Carlo Alberto Dalla Chiesa

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Carlo Alberto Dalla Chiesa
Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei Carabinieri, noto per il suo
impegno nella lotta contro il terrorismo delle brigate rosse prima e alla
mafia poi, di cui sarà vittima, nasce a Saluzzo, in provincia di Cuneo, il
27 settembre del 1920. Figlio di un carabiniere, vice comandante
generale dell'Arma, non frequenta l'accademia e passa nei carabinieri
come ufficiale di complemento allo scoppio della Seconda guerra
mondiale.
Nel settembre del 1943 sta ricoprendo il ruolo di comandante a San
Benedetto del Tronto, quando passa con la Resistenza partigiana.
Finita la guerra con il grado di capitano, sposa Doretta Fabbo, che gli
darà tre figli, Nando (che diventerà uomo politico più volte eletto parlamentare), Rita (nota conduttrice tv) e
Simona. Dopo positive esperienze nella lotta al banditismo, nel 1949 arriva in Sicilia, a Corleone, per sua
esplicita richiesta. Nel territorio la mafia si sta organizzando e il movimento separatista è ancora forte. Qui il
capitano Dalla Chiesa si trova ad indagare su ben 74 omicidi, tra cui quello di Placido Rizzotto, sindacalista
socialista. Alla fine del 1949 Dalla Chiesa indicherà Luciano Liggio come responsabile dell'omicidio. Per i
suoi ottimi risultati riceverà una Medaglia d'Argento al Valor Militare.
In seguito viene trasferito a Firenze, poi a Como e Milano. Nel 1963 è a Roma con il grado di tenente
colonnello. Poi si sposta ancora, a Torino, trasferimento che risulta per certi versi enigmatico: anni dopo si
scoprirà essere stato ordinato dal generale Giovanni De Lorenzo, che stava organizzando il "Piano Solo", un
tentativo di colpo di Stato per impedire la formazione del primo governo di centrosinistra.
A partire dal 1966 - in coincidenza con l'uscita di De Lorenzo dall'Arma - e fino al 1973 torna in Sicilia con
il grado di colonnello, al comando della legione carabinieri di Palermo. I risultati, come ci si aspetta da Dalla
Chiesa, non mancano: assicura alla giustizia boss malavitosi come Gerlando Alberti e Frank Coppola.
Iniziando inoltre a investigare sulle presunte relazioni fra mafia e politica.
Nel 1968 con i suoi reparti interviene nel Belice in soccorso alle popolazioni colpite dal sisma: gli viene
consegnata una medaglia di bronzo al valor civile per la personale partecipazione "in prima linea" alle
operazioni.
Svolge indagini sulla misteriosa scomparsa del giornalista Mauro De Mauro (1970), il quale poco prima
aveva contattato il regista Francesco Rosi promettendogli materiale che lasciava intendere scottante sul caso
Mattei (presidente dell'ENI che perse la vita in un incidente aereo: il velivolo decollato dalla Sicilia, precipita
mentre si avvicinava all'aeroporto di Linate). Le indagini vengono svolte un una importante collaborazione
fra Carabinieri e Polizia; il capo della Polizia preposto è Boris Giuliano, in seguito ucciso dalla mafia.
Nel 1973 Dalla Chiesa è promosso al grado di generale di brigata. Un anno dopo è comandante della regione
militare del nord-ovest, che opera su Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria. Seleziona una decina di ufficiali
dell'arma per creare una struttura antiterrorismo (la cui base è a Torino): nel settembre del 1974 a Pinerolo
cattura Renato Curcio e Alberto Franceschini, esponenti di spicco delle Brigate Rosse, grazie anche
all'infiltrazione di Silvano Girotto, chiamato anche "frate mitra".
Il governo del paese gli affida poteri speciali: viene nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli
Agenti Informativi per la lotta al terrorismo, una sorta di reparto speciale del ministero dell'interno, creato
proprio per contrastare il fenomeno delle Brigate rosse che in quegli anni imperversava, con un riferimento
particolare alla ricerca investigativa dei responsabili dell'assassinio di Aldo Moro.
Grazie a Dalla Chiesa e ai suoi solleciti al governo del paese, in questo periodo viene formalizzata la figura
giuridica del pentito. Facendo leva sul pentitismo, senza tralasciare le azioni di infiltrazione e spionaggio,
arriva ad individuare ed arrestare gli esecutori materiali degli omicidi di Aldo Moro e della sua scorta, oltre
che arrestare centinaia di fiancheggiatori. Grazie al suo operato viene riconsegnata all'Arma dei carabinieri
una rinnovata fiducia popolare.
Seppur coinvolto in vicende che lo scuotono, alla fine del 1981 diviene vice comandante generale dell'Arma,
come già fu il padre Romano in passato. Fra le polemiche prosegue il suo lavoro, confermando e
consolidando la sua immagine pubblica di ufficiale integerrimo.
All'inizio del mese di aprile del 1982 Dalla Chiesa scrive al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini
queste parole: "la corrente democristiana siciliana facente capo ad Andreotti sarebbe stata la "famiglia
politica" più inquinata da contaminazioni mafiose". Un mese dopo viene improvvisamente inviato in Sicilia
come prefetto di Palermo per contrastare l'insorgere dell'emergenza mafia, mentre il proseguo delle indagini
sui terroristi passa in altre mani.
A Palermo lamenta più volte la carenza di sostegno da parte dello stato; emblematica e carica di amarezza
rimane la sua frase: "Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì".
Chiede di incontrare Giorgio Bocca, uno dei giornalisti più importanti del periodo, per lanciare attraverso i
media un messaggio allo stato, un messaggio che ha come obiettivo la richiesta di aiuto e sostegno da parte
dello stato. Nell'intervista (7 agosto 1982) c'è la presa d'atto del fallimento dello Stato nella battaglia contro
Cosa Nostra, delle connivenze e delle complicità che hanno consentito alla mafia di agire indisturbata per
anni. Di fatto la pubblicazione dell'articolo di Bocca non suscita la reazione dello stato bensì quella della
mafia che aveva già nel mirino il generale carabiniere.
Non si fa illusioni. Infatti non rinuncia alla richiesta di poteri e mezzi, ma a Roma si è restii a conferirgli
poteri più significativi di quelli del ministro degli Interni. Quanto ai poteri, l'articolo 31 dello Statuto
regionale della Sicilia sancisce che le Forze di Polizia sono sottoposte disciplinarmente, per l'impiego e
l'utilizzo, al governo regionale. Come dire che se c'è un governo regionale mafioso, esso ha legalmente più
potere del rappresentante dello Stato.
E' la sera del 3 settembre 1982, Carlo Alberto Dalla Chiesa è seduto al fianco della giovane seconda moglie
(sposata solo poche settimane prima) Emanuela Setti Carraro, la quale è alla guida di una A112: in via Carini
a Palermo, l'auto viene affiancata da una BMW con a bordo Antonino Madonia e Calogero Ganci (in seguito
pentito), i quali fanno fuoco attraverso il parabrezza, con un fucile kalashnikov AK-47.
Nello stesso istante l'auto con a bordo Domenico Russo, autista e agente di scorta del prefetto Dalla Chiesa,
veniva affiancata da una motocicletta guidata da Pino Greco, che lo fredda.
Sul luogo dell'eccidio, un anonimo cittadino lascia un cartello affisso al muro. Poche parole che in breve
fanno il giro del mondo: "Qui è morta la speranza dei siciliani onesti".
Le carte relative al sequestro di Aldo Moro, che Dalla Chiesa aveva portato con sé a Palermo, dopo la sua
morte svaniscono: non è stato accertato se sono state sottratte in via Carini o se trafugate nei suoi uffici.
Carlo Alberto Dalla Chiesa viene insignito della Medaglia d'Oro al valor civile alla memoria, con queste
parole: "Già strenuo combattente, quale altissimo Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, della criminalità
organizzata, assumeva anche l'incarico, come Prefetto della Repubblica, di respingere la sfida lanciata allo
Stato Democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese.
Barbaramente trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sublimava con il
proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima
dell'odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere".
Il Generale Dalla Chiesa siede tra gli eroi che l'Arma dei Carabinieri ha donato al Paese ed al Popolo
italiano, ed anche quando si affievolisce il ricordo di lontani eroismi, resta indelebile la nuda, spartana virtù
del dovere compiuto in nome di una società civile.
Se è vero che le istituzioni non sono state presenti nel suo momento del bisogno e questa pesante assenza è
addirittura gravata sui familiari a partire dall'immediato periodo successivo alla morte, a ricordare alle
generazioni il valore civile di questo importante personaggio italiano vi sono oggi in tutto il paese
innumerevoli simboli di riconoscenza come monumenti, intitolazioni di scuole, caserme, piazze, vie e parchi.
ONOREFICENZE E RICONOSCIMENTI:
Due Croci di Guerra;
3 campagne di guerra;
Medaglia di Benemerenza Volontari della II Guerra Mondiale;
Distintivo di Volontario della Guerra di Liberazione;
Medaglia d'Argento al Valor Militare;
Medaglia di Bronzo al Valor Civile;
Distintivo per ferite in servizio;
20 Encomi Solenni;
Grande Ufficiale al merito della Repubblica Italiana;
Medaglia Mauriziana;
Medaglia d'Oro di Lungo Comando;
Croce d'Oro per anzianità di servizio;
Medaglia d'Oro al Valor Civile;
Croce di Grande Ufficiale dell'Ordine Militare d'Italia
MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE
Motivazione
"Durante nove mesi di lotta contro il banditismo in Sicilia cui partecipava volontario, dirigeva complesse
indagini e capeggiava rischiosi servizi, riuscendo dopo lunga, intensa ed estenuante azione a
scompaginare ed a debellare numerosi agguerriti nuclei di malfattori responsabili di gravissimi delitti.
Successivamente, scovati i rifugi dei più pericolosi, col concorso di pochi dipendenti, riusciva con azione
rischiosa e decisa a catturarne alcuni e ad ucciderne altri in violento conflitto a fuoco nel corso del quale
offriva costante esempio di coraggio.
Sicilia Occidentale, settembre 1949 - giugno 1950"
(Decreto Presidenziale 10 febbraio 1953)
MEDAGLIA DI BRONZO AL VALOR CIVILE
Motivazione
"Comandante di Legione territoriale accorreva, in occasione di un disastroso movimento sismico, nei
centri maggiormente colpiti, prodigandosi per avviare, dirigere e coordinare le complesse e rischiose
operazioni di soccorso alle popolazioni. Malgrado ulteriori scosse telluriche, persisteva nella propria
infaticabile opera, offrendo nobile esempio di elevate virtù civiche e di attaccamento al dovere.
Sicilia Occidentale, gennaio 1968."
(Decreto Presidenziale 27 settembre1970)
MEDAGLIA D'ORO AL VALOR CIVILE
Motivazione
"Già strenuo combattente, quale altissimo ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, della criminalità
organizzata, assumeva anche l'incarico, come Prefetto della Repubblica, di respingere la sfida lanciata allo
Stato democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese.
Barbaramente trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sublimava con il
proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima
dell'odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere.
Palermo, 3 settembre 1982".
LA MEMORIA
Monumenti:
Ventiquattro, tra lapidi, busti, e sculture, i monumenti dedicati alla memoria del Generale Dalla Chiesa.
Tra questi il busto commemorativo deposto a Palermo ed il monumento realizzato dall'artista Marcello
Sgattoni per il Comune di San Benedetto del Tronto dal titolo "... e la pietra gridò", ispirato ad una frase
del Vangelo : "Se non direte la verità grideranno le pietre, verità in nome delle quali Dalla Chiesa ha dato
la vita".
Intitolazioni di scuole, caserme, piazze, vie e parchi cittadini:
Prime tra tutte Roma che, il 25 aprile 1983 ha cambiato la denominazione della Via Legnano,
prospiciente la Scuola Allievi Carabinieri, in Via Carlo Alberto Dalla Chiesa.
In Italia sono alcune centinaia le strade, i plessi scolastici, le caserme dell'Arma dei Carabinieri e le
strutture pubbliche, intestate alla memoria del Generale.