 2007); Coco Chanel (Raiuno, 2008: candidatura di Shirley MacLaine ai Golden Globe e Emmy Awards del 2009); Pinocchio (Raiuno, 2009: protagonista Bob Hoskins); La principessa Sissi (Raiuno, 2010); Titanic (Raiuno, 2012: premio per la migliore co-produzione europea al Festival di Montecarlo del 2012). 40 XII miniserie in funzione di ‘faro’ delle reti41 sia tutt’altro che una pratica obsoleta in cui si attarda la televisione italiana. Se la televisione americana deve offrire un orizzonte di riferimento e un termine di confronto, non si può ignorare la rinascita sperimentata dalla miniserie nell’innovativo ambiente del narrowcasting statunitense, dove è migrata da tempo, e dove viene usata strategicamente dai canali di nicchia per costruire brand, status culturale, eventi di speciale richiamo 42 . Proprio HBO, alfiera della ‘quality tv’, ha aperto pionieristicamente la strada al ritorno della miniserie, ridando vita con i suoi progetti ambiziosi a una forma ormai abbandonata dai grandi networks. Dotata di un alto grado di rispettabilità artistica in virtù della sua affinità con il cinema, e corredata da ulteriori prerogative che ne marcano la distinzione rispetto alla fiction ‘normale’ - così da venire spesso associata alla risonante nozione di ‘evento’ - la miniserie riverbera sulla propria materia narrativa il prestigio di un veicolo di prima classe, dai costi e valori produttivi all’altezza del rango. A sua volta beneficia del marchio nobilitante che le viene impresso da contenuti storici, biografici, letterari e sociali, dotati della legittimità culturale indiscutibilmente attribuita ai soggetti seri, colti e impegnati. Si realizza in tal modo, nella (costruita) affinità elettiva tra una forma quasi-cinematografica e una materia narrativa dotata di riconosciuta rilevanza, un mix suscettibile di passare per una condizione o una credenziale di qualità. Formula narrativa non (o debolmente) seriale, pedigree cinematografico, elevati valori di produzione, elementi e fattori di internazionalizzazione, carattere evenemenziale, selezione tematica di ispirazione letteraria (adattamenti) e soprattutto realistica (storia, biografie, società), strategia comunicativa orientata a un pubblico generalista: su questo insieme di caratteristiche si è costituita la ‘tradizione di qualità’ della fiction italiana, da assumere qui nella accezione definitoria di un profilo di genere. E’ interessante osservare come alcuni tratti del profilo, indubitabilmente ‘classico’ e in senso proprio tradizionale, appaiano sostanzialmente omologhi a quelli attribuiti alla ‘quality tv’ statunitense: ad esempio, l’ambizione di distinguersi dalla produzione televisiva corrente e se possibile dalla televisione tout-court, le aspirazioni realistiche, la predilezione per temi rilevanti o controversi, la tensione ad acquisire uno status da opera cinematografica. (A quest’ultimo proposito, sarebbe probabilmente il caso per i television studies di smettere di voler presidiare i confini della televisione43, e accettare le sue incursioni nei territori di altre forme culturali e artistiche come pratiche ibridatorie potenzialmente feconde, e comunque non stigmatizzabili per il solo fatto di perseguire intenti di legittimazione culturale). E. Copple Smith, A form in peril? The evolution of the made-for-television movie, in A. D. Lotz (ed.), Beyond prime time, London: Routledge, 2009, pp. 138-155. 42 Cfr. in proposito J. Mc Murria, Long-format Tv. Globalisation and network branding in a multichannel era, in M. Jancovich and J. Lyin (eds.), 2003, cit.,pp. 65-87; e E. Copple Smith, cit. 43 Raccolgo questa esortazione da S. Dasgupta, cit. 41 XIII S’intende che le differenze sono altrettanto numerose, ma il principale fattore di discrimine è senza dubbio il pubblico di riferimento. Scrive Thompson che la ‘quality tv’ «attracts an audience with blue chip demographics. The upscale, well-educated, urban-dwelling, young viewers advertisers so desire to reach tend to make up a much larger percentage of the audience of these shows than of other kinds of programs44». All’opposto, la ‘tradizione di qualità’ della fiction italiana, che si è costruita e rimane tuttora iscritta entro le logiche culturali e le strategie comunicative del broadcasting, si caratterizza per i suoi successi presso le estese e composite formazioni dei pubblici generalisti. Senza dover per questo aderire a un atteggiamento di populistica compiacenza per la ‘massa’ contro la ‘classe’, è plausibile sostenere che la postura generalista della ‘tradizione di qualità’ risulta oggi particolarmente invisa – quasi come un vizio d’origine o un fatal flaw da redimere - agli occhi della critica e di una opinione intellettuale e accademica tributarie entrambe, in maggiore o minor misura, di una infatuazione per i fenomeni di differenziazione e frammentazione in corso negli ambienti mediali contemporanei. Riguardata da una prospettiva valutativa, la ‘tradizione di qualità’ della fiction italiana appare innegabilmente vulnerabile a giudizi critici 45 – più o meno motivati o pregiudiziali, a seconda dei casi - non dissimili, in parte, da quelli rivolti da François Truffaut al cinema francese del secondo dopoguerra. Resta tuttavia il fatto che questa stessa tradizione (criticabile al pari di ogni altra) ha generato negli anni numerosi esempi di buona televisione, che per apprezzabile livello di fattura, efficace trattamento drammaturgico dei soggetti, e non di rado utile contributo conoscitivo alla storia e alla società italiana, si annoverano tra i migliori prodotti di fiction realizzati fino a oggi: si pensi, a titolo meramente indicativo, a La piovra (Raiuno, 1984-2001), Un cane sciolto (Raiuno, 1990-91), Fantaghirò (Canale 5, 1991- 1994), Giuseppe (Raiuno, 1995)46, Ultimo (Canale 5, 1998-1999), Padre Pio (Canale 5, 2000), Perlasca. Un eroe italiano (Raiuno, 2002), Papa Giovanni (Raiuno, 2002), La meglio gioventù (Raiuno, 2003), Il giudice Borsellino (Canale 5, 2004)47, Cefalonia (Raiuno, 2005), Il capo dei capi (Canale 5, 2007), C’era una volta la città dei matti (Raiuno, 2010)48. E molti altri. Non è possibile argomentare qui le ragioni dei risultati piuttosto modesti, sul piano qualitativo anche se non necessariamente degli ascolti, raggiunti da serie e serial italiani (con le dovute eccezioni49): frutti imperfetti di un’industria e R. J. Thompson, cit., p. 14. Riproporre iteratamente narrative formulaiche e convenzionali, voler compiacere tutti, rifuggire dalle controversie morali così come dalle sperimentazioni estetiche, peccare di didatticismo e semplicismo, cedere alle tentazioni agiografiche e buoniste, e altro ancora. 46 Giuseppe, uno dei capitoli del Progetto Bibbia, ha vinto l’edizione 2005 degli Emmy Awards come miglior miniserie dell’anno. 47 Premio per la miglior miniserie al 45° Festival della televisione di Montecarlo. 48 Premio per la miglior miniserie al Festival della televisione di Montecarlo del 2010. 49 Il commissario Montalbano (Raiuno) e le prime stagioni di RIS. Delitti imperfetti (Canale 5) sono sicuramente da citare in proposito. 44 45 XIV cultura televisiva che solo tardi e con riluttanza mai del tutto superata si è arresa all’imperativo della produzione seriale. Basterà dire che – facendo eccezione in questo caso per le finora rare ma acclamate incursioni delle reti satellitari nel campo della produzione originale, ovvero Boris (Fox, 2007-2010) e Romanzo criminale (Sky, 2008-2010) – la fiction italiana contemporanea nel suo insieme, e massimamente la ‘tradizione di qualità’, riguardata dai suoi molti critici come esausta e superata, viene «repudiated within scholarship for a transatlantic romance (il corsivo è mio) with US quality drama»: come ha scritto Charlotte Brunsdon constatando già qualche anno fa una analoga sindrome nel contesto britannico50. Può valere la pena annotare come la presa di distanza culturale dalla serialità, su cui è del resto fondata la preminenza della miniserie nella tradizione italiana, sia stata per anni strettamente associata a una forte sospettosità (se non proprio rifiuto) nei confronti della televisione statunitense. Broadcasters, intellettuali, critici, talenti creativi, settori del pubblico nazionale, hanno lungamente considerato i programmi di origine americana alla stregua de ‘la cattiva televisione’ da tenere a distanza, ‘l’altro transatlantico’ di fronte a cui la fiction domestica si ergeva come un bastione di qualità. Un tempo ‘cattiva televisione’, la fiction americana si è ora convertita nell’epitome dell’eccellenza televisiva, da assumere come termine di confronto - in realtà atto a stimolare piuttosto la propensione al cultural cringe51 che una virtuosa emulazione -. Beninteso, non c’è assolutamente niente di male nel coltivare un ‘idillio transatlantico’, tanto più che le serie americane – e non solo quelle che ricadono nella categoria della ‘quality tv’ – possono essere realmente di gran pregio, e suscitare interesse, attaccamento e ammirazione sotto svariati profili. Allo stesso tempo, le tradizioni nazionali di qualità come quella italiana meritano a loro volta attenzione accademica e impegno di analisi e di valutazione critica, senza che ciò equivalga in alcun modo a privilegiare «a very municipal sense of the medium»52, né a fornire un endorsement allo storytelling domestico contro l’evidenza della sua mediocrità ovunque essa si manifesti. Il punto fondamentale è che, in quanto studiosi di televisione, siamo tenuti a essere pluralisti e a riconoscere e accogliere, invece che respingere, l’esistenza di un «range of different and often contradictory qualities» 53 . L’abbraccio romantico di nuove stupefacenti estetiche e di complessità narrative magistralmente dispiegate dalle migliori fiction americane non esige il nostro C. Brunsdon, “Is television studies history?”, «Cinema journal», 47:3, 2008, p. 133. Il cultural cringe, che si dice affligga la cultura Australiana – ma non è per nulla estraneo a quella italiana - è una sorta di complesso di inferiorità culturale nei confronti di altri gruppi, popoli o paesi. 52 J. Jacobs, “The medium in crisis: Caughie, Brunsdon and the problem of US television”, «Screen», 52:4, 2011, pp. 503-511. Non è del resto meno municipale ovvero provinciale la celebrazione della fiction americana. 53 J. Mulgan, cit., p. 8. 50 51 XV coinvolgimento esclusivo. Al contrario, può e deve coesistere con la presa in considerazione di altre fondative tradizioni di qualità: in specie quando queste dimostrino di continuare a svolgere 54 rilevanti funzioni culturali offrendo i piaceri, i significati e i saperi propri della buona televisione all’esperienza di consumo condiviso delle (tuttora esistenti e consistenti) audience televisive nazionali. 54 Forse non indefinitamente, se è vero che la miniserie è a rischio di estinzione o comunque di netto ridimensionamento a causa dei suoi elevati costi di produzioni sempre meno compatibili con i bilanci ridotti delle reti. XVI PARTE PRIMA XXIV Rapporto dell’Osservatorio sulla Fiction Italiana Capitolo 1 Strategie contingenti. La fiction italiana fra fluidità del mercato e rigidità dell’industria Bilancio della stagione 2011-2012 di Fabrizio Lucherini 1. Ore: in crescita nella stagione, in calo sui 12 mesi Nella stagione 2011 - 2012 (5 settembre 2011 – 3 giugno 2012) Rai e Mediaset hanno trasmesso complessivamente 562 ore di fiction italiana inedita, 44 in più rispetto alla scorsa stagione. La programmazione di fiction è cresciuta su entrambe le emittenti (graf. 1). L’incremento più consistente si registra su Mediaset: 31 ore in più rispetto al 2010-2011. La Rai, che ha aumentato la propria offerta di 13 ore, conferma il proprio primato nella produzione e programmazione di fiction domestica (graf. 2) 6 Sono le reti ammiraglie dei due gruppi, quelle su cui tradizionalmente si concentra la programmazione di fiction inedita, ad accrescere ulteriormente la propria offerta rispetto alla passata stagione (graf. 3). Raiuno e Canale 5 hanno trasmesso il 78% del volume orario complessivo, rispetto al 76% del 2010-2011. Grazie alla nuova edizione di Camera Cafè, Italia 1 è l’altra rete su cui l’offerta di fiction è in crescita nel passaggio interstagionale; Raitre, che ha trasmesso la 7 sedicesima stagione di Un posto al sole, è l’unica rete, al di fuori delle ammiraglie, che ha significativa presenza di fiction italiana nel proprio palinsesto. Su Raidue la fiction domestica è ridotta a una manciata di ore, frutto della programmazione di due vecchi titoli rimasti sin qui inediti: episodi residuali della sitcom Piloti, e le prime due puntate di Zodiaco 2. Visti i bassi ascolti, le ultime due puntate sono state spostate su Rai Premium: è la prima volta che la Rai trasmette fiction italiana inedita su uno dei suoi canali specializzati. Sparisce la fiction in prima visione da Rete 4 e La 5, dove era presente nella scorsa stagione, ma solo in seguito allo spostamento su queste reti, causa bassi ascolti, di due titoli di Canale 5. Dopo quattro stagioni caratterizzate da un costante decremento della produzione, il saldo interstagionale dell’offerta torna in attivo (graf. 4). Un dato importante, che va analizzato nella sua dinamica e nel suo significato. Occorre insomma rispondere a due domande: a) in quali segmenti produttivi si realizza l’incremento stagionale? b) Si tratta di un’autentica inversione di tendenza rispetto al ciclo recessivo iniziato nella stagione 2007-2008? Cominciamo a rispondere alla prima domanda, osservando il grafico 5 che illustra l’andamento della produzione di fiction suddivisa in tre macrocategorie, a partire dalla stagione 2006-2007, quella che ha fatto registrare, ad oggi, l’apice dell’offerta di prodotto domestico. 8 Il dato macroscopico è la crescita consistente della fiction più economica: 45 ore in più rispetto alla passata stagione. Un andamento tanto più significativo se si considera che questo segmento produttivo dal 2006-2007 era costantemente in calo. Per quanto riguarda le altre due tipologie si registra, come di consueto, un andamento asimmetrico: una scende e l’altra sale, a stagioni alterne1. Nel 2011-2012, rispetto alla stagione precedente, sono le fiction “cinematografiche” (film-tv e miniserie in 2 parti) a guadagnare terreno (+ 24 ore) a scapito della serialità media e lunga di prima serata (- 25 ore). Tabella 1 – Rai – Categorie produttive (ore) 2011-2012 Formati brevi 67 Serialità media e lunga 147 Sitcom e soap 86 Totale 300 Differenza interstagionale + 21 - 16 +8 + 13 Nel passaggio interstagionale, la fiction Rai aumenta soprattutto nel segmento più costoso, quello delle fiction cinematografiche (tab. 1), al contrario l’incremento dell’offerta Mediaset è concentrato in quello della serialità più economica. Le due emittenti fanno una scelta analoga solo nel tagliare la serialità media e lunga, quella che in teoria dovrebbe rappresentare il core business dell’industria televisiva. 1 Unica eccezione la stagione 2010-2011, nella quale entrambe queste categorie produttive risultavano in calo rispetto all’offerta della precedente stagione (graf. 5) 9 Tabella 2 – Mediaset – Categorie produttive (ore) 2011-2012 Formati brevi 12 Serialità media e lunga 130 Sitcom e soap 120 Totale 262 Differenza interstagionale +3 -9 + 37 + 31 Per avere un quadro esaustivo dell’andamento del mercato della fiction, prendiamo in considerazione anche l’offerta del trimestre estivo (giugno – agosto 2012). Tabella 3 – Offerta estiva Rai e Mediaset Estate 2012 Rai 23 Mediaset 14 Totale 37 Estate 2011 34 59 93 Differenza - 11 - 45 - 56 Entrambe le emittenti hanno ridotto l’offerta di fiction italiana in prima visione rispetto al periodo analogo dell’anno precedente; una riduzione di proporzioni limitate da parte della Rai e drastica per quel che riguarda Mediaset (tab. 3). Il trend è univoco e nasce dalla stessa esigenza: la fiction è un prodotto pregiato e, in una fase di scarsità di risorse, va valorizzata al massimo, concentrandone la programmazione nei periodi più competitivi. L’emittente pubblica ha confermato la consueta programmazione estiva della soap Un posto al sole, ma non ha messo in onda nessuna prima serata di fiction inedita, come invece era accaduto negli anni scorsi. Quanto a Mediaset, nell’estate 2011 aveva programmato un consistente volume orario di fiction italiana inedita, offerta che nell’estate 2012 è stato ridotto ai minimi storici. Due le ragioni, all’origine di questo cambio di strategia. Tradizionalmente Mediaset non esitava a collocare in estate i titoli ritenuti deboli, o quelli che, al loro esordio nella stagione, registravano ascolti al di sotto delle attese. In questa stagione, caratterizzata da una penuria di risorse economiche e dalla scarsa disponibilità di prodotto, la soglia di tolleranza agli insuccessi si è alzata, e nessun titolo, a prescindere dagli esiti di ascolto, è stato spostato nei mesi estivi. In secondo luogo, Mediaset ha concentrato nel periodo settembre 2011 – giugno 2012 tutto il volume orario disponibile di Centovetrine. La soap infatti, per tre mesi fra gennaio e marzo 2012, oltre alla consueta striscia quotidiana, è stata collocata in prima serata a cadenza settimanale. Mediaset ha così esaurito le scorte di magazzino che normalmente ne garantivano la continuità della programmazione in estate. E’ all’utilizzo anomalo di Centovetrine che si deve, in larga misura, l’incremento dell’offerta stagionale di Mediaset che, come illustrato in precedenza, era concentrato nel segmento della fiction più economica. 10 In sintesi, l’offerta di fiction italiana delle due emittenti è diminuita nel periodo estivo tanto quanto era aumentata nella stagione; anzi, nel caso di Mediaset il saldo è negativo, e dunque lo è anche il bilancio complessivo sui 12 mesi (graf. 6). Tornando alla domanda posta in precedenza, se cioè siamo di fronte a un’autentica inversione di tendenza rispetto al ciclo recessivo iniziato nella stagione 2007-2008, la risposta è no. Come si evince chiaramente dal grafico 6, l’offerta di fiction italiana continua a scendere, e nel giro di cinque stagioni l’industria televisiva nazionale ha ridotto di un terzo la sua produzione annuale. 11 Nel corso della stagione 2011-2012, risulta in calo la già esigua programmazione di fiction italiana di produzione, da parte delle reti del gruppo Sky. L’incidenza sul volume orario complessivo stagionale dell’offerta di fiction domestica da parte del terzo grande operatore televisivo del mercato italiano, si riduce al 2% (graf. 7) contro il 4% della passata stagione. Nel 2011-2012 Disney ha confermato la tradizionale offerta di sitcom indirizzate al target dei preadolescenti (Life bites), mentre Skycinema ha presentato una novità e una conferma. La novità è il film-tv Un Natale per due, una commedia a tema natalizio trasmessa in prima visione proprio il 25 dicembre; la conferma è Faccia d’angelo, sulla mafia del Brenta, che prosegue il filone della storia dell’Italia del crimine organizzato inaugurata da Skycinema con Romanzo criminale. Rispetto a Romanzo criminale (2 serie per un totale di 22 episodi), Faccia d’angelo è apparsa una produzione meno ambiziosa, sin dal formato (la classica miniserie in 2 parti tipica della tv generalista). Certezze che producono incertezza Nel 2012, sul territorio italiano, è arrivato a compimento il passaggio dalla televisione analogica a quella digitale: un evento significativo per il mercato televisivo domestico, sia dal punto di vista pratico che simbolico. Esso è, infatti, emblematico dell’accelerazione del processo di pluralizzazione dell’offerta e di frammentazione del consumo televisivo in corso ormai da alcuni anni. Un processo i cui esiti sono incerti e in divenire. I modelli consolidati di produzione, programmazione e fruizione televisiva, e di valorizzazione economica dell’ascolto sono messi in discussione dal nuovo scenario multicanale e multipiattaforma, ma nuovi modelli sono ben lungi dall’essere individuati, e tantomeno consolidati. Il mercato televisivo italiano, ogni stagione che passa, diventa più fluido. 12 Aumentano i canali e la richiesta di contenuti, dunque le possibilità di crescita per l’industria televisiva, ma aumentano proporzionalmente rischi e incertezze: non si sa bene cosa produrre, come, per chi. La risposta dell’industria televisiva a questo scenario fluido, fatto tanto di opportunità quanto di incertezze, sembra essere quella di irrigidirsi nel perpetuare i modi di ideare, sviluppare, realizzare e distribuire il proprio prodotto, modi messi a punto in uno scenario competitivo molto diverso da quello attuale. La nostra industria della fiction eccelle nel prodotto non seriale realizzato con il modello cinematografico ma è debole sulla serialità, investe nella finalizzazione editoriale dei prodotti (realizzata in larga misura dalle strutture di controllo di Rai e Mediaset) ma manca della capacità di lavorare in modo innovativo sulle idee e trasformarle in format capaci di vivere e generare profitti al di là del prodotto finito. E’ un’industria nata e cresciuta alle dirette dipendenze della tv generalista che l’ha modellata a sua immagine. Adesso però sia le emittenti che investono nella fiction (Rai e Mediaset), sia tutte le altre presenti sul mercato italiano, che non lo fanno, avrebbero bisogno di un’industria diversa: più agile nel modello produttivo, più duttile nel mettere a punto prodotti seriali multipiattaforma, e animata da una agguerrita competizione nella ricerca e messa a punto delle idee. Cogliere le nuove opportunità del mercato fluido comporta necessariamente l’assunzione dei rischi, ma non è chiaro chi avrà la forza e la lungimiranza di assumersi per primo quei rischi. Le reti che producono fiction tendono a difendere lo status quo, quelle che non producono preferiscono acquistare il prodotto di importazione. Dal canto loro autori e produttori italiani, pur con le dovute eccezioni, sembrano incapaci di mettere in gioco, in maniera imprenditiva, risorse non solo economiche ma, prima ancora, artistiche e intellettuali, per sperimentare, a proprio rischio, format e modelli produttivi innovativi da immettere sul mercato. Cause ed effetti di questa rigidità sono così strettamente intrecciati che è difficile distinguerli. Questo circolo vizioso si può riassumere così: un mercato fluido è un mercato incerto; la reazione dell’industria televisiva, nel perseguire il naturale obiettivo di ridurre l’incertezza sull’esito delle proprie produzioni, sceglie le certezze, ovvero le opzioni sulla carta che offrono maggiori sicurezze, in quanto già sperimentate. Ne risultano quelle scelte contingenti che, a vari livelli, caratterizzano l’offerta di fiction della stagione. Per non citare che le più macroscopiche: la concentrazione, programmaticamente esclusiva del prodotto domestico sulle ammiraglie Rai e Mediaset, che determina la crescente autoreferenzialità di un canone portato a utilizzare sempre lo stesso, ristretto, repertorio narrativo; il privilegio accordato alla miniserie e alla serialità media, in un momento in cui, vuoi per le trasformazioni del mercato, vuoi per l’immanente crisi economica, fare economie di scala sarebbe vitale. Sull’immediato si tratta di scelte premianti, ma esse sono destinate ad accrescere il gap fra rigidità dell’industria e fluidità del mercato; è una ricerca di certezze che, sul medio periodo, produrrà crescente incertezza. 13 2. Titoli: in netta crescita I titoli di fiction in prima visione trasmessi nel 2011-2012 sono stati 58, nove in più rispetto alla scorsa stagione. E’ soprattutto l’emittente pubblica ad aver aumentato la propria offerta di nuove fiction, tanto che i titoli Rai sono quasi il doppio di quelli Mediaset (Tab. 4). Tabella 4 – Numero titoli. Confronto interstagionale 2011-2012 2010-2011 Rai 37 30 Mediaset 21 19 Totale 58 49 Differenza +7 +2 +9 Anche su questo indicatore va pesato il fattore estivo. Nell’estate 2012 Rai e Mediaset non hanno trasmesso programmi inediti, contro i 5 nuovi titoli di fiction che erano andati in onda nel trimestre estivo 20112. In questo caso quindi, c’è una diminuzione dell’offerta estiva, che però non annulla l’incremento stagionale. A differenza di quel che accadeva con i volumi orari, l’aumento dei titoli è reale. Tabella 5 – Titoli per tipologie di produzione Rai Mediaset IT EURO Intercontinentali 31 6 0 19 2 0 Totale 50 8 0 Differenza interstagionale +4 +6 -1 L’ormai endemica scarsità di risorse che affligge non solo l’industria televisiva italiana ma quella europea nel suo complesso, ha spinto anche i broadcaster italiani, soprattutto la Rai, che nel campo delle coproduzioni vanta una lunga tradizione, a ricercare all’estero partner con cui dividere rischi e costi della produzione. Una significativa novità della stagione è infatti il rilancio delle coproduzioni internazionali, che negli ultimi anni erano quasi del tutto abbandonate. Nel 2011-2012 sono state 8 (quasi tutte Rai) le fiction realizzate in collaborazione con partner europei (Germania, Francia, Irlanda), il triplo rispetto alla scorsa stagione (Tab. 5). 2 Vengono classificati come titoli estivi gli inediti la cui programmazione avviene completamente nel periodo estivo. Sono quindi escluse da questo computo le due soap, e qualunque altro titolo la cui programmazione inizi nella stagione e poi prosegua in estate. 14 Tabella 6 - Titoli Rai (in ordine decrescente di ascolto) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 Titolo Paolo Borsellino - I 57 giorni Maria di Nazareth Sarò sempre tuo padre Don Matteo 8 Il giovane Montalbano Una grande famiglia Cenerentola La ragazza americana Che Dio ci aiuti Il generale dei briganti Provaci ancora prof. 4 La vita che corre Walter Chiari Il restauratore La donna che ritorna Dove la trovi una come me? La figlia del capitano Anita Garibaldi La Certosa di Parma Il signore della truffa A fari spenti nella notte Nero Wolfe Mai per amore Violetta Il generale Della Rovere L'Olimpiade nascosta Suor Pascalina Tutti pazzi per amore 3 Tiberio Mitri Il sogno del maratoneta Barbarossa Il segreto dell'acqua Titanic – Nascita di una leggenda Un posto al sole Zodiaco Noi credevamo Piloti Formato filmtv miniserie miniserie serie serie serial miniserie miniserie serie miniserie serie miniserie miniserie serie miniserie miniserie miniserie miniserie miniserie miniserie filmtv serie collection miniserie miniserie miniserie filmtv serie miniserie miniserie miniserie serie serie serial miniserie filmtv Serie Genere Identità / Bio Identità / Relig. Melò / Family Crime / Detection Crime /Detection Melò / Family Melò / Adatt. Lett. Melò /Sentimentale Crime / Relazionale Identità / Melò Crime / Relazionale Dramma / Attualità Identità / Bio Mistery /Detection Melò / Crime Relaz. / Sentimentale Identità / Adatt. Lett. Identità / Bio Identità / Adatt. Lett. Dramma / Comedy Melò / Family Crime / Detection Dramma / Attualità Identità / Melò Identità / Storico Identità / Storico Identità / Bio Relaz. / Sentimentale Identità / Bio Identità / Bio Identità / Storico Crime / Melò Melò / Storico Melò / Soap Mistery / Melò Identità / Storico Comico / Sketch Rete Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raitre Raidue Raitre Raidue Fascia oraria PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT Notte Ascolto medio 8.163.590 7.758.773 7.397.353 7.037.451 7.008.096 6.837.689 6.680.725 6.516.126 6.336.904 6.219.191 6.212.580 6.164.785 5.962.892 5.901.372 5.760.667 5.693.029 5.602.877 5.596.029 5.388.190 5.178.329 4.899.668 4.875.200 4.748.979 4.748.486 4.727.295 4.582.251 4.422.971 4.275.642 4.141.000 4.010.545 3.635.192 3.089.356 3.014.532 2.407.940 1.437.481 1.198.755 260.627 Su Raiuno sono andate in onda 33 fiction su un totale di 37 titoli Rai (tab. 6), Mediaset ha trasmesso, su Canale 5, 19 dei 21 titoli della sua stagione (tab. 7): per entrambe le emittenti il livello di concentrazione dei titoli sulle reti ammiraglie è pari al 90%, percentuale identica a quella della passata stagione. 15 Tabella 7 - Titoli Mediaset (in ordine decrescente di ascolto) Titolo Formato Genere Rete 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Il tredicesimo apostolo Le tre rose di Eva Benvenuti a tavola Un amore e una vendetta Dov'è mia figlia? Anna e i cinque Viso d'angelo Sangue caldo I cerchi nell'acqua Il delitto di Via Poma I guardiani del tesoro Area Paradiso Centovetrine Serie Serial Serie Serial Miniserie Serie Miniserie Miniserie Miniserie filmtv Filmtv Filmtv Serial Mistery / Detection Melò /Crime Relazionale / Family Melò / Crime Crime / Melò Relazionale/ Family Crime / Melò Crime / Melò Mistery / Melò Dramma / Attualità Avventura Comico Melò / Soap Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 14 15 16 17 18 19 20 L'una e l'altra Sei passi nel giallo Distretto di polizia 11 Il commissario Zagaria Baciati dall'amore L'affondamento di Laconia Camera Cafè Filmtv Collection Serie Miniserie Serie Filmtv Serie Relaz. / Sentiment. Crime / Thriller Crime / Detection Crime / Comico Relazionale / Family Identità / Storico Comico / Sketch Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Italia1 21 Così fan tutte Serie Comico / Sketch Italia1 Fascia oraria PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT PT Daytime/ PT PT PT PT PT PT PT PT/ Daytime Notte Ascolto medio 5.773.187 5.249.815 4.630.975 4.422.238 4.110.464 4.083.743 4.060.549 4.017.254 3.941.198 3.881.984 3.697.286 3.592.581 3.462.098/ 3.043.341 3.443.846 3.268.301 3.164.326 3.159.871 2.969.225 2.362.324 2.098.603/ 914.400 1.409.035 Un elemento di discontinuità con il recente passato è invece rappresentato dal rapporto fra novità e ritorni (nuove edizioni di serie già in onda nelle passate stagioni, sequel e spin off di fiction trasmesse negli anni precedenti). Le novità sono in larghissima maggioranza e la quota dei ritorni è, per entrambe le emittenti, la più bassa delle ultime cinque stagioni (tab. 8). Tabella 8. – Incidenza dei ritorni 2011-2012 2010-2011 Rai 16% 27% Tot. Titoli 37 30 Mediaset 24% 63% Tot. Titoli 21 19 2009-2010 54% 26 32% 25 2008-2009 31% 39 36% 28 2007-2008 39% 41 57% 26 Su questo dato incide in modo significativo la discontinuità nella programmazione delle serie: molti titoli di successo della scorsa stagione, pur essendo in produzione, non sono andati in onda, come Un medico in famiglia, I Cesaroni, Un passo dal cielo, Rossella, Terra ribelle, L’onore e il rispetto, per limitarsi ad alcuni esempi. La discontinuità della programmazione quindi, è parte conseguenza della storica difficoltà dell’industria televisiva italiana di realizzare i prodotti seriali con sufficiente regolarità e rapidità da consentirne la messa in onda in stagioni consecutive. 16 Ma, al di là di questo specifico aspetto, la presenza così massiccia di novità (lo sono 4 titoli su 5) è un indicatore della fase di passaggio, di ridefinizione produttiva ed editoriale, che la fiction italiana sta attraversando. Un ciclo si è concluso: quello apertosi a metà degli anni Novanta, caratterizzato dalla rapida crescita della neonata industria televisiva, realizzata attraverso la moltiplicazione delle miniserie storico-biografiche, la messa a punto della serie all’italiana con gli eroi in divisa, la scoperta della soap e della lunga serialità di prima serata, con Incantesimo, Un medico in famiglia, Distretto di polizia, quest’ultima chiusa dopo la messa in onda dell’edizione numero 11 proprio in questa stagione. Un nuovo ciclo è in gestazione e si va costruendo in una dialettica fra tradizione e innovazione dagli equilibri ancora incerti. Per avere un quadro più chiaro delle scelte editoriali di Rai e Mediaset, e delle direzioni che hanno impresso allo sviluppo del racconto televisivo italiano, analizziamo forme e contenuti dei titoli della stagione, utilizzando come categoria chiave il genere narrativo. La tabella 9, illustra il numero di titoli della stagione ascrivibile ai vari generi, per ciascuno dei quali viene anche indicata la distribuzione per emittente, il numero di ritorni, l’incidenza dei titoli seriali e di quelli ambientati nel passato. Quelli indicati nella tabella 9 sono macrogeneri, categorie inclusive che contemplano al loro interno sottogeneri e ibridazioni di cui si rende conto, titolo per titolo, nelle tabelle 6 e 7. Tabella 9 – Generi per emittenti (titoli) Generi Rai Mediaset Totale Identità Crime Melò Relazionale Dramma Comico Mistery Avventura Totale 15 6 8 2 3 1 2 0 37 1 6 3 4 1 3 2 1 21 16 12 11 6 4 4 4 1 58 Diff. interst. N. ritorni N. serie +9 -3 +3 -2 -1 +2 = +1 +9 0 4 2 2 0 3 0 0 11 0 7 6 4 1 3 2 0 23 N. titoli nel passato 16 2 2 0 1 0 0 0 21 Fiction identitarie, crime e melodramma sono di gran lunga i repertori narrativi più frequenti nell’offerta della stagione: due titoli su tre si collocano in una di queste tre categorie. L’egemonia narrativa di questi macrogeneri appare tanto più forte se si considera poi, che essi tendono a incrociarsi reciprocamente. Sono soprattutto i modi e i temi melodrammatici a ibridare gli altri generi; ormai sono rare le fiction italiane che non esibiscano come motivo di attrazione una qualche componente melò. I titoli classificati sotto l’etichetta identità (biografie di personalità notevoli e ricostruzione di eventi significativi per la storia e l’identità nazionale, adattamenti di testi del patrimonio della letteratura europea sulla falsariga degli sceneggiati) costituiscono di gran lunga il 17 pacchetto di titoli più consistente dell’offerta del 2011-2012 e risultano più che raddoppiati rispetto alla scorsa stagione (tab. 9). Questi titoli (con un’unica eccezione) sono tutti prodotti e offerti dalla Rai, nel rispetto delle convenzioni del genere, sono tutti delle novità non seriali, e sono tutti ambientati nel passato. Una così corposa presenza di fiction identitarie ha trasmesso la propria impronta a tutta l’offerta stagionale che infatti si caratterizza per una forte incidenza delle novità, un ribasso della serialità, un ampliarsi dello scarto fra numero di titoli Rai e Mediaset, un deciso incremento delle fiction di ambientazione non contemporanea che passano dal 28% della scorsa stagione, al 36% di quella in esame. In sostanza, più di un terzo dei titoli è ambientato nel passato: una concentrazione inusuale anche per una fiction fortemente orientata al racconto in costume come quella italiana, inusuale come il primato dei titoli identitari nella classifica dei generi più praticati e la consistenza dell’incremento interstagionale. Alla base di questo dato sorprendente ci sono due ordini di ragioni. La prima è quella strategia delle scelte contingenti, già evidenziata nel paragrafo di apertura. In una fase di profonda incertezza, la Rai investe sistematicamente in quello che è tradizionalmente il genere in cui ha raggiunto il maggior numero di successi di pubblico e di immagine; una strategia contingente appunto, difficilmente reiterabile nell’immediato futuro, stanti, da un lato, gli elevati costi unitari dei titoli non seriali in costume, e dall’altro la crescente necessità di abbassare i costi medi della produzione. L’altra ragione è anch’essa contingente: in questa stagione arriva a compimento l’impegno della televisione di servizio nelle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, che ha visto anche la fiction in prima linea. Non a caso le ambientazioni risorgimentali sono le più frequenti nelle ficton storiche della stagione: da Anita Garibaldi a Il Generale dei briganti, da Noi credevamo a Violetta. Questi titoli più di altri evidenziano una forte contaminazione melodrammatica, che funziona in entrambe le direzioni. Se la vicenda, storiograficamente complessa e controversa, del brigantaggio diventa uno scenario puramente funzionale a un intreccio da feuilleton, allo stesso modo il più classico dei melodrammi, La signora delle camelie/La traviata, viene riscritta e riambientata in funzione patriottico-risorgimentale (Violetta). Quanto agli altri scenari storici evocati dalla fiction della stagione, alcuni sono inconsueti (il Medio Evo di Barbarossa), altri più canonici, come la Seconda Guerra Mondiale (Il generale della Rovere, L’affondamento del Laconia) e la Shoah (L’olimpiade nascosta). Del pacchetto dei titoli identitari fanno parte, come di consueto, adattamenti letterari (La figlia del capitano, La certosa di Parma), fiction religiose (Maria di Nazareth, Suor Pascalina) e biografie di eroi civili (Paolo Borsellino – I 57 giorni). Ma i tradizionali bacini del biopic televisivo italiano sono ormai ampiamente sfruttati, e una linea di tendenza per implementare, e in parte rinnovare questo genere, è quella di (melo)drammatizzare vicende biografiche di personaggi emblematici del mondo dello sport (Tiberio Mitri, Il sogno del maratoneta) e dello spettacolo (Walter Chiari). Crime e melodramma sono così frequentemente ibridati, che spesso ormai si fa fatica a distinguerli. Sono molti i titoli della stagione le cui narrazioni sono basate su eventi 18 criminali che creano i blocchi emotivi e gli impedimenti affettivi tipici del melodramma. Si tratta soprattutto di titoli Mediaset, che utilizzano così sistematicamente l’ibridazione melò/crime, sia sulla media (Sangue caldo, Viso d’angelo, Dov’è mia figlia?) che sulla lunga serialità (Un amore e una vendetta, Le tre rose di Eva), da farne il brand più forte e caratterizzante della propria offerta di fiction nella stagione. Toni forti che accomunano il crime/melò ai thriller della collection Sei passi nel giallo, anch’essi in onda su Canale 5. Il crimine vissuto non dalla parte di chi indaga ma di chi lo commette o lo subisce, rappresentazioni di situazioni violente, emozioni negative o moralmente ambigue (la vendetta) sono tratti distintivi di questo raggruppamento di titoli. Il crime/melò trova spazio anche nell’offerta Rai (Il segreto dell’acqua, La donna che ritorna), accanto però al crime/investigativo, affidato a una serie storica come Don Matteo 8, o a novità che però ripropongono personaggi già noti al pubblico televisivo (Il giovane Montalbano e Nero Wolfe). L’unico investigatore ricorrente del tutto inedito della stagione è la suora detective protagonista di Che Dio ci aiuti, fiction fortemente ibridata di elementi relazionali al pari dell’altra serie Rai che ruota attorno alle vicende di un’investigatrice dilettante: Provaci ancora prof. 4. Il melodramma classico, nelle sue varie declinazioni, è sistematicamente presente nella fiction Rai, dal melò in costume (Titanic) a quello familiare (Sarò sempre tuo padre, Una grande famiglia) e sentimentale (La ragazza americana). Finisce per iscriversi nei canoni del melò sentimentale anche Cenerentola, rielaborazione della celebre fiaba ambientata in Italia negli anni cinquanta e privata di ogni elemento fantastico. In una stagione dominata da storie a tinte forti, in cui persino il melodramma viene esasperato attraverso innesti crime, perdono inevitabilmente terreno le fiction che puntano su intrecci relazionali radicati in contesti quotidiani. Infatti, sono poche e in calo dramedy e commedie relazionali. Non mancano i titoli Rai (Dove la trovi una come me?, Tutti pazzi per amore 3) ma sono in leggera prevalenza quelli Mediaset (Anna e i 5, Baciati dall’amore) che, con Benvenuti a tavola, ha presentato l’unica novità seriale di rilievo della stagione, in uno dei generi seriali per antonomasia, il family. Chiudiamo questa breve panoramica delle linee editoriali Rai e Mediaset, con un rapido sguardo ai generi meno frequentati dalla fiction italiana della stagione. La cronaca ha fornito spunti interessanti per un ridotto numero di drammi d’attualità: da Il delitto di via Poma a La vita che corre sulle stragi del sabato sera, a Mai per amore collection dedicata al tema della violenza sulle donne. Se i titoli di genere drammatico sono non seriali e in prevalenza Rai, quelli comici, come di consueto, sono soprattutto seriali e targati Mediaset. I più significativi, non foss’altro perché trasmessi da una rete “alternativa” come Italia 1, sono stati Camera Cafè e Così fan tutte. Il fantastico, nelle sue varie declinazioni, ha sempre avuto uno spazio marginale nelle politiche produttive della fiction italiana, ma in questa stagione, seppur in numero ridotto, 19 le fiction di genere mistery (il fantastico calato in contesto realistico che genera un mistero da indagare) si sono comunque ritagliate un ruolo significativo. Infatti, in una stagione in cui è stata palese la difficoltà di proporre nuovi e convincenti eroi seriali nel più classico genere detection, sia Rai che Mediaset hanno individuato nel mistery il terreno ideale per mettere in campo inediti e convincenti figure di investigatori anticonvenzionali. Si tratta de Il restauratore (Raiuno), il cui protagonista è dotato del potere della preveggenza, e de Il Tredicesimo apostolo (Canale 5), che vede al centro delle storie una inusuale coppia di investigatori, un gesuita e una psicologa, alle prese con fenomeni paranormali e complotti ecclesiastici. Suggestioni alla Dan Brown che contaminano anche l’unico titolo di genere avventuroso della stagione: I guardiani del tesoro, trasmesso da Canale 5. In sintesi, il perno della fiction Rai della stagione è costituito dalle fiction dell’identità e della memoria, attorno a cui l’emittente pubblica ha costruito una strategia di relativa differenziazione dell’offerta che spazia dal melodramma alla detection, classica e ibridata di commedia o elementi fantastici, passando per il dramma d’attualità e la commedia sentimentale. Al contrario Mediaset ha costruito la sua offerta attorno ad un gruppo di titoli a tinte forti (crime/melò e thriller con punte horror), accanto a cui ha mantenuto piccole dosi di comicità e dramedy relazionale. Exploitation: autoreferenzialità e trame sensazionalistiche Con il termine exploitation si intende lo sfruttamento intensivo di generi e filoni narrativi, cui si accompagnano strategie discorsive eccessive e sensazionalistiche, che non escludono operazioni sofisticate (Pulp fiction è una di queste). Questo termine è stato coniato per descrivere politiche produttive nate nell’industria hollywoodiana, e poi adottate in differenti contesti produttivi, compreso il cinema italiano: dal peplum ai film di pirati, dal poliziottesco allo spaghetti western, praticamente non c’è genere popolare che non abbia attraversato la fase exploitation. Anche la fiction italiana, in alcuni suoi generi, sta attraversando questa fase, iniziata da qualche anno e che nell’offerta della stagione sembra arrivata a maturazione. Le strategie exploitation messe in campo, in alcuni casi passano attraverso il gioco dell’autoreferenzialità. Ne è un esempio brillante Che Dio ci aiuti, il cui concept potrebbe essere riassunto così: Don Matteo incontra Tutti pazzi per amore. La serie di Raiuno spinge avanti il confine della classica ibridazione giallo-commedia, tipica della serie all’italiana per fondere i due universi narrativi più estremi e antitetici, sotto il profilo etico ed estetico, proposti in questi anni da Raiuno. Nella classica serie all’italiana (da Il maresciallo Rocca in poi), l’ibrido fra detection e commedia familiare, conservava un aggancio referenziale ai due generi e ai modi messi in scena: l’investigatore (poliziotto, carabiniere, prete), era riconoscibile come tale, e lo stesso la famiglia e i sentimenti ad essa collegati. In Che Dio ci aiuti, la suora protagonista ha tutti gli attributi della suora-investigatrice da fiction (eroina della comunicazione, risolutrice e redentrice, devota ma di ampie vedute…), ma non conserva nessuna eco dei suoi referenti realistici (la suora e l’investigatrice) né sul piano 20 etico, né su quello psicologico o funzionale, e lo stesso vale per il colorato universo parafamiliare che le ruota attorno. Il gioco funziona alla perfezione proprio perché è autoreferenziale, cioè rimanda, portandolo alle estreme conseguenze, al peculiare immaginario della fiction di Raiuno, sedimentato in questi anni. Un’altra strategia exploitation è quella del melò/crime di Canale 5 che lavora sul sensazionalismo dell’intreccio. Inteso come situazioni forti in termini di sesso, violenza, trasgressioni in genere (forti ovviamente per i canoni della fiction generalista italiana) ma, soprattutto come gioco narrativo che ha il suo perno nell’accumulo di elementi di trama, spesso eterogenei e nella ricerca di continui colpi di scena, che trovano un loro regime di verosimiglianza, non nella struttura classicamente intesa, ma nei meccanismi ludici dell’exploitation. Questo modello narrativo, messo a punto attraverso le numerose fiction costruite attorno alla figura divistica e alla maschera trasgressiva di Gabriel Garko, è ormai diventato canonico e se ne trova un’eco in numerose produzioni, ad esempio Le tre rose di Eva, dove il classico immaginario soap di una guerra di potere in un’azienda vinicola, viene arricchito e complicato dalle mosse della “setta delle 3 rose” del titolo. Operazione simile, ma di taglio più raffinato, quella compiuta da Raiuno con Una grande famiglia. Anche in questo caso l’immaginario classico del melò familiare e dei “ricchi che piangono” viene incrociato con sottili atmosfere misteriche, legate alle apparizioni di un personaggio creduto morto, e con l’utilizzo della struttura narrativa basata sul narratore inaffidabile, “sdoganata”, in ambito seriale, da Lost. La forza di Una grande famiglia, sta nella capacità di mescolare non solo repertori di genere molto distanti, ma anche diverse tradizioni culturali, recuperando suggestioni dalla serialità americana per ricondurle dentro i canoni della fiction di Raiuno: la recitazione teatrale degli interpreti, il ritmo lento, la narrazione quasi in tempo reale, fanno de La grande famiglia una intrigante versione, rivista e aggiornata, di un classico sceneggiato e rappresenta, da questo punto di vista, la versione exploitation delle radici della fiction di Raiuno. La presenza così sistematica di strategie exploitation, e il fatto che risultino vincenti a livello di ascolti, è un segnale dello stato dell’arte della fiction italiana: da un lato, è emblematica della forza del legame fra una determinata rete, i canoni della propria fiction e il suo pubblico di riferimento; dall’altra l’exploitation, storicamente, è indicatore della fine di un ciclo produttivo. 21 3. I formati: la nuova impennata delle miniserie Nel 2011-2012 la miniserie torna ad essere il formato privilegiato della fiction italiana. Sono miniserie quasi la metà dei titoli della stagione, formato in netta crescita nel passaggio interstagionale, tanto da compensare ampiamente il sensibile decremento dei titoli seriali (tab. 10). Tabella 10 – I formati (n. titoli) Rai Diff. Int. Film-tv 4 = Collection 1 +1 Miniserie 21 +9 Serie 8 -3 Serial 3 = Totale 37 +7 Mediaset 5 1 5 7 3 21 Diff. Int. +2 +1 +2 -3 = +2 Tot. 9 2 26 15 6 58 Diff. Int. +2 +2 + 11 -6 = +9 L’incremento interstagionale dei titoli dunque, è strettamente legato alla crescita del numero della miniserie, in larga misura concentrato nell’offerta Rai (tab. 10), e conseguenza della forte concentrazione di titoli appartenenti alla linea editoriale dell’identità e della memoria, il cui formato privilegiato è la miniserie evento in due parti. Le decisioni relative ai formati hanno sempre carattere strategico nell’industria televisiva, poiché il formato implica scelte in merito alla forma, ai contenuti e alla programmazione dei titoli di fiction. Siccome i formati seriali, sia quelli a serialità forte che quelli a serialità debole, presentano al loro interno notevoli differenziazioni, che rappresentano altrettante opzioni industriali ed editoriali, è importante analizzare più nel dettaglio quelle opzioni e le relative scelte compiute da Rai e Mediaset. Per farlo, utilizziamo lo schema presentato nella tabella 11 che per ciascun formato prende in esame le differenti pezzature (numero di episodi). Tabella 11 – Formati per numero di episodi (n. titoli) 1 episodio 2 episodi 4-8 episodi Film-tv Collection Miniserie Serie e serial Totale Diff. Int. Rai 4 - Med. 5 9 +2 Rai 18 - Med. 1 19 +8 Rai 1 3 4 Med. 1 4 3 16 +3 12-26 episodi Rai Med. 5 4 9 -7 + 26 episodi Rai - Med. - 2 3 5 +3 Le miniserie in due parti sono il formato più numeroso e sono praticamente un’esclusiva dell’emittente pubblica. Su tutti gli altri formati, e sulle relative pezzature, lo scarto fra 22 l’offerta Rai e Mediaset non supera mai un titolo: le due emittenti fanno scelte praticamente identiche (tab. 11). Le differenze interstagionali più marcate riguardano le miniserie in due parti (poco meno che raddoppiate) e la lunga serialità di prima serata, quella convenzionalmente compresa nel range 12-26 episodi, i cui titoli risultano quasi dimezzati (tab. 11). Ma il dato più significativo emerge confrontando le due categorie seriali che sono naturalmente concorrenti, e cioè la serialità media (4-8 episodi) e la serialità lunga (12-26 episodi). Non solo questi due formati hanno un andamento asimmetrico, il primo sale e il secondo scende ma, e questo è il dato più significativo, i rapporti di forza risultano invertiti rispetto alla scorsa stagione: i titoli realizzati nel formato della serialità media sopravanzano quelli di lunga serialità. Per dare il giusto peso agli andamenti dei formati appena evidenziati è utile contestualizzarli in una serie storica. Il grafico 8 mostra i dati relativi alla distribuzione dei titoli nelle cinque pezzature standard. Come punto di inizio è stata scelta la stagione 2008/2009, l’ultima in cui i titoli di fiction hanno superato le 60 unità. Il numero di film-tv, dopo il picco della stagione 2008/2009, quando Mediaset aveva cominciato l’esperimento dei piloti in onda (film-tv da testare in vista dello sviluppo seriale), si è stabilizzato sotto le 10 unità. Le miniserie in due parti, dopo due stagioni in cui sono state in calo, nel 2011-2012 sono in netta crescita, raggiungendo il valore più alto dal 2008. La serialità media (4-8 episodi) in questi anni ha sempre mantenuto un peso significativo nell’offerta Rai e Mediaset, ma i titoli realizzati in questa pezzatura non sono mai stati così 23 numerosi come nel 2011-2012, stagione nella quale per la prima volta superano i titoli di lunga serialità. La lunga serialità di prima serata (12-30 episodi) va incontro a un calo repentino nella stagione 2011-2012, toccando il minimo storico dal 2008. I titoli di lunghissima serialità (soap e sitcom interstiziali) restano pochi ma recuperano terreno, tornando sui livelli di quattro stagioni fa. La distribuzione dei titoli sui diversi formati, trova una diretta rispondenza nell’andamento dell’offerta rispetto alla durata degli episodi (grafico 9). Gli episodi lunghi (durata superiore ai 60’), rispetto alla scorsa stagione, sono in crescita sia su Rai che su Mediaset (graf. 9) come conseguenza: a) dell’accresciuta produzione di film-tv, miniserie in due parti, miniserie lunghe e serie brevi, tutti formati che adottano la pezzatura cinematografica degli episodi; b) la scelta di Mediaset di puntare, per la lunga serialità di prima serata sul formato da 80’ che, su alcune produzioni, ha cominciato a rimpiazzare quello canonico da 50’ (nella passata stagione I Cesaroni, in quella attuale, Le tre rose di Eva). Di conseguenza, sull’offerta di entrambe le emittenti diminuisce il numero degli episodi medi (50’), che risultano la pezzatura meno praticata dalla fiction italiana. Rispetto alla scorsa stagione cresce nettamente la programmazione di episodi brevi (durata inferiore ai 30’), soprattutto su Mediaset, sulla cui offerta hanno un peso decisivo i quasi 200 microepisodi della nuova edizione di Camera cafè. 24 Tabella 12. - Indice di serialità (rapporto fra n. di episodi e n. di titoli) 2008-2009 2009-2010 2010-2011 2011-2012 Rai 19 15,3 12,8 11,2 Mediaset 13,4 13,5 17 24,6 La svolta miniseriale della fiction Rai nella stagione è fotografata da un indice di serialità che risulta il più basso delle ultime quattro stagioni. Al contrario, il numero medio degli episodi della fiction Mediaset è in netta crescita rispetto alle ultime stagioni, ancora una volta per l’effetto Camera Cafè (escludendo la quale, l’indice di serialità Mediaset sarebbe di 15 episodi a titolo). La serialità italiana di fronte a un bivio Commentare i dati di una stagione di fiction significa confrontarsi con gli esiti: a) di decisioni prese almeno un anno prima, quando le contingenze del mercato possono essere molto diverse da quelle in cui gli esiti di tali decisioni andranno ad inserirsi; b) di una serie di scelte che vanno a sommarsi nel tempo producendo un determinato effetto. Appartiene al primo tipo lo spettacolare incremento interstagionale delle miniserie in due parti, frutto di scelte maturate 12-24 mesi fa, quando la crisi economica non aveva ancora dispiegato tutti i suoi effetti, mettendo l’industria televisiva, al pari di tanti altri settori produttivi, di fronte alla necessità stringente di comprimere i costi. La nostra industria, producendo molto in questo formato, ha messo a punto un modello produttivo efficiente nella realizzazione dei “film in 2 parti”, e sicuramente le miniserie continueranno ad aver un ruolo significativo nell’offerta, soprattutto Rai, che però non sarà paragonabile a quello avuto in questa stagione o, in generale, negli anni del rilancio produttivo della fiction e della crescita dell’industria. Ma qual è l’alternativa? I dati del 2011-2012 indicano una opzione privilegiata: la serialità media. Il sorpasso di quest’ultima rispetto alla lunga serialità è un esempio di quegli esiti frutto di decisioni reiterate nel tempo. Da alcune stagioni infatti, come abbiamo puntualmente rilevato nei rapporti OFI, si era manifestata la tendenza a privilegiare le serie medie rispetto alle lunghe con un progressivo effetto di sostituzione dei titoli più datati (spesso realizzati nel formato 12 o 24 x 50), che mano a mano andavano esaurendosi, con nuovi titoli prodotti nel formato 6 x 100’. E’ paradossale che quindici anni fa, in una fase di assoluta inesperienza nei formati seriali ma di fiducia nella crescita del futuro dell’industria, venissero varate lunghe serialità come Incantesimo, Un medico in famiglia, Don Matteo, Distretto di polizia, La squadra, Carabinieri, per non citare che alcuni dei più longevi, mentre oggi, dopo anni di esperienza maturati sul prodotto seriale, prevale un clima di sfiducia che porta alla scelta prudenziale della serialità media. Da dove nasce questa sfiducia? In parte è legata a quella crescente fluidità del mercato e degli ascolti, che spingono sistematicamente a strategie di riduzione del rischio. Dall’altro però essa affonda nella sfiducia sulle capacità di scrittura e 25 di realizzazione del prodotto seriale, che negli anni del rilancio produttivo della fiction e del consolidamento dell’industria, non è cresciuto a sufficienza. Ora, questo è il vero nodo irrisolto, che pone la serialità italiana di fronte a un bivio. Che non è tanto quello delle pezzature e delle durate: serie lunghe e medie possono tranquillamente coesistere. Sia le une che le altre presentano vantaggi e svantaggi: le prime presentano un maggiore potenziale di racconto, di immaginario e di fidelizzazione; le seconde sono meno rischiose e si prestano con più facilità a essere veicolo per lo star system. Una fiction all’avanguardia come quella britannica, dimostra come un’industria possa prosperare facendo sistematico affidamento su serie di 6-8 episodi a stagione. Purché siano serie autentiche, cioè basate su un concept ripetibile capace di reiterare a lungo il successo della prima edizione, capaci di fidelizzare e di garantire la continuità e la regolarità della produzione, conditio sine qua non di un’industria capace di svilupparsi e prosperare. Basta un’occhiata ai dati della tabella 11, per vedere come nella categoria della serialità media finiscano sia miniserie lunghe che serie corte. E spesso il confine è così sottile che è difficile distinguerle. Questo è il bivio di fronte al quale si trova la fiction italiana: da una parte la serialità autentica, seppur in formato corto, basata su un concept ripetibile, dall’altra la tentazione della miniserie allungata, basata su una premessa accattivante sull’immediato ma non reiterabile se non con faticose operazioni di sequel dall’esito sempre incerto; da un lato una strada in salita, che impone di aggiornare i modelli produttivi e di scrittura, ma che offre una autentica prospettiva di sviluppo all’industria; dall’altro una strada in discesa, che consente di continuare a scrivere e girare la serialità come un lungo film, ma che risulta fatalmente immobilista e, a lungo andare regressiva, rispetto alla qualità e alla tenuta del prodotto fiction. 26 4. Programmazione: in aumento le prime serate Concentrazione è la parola chiave che riassume le strategie Rai e Mediaset sulla fiction, già in atto e ulteriormente radicalizzata in quest’ultima stagione. Concentrazione sulle reti ammiraglie, concentrazione nel periodo settembre-maggio, concentrazione in prime time. La fiction trasmessa in prime time, sia Rai che Mediaset, è in aumento rispetto alla scorsa stagione (graf. 10): l’82% del volume orario complessivo di fiction del 2011-2012 (più dei quattro quinti) è andato in questa fascia oraria. Rai, che come sempre ha trasmesso la soap Un posto al sole nello slot 20:30-21:00, ha collocato tutta la propria fiction in prime time, salvo una manciata di ore (gli episodi residuali di Piloti) trasmesse di notte. Rispetto alla scorsa stagione Mediaset invece ha aumentato l’offerta sia in prime time che in daytime, dove l’appuntamento con Camera Café è andato ad affiancare quello tradizionale con Centovetrine. Tab. 13 Numero di serate di fiction 2011-2012 Rai 130 Mediaset 104 Totale 234 2010-2011 122 93 215 Differenza +8 + 11 + 19 27 All’incremento del volume orario in prime time corrisponde ovviamente un aumento del numero di prime serate di fiction: nel 2011-2012 sono state complessivamente 234 (tab. 13) il numero più alto delle ultime quattro stagioni (graf. 11). Nel passaggio interstagionale crescono le prime serate di fiction su entrambe le emittenti (tab. 13). Come di consueto le serate Rai sono in numero maggiore di quelle Mediaset. L’incremento di queste ultime, leggermente superiore alla crescita delle serate Rai, è frutto di una politica di sfruttamento estensivo del prodotto fiction in prime time: nella stagione Mediaset ha realizzato prime serate di fiction con titoli da daytime (Centovetrine e Camera Café) e programmano per alcune settimane un solo episodio da 50’ di Distretto di polizia seguito dalla replica di un episodio di Squadra antimafia. Comunque sia stato ottenuto, l’incremento del numero di prime serate di fiction è tangibile e, ancora una volta, concentrato su Raiuno e Canale 5, reti sulle quali la fiction di produzione è evidentemente un genere strategico. Sia su Raiuno che su Canale 5, il numero di serate di fiction è in netto aumento rispetto alla scorsa stagione, mentre sulle altre reti Rai e Mediaset, considerate complessivamente, è in calo (tab. 14). Su Rai sono venute meno le serate di Raitre, che per molti anni erano state garantite da La squadra; su Mediaset, Canale 5 recupera la diaspora delle proprie serate che nella scorsa stagione erano state programmate su Rete 4 e La 5. 28 Tabella 14 – Numero di serate di fiction per giorno e rete DO LU MA ME GIO VE SA TOT Raiuno Raidue Raitre RaiPremium Canale 5 Italia 1 Rete 4 La 5 Totale Diff. Inter. 0 0 0 0 0 0 0 0 0 -1 125 2 1 2 100 4 0 0 234 36 0 0 0 23 0 0 0 59 + 18 26 0 0 2 1 0 0 0 29 -4 24 0 0 0 13 4 0 0 41 -6 4 2 0 0 35 0 0 0 41 + 16 35 0 0 0 16 0 0 0 51 +6 0 0 1 0 12 0 0 0 13 - 10 Diff. Inter. + 12 +2 -8 +2 + 16 +3 -4 -4 + 19 L’accresciuto livello di concentrazione della fiction su due sole reti è andato di pari passo con la concentrazione della programmazione in determinate serate della settimana. Lo scarto fra il giorno con il maggiore e il minore numero di serate di fiction, rispettivamente domenica e venerdì (tralasciamo il sabato, dove, tradizionalmente, non va mai in onda fiction domestica) è di 46 serate contro le 22 della passata stagione. La domenica torna ad essere la giornata per eccellenza della fiction, con un record di 59 serate: nella stagione, la domenica sera, Raiuno ha programmato praticamente solo fiction italiana, e Canale 5 lo ha fatto per i due terzi delle volte. Le altre giornate con un’alta percentuale di fiction sono quelle centrali della settimana: martedì, mercoledì e soprattutto giovedì, dove sia Raiuno che Canale 5 hanno programmato alcuni dei loro titoli seriali. Il mercoledì è l’unico giorno in cui le serate di fiction di Mediaset superano quelle della Rai. In questa stagione, il mercoledì per Raiuno è stato il giorno dell’appuntamento con le partite della Champions league, a cui spesso Canale 5 ha contrapposto la fiction domestica, mirando al pubblico femminile amante degli intrighi e del melodramma, le materie prime di gran parte della nostra fiction. Passando invece alle controprogrammazioni dirette fra fiction italiane, le serate in cui sono andate in onda due fiction domestiche in prima visione sono state il 30% del totale, percentuale analoga a quella delle ultime stagioni. Per forza di cose, la serata con la più alta concentrazione di controprogrammazioni è stata la domenica. Va rilevato come la connotazione fortemente femminile della fiction italiana l’abbia trasformata nell’alternativa naturale al calcio. Se c’è così tanta fiction la domenica sera su Raiuno e Canale 5, è anche perché questa serata per il pubblico televisivo maschile è legata indissolubilmente alla diretta del posticipo di Serie A trasmesso sulle reti a pagamento. L’incremento interstagionale del numero delle serate non si traduce in un analogo incremento dell’indice di serialità dell’offerta di prima serata, che sulla fiction Mediaset registra un incremento infinitesimale, mentre su quella Rai risulta in calo (tab. 15). 29 Tabella 15 – Indice di serialità dell’offerta di prima serate (rapporto fra n. serate e n. titoli) 2008-2009 2009-2010 2010-2011 2011-2012 Rai 4 5,4 4 3,7 Mediaset 3,5 4,3 4,9 5,2 L’incremento delle serate è stato ottenuto attraverso l’aumento dei titoli programmati in questa fascia oraria, e non attraverso un maggior grado di serializzazione dell’offerta. I dati relativi a questo indicatore, molti simili per Rai e Mediaset, fotografano la predilezione per la serialità breve e media di entrambe le emittenti. Produzione e programmazione: una difficile sinergia La programmazione in prima serata di una sitcom con episodi da 5’ (Camera Cafè), e di una soap (Centovetrine) che, sin dal suo esordio 11 anni fa e sino a questa stagione, era andata in onda nel primo pomeriggio, è solo l’ultimo esempio di quella tensione che da sempre caratterizza il rapporto fra produzione offerta di fiction italiana. Che le esigenze della programmazione retroagiscano sulle logiche della scrittura e della produzione è del tutto naturale e in larga misura auspicabile. Senza le costrizioni del palinsesto televisivo e la necessità di prevedere break commerciali, ad esempio, non si sarebbe mai sviluppato quel peculiare linguaggio narrativo che tanto ammiriamo nelle serie americane. Allo stesso modo in Italia, la codifica della miniserie in due parti come formato principe della nostra fiction, è avvenuto nei primi anni Novanta sulla spinta di una precisa esigenza di palinsesto: prendere il posto dei film, fino a quel momento massicciamente utilizzati negli appuntamenti di prime time, sostituendo con un solo titolo di fiction di taglio cinematografico, non uno, ma due film in un colpo solo. Il problema però, quando si montano insieme cinque puntate di una soap, o una decina di episodi di una sitcom interstiziale per coprire una serata, è che l’esigenza della programmazione finisce per snaturare la logica del prodotto e il suo linguaggio. E questo poi, porta a ragionare in termini assolutizzanti: se non è possibile utilizzare agevolmente una soap per coprire le due ore della prima serata, ha senso produrre una soap? La risposta rischia di essere negativa come quella data ad una analoga domanda sulla sitcom che, proprio per questa ragione, non ha avuto da noi nessuno sviluppo. L’ormai quasi esclusiva concentrazione del prodotto domestico in prima serata, unita all’esigenza della serata indivisa, sta orientando la produzione verso un formato unico: episodi di durata cinematografica (in alcune produzioni Mediaset accorciati a 80’), che portano come conseguenza quasi necessaria la serialità media, che a sua volta spinge verso la narrazione ad arco narrativo unitario). E questo, evidentemente, rischia di appiattire oltremisura la nostra produzione. Ci sono generi che funzionano molto bene su questo formato (su tutti il melodramma, ed è anche per questo che in Italia se ne producono tanti), 30 altri come la comicità, la dramedy relazionale o le storie di detection, funzionano meglio su pezzature di episodio più brevi. Marginalizzare o snaturare questi generi in ossequio al dogma della prima serata unitaria è una scelta miope, che finisce per impoverire l’offerta di fiction e il suo appeal complessivo. C’è un’altra fonte di possibile tensione fra programmazione e produzione di fiction, una tensione ancora latente, la cui esplosione potrebbe non essere negativa ma utile a favorire nuove opportunità di crescita per l’industria televisiva italiana. La replicabilità è uno dei vantaggi competitivi della fiction ben fatta. Rai e Mediaset già utilizzano ampiamente le repliche della fiction domestica, non solo sulle proprie reti generaliste ma anche sui canali specializzati (il palinsesto di Rai Premium è dedicato quasi esclusivamente alle repliche di fiction italiana, che sono sempre più presenti anche su Iris e La 5); non solo in prime time ma anche in altre fasce orarie. Sin qui l’utilizzo in replica, tanto sulle reti generaliste che su quelle specializzate, non ha minimamente retroagito sulla produzione. Ma, la pressante richiesta di contenuti, possibilmente contenuti pregiati, come la buona fiction, dovrà necessariamente portare a riconsiderare il ruolo competitivo del prodotto domestico anche su reti e su fasce orarie differenti dalla prima serata di Raiuno e Canale 5. E ciò potrà avvenire, sia sviluppando produzioni specificamente destinate a reti e fasce orarie alternative a quelle adesso egemoni ma anche, tenendo conto, in sede di scrittura e produzione del prodotto generalista, del suo necessario riutilizzo al di là della prima visione sul prime time delle ammiraglie Rai e Mediaset. Ad esempio, l’esperienza accumulata in questi anni con le repliche del prodotto domestico, ha già evidenziato degli scarti significativi nell’efficacia della fiction fra la prima visione e i successivi passaggi. Sui formati brevi al primo passaggio, le reti ottengono i migliori risultati con le miniserie evento, che sono di fatto non replicabili, se non rimontate in versione filmtv. Le serie con episodi chiusi (Il commissario Montalbano, Don Matteo) ottengono in replica risultati decisamente migliori di serie, altrettanto popolari, costruite tutte in orizzontale. Se le serie medie con episodi da 100’ sembrano essere l’opzione privilegiata per il prime time di Raiuno e Canale 5, è ormai assodato che la merce più preziosa sul mercato delle repliche è costituita dalle serie lunghe da 50’, le più adatte alla programmazione estensiva e le più duttili nella programmazione, visto che si prestano sia alla programmazione settimanale in prime time, che alla messa in onda a cadenza quotidiana in fasce orarie diverse dalla prima serata. La crescente consapevolezza di questi scarti fra utilizzo in prima visione e replica, potrebbe imporsi come un positivo elemento di tensione fra produzione e programmazione, capace di contribuire all’auspicabile pluralizzazione dei generi e formati praticati dalla fiction italiana. 31 5. Ascolti: concentrati e polarizzati In una stagione televisiva caratterizzata da un complessivo calo degli ascolti della televisione generalista, legata innanzitutto al definitivo passaggio dalla tv analogica al digitale, alla fiction è stata assegnata ancora una volta un’unica e sola mission: perseguire l’ascolto classico, quello ampio e trasversale, della tv generalista. Obiettivo che è stato centrato, completamente dalla fiction di Raiuno, in misura minore da quella di Canale 5. L’offerta di fiction italiana inedita su Raiuno è riuscita a confermare i buoni risultati della scorsa stagione: la limatura dell’ascolto nel passaggio interstagionale (graf. 12), in un panorama dominato da contrazioni consistenti dell’ascolto delle generaliste è da considerare come un risultato di tutto rispetto. Risulta invece più marcato il calo interstagionale dell’ascolto medio della fiction di Canale 5 (graf. 12) su cui ha pesato l’assenza di alcuni dei titoli seriali più forti della rete, in parte per ragioni produttive (I Cesaroni) in parte per scelte di programmazione. E’ il caso di Ultimo e Squadra antimafia, di cui Mediaset ha rimandato la messa in onda alla prossima stagione, in attesa di migliori prospettive sulla raccolta pubblicitaria, quest’anno fortemente penalizzata dall’acuirsi della crisi economica. Rispetto alla scorsa stagione è in crescita l’ascolto medio della fiction di Italia 1 (graf. 12), anche se, comparativamente parlando, è un dato poco significativo: quattro prime serate di fiction nel 2011-2012 contro una soltanto nel 2010-2011. Infine, risulta leggermente in calo la media della fiction di Raitre (graf. 12). Un posto al sole ha confermato i livelli d’ascolto della passata stagione, ma alla rete è venuto meno l’altro titolo storico della propria, La squadra, e Raitre ha offerto una sola prima serata di fiction con Noi credevamo, versione lunga di un film già uscito in sala e di scarso appeal televisivo. 32 Approfondiamo adesso l’analisi delle dinamiche dell’ascolto della fiction di prima serata di Raiuno e Canale 5 attraverso i due indicatori tradizionalmente utilizzati nei rapporti OFI: - diffusione dei successi. Le serate di fiction con ascolto medio pari o superiore a 5 milioni di spettatori sono il 65% di quelle offerte da Raiuno (erano state il 73% la scorsa stagione) e il 15% di quelle di Canale 5 (rispetto al 36% del 2010-201). La fiction di Raiuno quindi, è passata quasi indenne attraverso la tempesta che ha investito gli ascolti delle reti generaliste, tempesta che invece non ha risparmiato Canale 5 e la sua fiction. - intensità dei successi. Le serate di fiction con ascolto medio pari o superiore a 8 milioni di spettatori sono state 5, esattamente come nella scorsa stagione. Il fatto che la fiction di Raiuno sia riuscita a confermare ascolti di questa intensità, in uno scenario di avanzata frammentazione della audience è indicatore eloquente della potenziale credibilità della fiction domestica presso il grande pubblico. E lo è tanto di più, se si considera che nella passata stagione 4 delle 5 serate con ascolti sopra gli 8 milioni erano state realizzate da un solo titolo, Il commissario Montalbano, mentre in quella in esame sono state ben quattro le fiction che hanno realizzato almeno una serata con ascolti record: Paolo Borsellino - I 57 giorni, Maria di Nazareth, Sarò sempre tuo padre e Don Matteo 8. Sono questi i quattro titoli che aprono la classifica dei maggiori ascolti di fiction della stagione (tab. 16) Tabella 16 – Le fiction con i 20 maggiori ascolti N. Titolo Rete Formato 1 Paolo Borsellino - I 57 giorni Raiuno Filmtv Ascolto 8.163.590 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 Maria di Nazareth Sarò sempre tuo padre Don Matteo 8 Il giovane Montalbano Una grande famiglia Cenerentola La ragazza americana Che Dio ci aiuti Il generale dei briganti Provaci ancora prof. 4 La vita che corre Walter Chiari Il restauratore Il tredicesimo apostolo La donna che ritorna Dove la trovi una come me? Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Canale5 Raiuno Raiuno Miniserie Miniserie Serie Serie Serial Miniserie Miniserie Serie Miniserie Serie Miniserie Miniserie Serie Serie Miniserie Miniserie 7.758.773 7.397.353 7.037.451 7.008.096 6.837.689 6.680.725 6.516.126 6.336.904 6.219.191 6.212.580 6.164.785 5.962.892 5.901.372 5.773.187 5.760.667 5.693.029 18 19 20 La figlia del capitano Anita Garibaldi La Certosa di Parma Raiuno Raiuno Raiuno Miniserie Miniserie Miniserie 5.602.877 5.596.029 5.388.190 Produttore Leone Cinematografica Lux Vide Solaris Lux Vide Palomar Magnolia Lux Vide Immagine e Cinema Lux Vide Ellemme Group Endemol Dap Italy Casanova Albatross Taodue Endemol Leone Cinematografica Immagine e Cinema Goodtime Tangram La celebrazione, in chiave intimista, di un eroe civile seguita da una fiction religiosa: la classifica dei top 20 si apre e, nel suo insieme, si presenta all’insegna della continuità, al pari della complessiva offerta di fiction nella stagione. Fra i maggiori ascolti della stagione c’è una prevalenza di titoli non seriali (12 miniserie e 1 film-tv contro 7 serie) e una forte 33 concentrazione di titoli di ambientazione non contemporanea (9 su 20). Ma in che misura gli ascolti top rispecchiano gli andamenti complessivi delle performance della fiction? Per avere un quadro più dettagliato delle variabili che influiscono sul successo o l’insuccesso della produzione domestica analizziamo le performance della fiction di Raiuno e Canale 5, sulla base della share media dei singoli programmi. Tabella 17 – Raiuno. Performance delle fiction di prima serata Titolo N. serate Paolo Borsellino-I 57 giorni 1 Maria di Nazareth 2 Cenerentola 2 Don Matteo 8 13 Sarò sempre tuo padre 2 Il giovane Montalbano 6 Una grande famiglia 6 Che Dio ci aiuti 8 La ragazza americana 2 Provaci ancora prof. 4 6 Il restauratore 6 Walter Chiari 2 Il generale dei briganti 2 La vita che corre 2 Dove la trovi una come me? 2 La donna che ritorna 4 La figlia del capitano 2 La Certosa di Parma 2 Anita Garibaldi 2 Il signore della truffa 2 L’Olimpiade nascosta 2 Suor Pascalina 1 Il generale Della Rovere 2 Nero Wolfe 8 Violetta 2 A fari spenti nella notte 1 Mai per amore 4 Tutti pazzi per amore 3 13 Tiberio Mitri 2 Il sogno del maratoneta 2 Barbarossa 2 Il segreto dell’acqua 6 Titanic – Nascita di una leggenda 6 Share Media 30,01% 27,35% 27,08% 27,07% 26,49% 26,13% 25,17% 23,60% 23,55% 22,02% 21,91% 21,82% 21,68% 21,34% 21,27% 20,46% 20,03% 19,94% 19,70% 19,60% 19,03% 18,94% 18,80% 18,64% 18,15% 17,66% 16,98% 16,96% 15,75% 15,00% 13,43% 12,84% 11,73% 34 Come nella passata stagione una fiction di Raiuno riesce a raggiungere la soglia del 30% di share, un risultato eccezionale, da grande evento televisivo. Ma il risultato che vale la pena sottolineare è un altro. I titoli di Raiuno che hanno ottenuto una share media pari o superiore al 25%, quota che identifica i grandi successi, sono state 7 (tab. 17), contro le 4 della passata stagione. Dunque, in una fase di frammentazione degli ascolti, la fiction di Raiuno sembra riuscire a muoversi in controtendenza. Ma, a fare da contraltare alla crescita dei grandi successi, c’è da registrare anche un analogo incremento dei risultati più deludenti. Le fiction con share pari o inferiore al 15% in questa stagione sono state 4, a fronte di un solo titolo nel 2010-2011. La scorsa stagione, chiudeva la classifica delle performance di Raiuno la miniserie Notte prima degli esami, con una share media del 14,91%, un risultato nettamente superiore al fanalino di coda di quest’anno (tab. 17). Osservando la tabella 17, si nota come titoli di diverso genere e formato si collochino in tutte le zone della classifica: insomma non sembra esserci un genere o un formato capace di garantire il successo o che, al contrario, possa essere etichettato come insuccesso sicuro. L’idea, a lungo coltivata dall’industria televisiva italiana, che le ambientazioni non contemporanee e il formato non seriale siano sinonimo di successo garantito, è smentita dal consuntivo delle performance di Raiuno (tab. 17) la rete che più di ogni altra punta su questo tipo di fiction. Nel gruppo delle 10 fiction di Raiuno con la share più elevata (da Paolo Borsellino – I 57 giorni a Provaci ancora Prof. 4) così come fra i 10 programmi con la share più bassa (da Nero Wolfe a Titanic – Nascita di una leggenda), si trovano titoli appartenenti ai 3 generi forti dell’offerta di Raiuno: identità e memoria (dalla performance eccezionale di Paolo Borsellino ai flop di Tiberio Mitri e Il sogno del maratoneta), il crime investigativo (dai successi di Don Matteo 8 e Il giovane Montalbano al flop de Il segreto dell’acqua), al melò (dalle ottime performance di Sarò sempre tuo padre e Una grande famiglia a quella modesta di Titanic – Nascita di una leggenda). Su 10 titoli seriali offerti dalla rete, 6 si collocano nella parte alta della classifica (dal quarto posto di Don Matteo all’undicesimo de Il restauratore) e 4 nella parte bassa (dalla posizione n. 23 di Nero Wolfe, alla 32 di Titanic – Nascita di una leggenda). Passiamo adesso alle performance della fiction di prima serata di Canale 5, introducendo un ulteriore elemento di valutazione: la share media sul target commerciale (15-64). Si tratta di un dato particolarmente rilevante, visto che è questo il target privilegiato dell’ammiraglia Mediaset, a differenza di Raiuno, la cui mission è invece la ricerca del pubblico più ampio possibile. Per quel che riguarda Canale 5, è sulla base dell’obiettivo di centrare il target commerciale che vengono effettuate le scelte editoriali che danno forma alle fiction in onda sulla rete, ed è quindi sulla share del target commerciale che è stata elaborata la classifica presentata nella tabella 18. 35 Tabella 18 – Canale 5. Performance delle fiction di prima serata Titolo n° serate Share media Share target 15-64 Il tredicesimo apostolo 6 20,99% 23,40% Benvenuti a tavola 8 18,84% 20,70% Le tre rose di Eva 9 (12)* 19,29% 19,20% Dov'è mia figlia? 4 18,16% 18,60% Area Paradiso 1 16,12% 18,40% Sangue caldo 6 17,12% 18,30% Viso d'angelo 4 16,03% 17,90% Un amore e una vendetta 8 16,77% 17,20% Anna e i cinque 6 16,60% 16,90% Il delitto di Via Poma 1 14,72% 16,00% I guardiani del tesoro 1 14,48% 16,00% L'una e l'altra 1 15,31% 16,00% I cerchi nell'acqua 4 15,38% 15,40% Il commissario Zagaria 2 14,05% 13,90% Distretto di polizia 11 15 12,44% 13,60% Sei passi nel giallo 6 11,98% 12,70% Baciati dall'amore 6 11,38% 12,30% Centovetrine 11 11,44% 11,10% L'affondamento del Laconia 1 10,82% 10,70% * Il primo numero indica le serate in onda nella stagione, quello fra parentesi la durata complessiva della fiction. Nella scorsa stagione, due fiction in onda sull’ammiraglia Mediaset avevano registrato una share media sul target commerciale superiore al 25%, mentre nella stagione in esame nessun titolo ha superato quella soglia (tab. 18). Nel 2011-2012 sono due i titoli che hanno superato il 20% sul target 15-64, contro sei del 2010-2011. Passando agli insuccessi, le fiction con share sul target commerciale inferiore al 15%, nel passaggio interstagionale sono salite da 5 a 6. Dunque, la perdita di ascolti della fiction di Canale 5 nella stagione è stata causata innanzitutto dalla contrazione dei grandi ascolti: un problema che ha accomunato la fiction agli altri macrogeneri offerti dalla rete. I tre maggiori successi della fiction di Canale 5 in questa stagione sono stati 3 titoli seriali, appartenenti a tre differenti generi: il mistery (Il tredicesimo apostolo), il family (Benvenuti a tavola), il melò/crime in versione feuilleton (Le tre rose di Eva). La fiction più innovativa, è stata anche quella di maggior successo: un messaggio forte e chiaro da parte del pubblico della rete. Il crime/melò, il genere ibrido su cui è concentrato il maggior numero dei titoli della rete si è rivelato abbastanza affidabile: a parte il successo di Le tre rose di Eva, le altre fiction che rientrano, pur con varianti, sotto questa etichetta narrativa (Dov’è mia figlia, Sangue caldo, Viso d’angelo e Un amore e una vendetta) si sono tutti collocati nella parte medio-alta della classifica. 36 E’ interessante rilevare lo scarto fra la share sul target commerciale e quella sulla audience complessiva, come indicatore della maggiore o minore capacità dei vari titoli di centrare il pubblico privilegiato di Canale 5. Le prime due fiction in classifica, Il tredicesimo apostolo e Benvenuti a tavola (tab.18), presentano uno scarto positivo fra share sul target 15-64 e quello sul pubblico complessivo, segno che sono stati capaci di intercettare specifici gusti e attese specifiche del pubblico di Canale 5; mentre i due titoli immediatamente successivi, Le tre rose di Eva e Dov’è mia figlia?, hanno share molto simili sui due target, e ciò non è sorprendente visto che si tratta di due melodrammi, il mainstream per eccellenza della fiction italiana, senza distinzione di rete. Concludiamo l’analisi degli ascolti, prendendo in considerazione le due macrocategorie dei formati, non seriali e seriali, e valutando le performance dei vari titoli all’interno dell’una e dell’altra. Tabella 19 –Performance film-tv e miniserie in 2 parti (Raiuno e Canale 5) Titolo N. Serate Share Media Rete Paolo Borsellino - I 57 giorni 1 30,01% Raiuno Maria di Nazareth 2 27,35% Raiuno Cenerentola 2 27,08% Raiuno Sarò sempre tuo padre 2 26,49% Raiuno La ragazza americana 2 23,55% Raiuno Walter Chiari 2 21,82% Raiuno Il generale dei briganti 2 21,68% Raiuno La vita che corre 2 21,34% Raiuno Dove la trovi una come me? 2 21,27% Raiuno La figlia del capitano 2 20,03% Raiuno La Certosa di Parma 2 19,94% Raiuno Anita Garibaldi 2 19,70% Raiuno Il signore della truffa 2 19,60% Raiuno L'Olimpiade nascosta 2 19,03% Raiuno Suor Pascalina 1 18,94% Raiuno Il generale Della Rovere 2 18,80% Raiuno Violetta 2 18,15% Raiuno A fari spenti nella notte 1 17,66% Raiuno Area Paradiso 1 16,12% Canale5 Tiberio Mitri 2 15,75% Raiuno L'una e l'altra 1 15,31% Canale5 Il sogno del maratoneta 2 15,00% Raiuno Il delitto di Via Poma 1 14,72% Canale5 I guardiani del tesoro 1 14,48% Canale5 Il commissario Zagaria 2 14,05% Canale5 Barbarossa 2 13,43% Raiuno L'affondamento del Laconia 1 10,82% Canale5 37 I film-tv e le miniserie in 2 parti in onda sulle due ammiraglie sono state in tutto 27, il 52% del totale dei titoli trasmessi in prima serata da Raiuno e Canale 5. Le miniserie sono più del doppio dei film-tv e, con l’unica eccezione di Paolo Borsellino, ottengono gli ascolti migliori: nelle prime quattordici posizioni ci sono tredici miniserie (tab. 19). Le miniserie sono, salvo una eccezione, tutte fiction di Raiuno, che occupa con i suoi titoli, le prime 18 posizioni di questa graduatoria (tab. 19) Le fiction cinematografiche, in particolare le miniserie, confermano il tradizionale rapporto privilegiato con le ambientazioni non contemporanee: sono ambienti nel passato 17 dei 27 titoli non seriali della stagione e, di conseguenza, il genere maggioritario è costituito dalle fiction dedicate all’identità e alla memoria collettiva. E’ proprio all’interno di questo macrogenere che si rileva la maggiore polarizzazione degli ascolti che va di pari passo con una crescente dispersione del focus tematico di questa linea editoriale. Lo straordinario successo di Paolo Borsellino – I 57 giorni, capace di avvicinarsi alla audience stratosferica di 10 milioni di spettatori realizzati dalla miniserie dedicata al magistrato e alla sua tragica fine che Canale 5 trasmise nel 2004, mette in risalto i limiti della fiction italiana nel rinnovare il genere biografico. Da un lato c’è la difficoltà di identificare personaggi di statuto eroico esemplare, come quelli già proposti negli anni passati: in questa stagione è toccato a Anita Garibaldi, e l’ascolto è stato solo discreto. Dall’altro, il tentativo di innovare il tipo di personaggi oggetto di biografie agiografiche e romanzate, ha dato buoni esiti di ascolti con un divo dell’intrattenimento (Walter Chiari), ma si è tradotto in due flop con i campioni sportivi (Tiberio Mitri, Il sogno del maratoneta). Con Maria di Nazareth, le fiction a soggetto religioso hanno confermato i grandi successi delle passate stagioni, ma l’altra fiction religiosa della stagione, Suor Pascalina, era un titolo anonimo: anche in questo sottogenere, i soggetti cominciano a scarseggiare, tanto che ormai ci sono più figure di religiosi in veste di eroi ed eroine di polizieschi seriali (Don Matteo, Che Dio ci aiuti, Il tredicesimo apostolo), che come protagoniste di fiction evento storicobiografiche. Se gli adattamenti letterari si confermano fonti di ascolti ottimi nel caso delle fiabe popolari (Cenerentola, un successo come lo era stato Pinocchio due anni fa) e solo discreti quando si tratta di popolarizzare la grande letteratura (La certosa di Parma, La figlia del capitano), a mostrare la corda sono le fiction storiche tout court tanto che, in questo sottogenere, la performance migliore è stata ottenuta da Il generale dei briganti, fra le fiction storiche della stagione quella più apertamente melodrammatica e lontana dagli intenti pedagogico-culturali, che sono parte irrinunciabile dello statuto delle fiction identitarie. Fra le fiction non seriali del 2011-2012, risultano poco rappresentati gli altri generi (pochi le commedie e i drammi d’attualità e con titoli che non si sono imposti all’attenzione del pubblico) con l’eccezione del melodramma. In questa stagione infatti, alcuni dei melodrammi con le share più elevate sono quelli realizzati nel formato della miniserie (Sarò sempre tuo padre, La ragazza americana). Le fiction non seriali, in particolare le miniserie, tradizionalmente presentano, come motivi di attrazione, valori produttivi sopra la media e la presenza nel cast di attori di richiamo. Si 38 tratta di innegabili vantaggi competitivi ma i risultati della stagione hanno dimostrato come la storia, e soprattutto gli argomenti e i temi del racconto, siano la variabile chiave del successo. Come di consueto, infatti, film-tv e miniserie hanno fatto ampio ricorso allo star system televisivo italiano. Ma se attori di richiamo come Zingaretti (protagonista per la seconda stagione consecutiva della fiction di maggior successo: dopo Il commissario Montalbano, Paolo Borsellino), Fiorello (Sarò sempre tuo padre), Hassler (Cenerentola, La ragazza americana), Pession (Ma dove la trovi una come me?) hanno confermato la popolarità degli anni scorsi, è perché hanno trovato la storia adeguata a confermare l’immagine narrativa costruita presso il pubblico attraverso i precedenti successi. Non hanno invece trovato un veicolo altrettanto efficace per confermare la loro notorietà presso il pubblico televisivo, attori altrettanto popolari come Proietti (Il signore della truffa), Favino (Il generale Della Rovere), Puccini (Violetta), Bova (I guardiani del tesoro), Banfi (Il commissario Zagaria). Come sempre, quasi tutti i titoli coprodotti sono stati film-tv e miniserie. Se Maria di Nazareth è stata un successo, nessuna delle altre coproduzioni ha raggiunto grandi risultati d’ascolto. Ancora una volta, è una vecchia regola della televisione generalista che trova conferma negli esiti della stagione: più una fiction riduce la propria riconoscibilità locale (in termini di ambientazioni, temi, interpreti) più diminuiscono le possibilità di successo. Due fra i maggiori flop della stagione, il film-tv L’affondamento del Laconia (tab. 19) e il serial Titanic – Nascita di una leggenda (tab. 20), erano coproduzioni europee, realizzate con evidente cura e dispendio produttivo, che hanno tentato senza successo di coinvolgere il pubblico italiano in vicende storiche e in scenari socio culturali, non (completamente) italiani. Passiamo infine ad analizzare le performance dei titoli seriali trasmessi da Raiuno e Canale 5 in prima serata (tab. 20). Come già evidenziato in precedenza, l’offerta seriale della stagione comprende una pluralità di pezzature e di formati. Rientrano nel novero della serialità debole, sia miniserie lunghe in 4-6 episodi, collection di film-tv di eguale durata, serie e serial che oscillano fra un minimo di 6 a un massimo di 26 episodi. I titoli che superano le 10 serate sono solo cinque, e uno di questi, la soap Centovetrine, appartiene a un formato così distante dalla logica della programmazione per appuntamenti settimanali in prima serata, che il suo conteggio all’interno di questa categoria è un puro obbligo statistico. In ogni caso 5 titoli su 25 sono comunque pochi e sono destinati a scendere, visto che due di essi, Distretto di polizia e Tutti pazzi per amore, non sono più in produzione, e che tutte le novità della stagione sono realizzate in pezzature più brevi. Con un’unica eccezione: Le 3 rose di Eva, 12 serate coperte con episodi da 80’. Visto il buon esito di audience, questo titolo, è probabilmente destinato a diventare un modello per future produzioni Mediaset, non solo a livello di formato e di pezzature delle puntate, ma anche dal punto di vista del genere (un feuilleton crime/melò) e dello standard produttivo economico. In sostanza, si tratta dell’erede di Incantesimo. 39 Tabella 20 – Performance serialità media e lunga (Raiuno e Canale 5) Titolo N. Serate Share Media Don Matteo 8 13 27,07% Il giovane Montalbano 6 26,13% Una grande famiglia 6 25,17% Che Dio ci aiuti 8 23,60% Provaci ancora prof. 4 6 22,02% Il restauratore 6 21,91% Il tredicesimo apostolo 6 20,99% La donna che ritorna 4 20,46% Le tre rose di Eva 9 (12)* 19,29% Benvenuti a tavola 8 18,84% Nero Wolfe 8 18,64% Dov'è mia figlia? 4 18,16% Sangue caldo 6 17,12% Mai per amore 4 16,98% Tutti pazzi per amore 3 13 16,96% Un amore e una vendetta 8 16,77% Anna e i cinque 6 16,60% Viso d'angelo 4 16,03% I cerchi nell'acqua 4 15,38% Il segreto dell'acqua 6 12,84% Distretto di polizia 11 15 12,44% Sei passi nel giallo 6 11,98% Titanic – Nascita di una leggenda 6 11,73% Centovetrine 11 11,44% Baciati dall'amore 6 11,38% Rete Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Raiuno Canale5 Raiuno Canale5 Canale5 Raiuno Canale5 Canale5 Raiuno Raiuno Canale5 Canale5 Canale5 Canale5 Raiuno Canale5 Canale5 Raiuno Canale5 Canale5 * Il primo numero indica le serate in onda nella stagione, quello fra parentesi la durata complessiva della fiction. Le novità sono più del doppio dei ritorni: 18 contro 7. Eppure è uno dei titoli più longevi, Don Matteo 8, ad aver ottenuto la migliore performance d’ascolto. Ottimi risultati anche per un ritorno a metà (lo spin off Il giovane Montalbano) e per un altro titolo rodato: Provaci ancora prof. 4. Questi 3 titoli hanno qualcosa in comune: la formula narrativa dell’eroe ricorrente e la stabile identificazione fra protagonista e interprete. Caratteristiche che distinguono queste fiction da Tutti pazzi per amore e Distretto di polizia, le quali, pur appartenendo a generi diversi, fondano la loro drammaturgia su una ampia comunità di protagonisti e sulla multilinearità. Non che queste caratteristiche siano necessariamente sinonimo di scarsa tenuta seriale, solo che la rendono più difficile da perseguire soprattutto nel contesto italiano dove la volatilità dei cast delle serie è un limite delle logiche professionali dell’industria televisiva, che, dopo quindici anni di produzione seriale, ancora non è stato superato. Lo stesso Distretto di polizia, che pure è una delle più longeve serialità italiane e si è affermato come uno degli esempi più efficienti di produzione industriale, da diverse 40 stagioni ormai aveva visto il suo cast (di interpreti, e quindi di personaggi) depauperarsi progressivamente fino a rendere quasi irriconoscibile la serie. Nei formati seriali, i generi più praticati, quasi egemoni con 20 titoli su 25, sono il crime (nelle sue varie declinazioni, compreso il mistery) e il melò, da soli o reciprocamente ibridati. Debole e poco incisiva la presenza delle serie relazionali, con la sola eccezione di Benvenuti a tavola, convenzionale nella struttura family, ma innovativo nell’ambiente scelto (il ristorante come luogo di incontro scontro familiare) e che ha puntato con decisione sulla carta della cucina, non solo come elemento drammaturgico ma anche come pretesto di un gioco a premi riservato agli spettatori della fiction. Come nelle passate stagioni, non sono mancate rielaborazioni di titoli preesistenti attraverso l’adattamento di format stranieri (Un amore e una vendetta, basato su un format argentino a sua volta debitore de Il conte di Montecristo) o realizzando remake di titoli italiani. Rientra in questa logica Nero Wolfe, serie basata sui romanzi del celebre giallista Rex Stout ma che era innanzitutto un remake/omaggio ai celebri sceneggiati trasmessi dalla Rai fra il 1969 e il 1971 e interpretati da Tino Buazzelli. Questa operazione nostalgia ha lasciato piuttosto freddo il pubblico di Raiuno. Ormai le storie in costume sono inflazionate (la serie era ambientata all’inizio degli anni Sessanta); e poi l’esperienza degli anni scorsi ha insegnato che le combinazioni di giallo e ambientazione non contemporanea non funzionano. A questa regola ha fatto eccezione Il giovane Montalbano, che però è ambientato in un passato molto vicino a noi, gli anni Novanta, da poter essere quasi considerato contemporaneo. E soprattutto, Montalbano è un brand così forte per Raiuno, da superare ogni possibile handicap. Al di là della durata variabile, i titoli seriali della stagione si possono suddividere in due macrocategorie narrative. Da un lato, ci sono quelle fiction che basano la loro premessa drammatica e la loro promessa di fidelizzazione su personaggi e ambienti ricorrenti, bene riconoscibili e strettamente intrecciati gli uni agli altri: da Don Matteo a Il giovane Montalbano, dalla suora investigatrice di Che Dio ci aiuti, a Provaci ancora prof., da Il restauratore alla coppia di investigatori dell’occulto de Il tredicesimo apostolo fino alle due famiglie di ristoratori rivali di Benvenuti a tavola. Tutti titoli che si sono collocati nella parte alta della classifica delle performance, e che, grazie alla scelta narrativa di far prevalere il personaggio sulla trama si sono garantiti le migliori opportunità di proseguire la produzione senza tradire il concept di partenza. Dall’altro ci sono quelle fiction in cui, invece, la trama prevale sul personaggio. Nella maggior parte dei casi si tratta di miniserie e miniserial che escludono in partenza ogni ipotesi di continuità produttiva (La donna che ritorna, Dov’è mia figlia?, Sangue caldo, Un amore e una vendetta) e che si sono collocate nella parte centrale della classifica delle performance. Di questa categoria fanno parte anche due titoli che, a differenza degli altri, si sono rivelati fra i maggiori successi della stagione e che, furbescamente, hanno lasciato in sospeso le loro intricatissime trame. Si tratta di Una grande famiglia e Le 3 rose di Eva, che adesso si trovano di fronte alla sfida più difficile per tutte le 41 narrative seriali basate sulla trama: rilanciare i conflitti, sorprendendo il pubblico senza tradirne le attese. Successi e fallimenti: scenari antitetici per Raiuno e Canale 5 Come abbiamo visto dall’analisi dei dati, l’andamento degli ascolti della fiction delle due reti ammiraglie è stato asimmetrico. Su Raiuno sono aumentati sia i grandi successi che i grandi insuccessi. Un risultato che rispecchia la notevole forza della fiction realizzato per la prima rete Rai, e i rischi connessi alla strategia della concentrazione, del prodotto e dell’ascolto. La fiction, per quantità e qualità, è il genere cardine di Raiuno, e della strategia che ruota attorno alla programmazione della prima rete Rai: la ricerca del massimo ascolto, quello classico generalista. Raiuno può contare su uno zoccolo duro di pubblico anziano che ha nella televisione generalista e nella prima rete Rai un imprescindibile punto di riferimento; e la fiction della rete ha messo a punto negli anni le formule giuste per coinvolgere e fidelizzare questa fascia di pubblico, a cui ha saputo aggiungere anche tipi di prodotto capaci di spostare leggermente il target, e aprendolo all’altro grande bacino di ascolti capace di generare i grandi numeri: quello intergenerazionale/familiare. Il bilancio della stagione per Raiuno, come si è evidenziato nell’analisi dei dati, è molto positivo. Le formule tradizionali della fiction della rete hanno funzionato come, e in alcuni casi anche meglio, che in passato. E gli insuccessi possono essere spiegati con i limiti dei singoli prodotti, non tanto sul piano della qualità oggettiva (sarebbe davvero ingeneroso verso titoli realizzati con cura come Il segreto dell’acqua e Titanic – Nascita di una leggenda, rifiutati dal pubblico della rete), quanto su quella dell’aderenza alle formule vincenti. In parte può essere vero ma, a nostro parere, c’è un problema più generale. La mission della fiction di Raiuno è quella di andare in controtendenza rispetto al movimento generale dell’ascolto televisivo che va nella direzione opposta, non la concentrazione ma la frammentazione. Questo da un lato rende la fiction tradizionale di Raiuno speciale, perché si distingue da temi e stili dominanti nell’affollato e caotico panorama televisivo multicanale, una sorta di faro verso un porto rassicurante, capace di attrarre un vasto pubblico desideroso di rassicurazione. Dall’altro però mette questo tipo di fiction, che è a suo modo sempre e comunque un evento, a rischio di un “effetto saturazione”: oltre una certa soglia scatta il rifiuto a priori. Su Canale 5 gli andamenti stagionali dell’ascolto hanno evidenziato un arretramento generalizzato, ma le perdite maggiori si registrano nella fascia degli ascolti più elevati: in questo caso non c’è effetto saturazione quanto piuttosto una sensazione di stanchezza. Per quanto anche l’obiettivo d’ascolto di Canale 5 sia ampio e generalista, esso è comunque diverso da quello di Raiuno. Il pubblico cui mira Canale 5 è quello del target commerciale, meno vasto a livello di numeri complessivi ma internamente più variegato e segmentabile 42 rispetto a quello di Raiuno; ed è un pubblico maggiormente immerso nei flussi dell’offerta multicanale, è meno stanziale e ha un immaginario di riferimento meno ancorato alla tradizione della fiction italiana. Eppure, anche su questo pubblico, ma sarebbe meglio dire su questi bacini potenziali di ascolto, la fiction italiana può avere un forte appeal. Lo dimostrano due dei successi stagionali di Canale 5, Il tredicesimo apostolo (capace di esordire con un ascolto di 7 milioni di spettatori, in parte poi persi per strada) e Le 3 rose di Eva, due titoli molto diversi tra loro che, a nostro parere, identificano due possibili strade per la fiction di Canale 5. Il tredicesimo apostolo è un tentativo di mediazione, imperfetto ma estremamente interessante, fra la tradizione della fiction domestica e l’immaginario coltivato dalla serialità internazionale. E’ una strada difficile, perché è facile deludere il pubblico di riferimento di questo tipo di produzioni, bombardato dal flusso di novità a getto continuo che arrivano dall’estero. Ma il buon successo di questa serie, mostra che, anche presso il pubblico dall’immaginario globalizzato, c’è un significativo spazio di attenzione per serie locali che siano coerenti con quell’immaginario. Le 3 rose di Eva, è un successo che si muove in una diversa zona dell’immaginario del pubblico femminile di Canale 5, quello fatto di passioni esasperate e sentimenti spettacolarizzati coltivato dai reality e dai talk show della rete. E’ una zona dell’immaginario su cui la fiction può giocare con successo le sue carte, visto che sentimenti e passioni sono la materia prima del racconto popolare. Queste due serie sono esempi puntiformi, non configurano ancora una formula di successo, che per essere tale va rodata, ripetuta, variata. Questo è il limite e il rischio fondamentale di Canale 5, non poter fare affidamento su tradizioni consolidate, cosa che costituisce invece il vantaggio competitivo della fiction di Raiuno. D’altro canto nel palinsesto di Canale 5 possono convivere e raggiungere il successo generi e stili di fiction molto diversi fra loro, cosa che invece con maggiore difficoltà può accadere su Raiuno, dove la necessità di concentrare l’ascolto sui bacini ampi di cui si è detto, finisce inevitabilmente per limitare le possibili variazioni sul prodotto da offrire. 43 6. I produttori: prove di deframmentazione I produttori che hanno realizzato le fiction della stagione sono 27, due in meno rispetto al 2010-2011. Rai ne ha impiegati 21, Mediaset 11. Cinque le case di produzione che hanno realizzato fiction per entrambe le emittenti: Endemol, Magnolia, Publispei, DAP Italy, Paolomar. In una stagione in cui è cresciuta l’offerta di fiction, sia in volume orario che in titoli, sono diminuiti leggermente i produttori attivi. Anche per quel che riguarda la produzione indipendente, vale dunque la parola d’ordine della stagione: concentrazione. Tabella 21 - Volume orario medio stagionale per produttore 2006-2007 2007-2008 2008-2009 2009-2010 2010-2011 22,8 25,2 17,9 18,2 17,1 2011-2012 20,7 La media del volume di produzione realizzato da ciascun produttore è di circa 21 ore, un valore leggermente superiore a quello delle ultime stagioni (tab. 21). Tabella 22 – Produttori (ore e titoli) Produttore Volume orario Endemol/Mediavivere 149 Fremantle 82 Magnolia 55 Taodue 47 Lux Vide 41 Casanova 29 Publispei 24 Dap Italy 23 Palomar 19 Ares Film 17 Albatross 10 Leader Film 10 Ciao Ragazzi 7 Immagine e Cinema 7 Leone Cinematografica 5 Alba Film 3000 3 Artis 3 Cristaldi 3 Ellemme Group 3 Goodtime 3 Martinelli 3 Rizzoli 3 Solaris 3 Tangram 3 11marzo film 1,5 Colorado 1,5 Ocean Production 1,5 Titoli Totali 7 1 6 4 4 5 2 3 3 2 1 1 1 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Titoli Rai 2 1 4 0 4 5 1 2 2 0 1 0 1 2 2 0 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 1 Titoli Mediaset 5 0 2 4 0 0 1 1 1 2 0 1 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 44 Il comparto della produzione indipendente è stato tradizionalmente caratterizzato da una forte frammentazione (tanti produttori, rispetto alle ridotte dimensioni del mercato) e polarizzazione (pochi produttori che realizzano la maggior parte della fiction, e una moltitudine di piccole case di produzione impiegate su quote minimali del restante volume orario). Come si vede dai dati riassuntivi della tabella 22, la struttura complessiva della produzione indipendente di fiction vede confermate sia la frammentazione che la polarizzazione. Ci sono però delle piccole significative variazioni rispetto alla scorsa stagione, quelle che hanno determinato la variazione del volume orario medio (tab. 21). Nel 2011-2012, i cinque produttori con il più alto volume orario sono stati, nell’ordine: Endemol, Fremantle, Magnolia, Taodue, Lux Vide; sono gli stessi della passata stagione, con una sola eccezione: Magnolia al posto di Publispei. Complessivamente le prime cinque case di produzione hanno realizzato il 67% del volume orario complessivo, contro il 65% della passata stagione. Dunque, la concentrazione di grandi volumi orari presso i “grandi produttori” resta più o meno la stessa della scorsa stagione. I produttori che superano le 10 ore di fiction stagionale sono stati dieci, mentre nel 20102011 erano stati sette. Ad accrescersi dunque, è la concentrazione del volume di fiction presso una più vasta fascia di case di produzione medio-grandi. Del resto è un andamento coerente con il tipo di incremento dell’offerta registrato nella stagione: ad aumentare non sono stati i titoli di lunga e lunghissima serialità, che hanno come conseguenza quasi obbligata la concentrazione dei volumi presso i pochi produttori specializzati in questo tipo di produzioni; ad accrescersi sono stati i titoli di serialità breve e media. Il numero dei produttori che hanno un solo titolo in onda nella stagione, sono stati 16 (tab. 22), il 59% di quelli attivi nel 2011-2012, una percentuale ancora alta, ma comunque inferiore al 69% del 2010-2011. E ciò è tanto più significativo se si tiene conto che nella stagione sono aumentati i titoli brevi, che in passato avevano alimentato la frammentazione produttiva, attraverso una distribuzione a pioggia delle nuove committenze (tanti titoli tutti a produttori diversi) che in questa stagione non c’è stata. Il settore della produzione indipendente continua ad essere frammentato ma i dati della stagione indicano un leggero cambio di tendenza che potremmo definire come “prove di deframmentazione”, da verificare nelle prossime stagioni nella sua consistenza e, soprattutto nei suoi effetti. L’esito atteso e auspicabile è che si consolidi una fascia di produttori di dimensioni medie, capace di garantire quelle caratteristiche che rendono virtuoso l’apporto della produzione indipendente al mercato della fiction: professionalità e pluralismo. 45 Capitolo II Il programma dell’anno. Paolo Borsellino – I 57 giorni e Il delitto di Via Poma. Due esempi di fiction civile per due misteri italiani di Giovanni Bechelloni Premessa Anche quest’anno abbiamo deciso di analizzare in questo capitolo dedicato al “programma dell’anno” due testi televisivi: 2 film-tv che hanno tra loro qualcosa in comune. Sono entrambi buoni esempi di quella “fiction civile” che spesso abbiamo avuto modo di analizzare e valorizzare nei rapporti delle passate stagioni. Si tratta, innanzitutto, del film-tv che ha registrato il miglior ascolto della stagione, Paolo Borsellino – I 57 giorni, messo in onda in prima serata da Rai Uno martedì 22 maggio 2012, vigilia del ventesimo anniversario della strage di Capaci (ascolto medio superiore agli otto milioni) nella quale persero la vita Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre membri della sua scorta. Questo film-tv, pur essendo dedicato a raccontare la vita ansiosa e ansiogena di Paolo Borsellino nell’arco dei 57 giorni che intercorrono tra la strage di Capaci e la strage di Via D’Amelio nella quale persero la vita lo stesso Borsellino e la sua scorta, ha come protagonista assoluto Giovanni Falcone, amico di Paolo Borsellino fin dall’infanzia vissuta nello stesso quartiere di Palermo: anche allora, a partire dallo sbarco degli Alleati in Sicilia del luglio ’43, abitato da associati di Cosa Nostra. E’ Falcone, infatti, quello che per primo ha capito cosa fosse Cosa Nostra, come fosse organizzata e quale potesse essere il metodo migliore per combatterla e contenerla. Paolo Borsellino è stato un suo allievo oltre che amico e sodale. Il film-tv su Borsellino è costruito in modo tale da ricordare, ad ogni passo, chi era Giovanni Flacone e perché è stato così importante: non solo perché è stato assassinato a Capaci, ma soprattutto perché ha saputo costruire la conoscenza necessaria per combattere la criminalità mafiosa. Il secondo film-tv è Il delitto di Via Poma, andato in onda in prima serata su Canale5 martedì 6 dicembre 2011, poco prima della sentenza di appello che ha mandato assolto il fidanzato di Simonetta Cesaroni; che era stato condannato come autore del bestiale omicidio compiuto il 7 agosto 1990. L’ascolto medio è stato di circa quattro milioni. Pur non trattandosi, molto probabilmente, di un delitto di mafia, lo straziante femminicidio di Via Poma, tuttora privo di 46 colpevoli riconosciuti e condannati (a più di vent’anni dal fatto!) non solo appartiene al novero di uno dei tanti misteri italiani ma le scelte di produzione, sceneggiatura e regia hanno fatto di questo film-tv un altro ottimo esempio di fiction civile. Tali scelte hanno, infatti, reso protagonista delle indagini un personaggio inventato, l’Ispettore Niccolò Montella (magistralmente interpretato da un Silvio Orlando in gran forma), che non solo ha dispiegato virtù indagative degne di un Falcone, ma ha consentito al pubblico di comprendere i livelli di incompetenza, cialtroneria burocratica e vera e propria collusione da parte di chi ha condotto le indagini che furono svolte all’epoca. Quei livelli di incompetenza e collusione che Falcone aveva saputo ben identificare attirandosi non solo l’ira funesta dei mafiosi ma anche dei tanti – confusi tra i giornalisti e i magistrati, i funzionari e i politici – che si sono macchiati di colpe indegne di cittadini responsabili. * * * La versione finale di questo capitolo viene scritta il 16 dicembre 2012, venticinquesimo anniversario della chiusura a Palermo del maxiprocesso contro Cosa Nostra. Iniziato il 10 febbraio 1986 – e conclusosi con la condanna di 360 imputati, molti dei quali all’ergastolo e gli altri a 2.665 anni di carcere – è stato giustamente definito da Marcelle Padovani “il vero capolavoro prodotto dal metodo Falcone”. Per ricordare e celebrare l’anniversario, “La Stampa” pubblica un articolo di uno dei più attendibili giornalisti di “cose mafiose”, Francesco La Licata, che così inizia in prima pagina: “Il maxiprocesso contro la mafia, di cui celebriamo oggi il venticinquesimo anniversario, ha rappresentato forse l’unico vero avvenimento rivoluzionario della nostra storia politico-giudiziaria. Il 16 dicembre del 1987 si delineò uno spartiacque netto tra il prima di Falcone e il dopo”. Anche il “Sole 24 Ore” pubblica un’ampia rievocazione del maxiprocesso scritta dal Procuratore Antimafia Pietro Grasso, mentre la Rai annuncia la messa in onda di due puntate di “Maxi + 25. Anatomia di un processo” che verranno replicate su Rai Tre nel pomeriggio di sabato 29 dicembre1. 1 Quattro sono i libri che consentono al lettore di comprendere la vera e propria rottura epistemologica compiutasi con il metodo Falcone che ha permesso di giungere a comprendere per la prima volta nella storia, la vera identità della mafia siciliana costituita da un’associazione denominata Cosa Nostra; dotata di regole e di un’organizzazione, di capi e di collegamenti interni e internazionali che le hanno consentito di essere molto efficiente rispetto allo scopo principale che intende perseguire: fare soldi dotandosi di tutte le risorse di professionalità e rigore, di potere e disciplina necessarie allo scopo. Tanto da averla resa a lungo più potente e più efficiente dello Stato italiano (che fino al maxiprocesso non era stato in grado di combatterla come si deve). Il primo di tali libri è quello scritto e pubblicato dallo stesso Falcone nel 1991, con la collaborazione di Marcelle Padovani (giornalista del settimanale francese “Nouvel Observateur” e compagna di vita del sindacalista B. Trentin): Cose di Cosa 47 1. Il metodo Falcone. Virtù, esperienza di vita e conoscenza come risorse per abitare la complessità e contribuire a un mondo migliore. We are living in a time of geopolitical creative destruction. Geopolitics are suddenly in play in a way that for the last half-century they haven’t been. (Jan Bremmer, at the International Conference of the Global Risk Institute held in Toronto 2012 December 1012) We are moving from the brief post-Cold War Pax Americana to a new age of Metternich… Prepare for the revenge of politics. (Chrystia Freeland, Business need more than math, International Herald Tribune, 2012 December 14, p. 2) La disfunzione di alcune istituzioni e di alcuni servizi pubblici e privati non potrebbe essere spiegata da un’educazione mal garantita e male assimilata? …E’ pertanto necessario educare nella verità e alla verità. Ma, che cos’è la verità? Si chiedeva già Pilato, che era un governatore. Ai giorni nostri, dire il vero è divenuto sospetto, voler vivere nella verità sembra superato e promuoverla sembra essere uno sforzo vano. Eppure il futuro dell’umanità si trova anche nel rapporto dei bambini e dei giovani con la verità: la verità sull’uomo, la verità sul creato, la verità sulle istituzioni, e così via… Occorre insegnare loro che ogni atto che la persona umana compie deve essere responsabile… (Benedetto XVI, I giovani hanno bisogno di verità, L’Osservatore Romano, 14 dicembre 2012, p. 7) Il problema siamo noi. Si sta affermando in Italia, anche con certo favore di pubblico, una figura di giornalista che mi spaventa. Perché è convinto che i confini del mondo coincidano con i confini della sua testa. Il commento è tutto, i fatti sono nulla. Viaggiare, studiare, parlare con le Nostra (Rizzoli); il secondo è di Francesco La Licata, Storia di Giovanni Falcone (Feltrinelli 2006); il terzo è quello di Giuseppe Ayala, Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino (Mondadori 2008); il quarto è scritto dalla sorella Maria Falcone (con la collaborazione di Francesca Barra), Giovanni Falcone. Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente, i tuoi sogni, il nostro futuro (Rizzoli 2012). 48 persone, lavorare sulla scrittura non servono a niente; vuoi mettere con un tweet, una rubrichetta, una predica televisiva? L’invettiva e l’insulto valgono più dell’analisi e della riflessione. L’intervista è una forma di piaggeria, l’inchiesta è noiosa il reportage superato. Quel che importa è quel che io penso… (Aldo Cazzullo, L’Italia s’è ridesta. Viaggio nel paese che resiste e rinasce, Mondadori, 2012, pp. 14-15) L’Ulisse di Dante non si ferma a Itaca, non invecchia in famiglia; diventa l’archetipo dell’uomo moderno che cerca virtù e conoscenza, che vuole guardare “di retro al sol”, scoprire il mondo senza gente, inebriarsi nel “folle volo”. Nell’Ulisse di Dante ci sono già gli scopritori di nuovi mondi. (Aldo Cazzullo, op. cit. p. 74) Giovanni Falcone era nato nel 1939 e Paolo Borsellino nel 1940: un anno di differenza! Abbastanza per consentire a Giovanni di fare “il fratello maggiore”, come testimonia Giuseppe Ayala nel suo libro. Prima di analizzare e comparare i due film-tv chi scrive ritiene necessario mettere meglio in luce le virtù dell’uomo Falcone e del suo metodo di lavoro. Essendo un sociologo che ha cercato di capire l’Italia e il mondo: facendo molta ricerca, studiando e viaggiando in Italia e nel più vasto mondo, chi scrive utilizzerà testimonianze tratte sia da tre dei quattro libri citati alla nota 1 sia dalla propria esperienza di vita e di ricerca. 1.1. Testimonianze sul metodo Falcone A. Marcelle Padovani Come scrive Marcelle Padovani2: “Falcone diventerà un magistrato da manuale, un servitore dello Stato che dà per scontato che lo Stato debba essere rispettato – non uno Stato ideale e immaginario, ma questo Stato così com’è. Paradossalmente, cercando solo di applicare la legge, si è trasformato in un personaggio disturbante, un giudice che dà fastidio, un eroe scomodo. Dotato di una straordinaria capacità di lavoro e di una memoria da elefante, ha saputo sfruttare in modo intelligente la polizia, ha organizzato efficacemente la propria sicurezza personale. Si è dimostrato rigoroso all’estremo nell’esercizio del suo mestiere di inquirente… Si può tentare di ricostruire i rapporti tra questo magistrato pragmatico, alieno da qualsiasi astrazione ideologica, attento a rispettare le norme, concreto e 2 Cose di Cosa Nostra, op. cit., pp. 15-16, 18-19. 49 riservato, con uno dei boss mafiosi, o un pentito, sottoposto al suo martellante interrogatorio. Insolenti o vittimisti, chiusi in un ostinato silenzio o violentemente contestatori, Falcone oppone loro una calma e una sicurezza di sé incrollabili. Niente sguardi di intesa, niente rapporti basati sul tu, ma nemmeno insulti: devono rendersi conto di trovarsi di fronte allo Stato. “Durante l’interrogatorio di Michele Greco, capo di Cosa Nostra a Palermo, ogni tanto ci dicevamo a vicenda: ‘Mi guardi negli occhi!’, perché entrambi sapevamo l’importanza di uno sguardo che si accompagna a un certo tipo di affermazione”. Questo è l’asso nella manica di Falcone: siciliano, anzi – meglio – palermitano, ha trascorso tutto la vita immerso nella diffusa cultura mafiosa, come un altro siciliano qualsiasi e come un qualsiasi mafioso, e conosce perfettamente il lessico delle piccole cose, dei gesti e dei mezzi gesti che a volte sostituiscono le parole. Sa che ogni particolare nel mondo di Cosa Nostra ha un significato preciso, si riallaccia a un disegno logico, sa che nella nostra società dei consumi, in cui i valori tendono a scomparire, si potrebbe pensare che le rigide regole della mafia offrano una soluzione, una scappatoia non priva apparentemente di dignità, e ha di conseguenza imparato a rispettare i suoi interlocutori anche se sono criminali. Giovanni Falcone è stato stregato dalla mafia? In realtà è stato l’unico magistrato che si sia occupato in modo continuo e con impegno assoluto di quel particolare problema noto come Cosa Nostra. E’ il solo in grado di comprendere e spiegare perché la mafia siciliana costituisca un mondo logico razionale, funzionale e implacabile. Più logico, più razionale, più implacabile dello Stato… Ecco la situazione di questo singolare magistrato: meglio di chiunque altro può combattere la mafia perché la conosce e la comprende. Ma è poi tanto strano che un fanatico dello Stato come lui sia affascinato da Cosa Nostra proprio per quello che rappresenta di razionalità statale? La mafia sistema di potere, articolazione del potere, metafora del potere, patologia del potere. La mafia che si fa Stato dove lo Stato è tragicamente assente. La mafia sistema economico, da sempre implicata in attività illecite fruttuose e che possono essere sfruttate metodicamente. La mafia organizzazione criminale che usa e abusa dei tradizionali valori siciliani. La mafia che, in un mondo dove il concetto di cittadinanza tende a diluirsi mentre la logica dell’appartenenza tende, lei, a rafforzarsi; dove il cittadino, con i suoi diritti e i suoi doveri, cede il passo al clan, alla clientela, la mafia, dunque, si presenta come una organizzazione dal futuro assicurato. Il contenuto politico delle sue azioni ne fa, senza alcun dubbio, una soluzione alternativa al sistema democratico. Ma quanti sono coloro che oggi si rendono conto del pericolo che essa rappresenta per la democrazia?”. 50 Si è dimostrato rigoroso all’estremo nell’esercizio del suo mestiere di inquirente: senza mai colpire obiettivi vaghi; senza mai imbarcarsi in alcune iniziative di cui non si fosse assicurato il successo; senza mai entrare in polemica con un presunto mafioso. Le operazioni “Pizza Connection”, “Iron Tower” e “Pilgrim”, condotte di concerto con gli inquirenti americani, e poi quel vero capolavoro che è stato il maxiprocesso del 1986 passeranno alla storia come esempi del metodo Falcone…” B. Francesca Barra “All’Accademia FBI di Quantico, nelle vicinanze di Washington, ci sono due monumenti: uno è dedicato a Thomas Jefferson, il terzo presidente degli Stati Uniti d’America, l’altro al giudice italiano Giovanni Falcone. A volerlo, nel 1994, fu Louis Freeh amico e collaboratore di Falcone nelle indagini degli anni Ottanta su Cosa Nostra e, all’epoca, direttore dell’FBI… Quando domandarono a Louis Freeh perché mai avesse scelto di erigere la statua di un italiano nella scuola di polizia americana, rispose: “Falcone è la più alta rappresentazione della Giustizia e dello Stato… Proprio da oltreoceano arrivarono i maggiori riconoscimenti del suo lavoro che egli impostò con un respiro ampio, trasversale, instaurando preziose collaborazioni internazionali, cosciente com’era di dover affrontare e combattere un fenomeno non circoscritto, né isolato:…la lotta alla criminalità… Giovanni Falcone ideò inoltre un preciso metodo per sconfiggere la mafia…dopo vent’anni, c’è ancora la necessità di parlare del suo lavoro e della sua vita. Ma anche di ciò che fecero contro di lui. Perché non solo fu ucciso dalla mafia, ma venne anche tradito da parti deviate dello Stato che lui serviva e difendeva, in cui lui credeva. Perciò è doveroso ricordare anche l’iniqua e ormai chiara delegittimazione, il disprezzo e lo spietato isolamento a cui fu sottoposto in vita. Giovanni Falcone collezionò molte sconfitte, ma anche successi ineguagliabili, che però non gli furono riconosciuti pienamente, mediante gratificazioni e nomine adeguate. Il magistrato Ilda Bocassini ha detto: “Non c’è stato uomo in Italia che ha accumulato nella sua vita più sconfitte di Falcone. E’ stato sempre trombatissimo. Bocciato come consigliere istruttore. Bocciato come procuratore di Palermo. Bocciato come candidato al Csm, e sarebbe stato bocciato anche come procuratore nazionale antimafia, se non fosse stato ucciso… Non c’è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità”3. 3 Francesca Barra, Ricordare Falcone vent’anni dopo. Introduzione a Maria Falcone, Giovanni Falcone. Un eroe solo, op. cit., pp. 5-12 passim. 51 C. Giuseppe Ayala “Arrivai alla procura di Palermo nel settembre 1981. Assai prima di quanto avessi programmato… Scoppiava, intanto, la cosiddetta “guerra di mafia”…il kalashnikov AK-47 esordì con successo sullo scenario di sangue di una Palermo che sarebbe stata ricoperta, nel giro di alcuni mesi, dalle centinaia di cadaveri che l’assurdo conflitto avrebbe preteso… Era questa la Palermo del 1981. Una città trascinata in una spirale di violenza, di sangue e di terrore, della quale avvertivo, come molti altri, tutta la paradossale assurdità… Era la mafia che scendeva in guerra, per regolare i suoi equilibri interni e per indebolire l’azione dello Stato. E, come in tutte le guerre, era la morte che la faceva da padrona, ma, al tempo stesso, da riflettore. Perché illuminava e rendeva visibile una drammatica realtà che i siciliani, me compreso, erano quasi d’istinto portati a marginalizzare in un ambito puramente delinquenziale. Senza nessuna voglia di capire che di ben altro si trattava. Era questa la “colpevole indifferenza” che Paolo Borsellino rimprovererà anche a se stesso, quantomeno fino alla soglia dei quarant’anni… La mafia, da parte sua, rifuggiva ogni forma di clamore, evitava con cura di mostrarsi, agiva nell’ombra, garantendo copertura a tutti gli esponenti della burocrazia e degli affari, con i quali se la intendeva alla grande. La Palermo del 1981 cambiò il quadro… Raccontò Rocco Chinnici che, durante l’istruttoria del cosiddetto “processo Spatola”, l’allora procuratore generale Giovanni Pizzillo lo convocò per redarguirlo severamente: “Ma che credete di fare all’ufficio istruzione? La devi smettere di fare indagini nelle banche, perché così rovini l’economia siciliana. A quel Falcone caricalo di processi, così farà quello che deve fare un giudice istruttore. Niente. Hai capito, Chinnici?” Ordinaria amministrazione, questo era il diktat… Eppure nel Palazzo qualcosa stava cambiando. Quel processo era destinato a segnare l’inizio di una nuova stagione… Visione unitaria e indagini a tutto campo. E tanto, ma tanto lavoro. Il “metodo Falcone” era nato ed era subito risultato vincente. Era il 1990. Costa per un verso. Chinnici per l’altro e Falcone, soprattutto, avevano messo in piedi un bel problema. Per la mafia, sicuramente. Ma non solo… Giovanni, “neanche aveva cominciato che già aveva combinato un casino”, come scherzosamente gli dissi in occasione del nostro primo colloquio… 52 Quella mattina ci imbattemmo in Falcone per caso. Presentazione di rito e primo scambio di battute. Tono rilassato e scherzoso… Eppure, a partire da quel giorno, la mia vita sarebbe stata un’altra. Ma chi poteva immaginarlo?... Solo sul finire della serata realizzai che avevo di fronte a me il giudice di cui più si parlava a Palermo. Lo avevo trovato al primo impatto di una semplicità e di una ingenuità disarmanti. Supponenza zero. Simpatia mille. Ironia, di più, ma assolutamente demenziale… Nel frattempo gli incontri con Falcone erano diventati abituali. La mafia fece così inesorabilmente ingresso nelle nostre conversazioni. Lui se ne occupava a tempo pieno e ne sapeva più di chiunque altro. Non era affatto geloso del bagaglio di conoscenze che aveva accumulato sul fenomeno. Non mi lesinò mai un’informazione, una riflessione, un’intuizione. Compii, così, anch’io il mio salto di qualità. Ne discutevamo con cognizione di causa. Fermo restando che continuavamo a ritenere più appassionante misurarci sul commento all’ultimo libro letto o al film del momento. Politica, pochissima. Musica quasi niente. Giovanni era un melomane. Io no. L’uomo non finiva di sorprendermi. Quando veniva a cena per i miei figli era una festa. Nessuno sapeva intrattenerli come lui. Paolo aveva dieci anni, Vittoria otto e Carla quattro. Per ognuno lui aveva l’argomento giusto. La demenzialità delle sue battute li faceva sbellicare dalle risate… Ci riunimmo, di lì a poco, per darci un primo abbozzo di organizzazione e divisione dei compiti, ma emerse subito un problema. Falcone non era amato. Non si discutevano le sue capacità, almeno a parole, ma “l’iperattivismo dell’ufficio istruzione, da lui trainato, rischiava seriamente di relegare nell’ombra il ruolo della procura”. E questo non andava bene. Li guardai negli occhi, anche perché sapevo che non mi ritenevano estraneo a quel problema, in quanto portatore di una colpa: essere diventato “troppo amico di Falcone”. Ma feci finta di niente…affrontai senza peli sulla lingua l’argomento vero: “Mettiamocelo in testa una volta per tutte. Falcone non ha una marcia in più, sono almeno due, se non tre. Cercare la competizione con lui vuol dire consegnarsi alla sconfitta… Per la prima volta lo vidi assumere quel ruolo di fratello maggiore che non abbandonerà più… La nomina di Falcone a direttore generale degli affari penali diede la stura a non pochi contrasti. Gli fu addirittura addebitato di essersi “venduto ai socialisti”. Il ministro della giustizia, era, infatti, un dirigente del Psi. Gli eventi, come sempre, dimostrarono che Giovanni si era già venduto da tempo: non ai socialisti, bensì al suo enorme senso del dovere, che ne faceva un ineguagliabile servitore delle istituzioni… Concepì subito un’importante novità: la Procura nazionale antimafia… La nascita fu molto travagliata. Si levarono diverse voci critiche. La magistratura, 53 in particolare, era contrarissima. Alcuni magistrati, meritatamente noti per il loro impegno, sottoscrissero e resero pubblico un documento che la bocciava senza mezzi termini. La prima firma era quella di Paolo Borsellino.. Il governo decise di tagliare la testa al toro e varò la Super procura addirittura con un decreto legge. La nomina di Giovanni a guidarla avrebbe dovuto essere scontata se la scelta fosse stata affidata a criteri legati al merito e alla competenza. Nessuno, in quella materia, poteva reggere il confronto con lui. Le cose, invece, andarono in altro modo. La cosiddetta “toga rossa” lo era a tal punto che i comunisti, da poco diventati Pds, lo osteggiarono apertamente, puntando su un candidato alternativo. Falcone ci restò male… Mario Pirani ha paragonato Falcone ad Aureliano Buendia, l’eroe di Cent’anni di solitudine, che “dette trentadue battaglie, e le perdette tutte”. Nessuno le ha vinte, però. Le abbiamo perse tutti insieme… Giovanni mi telefonava spesso. A fine gennaio 1992 appresi proprio da lui che la Cassazione aveva confermato le condanne del maxiprocesso. “Giuseppe, hai vinto” fu il suo commento. “Abbiamo vinto” lo corressi. “E io che c’entro? Tu hai sostenuto l’accusa. A te hanno dato ragione” aggiunse. Non scherzava. L’uomo era fatto così. Il 16 marzo, mentre ero in piena campagna elettorale (capolista per il Pri per le elezioni alla Camera dei Deputati), mi chiamò: “Poco fa hanno ucciso Salvo Lima. Paolo propone di vederci domani sera da me. Ce la fai?” “Ci sarò” confermai. Li trovai di pessimo umore… Né io né Falcone spiccicammo una parola… Borsellino rincarò la dose, rivolto a Giovanni: “Tu sei a Roma, Giuseppe sarà sicuramente eletto e ti raggiungerà. Resto solo io a Palermo. Non soffro di solitudine. Ma non mi piace lo stesso”… Fu un fallimento, non era serata. L’ultima cosa la disse Giovanni: “Stavolta previsioni serie non se ne possono fare. Può succedere la qualunque!”. Non significava niente, ma spiegava tutto. Non ci perdemmo di vista. Vollero addirittura partecipare a una manifestazione elettorale in mio favore. La foto simbolo che li ritrae sorridenti l’uno accanto all’altro fu scattata proprio in quell’occasione. Conquistai il mio seggio alla Camera e tornai a Roma. Falcone mi accolse con entusiasmo… Il 14 maggio cenammo insieme alla Carbonara di Campo dei Fiori. Una serata vivace. L’argomento principale fu Tangentopoli, da poco venuto alla ribalta… Lo rividi a Palermo nella tarda serata del 23 maggio in una “camera” fredda e molto spoglia. Eravamo soli ma non parlammo. Lui dormiva. Un sonno senza risveglio. Ai primi di luglio mi telefonò da Firenze Nino Caponnetto pregandomi di andare a trovare Borsellino, che aveva sentito e gli era sembrato molto giù di corda. 54 Volai a Palermo prima possibile e lo raggiunsi in ufficio. Parlammo a lungo. A un certo punto mi disse una frase che feci finta di non capire: “Giuseppe, non posso lavorare meno. Mi resta poco tempo”. Rividi anche lui, nel pomeriggio del 19 luglio, davanti alla casa di sua madre. Ma non lo riconobbi. Ne era rimasto ben poco. Ha detto Agnese Borsellino: “Paolo cominciò a morire quando morì Giovanni, come due canarini che difficilmente sopravvivono a lungo l’uno alla morte dell’altro”. Pare che un giorno ci ritroveremo ancora. Senza fretta, però. Loro ne hanno avuta troppa. Senza volerlo. E così sia”4. D. Giovanni Falcone Giovanni Falcone è stato chiarissimo a proposito dei rapporti tra mafia e politica. Ha scritto nel suo libro: “La mafia tuttavia non si impegna volentieri nell’attività politica. I problemi politici non la interessano più di tanto finché non si sente direttamente minacciata nel suo potere o nelle sue fonti di guadagno. Le basta fare eleggere amministratori e politici “amici” e a volte addirittura dei membri dell’organizzazione. E ciò sia per orientare il flusso della spesa pubblica, sia perché vengano votate leggi idonee a favorire le sue opportunità di guadagno e ne vengano invece bocciate altre che potrebbero esercitare ripercussioni nefaste sul suo giro d’affari. La presenza di amministrazioni comunali docili, poi, vale ad evitare un possibile freno alla sua espansione dovuto o al rifiuto di concessioni edilizie o a controlli troppo approfonditi degli appalti o dei subappalti… E’ evidente che è la mafia ad imporre le sue condizioni ai politici, e non viceversa. Essa infatti non prova, per definizione, alcuna sensibilità per un tipo di attività, quella politica, che è finalizzata alla cura di interessi generali. Ciò che importa a Cosa Nostra è la propria sopravvivenza e niente altro. Essa non ha mai pensato di prendere o di gestire il potere. Non è il suo mestiere. A proposito del dirottamento di voti nella consultazione elettorale del 1987, Francesco Marino Mannoia ci ha detto: “E’ stato provocato da Cosa Nostra per lanciare un avvertimento alla Democrazia cristiana, responsabile di non aver saputo bloccare le inchieste antimafia dei magistrati di Palermo”. I suffragi sottratti alla Democrazia Cristiana non sono passati automaticamente ad un altro partito, ma sono confluiti verso quei partiti che avevano assunto una posizione fortemente critica nei confronti della magistratura: il Partito Socialista e il Partito Radicale… Non bisogna tuttavia credere che Cosa Nostra non sappia, in caso di bisogno, fare politica. L’ha fatto alla sua maniera, violenta e spiccia, assassinando gli 4 G. Ayala, op. cit., pp. 10-28 passim; pp. 40-41; 46; 192-196, passim. 55 uomini che le davano fastidio, come Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia, e democristiano, nel 1980; Pio La Torre, deputato comunista, principale autore della legge che porta il suo nome, nel 1982; e Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia cristiana nel 1979. Questi crimini eccellenti, su cui finora non si è riusciti a fare interamente luce, hanno alimentato l’idea del “terzo livello”, intendendosi con ciò che al di sopra di Cosa Nostra esisterebbe una rete, ove si anniderebbero i veri responsabili degli omicidi, una sorta di supercomitato, costituito da uomini politici, da massoni, da banchieri, da alti burocrati dello Stato, da capitani di industria, che impartirebbe ordini alla Cupola. Questa suggestiva ipotesi che vede una struttura come Cosa Nostra agli ordini di un centro direzionale sottratto al suo controllo è del tutto irreale e rivela una profonda ignoranza dei rapporti tra mafia e politica. Considero poi che la ricchezza crescente di Cosa Nostra le dà un potere accresciuto, che l’organizzazione cerca di usare per bloccare le indagini. Mi sembra infine che le connessioni fra una politica “affarista” e una criminalità mafiosa sempre più implicata nell’economia, rendono ancora più inestricabili le indagini. Con questo risultato finale: lo sviluppo di un sistema di potere che si fonda e si alimenta in Sicilia sulle connivenze e sulle complicità mafiose e che costituisce un ostacolo in più per delle indagini serene ed efficienti. Credo che Cosa Nostra sia coinvolta in tutti gli avvenimenti importanti della vita siciliana, a cominciare dallo sbarco alleato in Sicilia durante la seconda guerra mondiale e dalla nomina di sindaci mafiosi dopo la Liberazione. Non pretendo di avventurarmi in analisi politiche, ma non mi si vorrà far credere che alcuni gruppi politici non si siano alleati a Cosa Nostra – per un’evidente convergenza di interessi – nel tentativo di condizionare la nostra democrazia, ancora immatura, eliminando personaggi scomodi per entrambi. Parlando di mafia con uomini politici siciliani, mi sono più volte meravigliato della loro ignoranza in materia. Niente è ritenuto innocente in Sicilia, né far visita al direttore di una banca per chiedere un prestito perfettamente legittimo, né un alterco tra deputati né un contrasto ideologico all’interno di un partito. Accade quindi che alcuni politici a un certo momento si trovino isolati nel loro stesso contesto. Essi allora diventano vulnerabili e si trasformano inconsapevolmente in vittime potenziali. Al di là delle specifiche cause della loro eliminazione, credo sia incontestabile che Mattarella, Reina, La Torre erano rimasti isolati a causa delle battaglie politiche in cui erano impegnati. Il condizionamento dell’ambiente siciliano, l’atmosfera globale hanno grande rilevanza nei delitti politici: certe dichiarazioni, certi comportamenti valgono a individuare la futura vittima senza che la stessa se ne renda nemmeno conto. 56 Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”5. E. Riscontri di ricerca Il lettore che ha letto gli estratti delle quattro testimonianze che abbiamo riportato, avrà senz’altro compreso che ciò che emerge è quasi l’esatto contrario di quanto capita abitualmente di sentire e di leggere sui media italiani e stranieri a proposito della mafia. Le abbiamo volute riportare, perché esse ci hanno aiutato a “leggere” ed interpretare i due film-tv: sia quello sui 57 terribili giorni di Paolo Borsellino sia quello sull’ignobile delitto di Via Poma. Questo capitolo è stato scritto da un sociologo, di formazione storicofilosofica e psicoanalitica, la cui biografia ha molti punti – si parva licet componere magnis - in comune con quella di Giovanni Falcone, anche se non è stato un magistrato e non ha dovuto combattere contro Cosa Nostra. Tanto da condividere quasi del tutto il punto di vista di Falcone su Cosa Nostra e sulla criminalità mafiosa, sui modi per combatterla, contenerla e vincerla. Si tratta di un punto di vista che ha radici profonde nella storia lunga della civiltà italiana e di altre civiltà europee e del Mediterraneo caratterizzate da quelle matrici ibride che si sono formate attraverso secoli di incontri e di scontri tra culture diverse dell’Oriente e dell’Occidente. Si tratta di popoli che, pur coltivando le loro specifiche tradizioni, condividevano un approccio alla vita di tipo religioso: generato sia dalla virtù sia dalla conoscenza e aperto sia al sentimento della cittadinanza comunitaria sia al sentimento della divinità che collega i tempi passati ai tempi futuri; oltrepassando tutti i tipi di frontiere. Le analogie e le somiglianze tra i popoli dell’antichità erano molto maggiori di quanto oggi si tende a pensare. Cresciuto da bambino, fino ai dieci anni, a contatto con le culture dei paesi e delle campagne umbre e toscane, chi scrive ha imparato a coltivare la mente osservando chi sapeva coltivare la terra e attraverso quel tipo di sapere riusciva a comunicare anche con il diverso e il lontano senza farsi intimidire più di tanto dalle barriere spazio-temporali. E proprio perché aveva imparato a coltivare la terra sapeva, più facilmente di altri, destreggiarsi tra le diverse culture e religioni delle quali erano portatori gli adulti e i suoi genitori e ad amare i viaggi: sia quelli relativamente brevi che aveva imparato a fare a piedi sui sentieri allora battuti attraversando boschi, greppi e campi sia quelli da fare su una bicicletta di derivazione bartaliana. 5 G. Falcone, op. cit., pp. 165-170, passim. 57 Avrebbe voluto fare l’agricoltore, sulle orme del padre. Ma la guerra civile, il progresso tecnico e la seconda rivoluzione industriale misero in crisi quel mondo che aveva imparato a conoscere e ad amare. Si volse allora verso la religione: otto anni con i Barnabiti. Per fare il ginnasio e il classico, ma anche per servire Messa, essere attivo con l’Azione Cattolica e la San Vincenzo. Durante quel percorso, allietato anche dai viaggi, maturò il distacco sia dalla famiglia sia dalla vocazione sacerdotale sostituita dal desiderio, maturato negli stessi anni in Giovanni Falcone, di andare per mare: facendo domanda per l’Accademia Navale di Livorno. Il padre di Falcone non voleva e iscrisse Giovanni, senza dirgli nulla, a Giurisprudenza! Anche lo scrivente si trovò di fronte al no del padre e a un altro ostacolo imprevisto: all’esame di maturità subì l’onta di essere rinviato a ottobre in Filosofia, materia nella quale aveva sempre avuto ottimi voti. L’onta gli venne inferta da un commissario comunista che ritenne “scandaloso” il suo tema di italiano su Cavour e “vergognosa” la sua ignoranza di Marx. Non poté presentarsi all’esame di ammissione all’Accademia Navale. Riparò a ottobre in Filosofia e si iscrisse ad Agraria. Ma quell’insieme di eventi lo sbalestrarono e, da vero sbandato, a fine maggio mollò Agraria e andò a iscriversi a Scienze Politiche deciso a cominciare, all’alba dei suoi 19 anni, una nuova vita. Aveva perso un anno, subìto una sconfitta, rotto con il padre tanto amato, con la tradizione di famiglia e con le pratiche religiose. Si imbarcò verso l’ignoto volendo dimostrare a se stesso e al mondo che ce l’avrebbe fatta da solo: “senza padri né maestri”. Accadde così che dall’età di vent’anni in poi iniziò una vita intensa di studio, scrittura, attivismo politico-culturale, giornalismo, viaggi. Due sono stati i temi che l’hanno coinvolto e interessato: la politica e il giornalismo. La criminalità mafiosa li attraversava entrambi tanto che nel 1962, organizzò l’annuale viaggio di Facoltà per portare gli studenti in Sicilia e in Sardegna. In Sicilia organizzò una serie di incontri per cercare di capire la mafia. Memorabile fu quello con Danilo Dolci a Partinico. In Sardegna organizzò un incontro con un celebre giurista che aveva pubblicato un libro memorabile La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico (che non aveva nulla a che vedere con la mafia ma faceva capire un’altra cultura altrettanto interessante connessa con la criminalità). Ciò che gli era accaduto tra i 18 e i 20 anni fu una specie di rottura epistemologica inconsapevole provocata da imprevisti eventi esterni: la guerra e il dopoguerra, la discesa sociale della famiglia, il viaggio transoceanico in America e in Canada, il Collegio, la ritirata dal paese e la perdita del palazzo avito, la ritirata dalla campagna e la perdita della Villa, l’intensa esperienza religiosa, l’apertura allo sport e ai viaggi, l’incontro con i classici, la filosofia e la storia… Tutti quegli eventi motivarono e attrezzarono la mente e la sensibilità di chi scrive a “stare di vedetta” e cioè ad attivare la curiosità per tutto ciò che “si muoveva” nel mondo – sia quello lontano sia quello vicino – coltivando – 58 attraverso la psicanalisi e la sociologia, i viaggi e la lettura, l’attivismo associativo e politico – l’ascolto e lo sguardo. In altre parole lo scrivente divenne a poco a poco un ricercatore, un parlatore e uno scrittore. Tutte attività che lo portarono ad esercitare professionalmente sia il giornalismo sia l’insegnamento nei campi della sociologia della comunicazione e dei cultural studies. Tra le prime cose che imparò ci furono proprio quelle che sono state al centro delle capacità investigative di Giovanni Falcone. Innanzitutto: che non si nasce imparati, che si deve stare sempre “sul pezzo” e cioè concentrati nelle attività principali che dovrebbero caratterizzare la vita umana e in particolare quelle del cittadino: osservare e ascoltare. Tali attività sono centrali in alcune professioni come quelle del magistrato, del giornalista e del sociologo. Chi scrive arrivò abbastanza presto – frequentando a Firenze e a Milano, a Roma e a Napoli, a Bari e a Palermo, magistrati, giornalisti e politici – a capire che osservare e ascoltare erano attività non solo poco praticate, ma addirittura sottovalutate. La maggior parte degli interlocutori che gli capitava di incontrare e frequentare erano soprattutto orientati a imporsi, a fare esercizi di volizione. Sottovalutando sistematicamente la conoscenza. Come se il mondo fosse quasi immobile, e non come allo scrivente si era ben presto rappresentato, cioè in movimento sempre più rapido e sempre più imprevedibile. E’ così accaduto che quando chi scrive è entrato in contatto più stretto con le attività mafiose, con Giovanni Falcone e con il pool antimafia, prima attraverso il lavoro del sociologo calabrese Pino Arlacchi, poi leggendo Cose di Cosa Nostra: frequentando intensamente il Mezzogiorno d’Italia e facendo ricerca, ha scoperto una vera e propria identità di vedute con il “metodo Falcone”. Già era capitato – nel contesto di ricerche sul campo connesse al terrorismo delle BR e alla camorra napoletana – di scoprire che le gravissime deformazioni della realtà provenienti dalla politica, dall’intellettualità e dal giornalismo erano prodotte dall’intreccio perverso tra ideologie politiche e ignoranza. In entrambi i casi si sottovalutavano sistematicamente gli avversari dello Stato, della democrazia e della comunità nazionale. Si tendeva a ignorare, coprendo ideologicamente o colludendo, i veri protagonisti (la loro consistenza, i loro profili socio-culturali, la loro pericolosità). Per esempio, chi scrive aveva già scoperto, nei primi anni Ottanta, che sia a Napoli sia a Palermo – le due città che registravano i più alti tassi di evasione dall’obbligo scolastico da parte dei bambini maschi nei centri storici di entrambi le città – si era diffusa la tesi ufficiale che ciò accadeva a causa dell’ignoranza delle famiglie. Ricerche ben mirate scoprirono in entrambi i casi che i figli maschi che evadevano dall’obbligo scolastico appartenevano a famiglie che preferivano “iscrivere” i loro figli più svegli e promettenti alla “scuole” della camorra e della mafia che erano meglio attrezzate per preparare i giovani a un destino professionale ambizioso e di successo. 59 2. Misteri italiani e fiction civile Che cosa sono “i misteri italiani?” Che cosa si intende per “fiction civile”, una espressione raramente utilizzata? Dal punto di vista di chi scrive misteri italiani vengono chiamati tutti quei “problemi” che non si ha voglia di affrontare e di risolvere perché sono conseguenza, per lo più voluta, di scelte imprenditoriali o politiche “sbagliate”. Le cause di tali sbagli possono essere tra loro molto diverse. Spesso sono frutto di pigrizia e ignoranza, di pessimo uso delle risorse, di scarsa voglia di lavorare. Altre volte sono conseguenze di imbrogli veri e propri eseguiti di proposito per avvantaggiare alcuni e danneggiare altri. E’ vero, tuttavia, secondo l’esperienza di ricerca e di vita di chi scrive, che alcuni dei più fitti – e gravidi di conseguenze negative – misteri italiani sono frutto di una particolare forma di ignoranza che è stata ed è tuttora tipica di chi si è rifiutato di ammettere o riconoscere esplicitamente che il mondo umano che si è venuto a costituire nel corso del XIX secolo è un mondo complesso che richiede, per essere capito e governato, elevate qualità che già gli Antichi avevano saputo individuare quando le cose del mondo erano molto meno complicate di adesso. Si allude a quelle doti, sintetizzate già da Dante in “virtù” e “conoscenza”, che poco sopra abbiamo messo al centro del metodo Falcone. Ci sono stati nella storia italiana del Novecento alcuni bienni che chi scrive ha denominato “fatali” durante i quali si sono compiute scelte strategiche di tipo politico e culturale che hanno provocato danni incalcolabili all’Italia e alla sua gente. Tanto per fare degli esempi si possono citare i seguenti bienni fatali, caratterizzati tutti da forme di “guerra civile”, quasi sempre mascherate ideologicamente, per ignoranza o prepotenza da parte di coloro che volevano essere considerati i vincitori. Senza parere. Il biennio 1910-1912, per esempio, diede inizio a una “guerra di Libia” che durerà vent’anni e a una “guerra ideologica” tra riformisti e rivoluzionari che si protrarrà fino ai giorni nostri in altri bienni. Come, per esempio, quello 191920; quello 1943-45 (l’unico che, sia pure flebilmente, porta pure il nome di “guerra civile”); quello 1947-48 (che porta alla nascita di una Costituzione che, per la sua astrattezza e complessità lungi dall’essere “la più bella del mondo” è all’origine di molti dei nostri guai)6. Uno di questi bienni fatali – strettamente associato ai 2 film-tv di cui ci stiamo qui occupando – è il biennio 1992-93. Il quale biennio non solo è associato alle due stragi che hanno portato al sacrificio di Falcone e Borsellino ma anche Il tema è stato sfiorato in vario modo nei primi quattro incontri di “Confronto Italiano” (1994-1997) svoltisi a Cetona e i cui Atti sono stati curati da G. Bechelloni e U. Cerroni (e pubblicati dalla Regione Toscana). I temi trattati sono stati: 1. L’identità civile degli italiani; 2. Gli italiani e le istituzioni; 3. La cultura politica degli italiani; 4. Gli italiani e la Costituzione. 6 60 all’affossamento del regime repubblicano nato nel 19467 . E l’ultimo di tali bienni fatali è proprio quello 2011-12 nel quale si pone fine al cosiddetto regime berlusconiano, che tale non è stato del tutto. Perché questo, come tutti gli altri bienni nominati, è stato anch’esso caratterizzato da una forma “postmoderna” di guerra civile. Una guerra civile che non viene quasi mai nominata come tale ma si può “leggere” osservando molte forme tipicamente italiane del post-moderno, “leggendo” attentamente tutti i media (dai giornali alle tv e ai cosiddetti social media), una vasta molteplicità di luoghi di lavoro, le scuole e le università, le strade e le piazze… La Fiction civile, invece, è costituita da quell’insieme di film cinematografici (per fare un esempio lo sono stati tutti quelli fatti da Sergio Leone e, specialmente, il suo ultimo quale C’era una volta in America che più di ogni altro fa capire come nasce e come si riproduce “Cosa Nostra” oppure la criminalità mafiosa in generale, quella che produce “il denaro sporco” senza del quale le moderne economie capitalistiche hanno difficoltà a funzionare “come si dovrebbe”), di serie televisive e di film-tv che sono capaci di comunicare “il senso delle cose del mondo”, in modo che un numero crescente di persone sia messo in condizione di comprendere cosa è necessario fare e conoscere per essere cittadini competenti, virtuosi e responsabili. Consapevoli che senza cittadini siffatti non solo una democrazia non può funzionare bene, ma, addirittura, non può esistere. 3. Per la prima volta due film-tv come programmi dell’anno Il film-tv classico di una sola puntata è un genere poco coltivato dalla televisione italiana. Ci troviamo quindi di fronte a una duplice novità: - sia la scelta produttiva, forse inconsapevole, di scegliere un formato televisivo poco abituale da mettere in onda il martedì, cioè in una serata che, a differenza di quelle della domenica e del lunedì, non è “abituata” a registrare i grandi ascolti; - sia la scelta di un film-tv dedicato non solo a un tema scottante ma ad un tema scottante trattato dalla sceneggiatura e dalla regia in modo da consentire – ad una visione e ad un ascolto attenti – una “lettura” critica e non banale di problemi irrisolti della società italiana, spesso avvolti da una fitta coltre di misteri. Come è stato già accennato poco sopra sia Rai sia Mediaset hanno compiuto scelte di metodo che, a vent’anni e più dai fatti raccontati, costituiscono un omaggio a una delle menti più lucide della magistratura italiana e fanno onore a chi le ha compiute. 7 Sul punto si vedano le illuminanti analisi e testimonianze raccolte in G. Acquaviva e L. Covatta (2012), Il crollo. Il PSI nella crisi della prima Repubblica, Marsilio 61 Ne Il delitto di Via Poma troviamo l’asso della manica in una scelta narrativa “geniale”: quella di inventarsi un protagonista che nella realtà della storia non era esistito. L’ispettore Niccolò Montella diventa, infatti, il vero protagonista della storia, fa la parte puntigliosa e competente non solo di quello che non molla, pur venendo redarguito, preso in giro e umiliato dai “superiori” che si approfittano della sua “bontà” e del suo senso di responsabilità per trattarlo a pesci in faccia. Ne più né meno di come è accaduto nella realtà della vita al “grande Giovanni Falcone”, che non dimenticava mai di essere un magistrato e un servitore dello Stato. Montella cerca di andare fino in fondo nelle indagini, prende sul serio la sua professione. Così facendo, lo stile “canagliesco” del Commissario e di tutti gli altri personaggi, compreso il Questore, toccati più o meno tangenzialmente dalle indagini fanno la figura di essere “cialtroni” e “sfaticati” (il delitto di Via Poma è stato compiuto d’agosto, in tempo di ferie, non può essere preso sul serio!). Oppure, lo spettatore – se è osservatore e ascoltatore attento – può essere indotto a pensare “gatta ci cova”: qualche prepotente l’ha fatta sporca e non vuole “pagare pegno”… Il film-tv su Via Poma non è, come distrattamente ha scritto qualche giornale, “una copia della cronaca” bensì una “fiction civile” che contribuisce a costruire la verità dei fatti criticando la realtà, così come era stata costruita da indagini di polizia e magistratura superficiali o corrotte. Anche se l’audience e la critica non hanno premiato il film-tv come avrebbe meritato, noi abbiamo pensato di segnalarlo soprattutto per mettere in luce l’originalità della sfida raccolta. Una sfida lanciata da un regista-sceneggiatore e da un attore che già avevano molto dato al cinema e alla televisione italiani. Nel Paolo Borsellino – I 57 giorni ci troviamo di fronte a un film-tv che ha saputo imboccare – su un tema molto controverso e tra i più battuti dalla televisione italiana – una strada nuova, facendoci incontrare i risvolti inediti di un personaggio molto popolare e, per certi aspetti, più conosciuto dello stesso Falcone e dei due prototipi dei tanti combattenti italiani della mafia: l’indimenticabile Commissario Cattani (La Piovra) e il popolarissimo Montalbano. Contrariamente a quello cha ha scritto un illustre critico, il Paolo Borsellino di questo film-tv non è né un “santino” né un “eroe” nel senso tradizionale del termine. Il Paolo Borsellino, impersonato magistralmente da Luca Zingaretti, è un uomo sofferente, non solo sconvolto dalla tragica “bestiale e lacerante” morte dell’amico più caro, del “fratello maggiore” che viene “messo a morte” proprio nel momento in cui sembrava, finalmente, prossimo ad ottenere quel giusto riconoscimento – come la nomina a Procuratore Nazionale Antimafia – che invano aveva da tempo atteso, sperato e meritato... Non solo sconvolto, dunque, ma anche umiliato e sconfitto perché impedito dai superiori: impossibilitato a lavorare, come avrebbe voluto, alle indagini per scoprire perché 62 era stata decisa quella morte oscena, lacerante e spaventevole, dell’uomo che, più di ogni altro in Italia e nel mondo, aveva lavorato, con piena coscienza di causa e con grande competenza, a combattere “Cosa Nostra”. Il film-tv fa comprendere – allo spettatore attento e sensibile – fino a che punto può arrivare la cattiveria umana non tanto dei “cattivi”, bensì dei cosiddetti “buoni” e cioè di quelli che hanno il dovere di battersi per la legge e la giustizia, di raccontare la verità dei fatti, di rappresentare e difendere i cittadini. Nel film-tv su Borsellino si può anche apprezzare l’ironia che si cela dietro le numerose immagini che ci mostrano Borsellino in compagnia di un giovane Antonio Ingroia, accattivante e sorridente, che si spaccia oggi – a “babbo morto” – per un “allievo” di Borsellino: pur sostenendo “a spada tratta” tesi e ipotesi su “Cosa Nostra” e sulla “mafia” che sono esattamente al polo opposto di quelle fermamente sostenute da Giovanni Falcone e dallo stesso Borsellino. 3.1. I valori produttivi I valori produttivi di entrambi i film-tv sono “di qualità”. Come il lettore che ci ha seguito fin qui avrà intuito. In Paolo Borsellino – I 57 giorni eccellono due grandi italiani. Innanzitutto, Ennio Morricone che riesce con la sua musica a far entrare lo spettatore in sintonia con i pensieri, il dolore e le angosce, il senso di impotenza e di rabbia, di un uomo messo a terra proprio da coloro che dovrebbero metterlo in condizione di continuare a vincere le battaglie di un amico con il quale aveva condiviso una vita in prima linea. E poi l’attore protagonista, Luca Zingaretti che entra dentro quel personaggio amletico, lacerato e dolcissimo, che è il Borsellino che si prepara alla morte: facendo i conti con se stesso e con Dio, con la famiglia amatissima, ma non con il mondo. Un mondo che non aveva amato fino in fondo perché l’aveva percepito ostile, lontano dalla sua sensibilità. Quando Falcone era vivo e sembrava vincente, Paolo Borsellino si era illuminato alla grande. Lo si può apprezzare, almeno una volta, in una foto con Giovanni Falcone: entrambi sorridenti a un incontro a Roma a sostegno dell’amico e sodale Giuseppe Ayala. La sceneggiatura di Francesco Scardamaglia, anche lui un maestro che non ha potuto vedere l’esito sullo schermo del suo lavoro, riesce a guidare la narrazione in modo che lo spettatore possa sentirsi testimone consapevole di una storia eccezionalmente drammatica: una grande lezione di vita. La regia, come sempre accorta e professionale, di Alberto Negrin riesce a gestire bene i contrasti tra i due mondi frequentati da Borsellino negli ultimi tremendi giorni della sua vita: quello caldo, gioioso e accogliente della famiglia e quello ostile, freddo e repulsivo del Palazzo di Giustizia. 63 Ne Il delitto di Via Poma i due “grandi” che eccellono sono il regista e cosceneggiatore Roberto Faenza e l’attore protagonista Silvio Orlando che interpreta l’ispettore Niccolò Montella. Entrambi mettono in scena sia la violenza e l’ignoranza degli uomini che rappresentano le istituzioni giudiziarie sia l’Italia cialtrona animata dalle cricche e dalle clientele chiuse negli egoismi di ceto e incapaci non solo di fare giustizia ma neanche di “salvare la faccia”. Sicure, come dimostrano di essere, che la passeranno liscia. 3.2. La critica La critica televisiva, soprattutto quando non si attivano eventi finalizzati a mobilitarla, è, ormai da qualche tempo, abbastanza contenuta dal punto di vista quantitativo (6 pezzi per “Via Poma” e 12 per “Borsellino”). Sul piano qualitativo prevalgono “i pezzi” – sia lunghi sia brevi – che, anche nei casi in cui sono stati scritti da critici televisivi, sembrano scritti da chi non ha visto e ascoltato con attenzione. Da segnalare, tuttavia, che ci sono anche alcune prese di posizione perspicue e positive che supportano, almeno in parte, anche il punto di vista che si è cercato di argomentare in questo capitolo. Per esempio per “Via Poma”, il critico Aldo Grasso sviluppa nella sua rubrica quotidiana (“Corriere della Sera”, 7 dicembre 2011) un ragionamento molto importante: “…la fiction rispetto al talk si prende alcune responsabilità formali (dove l’estetica si tramuta necessariamente in etica). Il delitto di Via Poma cerca di mettere un po’ di ordine nel disordine del flusso televisivo: il suo strumento è la scrittura, il suo scopo è di ristabilire, almeno nel piano formale, la gerarchia del punto di vista (nei talk si può dire tutto e il contrario di tutto)”. Cinzia Romani su “il Giornale” (30 novembre) scrive: “Va da sé che girare questo “instant movie” dal sapore di cinema civile non è stato uno scherzo per la Taodue di Pietro Valsecchi”. Elena Martelli su “il Venerdì di Repubblica” del 18 novembre scrive che “Antonio Manzini per scrivere la sceneggiatura ha letto tutti i libri scritti sul caso, studiato le carte processuali e sentito gli avvocati di ogni parte… lo definisce un noir tipico: ‘Mettiamo in scena tutte le incongruenze di questa indagine facendo nomi e cognomi’ spiega. Marco Castelli, su “La Provincia” del 6 dicembre, riporta un’intervista all’interprete principale, Silvio Orlando, il quale dichiara: “Siamo orgogliosi della diffida e delle polemiche che hanno riguardato solo la nostra fiction e non i talk show che si sono occupati ampiamente del caso in questi anni: significa che il racconto televisivo e il talento di un attore fanno paura, perché arrivano direttamente al cuore del pubblico”. Per Paolo Borsellino, Antonio Dipollina su “La Repubblica” del 24 maggio con il titolo “I rischi di un’opera a fin di bene” si limita a scrivere: “E’ un coro quello degli apologeti di Paolo Borsellino – I 57 giorni, il film-tv di Rai Uno con 64 Luca Zingaretti… Di operazione fondamentale parlano tutti per il film diretto da Alberto Negrin e girato come una sorta di instant-movie…” Positivi o molto positivi i commenti su: “La Stampa” (24 maggio) dove Alessandra Comazzi scrive che “l’efficacia della sceneggiatura è stata sostenuta dall’interpretazione: prima di tutto di Luca Zingaretti…ma poi di tutti gli attori”; e su “Avvenire” (24 maggio) dove Mirella Poggialini scrive: “Così il cinema, la fiction diventano testimonianza e ricordo, omaggio e insegnamento, al di là dei conti dell’auditel, della forza trascinante di una emozione ampiamente condivisa”. Stefania Carini, invece, su “Europa” (24 maggio) scrive: “spiace assistere a un’agiografia che al di là della passione di Zingaretti non riesce a emozionare… Non c’è scansione drammaturgica, ma piatta sequenza a tappe forzate”. Infine Donatella Cuomo su “Gazzetta del Sud” (24 maggio) scrive: “il difetto maggiore di questa fiction è la paradossale mancanza di coraggio nel raccontare la storia di un uomo che di coraggio ne aveva da vendere…” * * * Molto altro si potrebbe dire e scrivere. Intanto che la scelta di investire sul film-tv è stata una scelta coraggiosa che ha dato ottimi risultati. Se si fosse investito in promozione o si fosse decisa una collocazione più favorevole – domenica o lunedì – forse anche la critica se ne sarebbe accorta e l’audience avrebbe potuto toccare le punte di antan. In ogni caso, entrambi i film-tv dimostrano che la fiction può svolgere una funzione critica, culturale e civile di altissima qualità… 65 4. Riferimenti bibliografici AA.VV. 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Se negli anni precedenti non era mancato qualche tentativo di fiction di genere mistery e gotico, sempre realizzato nel formato della miniserie, per la prima volta in questa stagione, sia Raiuno che Canale 5, hanno offerto al proprio pubblico una serie a eroe ricorrente basata sull’elemento fantastico, declinato in modi differenti. I due contributi che compongono questa focus section analizzano le peculiarità narrative e tematiche de Il restauratore e Il Tredicesimo apostolo, contestualizzandole all’interno di precise tradizioni narrative e mettendo in luce, di entrambe le serie, gli elementi di novità suscettibili di ulteriori sviluppi e variazioni. 70 Capitolo III Il Restauratore di Emanuela Cocco 1. La tradizione narrativa È il 1947 quando Joseph L. Mankiewicz porta sullo schermo Il fantasma e la signora Muir1, incantevole storia d’amore con fantasma, che racconta l’irrompere dello “straordinario” nella vita di una donna qualunque. Il film racconta le vicende di Lucy Muir, una giovane e testarda vedova che dopo la morte del marito, vincendo le resistenze della famiglia del defunto consorte, si trasferisce da sola in un cottage nel New England, dove dimora il fantasma di Daniel Gregg. Questi, ex capitano di mare, uomo burbero e scontroso si diverte a scoraggiare, con apparizioni improvvise e giochi di prestigio, i possibili acquirenti di quella che, nonostante tutto, continua a considerare la sua casa. I tentativi del capitano di terrorizzare la donna si scontrano, però, con la determinazione di lei a cominciare una nuova vita. Dopo alcune scaramucce e qualche incomprensione i due stringono amicizia, tanto che il fantasma chiede a Lucy di aiutarlo a scrivere le sue memorie. Grazie a questo inusuale connubio, la donna trova la forza di ricominciare a vivere e, attraverso il bizzarro progetto editoriale intrapreso insieme al fantasma del capitano Gregg, conquista l’indipendenza economica e la fiducia in se stessa. Il film, dal quale è stata tratta una serie televisiva2 di cinquanta episodi articolata in due stagioni e andata in onda sulle reti statunitensi dal 1968 al 1970, è quasi una tappa obbligata nell’immaginario di ogni appassionato di questo tipo di storie e può essere il punto di partenza per una riflessione più ampia sulle narrazioni di genere fantastico del piccolo schermo, che possono ormai vantare una consolidata tradizione. Il film e la serie contengono infatti alcuni degli elementi più rappresentativi del genere che ci apprestiamo ad indagare: la descrizione di un mondo ordinario caratterizzato da uno squilibrio di valori, la presentazione della minaccia e dell’opportunità insiti nell’incontro con “lo straordinario” e le sue ripercussioni sulla vita del protagonista, il concetto di “dono” che modifica radicalmente la vita della persona che lo riceve, fornendole la possibilità del cambiamento. Proprio prendendo in The Ghost and Mrs Muir, Usa 1947. Regia di Joseph L. Mankiewicz, Sceneggiatura di Philip Dunne. 2 La signora e il fantasma (The Ghost and Mrs Muir), Serie televisiva ideata da Howard Leeds, Usa 1968 -1970. 1 71 considerazione questi elementi, tipici delle storie che integrano lo “straordinario” in una storia per il resto realistica, possiamo iniziare a tracciare un discrimine tra i tipi di narrazioni che affrontano in maniera diversa l’argomento. Semplificando, possiamo distinguere due grandi gruppi ai quali queste storie fanno riferimento, che si differenziano tra loro per le diverse implicazioni che “lo straordinario” imprime alle storie narrate e anche per la particolare caratterizzazione del protagonista di queste. Al primo gruppo, nel quale annoveriamo serie come Supernatural3, The Fades 4 e True Blood5, possiamo ricondurre tutte quelle narrazioni che presentano “lo straordinario” come elemento perturbante, portatore di caos e di squilibrio, dove l’evento straordinario è esterno al protagonista e si caratterizza come minaccia per l’umanità e come sovvertimento dei valori del mondo umano. “Lo straordinario” viene qui incarnato in presenze soprannaturali che tornano dal mondo dei morti o che appartengono a specie non umane per minacciare oppure distruggere la razza umana e il mondo terreno. In queste serie, che sovente virano a una narrazione che contiene elementi horror e action, il protagonista è un eroe coinvolto in una vera e propria battaglia contro le forze del paranormale, che minacciano di distruggere il mondo così come lo conosciamo, per instaurare il dominio del regno delle ombre sulla terra. L’elemento straordinario, connotato negativamente, viene vissuto da quest’ultimo come minaccia e pericolo. Completamente diversa è invece la trattazione dell’elemento fantastico nella seconda tipologia di storie, alle quali possiamo ricondurre serie, alcune di queste di successo, quali Ghost Whisperer6, Medium7, Ultime dal cielo8, Pushing Daisies9, le quali presentano l’elemento fantastico, solitamente non più esterno ma interno al protagonista, come opportunità e dono, un aiuto da un mondo altro, non necessariamente antagonista al nostro, che offre la possibilità di cambiare le cose: riparare a un errore o persino preservare una vita riportando l’equilibrio nel mondo ordinario. È a quest’ultimo filone che possiamo ricondurre anche una serie tutta italiana, Il Restauratore, che ha per protagonista un uomo qualunque che viene investito suo malgrado di un dono che gli permette di conoscere il futuro. In questa serie, infatti, la componente straordinaria presente nel racconto è parte integrante delle qualità dell’eroe, e si caratterizza come un vero e proprio dono, una competenza che permette al protagonista di affrontare delle questioni Supernatural, Usa 2005. The Fades, UK 2011. 5 True Blood, USA 2008. 6 Ghost Whisperer, USA 2005-2010. 7 Medium, USA 2005-2011. 8 Ultime dal Cielo – Early Edition, USA 1996-2000. 9 Pushing Daisies, USA 2007-2009. 3 4 72 rimaste aperte nel mondo ordinario e quotidiano che possono essere risolte solo grazie all’elemento straordinario. Scopo di questo breve saggio è indagare alcuni degli elementi costitutivi del genere e analizzare Il restauratore, mettendola in relazione con due delle serie americane più longeve e di successo degli ultimi anni che, come la serie italiana, uniscono la dimensione quotidiana al racconto fantastico: Medium e Ghost Whisperer. 2. L’immaginario di riferimento Come abbiamo anticipato, le serie che integrano nella narrazione elementi fantastici, si differenziano tra loro in primo luogo per la diversa rappresentazione dello “straordinario” e soprattutto per la diversa modalità d’accesso al mondo sovrannaturale da parte del protagonista. Questo incontro tra i due mondi può essere traumatico e conflittuale nel momento in cui “lo straordinario” viene caratterizzato come elemento perturbante in quanto portatore di disequilibrio. L’elemento paranormale, in questo tipo di narrazioni, è esterno al protagonista in quanto espressione di forze disumane contro le quali l’eroe del mondo ordinario ingaggia una vera e propria battaglia per scongiurare la dissoluzione del mondo terreno. “Lo straordinario” diviene portatore di un nuovo ordine che prevede, prima di essere instaurato, la distruzione del mondo originario. A contrastare queste forze interviene l’eroe dotato di poteri eccezionali, che diviene un difensore del vecchio mondo. Il secondo tipo di narrazioni, quelle di cui intendiamo occuparci, si basa invece su presupposti completamente diversi, che prevedono l’incarnazione dell’elemento fantastico in una qualità interna all’eroe. Il protagonista, per qualche motivo, viene a contatto con questo mondo in virtù di un dono che gli permette di colloquiare con le forze e le presenze paranormali, non per combatterle ma allo scopo di scendere a patti con loro e di operare come conciliatore tra le due dimensioni, o addirittura di sfruttare queste presenze, o il suo dono, per restaurare un disequilibrio che si è venuto a creare nel mondo quotidiano. L’eroe protagonista di questo tipo di avventure riceve quindi un dono straordinario che non porta con sé una carica dissolutrice di un mondo, al contrario, proprio in virtù di questo dono ha la possibilità di mettere a tacere le contraddizioni che lo minacciano dall’interno. Il concetto di dono in queste narrazioni è sempre legato a quello di responsabilità. L’eroe si fa garante della sopravvivenza del mondo ordinario e della salvezza dell’umanità intera e agisce a favore di questa, dialogando con le forze paranormali per risolvere delle questioni rimaste in sospeso. Il contatto con il mondo straordinario può manifestarsi sotto forma di preveggenza o 73 visione, nella forma di un sogno enigmatico, un rompicapo, risolto il quale sarà possibile scongiurare un evento carico di minaccia, ad esempio un omicidio, che sta per venire a turbare la pace del mondo ordinario. Lo “straordinario”, quindi, qui non è caratterizzato come minaccia, ma al contrario diventa occasione, opportunità e vantaggio; ma questa dimensione positiva del dono non è completamente svincolata da problemi di ordine etico. Il dono ha un prezzo in termini di sofferenza psichica da parte dell’eroe che solitamente in una prima fase tende a desiderare di sottrarsi a questa grave responsabilità. Abbiamo quindi al principio un mondo ordinario in cui regna uno squilibrio dato ad esempio dalla morte di uno o più individui. Questa morte può essersi già verificata nel passato, e in questo caso la funzione dell’eroe è una funzione conciliatrice, di dialogo con le presenze che hanno subito un torto che li ha portati alla morte, al fine di placare la loro sete di vendetta, oppure la loro sete di giustizia e verità. È questo il caso di Ghost Whisperer, nel quale Melinda Gordon, proprietaria di un negozio di antiquariato, è una sensitiva che si offre come intermediaria tra il mondo terreno e quello delle presenze, gli spiriti dei morti che non riescono a passare oltre a causa di questioni rimaste in sospeso che li tengono ancorati alla vita terrena. Ma, come abbiamo detto, il dono può anche manifestarsi in altri modi, come visione o sogno enigmatico che permette di venire a capo di un delitto che è stato commesso nel passato il cui autore è rimasto impunito, o come strumento di prevenzione del crimine. Come accade in Medium, dove il dono si rivela essere un aiuto concreto all’indagine su un caso irrisolto e gli elementi ambigui che compongono la visione sono a tutti gli effetti degli indizi che vanno interpretati dal ricercatore-sensitivo, che diviene consulente della squadra investigativa impegnata a risolvere il caso, oppure come preveggenza di un delitto che verrà commesso in futuro. Allison Dubois, aspirante avvocato di Phoenix, moglie, madre e sensitiva, vive delle esperienze paranormali che si manifestano attraverso sogni e visioni che le permettono di raccogliere informazioni e le consentono di comprendere come si sono svolti i crimini efferati sui quali è aperta un’indagine, ma ha anche la possibilità di ricevere un avvertimento su un delitto che ancora non è stato compiuto. Qualcosa di molto simile a quella che accade al personaggio interpretato da Lando Buzzanca nella serie italiana. 3. La struttura della serie Il protagonista de Il Restauratore è Basilio, ex poliziotto ed ex detenuto, che ha scontato vent’anni di prigione dopo essere stato condannato per l’omicidio degli assassini della moglie. In carcere ha imparato un mestiere, quello del restauratore e, grazie alla sua buona condotta, gli viene concesso di scontare 74 fuori gli ultimi cinque anni di pena. Il direttore dell’istituto carcerario in cui era detenuto, Ernesto De Angelis, nel frattempo divenuto un suo caro amico, gli trova un impiego nella bottega di antiquariato di Maddalena Fabbri, stimata restauratrice con la quale Basilio entra in società. Subito dopo essere uscito dal carcere, proprio all’interno della bottega di antiquariato, Basilio riceve il dono. Rimane folgorato da un filo elettrico rimasto scoperto e da quel momento, toccando alcuni degli oggetti che è incaricato di restaurare, inizia ad avere delle visioni che lo informano su un delitto che sta per essere commesso. Il suo dono ha, quindi, una valenza preventiva. Attraverso questa esperienza straordinaria, Basilio ha l’opportunità di restaurare la vita delle persone che si sono rivolte a lui affidandogli un oggetto, e di preservare la loro vita. La strategia di integrazione dell’esperienza straordinaria all’interno della narrazione, ne Il Restauratore segue delle modalità diverse rispetto a quella delle serie sopra citate. Andiamo a vedere nel dettaglio. Il Restauratore è una serie che pone al centro del racconto un ben congegnato sistema di relazione tra i personaggi che permette anche una riuscita ibridazione dei generi e l’allargamento del pubblico di riferimento. Abbiamo una linea sentimentale, della quale è protagonista la restauratrice Maddalena Fabbri, impegnata in una sfortunata relazione con Riccardo, affascinante uomo sposato, bugiardo e donnaiolo che non perde occasione per sedurla e deluderla, puntata dopo puntata. Una seconda linea di genere comico-brillante è data invece dai personaggi di Arturo e di sua moglie Dora, romani doc e gestori della trattoria di fronte alla bottega di Maddalena i quali, con la loro semplicità e simpatia, sono protagonisti di divertenti siparietti comici che coinvolgono anche il Basilio. Un’altra linea, che potremmo definire appartenente al genere teen drama, è data dal personaggio di Giulio, giovane figlio di Dora e Arturo, innamorato di una sua coetanea che diventa assistente di Basilio, ed è protagonista, insieme ai suoi amici, di piccole avventure sentimentali e non. Verso di lui Basilio agisce in qualità di mentore. Infine, l’incontro con “lo straordinario” segue in questa serie le due principali linee narrative. Una di queste ha uno sviluppo verticale e ci racconta, attraverso il singolo caso di puntata, l’azione restauratrice operata da Basilio per impedire che il crimine venga commesso. All’interno di questa linea il protagonista della storia vive delle avventure che partono dall’oggetto restaurato e conducono in un microcosmo dove è stata commessa un’ingiustizia che sta per avere come effetto il compimento di un crimine o, più in generale, un atto di violenza (un omicidio, una vendetta, un suicidio). Toccando l’oggetto da restaurare, Basilio viene investito da un potere di preveggenza attraverso una serie di immagini ambigue che si susseguono velocemente davanti ai suoi occhi. Queste immagini raccontano una storia e celano al loro interno l’identità del potenziale assassino oppure della futura vittima dell’atto violento. Da quel momento le 75 azioni di Basilio sono volte alla risoluzione del mistero celato nella sua visione. Attraverso un’indagine privata, il protagonista cerca di stabilire la verità su quanto sta per accadere. In un secondo momento, appurata l’identità delle persone coinvolte nell’evento e le circostanze che lo hanno determinato, Basilio agisce in prima persona per cercare di scongiurare il verificarsi di quello che, al momento in cui inizia la storia, è solo un funesto presagio. La seconda importante linea di racconto, invece, ha uno sviluppo orizzontale e affronta il tema della responsabilità, indagando le ripercussioni sulla vita privata dell’eroe del potere di cui è investito e il suo atteggiamento nei confronti del dono. A questo proposito, possiamo notare come il rapporto tra l’eroe e il suo dono descriva in questa serie quello che Dara Marks, nel suo celebre saggio10, definisce come “arco di trasformazione del personaggio”, che trova una risoluzione definitiva alla fine della prima stagione della serie. Notiamo come questo sia il tipico approccio italiano alla serialità, che lavora su un arco narrativo chiuso “a miniserie”, anche quando affronta il modello della serie a eroe ricorrente. Ne Il restauratore, infatti, il percorso del protagonista ha inizio con l’acquisizione della preveggenza e la conseguente capacità di preservare la vita. La scoperta di questo dono costringe Basilio a confrontarsi con un errore fatale commesso in passato - l’uccisione degli assassini della moglie – e con il profondo senso di colpa che ne deriva e che ha condizionato pesantemente la sua vita. Il protagonista capisce che deve liberarsi di questo senso di colpa per poter continuare a vivere, e il suo percorso si conclude con il superamento di questo problema attraverso la piena accettazione del dono. La linea orizzontale della serie racconta, insomma, un compiuto percorso di redenzione, capace di cancellare nel protagonista le colpe del passato per farlo rinascere a nuova vita. Vista la natura seriale del racconto, il conflitto interiore del protagonista avrebbe potuto e dovuto essere strutturato come un percorso aperto e trattato come un problema reiterabile, oggetto di progressivi approfondimenti nelle serie successive. La scelta fatta, al contrario, è stata quella di gestire alcuni aspetti importanti del materiale narrativo, che costituisce la linea orizzontale della serie, come autoconclusivi di stagione in stagione e questo ha creato la necessità, ad ogni nuova stagione, di dover alimentare l’intreccio dello sviluppo di questa linea della storia con implicazioni tematiche del tutto nuove. Non sarà infatti possibile, in una nuova stagione della serie, approfondire ulteriormente il rapporto del personaggio protagonista con il suo dono, poiché questo si chiude e trova una completa risoluzione alla fine della prima stagione. 10 Dara Marks, L’arco di trasformazione del personaggio, Dino Audino Editore, Roma 2007. 76 In che modo verrà problematizzato il rapporto dell’eroe con il suo dono? Come sarà possibile portare avanti una linea orizzontale che presenti una progressione del racconto nei confronti di un protagonista che ha già esaurito il suo arco di trasformazione all’interno della prima stagione? Forse è possibile riscontrare un indizio di quella che potrebbe essere la nuova caratterizzazione del personaggio protagonista all’interno della serie nel nono episodio (Il bivio) della prima stagione. In questo episodio, Basilio ha una visione che avrà un esito inaspettato. Dopo essersi recato in farmacia per acquistare delle medicine, riceve in regalo da Maddalena un portapillole nuovo che gli trasmette una visione inquietante: un uomo armato di pistola ferisce apparentemente a morte la dottoressa che lavora in farmacia. Basilio decide di intervenire e raggiunge immediatamente la farmacia. Qui, in breve, si ritrova in ostaggio, insieme ad altri clienti, di un rapinatore che, pistola spianata, vuole commettere una rapina. In questo episodio viene fuori la principale qualità del protagonista: quella di negoziatore. Il giovane rapinatore, infatti, si trova immediatamente a dover fronteggiare Basilio che tenta in ogni modo di portare a termine una negoziazione, con lo scopo di preservare la vita delle altre persone presenti nella farmacia. Ognuno dei presenti è portatore di un problema specifico che riguarda la loro vita privata. Dopo che il rapinatore ha aperto il fuoco contro la dottoressa, ferendola in modo grave, inizia per Basilio una lotta contro il tempo per cercare di convincere il rapinatore a portare fuori la donna e a salvarle così la vita. Mano a mano che la tensione sale, vengono fuori i problemi dei singoli clienti in ostaggio del rapinatore: una giovane donna assiste il marito gravemente malato e sta vivendo una profonda crisi interiore e medita il suicidio; una donna in affari ha messo da parte i suoi sentimenti per conquistare un posto di rilievo nella società in cui è impiegata e, giunta all’apice della carriera, ha intenzione di usare il suo potere per vendicarsi delle angherie subite in tanti anni di lavoro; uno studente timido e pieno di insicurezze, sta vivendo una profonda depressione. Anche il rapinatore, che soffre di una disfunzione della tiroide, ha deciso di rapinare il negozio per procurarsi le medicine, ora divenute troppo costose perché lui possa acquistarle e sta vivendo un tale inferno interiore che ha deciso di compiere un atto folle ed è al tempo stesso tentato di togliersi la vita. Ognuno di questi personaggi è protagonista, oltre che della vicenda che li accomuna, di un proprio arco di trasformazione. Tutti sono portatori di un “fatal flaw” che sta minando seriamente le loro vite. In questo contesto, Basilio agirà da negoziatore non solo tra la polizia, pronta ad agire fuori dal luogo del sequestro, e il rapinatore, ma anche con ognuno dei personaggi che usciranno da questa esperienza, tramite la relazione empatica instaurata con Basilio, profondamente cambiati. Proprio grazie a Basilio, che non cambia e resta fedele a se stesso e alla sua missione anche nel momento in cui un’altra visione gli mostra la sua stessa 77 morte, gli ostaggi riescono, una volta tratti in salvo, a compiere il loro arco di trasformazione e a salvare le loro vite interiori. Questo episodio mostra il protagonista come un diverso tipo di eroe, un “angelo viaggiatore” che agisce come catalizzatore ed è in grado di operare il miracolo della trasformazione nelle persone che vengono in contatto con lui. Non un eroe che cambia, quindi, ma un eroe capace di intervenire e modificare le vite delle persone con cui entra in relazione. Alla fine dell’episodio, la donna che meditava il suicidio decide di restare accanto al marito; lo studente supera le sue paure; la donna in affari decide di cambiare la politica aziendale e di superare i suoi rancori; il giovane rapinatore verrà salvato e deciderà di ricominciare da capo. Anche altri due personaggi della linea orizzontale della serie verranno investiti dal potere del cambiamento grazie all’azione del protagonista. Maddalena, la restauratrice proprietaria della bottega e amica di Basilio, riuscirà a chiudere la travagliata storia d’amore con un uomo sposato e il commissario Mangano, intenzionato a commettere lo stesso gesto di vendetta compiuto da Basilio vent’anni prima - l’uccisione degli assassini della moglie - rinuncerà alla sua vendetta. L’eroe della serie ha, quindi, il compito di restaurare le vite altrui, di colmare con le sue parole il senso di vuoto che le minaccia dall’interno. Lo spostamento del processo di cambiamento che non è più incentrato sul protagonista ma sugli altri attori in gioco nelle vicende narrate, assicura così una costante progressione continua della storia. Tornando all’analisi di questa importante linea di racconto che indaga il rapporto dell’eroe con il suo dono, con il protagonista che compie un completo arco narrativo, possiamo individuare le tappe fondamentali attraverso cui si narra l’esperienza soprannaturale dal punto di vista privato e intimo del protagonista. Si parte con la fase dello stupore e dell’incredulità: l’eroe viene a conoscenza del suo dono quasi per caso e inizialmente stenta a riconoscerlo. Nel primo episodio della serie, Basilio resta folgorato toccando un filo elettrico, subito dopo incontra un clochard che gli regala un accendino. Toccandolo, Basilio ha una visione: vede l’uomo sepolto sotto un cumulo di macerie. Spaventato e disarmato corre sul luogo in cui ha incontrato l’uomo e trovandolo ancora vivo si convince di essere pazzo e desidera ritornare in carcere. In questa prima fase l’eroe può compiere un errore e sottovalutare la sua visione oppure agire in ritardo. È quanto avviene anche a Allison Dubois, in un episodio che ci racconta il giorno del suo matrimonio. Allison ha la visione di una ragazza adolescente (si scoprirà poi essere una visione relativa al futuro, la ragazza vista in sogno è infatti sua figlia) che viene strangolata da un uomo. Anche qui Allison, profondamente turbata da quanto ha visto, non sa come reagire e arriva a voler annullare il matrimonio per evitare che quanto ha visto nel sogno si avveri. Ma la natura del suo dono, quanto quella del dono di 78 Basilio, prevede invece un impegno attivo da parte dell’eroe per evitare che il presagio funesto si concretizzi. A questa fase segue quella del rifiuto. Accertata l’esistenza di questo potere, l’eroe cerca di sottrarsi al compito e di ignorare la sua visione. Quando però l’evento si verifica, questo errore di valutazione porta alla luce la grande responsabilità implicita in questo straordinario potenziamento della vista. Sempre nel primo episodio, Basilio giunge tardi sul luogo in cui si è verificato l’incidente protagonista della sua visione, ma in tempo per salvare comunque la vita dell’uomo. L’errore commesso lo porta a fare i conti con la grande responsabilità implicita nel suo dono. Alla consapevolezza di questa responsabilità, dopo la fase del rifiuto, Basilio si reca sulla tomba della moglie e le confida di non voler sostenere un peso così grande; a questa fase, segue quella dell’esplorazione del dono, una fase di avvicinamento, nella quale l’eroe prende dimestichezza con il suo nuovo potere ed impara ad usarlo. Nel momento in cui l’azione del protagonista ha come effetto la risoluzione dell’enigma e la salvezza di una vita, giunge la fase di accettazione nella quale l’eroe cessa di sottrarsi al suo compito e si attiva in prima persona per usarlo al meglio, nonostante il costo personale che questo dono comporta. Questo percorso, però, è pieno di ostacoli e, nella serie che abbiamo scelto di prendere in esame, le implicazioni etiche e personali del dono sono esplorate fino alle conseguenze più problematiche. Nel momento in cui le visioni riguardano le persone care all’eroe oppure se stesso, il protagonista si trova ad affrontare dei veri e propri dilemmi. Nel quarto episodio della serie (L’uomo del destino), infatti, la preveggenza di Basilio lo pone davanti a una scelta impossibile, quella tra la salvezza del suo amico Edoardo, in attesa di un trapianto senza il quale perderà la vita, e la possibile morte di una ragazza, che appare in una delle visioni di Basilio. Egli, alla fine, sceglie di salvare la ragazza, ma la morte dell’amico lo fa precipitare in una vera e propria crisi e ancora una volta l’eroe è portato a rifiutare il suo dono. Il percorso per la piena accettazione di un potere che si rivela sempre più essere un’arma a doppio taglio per l’eroe, è una conquista lunga e dolorosa. Nel nono episodio della serie (Il bivio), Basilio rimane coinvolto in una rapina e arriva a vedere la propria morte, ma pur avendo la possibilità di trarsi in salvo non esita a sacrificare la propria vita pur di non abbandonare gli altri ostaggi. L’esito di questa avventura, nella quale resterà ferito, è una momentanea perdita del dono nel corso del decimo episodio della serie. Dopo aver constatato di non avere più la capacità di leggere nel futuro attraverso il contatto con gli oggetti da restaurare - una delle sue clienti muore senza che lui abbia una visione che gli permetta di intervenire - Basilio si rende conto, forse per la prima volta, della grande importanza del dono non solo a beneficio dell’umanità, ma anche per se stesso. È proprio nella sua capacità di redimere gli altri spingendoli a non commettere un omicidio, nel suo potere di 79 salvare delle vite, che Basilio può trovare requie al profondo senso di colpa per aver in passato scelto la via della vendetta e spezzato due vite umane, seppure artefici della morte della moglie. Solo attraverso il suo dono Basilio riesce a trovare il modo di redimere se stesso dal grave peccato commesso in passato. Ma per arrivare a una piena e profonda consapevolezza bisogna giungere all’ultimo episodio della serie (Un eroe in famiglia) che chiude l’arco aperto nel primo episodio, in cui Basilio riesce a redimere il proprio passato vivendo un’esperienza speculare a quella vissuta in passato e convince l’ispettore Mangano a non uccidere gli assassini della moglie. In quel momento la parabola del nostro eroe si compie e il significato del dono viene riconosciuto in tutta la sua evidenza. Così come la preveggenza permette a Allison Dubois e a Melinda Gordon di dare un senso alle loro vite, Basilio trova nel suo dono speciale il senso ultimo della propria esistenza. 4. Lo statuto dell’eroe La nostra riflessione non può tralasciare un'altra importante questione da prendere in esame: quella dello statuto dell’eroe, della sua caratterizzazione e della modalità con cui questo entra in contatto con il mondo straordinario. Come abbiamo detto, l’eroe in possesso di queste facoltà medianiche può pagare caro in termini personali il suo dono; ma in questa battaglia intima per l’accettazione e il tentativo di restaurare un equilibrio interiore e con il mondo esterno, l’eroe può essere sostenuto dalla comunità di riferimento oppure restare isolato e vivere il suo potere come segreto inconfessabile. La sua capacità straordinaria può essere legittimata come azione ufficiale oppure agire in maniera sotterranea. Abbiamo, in quest’ultimo caso, un eroe isolato nella dimensione del segreto, costretto ad agire nell’ombra e senza aiuto, per portare a termine la sua missione. Le sue azioni vengono mantenute segrete e ammantate da spiegazioni razionali e il dono diviene quasi un elemento di disturbo apparente della dimensione investigativa ufficiale. Così, il dono diventa a tutti gli effetti non solo una risorsa, ma anche una minaccia per la sua piena integrazione nella società. In questo tipo di narrazione l’azione dell’eroe è di aiuto a quella ufficiale di indagine di una squadra investigativa, ma agisce su binari paralleli: l’eroe non è un consulente riconosciuto dal team investigativo, come accade ad esempio ad Allison Dubois, la sensitiva protagonista di Medium, ma agisce parallelamente alle forze di polizia per scongiurare il verificarsi di un crimine imminente. Le forze ufficiali e riconosciute, incaricate di restaurare l’ordine, possono avere in questo caso una valenza antagonistica e ostacolare o ritardare la risoluzione del caso da parte dell’eroe. Così accade ne Il Restauratore. Basilio, infatti, si trova spesso nel corso della sua indagine privata a scontrarsi con la squadra investigativa e a dover giustificare la sua presenza 80 sul luogo del crimine. Non solo. Mentre il potere di Allison e di Melinda è pienamente condiviso dalla famiglia o da una piccola comunità di riferimento delle due eroine, che è messa a parte del segreto - le due donne, ad esempio, possono condividere le loro esperienze con i rispettivi consorti e con amici: a Melinda Gordon capita di avere un collega con il quale risolvere alcuni casi, mentre Allison Dubois ha un ruolo ufficiale come consulente della polizia nella risoluzione dei crimini - Basilio è un eroe che per lunga parte della prima stagione agisce di nascosto e non può mettere a conoscenza nessuno del suo segreto. I suoi rapporti con la polizia sono per certi versi antagonistici. Le due indagini si muovono in parallelo. Basilio si serve della sua complicità con una giovane agente di polizia, Patrizia Vannini, per suggerirle delle piste investigative che poi la portano a risolvere il caso, ma viene continuamente redarguito dal Commissario Maccari, il quale non vede di buon occhio il suo interessamento ai casi, gli ricorda costantemente che ormai non è più un poliziotto e gli vieta di partecipare alle indagini. Basilio è un alleato occulto della polizia ed è destinato ad agire nell’ombra. Per gran parte della serie agisce da solo e si trova in qualche modo a dover giustificare, con non pochi problemi, le sue visioni come semplici intuizioni investigative agli altri membri del team completamente all’oscuro del suo segreto. Solo nell’ottavo episodio della serie (Scienza e coscienza), dopo averle salvato la vita, Basilio è costretto a confidare a Maddalena, sua amica e socia in affari, la natura del suo dono. È l’unica con la quale Basilio si confida, per tutti gli altri continua ad essere solo un ex poliziotto dall’intuito eccezionale. Un altro importante elemento da prendere in considerazione è la modalità con cui il protagonista della serie entra in contatto con il mondo straordinario. Mentre per le due eroine protagoniste di Medium e di Ghost Whisperer il dono è una capacità innata che le accompagna fin dalla nascita, per Basilio la preveggenza è una capacità acquisita in un momento particolare della sua vita. Qualcosa che giunge in modo inaspettato, con cui deve imparare a convivere. Inoltre, a differenza di Allison e di Melinda, Basilio non ha la possibilità di colloquiare con le presenze, né può interrogarle sui dettagli del caso su cui sta investigando. Il suo dono si concretizza in una sequenza di immagini, un rompicapo che viene risolto solo attraverso le doti intuitive del protagonista. È anche importante sottolineare che per le due eroine il dono non necessita di oggetti di mediazione che fanno scaturire la visione, per Basilio, invece, c’è bisogno del contatto fisico di un oggetto da restaurare perché la visione possa verificarsi. La presenza di un oggetto di mediazione tra l’eroe e il mondo straordinario accomuna il personaggio di Basilio a quello protagonista della serie Ultime dal cielo, in cui un uomo ha l’opportunità di prevedere il futuro affidandosi a un oggetto magico: la copia di un quotidiano che riporta le notizie del giorno dopo. 81 5. L’elemento straordinario Le differenze tra il modello di eroe sensitivo proposto da Medium e Ghost Whisperer e quello de Il Restauratore non finiscono qui. Nelle due serie prese a modello in questa analisi comparativa, possiamo riscontrare anche una diversa integrazione dell’elemento straordinario nella vita dell’eroe e nell’economia del racconto. In entrambe queste serie, infatti, la rappresentazione del mondo paranormale si manifesta attraverso vari modi, che vanno dal sogno, alla visione ad occhi aperti, alla presenza fantasmatica con la quale è possibile dialogare. Queste manifestazioni paranormali sono inserite all’interno della narrazione come vere e proprie scene e sequenze narrative che sono parte integrante della storia. Ne Il Restauratore, invece, l’elemento straordinario si limita alla dimensione di luccicanza, una sequenza di immagini, di dettagli non esaustivi alla comprensione del mistero, che arresta l’azione della storia e viene riproposta, caso per caso, sempre identica a se stessa, con la sua carica di ambiguità e di mistero. La visione di Basilio è un montaggio di dettagli di un quadro più ampio degli eventi. Dopo la sua manifestazione inizia per Basilio una lotta contro il tempo nel tentativo di scongiurare la catastrofe imminente. Solo in un secondo momento Basilio agirà come intermediario, ma non tra il mondo dei morti e dei vivi, ma tra possibili carnefici e vittime, per convincere i primi a non scegliere la via della vendetta. L’elemento straordinario è determinante a motivare il protagonista ad agire e dà un primo significativo impulso all’indagine. La natura enigmatica della visione di Basilio imprime al suo intervento i meccanismi propri della detection. L’elemento straordinario è trattato come un indizio che fa partire un’indagine strutturata, però, in modo tradizionale. Una volta avuta la visione, Basilio inizia la sua indagine privata facendo un sopralluogo sulla scena di un crimine che non si è ancora verificato e del quale non sono chiare le dinamiche. Il ricercatore in questo caso si trova ad affrontare una strategia investigativa particolare. Infatti, è chiaro che un delitto verrà commesso: il pericolo, annunciato da dettagli che in un primo momento non sono facilmente codificabili, appare imminente, ma al tempo stesso non è chiaro chi sia la vittima, né quali siano le effettive circostanze della sua morte. L’indagine quindi non può partire da un esame della scena del crimine e dalle prove lasciate sul luogo del delitto dall’autore dello stesso. La strategia adottata in questa serie per far muovere la detection si basa completamente sulla relazione con i futuri attori in gioco del crimine, oppure con le future vittime. È proprio attraverso le relazioni e il dialogo con loro che il protagonista riesce gradualmente ad appurare la verità. L’analisi degli elementi della scena del crimine oppure i tradizionali interrogatori, sono qui sostituiti da un approfondimento sui personaggi, sulla loro storia e sui movimenti interiori che li portano a scegliere di commettere un crimine. Le storie dei casi di puntata narrano infatti di traumi interiori che potrebbero 82 sfociare nella violenza e non si limitano a indagare l’evento in sé, ma ricercano piuttosto le cause che si nascondono dietro le scelte discutibili dei personaggi. Possiamo quindi concludere che, nonostante Il Restauratore utilizzi entrambe le strategie narrative delle serie citate e si ponga in una via di mezzo tra esse servendosi sia della narrazione investigativa di Medium ma scegliendo anche di dare risalto all’azione conciliatoria e da intermediario caratterizzante la protagonista di Ghost Whisperer, la differenza determinante nella scelta di strategia drammaturgica adottata nel modello italiano è quella di isolare l’evento straordinario relegandolo in una posizione marginale nell’economia dell’intero racconto, privilegiando invece l’approfondimento e la caratterizzazione dei personaggi anche minori, protagonisti dei casi di puntata. Mentre nelle altre narrazioni prese in esame la scelta drammaturgica va nella direzione di una continua interazione tra i due mondi - entrambe le eroine dialogano con le presenze che sono protagoniste di diverse scene ed è anche grazie alle azioni e alle dichiarazioni delle presenze fantasmatiche che riescono ad appurare la verità sulle vicende sulle quali stanno indagando - l’azione di Basilio segue il percorso, esclusa la visione, di un’indagine tradizionale, fatta di colloqui, sopralluoghi sulla futura scena del crimine e pedinamenti, e sfocia in un approfondimento del personaggio che diventa il vero motore della storia. In questa serie, che propone l’idea suggestiva di una realtà che può essere restaurata, “lo straordinario” è utilizzato ancora come semplice motore iniziale dell’indagine, che poi torna e si muove nel contesto più rassicurante di un mondo tutto umano. Forse un possibile sviluppo del modello italiano potrebbe partire proprio da una maggiore integrazione dell’elemento fantastico nel tessuto della narrazione, al fine di dare nuovo impulso alla storia e di creare un nuovo interessante arco di sviluppo del personaggio. Ma per il momento la tensione è posta sul percorso del singolo, sulla sua personale avventura di redenzione e cambiamento a rispecchiare quella del protagonista, che proprio nella necessità di redimersi da un’azione commessa nel passato, trova il significato ultimo e la motivazione principale del suo dono magico. 83 Capitolo IV Il tredicesimo apostolo di Domenico Ierone 1. La tradizione narrativa Un prete anticonformista e scevro da pregiudizi che indaga, per conto di un’organizzazione interna alla Chiesa, su eventi e fenomeni che esulano dagli schemi logici di comprensione. Una psicologa votata allo scetticismo, che legge gli stessi accadimenti attraverso la lente dell’osservazione razionale. La coscienza, da parte del prete, di un dono miracoloso con il quale è difficile convivere, le cui origini sono da ricercare in un passato familiare nebuloso, tutto da ricostruire. Un trauma infantile che si cela nello stesso passato, e che dà luogo ad allucinazioni ed incubi ricorrenti. Una società segreta che mira a rovesciare l’autorità della Chiesa e che per farlo si prepara ad accogliere il nuovo messia, annunciato da una profezia vergata in un vangelo esoterico. Sono questi i motivi drammaturgici che sostanziano Il tredicesimo apostolo, la fiction targata Taodue trasmessa da Canale 5 e composta da dodici episodi, nella quale abbondano situazioni e contenuti tipici del mistery e del thriller a tinte soprannaturali. La serie traspone in ambito domestico, con modalità al contempo inedite e familiari, un immaginario culturalmente e geograficamente ben radicato come quello fantastico, di rado frequentato dai nostri racconti televisivi. L’operazione, sulla carta rischiosa proprio per la scarsa familiarità dello storytelling italiano con questa sfera narrativa, è stata nel complesso premiata dagli ascolti - lo share medio del programma si attesta intorno al 21% - e il titolo rinnovato per una seconda stagione. Il tredicesimo apostolo arricchisce l’esiguo campionario delle fiction nazionali ascrivibili al mistery. Il primo significativo ed efficace approccio televisivo con questo immaginario risale all’epoca d’oro degli sceneggiati, precisamente al 1971, anno in cui la Rai ha trasmesso Il segno del comando. Il racconto, strutturato in cinque puntate e ambientato a Roma, sfrutta i principali topoi del genere, tra cui quelli del “prescelto” e del “libro esoterico” - che ritroviamo ne Il tredicesimo apostolo -, innestandoli in un’avvincente trama dalle tinte giallo/gotiche. Sempre composta di cinque puntate e girata nella capitale è la miniserie Voci notturne (Rai Uno, 1995). Scritta da Pupi Avati, già autore per il grande schermo di riuscite storie di stampo horror/mistery rese particolarmente suggestive dallo scenario della Bassa Padana (Zeder , La casa dalle finestre che ridono), la fiction 84 sembra porsi in continuità con Il segno del comando, riprendendo da questa gli elementi esoterici e complottistici, ma ibridandoli con una più marcata vena investigativa e aggiornandoli con accenni di spaccato socio-politico. Più recenti sono le tre miniserie Zodiaco (Rai Due, 2008), L’isola dei segreti (Canale 5, 2009), L’ombra del destino (Canale 5, 2011). Questi titoli - i primi due basati su format francesi -, pur non mancando di aspetti interessanti e apprezzabili, pagano lo scotto di un’eccessiva tendenza alla commistione di generi, a causa della quale la suspense soprannaturale, ibridata con i temi melodrammatici cari alla nostra tradizione, perde alla lunga mordente. Infine, questa stagione televisiva, oltre a Il tredicesimo apostolo, ha visto in onda il film tv I guardiani del tesoro (Canale 5), in cui le atmosfere mistery sono decisamente virate verso l’adventure, e la serie Il restauratore (Rai Uno): seppur tra loro profondamente differenti, quest’ultima condivide con Il tredicesimo apostolo l’“arditezza” nell’affrontare determinate sfumature del fantastico avvalendosi di un formato differente da quello della miniserie, fino ad ora quello privilegiato per approcciarsi al genere. Con questa analisi faremo il punto sulle opportunità e sulle criticità insite nella portata innovativa de Il tredicesimo apostolo, verificando in particolar modo due aspetti tra loro complementari: le modalità di declinazione in chiave nazionale di stilemi narrativi d’importazione e la loro ibridazione con i generi più praticati dalla nostra fiction; l’influenza che le morfologie tipiche della media-lunga serialità dei titoli Taodue hanno nel modellare i contenuti e la semantica del racconto. 2. L’immaginario di riferimento Prima di passare ad esaminare nei dettagli il mondo diegetico de Il tredicesimo apostolo, individuiamo i riferimenti audiovisivi e letterari cui ammicca la serie. In seguito ne verificheremo i punti di contatto con le tipicità della nostra tradizione televisiva. La particolare missione del protagonista della fiction, Gabriel Antinori, unita ai suoi tormenti d’animo, ci riporta intuitivamente ad un film che è una vera e propria pietra miliare dell’horror a tinte soprannaturali, L’esorcista (1973). In questa pellicola padre Karras, oltre alla giovane età e l’appartenenza all’ordine dei gesuiti, condivide con Gabriel la problematica convivenza con la propria missione spirituale e il complicato rapporto con la figura materna. La figura di Antinori è vagamente ispirata anche a padre Kiernan di Stigmate (1999), il quale investiga per conto di una congregazione del Vaticano sulla veridicità di presunti fenomeni miracolosi. Oltre alla peculiare missione del sacerdote, ritroviamo qui un altro dei leitmotiv della serie di Canale 5: la presenza di una verità alternativa a quella su cui si basa l’autorità riconosciuta della Chiesa cattolica. Lo stesso tema attraversa i bestseller di Dan Brown e i relativi 85 adattamenti cinematografici, Il codice da Vinci (2006) e Angeli e demoni (2009). È proprio all’universo finzionale creato dallo scrittore statunitense che sembra guardare la rappresentazione che ne Il tredicesimo apostolo viene fatta delle gerarchie ecclesiastiche e delle dinamiche “politiche” che le animano. Alla parvenza di realismo nella resa del contesto istituzionale religioso fa da contraltare la presenza degli elementi esoterici, incarnati nel caso specifico, proprio come nelle opere di Brown, da una associazione segreta che cospira alle spalle della Chiesa cattolica. La concitata ricerca da parte di Gabriel di uno degli oggetti feticcio di questa setta, un vangelo non ufficiale, rimanda tangenzialmente al film La nona porta (1999), a sua volta tratto dal romanzo Il club Dumas di Arturo Pérez Reverte. Gli elementi più strettamente afferenti alla sfera del fantastico e del paranormale si palesano, ne Il tredicesimo apostolo, nella natura dei casi su cui Antinori e la psicologa Claudia Munari indagano. Le qualità di questa “strana” coppia, e il loro modo di approcciarsi a vicende fuori dall’ordinario, ricordano molto da vicino le caratteristiche del celebre duo di agenti dell’FBI della serie di culto X-Files (Fox, 1993-2002). Gabriel e Claudia, similmente all’intuitivo Mulder e all’analitica Scully, si interrogano da opposte prospettive, mettendo in gioco parte del loro vissuto, sulle possibili cause di fenomeni che non sono riconducibili, in apparenza, a una spiegazione razionale. Il filo rosso che attraversa questi riferimenti è l’argomento religioso. La trattazione di queste tematiche è, in Italia, radicalmente differente da quella attuata dalle opere citate. L’immaginario cattolico è materia di ispirazione quintessenziale dei racconti italiani per il piccolo schermo: con la sua varietà di figure - santi, papi, apostoli, preti, suore - è stato ed è al centro di storie di grande successo, a loro modo specchio dell’identità del Paese. Se nella tradizione anglosassone sono gli elementi di genere a farla da padrone, nei cui confronti la dimensione realistica si rivela spesso una piattaforma d’accesso ad eventi bigger than life, nella drammaturgia nazionale la messa in scena, al contrario può, a seconda dei casi, avere come prerogativa la fedeltà nella rievocazione del contesto storico-politico e culturale, la raffigurazione di un microcosmo sociale ordinario e quotidiano, il realismo emozionale. Veniamo allo specifico caso di protagonismo oggetto della nostra analisi, ossia quello relativo alla figura del prete. Sono due le tipologie di rappresentazione predilette dalla nostra fiction per raccontare l’universo religioso e civile visto dalla prospettiva dei sacerdoti: le biografie di importanti personalità legate al cattolicesimo e le storie di parroci alle prese con vicende che esulano dalla loro ordinaria area di competenza. Il biopic, che si avvale dei formati a breve serialità - film-tv e miniserie -, ha per protagonisti veri e propri “eroi della fede”: personaggi carismatici e al contempo fortemente umanizzati che, a seconda delle circostanze, possono essere caratterizzati come veri e propri outsider 86 moderni nei confronti del conservatorismo delle gerarchie ecclesiastiche. Questi racconti, il più delle volte di natura agiografica, sono fortemente permeati da toni melodrammatici, in consonanza con la natura del tradizionale biopic domestico. Nella seconda categoria di narrazioni abbiamo sì a che fare con “eroi della fede”, ma di tipo ricorrente e le cui qualità non sono riducibili soltanto alla loro vocazione religiosa. In Don Matteo e Un prete tra noi, due serie esemplari in questo senso, lo statuto dei protagonisti poggia, oltre che su una ben definita tensione morale e spirituale, sugli slanci intuitivi ed empatici funzionali alla risoluzione di vicende che apparentemente non avrebbero nulla a che vedere con la spiritualità: Don Matteo e Don Marco sono infatti sistematicamente coinvolti, seppur con diverse modalità e gradi di responsabilità, nei crimini e nei drammi individuali/familiari che minano l’equilibrio delle piccole comunità civili/spirituali di cui sono figure di riferimento (una piccola cittadina di provincia il primo, la parrocchia di un carcere il secondo). L’operato dei due preti si sovrappone, in maniera decisiva, a quello di istituzioni elettivamente deputate ad occuparsi delle stesse vicende, ma la loro peculiare caratura etica, unita alla loro autorità, consente loro di comunicare ad un livello più profondo, più umano, con soggetti problematici: sono vere e proprie figure di raccordo tra principi religiosi e regole civili, in grado di innescare processi di redenzione in coloro che sbagliano e trasgrediscono la legge. All’interno di strutture narrative di questo tipo, a maggior respiro seriale, si assiste ad una marcata ibridazione tra diversi generi: ai toni melodrammatici caratterizzanti le vicende episodiche dei preti protagonisti e la loro missione, si affiancano, a seconda dei casi, il giallo, il rosa e la commedia, con gli ultimi due registri a connotare perlopiù i subplot orizzontali dei personaggi secondari. Il tredicesimo apostolo rappresenta una novità assoluta per come siamo abituati a vedere rappresentata la figura del prete e il suo operato, per come finora abbiamo familiarizzato catodicamente con il sentimento e le istituzioni religiose. Calcando pesantemente la mano sui meccanismi di sospensione dell’incredulità, la serie trasla una importante fetta d’immaginario della nostra fiction in nuovi territori, quelli del mistery. Il risultato, come stiamo per vedere, è una coraggiosa e inedita declinazione di argomenti che, a loro modo, hanno sempre rappresentato un ideale anello di congiunzione con modelli internazionali di racconto poco praticati nei nostri lidi. 3. I protagonisti Gabriel Antinori, oltre ad adempiere alle ordinarie funzioni religiose, insegna teologia all’università, ambiente nel quale, grazie alla sua giovane età e ad un’inconsueta apertura mentale per il ruolo che riveste, affascina gli studenti 87 con le sue brillanti lezioni. Ma è lontano dall’altare e dalla cattedra che esplora i territori liminali tra la conoscenza razionale e i misteri della fede: Gabriel, membro “operativo” di un’organizzazione segreta del vaticano, la Congregazione della Verità, si occupa, per conto di questa, di verificare la reale natura di presunti fenomeni miracolosi. Per decifrare i segni connessi alle manifestazioni paranormali, spesso ad Antinori non bastano l’intuizione e l’erudizione personali: oltre che dell’importante aiuto di Claudia, Gabriel si avvale spesso della consulenza di Pietro e Giulia, brillanti ricercatori universitari che fanno coppia anche nella vita, e delle preziose dritte di padre Alonso, stravagante archivista della Congregazione. Responsabile di questa è lo zio di Gabriel, monsignor Demetrio Antinori, un mentore ambiguo di cui a inizio serie sappiamo essere per il nipote una figura di riferimento sin dall’infanzia, da quando, dopo la morte in un incidente dei genitori, se ne è preso cura. Le sue attenzioni verso il giovane sono tali che tenta di favorirlo nella nomina per un posto nel Direttorio della Congregazione, carica per cui è in lizza con padre Isaia, che mal tollera l’occhio di riguardo di Demetrio verso il nipote e che è disposto a tutto pur di screditare l’avversario. I presunti miracoli, per Gabriel, non sono soltanto una stimolante materia di indagine, ma rappresentano un mistero con il quale egli sa di aver convissuto sin dall’età di dieci anni quando, dopo essere caduto dal tetto di casa, è riuscito a salvarsi. Ma quell’esperienza, di cui non ricorda praticamente nulla e da cui sa solo di aver ereditato qualche disfunzione cerebrale, continua a tormentarlo: ha frequenti allucinazioni e incubi ricorrenti che hanno come denominatore comune la figura del padre e gli istanti precedenti il suo salto nel vuoto, un gesto di cui non ha mai conosciuto le vere motivazioni. Quando scopre di essere a sua volta in possesso di un dono taumaturgico - lo spettatore lo scopre insieme a lui, nel secondo episodio, e sulla sua infanzia sa quello di cui è a conoscenza fino a quel momento lo stesso personaggio -, grazie al quale può riportare in vita persone che hanno appena cessato di respirare, arriva per lui il momento di confrontarsi con se stesso e soprattutto con il suo passato. La ricerca da parte di Gabriel della verità sul suo potere miracoloso e sulla sua famiglia costituisce il principale tirante del plot orizzontale della serie. Un’importante linea narrativa che contribuisce a sostanziarlo è quella riguardante le attività di una misteriosa società segreta interessata ai medesimi soggetti paranormali su cui indaga il prete. Ma il vero obiettivo del leader di questa organizzazione, l’enigmatico Serventi, è proprio Antinori: a conoscenza del suo dono, lo mette spesso alla prova, convinto che egli sia il messia annunciato dalla profezia contenuta nell’Antivangelo, il testo esoterico sul quale, nella visione della setta, dovrà sorreggersi il nuovo ordine religioso che prenderà il posto delle istituzioni cattoliche. Il manoscritto riconosce il nuovo leader spirituale nel figlio concepito da un uomo di chiesa e da una donna laica. 88 Ed è proprio questa la sconvolgente verità sulla nascita di Gabriel, il quale arriva infine a scoprirla, grazie all’aiuto di Claudia e di padre Alonso, e a quello di un medium la cui famiglia era implicata nelle attività di Serventi. Tutto ciò che Antinori sa a proposito della sua infanzia si rivela così una menzogna: il suo vero padre è in realta lo zio, Demetrio, in combutta con lo stesso Serventi per far sì che la profezia si realizzasse; la madre non è morta come crede, bensì riveste un importante ruolo nella setta; colui che considerava il suo vero genitore, dopo aver scoperto il tradimento della moglie, è stato ucciso dallo stesso Demetrio. Inoltre, i reali avvenimenti della notte dell’incidente si riveleranno connessi a questa verità nascosta, e Gabriel scoprirà che a procurargli il coma era stato il suo primo tentativo di esercitare il proprio dono, nel tentativo di riportare in vita la madre precipitata dal tetto di casa. Vale la pena evidenziare la peculiarità della caratterizzazione e dello statuto del protagonista de Il tredicesimo apostolo. Il titolo stesso della fiction, nonché il suo sottotitolo, Il prescelto, suonano come una dichiarazione di intenti: oltre all’evocazione di una sfera di suggestioni relative a un determinato immaginario, emerge un ben preciso inquadramento di categoria del personaggio di cui il pubblico seguirà le vicende. Antinori, in virtù della sua missione e delle sue qualità paranormali, si differenzia in modo netto dalle figure in abito talare del fictionscape italiano. Mentre Don Matteo e il Don Marco di Un prete tra noi, carismatiche guide morali-spirituali dalla profonda umanità sono, come la maggior parte dei nostri protagonisti del piccolo schermo, eroi di spessa pasta mimetica, Gabriel possiede i tratti dell’eroe altomimetico e dell’eroe mitico. Mentre i primi gli derivano dalle capacità intellettuali e dalle spiccate doti intuitive finalizzate a decodificare i fenomeni paranormali, i secondi sono espressione della natura dei suoi poteri taumaturgici. Gabriel è consapevole di avere delle responsabilità derivanti da questo dono, ma non ha il totale controllo su di esso: ad ogni modo sa che la chiave per comprenderlo appieno sta da un lato nel suo nebuloso passato, dall’altro nelle informazioni che potrebbe rivelargli Serventi. Profondamente mimetico e più in linea con i canoni della nostra fiction è invece lo statuto di Claudia Munari, l’affermata psicologa che affianca Gabriel nelle indagini sui fenomeni straordinari. Scettica per vocazione e sistematicamente pronta a mettere in discussione gli slanci di fede del prete, è in realtà una donna fragile e problematica, che nel privato vediamo spesso confidarsi con una sua collega e amica. Della sua back-story ci vengono rivelati pochi dettagli: sappiamo che ha passato l’infanzia in collegio, dove probabilmente ha maturato una presa di distanza nei confronti dei precetti religiosi, e che ha un rapporto conflittuale con il padre, che non vede da diversi anni. Claudia incontra Gabriel nel primo episodio: i due si incrociano casualmente, chiamati a pronunciarsi sul medesimo caso inspiegabile, la donna 89 per conto dei servizi sociali. Tra di loro il feeling è immediato, nonostante le antitetiche inclinazioni intellettuali e di spirito. Da quel momento avviano una assidua collaborazione che, oltre alle rispettive competenze professionali, ne mette in gioco anche i sentimenti. Reciprocamente attratti l’uno dall’altra, è Claudia a esternare maggiormente il suo innamoramento verso Gabriel il quale, a sua volta, vive un forte conflitto tra le sue pulsioni più recondite e gli ideali che lo hanno portato a ricoprire l’incarico di sacerdote. Nonostante le incertezze e le resistenze di Antinori, Claudia si rivela per lui una figura fondamentale, che lo aiuterà a convivere con il suo dono e a far luce sul suo passato e sulle trame oscure che connettono Demetrio a Serventi. 4. L’impianto narrativo Dal punto di vista produttivo, la fiction si inserisce concettualmente nel filone a lunga serialità di marca Taodue, che ha portato in prima serata, nei palinsesti di Canale 5, titoli longevi e di larga presa sul pubblico quali Distretto di polizia, R.I.S. - che ha lasciato di recente il posto alla sua ideale continuazione R.I.S. Roma - e Squadra Antimafia. La griffe editoriale Taodue sta nella peculiare commistione di generi moderni e non autoctoni, quali ad esempio la detection e la mafia-story, con quelli più affini alla nostra tradizione, come il melodramma e la commedia. Questa confluenza di differenti immaginari prende vita tramite il formato della serie serializzata (fa eccezione in questo caso Squadra Antimafia, che è un miniserial), in cui il vero e proprio baricentro narrativo, più che nei casi episodici prettamente di genere, risiede nel massiccio running plot, teso ad assicurare alti livelli di melodrammaticità e di suspense attraverso la messa in gioco dei sentimenti e della vita stessa dei protagonisti. Vediamo ora come Il tredicesimo apostolo declina l’immaginario fantastico all’interno di queste strutture formali fortemente codificate. La natura dei casi episodici della fiction afferisce in toto al mistery. Ma in cosa consistono esattamente i fenomeni paranormali su cui Gabriel e Claudia indagano? È chiaro il non trascurabile debito che Il tredicesimo apostolo ha verso X-Files, oltre che per la caratterizzazione dei personaggi principali, per ciò che concerne la matrice di suggestioni dalla quale attingono i plot verticali. Ecco nel dettaglio gli eventi oggetto di indagine: due fratellini levitano durante il sonno; una donna usa dei disegni come anatemi; un medium prevede la morte di una bambina; un ragazzo rivive una sua vita precedente; una bambina, scomparsa da anni, riappare all’improvviso, uguale a come era il giorno in cui è sparita; una ragazza provoca fenomeni di combustione con la forza del pensiero; una donna vergine rimane incinta; una paraplegica riacquista l’uso delle gambe; una setta tiene prigioniero un bambino, reputandolo il nuovo messia; un fantasma infesta una villa. Queste sono le situazioni di partenza dei 90 casi episodici, dalle quali prendono le mosse le azioni della coppia di indagatori. Ma il loro agire, al contrario di quello che sembrerebbero suggerire gli accadimenti, il più delle volte travalica la mera indagine conoscitiva per sconfinare in un coinvolgimento fisico, oltre che emotivo: lo sviluppo delle vicende, più che muoversi sui canoni dell’enigma a tinte soprannaturali, procede perlopiù lungo i binari della suspense. Gabriel e Claudia hanno infatti spesso a che fare con situazioni che progredendo coinvolgono in maniera pericolosa, oltre ai diretti interessati, le persone a loro più vicine o i piccoli microcosmi sociali nei quali vivono. I due si trovano quindi a dover evitare il peggio, e di conseguenza la domanda implicita nel racconto sulle vere cause del fenomeno paranormale si tramuta in un interrogativo sul “come” si svilupperanno gli eventi, e su quali saranno le conseguenze. A questi interrogativi si aggiungono quelli, di altra natura, strettamente connessi allo sviluppo del running plot. La linea orizzontale, come detto in precedenza, è centrata sulla vicenda personale di Gabriel e sulle attività dell’organizzazione di Serventi, storyline destinate a convergere armonicamente negli episodi finali de Il tredicesimo apostolo. Qui il mistery va a braccetto con il retaggio melodrammatico più classico: forti polarizzazioni etiche, intrighi familiari, situazioni cariche di suspense, l’agnizione finale. La fiction non fa quindi eccezione nei confronti dei titoli Taodue citati in precedenza: le tematiche fantastiche vanno ad arricchire la gamma dei generi con i quali la casa di produzione, di volta in volta, configura serialmente le dinamiche del feuilleton. C’è poi il subplot relativo al forte legame tra Gabriel e Claudia: anche qui il racconto si muove su coordinate note, quelle melodrammatico-sentimentali, ma data la peculiarità della figura di Antinori viene messa la sordina sugli step caratterizzanti storie di questo tipo. Il loro rapporto sui generis vive così più di suggestioni ed incertezze che dell’aspettativa di una concreta realizzazione affettiva. 5. La declinazione del fantastico La contaminazione del mistery con i canoni del racconto popolare e il relativo innesto in un impianto seriale già rodato, se da una parte ha garantito la “riconoscibilità editoriale” de Il tredicesimo apostolo, dall’altra ha contribuito senz’altro, come confermato dall’elevato share d’ascolto della fiction, alla familiarizzazione con modi di racconto culturalmente distanti dalla nostra tradizione. Di più, quest’operazione ha permesso una inedita declinazione, sia dal punto di vista iconico che tematico, di un immaginario puntigliosamente codificato come quello della religione cattolica. D’altro canto, possiamo però affermare che, in questa sorta di incasellamento aprioristico in un dato modello, anche se vincente, le potenzialità dei toni e delle strutture del fantastico hanno trovato dei limiti espressivi, che a loro volta hanno avuto 91 ripercussioni sulla limpidezza del concept di serie. Sintomo più immediato della problematica integrazione tra il campionario di risorse espressive del mistery e le robuste morfologie di marca Taodue sono i dati relativi agli ascolti dei singoli episodi della serie: dal primo all’ottavo i dati decrescono costantemente, con una differenza di quasi tre milioni tra gli estremi, per poi risalire gradualmente fino all’ultima serata. Numeri emblematici di un interesse parzialmente scemato, come se il racconto, di settimana in settimana, non avesse mantenuto delle aspettative. Cerchiamo di capire il perché di questa perdita di pubblico. Un prezioso aiuto per la nostra analisi ci viene dalle riflessioni di Tzvetan Todorov sul genere fantastico, raccolte in La letteratura fantastica. Ne citiamo un passo fondamentale: Così penetriamo nel cuore del fantastico. In un mondo che è sicuramente il nostro, quello che conosciamo […] si verifica un avvenimento che, appunto, non si può spiegare con le leggi del mondo che ci è familiare. Colui che percepisce l’avvenimento deve optare per una delle due soluzioni possibili: o si tratta di un’illusione dei sensi, di un prodotto dell’immaginazione, e in tal caso le leggi del mondo rimangono quelle che sono, oppure l’avvenimento è realmente accaduto, è parte integrante della realtà, ma allora questa realtà è governata da leggi a noi ignote […] Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza; non appena si è scelta l’una o l’altra risposta, si abbandona la sfera del fantastico per entrare in quella di un genere simile, lo strano o il meraviglioso. Il fantastico è l’esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale.1 L’ambiguità, l’incertezza, il dubbio sono quindi i requisiti quintessenziali dei racconti fantastici. Il genere sprigiona tutte le proprie potenzialità all’interno di questo cono d’ombra, in cui i personaggi cercano di fare, per quanto riescono, un po’ di luce, nel contempo confrontandosi con i loro più profondi moti d’animo. È qui che emergono le implicazioni tematiche di questo immaginario, alimentate dalla capacità dell’ignoto di fungere da efficacissimo elemento catalizzatore delle dinamiche emotive e speculative. Il tredicesimo apostolo fa senz’altro parte della categoria dei racconti fantastici: per dirla con Todorov, la sua natura attiene al meraviglioso più che allo strano. La narrazione è costellata di eventi regolati da un ordine “altro”, fatti che irrompono con prepotenza nell’ordine quotidiano dei personaggi, e che inevitabilmente lo sconvolgono. Essendo la fiction in esame un’opera seriale, dovremmo quindi trovare in essa una peculiare “drammaturgia del dubbio”, una messa in forma sofisticata dell’ambiguità che tenga appunto conto del 1 T. Todorov, La letteratura fantastica, Milano, Garzanti, 1977 92 formato narrativo, nello specifico quello della serie serializzata. Come si inserisce quindi l’essenza del mistery, letta sotto questa lente, ne Il tredicesimo apostolo? Il racconto, nella sua globalità, può dirsi compiuto in questo senso? L’elemento fantastico più potente è da rinvenire nella presa di coscienza da parte di Gabriel dei suoi poteri taumaturgici. Si intuisce subito che le direttrici principali della fiction si muoveranno sul running plot, imperniato sulla lunga e complessa, nonché affascinante, elaborazione delle incertezze di Antinori riguardo la sua vera identità e le sue origini. Per contro, non è ben focalizzata, a livello sintattico e semantico, la dimensione episodica della serie, potenzialmente l’arena elettiva del dubbio e quindi cuore pulsante del concept. È da una parte nelle dinamiche tra Antinori e Claudia, come detto personaggi parzialmente ispirati a Mulder e Scully di X-Files, e dall’altra nella strutturazione e nella natura delle indagini che li vedono protagonisti che manca il quid necessario a fare de Il tredicesimo apostolo un racconto davvero compiuto. Un rapido parallelo proprio con la serie americana, che al contrario è un caso esemplare di drammatizzazione della questione cruciale alla base del fantastico, può aiutarci a chiarire la questione, a maggior ragione proprio perché il prodotto in esame mutua da essa alcuni elementi chiave. Vediamo la differenza tra i due titoli nei loro aspetti più immediatamente tangibili. Mentre in X-Files emerge, come vera e propria spina dorsale del racconto, il confronto tra antitetici punti di vista (conflitto che al suo massimo grado verte sul mistero stesso dell’esistenza), tra Gabriel e Claudia, rispettive incarnazioni delle istanze della fede (Gabriel in questo senso può essere considerato una sorta di Mulder al quadrato) e della scienza, la dialettica stenta ad emergere e a trovare dei temi privilegiati da dibattere. Paradossalmente, la tensione principale tra i due si rinviene nel loro rapporto affettivo sui generis, che va a rinforzare l’impalcatura melodrammatica della serie. Inoltre l’interazione tra Gabriel e Claudia sembra soffrire della mancanza di un compito istituzionalizzato che accomuni la coppia, e quindi di quell’insieme di finalità e competenze condivise che contribuiscono a declinare e sostanziare il conflitto tra opposti. Antinori agisce per conto della Congregazione, ha un movente ben radicato che lo spinge a investigare e inoltre può contare su un repertorio di conoscenze e materiali utili a comprendere meglio il fenomeno indagato: possiamo ben dire di trovarci di fronte ad un eroe ricorrente, le cui caratteristiche trovano consonanza nella natura dei casi. Claudia, al contrario, viene coinvolta nelle vicende episodiche dallo stesso Gabriel, alla stregua di “consulente speciale”: le motivazioni che la spingono ad agire appaiono più sfumate rispetto a quelle della sua controparte, sospese tra la mera curiosità e la molla affettiva. 93 Se manca il terreno fertile al conflitto tra opposti, è anche perché le indagini perdono parte della loro potenziale ambiguità, e quindi del loro fascino, una volta individuata con certezza all’inizio del racconto, nelle qualità di Gabriel, l’esistenza dell’elemento soprannaturale. Il parziale statuto di eroe mitico di Antinori si riverbera, oltre che nel rapporto con Claudia, sui toni dei casi episodici: questi, spesso modellati sul registro della suspense piuttosto che su quello dell’indagine conoscitiva tout-court (foriero del confronto tra i diversi punti di vista), non di rado esaltano le qualità di Gabriel, intento a salvare delle vite, quando non a “resuscitarle”. In questi casi, l’utilizzo di un espediente puramente melodrammatico inficia la coerenza nella risoluzione del plot verticale. Altro elemento che concorre alla nebulosità del concept concerne il filo rosso che accomuna le indagini. In X-Files la coppia di detective si confronta, durante le nove stagioni della serie, con una sterminata casistica di fenomeni paranormali: questi, pur nella loro eterogeneità, vanno a comporre a mo’ di tasselli un armonico e sofisticato mosaico, la cui chiave di lettura risiede nelle implicazioni fantascientifiche e fantapolitiche su cui sono imperniate le tematiche del racconto. Ne Il tredicesimo apostolo, al contrario, manca una macrocornice di suggestioni che funga da collante per l’ampia diversificazione dei casi: l’impressione è piuttosto quella di trovarsi di fronte a fatti isolati, tra loro flebilmente legati, di importanza secondaria rispetto al running plot. La principale funzione della dimensione episodica deve piuttosto essere individuata in territorio extradiegetico, in quanto elemento che concorre nel creare una struttura seriale, piuttosto che come modalità di declinazione del tema di serie. Proprio quest’ultima affermazione è emblematica dell’attitudine della nostra fiction, anche a contatto con immaginari non autoctoni, a rimanere arroccata su morfologie seriali prestabilite, a vocazione generalista, in cui la fidelizzazione del pubblico è delegata principalmente ai toni melodrammatici (e/o a quelli leggeri della commedia) e alle forme del racconto popolare. All’interno di questi formati la dimensione prettamente episodica delle storie viene penalizzata, privata di spessore e relegata in secondo piano. Abbiamo visto che il modello editoriale in cui si inscrive Il tredicesimo apostolo non fa eccezione: le strutture e gli elementi intrinseci del fantastico, lungi dal trovare una tematizzazione coerente e compiuta, si palesano più che altro nei loro aspetti più superficiali e spettacolari, spesso connessi al melodramma. Ma la serie è comunque riuscita nell’intento di catturare l’attenzione del pubblico, proponendo coraggiosamente un sottogenere, il mistery, quasi del tutto estraneo alle corde nazionali. Il risultato finale, pur con i suoi limiti, è quindi uno stimolante viatico per nuovi e più consapevoli tentativi di indigenizzazione di immaginari internazionali. 94 PARTE SECONDA Schede dei programmi della stagione 2011-2012 Le schede sono state redatte da: Giacomo Gailli, Elena Giogli, Domenico Ierone, Fabrizio Lucherini, Annalucia Natale, Samuela Vannuccini FILM-TV/ COLLECTION 96 L’affondamento del Laconia – 12 settembre 1942 Film-tv (120') Canale 5 – Prima serata Domenica 2 ottobre 2011 Ascolto (in migliaia): 2.362 Share: 10,82% Regia: Uwe Janson Soggetto e sceneggiatura: Alan Bleasdale Musiche: Enjott Schneider Produzione: Publispei, teamWorx, Talkback Thames, in collaborazione con ARD Degeto, SWR, BBC, Eos Entertainment Produttori: Nico Hoffmann, Klaus Zimmermann, Johnatan Young, Juergen Schuster, Tobias Haas, Sara Geater, Lorraine Heggessey Interpreti: Franka Potente, Ken Duken, Andrew Buchan, Matthias Koeberlin, Thomas Kretschmann, Jacob Matschenz, Frederick Lau, Simon Verhoeven, Brian Cox, Lindsay Duncan, Ludovico Fremont 1942, Oceano Atlantico, al largo della costa occidentale africana. A bordo del mercantile inglese Laconia, oltre all’equipaggio e ai civili britannici, viaggiano soldati polacchi e 1800 prigionieri di guerra italiani. L’attacco all’imbarcazione da parte di un sommergibile tedesco segna l’inizio di una lunga odissea sia per i sopravvissuti sia per gli stessi uomini del Reich, guidati dal capitano Hartenstein. L’ufficiale, resosi conto che tra i superstiti, oltre ai militari inglesi, vi sono civili e alleati italiani, cerca di riparare alle errate direttive del Comando portando in salvo e accogliendo nell’U-Boot i naufraghi. Tra questi, tre personaggi per i quali la tragedia si rivela occasione di solidarietà reciproca e di riscatto personale: Hilda, ragazza tedesca che, pur di portare in una nazione libera la nipotina orfana di pochi mesi, si finge passeggera inglese; l’ufficiale inglese Mortimer, cui i soldati del Reich hanno ucciso la famiglia e l’unico a conoscere il segreto di Hilda; l’orgoglioso tenente italiano Vincenzo Di Giovanni, deciso a riscattare se stesso e i suoi commilitoni dalle vessazioni subite a bordo del Laconia. Hartenstein, nel tentativo di favorire i soccorsi, tratta con gli inglesi, che temendo una trappola scaricano la responsabilità di ogni scelta agli americani; ma questi non comprendono la gravità della situazione e bombardano il sommergibile. Il comandante tedesco troverà comunque il modo di portare in salvo i superstiti del disastro, guadagnandosi in patria una Croce al valore. Coproduzione di alto profilo, la fiction narra un episodio poco conosciuto della seconda guerra mondiale, in cui persero la vita più di mille soldati italiani. Concepita come miniserie in due puntate, in Italia è stata rimontata nel formato del film-tv, utilizzando l’espediente della voce narrante fuori campo (quella di Di Giovanni) per sopperire ai tagli: una scelta che, pur non inficiando la resa dei temi a base della narrazione (solidarietà, senso di responsabilità) e delle motivazioni dei personaggi, confonde nell’individuazione di un chiaro protagonista (presumibilmente Hartenstein nella versione integrale). (D.I.) 97 Il delitto di Via Poma Film-tv (100’) Canale 5 – Prima serata Martedì 6 dicembre 2011 Ascolto (in migliaia): 3.882 Share: 14,72% Regia: Roberto Faenza Soggetto: Pietro Valsecchi Sceneggiatura: Antonio Manzini, Roberto Faenza Musiche: Andrea Farri Produzione: RTI, Taodue Produttori: Giuseppe Scrivano (RTI), Pietro Valsecchi, Camilla Nesbitt (Taodue) Interpreti: Silvio Orlando, Giulia Bevilacqua, Michele Alhaique, Astrid Meloni, Giorgio Colangeli, Rosa Pianeta, Claudio Botosso, Imma Piro, Lorenzo Lavia, Fabrizio Traversa, Angelo Maggi, Paolo Buglioni, Alessio Caruso, Alessandro Giuggioli, Luca Cimma, Vittorio Ciorcalo, Maria Laura Rondanini, Sergio Graziani, Daniela Piperno, Paolo Maria Scalondro, Milena Miconi, Paolo Bernardini, Sebastiano Lo Monaco, Massimo Popolizio, Marzo 2010. Un uomo si suicida lasciandosi annegare dopo aver ingerito dei sedativi. E’ l’anziano Pietrino Vanacore, portiere dello stabile romano di Via Poma dove il 7 agosto 1990 venne assassinata Simonetta Cesaroni. Il gesto estremo di Vanacore è conseguente della riapertura del processo sul delitto per il quale, dopo 20 anni, non c’è ancora un colpevole. Dopo questo breve prologo il racconto torna all’agosto del 1990, presentando Simonetta, 21 anni, che vive con i genitori e lavora come segretaria contabile. Il pomeriggio del 7 agosto la ragazza si reca in ufficio, deserto a causa delle vacanze estive, per sbrigare delle pratiche. Quando i familiari non la vedono tornare per cena cominciano una ricerca sempre più angosciosa, che culmina con il ritrovamento del cadavere della ragazza. Le indagini, affidate all’ispettore Montella, sono problematiche: la scena del crimine è di difficile lettura probabilmente a causa di un depistaggio, tutte le persone coinvolte (dal portiere dell’elegante palazzo, ai datori di lavoro e alle colleghe della vittima) sono reticenti, la stampa monta il caso puntando sugli aspetti più pruriginosi. Montella procede con caparbietà alla ricerca del colpevole, ma è ostacolato dai suoi stessi superiori che conducono le indagini senza la cura necessaria, inimicandosi i familiari della vittima e commettendo clamorosi errori, come l’arresto di Vanacore. La narrazione si concentra sul primo mese delle indagini, poi procede per ellissi dando conto delle periodiche riaperture del caso, e si conclude con il processo d’appello al fidanzato dell’epoca di Simonetta, condannato in primo grado e prosciolto in appello, pochi mesi dopo la messa in onda della fiction. La ricostruzione di un celebre caso di cronaca nera diventa l’occasione per il ritratto di un Paese in cui l’omertà è un habitus mentale che accomuna le diverse classi sociali. Attori in parte, ricostruzione d’epoca accurata, narrazione scevra da eccessi e forzature: sono molti i pregi di questo film-tv, un prodotto superiore alla media della fiction italiana. (F.L.) 98 Noi credevamo Film-tv (165’) Raitre – Prima serata Venerdì 30 dicembre 2011 Ascolto (in migliaia): 1.199 Share: 5,32% Regia: Mario Martone Soggetto: Anna Banti Sceneggiatura: Mario Martone, Giancarlo De Cataldo Musiche: Hubert Westkemper, Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gioacchino Rossini Produzione: Palomar, Rai Cinema, Les Films d’Ici, ARTE France Produttori: Carlo Degli Esposti, Conchita Airoldi, Giorgio Magliulo, Serge Lalou, Carlo Cresto-Dina Interpreti: Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Francesca Inaudi, Andrea Bosca, Edoardo Natoli, Guido Caprino, Renato Carpentieri, Michele Riondino, Peppino Mazzotta, Franco Ravera, Stefano Cassetti, Andrea Renzi, Ivan Franek, Luigi Pisani, Roberto De Francesco, Toni Servillo, Luca Barbareschi, Fiona Shaw, Luca Zingaretti, Anna Bonaiuto, Giovanni Capalbo, Pietro Manigrasso, Pino Calabrese, Enzo Salomone, Alfonso Santagata Cilento, 1828. Domenico, Angelo e Salvatore sono tre amici che credono nell’ideale dell’Italia unita, e aderiscono al movimento mazziniano. Salvatore persegue la causa in modo ingenuo, Domenico è invece un uomo riflessivo e di saldi principi, Angelo infine, è collerico e impulsivo, invasato e incline alla violenza. I tre si impegnano nella lotta per l’unità d’Italia prendendo tre strade diverse. Salvatore, a causa della sua ingenuità, verrà accusato di tradimento e ucciso da Angelo, che diverrà uno dei più agguerriti e violenti sostenitori del movimento. Domenico, invece, scrive e studia e insieme ad altri intellettuali passerà un lungo periodo in carcere, rifiutandosi di chiedere la grazia. Angelo, in seguito ad alcune azioni terroristiche, rimane ucciso dalle autorità e resta solo Domenico ad assistere alla fine della sua epoca. Si unisce a Garibaldi, lotta per l’Italia e alla fine di tutto, nonostante la nazione sia unita, lo sguardo di Domenico è disincantato e deluso. Assiste a una seduta del Parlamento e sente che i discorsi dei politici si sono fatti di nuovo vuoti, mentre i ricchi sono tornati ad arricchirsi e i poveri alle loro miserie. A livello di struttura narrativa, la scelta fondamentale riguarda le strade dei tre protagonisti, che si dividono presto, il che diminuisce la forza della storia d’amicizia e il peso del tema personale in favore di quello storico dell’unità d’Italia. Attraverso i tre protagonisti e i loro diversi atteggiamenti - ingenuità e prudenza, spirito critico e violenza - gli autori rappresentano tre aspetti inconciliabili dello stesso sentimento patriottico, inconciliabilità che si riflette sul suo esito: un’Italia unita ma incompiuta, incapace di risolvere le sue contraddizioni. Noi credevamo, versione televisiva del film già uscito nelle sale, è un prodotto accurato nella confezione e lento nella progressione degli eventi, che traccia un affresco critico del Risorgimento e della sua eredità storica. (G.G.) 99 A fari spenti nella notte Film-tv (100') Rai Uno – Prima serata Martedì 21 febbraio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 4.900 Share media: 17,66% Regia: Anna Negri Soggetto: Umberto Mattone, Alessandra Murri Sceneggiatura: Giovanna Koch, Fabrizia Midulla con la collaborazione di Umberto Mattone e Alessandra Murri Musiche: Dominik Scherrer Produzione: Ocean Productions, Rai Fiction Produttori: Doriana Caputi (Rai), Sergio Giussani (Ocean Productions S.r.l) Interpreti: Guido Caprino, Anita Caprioli, Francesca Inaudi, Federico Pacifici, Manfredi Aliquo', Maria Rosaria Omaggio Roma. Stefano è un giovane benestante che trascorre le sue giornate all'insegna della sregolatezza solo per infastidire il padre. In occasione del matrimonio di due suoi amici, Leo e Maria, Stefano viene incaricato di fare da accompagnatore a Chiara, graziosa neurologa, e tra i due scatta subito una simpatia. Improvvisamente il padre di Stefano muore. Il ragazzo, sconvolto, dopo il funerale scappa in una folle corsa in moto, resta coinvolto in un incidente e viene ricoverato in coma nello stesso ospedale dove lavora Chiara, la quale ha modo di conoscere la madre di Stefano, Federica, e una donna di nome Antonia che dice di essere la moglie di Stefano. In realtà si tratta di un'attricetta che Stefano aveva ingaggiato per far infuriare il padre. Ora che il giovane è in coma, Antonia cerca, insieme al suo amante, di raggirare la famiglia di Stefano per rubare i suoi soldi. Al suo risveglio, Stefano è paraplegico e privo di memoria e Antonia ne approfitta per portare avanti il suo piano che grazie ai sospetti di Chiara viene sventato. Chiara intuisce che c'è qualcos'altro che impedisce a Stefano di ricominciare a camminare: il ragazzo durante l'infanzia ha subìto dei traumi a causa di suo padre, che non accettando la sua dislessia, cercava in tutti i modi di correggerlo per renderlo simile a lui. Con l'aiuto di Chiara, Stefano supera finalmente questo trauma infantile, e riesce ad avere una vita normale. Nella prima parte il racconto è più disteso e focalizzato sul vissuto emotivo dei personaggi, nella seconda parte il giallo si fa intricato e procede sul doppio binario del noir (il complotto di Antonia) e del mistero sepolto nel passato di Stefano. La storia, liberamente ispirata a quella vera del co-sceneggiatore Umberto Mattone, è molto densa dal punto di vista narrativo, soprattutto per l’elevata commistione di generi: c’è il melò familiare e la storia d’amore, il complotto noir e l’indagine piscologica. Ma c’è anche il tema della dislessia, di cui, attraverso dei flash back esplicativi, si raccontano gli aspetti più critici delle cure messe in atto fino ad alcuni anni fa. Il risultato finale è sufficientemente coeso e interessante ma poco riconoscibile rispetto agli standard della fiction domestica. (E.G) 100 6 passi nel giallo Collection (6 x 100') Canale 5 – Prima serata Mercoledì dal 22 febbraio al 28 marzo 2012 Ascolto medio (in migliaia): 3.268 Share media: 11,98% Regia: Lamberto Bava, Roy Bava, Edoardo Margheriti Soggetto e sceneggiatura: Stefano Piani, Fabrizio Lucherini, Alberto Ostini, Brian Hampton, Stefano Sudrié. Story editor: Stefano Piani. Musiche: Alessandro Molinari Produzione: Leader Film Company, RTI Produttori: Raffaello e Cristina Monteverde (Leader), Cristina Pittalis (RTI) Interpreti: Andrea Osvart, Craig Bierko, Alessandro Riceci, Eliana Miglio, Roberto Zibetti, Adriano Giannini, Katrina Law, Enrico Silvestrin, Matt Patresi, Demetri Goritsas, Giorgia Surina, Elisabetta Pellini, Nicolas Vaporidis, Paolo De Vita, Daniele Pecci, Erica Durance, Tomas Arana, Marco Leonardi, Rob Estes, Ana Caterina Morariu, Clayton Norcross, Kevin Sorbo, Jane Alexander, Andrea Miglio Risi, Cosimo Fusco, Antonio Cupo 6 passi nel giallo è una collection di sei film-tv tenuti insieme dall’appartenenza al genere thriller e ambientati nell’area del Mediterraneo, tra Malta, la Sicilia e la Puglia. Le storie: una medium, dopo aver sognato una bambina minacciata da un uomo misterioso, coinvolge un detective nella ricerca della piccola; una guardia del corpo deve proteggere una coraggiosa giornalista vittima di minacce di morte; un ex profiler dell’FBI, deciso a tagliare i ponti con il suo passato professionale, si ritrova a indagare sul ritorno di un serial killer; una donna si rivolge ad un commissario di polizia per ritrovare la sorella gemella scomparsa e sospettata di omicidio; uno scrittore di successo, accusato ingiustamente dell’omicidio della moglie, è costretto a nascondersi e a improvvisarsi detective per scoprire chi lo ha incastrato; una banda di rapinatori in fuga trova rifugio in una villa e prende in ostaggio la famiglia che ci abita. La collection, al di là della differente riuscita delle storie di cui si compone, è un vero e proprio caleidoscopio narrativo delle molteplici declinazioni del thriller: i racconti abbracciano sia le forme più pure e tradizionali del genere sia quelle più claustrofobiche e noir, integrandosi anche - in uno dei film - con il paranormale. È esplicita l’influenza della lezione crime dell’ultimo ventennio hollywoodiano - un elemento che insieme alla presenza nel cast di guest-star americane denota il respiro internazionale del progetto -, ma l’interesse della collection va ricercato soprattutto nel tentativo di ricreare quelle suggestioni, quelle atmosfere cupe e ambigue, che hanno caratterizzato un certo cinema italiano di genere degli anni Settanta-Ottanta (al quale rinviano esplicitamente i nomi dei registi, Bava e Margheriti, figli d’arte). (D.I.) 101 Mai per amore Collection (4x100’) Rai Uno – Prima serata Martedì dal 27 marzo al 17 aprile 2012 Ascolto medio (in migliaia): 4.749 Share media: 16,98% Regia: Lilliana Cavani, Marco Pontecorvo, Margarethe Von Trotta Soggetto di serie: Angelo Pasquini, Roberto Tiraboschi Sceneggiatura: Angelo Pasquini, Liliana Cavani, Roberto Tiraboschi, Andrea Purgatori Musiche: Andrea Farri, Mauro Pagani, Lucio Gregoretti, Francesco De Luca, Alessandro Forti; sigla di Gianna Nannini Produzione: Rai Fiction, Ciao Ragazzi! Produttori: Claudia Mori (Ciao Ragazzi!), Tonino Nieddu (Rai Fiction) Interpreti: Antonia Liskova, Massimo Poggio, Carolina Crescentini, Francesca Inaudi, Bruno Wolkovitch, Alessio Boni, Stefania Rocca, Nina Torresi, Clara Dossena, Ninni Bruschetta, Barbora Bobulova, Thomas Trabacchi, Esther Ortega, Gaetano Bruno Mai per amore è una collection composta da 4 storie autonome che mettono in scena diverse declinazioni del medesimo tema: la violenza sulle donne. Troppo Amore. Livia si innamora di un professore facoltoso e sicuro di sé che si rivela però geloso e violento. Quando cerca di allontanarlo, lui reagisce seguendola e aggredendola. Ragazze in web. Claudia e Silvia sono studentesse universitarie che dividono lo stesso appartamento. Claudia ha problemi economici e si mantiene facendo la webcam girl. Chattando, si fa coinvolgere da un cliente facoltoso con cui accetta di uscire. L’uomo, freddo e solitario, che la lascia a se stessa quando la scopre incinta, è il padre di Silvia. Lei, prima rompe l’amicizia con Claudia, poi torna sui suoi passi e trova il coraggio di affrontare quel padre anaffettivo che l’ha sempre trascurata. La Fuga di Teresa. Teresa è una ragazza la cui madre muore in un incidente d’auto. Attraverso una serie di flashback, motivati dalle indagini di Teresa, si scopre che il padre, un medico, è un maniaco del controllo che, per tenerla legata a sé, drogava la moglie, spingendola verso una profonda depressione. Helena & Glory. Helena è una prostituta ucraina ricattata dal suo protettore che tiene in ostaggio il figlio che hanno avuto assieme. Helena deve trovare il coraggio di ribellarsi e puntare sull’amicizia della collega Glory per liberare il bambino. Troppo Amore e La Fuga di Teresa sviluppano un approccio classico ed efficace nel mettere in scena la vittimizzazione fisica e psicologica delle donne. Helena & Glory è una vicenda di amicizia femminile ambientata in un mondo ostile. Rispetto alle altre storie, è più ricca di azione e meno attenta all’analisi della psicologia della protagonista. Ragazze in web, il film-tv più ambizioso e quello meno risolto, si scontra con la difficoltà di mettere in scena il mondo dei rapporti virtuali. Donne vittime degli uomini a cui sono affettivamente legate: è questo il punto di vista che unifica le diverse storie. I film-tv sono realizzati con cura e un apprezzabile grado di realismo, il cui unico limite è una qualche indulgenza nella messa in scena degli aspetti morbosi connaturati ai temi affrontati. (G.G.) 102 I guardiani del tesoro Film-tv (100') Canale 5 – Prima serata Giovedì 5 aprile 2012 Ascolto (in migliaia): 3.697 Share: 14,48% Regia: Iain B. MacDonald Soggetto e sceneggiatura: Richard Kurti, Bev Doyle Musiche: Michael Richard Plowman Produzione: RTI, Tandem Communications, Film Afrika, Prosieben Television Produttori: Benedetta Caridi, Raffaella Bonivento (RTI), Moritz Polter Interpreti: Raoul Bova, Anna Friel, Volker Bruch, Florentine Lahme, Patrick Lyster, Andre Jacobs, David Sherwood Angelo, uomo d’azione dal passato tormentato, entra a far parte della congregazione dei Guardiani del Tesoro, un’organizzazione segreta del Vaticano il cui scopo è localizzare e proteggere le sacre reliquie sparse per il mondo. Obiettivo del suo primo incarico è ritrovare il leggendario anello di re Salomone, ricercato da tempo anche dalla celebre archeologa Victoria Carter. La donna, in possesso di preziose informazioni sul reperto, dopo qualche resistenza accetta di collaborare con Angelo, tenendo segretamente aggiornato il padre Teddy, anch’egli archeologo, sugli sviluppi delle ricerche. Quando Teddy viene rapito da un gruppo di banditi al soldo del professor Elgar, doppiogiochista collega della Carter, Victoria e Angelo devono affrontare una corsa contro il tempo per giungere, prima degli avversari, alle informazioni utili a rintracciare l’anello. La coppia, a cui si aggiunge in corsa lo scapestrato Luca, fratellastro di Angelo, intraprende un frenetico e pericoloso viaggio che la condurrà da Roma al tempio di Salomone, nel deserto della Giordania, passando per Londra, l’Egitto e la Tunisia. Tra indizi rivelati, fughe rocambolesche, scontri a fuoco e gli effetti di una leggendaria maledizione legata alla sacra reliquia, il trio riesce infine a recuperare l’anello, non prima di aver affrontato un’ultima volta i propri avversari. Victoria riabbraccia finalmente il padre, mentre Angelo, compiuto con successo il suo primo incarico per il Vaticano, deve già prepararsi per una nuova missione. Il film-tv, coproduzione italo-tedesca girata in larga parte in Sudafrica, ha i suoi riferimenti principali da una parte negli adventure movie degli anni Ottanta (la saga di Indiana Jones, All’inseguimento della pietra verde), dall’altra nelle più recenti produzioni mistery a sfondo religioso (Angeli e demoni). Nonostante l’intreccio sia sin troppo lineare e la narrazione proceda più che altro per accumulo, riducendo all’essenziale la caratterizzazione dei personaggi, il racconto non tradisce le caratteristiche fondanti dei modelli cui attinge. Le ambientazioni esotiche inusuali per la fiction domestica, la compressione delle transizioni spaziali e temporali, la massiccia dose di azione, fanno de I guardiani del tesoro un prodotto gradevole e nel complesso abbastanza riuscito. (D.I.) 103 Area Paradiso Film-tv (100') Canale 5 – Prima serata Venerdì 6 aprile 2012 Ascolto (in migliaia): 3.593 Share: 16,12% Regia: Diego Abatantuono, Armando Trivellini Soggetto e sceneggiatura: Diego Abatantuono, Giovanni Bognetti, Armando Trivellini Musiche: Federico De Robertis Produzione: Colorado Film, RTI Produttori: Maurizio Totti, Alessandro Usai (Colorado Film), Ludovica Etteri (RTI) Interpreti: Diego Abatantuono, Ale & Franz, Ricky Memphis, Rosalia Porcaro, Karin Proia, Gianluca Fubelli, Maria Jesus Pierabella, Stefano Costantini, Ugo Conti, Raul Cremona, Riccardo Zinna, Marco Milano, Cinzia Mascoli, Michele Vasca, Sebastianello Genovese Toscana. All’interno della piccola area di sosta “Paradiso” hanno luogo le vicende della nutrita e strampalata comunità di personaggi, vera e propria famiglia allargata, che gestisce la struttura. Furio, il responsabile delle pompe di benzina, che da anni ha eletto l’autogrill a suo microcosmo di vita, riceve la visita di un figlio che ignorava di avere; Poldo, il direttore del ristorante con il vizio del gioco d’azzardo, si ritrova indebitato e costretto a ricucire il rapporto con la moglie Marisa, la barista; Arturo, il meccanico, incontra finalmente la donna con cui da tempo comunica su internet. La sfida più importante per il gruppo riguarda però la sopravvivenza stessa di “Area Paradiso”: l’azienda proprietaria ha infatti deciso che solo il più redditizio tra i due autogrill della compagnia, situati sulla stessa strada provinciale, potrà rimanere aperto. È l’inizio di una lotta all’ultimo cliente, fatta di alzate d’ingegno e colpi bassi, tra il personale del “Paradiso” e il cinico responsabile della più efficiente struttura concorrente, che alla lunga avrà la meglio. Ma Furio riesce insperatamente a salvare il lavoro di tutti dimostrando che “Area Paradiso” è stata costruita abusivamente sul terreno di proprietà della sua famiglia. L’azienda, pur di evitare beghe legali, accetta così di mantenere aperto l’autogrill. Area Paradiso è una commedia corale che poggia prevalentemente sulla riconoscibilità del repertorio comico degli interpreti, quasi tutti provenienti dal cabaret di trasmissioni di successo come Colorado Café e Zelig. Come spesso accade in operazioni di questo tipo, il modellamento dei personaggi sui rispettivi attori finisce per sacrificare alla comicità verbale le dinamiche conflittuali interne alla comunità. Il limite principale risiede comunque nell’aver scelto il formato breve del film-tv per un racconto affollato di caratteri e situazioni: il parallelo e frettoloso dipanarsi delle vicende private dei personaggi, a mo’ di serie relazionale in nuce, rimane estraneo e slegato dal plot principale, privando così Area Paradiso di una chiara identità narrativa. (D.I.) 104 Suor Pascalina Film-tv (100’) Rai Uno – Prima serata Domenica 8 Aprile 2012 Ascolto (in migliaia): 4.423 Share: 18,94% Regia: Marcus O. Rosenmuller Soggetto di serie: Henriette Piper, Gabriele Scheidt Sceneggiatura: Henriette Piper, Gabriele Scheidt Musiche: Hans Franek Produzione: Betafilm, ARD e Rai Fiction Produttori: Paola Pannicelli (Rai), Regina Ziegler Interpreti: Christine Neubauer, Remo Girone, Thomas Loibl, Ulrich Gebuer, Renato Scarpa, Tina Engel, Emily Behr Monaco, 1919. Josephine Lehnert (suor Pascalina), viene mandata al servizio del cardinale Eugenio Pacelli, inviato a Monaco per stringere accordi diplomatici tra il Vaticano e la Germania nazista. Suor Pascalina, devota e scrupolosa, non si limita a organizzare la casa e gli impegni di Pacelli ma instaura con lui un rapporto più profondo, qusi da consigliera e confidente. L’invidia per il suo status e il suo talento spinge gli altri membri della servitù a denunciare suor Pascalina presso la madre superiora del suo ordine. Secondo le calunnie, Pascalina avrebbe stretto con Pacelli una relazione indecorosa per la quale le viene chiesto di confessarsi e fare ammenda. Lei è una donna orgogliosa che sa di non aver fatto niente di male: protesta, agisce da ribelle e non si piega agli ordini superiori. E’ il suo ottimo lavoro che la salva perché Pacelli, circondato da collaboratori poco competenti, ottiene di riaverla al fianco. La loro riunione è breve perché il monsignore viene richiamato a Roma e portare con sé la suora sarebbe profondamente irrituale. Pascalina però non cede, sa che il suo posto è accanto a lui; trova il modo di seguirlo e, sfidando gli usi del Vaticano, a restargli vicina anche quando diventa Papa Pio XII. Assieme affrontano l’incubo del nazismo: ratificano la posizione neutrale della Chiesa per non aumentare il numero di coloro che rischiano la deportazione, e riescono a salvare alcuni ebrei dalle SS, mimetizzandoli da Guardie Svizzere. Suor Pascalina resterà in Vaticano fino al 1958, anno della morte di Pio XII. Il film-tv è un biopic religioso sui generis che eleva al rango di protagonista un personaggio che ha vissuto gli eventi storici messi in scena da comprimario. Il ritratto di suor Pascalina, presentata come esempio di cristianità e rigore e la cui devozione per Pacelli la fa apparire a tratti una donna quasi maniacale, è giocato su due versanti narrativi. Il più convenzionale e drammaturgicamente efficace, è il conflitto della protagonista contro maldicenze e convenzioni; il più originale, ma che risente di uno sviluppo un po’ didascalico, è la relazione fra suor Pascalina e Pacelli, vista come opportunità di raccontare il retroscena di decisioni di portata storica che riposano non solo sulle spalle dei potenti, ma anche su quelle di chi sta al loro fianco. (G.G.) 105 Paolo Borsellino - I 57 giorni Film-tv Rai Uno – Prima serata Martedì 22 maggio 2012 Ascolto (in migliaia): 8.164 Share: 30,01% Regia: Alberto Negrin Soggetto e sceneggiatura: Francesco Scardamaglia Musiche: Ennio Morricone Produzione: Compagnia Leone Cinematografica, Rai Fiction Produttori: Francesco e Federico Scardamaglia (Compagnia Leone Cinematografica), Carla Capotondi (Rai Fiction) Interpreti: Luca Zingaretti, Lorenza Indovina, Enrico Iannello, Davide Giordano, Rori Quattrocchi, Andrea Tidona, Marilù Pipitone, Claudia Gaffuri, Bruno Torrisi Palermo, 23 maggio 1992. Il giudice Paolo Borsellino riceve la notizia della morte del suo amico e collega Giovanni Falcone, che ha perso la vita, assieme alla moglie e alla scorta, in un attentato di mafia. Si tratta di una vera e propria dichiarazione di guerra allo stato e alla legalità. Borsellino è consapevole di essere anche lui in pericolo, visto lo strettissimo legame professionale e ideologico con Falcone, e proprio in virtù di questo legame, sente di dover proseguire la lotta contro Cosa Nostra, portata avanti per anni assieme a Falcone. Ma non è una decisione che può prendere da solo: Borsellino ha una moglie e tre figli per cui è preoccupato e si confronta con loro, ventilando la possibilità di terminare la propria carriera di magistrato. Ma nessuno lo spinge a lasciare le armi, sanno che la sua battaglia è troppo importante per la giustizia e condividono con lui l’etica del dovere: fuggire sarebbe inutile e sbagliato, è giusto restare al proprio posto senza cedere alla paura. E così Borsellino porta avanti le indagini, capisce che la mafia si sta riorganizzando e ha messo profonde radici nello Stato, si scontra con alcuni colleghi che fanno della lotta alla mafia una questione di prestigio e visibilità pubblica. Più passano i giorni e più avverte il pericolo incombente: stringe a sé la moglie e i figli cercando di non allarmarli. Il 19 luglio del ’92 Borsellino muore in un attentato. Quello stesso giorno la figlia, seguendo gli insegnamenti e l’esempio del padre, va all’università a sostenere un esame. I 57 giorni del titolo sono quelli che dividono la morte dei due giudici: un arco temporale, estremamamente compresso, che si rivela una scelta drammaturgica efficace nello smarcare questa fiction dal canone delle biografie televisive. Meno storica e più intimista del Paolo Borsellino proposto da Mediaset nel 2004, la fiction presenta un protagonista che è l’incarnazione dei valori dell’abnegazione e dell’amore per la giustizia: un eroe, ma anche un uomo che ha paura, che è consapevole sia dei rischi che dell’importanza della causa per cui combatte. Ben realizzato e interpretato con convinzione da uno degli attori più importanti della fiction italiana, il film-tv riesce nell’intento di rappresentare l’uomo e le sue doti, mettendo in secondo piano le sue imprese. (G.G.) 106 L’una e l’altra Film-tv (100’) Canale 5 – Prima serata Venerdì 25 maggio 2012 Ascolto (in migliaia): 3.444 Share: 15,31% Regia: Gianfranco Albano Soggetto di serie: Paola Pascolini, Emanuela Del Monaco, Antonio Cosentino Sceneggiatura: Paola Pascolini, Emanuela Del Monaco, Antonio Cosentino Musiche: Paolo Silvestri Produzione: R.T.I., 11 Marzo Film Produttori: Marco Videtta (R.T.I.), Matteo Levi (11 Marzo Film) Interpreti: Barbara De Rossi, Paola Perego, Christopher Lambert, Luis Molteni, Monica Dugo, Simon Grechi, Giorgio Marchesi, Francesca Ferrazza, Miriana Raschilla, Ilaria Serrato, Ettore Belmondo Perla è una donna raffinata, abituata agli agi e alla vita mondana. Quando Giacomo, suo marito, muore improvvisamente, Perla scopre che anche il patrimonio di famiglia si è dissolto. Perla allora è costretta a trasferirsi con la capricciosa figlia Nice nell’unica proprietà rimasta a suo nome, un casale in toscana di cui non conosceva l’esistenza. Qui trova Lucia, l’amante di Giacomo, e le loro figlie Cassy, Tea e Pippi, che hanno sempre vissuto in campagna, in modo semplice e con pochi soldi. Madri e sorellastre sono ovviamenti insofferenti le une con le altre, ma le comuni difficoltà economiche le costringono ad una convivenza e ad una collaborazione forzata. Nasce l’idea di creare un agriturismo: se riuscissero a promuovere i loro prodotti potrebbero accedere a un generoso fondo dell’Unione Europea a favore delle iniziative agricole locali. Le madri, l’una all’insaputa dell’altra, finiscono entrambe a letto con il viscido direttore di banca pur di avere il prestito di cui hanno bisogno e, quando scoprono di essere state entrambe usate, si vendicano prendendolo a schiaffi nella pubblica piazza. Anche sul fronte delle figlie i problemi non mancano. La piccola Pippi non vuole che il suo maialino venga venduto per risanare il bilancio familiare; Nice è bella e sfrontata, e il ragazzo amato da Cassy si invaghisce di lei suscitando gelosia e screzi; Tea decide di fare voto di silenzio e parlare solo con brevi note di sassofono. L’una e l’altra è una commedia che mette in scena personaggi sopra le righe e procede per accumulo di situazioni. Nel soggetto, gli spunti interessanti non mancano: la cornice agreste e la vita di paese, la convivenza forzata di una famiglia allargata composta da sole donne, il confronto fra due stili di vita antitetici. Il film tenta anche la carta del fantastico per trovare un modo originale per mettere a confronto due persone e i loro pregiudizi: Perla e Lucia infatti, vedono entrambe il fantasma del marito come se fosse una proiezione della propria coscienza e dei rispettivi pensieri. Ma anche questo, come gli altri spunti, finisce per essere un espediente fine a se stesso, che non trova adeguato sviluppo e integrazione con gli altri elementi narrativi in gioco. (G.G.) 107 MINISERIE 108 Anna e i cinque 2 Miniserie (6 x 100') Canale 5 – Prima serata Mercoledì dal 7 settembre al 5 ottobre, martedì 20 settembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 4.084 Share media: 16,60% Regia: Franco Amurri Soggetto di serie: Franco Amurri, basato sulla serie televisiva spagnola Ana y los siete, di Ana G. Obregon Soggetto e sceneggiatura: Stefania Bertola, Stefano Sudrié, Franco Amurri, Fabio Di Ranno, Valeria Giasi, Nicola Guaglianone; head writer: Franco Amurri; story editor: Stefano Sudrié; story editor RTI: Salvatore Mastria Musiche: Stefano Cenci Produzione: RTI, Magnolia Fiction Produttori: Alessandra Silveri (RTI), Rosario Rinaldo (Magnolia) Interpreti: Sabrina Ferilli, Pierre Cosso, Riccardo Garrone, Eleonora Sergio, Massimo Ciavarro, Magdalena Grochowska, Paolo Conticini, Andrea Ferreol, Carolina Victoria Benvenga, Alberto Galetti, Alice Bellagamba, Aurora Andreaus, Karen Ciaurro, Amedeo Magnaghi, Luisa De Santis, Edoardo Pesce, Eleonora Gaggioli, Massimo De Rossi, Daniela Terreri, Silvia Gavarotti, Sara Mollaioli, Gianni Franco Roma. Anna Modigliani è ormai più che una tata per la famiglia Ferrari: è a un passo dal matrimonio con l’imprenditore Ferdinando Ferrari, per i cui cinque figli riveste il ruolo di vera e propria figura materna. Le precarie condizioni di salute di Wilma, la donna che Anna crede essere la madre che non ha mai conosciuto, la spingono a trasferirsi nella capitale per assisterla: nonostante le bugie di Wilma sulla sua vera identità, tra di loro si instaura un forte legame. Intanto, l’azienda Ferrari è in forte crisi: tra i responsabili, l’avvenente Benedetta, consulente finanziario invaghita di Ferdinando ma decisa a rovinarlo per volere del padre, banchiere senza scrupoli. Anna, ottenuta la parte da protagonista in una soap, aiuta i ragazzi ad affrontare il difficile periodo. La crisi sentimentale è però dietro l’angolo, sempre a causa di Benedetta, che fa di tutto per intralciare il matrimonio tra Ferdinando e Anna. Quest’ultima, comprese le vere intenzioni della donna, insieme ai suoi cinque riesce a tirar fuori l’azienda dalla crisi e a rinsaldare il legame di coppia. In Anna e i cinque 2 emergono, accanto alla commistione tra family e commedia romantica caratterizzante la prima edizione della miniserie, il drama piuttosto marcato del rapporto tra Anna e Wilma e il feuilleton relativo alla crisi economica dei Ferrari, con tanto di nemico che trama nell’ombra. Questa abbondanza di spunti disperde la dimensione tematica del racconto originario (il contrasto fra la tata di modesta estrazione e la famiglia ricca ma scarsa di affetti) e crea problemi di tono e di compattezza narrativa: la premessa non è ben definita, e di conseguenza lo sviluppo è caotico, disomogeneo, mancando di una netta gerarchizzazione tra plot principale e sottotrame. (D.I.) 109 Sangue Caldo Miniserie (6x100’) Canale 5 – Prima serata Venerdì dal 9 settembre al 14 ottobre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 4.017 Share media: 17,12% Regia: Luigi Parisi e Alessio Inturri Soggetto: Teodosio Losito Sceneggiature: Teodosio Losito, Luigi Montefiori, Manuela Romano, Laura Sabatino, Luigi Spagnol, Valentina Capecci Musiche: Stefano Caprioli Produzione: RTI, Ares Film Produttori: Elena Costa, Michela Palladino (Rti), Alberto Tarallo (Ares Film) Interpreti: Asia Argento, Manuela Arcuri, Francesco Testi, Valeria Milillo, Raniero Monaco di Lapio, Gabriel Garko, Angela Molina, Bruno Eyron, Vincent Spano, Valeria Milillo, Elena Russo, Giulio Berruti, Brando Giorgi, Mirco Petrini, Rosalinda Celentano Roma, 1958. Arturo La Paglia, detto Mister è un rapinatore che vuole mettere a segno un'ultima fantastica rapina per poi vivere onestamente con Anna Rosi, una giovane prostituta che ha due figli: Antonia e Sergio. Il complice di Mister è Gianni Fontana, un uomo senza scrupoli che, sommerso dai debiti con la malavita, vuole l'intero bottino della rapina. Fontana uccide Mister ma non riesce a prendere il bottino perché Anna affida i soldi della rapina a Loretta Pinin, la sua migliore amica, per poter garantire un futuro ad Antonia, Sergio ed Enea, il figlio di Loretta. Le due donne scappano in Svizzera con i figli, ma Fontana è disposto a tutto per riavere quei soldi. Il criminale trova le fuggitive, uccide Anna e spezza per sempre la sua famiglia, separando i figli Antonia e Sergio: lei affidata alle suore in collegio, lui venduto agli zingari. Nella miniserie seguiamo le vicende dei tre giovani a distanza, nel corso degli anni: Antonia viene adottata dal commissario che ha indagato sulla morte di sua madre, Mauro Malaspina che si innamora morbosamente di lei; Sergio, cresciuto dagli zingari come uno di loro, scappa per ritrovare sua sorella; mentre Enea, per mantenere la madre, è diventato un pugile clandestino. Solo molti anni dopo i due fratelli si ritrovano, e con l'aiuto del “fratello di sangue” Enea, arrivano ad una drammatica resa dei conti con il criminale Fontana. La narrazione, strutturata secondo le convenzioni del feuilleton, è ricca di eventi e colpi di scena; le situazioni sono spesso estreme, i personaggi prevedibili nella loro semplicistica tipizzazione: o del tutto negativa o del tutto positiva. Sangue Caldo è un “fotoromanzo popolare” che ricalca lo stile delle precedenti produzioni interpretate da Gabriel Garko e Manuela Arcuri, basate su caratteri e situazioni negative, sulla messa in scena di una torbida sensualità, su personaggi-maschera, varie facce di una umanità corrotta, crudele e violenta. Si tratta di un modello di intrattenimento chiaro ed efficace, fondato sulla trasgressione, la cui ripetizione della formula comincia però ad usurare. (E.G.) 110 Dov’è mia figlia Miniserie (4x100') Canale5 – Prima serata Domenica dall’11 al 25 settembre, giovedì 8 settembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 4.110 Share media: 18,16% Regia: Monica Vullo Soggetto di serie: Andrea Purgatori, con la collaborazione di Giuseppina Torregrossa Sceneggiatura: Andrea Purgatori, Laura Ippoliti, Angelo Pasquini Musiche: Antongiulio Frulio Produzione: RTI, Mediavivere Produttori: Marco Videtta (RTI), Paolo Bassetti, Massimo Del Frate (Mediavivere) Interpreti: Claudio Amendola, Nicole Grimaudo, Giulia Bevilacqua, Edoardo Sylos Labini, Serena Autieri, Edoardo Leo, Valentina Carnelutti, Simon Grechi, Sergio Romano, Giorgio Gobbi, Benedetta Gargari, Andrea Santonastaso, Ascanio Pacelli, Fabrizio Coniglio, Teodoro Giambanco, Brando Pacitto, Andrea Pittorino Roma. Claudio Valle gestisce, insieme all’amico Francesco e al fratello Marco, un’affermata impresa edile. In crisi con la moglie Sabina, frequenta a sua insaputa la fidanzata di Marco, Valentina. In poche settimane Claudio si ritrova a far fronte a due eventi destinati a sconvolgere la sua vita professionale e affettiva: la morte in circostanze misteriose di Francesco e il rapimento della figlia adolescente Chiara ad opera del boss mafioso Serrano. Il filo rosso sotteso agli avvenimenti è la scomparsa di un registro della contabilità dal contenuto compromettente, tenuto in segreto da Marco, complice di Serrano. Il registro, a suo tempo sottratto da Francesco e ora custodito dalla vedova Marzia, finisce nelle mani di Claudio, ignaro della collusione mafiosa del fratello e intenzionato ad usare il documento come merce di scambio per il rilascio di Chiara. Gli eventi precipitano quando Claudio viene accusato dell’omicidio di Marzia e costretto a proseguire in clandestinità la ricerca della figlia. A condurre le indagini sul rapimento è la commissaria Cavani, determinata a catturare Serrano, che già in passato le era sfuggito, e convinta dell’innocenza di Valle fino a coprirne la latitanza. Claudio scopre che, oltre a Marco, nel frattempo ucciso da Serrano, anche Valentina è complice del boss, e che è stata proprio lei ad uccidere Francesco. Trovato il covo del criminale, riesce infine con il provvidenziale intervento della Cavani a liberare Chiara. Miniserie dall’intricato ma convincente impianto drammaturgico, Dov’è mia figlia si caratterizza per la bilanciata commistione tra il crime a venature noir e il melodramma familiare. Non sempre evitando gli eccessi nella resa dei conflitti e delle relazioni tipici di quest’ultimo genere, l’intreccio trova soprattutto efficacia nella messa in forma degli elementi del crime. In questo senso si rivela funzionale anche il classico sviluppo da feuilleton, in cui peripezie e colpi di scena si integrano con i topoi del racconto popolare, quali la serenità familiare spezzata, l’innocente perseguitato, la dark lady pronta a tutto pur di realizzarsi. (D.I.) 111 Il segreto dell’acqua Miniserie (6x90') Rai Uno – Prima serata Domenica 11, 25 settembre e 2 ottobre, lunedì 12, martedì 20, mercoledì 21 settembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 3.089 Share media: 12,84% Regia: Renato De Maria Soggetto di serie: Umberto Contarello, Piergiorgio Di Cara, Dino Leonardo Gentili, Filippo Gentili, Filippo Gravino, Sara Mosetti, Marco Pettenello Sceneggiatura: Umberto Contarello, Filippo Gravino, Sara Mosetti, Marco Pettenello Musiche: Teho Teardo Produzione: Rai Fiction, Magnolia Fiction Produttori: Alessandra Ottaviani, Fania Petrocchi (Rai Fiction), Rosario Rinaldo (Magnolia Fiction) Interpreti: Riccardo Scamarcio, Valentina Lodovini, Michele Riondino, Lucia Sardo, Roberto Herlitzka, Ninni Bruschetta, Luigi Maria Burruano, Massimiliano Gallo, Max Mazzotta, Salvatore Cantalupo, Natalino Balasso, Dario Aita, Mario Cordova, Dajana Roncione, Fabrizio Ferracane, Rosario Tedesco, Lino Guanciale Palermo. Angelo Caronia è un detective abile e colto ma incline all’insubordinazione, per questo è stato trasferito da Roma in un commissariato di periferia del capoluogo siciliano. Per Angelo è un difficile ritorno nella città d’origine: sin dall’adolescenza ha tagliato i ponti con il patrigno Ruggero Santocastro, imprenditore mafioso, e con il fratellastro Blasco, suo ex compagno di crimine. Ma è ora giunto il momento di affrontare i fantasmi del passato: alle prese con una misteriosa mancanza d’acqua in città e con alcuni casi di omicidio in apparenza scollegati, svelerà un intrigo affaristico - dietro il quale c’è proprio Santocastro - finalizzato a dirottare l’acquedotto cittadino verso un complesso turistico in costruzione. E intanto, l’agente Gemma, con cui ha una relazione, si rivela essere la fidanzata di Blasco, negli anni rimasto fedele al padre e rancoroso verso Angelo. La verità su Santocastro arriva al termine di una lunga e travagliata indagine, in cui Angelo trova l’aiuto di Adele, la donna che in passato lo aveva spinto a uscire dal crimine e che pagherà con la vita il suo coinvolgimento. È tra i due fratelli che avviene la resa dei conti finale, che porta al pentimento di Blasco e alla cattura di Santocastro. Alla base de Il segreto dell’acqua c’è un miscuglio di generi, dal crime alla detection e al melodramma sentimentale, con in più venature psicologiche. Un racconto intricato che non riesce a dotare la miniserie di una piena tenuta drammaturgica. Se nella prima metà si assiste ad un cadenzato quanto macchinoso evolversi del plot investigativo, nella seconda il ritmo accelera e gli stilemi della detection si rivelano funzionali al crescendo delle dinamiche emotive dei personaggi. La fiction si distingue comunque per il sofisticato tratteggio del personaggio di Angelo, figura atipica di poliziotto intellettuale, impegnato ad elaborare il suo personale conflitto identitario (D.I.) 112 Il commissario Zagaria Miniserie (2x100') Canale 5 – Prima serata Lunedì 12 e martedì 13 settembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 3.160 Share media: 14,05% Regia: Antonello Grimaldi Soggetto: Lino Banfi, Edoardo Bechis, Leopoldo Pescatore Sceneggiatura: Piero Bodrato, Edoardo Bechis, Leopoldo Pescatore Musiche: Stefano Arnaldi Produzione: Alba Film 3000, RTI Produttori: Bruno Altissimi, Walter Zagaria, Fabio Leoni (Alba), Costantino Margiotta, Elisabetta Trautteur (RTI) Interpreti: Lino Banfi, Marco Cocci, Rosanna Banfi, Antonio Stornaiolo, Sandro Ghiani, Ana Caterina Morariu, Isabelle Adriani, Manrico Gammarota, Luigi Petrucci, Paolo De Vita, Mimmo Mancini, Vanni Fois, Antonio Cesari, Dante Marmone, Tiziana Schiavarelli, Paolo Gasparini, Antonio Matessich, Viviana Strambelli, Anna Gigante, Luigi Santamaria, Davide Donatiello, Giandomenico Cupaiolo, Samantha Michela Capitoni Lecce. Il commissario Pasquale Zagaria, prossimo alla pensione, si trova ad affrontare il caso più difficile della sua carriera: i rapporti tra un clan della ‘ndrangheta e la malavita salentina si fanno tesi dando luogo a una catena di omicidi. Il poliziotto è convinto che a tenere le fila della criminalità locale sia lo stimato commendator Matera, ma non ha prove per dimostrarlo; può comunque contare sul prezioso apporto del vice questore Stefano Amato, appena arrivato da Firenze con il compito di riorganizzare la sezione scientifica della caserma. La coppia fatica ad entrare in sintonia: Amato, meticoloso e razionale, non lesina critiche nei confronti dei metodi bonari di Zagaria, il quale fa valere dalla sua la profonda conoscenza degli ambienti più popolari della città. Le indagini giungono ad una svolta con il coinvolgimento di un amico del commissario, Pagano: l’uomo, convinto che i calabresi gli abbiano rapito la figlia, tenta di farsi giustizia da solo e subisce l’ira di Matera, che ne ordina l’esecuzione. Zagaria, catturato l’assassino, prepara la stretta finale intorno a Matera con l’aiuto di Amato, il quale nel frattempo ha approfittato della sua relazione con Nicoletta, la figlia del boss, per intercettare le comunicazioni del criminale. Zagaria arresta finalmente Matera e può pregustare la pensione, mentre Stefano, dopo qualche resistenza, decide di rimanere a Lecce. La miniserie, che richiama nel titolo e nella statura comica del protagonista i detectives cult cinematografici interpretati da Banfi negli anni Settanta-Ottanta (uno di questi era appunto dedicato al brigadiere Zagaria), tenta di fondere l’umorismo dell’attore pugliese con le atmosfere del poliziesco televisivo più tradizionale. Il risultato è un ibrido privo di una chiara identità, in cui è la leggerezza dei toni, spesso alimentata da gag estemporanee, a prevalere sulle drammatiche implicazioni della confusa detection story. (D.I.) 113 Tiberio Mitri. Il campione e la miss Miniserie (2x100’) Rai Uno - Prima serata Lunedì 26 e martedì 27 settembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 4.141 Share media: 15,75% Regia: Angelo Longoni Soggetto: Alessandro Sermoneta, Elena Bucaccio, Maurizio Giammusso, Angelo Longoni Sceneggiatura: Alessandro Sermoneta, Elena Bucaccio con la collaborazione di Angelo Longoni e Maurizio Giammusso. Musiche: Sergio Cammariere Produzione: Rai Fiction, Cristaldi Pictures Produttori: Fabrizio Zappi (Rai Fiction), Massimo Cristaldi (Cristaldi Pictures) Interpreti: Luca Argentero, Martina Stella, Eleonora Ivone, Giovanni Vettorazzo, Francesco Meoni, Paolo Scalondro, Paola Sambo, Ruben Spendelhofen, Fabio Camilli, Simone Colombari, Isabelle Adriani, Carmen Tejedera, Giancarlo Previati, Paolo Giovannucci, Antonio Ugo, Juan Pascarelli, Francesco Benigno, Alessandro Riceci, Nuccio Siano, Maurizio Zacchigna, Giuliano Oppes, Ivan Espeche Trieste, primi anni ’50. È da poco finita la guerra e l’Italia è in cerca di miti per tornare a sognare. Proprio come Tiberio Mitri e Fulvia Franco che, a dispetto delle umili origini, sono belli e hanno successo. Lui, campione europeo di pugilato, lei Miss Italia 1948. Il loro è un amore da rotocalco, alimentato da una passione viscerale e sincera ma minato dall’irrefrenabile ambizione di entrambi. Mentre Tiberio si allena a New York per disputare lo storico scontro con La Motta per il titolo mondiale, Fulvia sogna di sfondare a Hollywood scatenando la gelosia del marito, sempre meno concentrato sul ring. Sfumata la vittoria, Tiberio e Fulvia tornano in Italia dove li attendono difficoltà economiche e una vita coniugale sempre più esanime, nonostante l’arrivo di un figlio. Per guadagnare, il pugile triestino non esita ad accettare ruoli a teatro o nel cinema, rubando non di rado la scena ad una moglie sempre più rancorosa e distante. I tradimenti di entrambi conducono all’inevitabile separazione, lasciando comunque intatta la memoria di un amore difeso fino all’ultimo round. Il campione e la miss racconta l’ascesa e l’inizio del declino delle carriere di una coppia patinata nell’Italia degli anni Cinquanta. Utili e riuscite le scene iniziali, che mostrano in flashback paralleli come l’ambizione dei due protagonisti non sia stata un vezzo incoraggiato dalla sorte ma l’approdo di un percorso iniziato dall’infanzia, nel tentativo di riscattarsi da famiglie inadeguate e soffocanti. Metafora della provvisorietà del successo e della caducità della fama, il racconto trova il suo punto di forza nella rappresentazione del sottile antagonismo tra i due protagonisti, un uomo e una donna uniti dalla passione ma logorati dall’invidia reciproca e dal timore di essere offuscati e schiacciati dal riflesso dell’altro. Un po’ appesantita da interpretazioni in dialetto non sempre all’altezza e dall’eccessivo addensarsi di svolte narrative nella seconda puntata, questa fiction resta tuttavia un prodotto di medio livello. (S.V.) 114 Il signore della truffa Miniserie (2x100’) Rai Uno - Prima serata Lunedì 3 e martedì 4 ottobre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 5.178 Share media: 19,60% Regia: Luis Prieto Soggetto: Giorgio Glaviano, Giorgio Schottler Sceneggiatura: Paolo Logli, Alessandro Pondi Musiche: Pasquale Catalano Produzione: Rai Fiction, Artis Produttori: Leonardo Ferrara, Federica Rossi (Rai Fiction), Giorgio Schottler (Artis) Interpreti: Gigi Proietti, Maurizio Casagrande, Massimo De Lorenzo, Susi Laude, Juan Diego, Lorenza Sorino, Clotilde Sabatino, Edoardo Leo, Giulia Lippi, Sandra Collodel, Lidia Broccolino, Maurizio Donadoni, Alessandro Mistichelli, Antonio Serrano, Pascal Zullino, Elizabeth Kinnear, Cristina Puccinelli, Giulia Steigerwalt, Adelmo Togliani, Andrea Refuto, Pia Velsi. Verbania. Su un intero condominio pende una finanziaria che minaccia di espropriare i residenti dei loro appartamenti. In preda al panico, i condomini chiedono aiuto a Nicola Persico, generale della Guardia di Finanza in pensione, che dopo un’esitazione iniziale accetta, mosso a compassione e non meno bramoso di rispolverare la sua vera carriera. L’elegante generale è in realtà Federico Sinacori, un ex truffatore sempre pronto a cambiare identità. Con la complicità di tutti i condomini, orchestra una controtruffa ai danni di chi li ha raggirati: un notaio compiacente, un direttore di banca e un agente immobiliare. Eludendo le forze dell’ordine, Sinacori riuscirà a racimolare la somma necessaria al riscatto dell’immobile, conquistando nello stesso tempo la stima di chi ha visto salva la casa grazie al suo intervento, e della commissaria di polizia che, dopo aver ripercorso le tappe di un tormentato passato, scoprirà di essere sua figlia. Questa miniserie sceglie il linguaggio della commedia brillante per affrescare, senza particolari pretese e in presenza di un intreccio modesto, uno spaccato di società facilmente riconoscibile. Con l’espediente narrativo del disagio innescato da una truffa edilizia, si rappresenta un tableaux vivant della classe media del giorno d’oggi: colpita dal precariato e dalla crisi economica, diffidente nelle capacità della giustizia, incline a vedere nel possesso dei beni - e della casa in particolare - un diritto da difendere ad ogni costo. La riuscita caratterizzazione del protagonista, una sorta di Robin Hood che truffa i ricchi per aiutare i poveri, un ladro romantico cui un dramma mai sopito (la morte della donna amata) aggiunge un tratto di malinconia, si deve anche al magnetismo dell’interprete: vero mattatore in grado di sollecitare una comicità corale sottile, partecipata, e pur soffusa di un senso di amarezza e disillusione. (S.V.) 115 Il generale Della Rovere Miniserie (2x100’) Rai Uno - Prima serata Domenica 9 e lunedì 10 ottobre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 4.727 Share media: 18,80% Regia: Carlo Carlei Soggetto e sceneggiatura: Massimo De Rita, Simone De Rita, Carlo Carlei Musiche: Andrea Ridolfi e Vito Abbonato Produzione: Rizzoli Audiovisivi, Rai Fiction Produttori: Fania Petrocchi (Rai Trade), Angelo Rizzoli (Rizzoli Audiovisivi) Interpreti: Pierfrancesco Favino, Hristo Shopov, Raffaella Rea, Andrea Tidona, Michele Nani, Matt Patresi, Alexandra Dinu, Valentin Ganev, Mariana Stanisheva, Teodora Duhovnikova, Julian Vergov, Valentina Elaine Kamenov. Genova, 1944. Per Giovanni Bertone truffare è un lavoro e insieme un’arte. Come lo è sperperare il denaro nel gioco e con le donne. Anche nelle ristrettezze dettate dalla guerra, riesce a fare affari estorcendo denaro ai familiari dei prigionieri politici, con la promessa di intercedere presso le sue millantate conoscenze per salvare i loro cari. Smascherato dal colonnello delle SS Muller, a Bertone viene offerta la possibilità di salvarsi da una morte sicura: dovrà fingersi il generale della Rovere, capofila della Resistenza ucciso per errore dalle SS, e carpire informazioni chiave sull’organizzazione del movimento. Ma la vita del carcere, il calore e la stima che i detenuti dimostrano nei suoi confronti, la crudeltà senza misure dell’ufficiale Franz, trasformano poco a poco l’animo di Bertone, che arriva ad assumere del vero generale non solo il piglio autoritario e motivante, ma anche gli ideali e lo spirito di abnegazione per la patria. Rifiutandosi di assolvere al suo ruolo di spia da dietro le sbarre, il destino di Bertone è segnato. Nemmeno le suppliche dell’amata Olga e della piccola Ada, figlia di un amico vittima della ferocia nazista, riusciranno a salvarlo dalla fucilazione. La miniserie rispolvera il caso letterario di Indro Montanelli e il successo cinematografico di Rossellini, ridisegnando una figura protagonistica controversa e affascinante. Bertone è un seducente imbroglione, codardo ma non privo di umanità. La sua esperienza di carcerato sotto mentite spoglie avrebbe potuto procurargli la salvezza e la libertà, e invece lo spinge a scegliere la via più difficile, quella della lealtà e della giustizia, dell’onore e del coraggio. Questo gli costerà la vita, non senza però avergli fatto assaporare la metamorfosi dell’eroe civile. Arricchita da pochi ma ben costruiti comprimari (tra i quali Muller, dotato di una vena di giustizia a placare la fede nazista, e la disadattata Olga, prostituta che ama e che aiuta molto Giovanni), la fiction alterna al declino morale del protagonista, nella prima puntata, il percorso del suo riscatto nella seconda. Con un finale che non fa sconti alla drammaticità della vicenda, si conferma un pregevole prodotto da annoverare tra i racconti televisivi che traggono linfa dalla memoria storica nazionale. (S.V.) 116 Violetta Miniserie (2x100’) Rai Uno - Prima serata Domenica 16 e lunedì 17 ottobre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 4.748 Share media: 18,15% Regia: Antonio Frazzi Soggetto e sceneggiatura: Sandro Petraglia. Liberamente ispirato a “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio Musiche: Andrea Guerra Produzione: Rai Fiction, Magnolia Fiction e Beta Film Produttori: Fania Petrocchi, Sara Polese (Rai Fiction), Rosario Rinaldo (Magnolia Fiction) Interpreti: Vittoria Puccini, Rodrigo Guirao Diaz, Andrea Giordana, Federica De Cola, Susanna Marcomeni, Mauro Marino, Luchino Giordana, Mario Cordova, Ugo Maria Morosi, Marco Morellini, Paolo Giovannucci, Roberto Accornero, Andrea Gherpelli, Massimo De Francovich, con la partecipazione straordinaria di Tobias Moretti Milano, 1848. Violetta Valere è sfuggita ad un’esistenza povera concedendosi a uomini facoltosi, rapiti dalla sua straordinaria bellezza e dalla sua raffinata cultura. Scopre l’amore solo incontrando Alfredo Germont, studente pieno di ideali patriottici. È un rapporto fatto di bruciante passione e complicato da una profonda distanza etica e sociale, cui viene ad aggiungersi l’arresto del giovane dissidente da parte degli austriaci, poi scarcerato grazie alle influenti conoscenze di Violetta. Fuggiti da una Milano in subbuglio, e dopo una breve parentesi di felicità, i due amanti vedono di nuovo vacillare il sogno di una vita insieme: lui dilapida il suo patrimonio nel gioco, lei vede progressivamente peggiorare le sue condizioni di salute. Dopo la morte della donna, Alfredo è di nuovo incarcerato con l’accusa di essere una spia per conto dei Savoia. A salvarlo dalla condanna per infedeltà agli asburgici, interviene stavolta un messo imperiale sotto mentite spoglie, che ha scoperto in Violetta la vera spia che carpiva informazioni dai clienti per conto del suo protettore, un duca liberale. Violetta è una miniserie in costume liberamente ispirata al romanzo “La signora delle camelie”. Il tormentato amore tra i due protagonisti si staglia qui non lungo le rive della Senna ma contro le ombre di una Milano animata dai moti patriottici risorgimentali. Lo slittamento di contesto è funzionale ad una caratterizzazione della coppia in senso storico-sociale, da far evolvere di pari passo a quella di derivazione letteraria, squisitamente sentimentale e a forti tinte melodrammatiche. Ma l’intrigo investigativo, basato sul misunderstanding del colpevole di complotto, non riesce a decollare all’interno di una narrazione frammentata, e resa un po’ confusa, dai lunghi flashback. A risentirne è il vero nucleo della vicenda, quello di un amore pronto a combattere le convenzioni ma piegato da un inesorabile destino, ridotto per buona parte a performance erotiche e a dialoghi che appiattiscono la dimensione tragica dei personaggi. Un ritmo lento e interpretazioni a volte fuori registro accentuano i limiti di un racconto che non ha saputo valorizzare al meglio gli alti standard produttivi. (S.V.) 117 La donna che ritorna Miniserie (4x100’) Raiuno – Prima serata Martedì 18, 25 ottobre e 1 novembre, mercoledì 19 ottobre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 5.761 Share media: 20,46% Regia: Gianni Lepre Soggetto: Peter Exacoustos Sceneggiatura: Peter Exacoustos, Daniela Bortignoni Musiche: Pino Donaggio Produzione: Endemol, Rai Fiction Produttori: Paolo Bassetti, Massimo Del Frate, Giannandrea Pecorelli (Endemol), Matteo Martone, Daniela Valentini (Rai) Interpreti: Virna Lisi, Luca Bastianello, Alessandro Bertolucci, Fabio Testi, Barbara Livi, Gabriele Caprio, Valentina D’Agostino, Emilio Bonucci, Anna Melato, Marit Nissen, Marzia Feraudo, Margherita Tamanti, Luigi Montini, Giancarlo Zanetti, Roberta Passerini Una donna cammina per Roma senza memoria e in evidente stato confusionale. Il suo caso viene assegnato all’ispettore Leoni che, impegnato nella caccia a un serial killer, vede il mistero della smemorata come un intralcio. Ma l’anziana signora nota le foto dell’ultima vittima del serial killer e dice di averla già vista. La smemorata si scopre chiamarsi Paola, è nonna di un bambino malato di cuore e proprietaria di una azienda di moda. C’è un uomo però che la chiama Luisa e la reclama come moglie e madre di sua figlia. L’assassino intanto uccide ancora e Marco e Paola iniziano una doppia indagine per svelare sia il passato di lei che l’identità del criminale. In passato Paola, quando ancora era Luisa, fu vittima di un delitto simile a quelli che il killer sta replicando adesso, in cui scampò per miracolo alla morte. Il killer è l’altra donna che, inseme alla giovane Luisa, fu vittima di violenze e abusi che l’avevano resa folle, facendole maturare un irrazionale risentimento verso Luisa. Per questo uccide ragazze che assomigliano a Luisa/Paola da giovane. Proprio un’aggressione dell’assasina aveva fatto perdere la memoria alla protagonista. La donna che ritorna è un thriller arricchito con varie sottotrame melodrammatiche, quali la crisi della famiglia di Paola, la necessità dell’intervento al cuore del nipote, il triangolo amoroso tra Marco, una sua collega e la figlia ritrovata di Paola, con cui lei stessa dovrà riallacciare un rapporto. Il filo conduttore resta comunque la trama investigativa, che si mantiene sufficinetemente tesa e movimentata, pur inanellando vari passaggi improbabili e una soluzione incongruente. Punto di forza della miniserie è la presenza di Virna Lisi, interprete carismatica e volto popolare della fiction italiana. Il personaggio coprotagonista, poliziotto ossessionato dal lavoro e con una cronica paura per i legami affettivi, è convenzionale ma efficace, mentre sono solo abbozzati e puramente funzionali i molti caratteri secondari, veicolo di siparietti comici (l’ispettore Sciortino, aiutante di Marco) e di parenetesi patetico-melodrammatiche (la famiglia di Paola). (G.G.) 118 Dove la trovi una come me? Miniserie (2x100’) Rai Uno – Prima serata Domenica 23 e Lunedì 24 ottobre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 5.693 Share media: 21,27% Regia: Giorgio Capitani Soggetto di serie: Francesco Scardamaglia, Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi Sceneggiatura: Francesco Scardamaglia, Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi Musiche: Pino Donaggio Produzione: Rai Fiction, Compagnia Leone Cinematografica Produttori: Paola Pannicelli e Sara Polese (Rai), Francesco e Federico Scardamaglia (Compagnia Leone Cinematografica) Interpreti: Gabriella Pession, Daniele Pecci, Caterina Guzzanti, Serena Rossi, Josè Maria Blanco, Giorgio Lupano, Lisa Gastoni, Patrizia Loreti, Luciano Roffi, Maurizio Marchetti, Alberto Patelli, Ruben Rigillo, Sophie Olsson, Isabelle Adriani Sonia, aspirante giornalista, a causa di un equivoco, viene scambiata per una escort da Matteo Conti, astro nascente della finanza e personalità estremamente schiva. Sonia è convinta che scoprire quale affare stia trattando sarebbe uno scoop che le permetterebbe di essere assunta al giornale. Perciò la protagonista, nonostante sia una ragazza molto pudica, decide di stare al gioco per spiare Matteo. Non ha intenzione di arrivare a concedersi e per evitare che lui capisca che non è una vera prostituta finge di volerlo coinvolgere in una complessa sfida di corteggiamento. Matteo si rivela più paziente e generoso di quanto Sonia si aspettasse, tanto che finisce per innamorarsene. Intanto però scopre che l’affare segreto è l’acquisizione di un grande gruppo editoriale di cui fa parte anche il giornale per cui scrive Sonia. Le intenzioni di Matteo sembrano essere quelle tipiche di un raider: vendere per fare soldi sulla pelle dei dipendenti. Sonia allora si allontana da lui, ma scoppia uno scandalo per via di alcune foto che li ritraggono assieme. Grazie all’aiuto del discreto ma saggio autista di Matteo i due si rivedono ancora una volta e hanno l’occasione di chiarirsi. Quando la verità si rivela in ogni suo aspetto, tutti sono chiamati a superare i propri pregiudizi e a decidere di fidarsi, consapevoli che le apparenze il più delle volte ingannano. Come viene ripetuto in vari momenti nel corso della storia, il tema della miniserie è proprio quello delle apparenze che possono mascherare la verità di una persona o di una situazione. Sonia è una giornalista sincera e innamorata che si finge escort, Matteo sembra un freddo uomo d’affari ma è solo vittima di antiche ferite. Commedia romantica debitrice tanto di Pretty woaman quanto di Orgoglio e pregiudizio; che si regge su un intreccio funzionale al gioco degli equivoci, ottenuti a volte con espedienti di maniera, come la teatrale Monica, vera escort e vicina di casa della protagonista. Il conflitto romantico non si basa tanto sulla doppia identità di lei, quanto sulla doppia lettura del carattere respingente di lui, e questo finisce per smorzare la forza della trovata iniziale. (G.G.) 119 Viso d'Angelo Miniserie (4x100’) Canale 5 – Prima serata Venerdì dal 28 ottobre al 18 novembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 4.061 Share media: 16,03% Regia: Eros Puglielli Soggetto: Teodosio Losito Sceneggiatura: Teodosio Losito, Manuela Romano e Laura Sabatino Musiche: Paolo Vivaldi Produzione: RTI, Ares Film Produttori: Costantino Margiotta (RTI), Alberto Tarallo (Ares Film) Interpreti: Alberto Molinari, Veronica Gentili, Gabriel Garko, Cosima Coppola, Eva Grimaldi, Magdalena Grochowska, Loredana Cannata, Angela Molina, Antonio Giuliani, Victoria Larchenko In una cittadina vicino al mare, un serial killer che indossa la maschera di un angelo compie omicidi a sfondo religioso. Le vittime hanno in comune una colpa da espiare. Sul caso indaga un esperto di serial killer, il commissario Parisi, recentemente tornato da Londra dove si era rifugiato in seguito alla tragica morte della moglie. Roberto viene affiancato da Angela Garelli, giovane agente che è diventata dipendente dalla droga dopo aver ucciso per errore il proprio fidanzato, un poliziotto impegnato in un'azione sotto copertura. L'indagine procede con difficoltà, anche a causa dell'omertà di un istituto religioso gestito da Suor Serafina, donna dal passato oscuro e da Padre John, custode dei segreti di tutta la cittadina. Mentre indagano, i due poliziotti si innamorano, trovando l'uno nell'altra la forza di superare i drammi del loro passato. Parisi e la Garelli capiscono che il serial killer sta compiendo una sorta di rito per purificare le anime delle sue vittime, la cui cerimonia è descritta in un manoscritto dedicato all'inquisitore Torquemada, testo che lega molti personaggi e li rende tutti sospetti. Dopo varie peripezie, scoprono l’assassino: una donna che uccide coloro che considera peccatori per poter salvare l'anima della madre, morta suicida anni prima. Viso d'angelo ripropone le caratteristiche distintive delle fiction costruite attorno al divismo di Gabriel Garko: personaggi monodimensionali, trame articolate e ricche di colpi di scena, riferimenti sessuali espliciti. A differenza delle produzioni precedenti, che si muovevano sul terreno del melodramma e del gangster story, stavolta il genere prescelto è il thriller investigativo con venature noir. Genere coerente con atmosfere torbide e suggestioni macabre cui la fiction fa ampio ricorso, assieme ad altri espedienti che invece mal si coniugano con la logica dell’indagine. La storia trova solo in coincidenze inverosimili il modo per concatenare gli avvenimenti e fare interagire i personaggi, e stuzzica la curiosità del pubblico con discutibili trovate ad effetto, come l'espediente dell'assassino mascherato che a fine puntata tira le fila del racconto, fornisce anticipazioni e, rivolgendosi direttamente allo spettatore, lo esorta a scoprire la sua identità. (E.G.) 120 Cenerentola Miniserie (2x100’) Rai Uno - Prima serata Domenica 30 e lunedì 31 ottobre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 6.681 Share media: 27,08% Regia: Christian Duguay Sceneggiatura: Lea Tafuri, Agatha Dominik Soggetto: Enrico Medioli, Lea Tafuri Musiche: Andrea Guerra Produzione: LuxVide - BetaFilm - Rai Trade - 13 Production in associazione con France 2 Produttori: Fania Petrocchi (Rai Fiction), Matilde e Luca Bernabei (Lux Vide) Interpreti: Vanessa Hessler, Flavio Parenti, Ruth-Maria Kubitschek, Natalia Worner, Frank Crudele, Ilaria Spada, Mariella Valentini, Rosabel Laurenti, Wanja Sellers, Hary Prinz, David Brandon, Elisa Di Eusanio, Giulia Andò, Giuseppe Sanfelice, Niccolò Senni, Daniele La Leggia, Filippo Scarafia, Renato Cortesi, Andrea Atzei, Oliviero Calderoni, Urbano Barberini, Massimo Poggio, con la partecipazione di Carlotta Natoli Roma, anni ‘50. Alla morte del padre, brillante direttore d’orchestra, la giovane Aurora è costretta ad abbandonare la passione per la musica e a fare la sguattera nell’albergo gestito dalla matrigna e dalle due sorellastre. La vita di Aurora, cresciuta con le uniche cure di una coppia di governanti, si era illuminata di un amore platonico dopo l’incontro con Sebastian, ricco rampollo dall’animo gentile che abitava nella villa di fronte, e che ritrova a distanza di anni sia pure indurito dall’ambizione inculcatagli dal padre. Decisa a conquistarlo nonostante le differenze di classe, la bella Cenerentola trova il sostegno di Mrs Cooper, la facoltosa anziana ospite dell’albergo, che la spinge a partecipare al ballo in maschera organizzato nella villa per far breccia nel cuore di Sebastian. L’happy end sarà plurimo: la bella Aurora trova in Mrs Cooper l’affetto di una nonna che non credeva di avere, riprende a suonare il pianoforte, e corona il suo sogno d’amore. Dopo Pinocchio, Cenerentola sancisce un nuovo incontro della fiction italiana con le grandi favole popolari. La fedeltà alla trama originaria è forte e garantita dalla presenza degli elementi caratterizzanti la storia - dalla matrigna alla “fata madrina” Mrs Cooper, dalla scarpetta alla carrozza -, nell’evidente intento di proporre una commedia sentimentale senza tempo. I richiami alle atmosfere della ripresa post-bellica e ad una Roma avvolta nel clima della “dolce vita” aggiungono elementi di contesto che contribuiscono a definire le psicologie dei personaggi. Così i due protagonisti, in modi differenti, diventano emblemi di emancipazione e rottura delle convenzioni. Appena indebolita dalla linea narrativa pretestuosa e poco chiara incentrata su diatribe imprenditoriali (come quella tra Sebastian e Mrs Cooper), questa miniserie resta un buon prodotto, dotato di vari livelli di lettura, e dunque godibile da un pubblico diversificato. (S.V.) 121 La ragazza americana Miniserie (2x100’) Rai Uno – Prima serata Lunedì 7 e martedì 8 novembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 6.516 Share media: 23,55% Regia: Vittorio Sindoni Soggetto: Vittorio Sindoni, Patrizia Carrano Sceneggiatura: Patrizia Carrano, Vittorio Sindoni, Valerio D'Annunzio Musiche: Fabio Frizzi Produzione: Rai Fiction, Immagine e Cinema s.r.l. Produttori: Leonardo Ferrara, Gianluca Casagrande (Rai Fiction); Edwige Fenech (Immagine e Cinema) Interpreti: Vanessa Hessler, Giulio Berruti, Ilaria Occhini, Orso Maria Guerrini, Sacha Dominis, Samanta Piccinetti, Sergio Pierattini Toscana. Susan, una ragazza originaria del Kentucky, eredita dal nonno, il duca Anselmo Foschi, un antico castello in rovina con annesso un borgo toscano. L'arrivo della ragazza nel borgo non è gradito agli abitanti del luogo, che temono che la giovane americana porti via i beni che il duca ha lasciato loro in usucapione. L'intero paese si schiera contro Susan e a capo di tutti c'è un bellissimo maniscalco, Vasco. L’unica persona che accoglie Susan con gentilezza è l'anziana governante del duca, Bice. L'avvocato del duca intanto cerca di convincere Susan a vendere il castello, ma la ragazza non vuole cedere e cerca il modo di interrompere il diritto di usucapione. La ragazza trova un diario anonimo che parla di un orribile segreto e, aiutata da Vasco, con cui nel frattempo è nata una storia d'amore, scopre il cadavere di un neonato sepolto in un bosco. I due giovani scoprono che Bice aveva avuto una figlia, Angelica, che era stata insidiata dal duca e aveva partorito due gemelli: una piccola nata morta e seppellita nel bosco, e un maschietto, che è proprio Vasco. Susan e Vasco sono costretti a lasciarsi poiché pensano di essere consanguinei. L'avvocato del duca, nel frattempo, vorrebbe vendere il castello e anche un affresco che si trova nel palazzo, attribuito a Leonardo. Bice cerca allora un pittore che possa certificare il valore del quadro, e viene a sapere che questi era l'amante di sua figlia Angelica. Dopo questa rivelazione, Susan e Vasco possono sposarsi e vivere felici nel borgo. La ragazza americana è un ibrido fra la fiaba sentimentale di gusto retrò e il melodramma. La narrazione si muove su binari ampiamente prevedibili, e presenta personaggi dalle psicologie semplificate, dialoghi poco elaborati e situazioni improbabili. A rendere attraente questa storia, esaltandone il lato fiabesco, contribuiscono la bella ambientazione toscana e la presenza nel ruolo della protagonista di Vanessa Hessler, volto popolare della fiction della rete e reduce dal successo di Cenerentola, trasmessa su Raiuno la settimana precedente alla messa in onda di questa miniserie. (E.G.) 122 Baciati dall'amore Miniserie (6x100’) Canale 5 – Prima serata Martedì dal 15 novembre al 20 dicembre, mercoledì 7 dicembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 2.969 Share media: 11,38% Regia: Claudio Norza Soggetto: Carlotta Ercolino Sceneggiatura: Carlotta Ercolino, Valeria Colasanti, Luca Biglione, Francesca Zingariello, Walter Lupo, Laura Luchetti, Chiara Laudani, Carla Di Tommaso Musiche: Maurizio De Angelis Produzione: RTI e DAP Italy Produttori: Guido, Nicola e Marco De Angelis (DAP Italy); Elena Costa (RTI) Interpreti: Lello Arena, Pietro Taricone, Flavio Montrucchio, Maria Amelia Monti, Alessandra Barzaghi, Giampaolo Morelli, Gaia Bermani Amaral, Marisa Laurito, Irene Maiorino, Federica Sabatini, Achille Sabatino, Eduardo Imparato Napoli. Carlo Gambarella è un architetto impegnato a tempo pieno presso il negozio di fiori di famiglia. Abbandonato dalla moglie, vive insieme ai suoi cinque figli piccoli, ai genitori, e al fratello, un cantante neomelodico. Da quando la moglie lo ha lasciato, Carlo non si è più innamorato. Le cose cambiano quando si incontra-scontra con la biologa marina Valentina Trevisol che si è da poco trasferita da Milano per seguire il padre, magistrato impegnato nel processo contro il famigerato camorrista Tano Bambardella. Insieme alla ragazza si è trasferito anche il suo futuro marito, Tommaso. Accanto alla linea sentimentale, con la storia d'amore fra Carlo e Valentina, si sviluppa la sottotrama legata a Gaetano, il padre di Carlo. A causa di uno scambio di persona Gaetano, sosia e quasi omonimo di Tano Bambardella, finisce in prigione e scopre che la vita in carcere non è così male: anzi, dietro le sbarre Gaetano si sente finalmente libero e scopre le sue vere passioni. Intanto l’amore fra Carlo e Valentina incontra molti ostacoli: prima i figli di lui, poi il padre e il futuro marito di lei, danno filo da torcere ai due giovani, che dovranno lottare per far trionfare il loro amore. La comicità gioca su opposti facili e stereotipati: il Nord dei Trevisol, rigidi e tutti d'un pezzo e il Sud dei Gambarella, fantasiosi e vitali; la legalità rappresentata dal magistrato Trevisol e l'illegalità che ruota intorno al camorrista Bambardella; il sentimento puro e passionale di Carlo e Valentina e la ragione calcolatrice di Tommaso. La miniserie mette molta carne al fuoco. Da un lato c’è una commedia sentimentale spensierata, il cui tono è incarnato nel personaggio di Valentina, sempre sorridente e fra le nuvole. Dall’altro, c’è la comicità dialettale e paradossale legata allo scambio di persona e a tutte le sottotrame che ne derivano, che fa capo a Lello Arena nel doppio ruolo di Gaetano/Tano. Nonostante faccia ampio ricorso agli stereotipi, Baciati dall’amore finisce per essere prodotto televisivamente poco riconoscibile perché tenta di mescolare immaginari e repertori narrativi troppo distanti fra loro. (E.G.) 123 Sarò sempre tuo padre Miniserie (2x100’) Rai Uno - Prima serata Martedì 29 e mercoledì 30 novembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 7.397 Share media: 26,49% Regia: Lodovico Gasparini Soggetto: Francesco Asioli, Anna Maria Carli Sceneggiatura: Francesco Asioli, Anna Maria Carli, Salvatore Basile, con la partecipazione di Giuseppe Fiorello e Lodovico Gasparini Musiche: Paolo Vivaldi Produzione: Rai Fiction, Solaris Produttori: Matteo Martone, Federica Rossi (Rai Fiction), Guglielmo e Azzurra Arié (Solaris) Interpreti: Giuseppe Fiorello, Ana Caterina Morariu, Rodolfo Laganà, Gioia Spaziani, Augusto Fornari, Edoardo Pesce, Clotilde Sabatino, Milena Miconi, Susanna Smit, Giampiero Mancini, Dario Fiorica, Leonardo Della Bianca con la partecipazione di Augusto Zucchi, Pietro De Silva, Angelo Orlando Roma. Antonio Rubino è un brillante venditore d’auto, padre e marito felice. La sua vita subisce una brusca quanto inattesa svolta il giorno del suo compleanno, quando la moglie Diana gli comunica di non amarlo più e di volere la separazione. Nonostante gli accorati tentativi per riparare la crisi, la donna è ferma nella decisione di voler rompere il matrimonio con un uomo reo di averla trascurata. Per Antonio inizia un calvario che lo porta a fare i conti con l’improvvisa mancanza di una casa, con assegni di mantenimento che lo gettano sul lastrico e che, dopo aver pure perso il lavoro, lo costringono a rivolgersi alla mensa della caritas per sfamarsi. La sofferenza maggiore deriva dalla mancanza di Andrea, il figlio di otto anni che adora e che la ex moglie gli tiene lontano a suon di ingiunzioni del tribunale e interventi di avvocati, fino ad arrivare alla diffida. Con la solidarietà di un gruppo di padri nella sua stessa situazione, e rinvigorito da un nuovo lavoro, Antonio si fa portavoce di una manifestazione per la tutela dei diritti dei genitori non affidatari riconquistando la voglia di lottare e la stessa fiducia di Diana. Sarò sempre tuo padre è il racconto di un dramma privato e familiare, insolitamente raccontato e schierato da un punto di vista maschile. La tematica sociale della tutela dei diritti dei padri discriminati, colpiti da disagi e restrizioni in seguito alle separazioni, è veicolata attraverso le disavventure di un uomo qualunque, marito non perfetto ma buon padre, che si oppone con dignità all’allontanamento forzato dal figlio. Se risulta abbastanza convincente il pathos creato attorno alle cause della separazione, meno riuscito e verosimile è il susseguirsi di sventure che si abbattono sull’uomo, tali da esasperare inutilmente i toni melodrammatici e rendere poco credibile sia la caratterizzazione del protagonista sia la subitanea “redenzione” della moglie. Piuttosto approssimativi anche i personaggi secondari - la collega frivola vs quella tradizionalista di Diana - che esemplificano in maniera didascalica opposte visioni del dramma e della vita. (S.V.) 124 I cerchi nell’acqua Miniserie (4 x 100') Canale 5 – Prima serata Mercoledì dal 14 al 28 dicembre, martedì 27 dicembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 3.941 Share media: 15,38% Regia: Umberto Marino Soggetto di serie: Umberto Marino, ispirato alla serie tv francese Le miroir de l’eau, soggetto originale di Sophie Revil, Laurence Dubos Sceneggiatura: Umberto Marino Musiche: Paolo Vivaldi, Fabrizio Pigliucci Produzione: RTI, Palomar Produttori: Marco Videtta (RTI), Carlo Degli Esposti (Palomar) Interpreti: Alessio Boni, Vanessa Incontrada, Giovanni Calcagno, Elena Russo, Sandra Toffolatti, Paola Pitagora, Regimantas Adomaitis, Monika Biciunaite, Audrius Balsevicius, Sergio Albelli, Paolo Giommarelli, Giulia Andò, Julija Steponaityte, Giulia Selvatico, Sarunas Datenis, Jurgita Jurkute, Karolina Reciugaite, Kasparas Andriulevicius, Laimutis Sedzius Castel Del Lago. Davide Freccero, affermato fotografo, ritorna dopo vent’anni nel suo paese d’origine, richiamato dalla morte del padre. Qui viene a conoscenza della tragica sorte di Ginevra, il suo amore adolescenziale, trovata morta nel lago poco dopo la sua partenza. Le cause del decesso non sono mai state chiarite, ma la vicenda, da tempo dimenticata, torna prepotentemente alla ribalta quando, in circostanze identiche a quelle di Ginevra, viene ritrovato il cadavere della giovane Alessia, la nipote di Davide. Freccero, sconvolto, cerca di scoprire il collegamento tra le due morti parlando con Valeria, la migliore amica di Ginevra, con la sorella Bianca, e con Elsa, la madre, che aveva osteggiato il loro fidanzamento e che farà di tutto per nascondergli che dal suo amore con Ginevra è nata una figlia. Sarà Bianca, con cui Davide avvia una relazione, ad aiutarlo a far luce sul passato della sorella. Nel frattempo le indagini del commissario Spatafora, che si scontrano con una comunità reticente, si avvalgono del contributo sui generis della stessa figlia del poliziotto, la piccola Alice, in contatto medianico con lo spirito senza pace di Ginevra. Grazie ai suggerimenti della bambina e all’aiuto di Davide, Spatafora risale all’assassino delle due ragazze: è l’instabile fratello di Valeria, che quest’ultima ha continuato negli anni a coprire. Il principio ordinatore della drammaturgia de I cerchi nell’acqua risiede nei temi e nelle strutture del melodramma. Gli elementi afferenti alla detection e al mistery, lungi dall’avere una propria autonomia e compiutezza formale, si rivelano più che altro funzionali a catalizzare le dinamiche emotive dei personaggi. In quest’ottica, il plot investigativo funge da collante per gli intrecci relazionali dell’affollata comunità dei caratteri: lo sviluppo dell’indagine compatta le molteplici sottotrame, regolate da un complesso sistema di ricatti e segreti, disvelando nel contempo l’ambiguità celata sotto la patina del perbenismo di provincia. (D.I.) 125 La figlia del capitano Miniserie (2x100’) Rai Uno – Prima serata Lunedì 9 e martedì 10 gennaio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 5.603 Share media: 20,03% Regia: Giacomo Campiotti Soggetto di serie: Alessandro Sermoneta, Elena Bucaccio Sceneggiatura: Alessandro Sermoneta, Elena Bucaccio Musiche: Carlo Silotto Produzione: Rai Fiction, Immagine e Cinema Produttori: Fabrizio Zappi, Paola Foffo (Rai), Edwige Fenech (Immagine e Cinema) Interpreti: Vanessa Hessler, Primo Reggiani, Edwige Fenech, Nini Salerno, Ludovico Fremont, Francesca Chillemi, Andrei Slabakov, Hristo Jivkov, Teodora Duhonikova Russia, seconda metà del ‘700. Il giovane Pëtr Grinev, rampollo di una nobile casata russa, litiga con il padre che per dargli una lezione lo manda a cominciare la carriera militare in un lontano avamposto di frontiera. Nel corso del viaggio Pëtr aiuta un mendicante a salvarsi dal freddo donandogli una pelliccia. Giunto al forte si innamora della bella Maša, figlia del Capitano in carica; ma un altro ufficiale, geloso del loro amore, tradisce e vende l’avamposto al sanguinario ribelle cosacco Pugacëv, pretendente al trono dello Zar. Questi risparmia la vita di Pëtr solo per riconoscenza: il cosacco è infatti lo stesso viandante a cui aveva donato la pelliccia. Continua la guerra di Pugacëv contro la Zarina Caterina II e Pëtr si trova preso in mezzo tra i suoi compatrioti, che lo sospettano di simpatizzare con i ribelli e Pugacëv che, nonostante lo consideri un nemico, gli porta rispetto in quanto uomo d’onore. Proprio a lui Pëtr è costretto a chiedere aiuto quando saprà che l’amata Maša sta per essere costretta all’altare dall’ufficiale traditore. L’aiuto ottenuto dal cosacco porta Pëtr a essere condannato per tradimento. La guerra si conclude con la cattura del giovane e dello stesso Pugacev. Maša, ormai tratta in salvo, riesce a contattare la zarina, le spiega le ragioni per cui il suo amato era a fianco dei ribelli e implora la grazia per Pëtr, che viene salvato un attimo prima che il boia apra la botola della forca. La figlia del capitano è la storia di un uomo diviso tra l’amore per una donna e quello per la sua patria e che è deciso a combattare per entrambe. E’ anche una storia di formazione in cui il protagonista scopre il coraggio di restare fedele a se stesso e ai suoi valori, e riesce a salvare la donna che ama senza grandi gesti ma solo grazie all’integrità e alla testardaggine. Capolavoro della letteratura russa dell‘800, già adatattato dal cinema (1947) e dalla televisione italiana (1965), La figlia del capitano viene riproposto in una nuova versione che sembra identificare possibili strade (la spettacolarità della miniserie evento, l’attualizzazione di temi, personaggi e relazioni) senza percorrerne nessuna sino in fondo. Il risultato è un melodramma dai ritmi lenti e dallo stile letterario, che si propone come un’operazione retrò, riconoscibile erede dello sceneggiato. (G.G.) 126 Anita Garibaldi Miniserie (2x100’) Rai Uno – Prima serata Lunedì 16 e Martedì 17 gennaio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 5.596 Share media: 19,70% Regia: Claudio Bonivento Soggetto di serie: Massimo De Rita, Mario Falcone, Amedeo Minghi Sceneggiatura: Massimo De Rita, Mario Falcone, Amedeo Minghi, Valentina Ferlan, Patrizia Pistagnesi Musiche: Amedeo Minghi Produzione: Rai Fiction e Goodtime Produttori: Gabriella Buontempo, Massimo Martino (Goodtime) e Fabrizio Zappi (Rai Fiction) Interpreti: Valeria Solarino, Giorgio Pasotti, Tosca D’Aquino, Fabio Galli, Nini Salerno, Thamisanqa Molepo, Massimiliano Franciarosa, Bruno Conti, Filippo Scarafia Brasile, 1837. Anita è una ragazza ribelle e coraggiosa che rifiuta ogni marito le si proponga e vorrebbe invece impegnarsi insieme allo zio nella guerra rivoluzionaria contro l’imperatore. Tra i comandanti dei ribelli c’è un professionista italiano, Giuseppe Garibaldi, di cui lei, appena diciottenne, si innamora. Da quel momento Anita diventa la compagna di Garibaldi, condividendo con lui non solo la vita domestica ma anche le campagne militari. La prima puntata presenta un’Anita spavalda, fedele e gelosa, dai principi incrollabili che rivaleggia con gli uomini in audacia e coraggio. Nel 1841 le sorti della rivoluzione brasiliana appaiono segnate e la coppia si ritira a vivere in Uruguay, trascorrendo alcuni anni lontana dai campi di battaglia. Ma è solo una parentesi: la carriera militare di Giuseppe non è che all’inizio e, nel 1848, arriva la chiamata per prendere parte al processo di unificazione dell’Italia. La seconda parte della miniserie mette in scena la vicenda della Repubblica Romana, che Giuseppe e Anita vivono da protagonisti. Giuseppe diventa un personaggio di primo piano, un esempio di audacia e patriottismo per gli uomini quanto Anita lo è per le donne. La protagonista, con altre patriote, aiuta la raccolta dei fondi e l’organizzazione degli ospedali con passione e senza pregiudizi. Assume perfino una prostituta, nonostante il dissenso generale, perché riconosce in lei la fedeltà all’ideale. In seguito alla caduta della Repubblica Romana, Garibaldi guida i suoi uomini in una faticosa ritirata e Anita, sempre al suo fianco, si ammala e dopo qualche giorno muore. La drammaturgia non riesce a risolvere in modo del tutto convincente il problema implicito nel soggetto di questa miniserie, prodotta in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia: mettere al centro di una narrazione eroicizzante un personaggio la cui partecipazione agli eventi della storia con la “esse” maiuscola è marginale. I toni fortemente melodrammatici che sottolineano gli ideali di cui Anita è resa simbolo, come famiglia e libertà, finiscono per sfociare in qualche eccesso di retorica (G.G.) 127 La vita che corre Miniserie (2x100’) Rai Uno - Prima serata Lunedì 30 e martedì 31 gennaio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 6.165 Share media: 21,34% Regia: Fabrizio Costa Soggetto: Claudio Corbucci, Mara Perbellini, Luisa Cotta Ramosino, Viola Rispoli. Head writer: Claudio Corbucci Sceneggiatura: Mara Perbellini, Luisa Cotta Ramosino, Viola Rispoli Musiche: Maurizio De Angelis Produzione: Rai Fiction, Dap Italy De Angelis Group Produttori: Alessandra Ottaviani, Daniela Troncelliti (Rai Fiction), Guido De Angelis, Marco De Angelis, Nicola De Angelis (Dap Italy De Angelis Group) Interpreti: Flavio Parenti, Enzo Decaro, Enrico Ianniello, Clotilde Sabatino, Chiara Mastalli, Valentina Imperatori, Lorena Cacciatore, Desiree Noferini, Fabrizio Bucci, Giuseppe Soleri, Andrea Calligari, Leonardo Della Bianca, Michele Maganza, Francesco Zecca, Gianna Paola Scaffidi, Vincenzo Alfieri, Alessandra Costanzo, Milena Miconi, Ettore Belmondo, Massimiliano Buzzanca, Antonio Serrano, Samantha Capitoni, Massimo Wertmuller, Franco Castellano, Barbara De Rossi. Roma. Luca Renzi è un giovane e promettente medico. Andrea è il fratello minore, ribelle e scontroso. Al ritorno da una serata da sballo in discoteca, un drammatico incidente sconvolge le loro esistenze e quelle di tre amiche con cui avevano flirtato fino a poco prima. Andrea e Chiara perdono la vita, Valentina resta ferita, Anna e Luca restano illesi; Giuseppe, l’autista del furgone che procedeva in senso opposto, subisce l’amputazione di una gamba. Mentre le indagini stentano ad assegnare responsabilità, affiora un passato di droga condiviso dai due fratelli. Luca, già distrutto per aver causato la morte di Andrea, si ritrova ricattato da uno spacciatore, e pressato dalla ricerca della verità intrapresa dal padre Vittorio. L’amore per la compagna Simona, da cui aspetta un figlio, e coraggiose decisioni in campo professionale lo spingeranno a ritrovare la stima di sé e ad iniziare una nuova vita. La vita che corre trae spunto da un tema di rilevanza sociale, le drammatiche stragi del sabato sera che mietono vittime tra i giovani, per giustificare la costruzione di un tipico melodramma familiare. Il focus narrativo è infatti quasi interamente centrato sulle tensioni interne alla famiglia del protagonista, acuite da una tragedia che risveglia nel padre il tardivo desiderio di conoscere il figlio morto e di riscattarne la memoria. Fanno da contorno esistenze parallele avvicinate da un amaro destino, come quella di Valentina, rimasta sfregiata e intenzionata a non coprire quella cicatrice, o di Giuseppe, che rischia per orgoglio di far naufragare il suo matrimonio. Ma l’inserimento di troppe linee narrative, che evolvono senza particolari interconnessioni, va a discapito della profondità nella rappresentazione delle psicologie e dei rapporti. (S.V.) 128 Il generale dei briganti Miniserie (2x100’) Rai Uno – Prima serata Domenica 12 e lunedì 13 febbraio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 6.219 Share media: 21,68% Regia: Paolo Poeti Soggetto: Antonio Ferraro, Paolo Poeti Sceneggiatura: Giovanna Koch, Paolo Poeti, Carlo Felice Casula Musiche: Andrea Ridolfi, Vito Abbonato, Mario Ramunni Produzione: Rai Fiction, Ellemme Group Produttori: Fabrizio Zappi (Rai), Massimo e Vanessa Ferrero Interpreti: Daniele Liotti, Raffaella Rea, Danilo Brugia, Massimo Dapporto, Fabio Troiano, Massimiliano Dau, Marco Leonardi, Christiane Filangieri, Larissa Volpentesta, Massimo Bonetti, Nadia Carlomagno, Chiara Cavaliere, Vincenzo Alfieri, David Coco Basilicata, 1860. Carmine Crocco, uno dei più famigerati briganti del suo tempo soprannominato “generale”, osserva a distanza il funerale della madre perché teme che sia una trappola per catturarlo. Da qui si innescano i flashback che scandiscono la prima puntata, raccontando le tappe salienti della sua vita e spiegando perché si è dato al brigantaggio. Da bambino Carmine assiste ai continui soprusi dei signori ai danni di poveri contadini, fra cui suo padre. Sua madre resta ferita nel tentativo di salvarlo dalla frusta di un prepotente. Da ragazzo si arruola nell’esercito borbonico ma è anche innamorato e non vede l’ora di tornare a casa per sposare Nennella. La ragazza però viene ingannata da un altro pretendente che approfitta della fiducia e dell’analfabetismo di lei per reinventare le lettere che Carmine le scrive e di cui lei gli chiede lettura. Riesce ad allontanarla dall’amato e a sposarla lui stesso. Carmine cerca un porto franco a casa del padre ma scopre che la sorella è stata sfregiata da un nobile per aver rifiutato le sue attenzioni. Travolto dalla rabbia Carmine lo uccide e si dà alla macchia. La seconda puntata procede in modo lineare, raccontando ascesa e caduta del “generale dei briganti”. In poco tempo Carmine diventa un bandito famoso con molti uomini al suo comando e inizia a collaborare con Garibaldi per l’unità d’Italia. Nennella scopre di essere stata ingannata e fugge dal marito per riunirsi a lui. Intanto il conflitto raggiunge il suo apice e il protagonista combatte, forte di una lettera di Garibaldi in cui, a guerra finita, gli viene promessa l’amnistia. Solo alla fine del conflitto scopre che la lettera non ha valore. Carmine viene condannato a morte per vari crimini, la maggior parte dei quali compiuti in difesa dei deboli e in nome dell’unità d’Italia. La rappresentazione del periodo storico e del fenomeno del brigantaggio è semplicistica, un puro sfondo funzionale alla messa in scena di un efficace melodramma popolare, con un protagonista costantemente vittima di ingiustizie, situazioni di immediato impatto emotivo, caratteri manichei. (G.G.) 129 Walter Chiari - Fino all’ultima risata Miniserie (2x100') Rai Uno – Prima serata Domenica 26 e lunedì 27 febbraio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 5.963 Share media: 21,82% Regia: Enzo Monteleone Soggetto e sceneggiatura: Enzo Monteleone, Luca Rossi Musiche: Pivio e Aldo De Scalzi Produzione: Rai Fiction, Casanova Multimedia Produttori: Fabrizio Zappi (Rai Fiction), Luca Barbareschi (Casanova Multimedia) Interpreti: Alessio Boni, Bianca Guaccero, Dajana Roncione, Anna Drijver, Karin Proia, Caterina Misasi, Gerardo Mastrodomenico, Federico Costantini, Michele Di Mauro Roma, 1970. Walter Chiari è il comico più amato d’Italia. E’ all’apice della carriera e aspetta un figlio dalla moglie, l’attrice Alida Chelli, quando la polizia lo arresta con l’accusa di consumo e spaccio di droga. In carcere, in attesa del processo, il protagonista rivive le tappe fondamentali della sua carriera, a partire dall’immediato dopoguerra quando, operaio a Milano, sostituisce per caso un comico in una rivista teatrale. Nei venti anni successivi la stella di Walter Chiari brillerà in teatro, al cinema e in televisione. Anche la vita sentimentale del protagonista è movimentata e vissuta sotto i riflettori. Chiari si innamora di Lucia Bosé, ex miss Italia e attrice, che gli spezza il cuore per la prima volta, poi di Ava Gardner, star internazionale che gioca con lui e poi lo molla, preda della sua vita di eccessi e alcool. Finalmente incontra Alida Chelli, la donna giusta, e quasi subito scoppia lo scandalo. Chiari ammette l’uso di stupefacenti e, mentre sconta la sua condanna, lei lo lascia portando con sé il figlio Simone. Di nuovo libero, Chiari tenta di riprendere il suo posto nel mondo dello spettacolo, ma fatica ad ottenere scritture e, quando finalmente torna a lavorare in tv, non sente attorno a sé quel clima di rispetto e fiducia cui aspira. Colto da un infarto, resta a lungo fuori dalle scene. Sarà il figlio Simone, ormai adulto, che lo convince a tornare al cinema ottenendo, poco prima della morte, grandi riconoscimenti di pubblico e critica. Fino all’ultima risata arricchisce il filone del biopic televisivo dedicato ai personaggi dello spettacolo. La struttura bipartita delle miniserie utilizza l’arresto come evento spartiacque del percorso biografico: la prima puntata racconta in flashback esordi e successo; la seconda il declino e la rinascita del protagonista come padre e attore. Sebbene attraversi quarant’anni di storia dello spettacolo italiano, la fiction concede poco al ritratto d’epoca e d’ambiente, concentrandosi sul delicato equilibrio tra pubblico e privato che caratterizza la vita di un uomo di spettacolo, sulla fatica di dover corrispondere ogni giorno alle aspettative del pubblico. Costruito sull’archetipo del clown triste, il Walter Chiari della fiction è un istrione che cerca di conciliare l’uomo e il personaggio, che si perde e si ritrova, in tempo per rendersi conto di quanto effimero sia l’amore del pubblico, e quato solido e duraturo possa essere quello di un figlio. (G.G.) 130 La Certosa di Parma Miniserie (2x100’) Rai Uno - Prima serata Domenica 4 e lunedì 5 marzo 2012 Ascolto medio (in migliaia): 5.388 Share media: 19,94% Regia: Cinzia TH Torrini Soggetto: Francesco Asioli, Anna Maria Carli Sceneggiatura: Louis Gardel, Frederic Mora, Francesco Arlanch, con la collaborazione di Cinzia TH Torrini e Jacques Nahum Musiche: Savio Riccardi Produzione: Rai Fiction, Tangram Film, France 3 e Jnp France Films Produttori: Daria Hensenberger (Rai Fiction), Monique Trnka (produttore associato), Roberto Levi (Tangram Film), Jacques Nahum (Jnp France Films), Dominique Ambiel (Aprime Group) Interpreti: Marie Josee Croze, Rodrigo Guirao Diaz, Hippolyte Girardot, Ralph Palka, Stefano Abbati, Barbara Ronchi, Davide Lorino, Marco Viecca, Francesco Stella, Ruggero Cara, Lucas W.Zanforlini, Valentina Reggio, Matteo Ripaldi, Dora Romano, Anna Ferruzzo, Fabio Farronato, Enrico Beruschi, Delphine Serina, Laura Killing, Roland Copè, Mattia Sbragia, Francois Berleand e con Alessandra Mastonardi Milano-Parma, 1815. Fabrizio Del Dongo, giovane nobile milanese animato da ideali rivoluzionari, parte per la Francia per arruolarsi tra le truppe napoleoniche. Rimpatriato dopo la disfatta di Waterloo, trova ad accoglierlo la zia Gina, piena di affettuose premure e segretamente innamorata di lui. Al termine di un seminario ecclesiastico a Napoli, Fabrizio viene ospitato dalla zia a Parma - nel frattempo diventata duchessa e amante del Conte Mosca - che per il nipote nutre un affetto sempre più morboso. Dopo aver conosciuto la bella Clelia, Fabrizio confessa a Gina che non potrà mai amarla. In seguito ad un reato, il giovane viene rinchiuso nella Fortezza di Parma, dalle cui finestre può ammirare Clelia, figlia del generale che dirige la prigione, che lo aiuterà a fuggire. Ma il loro è un amore impossibile e tragico: lei sposa un marchese e lui diventa predicatore. Più avanti, alla morte della donna e del loro bambino, Fabrizio si ritirerà fino alla fine dei suoi giorni nella Certosa di Parma. Già portata sugli schermi dallo sceneggiato di Bolognini, l’opera di Stendhal torna ad ispirare il racconto televisivo. La miniserie sceglie di sintetizzare la trama restando più fedele all’intreccio - che però talvolta si perde tra balzi temporali e di ambientazione - che all’approfondimento dei personaggi e alla rappresentazione del contesto storico, evocato in modo didascalico. Puntando sul richiamo delle scenografie e del romanticismo spinto di alcune scene, questa sontuosa coproduzione tralascia la riflessione sull’eterna dialettica passione vs sentimento che caratterizza il romanzo. Nel ritratto edulcorato di un’epoca piena di cambiamenti e contraddizioni, c’è infatti solo qualche traccia di quella critica alle ipocrisie della società, e di quel richiamo ai chiaroscuri dell’animo umano, come il desiderio che sfora nell’incesto o l’amore mai sopito che trae vigore nel tradimento. (S.V.) 131 Il sogno del maratoneta Miniserie (2x100’) Rai Uno - Prima serata Domenica 18 e lunedì 19 marzo 2012 Ascolto medio (in migliaia): 4.011 Share media: 15,00% Regia: Leone Pompucci Soggetto: Pietro Calderoni, Gualtiero Rosella. Tratto dal romanzo “Il sogno del maratoneta. Il romanzo di Dorando Pietri” di Giuseppe Pederiali, Garzanti Libri Sceneggiatura: Pietro Calderoni, Gualtiero Rosella, Grazia Giardiello, Roberto Jannone, con la partecipazione di Giovanna Mori Musiche: Carlo Crivelli Produzione: Rai Fiction, Casanova Multimedia Produttori: Marta Aceto (Rai Fiction), Luca Barbareschi (Casanova Multimedia) Interpreti: Luigi Lo Cascio, Laura Chiatti, Dajana Roncione, Alessandro Haber, Thomas Trabacchi, Fabio Fulco, Andy Luotto, Jerry Mastrodomenico, Roberto Nobile, Enrico Salimbeni, con la partecipazione di Pippo Delbono Carpi, primi del ‘900. Dorando Pietri è un giovane contadino con una grande passione: la corsa. Vorrebbe entrare nella squadra cittadina per partecipare alla maratona ma il direttore lo rifiuta. Incoraggiato dal fratello Ulpiano, sfida allora Rondinella, il campione italiano in carica, e lo batte. Dorando trova così la determinazione necessaria per allenarsi in vista delle Olimpiadi di Londra del 1908. Intanto trova l’amore nella dolce Teresa, figlia del suo allenatore, e si fa sedurre dall’avvenente Luciana, collega della fabbrica di cappelli in cui ha iniziato a lavorare. Pietri passa alla storia come il vincitore della maratona olimpica pur non avendo ottenuto la vittoria: viene squalificato per essere stato aiutato dai giudici di gara, sfinito e barcollante all’arrivo al White City Stadium, a tagliare il traguardo. Affranto e deluso parte per l’America dove, invece di trovare il meritato riscatto, è costretto ad esibirsi su scommesse di un losco agente. A New York ritrova Luciana, emigrata per la delusione d’amore, intenta a crescere il figlio avuto da Rondinella, di cui era stata amante. È allora che Dorando capisce che il suo posto è a Carpi, accanto alla fedele e consolatoria moglie Teresa, almeno fin quando lo scoppio della guerra non lo costringerà ad andare al fronte insieme al nemico-amico di sempre Rondinella. Il sogno del maratoneta è un prodotto in linea con le convenzioni narrative delle miniserie biografiche. La rappresentazione di un eroe “tragico” racchiuso nel fisico minuto e scattante di un simpatico e onesto operaio di provincia, e dongiovanni impenitente, è vivificata da una schiera di riusciti comprimari (sin dall’incipit del racconto, quando ancora scorrono i titoli di testa, ognuno di loro si rivolge al pubblico con una battuta sul protagonista). La cura nelle scenografie e nella scelta delle musiche, interpretazioni all’altezza e dialoghi in carpigiano sincopato - efficace nel far respirare lo spirito del tempo - sono i valori aggiunti di una fiction che risente tuttavia di una eccessiva lentezza narrativa. (S.V.) 132 Barbarossa Miniserie (2x100’) Rai Uno – Prima serata Domenica 25 e Lunedì 26 marzo 2012 Ascolto medio (in migliaia): 3.635 Share media: 13,43% Regia: Renzo Martinelli Soggetto: Renzo Martinelli, Giorgio Schottler Sceneggiatura: Renzo Martinelli, Giorgio Schottler, Anna Samueli Musiche: Pivo e Aldo De Scalzi Produzione: Martinelli Film Company International, Castel Film Studios, Rai Cinema Produttori: Renzo Martinelli, Riccardo Pintus, Vlad Paunescu Interpreti: Rutger Hauer, Raz Degan, Kasia Smutniak, Cecile Cassel, Angela Molina, F. Murray Abraham, Antonio Cupo, Hristo Shopov, Federica Martinelli, Elena Bouryka, Maurizio Tabani Lombardia, XII secolo. Federico Barbarossa, imperatore del Sacro Romano Impero, durante una battuta di caccia al cinghiale è vittima di un incidente che lo trasforma in preda, ma un giovane popolano, praticamente un bambino, si espone al pericolo e lo salva uccidendo la fiera con una freccia. Si tratta di Alberto Da Giussano che in questo modo ottiene da Federico un prezioso pugnale in segno di gratitudine. E’ il primo incontro fra i due, che anni dopo si ritroveranno da avversari sui campi di battaglia. Negli anni seguenti infatti Barbarossa stringe la presa sulle città del nord Italia: ne sottomette alcune e ne conquista altre senza troppo sforzo; infine sottopone Milano a un assedio durante il quale muoiono i due fratelli di Alberto, uccisi e poi esposti in bella mostra per la gloria dell’imperatore, il quale dispone che la città di Milano sia distrutta e i suoi abitanti dispersi. Alberto allora fonda la Lega della Morte, che raccoglie esuli e nobili avversi al dominio del Barbarossa e organizza una guerra di resistenza contro l’invasore. Barbarossa tenta più volte di annientarlo senza riuscirci, fino alla storica battaglia risolutiva di Legnano, in cui Alberto è suo nemico come soldato e come stratega. I milanesi sconfiggono l’esercito di Barbarossa che sfugge alla morte ma che dovrà rinunciare per sempre al suo sogno di conquista del territorio italiano. A dispetto del titolo, il protagonista della miniserie è Alberto Da Giussano, figura leggendaria priva di fondamento storico che incarna i valori del patriottismo lombardo. Barbarossa è l’antagonista, il nemico, un uomo di enorme potere e capacità, circondato da un grande esercito, mentre Alberto è la metafora di un popolo che sebbene sia povero di risorse, può sconfiggere un potente tiranno se resta unito sotto lo stesso ideale. La miniserie, che si affida ad un cast internazionale, tenta di coniugare il mito con la ricostruzione storica, gli intenti didascalici (l’esaltazione dello spirito d’appartenenza lombardo) con la spettacolarizzazione degli eventi, facendo ricorso a scene d’azione e situazioni cruente. L’esito finale non risulta convincente, né sul piano della ricostruzione storica, né nel tentativo di rendere avvincente una trama appesantita da un eccesso di enfasi. (G.G.) 133 Maria di Nazareth Miniserie (2x100’) Rai Uno – Prima serata Domenica 1 e lunedì 2 aprile 2012 Ascolto medio (in migliaia): 7.759 Share media: 27,35% Regia: Giacomo Campiotti Soggetto: Francesco Arlanch Sceneggiatura: Francesco Arlanch, Giacomo Campiotti. Story editor: Giovanni Capetta Musiche: Guy Farley Produzione: Rai Fiction, Lux Vide, Bayerischer Rundfunk, BetaFilm, Tellux, Telecinco Cinema Produttori: Luca Bernabei (Lux Vide), Fania Petrocchi (Rai Fiction) Interpreti: Alissa Jung, Paz Vega, Andreas Pietschmann, Antonia Liskova, Thomas Trabacchi, Marco Rulli, Luca Marinelli, Andrea Giordana, Roberto Citran, Marco Foschi, Johannes Brandrup, Antonella Attili, Sergio Muniz, Remo Girone, Mariano Rigillo, Marco Messeri Maria di Nazareth è un mistero, così dicono i suoi stessi genitori quando da piccola sfugge miracolosamente ai cani delle guardie inviate da Erodiade, emissaria del male, che sembra voglia scovarla prima che cresca e dia alla luce Gesù. Maria diventa una ragazza dolce e virtuosa di cui si innamora il giovane Giuseppe. Maria però riceve la visita di un angelo che gli annucia la sua futura gravidanza. Giuseppe non le crede ma l’angelo parla anche a lui e lo tranquillizza. La prima puntata termina con la nascita di Gesù mentre la seconda racconta, soprattutto dal punto di vista di Maria, il periodo della predicazione di Gesù, fino alla sua crocefissione e resurrezione. Parallelamente seguiamo la storia di Maddalena, migliore amica di Maria che, dopo aver visto il padre uccidere la madre per adulterio, accetta di entrare come danzatrice e cortigiana alla corte di Erode. Per lei sarà un percorso di perdizione e poi redenzione con la guida del giovane Gesù. Maria di Nazareth non offre una particolare lettura della protagonista ma si limita a metterla in scena tratteggiando un’allegoria semplice e diretta. Fin dall’inizio Maria considera se stessa una serva di Dio e non mette in discussione le parole dell’angelo né si scoraggia di fronte all’iniziale reticenza di Giuseppe. Maddalena, secondo punto di vista sulla storia, ha invece una linea di trama più articolata in quanto si trova al centro di un intrigo di palazzo che la vedrà finire accusata di adulterio, come la madre. Salvata da Gesù, inizia poi la sua redenzione. A parte qualche concessione al melodramma, la miniserie resta fedele alla sua vocazione agiografica, presupponendo, da parte del pubblico, una conoscenza acquisita degli eventi messi in scena ed una adesione aprioristica al loro significato. Il percorso della protagonista viene tratteggiato attraverso una serie di eventi che non vengono indagati e spiegati, ma esaltati attraverso la messa in scena, letterale e dotata di forza imaginifica e metaforica (come nella scena in cui la malvagia Erodiade viene vista con fattezze da mostro dal re morente), di momenti più o meno famosi tratti dalle sacre scritture. (G.G.) 134 Zodiaco – Il libro perduto Miniserie (4 x 100') Rai Due/Rai Premium – Prima serata Mercoledì 11 e 18 aprile, lunedì 23 e 30 aprile 2012 Ascolto medio (in migliaia): 1.437 (media dei due episodi in onda su Raidue) Share media: 4,89% Regia: Tonino Zangardi Soggetto e sceneggiatura: Silvia Napolitano, Mimmo Rafele, liberamente tratto da Le maître du zodiaque, di Franck Olliver e Malina Detcheva Musiche: Teho Teardo Produzione: Casanova Multimedia, Rai Fiction Produttori: Luca Barbareschi (Casanova Multimedia), Daniela Valentini, Matteo Martone (Rai Fiction) Interpreti: Sergio Assisi, Magdalena Grochowska, Antonia Liskova, Andrea Bosca, Marina Tagliaferri, Giorgia Salari, Marc Louis Tainon, Eleonora Binando, Domenico Diele, Riccardo Marzuoli, Lucrezia Bisignani Torino. La morte in un incidente d’auto di Ester Santandrea, la protagonista del primo capitolo di Zodiaco, è l’inizio di una serie di eventi destinati a rivelare ulteriori segreti sulla famiglia della donna. Due investigatori legati a Ester per motivi diversi indagano fianco a fianco sulla sua scomparsa, convinti che sia stata uccisa: Julian Savelli, archeologo e agente di Scotland Yard in incognito, con cui Ester condivideva il sospetto che in un prestigioso collegio della città si nascondesse una setta esoterica collegata a Nostradamus; ed Eva Gruber, commissario di polizia, che si scoprirà essere la schizofrenica sorella di Ester in cerca di vendetta contro la famiglia dei Daverio, proprietari del collegio e finanziatori della setta. Eva, durante l’infanzia, era stata sequestrata dai Daverio, ma era riuscita a scappare sottraendo alla setta il “libro perduto” di Nostradamus. Ed è ora lei, in stato di follia, a provocare la morte di alcuni dei suoi carcerieri. Il principale sospettato della catena di delitti è però Matteo, lo Zodiaco, nel frattempo evaso dal carcere e intenzionato a scoprire la verità sulla morte di un’altra donna, Elena, causata da uno dei capi della setta in cerca del “libro perduto”. Il prossimo bersaglio dell’assassino è proprio Eva, ma Julian e Matteo, ricostruita la storia della Gruber, intervengono in tempo a salvarle la vita. La miniserie è il sequel del thriller Zodiaco del 2007-2008, di cui ripropone formato e atmosfere, ereditandone - e a volte amplificandone - anche i difetti strutturali. La già problematica fusione tra melodramma familiare, parapsicologia e detection penalizza ancora di più la dimensione investigativa, sacrificata alla ambigua caratterizzazione di Eva, il cui ruolo istituzionale si rivela alla lunga pretestuoso. Il protagonismo del racconto è incerto e al contempo lo statuto e le ragioni degli antagonisti sono resi in modo confuso. La trama ha un ritmo altalenante: è a tratti ripetitiva nella parte centrale, mentre quella finale, seppur movimentata, soffre di un eccessivo spiegazionismo. (D.I.) 135 L’Olimpiade nascosta Miniserie (2x100’) Rai Uno – Prima serata Domenica 27 e lunedì 28 maggio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 4.582 Share media: 19,03% Regia: Alfredo Peyretti Soggetto e sceneggiatura: Maura Nuccetelli, Fabrizio Bettelli, Francesco Miccichè Musiche: Paolo Vivaldi Produzione: Casanova Multimedia, Rai Fiction Produttori: Luca Barbareschi (Casanova Multimedia), Francesca Loiero, Paola Pannicelli (Rai Fiction) Interpreti: Cristiana Capotondi, Alessandro Roja, Gary Lewis, Andrea Bosca, Johannes Brandrup 1944, confine tra Polonia e Germania. Mario è un soldato italiano prigioniero in un campo di lavoro nazista. Weber, l’ufficiale che comanda il campo, è un fanatico, sadico e inflessibile. Mario, durante dei lavori fuori dal campo, incontra per caso Kasia, una ragazza del luogo, e la convince a prendere con sé Joel, un bambino ebreo che la madre ha dovuto abbandonare. All’interno del campo la situazione si fa sempre più pesante, non solo per le vessazioni dei nazisti, ma anche perché gli internati, che appartengono a popoli divisi da antiche rivalità, invece di far fronte comune, sono in conflitto fra loro. Fra i progionieri c’è un ufficiale inglese, ex atleta, che per combattere lo stato di abbrutimento dei prigionieri ha l’idea di organizzare in segreto delle Olimpiadi. Quello sarebbe l’anno giusto se non fosse per la guerra. I detenuti si dividono in squadre e si allenano di nascosto. Weber li scopre: a sorpresa, non li punisce, ma esige di partecipare. Dovrà essere la Germania a vincere, per la gloria del Reich. I prigionieri rifiutano per orgoglio, ma intanto la resistenza ha organizzato un’evasione nel campo vicino in cui sono tenute donne e bambini, tra cui anche Kasia e Joel, che erano stati scoperti dalle SS e internati. C’è bisogno che l’Olimpiade si faccia, come diversivo per facilitare l’evasione. Mario convince gli altri a partecipare e lui stesso accetta di salire sul ring per un incontro di boxe contro Weber. All’inizio Mario è perdente, ma quando gli arriva la notizia che l’evasione è avvenuta, e che Kasia e Joel sono in salvo, abbandona ogni remora e mette al tappeto il suo avversario. L’olimpiade nascosta è un’efficace allegoria in cui lo sport si oppone alla guerra con valori come lealtà e fratellanza. Per l’originalità della situazione messa in scena, che rielabora eventi reali e suggestioni cinematografiche (a partire da Fuga per la vittoria), e per i toni a tratti epici, questa miniserie si ditingue dalla recente e copiosa produzione di fiction storico-melodrammatiche ambientate nella Seconda Guerra Mondiale. Il percorso del protagonista invece, è convenzionale (Mario all’inizio schivo ed egoista, grazie a Kasia e Joel, riscopre il valore dell’amore e della famiglia e trova il coraggio di mettersi in gioco), ma è utile a conferire unità ad una vicenda tendenzialmente corale ed episodica. (G.G.) 136 SERIE E SERIAL 137 Cento Vetrine Serial (1812x25’ e 11x100’ nella stagione) Canale 5 – Daytime/Prima serata Dal lunedì al venerdì, dal 5 settembre 2011 al 1 giugno 2012 Ascolto medio (in migliaia): 3.462 (daytime) – 3.043 (primetime) Share media: 20,68% (daytime) – 11,44% (primetime) Regia: Marco Maccaferri, Fabrizio Portalupi, Giovanni Barbaro, Carlo Timpanaro, Michele Ferrari, Pepi Romagnoli, Michele Rovini Soggetto: Luca Pellegrini, Davide Sala, Margherita Pauselli, Andrea Galeazzi, Maria Teresa Venditti, Annamaria Sorbo, Federico Fava, Christian Bisceglia, Valentina Gaddi, Silvia Cinelli Sceneggiatura: Cristiana Farina, Eleonora Fiorini; Paolo Girelli; Christian Bisceglia e Davide Sala (sceneggiatori capo). Story editor RTI: Carlo Levantesi Musiche: Silvio Amato Produzione: RTI, Mediavivere Produttori: Daniele Carnacina (prod. esecutivo e creativo), Massimo Del Frate (prod. esecutivo), Barbara Anzani (produttori R.T.I.) Interpreti: Luca Capuano, Elisabetta Coraini, Marianna De Micheli, Pietro Genuardi, Sergio Troiano, Roberto Alpi, Linda Collini, Sara Zanier, Raffaello Balzo, Alex Belli, Michele D’Anca, Jgor Barbazza, Barbara Clara, Giusi Cataldo, Daniela Fazzolari Torino. Nel centro commerciale “CentoVetrine” s’incrociano i destini di dirigenti e negozianti. Al centro della storia sono sempre Ettore Ferri, che riconquista saldamente la guida della holding, e il suo nemico Sebastian Castelli (che dopo la morte della cognata Rossana si unisce a Laura Bettini). Ma stavolta sono soprattutto le vicende private ad alimentare l’intreccio intorno ai due personaggi. Per iniziativa di Ettore, entra in scena la moglie di Sebastian, Matilda, da tempo data per morta, creando fratture nei rapporti di Sebastian sia con Laura sia con i figli Jacopo e Viola (ai quali aveva nascosto la verità sulla madre). E anche per Ettore è tempo di “ritorni”: scovata da Ivan Bettini, l’amministratore del gruppo, arriva Diana Ferri, sorella gemella della compianta Anita, la cui esistenza era a tutti ignota. Diana si finge figlia amorevole, ma nasconde propositi di vendetta contro il padre. Tra i segreti e le agnizioni tipici delle narrative popolari, proseguono poi gli intrighi affaristici per il controllo dell’azienda (da parte di Jacopo, che non si rassegna ad un ruolo subalterno) e le immancabili vicende amorose: di Carol Grimani, sempre più legata al medico Adriano; di sua figlia Serena, che finalmente convola a nozze con il vicecommissario Damiano; e di Viola, addolcita dall’amore per Brando Solani, un possidente terriero che ha aperto un negozio nel centro. Alla costante ricerca di un equilibrio appaiono invece Cecilia e Niccolò Castelli: dopo la morte della madre Rossana, lui parte, mentre lei entra in polizia. Ma nuove nubi si addensano all’orizzonte per i personaggi della soap… La dodicesima edizione di Centovetrine ripropone uno stile melodrammatico denso di colpi di scena ed emozioni forti, di intrighi d’affare e amori vecchi e nuovi. Ingredienti che hanno confermato - pur con le voci di chiusura e un parziale spostamento in prima serata - il perdurante successo della soap. (A.L.N.) 138 Un posto al sole Serial (192x25’ nella stagione) Rai Tre – Prima serata Dal lunedì al venerdì, dal 5 settembre 2011 al 31 maggio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 2.408 Share media: 8,64% Regia: Rossano Mancin, Stefano Amatucci, Donatello Alunni Pierucci, Bruno Nappi, Isabella Leoni, Francesco Vitiello, Claudio Norza, Gerardo Gallo, Bruno De Paola, Donatella Maiorca, Monica Massa, Alberto Bader, Massimiliano Papi Soggetto: Athos Zontini, Andrea Vinti, Cristiano Rocco, Dario Carraturo, Sara Rescigno, Guglielmo Finazzer, Paolo Terracciano, Benedetta Gargano, Kirsi Viglione, Brunella Voto Sceneggiatura: Rosanna La Monica (coordinamento creativo); Gabriella Mangia, Mario Donadio (supervisione FremantleMedia Italia); Michele Zatta (supervisione Rai) Musiche: Antonio Annona Produzione: Fremantle Media Italia, Raifiction e Centro di Produzione Rai di Napoli. Produttori: Fabio Sabbioni (produttore creativo); Daniela Troncelliti, Loredana Carbone (Rai) Interpreti: Carmen Scivittaro, Lucio Allocca, Luisa Amatucci, Alberto Rossi, Peppe Zarbo, Vincenzo Messina, Germano Bellavia, Davide Devenuto, Marina Giulia Cavalli, Ilenia Lazzarin, Patrizio Rispo, Nina Soldano, Marzio Honorato, Claudia Ruffo, Luca Turco, Michelangelo Tommaso, Riccardo Polizzy Carbonelli, Stefania De Francesco, Cristina D’Alberto, Marina Tagliaferri, Giorgia Gianetiempo Napoli, Posillipo. A Palazzo Palladini s’intrecciano le vite di un gruppo di personaggi, differenziato per età ed estrazione sociale. Questa quindicesima edizione della soap si sviluppa, come è nelle convenzioni del genere, all’insegna dei ritorni, dei ricominciamenti e dei nuovi amori: torna Giulia Poggi, che con la figlia Angela (riunitasi a Franco e madre della piccola Bianca) riorganizza il lavoro del centro sociale. Silvia e Michele ritrovano l’amore di un tempo e tornano a vivere insieme; mentre Roberto Ferri, ormai dedito ai Cantieri Palladini, si riunisce a Greta (la donna per cui aveva tradito Marina Giordano) e la sposa. Nuovi rapporti, complicati e destinati a non durare, coinvolgono la sempre agguerrita Marina, ora a capo delle imprese Ferri-Ranieri, Filippo Ferri e, in un inedito triangolo tra i più giovani, Nico, Rossella e Gianluca Palladini. Ma a dare l’impronta distintiva alla stagione è la più spiccata attenzione per il sociale, in particolare per le implicazioni camorristiche che incidono sulla vita dei personaggi (il lavoro di Giulia e Angela, le inchieste giornalistiche di Michele, il lavoro in palestra di Franco…), fino al dramma dello stupro di Angela ad opera di un branco (una vendetta legata ai tentativi del nonno camorrista di Nunzio, il figlio adottivo di Franco, di attirare a sé il nipote). Sui consueti binari si snodano infine le unioni del portiere Raffaele e Ornella, di Renato Poggi e Adriana, del fotografo Andrea e Arianna (che superano la malattia di lei e si sposano). Un posto al sole conferma le caratteristiche di sempre: vicende ispirate al realismo quotidiano, e non di rado drammatiche; enfasi sulle relazioni amicali e sentimentali; una costante attenzione al sociale. Il tutto senza rinunciare ai toni leggeri della commedia. (A.L.N.) 139 Don Matteo 8 Serie (22x50', 2x70’) Rai Uno – Prima serata Giovedì dal 15 settembre all’8 dicembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 7.037 Share media: 27,07% Regia: Giulio Base, Carmine Elia, Fernando Muraca, Salvatore Basile Soggetto di serie: Alessandro Bencivenni, Enrico Oldoini, Domenico Saverni, con la collaborazione di Alessandro Jacchia, Alessandra Caneva; co-autore del soggetto di serie e adattamento: Carlo Mazzotta; format di serie: Alessandro Jacchia; da un’idea di Enrico Oldoini Sceneggiatura: Mario Ruggeri, Sabina Marabini, Francesco Arlanch, Andrea Valagussa, Francesca De Michelis, Umberto Gnoli, Tiziana Lupi, Mariella Sellitti, Luisa Cotta Ramosino, Lea Tafuri, Mariolina Venezia, Erminio Perocco, Mauro Graiani, Emanuela Canonico, Cecilia Spera, Alessia Lepore, Elena Bucaccio, Viola Rispoli, Valerio D’Annunzio; story editor: Sabina Marabini, Mario Ruggeri, con la collaborazione di Umberto Gnoli. Musiche: Pino Donaggio Produzione: Lux Vide in collaborazione con Rai Fiction Produttori: Matilde e Luca Bernabei (Lux Vide), Francesca Tura e Daria Hensemberger (Rai Fiction), Sara Melodia (prod. creativo) Interpreti: Terence Hill, Nino Frassica, Simone Montedoro, Nathalie Guettà, Pamela Saino, Caterina Sylos Labini, Eleonora Sergio, Laura Glavan, Francesco Scali, Pietro Pulcini, Giuseppe Sulfaro, Simona Marchini, Astra Lanz, Andrea Pittorino, Sydne Rome, Giada Arena In questa edizione della serie ritroviamo Don Matteo dedito, come sempre, alla sua peculiare vocazione di parroco detective, diviso tra la veste ufficiale di autorevole guida religiosa della comunità di Gubbio e il ruolo ufficioso di abile “collaboratore” nelle indagini dei carabinieri della locale stazione, grazie alla stima e all’amicizia che lo legano al maresciallo Cecchini. Ad animare la canonica di Don Matteo, oltre a vecchie conoscenze come Natalina, Pippo e il piccolo Agostino, una nuova inquilina: Laura, ragazza incinta orfana di madre e con il padre in carcere, che darà alla luce una bambina. Il sacerdote assume un inedito ruolo “paterno” nei confronti dell’adolescente, la quale, spesso in conflitto con Don Matteo riguardo alle decisioni da prendere per il futuro della neonata, finirà per seguirne i consigli. Intanto il capitano Tommasi chiede a Patrizia, la figlia di Cecchini, di sposarlo. Come di consueto, ogni episodio presenta un caso di omicidio, perlopiù maturato in ambito familiare o lavorativo, sistematicamente risolto dall’acume investigativo del protagonista. A dare il quid identitario al racconto è ad ogni modo lo statuto etico-spirituale di Don Matteo, che riesce a cogliere gli indizi prettamente “umani” del caso e a comunicare ad un livello profondo con sospettati e colpevoli, inducendoli a confessare le loro colpe e a cercare la redenzione. La formula narrativa coniuga sapientemente il giallo con il comico (le numerose gag a cui danno vita Cecchini, Pippo e Natalina) e il rosa della continuing story (ai quali si aggiungono elementi melodrammatici legati alla vicenda di Laura). (D.I.) 140 Distretto di polizia 11 Serie (26x50') Canale 5 – Prima serata Domenica dal 9 ottobre 2011 al 15 gennaio 2012; martedì 8 novembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 3.164 Share media: 12,44% Regia: Alberto Ferrari Sceneggiatura: Francesco Cioce, Vinicio Canton, Giacomo Durzi, Alessandro Fabbri, Federico Lunadei Maroder, Sara Mosetti, Andrea Galeazzi, Anna Mittone, Fabio Visca, Andrea Magnani, Gianluca Ansanelli, Gianni Biondillo. Editors Taodue: Luca Rossi, Debora Alessi, Andrea Leanza Musiche: Pivio e Aldo De Scalzi Produzione: RTI, Taodue Produttori: Dario Gorini, Gianluca Tino (RTI), Pietro Valsecchi, Camilla Nesbitt (Taodue) Interpreti: Simone Corrente, Andrea Renzi, Dino Abbrescia, Lucilla Agosti, Marco Marzocca, Paolo Calabresi, Maria Amelia Monti, Gianluca Bazzoli, Tommaso Ragno, Ninni Bruschetta, Miriam Leone, Chiara Conti, Valentina Cervi La nuova edizione di Distretto si apre con l’ennesima dipartita all’interno del X Tuscolano di Roma: l’indagine orizzontale prende infatti avvio dall’uccisione del commissario Luca Benvenuto, nel tempo assurto a leader morale, oltre che professionale, del gruppo. A prendere il suo posto e a coordinare l’investigazione sull’omicidio è il vicequestore Leonardo Brandi, il quale scopre che l’assassino di Benvenuto è il latitante Antonio Corallo, cane sciolto deciso a vendicare la morte del figlio, causata qualche tempo prima dallo stesso Brandi. La posta in gioco è per il nuovo capitano strettamente personale: la sua nuova partner, Valentina, ignara della vera identità di Corallo, stringe amicizia con il criminale, che la sfrutta per tendere un agguato mortale al rivale. Fallito il tentativo, la donna, pur di riconquistarsi la fiducia di Leonardo, accetta di fare da esca per stanare Corallo. Questi, messo alle strette, gioca la sua ultima carta attirando in trappola il figlio adolescente di Brandi, ma il poliziotto gli impedisce di pareggiare i conti. Quest’ultima stagione, pur riproponendo la collaudata struttura narrativa, (running plot investigativo, casi episodici autoconclusivi ispirati perlopiù a fatti recenti di cronaca, ulteriori sottotrame di taglio sentimentale e comico), soffre di una forte crisi di identità i cui sintomi sono rintracciabili nella premessa drammatica e nel diverso bilanciamento dei toni del racconto. Con la morte di Benvenuto, l’ultimo rimasto dei personaggi “storici” della serie (insieme al sovrintendente Lombardi), scompaiono importanti tasselli della memoria diegetica di Distretto, e viene profondamente minata la riconoscibilità della comunità dei caratteri. Inoltre, emerge una marcata dimensione privatofamiliare (i rapporti di Brandi con la ex moglie e il figlio, la volontà dell’agente Esposito di adottare un’orfanella) che sposta gli equilibri del concept su un piano ancor più melodrammatico rispetto alle precedenti edizioni. (D.I.) 141 Un amore e una vendetta Serie (8x100’) Canale 5 – Prima serata Mercoledì dal 12 ottobre al 23 novembre, martedì 18 ottobre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 4.422 Share media: 16,77% Regia: Raffaele Mertes Soggetto di serie: Eleonora Fiorini, Nicola Lusuardi, Michele Abatantuono; basato sul format: Montecristo - un amor una venganza Soggetto: Eleonora Fiorini, Nicola Lusuardi, Mauro Casiraghi, Anna Mittone Sceneggiatura: Eleonora Fiorini, Nicola Lusuardi, Giorgia Mariani, Dante Palladino, Mauro Casiraghi, Maura Nuccetelli, Chiara Clini, Anna Mittone Musiche: Antonello Navarra Produzione: RTI, Mediavivere Produttori: Paolo Bassetti, Massimo Del Frate (Mediavivere) Interpreti: Alessandro Preziosi, Anna Valle, Lorenzo Flaherty, Elisabetta Pellini, Ray Lovelock, Paolo Seganti, Simona Borioni, Federico Costantini Trieste. Laura, figlia di un ricco armatore, sta per sposare Marco, socio del padre, ma la cerimonia viene interrotta perché nella spiaggia privata della villa di famiglia viene rinvenuta una cassa contenente lo scheletro di una donna. Intanto, nel porto ha attraccato lo yacht Lorenzo Bermann, invitato al matrimonio dallo stesso Marco, che spera di concludere affari con lui. Bermann è un uomo dal passato misterioso che sembra conoscere molti particolari della vita di Laura e Marco, così come di Luca e Paolo, buoni amici della coppia. Bermann altri non è che Andrea Damonte, ex fidanzato di Laura, sparito in mare molti anni prima in seguito a un’aggressione da parte dei suoi amici Marco, Luca e Paolo, che erano convinti di averlo ucciso. Ma Andrea si è miracolosamente salvato, ha fatto fortuna e, grazie a una plastica facciale, è tornato sotto mentite spoglie per consumare la sua vendetta. Basato sul format argentino a sua volta liberamente ispirato a Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas, il serial nella prima parte resta fedele all’idea del romanzo, e si focalizza sul tema della vendetta. Bermann, la cui identità è svelata al pubblico da subito, frequenta alla luce del sole Marco, Laura e i vecchi amici, e segretamente, li perseguita. Intanto scopre quanto Laura ha sofferto per la sua scomparsa, e come sia anche lei vittima dell’inganno di Marco e degli altri. Andrea le rivela la sua vera identità e il loro amore rinasce. La fiction si caratterizza per una cifra visuale gradevole e per una trama ben equilibrata fra thriller e melò, il cui punto di forza è senza dubbio il protagonista, ricalcato sulla figura di Edmond Dantès, affascinante come il tema della vendetta che incarna. Solo nell’ultimo terzo del racconto, quando ormai l’identità di Bermann/Damonte è nota anche ai suoi nemici e il protagonista da cacciatore diventa preda, la storia smarrisce il suo tema e diventa incoerente, anche per i canoni del feuilleton, focalizzandosi sul terribile segreto sepolto nel passato di Laura, che fu comprata dal padre, il quale gestiva un giro di adozioni illegali. (E.G.) 142 Così fan tutte Serie (13x35’) Italia 1– Notte Domenica dal 30 Ottobre all’11 dicembre 2011, martedì dal 13 dicembre 2011 al 3 gennaio 2012, mercoledì 11 e 18 Gennaio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 1.409 Share media: 9,51 Regia: Gianluca Fumagalli Sceneggiatura: Lucio Wilson, Carmelo La Rocca, Maurizio Sangalli, Ugo Ripamonti, Paola Fossataro Musiche: Maurizio Mastrini Produzione: RTI, Mediavivere Produttori: Reana Turra, Massimo Ubaldi Interpreti: Alessia Marcuzzi, Debora Villa, Andrea Santonastaso, Gianluca Impastato Milano. La seconda serie della sketch comedy tratta dal format francese Vous les femmes, ripropone la varietà di stili comici già sperimentati nella prima stagione, spaziando dalla commedia degli equivoci alla gag slapstick. Nel corso dei circa 30 minuti di cui si compone un episodio si susseguono una serie serrata di sketch di durata variabile, ognuno slegato dall'altro. Gli episodi non presentano quindi una continuità narrativa, ma risultano come un puzzle di situazioni tutte diverse, il cui unico legame sono Alessia Marcuzzi e Debora Villa. Le due attrici si confermano brillanti ed efficaci nell'interpretare varie tipologie di donne, che ricalcano gli stereotipi dell'universo femminile, le contraddizioni, le manie e le fobie che vengono normalmente attribuite alle donne nell'immaginario collettivo. Le tematiche affrontate sono varie: il sesso, l'amore, il tradimento, la bellezza, l'amicizia, la competizione sul lavoro. Tra gli episodi della stagione: una donna si rivolge ad un'agenzia matrimoniale per trovare un uomo, ma il suo profilo è incompatibile con tutti gli iscritti; Adamo ed Eva discutono perché lui ha guardato un'altra donna; una donna pensa di aver passato la notte con un giovane ragazzo africano, mentre in realtà è stata con un uomo anziano; un’ambientalista finge di dover comprare delle scarpe per convincere le altre clienti a non prendere quelle di pelle e così via. Le donne rappresentate sono varie: dalla madre borghese alla single impenitente, dalla donna in carriera all'artista distratta, dalla moralista bigotta alla mangiatrice di uomini, dalla fidanzata traditrice alla moglie trascurata. Il linguaggio usato è molto diretto e ricco di doppi sensi, i riferimenti sessuali sono sempre presenti e a volte sfiorano la volgarità, queste caratteristiche rendono la sketch comedy un prodotto piuttosto trasgressivo per gli standard della fiction italiana, adatta al palinsesto notturno. Novità di questa stagione è la presenza di guest stars maschili, tra i quali la coppia comica Luca e Paolo, ai quali è affidato il compito di mostrare anche il punto di vista degli uomini, sempre un po' banale e stereotipato, sulle varie situazioni che coinvolgono le protagoniste. (E.G.) 143 Tutti pazzi per amore 3 Serie (26x50') Rai Uno – Prima serata Domenica dal 6 novembre 2011 al 1 gennaio 2012, martedì 22 novembre, 6, 13 e 20 dicembre 2011 Ascolto medio (in migliaia): 4.276 Share media: 16,96% Regia: Laura Muscardin Soggetto: Ivan Cotroneo, Stefano Bises, Monica Rametta. Serie ideata da Ivan Cotroneo. Sceneggiatura: Ivan Cotroneo, Monica Rametta, Stefano Bises, Fidel Signorile, Stefano Tummolini, Elena Bucaccio Musiche: Piernicola Di Muro Produzione: Publispei, Rai Fiction Produttori: Cesare Andrea Bixio, Verdiana Bixio (Publispei), Leonardo Ferrara (Rai), Carlo Principini (prod. artistico Publispei) Interpreti: Emilio Solfrizzi, Antonia Liskova, Carlotta Natoli, Ricky Memphis, Francesca Inaudi, Irene Ferri, Marina Rocco, Luca Angeletti, Nicole Murgia, Brenno Placido, Laura Galgani, Claudia Alfonso, Gabriele Rossi, Pia Velsi, Ariella Ireggio, Piera Degli Esposti, Martina Stella, Anita Caprioli, Luigi Diberti, Giovanna Ralli, Lucrezia Lante Della Rovere Roma. Dopo il matrimonio celebrato nel finale della scorsa edizione della serie, riprendono le vicende della coppia formata da Paolo e Laura e dei loro numerosi parenti e amici. Con il forte desiderio (che alla fine si concretizzerà) di concepire un bambino che vada ad arricchire la già nutrita famiglia allargata, la coppia cerca di ritagliarsi un angolo di intimità affittando di nascosto un appartamento tutto per sé. Ben presto dovranno cedere l’abitazione a Cristina ed Emanuele, i figli avuti dai precedenti matrimoni, intenzionati a convivere con i rispettivi partner. L’esperienza sarà tutt’altro che semplice per i giovani: Cristina, rimasta incinta di Raoul, abbandona gli studi e cerca un lavoro, nonostante le iniziali resistenze di Paolo; Emanuele ha problemi nel controllare la sua gelosia nei confronti di un caro amico di Viola. Intanto Monica, che ha lasciato a Laura la direzione della rivista in crisi di vendite, si innamora del futuro sposo di sua cugina, che per lei rinuncerà al matrimonio. La novità principale di questa stagione risiede nella gestione della temporalità del racconto all’interno della struttura seriale multilineare: ogni puntata corrisponde a una giornata della vita dei personaggi, le cui vicende hanno quindi luogo nell’arco di ventisei giorni consecutivi. Questa scelta, se si sposa bene con lo stile fortemente definito di Tutti pazzi per amore - brillante commedia sentimentale condita da toni grotteschi e surreali e da inserti musical - non riesce tuttavia a mascherare i sintomi di stanchezza della formula narrativa. Più che il ricorso a tipici espedienti melodrammatici, a non convincere è la funzione di quella che, sulla carta, è la coppia principale di protagonisti: tra Paolo e Laura il conflitto è stavolta assai flebile, mentre il loro rapporto con i rispettivi figli risulta poco incisivo e debolmente funzionale allo sviluppo delle singole storyline. (D.I.) 144 Camera Café Sitcom (200x6') Italia 1 – Prima serata/Daytime Dal lunedì al venerdì, dal 13 dicembre 2011 al 6 aprile 2012 Ascolto medio (in migliaia): 2.099 (PT) – 914 (DT) Share media: 7,61% (PT) – 7,38% (DT) Regia: Fabrizio Gasparetto Soggetto e sceneggiatura: Lorenzo de Marinis, Carlo Giuseppe Gabardini, Matteo Levati, Massimo Chiellini, Luca Celoria, Oscar Colombo, Achille Corea, Fulvio Di Meo, Francesco Elli, Paolo Fittipaldi, Luca Franzoni; supervisione editoriale: Karina Andreoli; story editor: Davide Notarangelo Musiche: Vision Produzione: RTI, Magnolia per ITC Movie Produttori: Reana Turra (RTI), Cristiana Molinero (Magnolia), Patrizia Sartori (ITC Movie) Interpreti: Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Roberto Accornero, Paolo Bufalino, Sabrina Corabi, Massimo Costa, Margherita Fumero, Carlo Giuseppe Gabardini, Renato Liprandi, Desy Luccini, Riccardo Margherini, Roberta Nanni, Lucia Ocone, Alessandro Sampaoli, Debora Villa Dopo qualche anno di assenza, torna la sitcom che ha introdotto e portato al successo in Italia la declinazione interstiziale del formato. In questa edizione l’azienda, scongiurato il processo di fusione con una struttura rivale e uscita dalla crisi, vive un periodo di riassestamento che fa aleggiare sul personale lo spettro del licenziamento per esubero. Nell’area relax continuano a succedersi, inquadrate dalla camera fissa posizionata nel distributore automatico di bevande, le strampalate vicende dei due colleghi Luca Nervi, il delegato sindacale taccagno ed egoista in procinto di sposarsi con la sua ragazza Alex, e Paolo Bitta, dongiovanni con la passione per i camper e le canzoni dei Pooh. Ad affiancarli, gli storici comprimari: De Marinis, il machiavellico e pignolo direttore; Geller, il super consulente delle risorse umane, vero spauracchio dei dipendenti; la coppia formata dal timido e sottomesso contabile Silvano e dall’esuberante Patti; Olmo, lo stravagante responsabile informatico; Pippo, il fattorino omosessuale; Wanda, la stagista ultrasessantenne; Vittorio, l’esagitata guardia giurata. Non mancano i nuovi arrivi nell’organico aziendale: Gloria, la bella e svagata segretaria, e Lucrezia, l’autoritaria dirigente dell’Ufficio Iniziative Speciali. Camera café si conferma serie di successo e dai marcati tratti identitari: tra i suoi punti di forza, la riconoscibilità della confezione, la formula fortemente codificata, e soprattutto la sapiente caratterizzazione e gestione dei personaggi. Questi, stereotipati e pieni di difetti come vuole il genere, sono il fulcro di un efficace conflitto tra opposti comici, sorretto da un’ambientazione funzionale ad enfatizzare i contrasti e foriera di spunti narrativi. La varietà degli sketch beneficia, inoltre, del frequente ricorso a guest all’interno di singoli episodi. (D.I.) 145 Che Dio ci aiuti Serie (16x50’) Rai Uno - Prima serata Giovedì dal 15 dicembre 2011 al 2 febbraio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 6.337 Share media: 23,60% Regia: Francesco Vicario Soggetto di serie: Elena Bucaccio, Mauro Graiani, Andrea Valagussa, Carlotta Ercolino Sceneggiatura: Mauro Graiani, Mario Ruggeri, Andrea Valagussa, Lea Tafuri, Carlo Mazzotta, Cecilia Calvi, Francesco Arlanch. Supervisione di Elena Bucaccio. Story editors: Sabina Marabini, Cecilia Spera Musiche: Andrea Guerra Produzione: Rai Fiction, Lux Vide S.p.A. Produttori: Sara Polese, Filippo Rizzello (Rai Fiction), Matilde e Luca Bernabei (Lux Vide) Interpreti: Elena Sofia Ricci, Massimo Poggio, Serena Rossi, Francesca Chillemi, Miriam Dalmazio, Giampiero Judica, Christian Ginepro, Enrico Mutti, Laura Gaia Piacentile, Marco Messeri e con la partecipazione di Valeria Fabrizi Modena. Suor Angela, ex carcerata che ha preso i voti dietro le sbarre, convince la Madre Superiora ad aprire un convitto universitario all’interno del convento, che rischia di chiudere per carenza di vocazioni. È grazie a questa intuizione che il chiostro inizia a pullulare di vita. Arrivano Giulia, ragazza madre in cerca di lavoro e di laurea; Margherita, studentessa di medicina alla sua prima esperienza fuori casa; e Azzurra, ricca e frivola figlia di papà che vuol dimostrare al padre di non essere una fallita. Oltre che nel risolvere i problemi delle tre giovani, Suor Angela si trova coinvolta in casi delittuosi che la vedono collaborare, con metodi poco ortodossi e con l’ausilio delle ospiti fisse del convitto, a stretto contatto con l’acido ispettore Marco Ferrari, per il quale sviluppa un profondo senso di protezione dopo aver scoperto che è il figlio della vittima di una rapina che l’aveva vista complice. Ma l’ispettore è una vecchia conoscenza anche di Giulia: l’aveva sedotta e abbandonata otto anni prima, e ora è intenzionato a riconquistare il suo amore e quello della piccola Cecilia, la bambina di cui si scoprirà padre. L’ultima puntata di Don Matteo 8 aveva messo in scena un esplicito passaggio di testimone - esempio di cross-over casereccio, con un chiaro intento promozionale - tra il pacato parroco umbro e la iperattiva suora emiliana, lasciando presagire le molte simmetrie tra le due produzioni in tonaca. I casi di puntata sono anche qui alimentati da gialli semplici nell’architettura e funzionali allo sviluppo del sistema di relazioni, ma la riuscita della nuova serie è indebolita da una presenza protagonistica non del tutto efficace. Se è apprezzabile lo stile pop ed emancipato con cui suor Angela vive la sua fede, risultano invece superficiali e pretestuosi i richiami al suo passato per giustificare fiuto investigativo ed empatia verso chi sbaglia. Situazioni poco credibili e svolte narrative preannunciate abbassano il potenziale dell’attesa, affidando ai toni rilassanti e disimpegnati di una commedia a misura di famiglia il principale motivo di richiamo per il pubblico. (S.V.) 146 Il tredicesimo apostolo Serie (12x50') Canale 5 – Prima serata Mercoledì dal 4 gennaio al 1 febbraio, martedì 7 febbraio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 5.773 Share media: 20,99 Regia: Alexis Sweet Soggetto di serie: Pietro Valsecchi Sceneggiatura: Andrea Nobile, Mizio Curcio, Leonardo D’Agostini, Fosca Gallesio, Alfredo Arciero, Filippo Kalomenidis, Andrea Leanza, Gianfranco Nerozzi, Aaron Ariotti, Stefano Sardo, Alessandro Fabbri, Lorenza Ghinelli: story editor: Mizio Curcio, Leonardo D’Agostini, Fosca Gallesio, Andrea Nobile Musiche: Andrea Farri Produzione: RTI, Taodue Produttori: Lodovica Etteri, Simone Tordi (RTI), Pietro Valsecchi, Camilla Nesbitt (Taodue) Interpreti: Claudio Gioè, Claudia Pandolfi, Luigi Diberti, Chiara Nicola, Glen Blackhall, Yorgo Voyagis, Stefano Pesce, Tommaso Ragno, Tony Bertorelli, Imma Piro, Alberto Cracco, Paolo Romano, Anna Ferzetti, Laura Glavan Roma. Padre Gabriel Antinori è un giovane e anticonformista teologo. Ha messo il suo interesse per l’esplorazione delle zone d’ombra tra fede e scienza al servizio di un’organizzazione segreta del Vaticano, la Congregazione della Verità. Diretto dallo zio, il monsignor Demetrio Antinori, l’organismo ha lo scopo di far luce su fenomeni paranormali di vario tipo, potenzialmente classificabili come miracoli. Gabriel si avvale della consulenza di Claudia Munari, una psicologa votata allo scetticismo: nonostante le antitetiche convinzioni, i due instaurano un saldo rapporto d’amicizia, quasi sul punto di sconfinare in una problematica relazione sentimentale. Ma per Antinori il conflitto più profondo ha a che fare con la sua reale natura e il suo nebuloso passato. Gabriel scopre di possedere poteri taumaturgici, e da quel momento in poi incrocia più volte la strada di Serventi, figura enigmatica a capo di un’organizzazione segreta che mira a rovesciare l’autorità della Chiesa, e che vede proprio in Antinori la nuova guida spirituale. Gabriel arriverà a scoprire verità sconvolgenti sul legame tra la setta e la sua famiglia: monsignor Demetrio è complice di Serventi, ed è il suo padre naturale; la madre, che credeva morta, è ancora viva e fa parte dell’organizzazione. Il tredicesimo apostolo innesta in una morfologia collaudata e riconoscibile i temi e le suggestioni di un immaginario raramente frequentato dalla fiction italiana (tra i riferimenti, L’esorcista, X-Files e i romanzi di Dan Brown). In accordo con la formula delle serie serializzate Taodue, il mistery trova integrazione, nel running plot, con le dinamiche del feuilleton, che costituiscono la vera essenza del racconto. La dimensione episodica, in cui il fantastico è virato sull’enigma a tinte soprannaturali e sulla suspense, assume invece una rilevanza secondaria. La scarsa incisività del conflitto tra opposti - fede vs scienza - priva la serie di un concept limpido e saldamente connaturato al genere. (D.I.) 147 Il restauratore Serie (12x50') Rai Uno – Prima serata Domenica dall’8 gennaio al 5 febbraio, lunedì 6 febbraio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 5.901 Share media: 21,91% Regia: Giorgio Capitani Soggetto di serie: Salvatore Basile, Vinicio Canton, Alessandro Jacchia; da un’idea di Alessandro Jacchia; story editor: Jacopo Fantastichini; script editor: Salvatore Basile, Vinicio Canton, Valerio D’Annunzio, Giorgio Mariuzzo Sceneggiatura: Salvatore Basile, Vinicio Canton, Valerio D’Annunzio, Giorgio Mariuzzo, Mauro Graiani, Riccardo Irrera, Silvia Scola, Riccardo Degni, Simona Coppini, Jacopo Fantastichini, Francesco Favale Musiche: Fabrizio Bondi Produzione: Rai Fiction, Albatross Produttori: Emanuele Cotumaccio, Paola Foffo (Rai Fiction), Alessandro Jacchia, Maurizio Momi (Albatross) Interpreti: Lando Buzzanca, Martina Colombari, Paolo Calabresi, Beatrice Fazi, Marco Falaguasta, Claudio Castrogiovanni, Caterina Guzzanti, Pamela Saino, Emanuele Ajello, Giacomo Piperno, Katarina Nicolic, Bojan Peric, Misa Beric Roma. Basilio Corsi è un ex ispettore di polizia, segnato da un passato traumatico: ha assistito all’omicidio della moglie Maria e ha poi ucciso a sua volta, sovrastato dal dolore e dalla furia, gli assassini. Dopo vent’anni di carcere, durante i quali ha imparato a fare piccole riparazioni per gli altri detenuti, ottiene la libertà vigilata e trova lavoro come aiutante nella bottega di restauro della bella Maddalena, della quale diventerà amico. Quando, dopo aver subito una scarica elettrica, si rende conto che toccando gli oggetti da riparare riesce a vedere il futuro dei relativi proprietari, la sua vita riacquista il senso che credeva perduto. Per Basilio diviene, infatti, una vera e propria missione decifrare gli indizi delle visioni, quasi sempre tragiche, e rintracciare le persone legate agli oggetti allo scopo di modificare il corso degli eventi. Le sue indagini private incrociano sistematicamente quelle della polizia. A condurle è il bonario commissario Maccari, suo ex collega che, al contrario del rigido agente Mangano, chiude un occhio di fronte alle sue intromissioni. Il concept de Il restauratore è frutto di una efficace rilettura del poliziesco italiano, funzionale ad una inedita commistione con il fantastico. Pur non mancando i toni leggeri della commedia e del rosa, espressi nei personaggi secondari, gli episodi sono centrati sul tentativo del protagonista di prevenire l’evento futuro di cui solo lui è a conoscenza. Le vicende sono quindi strutturate sui meccanismi della suspense più che su quelli abituali del giallo, ma conservano, come da tradizione, una forte sostanza melodrammatica. Basilio, rileggendo il proprio passato alla luce del suo “dono”, empatizza e comunica ad un livello profondo con potenziali suoi emuli, evitando che compromettano, come è accaduto a lui, la propria vita a venire. (D.I.) 148 Provaci ancora prof 4 Serie (6x100’) Rai Uno– Prima serata Domenica 19 febbraio, lunedì 20 febbraio e 12 marzo, martedì dal 28 febbraio al 13 marzo 2012 Ascolto medio (in migliaia): 6.213 Share media: 22,02% Regia: Tiziana Aristarco Soggetto: Margherita Oggero, Dido Castelli Sceneggiatura: Dido Castelli, Anna Samueli, Cecilia Calvi, Giovanna Gra, ValentinaCapecci, Francesca Panzarella Musiche: Pino Donaggio Produzione: Endemol Italia, Rai Fiction Produttori: Francesca Tura, Filippo Rizzello (Rai Fiction); Giannandrea Pecorelli (Endemol) Interpreti: Veronica Pivetti, Enzo De Caro, Cesare Bocci, Pino Ammendola, Ilaria Occhini, Flavio Montrucchio, Ludovica Gargari, Carmen Tejedera, Alice Bellagamba, Lorenzo De Angelis, Claudio Bigagli, Franco Oppini Roma. La quarta stagione della serie che ruota attorno alle vicende di Camilla Baudino, insegnante di lettere e investigatrice dilettante, si apre con tante novità nella vita della protagonista. Dopo aver vissuto due anni a Barcellona, al seguito del marito Renzo, che aveva ricevuto un’importante proposta di lavoro, Camilla torna a vivere a Roma insieme alla figlia adolescente Livietta, e a insegnare in una scuola superiore della capitale. Camilla e Renzo si sono separati e anche l'ex marito è rientrato a Roma, con Carmen, la sua compagna spagnola. I nuovi equilibri familiari e l'entrata in scena di nuovi personaggi, a partire dal commissario De Matteis, che a differenza del precedente commissario Berardi, non apprezza le intrusioni investigative di Camilla, hanno rinnovato la serie introducendo elementi vivaci e coerenti con il concept, basato sull’ equilibrio tra il giallo e la commedia familiare. Le relazioni amorose fioccano: mentre Renzo vive il suo ménage con la focosa Carmen, Livietta dalle prime cotte adolescenziali della terza serie passa alle prime delusioni, e Camilla comincia a frequentare l'affascinante Marco, che si scoprirà essere il fratello del nuovo commissario. A sostenere questa relazione è la madre di Camilla, Andreina, felice quando Camilla e Marco si fidanzano. Ma, nell'ultimo episodio, come da copione, la protagonista e l’ex marito scoprono di amarsi ancora e tornano insieme. La commedia familiare è scorrevole e riuscita, a differenza della dimensione investigativa. Due omicidi avvengono in presenza di Camilla, altri casi coinvolgono colleghi di scuola e uno la fidanzata dell'ex marito. Se questa inverosimiglianza è intrinseca al concept e non disturba, risulta incongruente con il tono generale della serie la drammaticità dei delitti, che portano la protagonista a confrontarsi con realtà problematiche (droga, escort, sette religiose) rese in modo superficiale. Le indagini appaiono comunque meno centrali nell’economia delle serie, rispetto alle stagioni precedenti, lasciando ancora maggior spazio alle dinamiche familiari. (E.G.) 149 Il giovane Montalbano Serie (6x100’) Rai Uno – Prima serata Giovedì dal 23 febbraio al 29 marzo 2012 Ascolto medio (in migliaia): 7.008 Share media: 26,13% Regia: Gianluca Maria Tavarelli Soggetto: tratto dai racconti di Andrea Camilleri, dalle raccolte Un mese con Montalbano, La prima indagine di Montalbano, Gli arancini di Montalbano, La paura di Montalbano Sceneggiatura: Andrea Camilleri, Francesco Bruni, Salvatore De Mola, Chiara Laudani, Leonardo Marini Musiche: Andrea Guerra, Produzione: Rai Fiction, Palomar Produttori: Carlo Degli Esposti, Nora Barbieri, Max Gusberti, Gloria Giorgianni (Palomar), Erica Pellegrini (Rai) Interpreti: Michele Riondino, Alessio Vassallo, Andrea Tidona, Sarah Felberbaum, Maurilio Leto, Giuseppe Santostefano, Carmelo Galati, Massimo De Rossi, Beniamino Marcone Sicilia, primi anni Novanta. Montalbano, trentenne vice commissario in un piccolo paese di montagna, è fidanzato con Mery, un’insegnante che lavora a Catania. Nonostante la giovane età Montalbano dimostra grandi abilità investigative che gli valgono la promozione a commissario. Viene assegnato al commissariato di Vigata, cittadina dove ha vissuto da ragazzo, dopo la morte della madre, e dove ritrova suo padre. I nuovi colleghi di Montalbano sono: Carmine Fazio, agente esperto che l'aiuta ad inserirsi; Catarella, simpatico ma imbranato; Giuseppe Fazio, figlio di Carmine; e l'ispettore Mimì Augello, con cui inizialmente non c'è simpatia. Ne La prima idagine, il giovane commissario indaga su una donna che ha architettato un piano per vendicarsi dell'uomo che l'ha violentata. In Capodanno, Montalbano è alle prese con un omicidio consumato nell'albergo dove alloggia per le festività con la fidanzata, con la quale terminerà la relazione proprio in questo episodio. Ritorno alle origini, racconta la scomparsa di una bambina e, indagando sul caso, Montalbano conosce Livia, che inizia a frequentare. In Ferito a Morte, il commissario si trova a fare i conti con il pensionamento anticipato di Carmine Fazio, mentre ne Il terzo segreto indaga su alcune morti bianche. L'ultimo episodio, Sette lunedì, vede Montalbano impegnato in un caso di parricidio che lo porta ad affrontare il burrascoso rapporto con il padre: Salvo lo rimprovera di averlo abbandonato dopo la morte della madre e di essersi rifatto una famiglia senza di lui. Liberatosi dei fantasmi del passato, Montalbano dichiara il suo amore a Livia, con cui è pronto a impegnarsi in una relazione. Questo prequel riesce in larga misura a replicare caratteristiche e pregi che hanno fatto la fortuna della serie originale: storie dall’intreccio non banale ben radicate dal punto di vista ambientale e sociale, regia e fotografia accurate. Manca, al giovane Montalbano, il carisma dell’originale, frutto di un vigore caratteriale e di una tensione morale che solo in parte si ritrovano nel protagonista di questa serie. (E.G.) 150 Le tre rose di Eva Serial (12x80’) Canale 5 – Prima serata Mercoledì dal 4 aprile al 20 giugno 2012 Ascolto medio (in migliaia): 5.250 (media nella stagione) Share media: 19,29% (media nella stagione) Regia: Raffaele Mertes e Vincenzo Verdecchi Soggetto: Michele Abatantuono, Luca Biglione, Maria Carmela Cicinnati, Silvia Cinelli, Gerardo Fontana, Paolo Girelli, Maria Teresa Venditti Sceneggiatura: Michele Abatantuono, Fabrizio Bettelli, Luca Biglione, Maria Carmela Cicinnati, Chiara Clini, Maura Nuccetelli, Maria Teresa Venditti Musiche: Savio Riccardi Produzione: RTI, Mediavivere Produttori: Paolo Bassetti, Massimo Del Frate per Mediavivere Interpreti: Anna Safroncik, Karin Proia, Licia Nunez, Roberto Farnesi, Luca Capuano, Giorgia Wurth, Victoria Larchenko, Elisabetta Pellini, Francesco Arca, Fiorenza Marchegiani, Rocco Giusti, Kaspar Capparoni, Paola Pitagora, Barbara De Rossi, Luca Ward Toscana. Aurora Taviani viene scarcerata dopo otto anni di reclusione e torna ad abitare nel suo casale a Villalba, il suo paese d'origine, assieme alla nonna Ottavia e alle sorelle Marzia e Tessa. La donna è stata ingiustamente accusata dell'omicidio di Luca Monforte, padre del suo ex fidanzato Alessandro e amante di sua madre Eva, sparita da otto anni. Il ritorno della ragazza non è gradito alla famiglia Monforte, in particolare ad Alessandro, che non crede all'innocenza di Aurora. La famiglia Monforte possiede un'importante azienda vinicola e Alessandro vuole impossessarsi anche del casale e delle vigne dei Taviani, per rovinare per sempre Aurora. La giovane Taviani però non si arrende: scopre che Luca Monforte faceva parte di una associazione segreta, nella quale sono ancora coinvolti gli uomini più influenti di Villalba. A capo di tutti c'è Ruggero Camerana, padre di Viola, nuova fidanzata di Alessandro. Nel corso della serie Aurora è costretta a superare terribili avversità e grandi dolori: su tutti la morte della madre Eva, che aveva appena ritrovato. La ragazza trova conforto nell'amore per Alessandro, che col tempo si convince della sua innocenza e insieme a lui indaga per scoprire la verità. Tutti gli indizi sembrano portare a Ruggero Camerana, in realtà il colpevole dell'omicidio di Luca Monforte è sua figlia Viola, che uccise l'uomo per gelosia, poiché ne era segretamente innamorata. Viola riesce a fuggire all'estero. Le tre rose di Eva è dal punto di vista narrativo, una soap di prima serata. Saga familiare, melò e thriller si fondono in una trama che tra intrecci sentimentali e sessuali, segreti inconfessabili, ricatti e delitti, riesce a garantire ritmo e colpi di scena per tutte le 12 serate. Punto di forza della fiction è la piacevole cifra visuale che sfrutta al meglio le ambientazioni ed è frutto di un’efficienza produttiva capace di trovare una sintesi vincente fra costi contenuti e qualità della confezione. (E.G.) 151 Nero Wolfe Serie (8x90’) Rai Uno – Prima serata Giovedì dal 5 aprile al 24 maggio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 4.875 Share media: 18,64% Regia: Riccardo Donna Soggetto di serie: Piero Bodrato Sceneggiatura: Grazia Giardiello, Roberto Jannone, Alessandro Sermoneta, Chiara Laudani Musiche: La Femme Piège Produzione: Casanova Multimedia, Rai Fiction Produttori: Lorenza Bizzarri (Rai Fiction), Luca Barbareschi (Casanova Multimedia) Interpreti: Francesco Pannofino, Pietro Sermonti, Giulia Bevilacqua, Andy Luotto, Marcello Mazzarella, Michele La Ginestra, Davide Paganini E’ il 1959 e Nero Wolfe, il celebre investigatore privato, si trasferisce a Roma assieme al suo assistente Archie Goodwin. Wolfe durante la seconda guerra mondiale ha lavorato con i servizi del nostro Paese e conosce bene l’italiano. A Roma ricrea il suo mondo newyorkese, con tanto di serra delle orchidee e cuoco personale, e inizia a lavorare come investigatore, risolvendo vari casi di omicidio. Si va dai delitti maturati in ambienti particolari e circoscritti (la morte di uno scacchista, quella di un’indossatrice) a quelli che ruotano attorno a rivalità di affari e a eredità contese, alla storia di una povera bambina cinese che chiede a Wolfe di far luce su un possibile crimine di cui è stata testimone. Nero Wolfe, grasso e pigro, amante della buona cucina e delle sue orchidee e infastidito dal contatto con gli esseri umani, si affida alle gambe e agli occhi di Archie per raccogliere indizi che poi assembla e interpreta per risolvere il caso. Wolfe deve sempre confrontarsi con le autorità locali e ogni volta la caccia all’assassino diventa anche una gara di professionalità. Il Nero Wolfe di Rex Stout è uno degli investigatori più famosi della storia della letteratura poliziesca mondiale che la Rai aveva già proposto al suo pubblico fra il ‘69 e il ’71 con Tino Buazzelli nel ruolo del protagonista. Le licenze di questo nuovo adattamento rispetto all’originale letterario non sono poche: c’è l’aggiunta di una linea sentimentale che ruota attorno al personaggio di Rosa Petrini, giornalista che segue tutti i casi di Wolfe e che stabilisce con Archie una relazione sempre in bilico tra utilità e romanticismo; c’è un intreprete, Pannofino, fisicamente molto lontano dalla mole pachidermica e dall’attitudine sorniona del personaggio letterario; soprattutto, c’è lo spostamento dell’azione da New York a Roma. I romanzi, pur rimaneggiati e semplificati, offrono una solida base per sviluppare casi capaci si reggere la durata cinematografica degli episodi. Il punto di forza della serie è proprio quello di riproporre una narrazione investigativa di taglio classico e dai toni leggeri, ma gli sceneggiati con Buazzelli sono troppo lontani nel tempo per innescare nel pubblico un effetto nostalgia, e così la fiction finisce per essere semplicemente retrò.(G.G.) 152 Benvenuti a tavola – Nord vs Sud Serie (16x50') Canale 5 – Prima serata Giovedì dal 12 aprile al 31 maggio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 4.631 Share media: 18,84% Regia: Francesco Miccichè Soggetto di serie: Pietro Valsecchi Sceneggiatura: Andrea Agnello, Antonio Antonelli, Simone Caltabellota, Dante Palladino, Giorgia Mariani, Giorgio Rossi, Isabella Aguilar, Maurizio Careddu, Antonio Manzini, Paolo Terracciano, Riccardo Mazza, Anna Mittone, Paola Fossataro, Luca Rossi; story editor: Andrea Agnello, Antonio Antonelli, Simone Caltabellota, Dante Palladino, Giorgia Mariani Musiche: Emanuele Bossi Produzione: RTI, Taodue Produttori: Manuela Chevallard, Dario Gorini (RTI), Pietro Valsecchi, Camilla Nesbitt (Taodue) Interpreti: Giorgio Tirabassi, Fabrizio Bentivoglio, Lorenza Indovina, Debora Villa, Antonio Catania, Marco D’Amore, Teresa Mannino, Liz Solari, Andrea Miglio Risi, Alessia Mancarella, Elena Starace, Achille Sabatino, Umberto Orsini Milano. Lo chef lombardo Carlo Conforti gestisce, assieme alla moglie Elisabetta, l’elegante e rinomato ristorante “Il meneghino”, di proprietà del suocero. Desideroso di mettersi in proprio, è a un passo dall’acquisto di un vecchio locale attiguo al ristorante, che a sorpresa viene invece rilevato da Paolo e Anna Perrone. La coppia romano-cilentana inaugura una sobria e tradizionale trattoria specializzata nei sapori tipici delle rispettive zone di provenienza. È l’inizio di una concorrenza all’ultima portata, ma non solo: Carlo, indispettito per il mancato affare, rende difficile la vita a Paolo, innescando una spirale di reciproci colpi bassi. A portare ulteriore scompiglio nelle due famiglie sono i figli adolescenti, Alessia Perrone e Federico Conforti, che iniziano una travagliata relazione. Personali difficoltà affettive spingeranno poi Carlo e Paolo a sotterrare l’ascia di guerra: entrambi sorpresi dalle mogli in situazioni equivoche - il primo con la cameriera argentina del ristorante, il secondo con una critica gastronomica sua vecchia fiamma -, si aiutano a vicenda per recuperare i rispettivi rapporti di coppia. Benvenuti a tavola integra le classiche dinamiche della serie relazionale/family con elementi ispirati a recenti fenomeni mediatici: il conflitto tra opposti, non privo degli stereotipi del caso, che scaturisce da diverse provenienze regionali (il richiamo al film Benvenuti al sud è palese sin dal titolo); le trasmissioni televisive a tema culinario (l’estetica registica punta molto, in questa serie, a restituire le stimolazioni sensoriali legate al cibo). Il risultato è una fiction dalla drammaturgia semplice, popolata di personaggi dalla caratterizzazione essenziale ma efficace, che si ritaglia una propria specificità grazie alla naturalezza con cui gli ingredienti della formula interagiscono. (D.I.) 153 Una grande famiglia Serial (6 x 100') Rai Uno – Prima serata Lunedì dal 16 aprile al 14 maggio, domenica 15 aprile 2012 Ascolto medio (in migliaia): 6.838 Share media: 25,17% Regia: Riccardo Milani Soggetto di serie: Ivan Cotroneo Sceneggiatura: Ivan Cotroneo, Stefano Bises, Monica Rametta Musiche: Piernicola Di Muro Produzione: Rai Fiction, Magnolia Fiction Produttori: Luigi Mariniello, Sara Polese (Rai Fiction), Rosario Rinaldo (Magnolia Fiction) Interpreti: Stefania Sandrelli, Gianni Cavina, Alessandro Gassman, Stefania Rocca, Sonia Bergamasco, Primo Reggiani, Giorgio Marchesi, Sarah Felberbaum, Valentina Cervi, Riccardo Polizzy Carbonelli, Piera Degli Esposti, Giulio Base, Giuditta Saltarini, Luca Peracino, Rosabell Laurenti, Filippo De Paulis, Abdel Gayed, Ignazio Oliva, Roberto Nobile, Lino Guanciale Lombardia. Ernesto ed Eleonora Rengoni hanno cinque figli. Ernesto, in seguito a problemi di salute, ha delegato al primogenito Edoardo la gestione della grande azienda di famiglia. Quando Edoardo scompare senza lasciare traccia, i Rengoni, oltre che con il dolore, si trovano a fare i conti con una serie di misteri legati al tragico evento. Tra questi la grave situazione finanziaria dell’impresa, che l’uomo aveva tenuto nascosta ai familiari. Inoltre, strane coincidenze inducono Ernesto a credere che il figlio abbia inscenato la propria sparizione. Nel frattempo, tra i membri della famiglia il dramma riporta a galla vecchi conflitti e innesca nuove dinamiche interpersonali: Eleonora tenta di avvicinarsi a Chiara, la moglie di Edoardo, con cui ha sempre avuto un rapporto problematico; Raoul, responsabile di un centro per disabili e padre di un bambino in affido, tradisce la compagna con Chiara, con la quale in passato aveva già avuto una storia; Stefano, anch’egli impiegato nell’azienda, deve reprimere i sensi di colpa per aver causato incidentalmente la morte di un amico; Laura, stimata avvocatessa, non vuole concedere il divorzio al suo ex e non riesce ad accettare l’omosessualità del figlio adolescente; Nicoletta, studentessa, è sentimentalmente indecisa tra un suo professore e un giovane imprenditore. Alla base di Una grande famiglia c’è l’intrigante tentativo di fondere mistery e family drama, connubio di generi raramente proposto dalla fiction nazionale. Il risultato, seppur di buona fattura, trova il suo limite principale nella soltanto parziale consonanza tra la natura del racconto e il formato della miniserie: l’accento è posto sulle vicende familiari e private, modellate secondo i canoni della lunga serialità relazionale; per contro, le dinamiche tipiche del feuilleton, lungi dal trovare una propria compiutezza drammaturgica, sono perlopiù evocate da una regia suggestiva. Ad intaccare la coesione narrativa contribuiscono le fievoli ripercussioni - a parte i nuovi legami tra Eleonora, Raoul e Chiara - che la scomparsa di Edoardo ha sulle singole storyline. (D.I.) 154 Titanic – Nascita di una leggenda Serie (12x50’) Rai Uno – Prima serata Domenica dal 22 aprile al 13 maggio, lunedì 21 e mercoledì 30 maggio 2012 Ascolto medio (in migliaia): 3.015 Share media: 11,73% Regia: Ciaran Donnelly Soggetto di serie: Matthew Faulk, Mark Skeet, Stefano Voltaggio, Ciaran Donnelly Sceneggiatura: Mark Skeet, Matthew Faulk, Stefano Voltaggio, Alan Whiting, Francesca Brill Musiche: Maurizio De Angelis Produzione: Rai Fiction, DAP Italy, Epos film, collaborazione con Tandem Communicatios Produttori: Emanuele Cotumaccio, Leonardo Ferrara (Rai Fiction), Guido, Nicola e Marco De Angelis (DAP Italy) Interpreti: Kevin Zegers, Alessandra Mastronardi, Derek Jacobi, Billy Carter, Massimo Ghini, Valentina Corti, Neve Campbell, Liam Cunningham Belfast, 1909. Mark è un giovane ingegnere che collabora alla realizzazione del Titanic. E’ un cattolico, ma lo ha taciuto per poter lavorare. In città i conflitti tra operai e padroni si fanno accesi, i sindacati organizzano scioperi e i capi del cantiere sono divisi sul riconoscere i diritti ai lavoratori. Mark si innamora di Sofia, operaia che sogna di studiare e accedere a lavori più prestigiosi, che per ricambiarlo respingerà Andrea, suo promesso, incorrendo nelle ire del padre. Violetta, sorella di Sofia, si innamora di Conor, che pur di provvedere a lei entrerà in un gruppo terrorista irlandese. Mark scopre di aver avuto una figlia da una donna amata anni prima, lei è morta e la bimba è stata adottata. Si scopre anche che è cattolico e per questo viene allontanato dal cantiere prima di essere riassunto quando problemi al Titanic rendono necessaria la sua competenza. Mark cerca la sua bambina senza successo e alla fine, come molti altri personaggi, sale sul Titanic verso la promessa di una nuova vita. Il dramma dell’affondamento del Titanic è stato raccontato innumerevoli volte dal cinema e dalla televisione e questa coproduzione sceglie un approcccio completamente diverso. La narrazione copre un arco temporale di circa tre anni: dall’apertura del cantiere del Titanic fino al momento in cui il transatlantico salpa per la sua prima, e unica, traversata. La costruzione del Titanic diventa così il pretesto per tracciare un affresco dei problemi storici e sociali dell’Irlanda (e, latamente, dell’Europa) del tempo: la lotta di classe e i pregiudizi religiosi tra cattolici e protestanti. Alcuni personaggi sono manichei, come i nobili: Lord Pirrie è buono e favorevole ai sindacati e tutti gli altri sono affaristi senza scrupoli; altri sono più sfaccettati e interessanti, come la ricca Kitty che vuol sfuggire al suo destino di moglie depressa e annoiata, l’irlandese Conor diviso tra famiglia e patria e la giornalista Joanna che ha un fratello da salvare dalla futura guerra con la Germania. Un melodramma dall’impianto corale, ambizioso e un po’ dispersivo, improntato a uno stile di racconto molto sobrio, realizzato con grande cura a livello di costumi e scenografie, che sconta, presso il pubblico italiano, la distanza culturale degli eventi storici messi in scena. (G.G.) 155