per gli indigeni

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per gli indigeni
Messico
A m e r i c a L at i n a
p
er gli indigeni
I n t e r v i s t a a m o n s . Fe l i p e A r i z m e n d i E s q u i v e l ,
vescovo di San Cristóbal de Las Casas
M
ons. Felipe Arizmendi Esquivel dal 2000
è vescovo della diocesi di San Cristóbal
de Las Casas, la
quinta diocesi più antica del Messico,
eretta nel 1539, che ebbe come primo
pastore di fatto (il primo di nome non
mise mai piede sul suolo americano) il
domenicano Bartolomé de Las Casas,
acerrimo difensore degli indios in epoca coloniale. Arizmendi è succeduto –
dopo che mons. Raúl Vera López, inviato nel 1995 come coadiutore con
diritto di successione per «normalizzare» la diocesi, venne nominato improvvisamente nel 1999 a Saltillo,
nell’altro capo del paese (Regno-att.
8,2011,263) – allo strenuo difensore
dei diritti degli indigeni, mons. Samuel
Ruiz García. Una figura di riferimento
che ha guidato la diocesi dal 1959 al
2000 e che nella seconda metà degli
anni Novanta fu prezioso mediatore
nel conflitto tra il governo messicano e
l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (cf. le sue due interviste concesse a Regno-att. 16,1997,449 e 6,1998,
195). Il Chiapas, confine meridionale
del Messico e terra a forte presenza
indigena, è stata una delle periferie
prescelte dal pontefice come meta del
suo recente viaggio (cf. Regno-att. 2,
2016,3).
– Mons. Arizmendi, a poco più di un
mese dalla visita di papa Francesco,
quali gesti e quali parole ritiene abbiano
lasciato maggiormente il segno nel paese
e nella Chiesa del Messico?
«La sua semplicità, la sua vicinanza
alle persone, soprattutto ai bambini, ai
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Il Regno -
at t ua l i t à
4/2016
malati, ai poveri, agli anziani e agli indigeni. Quanto ai suoi messaggi, sono
stati tutti una risposta alle realtà di ogni
luogo: al narcotraffico, alla violenza,
alla migrazione, all’esclusione degli indigeni».
– Il Messico è un paese ad ampia
maggioranza cattolica e insieme gravemente segnato dall’ingiustizia, dalla
violenza e dalla corruzione. Come possono stare insieme questi due aspetti?
«È il segno che la nostra pastorale
evangelizzatrice non è scesa nel profondo dei cuori. È un invito a un esame
di coscienza ecclesiale».
– Qual è la sua opinione rispetto alle
recenti polemiche sull’editoriale del settimanale Desde la fe (cf. qui a fianco),
attribuito al cardinale Norberto Rivera
Carrera? Com’è potuto accadere?
«Il cardinale ha spiegato che rispetta la libertà d’espressione dei suoi collaboratori. Ciò che è stato detto in
quell’editoriale non è passato attraverso la censura del cardinale. Egli ha
sempre manifestato la propria comunione con il papa».
– Visto dal Centroamerica, il Chiapas è la porta per raggiungere il Nord in
un’epoca in cui al Nord c’è chi progetta
di erigere muri…
«Anche se gli Stati Uniti costruiranno più muri di quelli che già hanno edificato, la fame e le necessità economiche dei migranti trapasseranno i muri.
Nessuno potrà fermarli».
– Citando l’enciclica Laudato si’ il
papa ha espresso una preoccupazione
per l’inquinamento e l’appropriazione
indebita delle terre indigene da parte di
soggetti sottoposti alle leggi di mercato.
Ha invitato a fare un esame di coscienza
e a chiedere perdono. Che significato assume questo appello fatto dal Chiapas?
«Il Chiapas è molto ricco di minerali, acqua, risorse naturali. Per questo
motivo è ambito dai grandi gruppi, a
cui non interessa salvaguardare la natura, ma ottenere denaro. Il papa ci incoraggia a continuare a lavorare nella
pastorale per la custodia della terra,
che è sorella e madre. È un tema molto
sentito nelle nostre comunità».
Ho chiesto io al papa
di pregare sulla tomba
di tatic
– Nell’omelia a San Cristóbal de Las
Casas il papa ha denunciato come i popoli indigeni siano stati disprezzati ed
esclusi dalla società, considerati inferiori
in modo sistematico e strutturale. Pensa
che ciò sia avvenuto in qualche misura
anche da parte della Chiesa?
«Nella Chiesa c’è di tutto, come nel
gruppo dei dodici apostoli. C’è chi non
conosce gli indigeni e li condanna ed
esclude, come se fossero un segno di
arretratezza. Vivendo con loro se ne
riconoscono i limiti, come per ogni
gruppo umano, ma se ne percepiscono
anche i valori e il modo peculiare di
esprimere la propria fede. Questo fa sì
che si lotti affinché vengano riconosciuti i loro diritti e non siano esclusi né
dalla società né dalla Chiesa».
– Il papa ha autorizzato l’uso di lingue indigene nella liturgia, in particolare ha dato l’approvazione per l’uso delle
formule sacramentali in tzeltal y tzotzil
per il battesimo, la cresima, la messa, la
confessione, l’unzione degli infermi e l’or-
M e ssi c o - V e s c o vi
L
Caso chiuso?
a questione può dirsi probabilmente chiusa con l’omelia della
Messa crismale del Giovedì santo, celebrata dal cardinale
Norberto Rivera Carrera nella cattedrale di Città del Messico:
«Voglio che resti ben chiaro davanti a voi, mio presbiterio e mio
popolo di Dio, che nei confronti di papa Francesco c’è perfetta
comunione, rispetto e obbedienza. Inoltre ci sono sincero affetto
e amicizia». Dopo aver espresso la convinzione che la persona e il
ministero di papa Bergoglio sono un dono di Dio alla sua Chiesa,
l’arcivescovo primate del Messico ha ribadito la sua conferma di
«coloro che stanno collaborando a Desde la fe, perché è il periodico dell’arcidiocesi, non dell’arcivescovo. Chi pensa che l’arcivescovo sia la Chiesa ha l’orologio fermo da 50 anni» ha sottolineato.
L’oggetto della reiterata precisazione1 è l’editoriale non firmato, datato 6 marzo, del settimanale Desde la fe,2 testata ufficiale
dell’arcidiocesi, postasi in maniera decisamente critica rispetto al
discorso che il pontefice ha indirizzato all’episcopato messicano
nella cattedrale di Città del Messico il 13 febbraio. Nel suo rivolgersi
ai vescovi, il papa ci ha ormai abituati a parole senza sconti, ma
quello destinato ai presuli messicani è stato un intervento particolarmente severo e non stupisce che abbia suscitato malumori.
Con il titolo Un episcopato all’altezza, la nota, dopo aver
ostentato un 81% di cattolici censiti nel paese nel 2014 – un dato di
peso in un continente alle prese con la continua crescita, ad esempio, dei cristiani pentecostali –, suggeriva una lettura alternativa del
discorso papale: «Purtroppo esiste la mano della discordia, che ha
tentato di porre accenti negativi (…) nel sottolineare sfide e tentazioni come mali dell’episcopato. Non è così. E qui sta la questione:
perché tentare di screditare il lavoro dei vescovi messicani?». E chiudeva: «Le parole “a braccio” del santo padre sono frutto di cattivi
consigli di qualcuno a lui vicino? Chi ha consigliato male il papa?».
Il riferimento specifico è a quel «se dovete litigare, litigate; se
avete delle cose da dirvi, ditevele; però da uomini, in faccia, e, come uomini di Dio che poi vanno a pregare insieme (…). E se avete
passato il limite, a chiedervi perdono, ma mantenete l’unità del
corpo episcopale», che venne improvvisato (Regno-doc. 3,2016,70).
Ma anche ad altri passaggi, già previsti nel testo del papa, che furono particolarmente duri: «Vigilate affinché i vostri sguardi non si
coprano con le penombre della nebbia della mondanità; non lasciatevi corrompere dal volgare materialismo né dalle illusioni se-
dinazione. Può aiutarci a comprendere
meglio la portata di questa decisione?
«Per molto tempo gli idiomi indigeni non sono stati presi in considerazione, quali fossero semplici dialetti, senza
struttura grammaticale, senza storia e
destinati a scomparire. Invece vivono e
sopravvivono. Gli indigeni utilizzano le
proprie lingue nella vita comune. Per
questo abbiamo lottato affinché avessero la Bibbia e la liturgia nei propri
idiomi. È un passo avanti che il papa ci
stia incoraggiando a proseguire su questa strada».
– È vero che i fedeli di etnia indigena
che non parlano bene lo spagnolo sono
esclusi dai ministeri ordinati?
duttrici degli accordi sottobanco; non riponete la vostra fiducia nei
“carri e cavalli” dei faraoni attuali» (Regno-doc. 3,2016,66).
La questione dell’editoriale, ricondotto ovviamente al cardinale Rivera, esplode in Messico,3 ma anche a livello internazionale. La
notizia è presentata con giusta evidenza da Andrea Tornielli su Vatican Insider. Per chi conosca anche solo un po’ la macchina dei
viaggi pontifici, la domanda «chi ha consigliato male il papa?» ha
una risposta: il nunzio apostolico, nello specifico l’arcivescovo
francese Christophe Pierre, in Messico dal 2007, il cui nome è giustamente esplicitato da Tornielli.
A quest’ultimo sceglie d’inviare una risposta, che esprime anzitutto sorpresa, don Hugo Valdemar, direttore delle comunicazioni
sociali dell’arcidiocesi di Città del Messico, evidentemente più preoccupato dei venti di Roma che di quelli d’Oltreoceano: «Il settimanale Desde la fe (…) non è la voce ufficiale né dell’arcidiocesi né
del suo arcivescovo, il cardinale Norberto Rivera Carrera. Gli articoli editoriali rispecchiano l’opinione del consiglio editoriale, del
quale sono responsabile io, e non possono essere attribuiti alla
penna o al pensiero del cardinale Rivera».4
Che cosa realmente sia Desde la fe lo si scopre senza particolari indagini: basta leggere le autodefinizioni che il settimanale offre
di se stesso sul sito web, sull’account Twitter e sulla pagina Facebook per comprendere che è espressione dell’arcidiocesi guidata
dal primate del Messico. Difficile credere che il cardinale Rivera,
che tra poco più di un anno (6 giugno 2017) compirà 75 anni, possa
restare all’oscuro dei suoi contenuti su questioni così delicate.
G. Z.
1
Sulla questione il cardinale, all’estero al momento dell’uscita dell’editoriale, era già intervenuto l’11 marzo alla Pontificia università del Messico:
«Tutti voi, cari sacerdoti e fedeli, sapete che sin dall’avvio del mio episcopato ho creduto nella necessità di rispettare la libertà di espressione nella
Chiesa e quindi confermo coloro che stanno collaborando a Desde la fe,
perché è il periodico dell’arcidiocesi».
2
La testata fu fondata 18 anni fa dallo stesso card. Rivera; l’editoriale è
disponibile sul sito dell’arcidiocesi di Città del Messico www.siame.mx.
3
Il principale giornale del Messico, La Jornada, il 7 marzo ha titolato
«L’arcidiocesi di Città del Messico rifiuta il papa».
4
Il testo completo della lettera e della relativa risposta sono disponibili su Vatican Insider.
«Non si tratta di chiedere loro di
parlare spagnolo, ma di riconoscere le
loro lingue. Nessuno è escluso per questo motivo. Abbiamo vari sacerdoti indigeni. Degli attuali 76 seminaristi, 42
sono indigeni con tutti i propri diritti».
– Papa Francesco si è raccolto in preghiera sulla tomba di mons. Samuel Ruiz. Che cosa resta dell’azione pastorale
del suo predecessore, che gli indios chiamavano tatic, padre?
«Sono stato io a chiedere al papa di
visitarne la tomba, perché se il papa
veniva per gli indigeni, doveva riconoscere la grande azione pastorale che
don Samuel fece per loro. Resta molto
del suo lavoro, che abbiamo cercato di
proseguire. L’opzione per i poveri, la
difesa dei diritti umani, l’inculturazione sono un’opera del Vangelo, che non
può andare perduta».
– Anche a lei, che porta avanti l’eredità di mons. Ruiz, vorrei porre la stessa
domanda che posi a lui nel 1998: nella
sua azione pastorale, di mediazione e di
pace, si sente sufficientemente sostenuto
dall’insieme dell’episcopato messicano?
«Sì, oggi i vescovi messicani appoggiano questo lavoro, soprattutto quelli
che operano in comunità con un’ampia presenza di indigeni».
a cura di
Gabriella Zucchi
Il Regno -
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