Lo sviluppo di un protocollo psicodinamico a breve termine per la

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Lo sviluppo di un protocollo psicodinamico a breve termine per la
Lo sviluppo di un protocollo psicodinamico
a breve termine per la depressione:
la terapia dinamica interpersonale (TDI)
ALESSANDRA LEMMA, MARY TARGET, PETER FONAGY
«La depressione – dice un paziente – mi fa sentire come se stessi indossando un velo nero
finemente ricamato. So benissimo che non posso vedere le cose chiaramente attraverso di esso,
ma non so che, senza di esso, potrei rivelare me stesso al mondo». Queste parole colgono
perfettamente la complessità della depressione: si tratta di una condizione invalidante, eppure il
rapporto che l’individuo può intrattenere con essa è capace di renderlo timoroso verso il
cambiamento e restio a farsi aiutare.
La depressione è al contempo una condizione comune e spesso complessa che si manifesta
tipicamente nelle prime fasi della vita: il 40% delle persone depresse fa esperienza di un primo
episodio entro i vent’anni (Eatonet al., 2008). Essa interferisce con il funzionamento sociale e
occupazionale, è accompagnata da un alto rischio di malattia e comporta un rischio significativo
di morte per suicidio (Ustunet al., 2004). Guarigioni incomplete e ricadute sono anche troppo
frequenti. La sua eziologia non è stata ancora del tutto chiarita, ma è probabile sia determinata da
processi psicologici, sociali e biologici (Goldberg, 2009; Malhiet al., 2009; Taylor, 2009;
Fonagy, 2010). Inoltre, è frequente che le persone depresse ricevano una diagnosi psichiatrica di
comorbidità (ad esempio ansia e vari disturbi di personalità) (Kessler et al., 1993; Moffitt et al.,
2007).
Nonostante l’evidente complessità della depressione, si è affermato nel settore della salute
pubblica un approccio terapeutico apparentemente semplicistico che privilegia la terapia
cognitivo-comportamentale (TCC). Questo approccio «a taglia unica» ha pesantemente
marginalizzato gli interventi di tipo psicoanalitico. La superiorità della TCC è stata giustamente
messa in dubbio poiché non si rivela utile per tutti i pazienti depressi. Gli studi controllati
randomizzati (Randomised Controlled Trials o RCT) mostrano che, come nel caso di ogni altro
trattamento disponibile, una sostanziale minoranza dei pazienti non ricava un beneficio
sufficiente dalla terapia (il 50% circa dei pazienti risponde adeguatamente in tutti i trattamenti,
ma la metà di loro fa passi indietro nell’anno seguente: Roth &Fonagy, 2005). Nessun
trattamento può funzionare per tutti e una varietà di approcci la cui efficacia sia almeno in parte
verificata dovrebbe continuare a essere disponibile. Diverse pubblicazioni si sono soffermate
sull’efficacia degli approcci psicoanalitici per pazienti depressi e hanno criticato la preferenza
data alla TCC (Gabbard, Gunderson e Fonagy, 2004; Leichsenring, Rabung e Leibing, 2004).
Tuttavia, nelle menti di coloro che gestiscono i servizi di salute mentale prevale la convinzione
che il fatto che gli interventi psicoanalitici manchino di una base di prove sufficientemente ampia
confermi il fatto che si tratti di interventi «deboli». Questo atteggiamento, però, sta lentamente
cambiando: nel Regno Unito, l’Improving Access to Psychological Therapies Programme si è
impegnato ad ampliare lo spettro degli interventi psicologici offerti ai pazienti oltre alla CTT,
includendo ora anche la terapia dinamica interpersonale (TDI).
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Le origini della TDI
Alcuni ritengono che la cultura della pratica basata su prove sia nemica della pratica
psicoanalitica. In realtà, essa si è rivelata di grande aiuto nel richiamare la nostra attenzione non
solo sull’importanza di una valutazione sistematica e qualitativa, ma anche sulla questione
spinosa della competenza dei terapeuti – su come definirla, affinarla e valutarla.
Nel Regno Unito, il programma Improving Access to Psychological Therapies (IAPT), lanciato
nel maggio 2007, ha fatto da sfondo alla prima ondata di lavori sullo sviluppo delle competenze
per la pratica delle terapie psicologiche. Lo Psychoanalytic/dynamic Competences Framework
(Lemma et al., 2008) descrive un modello di competenze psicoanalitiche/dinamiche basato su
prove empiriche di efficacia. Esso indica le diverse aree di attività che, nel loro insieme,
rappresentano ciò che è stato dimostrato essere buona pratica clinica.
Le tecniche e strategie fondamentali che sostengono la TDI riflettono le competenze che
caratterizzano i modelli di psicoterapia psicoanalitica efficace (si veda la Figura 1). In altre
parole, la TDI si fonda su una distillazione dei trattamenti psicoanalitici/psicodinamici a breve
termine basati su prove, accorpati a partire dagli approcci manualizzati esaminati nel corso di
questo progetto. La TDI fa un uso deliberato di metodi attinti trasversalmente dal complesso
delle teorie dinamiche e per questo motivo ci aspettiamo che coloro che sono stati coinvolti nello
sviluppo di altri modelli dinamici a breve termine trovino familiari molte strategie e tecniche
della TDI.
La TDI fu sviluppata per ragioni pragmatiche in modo tale che i clinici con alle spalle un training
in psicoterapia psicoanalitica/dinamica o in counselling potessero assimilare prontamente le
priorità e competenze specifiche associate a un lavoro terapeutico a breve termine (fissato a 16
sedute in questo modello). Si tratta di un protocollo che abbiamo utilizzato con successo in un
contesto di medicina di base con pazienti depressi ai quali venivano offerte 16 sedute di TDI
come base di partenza per pianificare un RCT su più larga scala. Nel 70% dei pazienti, la TDI si
accompagnava a una riduzione significativa dei sintomi riportati (in tutti i casi tranne uno) al di
sotto dei livelli clinici (Lemma, Target &Fonagy, 2011).
Grazie ai feedback sia dei terapeuti sia dei pazienti coinvolti nello studio-pilota (Gelman et al.,
2011), il protocollo è stato ulteriormente perfezionato. Un training di quattro giorni seguito da
una supervisione settimanale di due casi registrati in audio o video sembra un’opzione
promettente vista la sua potenzialità di aiutare i clinici di orientamento dinamico a conseguire
buoni risultati. Ci sono cinque passi strategici relativamente semplici da seguire nel corso di un
ingaggio terapeutico a breve termine: 1) identificare un problema legato all’attaccamento con un
focus emozionale relazionale specifico che è sentito dal paziente come qualcosa che ha a che fare
con la sua depressione; 2) collaborare con il paziente alla creazione di un’immagine mentalizzata
delle problematiche interpersonali suscitate dal problema di fondo; 3) incoraggiare il paziente a
esplorare la possibilità di modi alternativi di sentire e pensare («giocando con una realtà interna
ed esterna nuova»), utilizzando attivamente la funzione di transfert per portare allo scoperto la
modalità di relazionarsi tipica del paziente; 4) assicurarsi che il processo terapeutico (di
cambiamento nel Sé) sia oggetto di riflessione; 5) verso la fine del trattamento, presentare e
offrire al cliente un sunto scritto della visione condivisa della persona e dell’area selezionata del
conflitto inconscio ai fini di ridurre il rischio di ricaduta (molto probabile nei casi di depressione
clinica). I clinici coinvolti nello studio-pilota hanno dimostrato che questi passi possono essere
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appresi e applicati dai clinici a prescindere dal particolare orientamento dinamico del loro
training originario.
Abbiamo integrato la TDI in una gamma di idee psicoanalitiche che consideriamo altamente
rilevanti per comprendere la depressione e che possono rendere il modello interessante agli
psicoterapeuti psicoanalitici con training differenti; in particolare, abbiamo attinto alla teoria
dell’attaccamento, a quella delle relazioni oggettuali e alla psicoanalisi interpersonale di Sullivan.
Diversi presupposti fondamentali sorreggono perciò la TDI: 1) l’origine e natura sociale della
soggettività individuale; 2) l’importanza dell’attaccamento come elemento basilare della mente e
come contesto per sviluppare capacità sociali e cognitive decisive; 3) l’impatto di
rappresentazioni internalizzate e inconsce del «Sé» e dell’«altro» sulle dinamiche interpersonali
attuali; 4) l’importanza della capacità di mentalizzare l’esperienza, senza la quale l’individuo è
maggiormente vulnerabile a modalità primitive di esperire la realtà interna che, a loro volta,
minano la capacità di risolvere le difficoltà interpersonali.
Così come negli altri approcci di orientamento psicodinamico a breve termine, nella TDI i
principi fondamentali sono radicati nel contesto più ampio della psicoanalisi che dà importanza
ai seguenti fattori: 1) l’impatto delle esperienze infantili precoci sul funzionamento adulto, con
particolare attenzione ai processi di attaccamento adulto e al significato dei modelli mentali delle
relazioni; 2) le forze interne ed esterne che plasmano la mente e perciò informano la nostra
percezione di noi stessi nelle relazioni con gli altri; 3) l’esistenza di una dimensione inconscia
dell’esperienza che costituisce una spinta motivazionale; 4) i processi inconsci di proiezione e
introiezione che sottostanno all’esperienza soggettiva delle relazioni, e 5) l’ubiquità del transfert,
attraverso il quale i pazienti rispondono agli altri e al terapeuta secondo modelli di sviluppo che
non sono stati aggiornati o messi in discussione.
Perché la TDI per la depressione?
Il punto di partenza della TDI si fonda sulla diffusa osservazione clinica che i pazienti che si
mostrano depressi presentano invariabilmente anche difficoltà e disagio nelle loro relazioni con
gli altri. Benché il paziente possa presentare il suo problema affermando «Non riesco a dormire
né a concentrarmi», il terapeuta TDI riformula i sintomi di depressione come la manifestazione
di un disturbo relazionale che il paziente non può comprendere (o che comprende in modo
distorto) attribuendo a se stesso e agli altri motivazioni improbabili o inutili. Una volta che il
paziente viene aiutato ad apportare qualche cambiamento nel modo in cui fa fronte alle sue
difficoltà relazionali, i sintomi depressivi tendono tipicamente ad affievolirsi.
Molte caratteristiche della depressione suggeriscono che un approccio di orientamento dinamico
che si focalizzi sui problemi interpersonali ha buone probabilità di rivelarsi efficace. Tali
problemi risultano accentuati nelle forme gravi di depressione e sono evidenti anche nelle forme
lievi o moderate (Luyten, Corveleyn, & Blatt, 2005). Sembra che ciò sia dovuto non solo al
potenziale insito nell’umore depresso di suscitare negli altri reazioni negative, ma anche alla
tendenza negli individui depressi a selezionare e generare scenari interpersonali che suscitano
disagi (cfr. ad es. Kiesler, 1983; Lewinsohn, Mischel, Chaplin, & Barton, 1980).
Come approccio, la TDI si concentra specificamente sulla comprensione distorta e inadeguata
che un individuo ha dei pensieri e dei sentimenti degli altri. Uno degli scopi della TDI è perciò
quello di migliorare le capacità di mentalizzazione del paziente – un’enfasi questa in linea con i
dati crescenti che dimostrano la presenza di un deficit nella teoria della mente in pazienti affetti
da disturbi depressivi unipolari e bipolari (YumikoInoue, Tonooka, Yamada, & Kanba, 2004;
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Y.Inoue, Yamada, & Kanba, 2006; Kerr, Dunbar, & Bentall, 2003; L. Lee, Harkness, Sabbagh,
& Jacobson, 2005; Montag et al., in corso di stampa).
Misure di mentalizzazione nel contesto dell’attaccamento indicano la presenza di un deficit
associato alla depressione (Fischer-Kern et al., 2008; Fonagy et al., 1996; Müller, Kaufhold,
Overbeck, & Grabhorn, 2006). Questo è un dato importante, poiché la TDI presuppone che
l’incapacità di comprendere se stessi e l’altro nella depressione sia fortemente legata a particolari
modelli di interazione sé-altro evolutisi a partire da esperienze infantili. Esiste una quantità
considerevole di studi che insistono sulla presenza di un legame tra la vulnerabilità alla
depressione e l’insicurezza dell’attaccamento (Bifulco, Moran, Ball, & Bernazzani, 2002;
Bifulco, Moran, Ball, & Lillie, 2002; Grunebaum et al., in corso di stampa; A. Lee & Hankin,
2009); per decenni, inoltre, sono state accumulate prove che dimostrano la connessione tra la
sofferenza infantile (che può avere effetti deleteri sull’attaccamento) e la vulnerabilità alla
depressione in età adulta (Brown & Harris, 1978, 1989).
Le esperienze di attaccamento determinano anche un legame tra mentalizzazione e depressione
(Heimet al., 2008; Luyten, Mayes, Fonagy, & Van Houdenhove, 2009). Una scarsa capacità di
pensare agli stati mentali può essere legata a storie personali (relazioni precoci e traumi), ma può
anche essere la conseguenza secondaria di un umore disturbato (Luyten & Fonagy, in corso di
stampa). I segni di un’incapacità di mentalizzare non sono difficili da individuare. Si assiste al
riemergere di un’esperienza di sé preriflessiva e fisica al posto di una psicologica (Fonagy &
Target, 2000). L’esperienza psicologica è avvertita come eccessivamente reale, e a ciò si
accompagna una frequente identificazione tra dolore psicologico e dolore fisico e tra esaurimento
emotivo ed esaurimento fisico (Van Houdenhove & Luyten, 2008). Le preoccupazioni possono
essere avvertite come veri e propri pesi che gravano sulle proprie spalle, e le critiche degli altri
minacciano il senso di integrità del Sé incarnato. Similmente, l’intensità delle preoccupazioni
riguardo al futuro e il potere schiacciante del senso di colpa associato a esperienze passate
implicano una perdita di fondo della prospettiva simbolica, a causa della quale il pensiero – al
quale viene ora riconosciuto lo stesso status della realtà fisica – assume una forza effettiva e
indiscussa. In assenza della capacità di riflettere sull’esperienza, il dubitare di sési trasforma in
un attacco persecutorio irrisolvibile e costante all’autorappresentazione.
Nella formulazione della depressione nella TDI, il pensiero del paziente può (come si è detto)
mostrare qualità concrete (Target and Fonagy, 1996) o può assumere la forma di una«pseudomentalizzazione». In questo caso la descrizione fornita dal paziente degli stati mentali degli altri
o di se stesso è articolata e meditata, ma manca delle caratteristiche essenziali proprie di una
mentalizzazione genuina: è una comprensione parziale, contenente qualche verità che però è
eccessivamente dettagliata e spesso ripetitiva. È tipico di questi casi un senso di certezza
riguardo agli stati mentali, unitamente alla convinzione irrealistica di poter conoscere
direttamente la mente di un altro e alla tendenza a limitare ciò che è attribuito allo stato mentale
dell’altro a idee e temi che rinforzano il proprio modo di vedere le cose. Una capacità genuina di
riflettere sulla propria esperienza non andrebbe perciò confusa con un’intellettualizzazione o una
ruminazione. Mentre infatti la ruminazione porta a esacerbare le cognizioni depressive,
un’autoriflessione efficace di solito provoca una riduzione dell’umore depresso (Allen, Fonagy,
& Bateman, 2008). La riflessione adattiva o mentalizzazione comporta l’integrazione di pensiero
e sentimento, in modo tale che entrambi si focalizzino in modo equilibrato e il controllo
realistico degli assunti possa modulare l’umore e il comportamento verso gli altri. La TDI punta
a incrementare questa capacità attraverso un lavoro sistematico su una costellazione di assunti
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consci e inconsci riguardo al Sé e agli altri e sulle reazioni depressive (cruciali per il paziente al
momento dell’invio).
Caratteristiche fondamentali della TDI
Il terapeuta TDI ha due obiettivi: 1) aiutare il paziente a comprendere il legame tra i suoi sintomi
attuali e ciò che sta accadendo nelle sue relazioni attraverso l’individuazione di un modello
relazionale nucleare, inconscio e ripetitivo; 2) incoraggiare il paziente a riflettere sui suoi stati
mentali e aumentare la sua abilità nel gestire le difficoltà interpersonali. Questo modello può
essere pensato come suddiviso in tre fasi: una fase di ingaggio/valutazione (sedute 1-4), una fase
centrale (sedute 5-12) e una fase finale (sedute 13-16), ciascuna con le sue strategie peculiari.
Il focus affettivo-interpersonale (FAIP)
Il compito principale della prima fase consiste nell’identificazione di un modello interpersonale
inconscio dominante e ricorrente connesso all’origine e/o al mantenimento dei sintomi
depressivi: questo è ciò che indichiamo come FAIP. A nostro modo di vedere, questo modello ha
come fondamento una particolare rappresentazione del Sé in rapporto a un altro: tale
rappresentazione caratterizza lo stile di comportamento interpersonale del paziente e conduce a
difficoltà nelle sue relazioni a causa del modo nel quale organizza il suo comportamento. Queste
rappresentazioni sono tipicamente connesse a un affetto o ad affetti particolari e a manovre
difensive. Per affetti si intendono risposte all’attivazione di una specifica rappresentazione
Sé/altro. L’integrazione proposta da Kernberg (1980) della teoria delle relazioni oggettuali con la
psicologia dell’Io all’interno della struttura teorica della Transference Focused Psychotherapy
(Clarkin et al., 2006) si avvicina molto al cuore della base teorica della TDI e al suo modo di
elaborare un focus per l’intervento.
Le esperienze passate non costituiscono il focus preponderante della TDI. Esse vengono incluse
nella formulazione condivisa con il paziente in modo tale da inquadrare le sue attuali difficoltà
nel contesto della sua esperienza vissuta, ma non sono una componente centrale del processo
terapeutico. Piuttosto, data la natura breve della terapia, il focus riguarda un segmento nucleare
del funzionamento interpersonale dei pazienti che è strettamente connesso al sintomo o ai
sintomi attuali.
Il terapeuta identifica le relazioni più importanti sia attuali sia passate, ma lo fa con un enfasi sul
presente. Egli si sforza di stabilire la forma di una relazione, i processi chiave impiegati nel
mantenerla, se ha subito cambiamenti nel corso del tempo e in che modo si relaziona ai problemi.
Il FAIP guida gli interventi del terapeuta durante la fase centrale della terapia (sedute 5-12). In
questa fase, il terapeuta aiuta il paziente a rimanere focalizzato sul FAIP e cerca di elaborare
nuovi modi per risolvere le sue difficoltà interpersonali. Uno sforzo considerevole è applicato per
incoraggiare e sostenere il paziente affinché si renda conto di ciò che accade dal punto di vista
psicologico sia nella sua mente, sia in quella degli altri, sia nelle interazioni significative. Le
ultime quattro sedute (13-16) sono dedicate ad aiutare il paziente a esplorare l’esperienza
affettiva e il significato inconscio della fine della terapia, a riconsiderare i progressi fatti e ad
aiutarlo ad anticipare future difficoltà/vulnerabilità.
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Focus sul qui e ora
La TDI mantiene un focus sul funzionamento interpersonale del paziente nel “qui e ora” della
sua vita attuale e della seduta terapeutica. Il focus sul “qui e ora” è fondamentale per la TDI e
denota tre attività correlate:
In primo luogo, esso fa riferimento al focus su ciò che il paziente prova durante lo svolgimento
stesso della seduta. Ciò richiede un attento monitoraggio dello stato emozionale del paziente
durante la seduta, in modo tale da renderne il paziente consapevole affinché possa riconoscere
come propri i suoi sentimenti, possa differenziare i sentimenti dalle azioni, e in modo tale che si
sviluppi una discussione sulle connessioni tra sentimenti e azioni grazie alla quale vengano
facilitate l’autocomprensione e la consapevolezza delle motivazioni attribuite agli altri (ad es.:
«Ho saltato la seduta della settimana scorsa perché quando mi sento ansioso/a voglio evitare di
vederla perché ritengo che lei mi trovi noioso/a e senza speranza»).
In secondo luogo, esso fa riferimento a un focus primario sull’esplorazione di difficoltà attuali
nella vita del paziente piuttosto che andare alla ricerca di legami con le origini infantili di quelle
difficoltà. In questo modo il paziente può essere aiutato a rendersi conto che sta lavorando su
difficoltà che può effettivamente modificare.
In terzo luogo, esso fa riferimento all’uso attivo della relazione paziente-terapeuta finalizzato ad
aiutare il paziente a esplorare il FAIP nella relazione di transfert.
Focus sulla mente del paziente
Una caratteristica distintiva della TDI consiste nell’approccio all’esplorazione dei modelli
interpersonali problematici non attraverso un esame del comportamento del paziente, ma in virtù
di un focus costante sugli stati mentali del paziente (credenze, sentimenti, speranze e pensieri) in
se stessi e negli altri. Uno degli scopi primari è quello di fornire al paziente l’esperienza di essere
con un’altra persona che è interessata a pensare insieme al paziente a ciò che crea in lui disagio
in modo tale da stimolare la sua capacità di riflettere sulla sua esperienza.
Questo è ciò che indichiamo come atteggiamento collaborativo. L’obiettivo non è semplicemente
lavorare su un conflitto inconscio, ma usare i resoconti forniti dal paziente riguardo alle sue
esperienze interpersonali come un modo per aiutarlo a sviluppare una propria capacità di pensare
e sentire la sua stessa esperienza. Questo focus è fondamentale per la TDI e dà forma alla tecnica
terapeutica nella misura in cui l’utilità degli interventi del terapeuta (ad es. l’interpretazione del
transfert) venga valutata sul metro della loro efficacia nello stimolare la capacità del paziente di
riflettere sulla sua esperienza soggettiva. Il terapeuta TDI è particolarmente interessato a
esplicitare ciò che è diventato procedurale affinché il paziente sia maggiormente capace di
apportare cambiamenti al modo in cui gestisce le sue relazioni.
L’atteggiamento terapeutico
Il terapeuta TDI adotta un atteggiamento coinvolto, empatico. Lo scopo è collaborare
attivamente con il paziente fin dall’inizio, specialmente nel giungere a una formulazione
condivisa. Il terapeuta è esplicito riguardo alla sua comprensione dei problemi del paziente,
discute apertamente e controlla con lui la formulazione e la elabora congiuntamente a lui. Il fine
è quello di creare l’opportunità per il paziente di partecipare attivamente all’individuazione e alla
comprensione di un focus per il lavoro.
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Il terapeuta si mantiene recettivo ai feedback del paziente. Se il paziente mette in discussione la
comprensione del terapeuta o la sua percezione del trattamento, il terapeuta risponde in modo
non difensivo, fornendo una descrizione chiara e non ambigua di come è arrivato alle sue
conclusioni. Lo scopo è essere il più possibile trasparenti rimanendo in sintonia e cooperando
con il bisogno del paziente di controllare il terapeuta attraverso processi proiettivi.
Il terapeuta si sforza di adottare una posizione di «non sapere», ma nel contempo di curiosità:
questo atteggiamento dà la priorità all’esplorazione comune degli stati mentali del paziente
secondo il modo in cui essi si rapportano al focus della terapia stabilito di comune accordo. Le
interpretazioni del materiale depositato nell’inconscio profondo vengono in genere evitate in
favore di una facilitazione e di un sostegno della capacità del paziente di distanziarsi dalla sua
esperienza immediata e di riflettere su di essa. Benché la posizione di fondo sia psicoanalitica e
sia radicata quindi in un interesse verso le comunicazioni inconsce del paziente e nell’uso del
transfert, la brevità del trattamento richiede una dose maggiore di attività da parte del terapeuta.
Questo è specialmente vero all’inizio della terapia, poiché lo scopo è coinvolgere rapidamente il
paziente e sostenere attivamente la possibilità di un cambiamento nelle prime sedute.
Tecniche
Nella TDI il terapeuta interviene per generare, chiarificare ed elaborare informazioni rilevanti in
modo interpersonale. Un intervento fondamentale consiste nell’aiutare il paziente a mantenere il
focus sul FAIP concordato. Tutte le tecniche utilizzate sostengono lo scopo centrale di favorire la
comprensione di ciò che secondo il paziente accade nella sua mente quando le cose vanno nel
modo sbagliato nelle sue relazioni. Ciò include anche il modo nel quale il FAIP è agito nella
relazione terapeutica.
A tal fine, la TDI si appoggia largamente a tecniche supportive ed espressive facendo allo stesso
tempo un uso oculato delle tecniche direttive per sostenere il cambiamento. Il confronto e la sfida
sono aspetti altrettanto importanti della TDI.
Dato che la TDI è utilizzata con pazienti la cui depressione varia da moderata a grave, il
terapeuta deve saper calibrare il livello degli interventi di sostegno. Il paziente meno debole e
sofferente e con un più alto grado di funzionamento interpersonale sarà portato a fare un uso più
ampio di tecniche espressive senza richiedere ulteriori interventi supportivi. La capacità di
applicare il modello in modo flessibile e di bilanciare tecniche supportive ed espressive è quindi
essenziale.
La maggiore attività del terapeuta TDI generalmente non contempla la pratica di dare consigli,
ma richiede la massima allerta da parte del terapeuta verso eventuali deviazioni dal focus
precedentemente concordato in modo da poter reindirizzare il paziente. Essa esige anche che il
terapeuta sostenga esplicitamente i tentativi di cambiare messi in atto dal paziente. A questo
proposito, si ricorre ad alcune tecniche direttive durante la fase centrale del trattamento, le quali
risultano forse meno familiari ai terapeuti di formazione analitica. Questi interventi includono un
ricorso più disinvolto a domande al fine di chiarire l’esperienza del paziente e un
incoraggiamento attivo a sperimentare modalità diverse di affrontare un conflitto con un’altra
persona. Si ritiene che questo tipo di interventi abbia un certo impatto strutturante sulla
prospettiva che il paziente ha della sua esperienza.
Il modo in cui le tecniche direttive vengono distribuite nella TDI è tuttavia inserito nel contesto
di una buona comprensione del significato che la posizione più direttiva del terapeuta può
acquisire per il paziente alla luce del FAIP. Ad esempio, un paziente ansioso per il quale la
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separazione rappresenta un evento terrificante può facilmente trovarsi ad essere molto
accondiscendente verso la direzione stabilita dal terapeuta, dal momento che la nonaccondiscendenza è avvertita da lui come una minaccia alla relazione. In un caso come questo, il
terapeuta TDI dovrebbe sintonizzarsi con il significato inconscio latente nel desiderio del
paziente di accontentare il terapeuta e affronterebbe direttamente la questione, collegandola al
FAIP individuato in precedenza.
Lavorare nel transfert
Le interpretazioni di transfert vengono utilizzate per aiutare il paziente a identificare le
rappresentazioni implicite di se stesso e degli altri soggiacenti ai suoi modelli interpersonali
problematici (ossia il FAIP). Il paziente viene incoraggiato attivamente a discutere ed esplorare i
suoi sentimenti riguardo al terapeuta e a chiedersi quali siano i sentimenti del terapeuta nei suoi
riguardi. Il fine è aiutare il paziente a esplorare il FAIP nella sua relazione con il terapeuta,
stabilendo connessioni e tracciando parallelismi tra la sua esperienza soggettiva con gli altri al di
fuori della terapia. Nella TDI lo scopo principale di una interpretazione di transfert non è quello
di giungere a un insight; piuttosto, l’obiettivo è ingaggiare il paziente nel processo di chiarimento
del funzionamento della sua mente: ricorrere a ciò che accade nel transfert rappresenta il modo
più diretto di farlo.
Un’interpretazione di transfert comincia avvalorando l’esperienza del paziente, ossia
accettandola come risposta legittima (ad es.: «Quando le ho ricordato che ci restavano solo
cinque sedute si è sentito/a molto abbandonato/a»). Il terapeuta quindi lavora congiuntamente
con il paziente per chiarire ed esplorare i sentimenti di transfert che sono stati evocati per
elaborare l’esperienza (chiedendosi ad esempio se il paziente sia deluso e arrabbiato).
Se il terapeuta ha contribuito in qualche modo a questa esperienza attraverso un agito bisogna
che anche questo aspetto venga esplorato. Infine, questa esplorazione permette al terapeuta e al
paziente di arrivare a un’interpretazione che riunisce tutte queste diverse componenti.
L’uso delle misure di monitoraggio dell’esito
Una delle caratteristiche di questo protocollo è l’inclusione di un monitoraggio dell’esito di ogni
seduta, per il quale i terapeuti devono prendere particolari misure all’inizio di ogni seduta – una
procedura questa non familiare a molti terapeuti psicoanalitici. Benché venga spesso anticipato
che si tratta di una pratica intrusiva, nella nostra esperienza essa ha un maggiore impatto sul
terapeuta che sul paziente.
Oltre a fornire sia al paziente sia al terapeuta un’altra forma di feedback settimanale sullo stato
del paziente, questa pratica porta spesso allo scoperto anche zone di “blocco” o resistenza. Una
volta che il terapeuta si sia abituato alla routine del monitoraggio dell’esito, l’“uso” che viene
fatto dei questionari diventa parte integrante del processo e del meccanismo terapeutico. Per
esempio, una paziente dimostrò un notevole miglioramento durante le sedute, ma i punteggi dei
questionari continuavano a restare alti. Quando questa discrepanza venne rilevata dal terapeuta,
fu possibile comprendere, a livello del transfert, il desiderio della paziente di “punire” il
terapeuta e di privarlo di quelle prove dell’efficacia della terapia che avrebbe potuto condividere
con gli altri – un agito dell’insofferenza nutrita dalla paziente verso la madre.
Anche se la nostra esperienza di supervisione di clinici che fanno uso della TDI ci ha convinto
del fatto che il monitoraggio dell’esito possa essere fruttuosamente integrato nella pratica,
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riconosciamo anche che le misure utilizzate all’interno dei servizi IAPT non colgono in modo
significativo il tipo di cambiamento che la TDI cerca di promuovere. Questo è un aspetto che
intendiamo affrontare in un RCT su scala maggiore.
Conclusione
In questo articolo abbiamo preso in esame la metodologia che sta alla base dello sviluppo di un
protocollo psicodinamico a breve termine per il trattamento della depressione. La TDI non
costituisce un approccio nuovo; piuttosto, essa riflette il nostro tentativo di integrare gli aspetti
della terapia psicodinamica che hanno una base empirica all’interno di un modello coerente che
sia relativamente semplice da acquisire da parte dei professionisti già formati nel campo della
terapia psicodinamica e del counselling, e che sia anche applicabile in un setting interno a un
settore della salute pubblica. La teoria dell’attaccamento fornisce un’integrante ossatura teorica
fondata su prove empiriche che stabilisce una relazione tra i deficit nella mentalizzazione e la
comprensione concettuale delle depressione e del suo trattamento.
L’iniziale e preliminare studio-pilota che abbiamo portato avanti ha dimostrato che questo
modello era facile da apprendere e da mettere in pratica per quei clinici che non si erano
sottoposti a un training analitico intensivo, ma la cui esperienza clinica consisteva nell’offrire
una terapia psicodinamica a cadenza settimanale all’interno del Sistema Sanitario Nazionale
(NHS). I dati qualitativi forniti dai pazienti suggerivano anche che l’approccio era avvertito
come congeniale e rilevante rispetto alle loro preoccupazioni attuali. L’entità assai ridotta del
campione esaminato e l’assenza di una qualsiasi forma di randomizzazione non ci permettono
ancora di trarre conclusioni sicure riguardo all’efficacia della TDI, ma è al momento in corso un
RCT su larga scala per determinare il valore di questa particolare applicazione delle idee
psicoanalitiche al trattamento della depressione.
SINTESI
Questo articolo delinea lo sviluppo della terapia dinamica interpersonale (TDI), un intervento
psicodinamico manualizzato e a breve termine (16 sedute). La TDI si basa su una distillazione dei
trattamenti psicoanalitici/psicodinamici a breve termine fondati su prove e riuniti assieme attingendo agli
approcci manualizzati; questa terapia verrà applicata nel Regno Unito su scala nazionale come parte del
programma Improving Access to Psychological Therapies. Questo articolo inizia con una descrizione
della metodologia e dei suoi presupposti di fondo, prosegue offrendo una visione d’insieme del modello e
della sua rilevanza per la depressione e si conclude con un’analisi delle sue strategie e dei suoi metodi.
PAROLE CHIAVE: Depressione, IAPT, terapia dinamica interpersonale, terapia psicodinamica breve.
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