PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TANA DE ZULUETA La

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TANA DE ZULUETA La
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III COMMISSIONE
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
TANA DE ZULUETA
La seduta comincia alle 14,30.
(La Commissione approva il processo
verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi
sono obiezioni, la pubblicità dei lavori
della seduta odierna sarà assicurata anche
attraverso l’attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Cosı̀ rimane stabilito).
Audizione di rappresentanti del Réseau
des organisations paysannes et de producteurs de l’Afrique de l’Ouest (ROPPA).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca,
nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle
istituzioni e i processi di governo della
globalizzazione, l’audizione di rappresentanti del Réseau des organisations paysannes et de producteurs de l’Afrique de l’Ouest
(ROPPA), cui do il benvenuto. Sono presenti Saliou Sarr, rappresentante della
Piattaforma senegalese e del ROPPA, Nora
Mckeon e Paola de Meo, rappresentanti di
Terra Nuova, Antonio Onorati, rappresentante del centro internazionale Crocevia e
Marco Foschini della Coldiretti. Vi chiederei di non superare i dieci minuti per
ciascun intervento.
Do la parola a monsieur Sarr.
SALIOU SARR, Rappresentante della
Piattaforma senegalese e del ROPPA. Signor
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presidente, mi scuso perché il testo che
presenterò in francese è ancora in corso di
traduzione in italiano, ma sarà pronto
quanto prima e potrà esservi trasmesso. A
nome dei produttori agricoli dell’Africa
occidentale, ho il piacere e l’onore di
prendere la parola dinanzi a questo consesso e di ringraziare gli organizzatori di
questa audizione per l’occasione offerta
agli agricoltori africani di essere auditi in
questa sede.
Per noi produttori africani della Rete
delle organizzazioni contadine e degli agricoltori dell’Africa occidentale, la globalizzazione si sta costruendo su profonde
ingiustizie per le popolazioni e i Paesi
dell’Africa occidentale, che figurano fra i
più poveri del mondo.
Il liberalismo, come modello economico
della globalizzazione che considera i prodotti agricoli una merce come le altre, sta
infatti rovinando le agricolture familiari e
contadine nel nord come nel sud del
mondo.
Vi fornisco alcune cifre illustrative.
Oggi nel mondo della globalizzazione esistono più di 850 milioni di persone affamate e molte aziende agricole falliscono
ogni giorno in Europa, nonostante le numerose sovvenzioni interne ed esterne.
Secondo la Confederazione degli agricoltori europei (CPE) ogni giorno falliscono
decine di aziende, mentre nel sud la
globalizzazione causa guerre, fame, abbandono delle campagne e anche suicidi. Non
si tratta dunque di una contrapposizione
tra nord e sud, ma di un mondo che si è
sviluppato in modo errato. Nell’Africa occidentale la frattura è ancor più grande
perché l’agricoltura stenta a farsi carico
dei suoi compiti fondamentali, ovvero garantire la sicurezza alimentare, mantenere
gli equilibri sociali attraverso la creazione
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di posti di lavoro e contribuire alla crescita economica preservando l’ambiente.
Per questo, noi produttori africani ci chiediamo come si possano raggiungere gli
obiettivi del Millennio se i produttori di
cibo sono i primi a patire fame e povertà,
in che modo l’agricoltore africano possa
uscire dal circolo vizioso dell’indigenza
monetaria, dell’insicurezza alimentare e
della malnutrizione se non riesce a vendere i suoi prodotti sul proprio mercato
nazionale. L’Organizzazione mondiale del
commercio (OMC) gli impone infatti di
competere con un produttore del nord che
ha usufruito di più di cinquant’anni di
sovvenzioni, di aiuti tecnici e di una protezione nei confronti delle importazioni
ancor oggi da tre a sei volte superiore a
quella dell’Africa occidentale per le derrate alimentari di base.
La risposta a queste domande esige di
intraprendere profonde riforme su scala
planetaria in uno spirito di solidarietà, di
equità e di giustizia, affinché si affermi un
commercio mondiale solidale e complementare, meno speculativo e fondato sulla
concorrenza. Ciò implica che le imperfezioni oggi constatate nell’autoregolamentazione dei mercati devono essere subito
corrette attraverso meccanismi di controllo e di regolamentazione dell’offerta
per tutti, in particolare per i Paesi poveri
dell’Africa occidentale, per i quali l’agricoltura è assolutamente vitale giacché occupa ancora i due terzi della popolazione.
Ritengo che per maggior chiarezza sia
opportuno descrivere lo stato di cose nell’Africa occidentale, della Communauté
économique des états de l’Afrique de
l’Ouest (CEDEAO) più la Mauritania. Si
tratta di sedici Paesi con una popolazione
totale di quasi 250 milioni di abitanti e
con un prodotto interno lordo annuale pro
capite di 500 dollari, contro i 1.170 dollari
dei Paesi in via di sviluppo. Tredici di
questi Paesi sono tra quelli meno avanzati.
Si può quindi affermare che oggi l’Africa
occidentale è un grande Paese meno avanzato, con un deficit strutturale sul piano
commerciale e in termini di sussistenza e
dipendenza alimentare.
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A titolo illustrativo, tra il 1995 e il 2003
il deficit per i prodotti di sussistenza si è
moltiplicato per tre, passando da 1 miliardo e 600 milioni di dollari a 4 miliardi
e 300 milioni. Oltre al deficit alimentare,
l’Africa occidentale sta vivendo un’integrazione regionale faticosa, con scambi intraregionali che, rispetto al totale delle importazioni, continuano a calare.
La parte degli scambi intraregionali sul
totale delle importazioni alimentari ammontava all’11 per cento nel 1993, percentuale già scarsa, da cui si è scesi al 5
per cento nel 2004. Si nota invece come la
parte degli scambi intraregionali interni
all’UE costituisca più dell’80 per cento
delle importazioni alimentari. Vorrei chiedere se in queste condizioni sia ragionevole spingere l’Africa occidentale a firmare
accordi di partenariato economico (APE)
entro il 31 dicembre del 2007.
Se le preferenze tariffarie non reciproche, elemento motore delle Convenzioni di
Yaoundé e di Lomé, in cui l’Unione Europea aveva permesso ai Paesi ACP di
esportare nella zona UE a dazio zero
mentre, in contropartita, l’UE avrebbe dovuto pagar dazio allorché esportava verso
di loro, dovessero essere abolite e si affermasse l’applicazione della reciprocità
tra Europa e Africa occidentale, ciò rappresenterebbe la morte programmata dell’agricoltura africana, che occupa il 65 per
cento della popolazione africana. I divari
di sviluppo sono infatti enormi e, secondo
un professore dell’Università di Parigi I, il
differenziale di produttività agricola tra
Europa ed Africa occidentale è oggi di
mille a uno, mentre era di dieci a uno
all’inizio del XX secolo.
Nell’ambito di questi accordi di partenariato economico, come agricoltori africani chiediamo una proroga di almeno 25
anni, conformemente agli articoli 34 e 35
dell’Accordo di Cotonou, che privilegiano
un vero partenariato che tenga conto delle
differenze del livello di sviluppo, e promuovono altresı̀ l’integrazione regionale
nell’ambito delle varie regioni.
Per l’Africa occidentale la priorità attribuita all’integrazione regionale implica
un incremento degli scambi intraregionali,
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un miglioramento delle infrastrutture e
delle capacità produttive, una priorità alla
sovranità alimentare e al diritto alla protezione. Queste scelte permetteranno all’Africa occidentale e soprattutto alla sua
agricoltura di produrre l’essenziale dei
propri alimenti e di garantire una crescita
anche come cittadini. Questo porterà a
ripristinare la centralità degli aspetti legati
allo sviluppo nello spirito degli Accordi di
Doha, anziché privilegiare l’accesso al
mercato.
Per noi produttori africani, collocare
l’agricoltura nell’ambito del libero scambio
e degli attuali negoziati commerciali significa correre il rischio di radicare irreversibilmente la povertà e la fame nei Paesi
in via di sviluppo e, in particolare, in
quelli dell’Africa occidentale, per i quali le
attività agricole sono considerate il motore
dell’economia e la principale fonte di occupazione.
Per questo dunque cogliamo l’occasione
per chiedervi, onorevoli parlamentari, di
essere i nostri interpreti presso il Parlamento italiano e i Parlamenti d’Europa
spiegando come gli agricoltori africani non
siano contrari ad accordi di partenariato
economico con l’Europa, ma chiedano di
avere il tempo di prepararsi grazie a
un’integrazione regionale africana più
forte, che permetta loro di produrre i
propri alimenti e, in partenariato con
l’Unione europea, di contribuire a un’umanità autentica. Vi ringrazio per l’attenzione e per averci concesso l’opportunità
di esprimere il punto di vista dei piccoli
agricoltori africani.
PRESIDENTE. Grazie per la presentazione estremamente lucida e completa.
Vorrei proporre ai colleghi di ascoltare
anche gli accompagnatori di monsieur
Sarr.
Do pertanto la parola al rappresentante
della Coldiretti, Marco Foschini.
MARCO FOSCHINI, Rappresentante
della Coldiretti. Desidero sottolineare come
la Coldiretti realizzi una collaborazione
con il ROPPA – avviata diversi anni fa e
che speriamo di implementare – che de-
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riva dalla condivisione della comune missione delle due organizzazioni, ovvero
quella, da me sottolineata questa mattina
in conferenza stampa, di far partecipare ai
processi di trasformazione dell’agricoltura
le proprie basi sociali, ovvero soprattutto
le aziende agricole familiari, pur con le
differenze attuali che intercorrono tra
l’Italia e l’Africa occidentale. Nello specifico è necessario considerare la situazione
dell’Italia
nell’immediato
dopoguerra,
quando è stata avviata l’esperienza della
Coldiretti nel Paese. Quello che sta accadendo tuttavia non va in questa direzione.
Siamo entrati in un’Europa unita ed
esistono quindi un mercato protetto e una
politica agricola comunitaria. Come molti
ormai affermano, per lo sviluppo umano
dei Paesi africani – ben al di là, quindi,
della loro crescita economica – consideriamo necessarie l’integrazione regionale o
subregionale, in base alle aggregazioni, e
una politica agricola come la nostra del
passato, sebbene aggiornata, esente dai
nostri errori e differente sotto alcuni
aspetti. Loro hanno infatti bisogno di un
“tasso di protezionismo” per i prodotti
sensibili diverso da quello dell’Europa,
che, invece, almeno fino a poco tempo fa
aveva problemi di eccedenza.
Volevamo sottolineare tale impostazione, condividendo la loro apprensione
per gli accordi che stanno per essere
stipulati, in quanto, come rilevato questa
mattina, essi indugiano in una concezione
esclusivamente commerciale delle relazioni internazionali, a dimostrazione dell’attuale incapacità dell’Unione europea di
realizzare una politica estera. Gli accordi,
tra l’altro, dovrebbero essere di partenariato economico, mentre invece appaiono
come accordi di liberalizzazione, in cui le
misure di accompagnamento si rivelano
troppo deboli ed insufficienti a coprire
quanto sta accadendo, quasi fossero una
foglia di fico.
Mi preme inoltre sottolineare come
troppo spesso si evochino modelli di sviluppo ormai superati, in particolare per
quanto concerne Paesi con questa situazione sociale. Il modello dell’agricoltura
sviluppatasi in Giappone o ancora nel
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secolo scorso in Italia e nei Paesi occidentali, con il forte deflusso di forza lavoro
dall’agricoltura ad altri settori dell’industrializzazione, oggi si rivela assolutamente
irripetibile. È necessario quindi evitare di
evocare vecchi stereotipi sullo sviluppo,
che rischiano di produrre guasti. La duplicità dei prodotti italiani era sanabile,
perché essi venivano assorbiti e si generava ricchezza. Ora, invece, i guasti rischiano di essere deflagranti rientrando in
un modello di esasperazione dell’industrializzazione e dell’agricoltura che si rivela dannoso anche per l’agricoltura europea.
Da qui scaturisce la solidarietà verso di
loro, che nasce non soltanto da un’affinità
ideale o da una condivisione di situazioni,
ma anche da interessi concreti. Entrambi
perseguiamo infatti un modello di sviluppo
legato al territorio e alle sue risorse endogene, basato sulla possibilità dell’impresa familiare di creare reti e di garantire
un arricchimento, che diversifichi quanto
abbiamo, al contrario delle estremizzazioni
dell’agricoltura
industrializzata.
Senza questa pluralità non esiste democrazia economica e si generano guasti,
perché il modello che si è affermato spontaneamente e che ha avuto un’impennata
con la globalizzazione in realtà non fornisce risposte dal punto di vista sociale,
della salubrità o dell’ambiente. Insomma,
crea più problemi di quelli che risolve,
nonostante la concentrazione di ricchezza
possa sembrare un volano per altri aspetti.
Su questo vorrei focalizzare l’attenzione
anche dal punto di vista culturale. Grazie.
ANTONIO ONORATI, Rappresentante
del Centro internazionale Crocevia. Se fosse
possibile, come italiani preferiamo rispondere alle domande. Desidero aggiungere
soltanto un’informazione che Sarr non ha
fornito probabilmente per la sua consueta
modestia. Il ROPPA rappresenta una Confederazione di organizzazioni nazionali di
dodici Paesi per un totale di almeno 25
milioni di agricoltori. I numeri hanno
valore in questa sede perché il dialogo con
organizzazioni sociali cosı̀ radicate delinea
uno spaccato diverso delle società locali.
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Non si tratta infatti di uno scambio tra
benefattori e beneficiati, ma di un confronto con organizzazioni sociali che possiedono una loro agenda.
NORA MCKEON, Rappresentante di
Terra Nuova. Desidero svolgere un breve
intervento con due introduzioni, la prima
delle quali in veste di rappresentate di
Terra Nuova e coordinatrice della Campagna EuropAfrica Terre contadine, che
riunisce il ROPPA e altre reti di organizzazioni contadine africane con le ONG e la
società civile italiana, cui stanno a cuore
cibo sano e territorio rurale florido. Questi
punti sono stati sollevati da Marco Foschini giacché Coldiretti partecipa a questo gruppo da dieci anni, sin dalla sua
fondazione.
La consapevolezza del fatto che in
Italia l’agricoltura familiare e la piccola e
media impresa siano ancora realtà importanti e ben vive diviene un fatto culturale.
È in atto una presa di coscienza dei molti
interessi comuni ai produttori agricoli dell’Africa e al mondo agricolo e dei consumatori in Italia. Questo rappresenta un
motivo profondo di solidarietà culturale
da non sottovalutare.
La seconda considerazione riguarda
l’esperienza da me maturata alla FAO, in
cui ho lavorato per trent’anni. Vorrei sottolineare infatti il gap molto spesso esistente tra teoria e pratica. Se la teoria non
si confronta con la realtà, rischia di diventare dogma oppure, come evidenziato
da Marco Foschini, di fossilizzarsi su
schemi ormai sorpassati. Il dipartimento
di economia della FAO in questo momento
è l’unico a lavorare all’individuazione di
modelli di valutazione dell’impatto della
globalizzazione sui Paesi del sud del
mondo per quanto concerne i piccoli produttori e la sicurezza alimentare, fattori
solitamente tralasciati dai modelli esistenti. Spesso, non essendo specialisti, acquisiamo i risultati statistici di studi di cui
non possiamo controllare i parametri. In
realtà questi modelli non tengono conto
della realtà descritta da Saliou Sarr.
Esiste un certo gap tra quello che si
dice e quello che si riscontra in pratica.
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Tutti concordano sul fatto che il futuro di
queste regioni del sud del mondo risieda
nel costruire la loro integrazione regionale, come ha fatto l’Europa, e nell’incentivare il commercio all’interno della regione. La Commissione europea ritiene che
gli accordi di partenariato economico
siano strumenti di integrazione regionale:
in realtà non è cosı̀ e si deve constatare
che l’integrazione regionale attualmente
non esiste. Saliou Sarr ha fornito le cifre
del commercio interregionale in Africa
occidentale. Tutte le regioni che negoziano
adesso con la Commissione europea sono
state indotte ad approvare galoppando
documenti che però esistono soltanto sulla
carta e sono privi di applicazione sul
territorio. In tali regioni mancano politiche agricole comuni.
L’Europa è stata costruita intorno alla
Politica agricola comune (PAC). A queste
regioni non è stato lasciato il tempo di
costruire politiche comuni con la partecipazione di tutti gli attori che devono
potervi contribuire; tuttavia, si immagina
che l’integrazione nel commercio globale
possa apportare di per sé benefici senza
che esistano i presupposti perché ciò possa
avvenire.
PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai
colleghi che intendono porre quesiti o
formulare osservazioni.
RAFFAELLO DE BRASI. Desidero ringraziare tutti gli intervenuti, in particolare
Saliou Sarr, che rappresenta la Piattaforma senegalese e del ROPPA per le
considerazioni espresse. Esse rafforzano la
convinzione della Commissione esteri di
essere impegnata in un lavoro politicoistituzionale sui problemi dell’Africa e sul
rapporto dell’Italia e dell’Europa con questo continente. Da non molto, infatti, abbiamo costituito il Comitato per l’Africa e
a livello governativo il viceministro Patrizia Sentinelli possiede una specifica responsabilità per l’Africa, oltre a quella per
la cooperazione e lo sviluppo. Si è recata
già diverse volte in Africa e ha dimostrato
una forte sensibilità nello sviluppare nuove
relazioni e nuove politiche nei confronti
del continente.
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Nella Commissione esteri e nel Governo
si constata dunque una nuova consapevolezza di come l’Africa venga esclusa dalla
globalizzazione, che, ancorché basata sul
modello liberista (con conseguenze in termini di squilibri e di disuguaglianze) in
diversi continenti ha consentito comunque
a milioni di persone di uscire dalla povertà. Dalla nostra indagine sulla globalizzazione questo è emerso in maniera
molto evidente.
Emerge quindi l’esigenza di una nuova
politica europea verso l’Africa di non facile realizzazione, perché l’allargamento
ha posto l’Europa dinanzi a nuove problematiche anche in campo agricolo. Inoltre, le divisioni politiche, ma anche le
difficoltà di dotarsi di strumenti istituzionali nuovi soprattutto per quanto riguarda
la politica estera, inseriti nella proposta di
una nuova Costituzione europea, hanno
fatto emergere difficoltà di coesione che
impediscono una politica complessiva, non
esclusivamente legata ad una visione mercantile o frammentata in settori.
L’esigenza tuttavia esiste, viene percepita anche in Italia e da questi incontri
traiamo non solo la consapevolezza di
questo impegno, ma anche suggerimenti
sicuramente utili per la definizione di
questa nuova politica.
Dobbiamo
sicuramente
impegnarci
maggiormente anche come Paese sia per la
riduzione del debito – abbiamo raggiunto
risultati importanti, ma non sufficienti –
che per la cooperazione allo sviluppo, visto
che stiamo discutendo anche di una nuova
legge sulla cooperazione allo sviluppo e
alla solidarietà internazionale. È necessario aprire una nuova fase, capace anche di
dimostrarsi critica rispetto a quanto realizzato fino ad oggi. D’altra parte, mi pare
che l’esigenza di riflettere criticamente
sugli strumenti, sulle politiche e anche
sugli impegni delle risorse finanziarie, sia
un dato abbastanza comune. Recentemente è stato predisposto un rapporto
molto critico sulla FAO, redatto e pubblicato da poco, che ne fotografa l’organizzazione, la politica e l’utilizzo delle risorse.
Anche considerando gli obiettivi del
millennio, ci si rende conto di come essi
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siano irraggiungibili mantenendo l’attuale
tendenza in atto, sebbene, nonostante la
loro importanza, non possano neppure
considerarsi compiuti. Come Commissione
esteri siamo quindi impegnati a far sı̀ che
il Governo, a partire anche dalla stessa
legge finanziaria, compia uno sforzo coerente rispetto al Documento di programmazione economica e finanziaria nei riguardi della politica di cooperazione e
della dotazione di risorse, senza le quali le
buone intenzioni rimarrebbero tali.
È estremamente complicato far sı̀ che
gli accordi di partenariato economico e le
misure di accompagnamento non abbiano
il segno prevalente della liberalizzazione o
di un carattere mercantile. Emerge un
bisogno di politica e di un rapporto forse
diverso. Marco Foschini della Coldiretti sa
come sia in atto una discussione che
coinvolge la politica e il mondo degli
agricoltori in ambito europeo, perché per
salvaguardare la nostra agricoltura sono
utilizzati troppi sostegni pubblici nonché
politiche e barriere protezionistiche.
Finalmente le associazioni agricole e gli
imprenditori italiani hanno compreso la
necessità di cambiare politica agricola europea, andando nella direzione di una
maggiore qualificazione, di una maggiore
sostenibilità ambientale dell’agricoltura, di
innovazione dell’impresa anche nel settore
italiano ed europeo, in cui esistono comunque problemi. Occorre dunque perseguire progressivamente maggiore possibilità di accesso dei prodotti agricoli nel
nostro territorio e creare un partenariato
che garantisca la sicurezza alimentare dei
Paesi più poveri, sostenga il processo di
integrazione regionale, promuova misure
di accompagnamento, che abbiano a cuore
non solo i dati dell’emergenza ma anche
uno sviluppo autonomo di questi Paesi e
un equilibrio sociale, che corre il rischio di
essere devastato sia dall’emergenza che da
una politica fatta esclusivamente di liberalizzazioni.
Siamo favorevoli a una liberalizzazione
responsabile, con regole e obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale, che consenta alle popolazioni di governare il proprio sviluppo. Naturalmente questo ri-
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chiede una consapevolezza anche da parte
del mondo agricolo europeo e della politica europea in grado di traguardare progressivamente questi risultati.
Desidero infine sottolineare l’apprezzamento per il fatto che associazioni agricole
e imprenditoriali italiane abbiano stretto
relazioni di solidarietà e di cooperazione
con i Paesi produttori più poveri, perché
ritengo che questo possa essere uno stimolo alla politica per arricchire la propria
agenda di questi obiettivi e di questo
dialogo, che deve essere intensificato. Vorremmo quindi coltivare questo rapporto,
man mano che il Comitato per l’Africa
produrrà audizioni e iniziative, affinché
finalmente la politica cambi le sorti dei
Paesi più poveri.
SABINA SINISCALCHI. Signor presidente, mi associo anch’io ai ringraziamenti
dei colleghi per la vostra presenza, che
ritengo molto utile. Mentre ascoltavo il
rappresentante di ROPPA, che illustrava le
riserve e le preoccupazioni dei contadini
africani nei confronti dei nuovi accordi di
partenariato dell’Unione europea, consideravo quanto siano distanti le ragioni dei
gruppi sociali da quelle dei Governi. Ritengo quindi molto utile questa audizione,
perché ci consente di apprezzare l’importanza delle ragioni dei gruppi sociali, che
rappresentano ampi strati della popolazione dei Paesi a livello mondiale.
Effettivamente l’Unione Europea sembra voler cambiare approccio. Con le Convenzioni di Yaoundé e di Lomé e con
l’Accordo di Cotonou l’Europa considerava
la partnership economica, globalmente intesa, come uno strumento di relazione con
i Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) – quasi tutti ex colonie –
perseguendone l’integrazione in un rapporto economico globale che comprendesse il commercio, la cooperazione e
anche gli investimenti. Si trattava di un
approccio molto equilibrato e centrato sui
diritti delle popolazioni. Tuttavia, oggi
l’Unione europea sembra voler cambiare e
dare la preminenza ai rapporti commerciali. Questo giustamente preoccupa, perché, come evidenziato da Saliou Sarr,
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mette in concorrenza partner molto diversi
per forza economica quali i Paesi dell’Unione e i Paesi africani. Questi ultimi
non si sono potuti sviluppare come le
vecchie convenzioni avevano previsto anche a causa di un environment economico
internazionale loro sfavorevole, visto che
l’Unione europea ha mantenuto i sussidi
all’agricoltura e modalità di investimento
estero che non favorivano i Paesi più
poveri.
Comprendo profondamente le vostre
ragioni, perché effettivamente questi nuovi
accordi di partenariato comporteranno costi per i Paesi ACP, che la stessa Unione
Europa ammette, tanto che istituirà fondi
di compensazione. Ci saranno ad esempio
minori entrate da dazi e barriere doganali.
Mi viene spontaneo chiedere quale sia
il ruolo dei vostri Governi. Cosa stanno
facendo non le popolazioni, ma i Governi
ACP per contrattare con l’Unione europea
contenuti e condizioni più favorevoli degli
accordi, che prendano in considerazione
anche i diritti delle proprie popolazioni,
prima di tutto quello al cibo, all’alimentazione e alla sicurezza alimentare ?
Desidero rivolgere questa domanda al
rappresentante di ROPPA. Grazie.
PRESIDENTE. Suggerisco al dottor
Sarr di rispondere. Purtroppo a breve
dovremo sospendere i lavori della Commissione a seguito della riconvocazione
dell’aula. Tuttavia, possiamo sicuramente
ascoltare le vostre risposte che ci saranno
molto utili.
Do la parola a monsieur Sarr.
SALIOU SARR, Rappresentante della
piattaforma senegalese e del ROPPA. Grazie, presidente, per avermi dato l’opportunità di parlare qui ed anche per la
comprensione nei confronti dei produttori
africani di cui avete dato prova.
Per quanto riguarda l’ultima domanda
concernente il ruolo dei Governi africani
in questi negoziati, innanzitutto vorrei
precisare che questi accordi sono stati
firmati nel 2000, ma poi ci sono stati tre
anni di pausa, tre anni perduti prima che
iniziassero le discussioni tra la CEDEAO,
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che rappresenta la nostra sottoregione, e
l’Unione europea.
Quando poi i Governi hanno avviato un
confronto attraverso la CEDEAO con
l’Unione europea, la discussione è stata
chiusa e non trasparente, perché noi che
come società civile, come agricoltori rappresentiamo il 65 per cento della popolazione, non siamo stati informati degli
obiettivi da raggiungere. È a partire dall’anno scorso, quindi, che abbiamo iniziato
a ricevere alcune informazioni sui contenuti degli accordi APE, cosı̀ da poter
avviare una campagna informativa presso
gran parte degli agricoltori.
Finora però la Commissione europea
ha avanzato alcune proposte da più di sei
mesi e i nostri rappresentanti della CEDEAO non sono riusciti a dare una risposta. Ignoriamo quindi cosa stiano facendo
rispetto a queste proposte della Commissione europea.
Si è anche sentito ribadire spesso che i
nostri Governi non avrebbero diritto di
parola in questo, in quanto i negoziati
sugli APE sono legati ai fondi di sviluppo
europei, al FED. Solo pochi Governi osano
dunque contraddire e imporsi affermando
coraggiosamente di non essere pronti a
firmare questi accordi nel dicembre 2007.
Contiamo quindi sulla vostra comprensione e sul vostro sostegno, affinché questi
Governi possano dar voce al desiderio
della maggioranza della popolazione che è
costituita, appunto, dagli agricoltori africani.
Rileviamo pertanto innanzitutto l’incidenza
dell’aggiustamento
strutturale,
perché i nostri Paesi sono soggetti all’aggiustamento strutturale – FMI e Banca
mondiale – e fanno molto assegnamento
sugli aiuti del FED e, se questi sono legati
alla firma degli APE, i Governi sono chiaramente costretti a firmare questi accordi
di partenariato. Per questo chiediamo la
vostra solidarietà europea, perché, se si
instaurasse la reciprocità, tutta la solidarietà europea contenuta nelle Convenzioni
di Yaoundé e di Lomé scomparirebbe.
È stato sostenuto che non si è tratto un
grande beneficio da queste convenzioni ed
è vero, perché di pari passo con le varie
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Convenzioni di Lomé, dal 1975 al 2000,
eravamo
sottoposti
all’aggiustamento
strutturale. Rispetto all’OMC, ad esempio,
Paesi come il Senegal arrivavano ad imporre dazi doganali dell’80 per cento, ma,
avendo firmato con il Fondo monetario e
con la Banca mondiale, oggi come tariffa
esterna comune africana non possiamo
superare il 20 per cento.
In tali condizioni, se non si favorisce
l’integrazione regionale, cosı̀ da avere delle
vere e proprie politiche agricole che rendano possibili sovvenzioni ai piccoli agricoltori africani creando capacità di produzione e di accesso ai fattori produttivi
come l’acqua, la terra, i fertilizzanti, il
credito, l’Africa non potrà mai svilupparsi
nonostante i privilegi e i sostegni elargiti.
Ecco perché tutte le nostre rivendicazioni s’imperniano sulla promozione dell’integrazione regionale africana per poter
investire nell’agricoltura, potenziare gli investimenti infrastrutturali e creare le condizioni perché gli agricoltori possano produrre, nutrirsi, risparmiare e investire.
Grazie.
ANTONIO ONORATI, Rappresentante
del Centro internazionale Crocevia. Presidente, onorevoli, vorrei riprendere due
argomenti citati. Il primo riguarda i responsabili delle decisioni. Possiamo provare, grazie a uno scambio di e-mail
interne alla Commissione, che la direzione
generale per lo sviluppo della Commissione, malgrado le discussioni sugli EPA,
ha dato disposizione di legare strettamente
le concessioni (i soldi a disposizione secondo i vari parametri del fondo sociale di
sviluppo) alla chiusura del negoziato sugli
Accordi di partenariato economico (APE) e
in particolare su alcuni loro aspetti, quali
la liberalizzazione degli investimenti, di
parti dei servizi e del settore agricolo.
Da questo punto di vista, quindi, rivolgo a voi la domanda relativa a quello
che possono fare i Governi. Cosa farebbe
il Governo italiano nella stessa situazione,
ovvero nel caso in cui stesse negoziando
un accordo internazionale in cui vengono
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definiti i meccanismi di finanziamento,
quindi l’aiuto per il commercio che cancella quello per lo sviluppo ?
Al di là della mancanza di abitudine
democratica alla trasparenza verso le organizzazioni sociali, già ricordata da Sarr,
si rileva una fortissima responsabilità nella
governance globale di questi processi. Desidero ricordare solo un altro dato.
L’Unione europea è la più grande potenza
agroalimentare del pianeta. Rispetto a noi,
gli Stati Uniti sono di un terzo inferiori e
a seguire arrivano tutti gli altri. Qualsiasi
intervento l’Unione operi in questo comparto si ripercuote in maniera gigantesca
nel resto del pianeta.
Un secondo elemento, che testimonia
quanto detto e che per certi aspetti ci
riguarda, riguarda la valutazione esterna
della FAO. La mia organizzazione ormai
da dieci anni ha la responsabilità di essere
un punto focale internazionale di un meccanismo unico nel sistema ONU di rapporto tra un’agenzia delle Nazioni Unite e
i movimenti e le organizzazioni sociali. In
quella relazione sono riportate accuse gravissime prima di tutto per gli organi di
governo della FAO, quindi per i Governi.
Un’affermazione in particolare deve essere
citata per la sua gravità. Questa è contenuta sia nella sintesi, sia diffusamente
all’interno delle 480 pagine del rapporto,
laddove si dichiara che il problema che
impedisce alla FAO di avere una strategia
e di adempiere alla sua missione di nutrire
i popoli è dovuto soprattutto al meccanismo di finanziamento. Il meccanismo di
finanziamento è legato al fatto che il
programma istituzionale della FAO diventa sempre più piccolo, mentre i fondi
fiduciari diventano sempre più grandi. Da
italiani, dunque, diciamo che i fondi fiduciari funzionano come liste di nozze: ti do
i soldi se realizzi questo progetto. Il risultato è una FAO priva di direzione. Il
taglio dei fondi alla FAO si traduce nell’impossibilità di chiedere a chiunque, in
particolare al suo direttore generale, di
rispondere a un core programme che non
ha finanziato.
La valutazione esterna afferma inoltre
che sarebbe meglio chiudere la FAO, pro-
Camera dei Deputati
XV LEGISLATURA
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11
III COMMISSIONE
blema notevole per gli italiani, perché è
necessario adottare alcune misure. Come
ribadito in tutto il rapporto, esse riguardano il management interno, ma soprattutto gli organi di governo della FAO. È
un’affermazione fortissima che rimanda
alle responsabilità dei Governi che governano la FAO. Ciò risponde anche in parte
alla domanda attinente ai responsabili
delle decisioni.
È stato citato il meccanismo di sostegno. L’agricoltura europea è sostenuta, ma
sostiene solo la metà delle sue aziende e
nel nostro Paese l’1,1 per cento delle
aziende italiane da solo assorbe il 28 per
cento del sostegno. Il problema non è
quindi il sostegno all’agricoltura, bensı̀
l’ingiusta ripartizione di questo sostegno.
Proprio perché in questa Commissione
si discute del governo della globalizzazione, ritengo che queste politiche debbano essere valutate in base al divario
esistente tra ciò che rappresentano i Governi e ciò che le società hanno prodotto
in questi anni, dimostrando anche capacità di indicare vie d’uscita. Ritengo che il
contributo maggiore apportato dai movimenti contadini africani in modo particolare, ma non solo, si sia espresso nella
capacità di confrontarsi con l’Unione europea su un terreno tecnico come non
sono stati capaci di fare i Governi di questi
Paesi. Questo appare come un fenomeno
assolutamente grandioso da esporre in
Parlamento, giacché si constata come in
alcuni luoghi della terra la società organizzata sia in grado di contrastare, di
corrispondere e di formulare proposte e
progetti che vanno al di là delle capacità
dei propri Governi. Questo rappresenta
anche il ruolo di tramite svolto da queste
organizzazioni sociali che, pur chiedendo
solidarietà, ritengono opportuno indicare
vie d’uscita valide anche per noi.
RAFFAELLO DE BRASI. Intervengo
brevemente con una proposta. Per quanto
riguarda la considerazione sulla FAO a
testimonianza dei paradossi della governance, siamo consapevoli di come il diret-
Indagine conoscitiva – 24
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SEDUTA DEL
27
SETTEMBRE
2007
tore generale della FAO non provenga
dall’Europa, nonché dei rapporti di forza
al suo interno: parlo di numeri, non di
soldi. Ciò evidenzia la complessità dell’argomento, perché evidentemente si è verificato un compromesso che ha portato ai
risultati davanti agli occhi di tutti. Si rileva
quindi una responsabilità non solo dell’Europa, ma anche dei Governi dei Paesi
che dovrebbero beneficiare di questi aiuti.
Da qui scaturisce la complessità della
situazione. Concordo comunque sull’esigenza di cambiarla radicalmente.
In merito alla questione del partenariato, propongo che sia la Commissione e
non solo il Comitato per l’Africa ad audire
il Governo.
PRESIDENTE. Grazie. Stavo per avanzare la stessa proposta. Nel quadro di una
riflessione sulla cooperazione, poiché il
tempo stringe, sarebbe opportuno ipotizzare un percorso che conduca a un atto di
indirizzo da parte della Commissione su
questo tema. A tal fine, sarebbe utile
acquisire la vostra documentazione scritta
contenente anche alcune indicazioni da voi
suggerite. Ad esempio, nonostante i difetti
della FAO di cui si è parlato oggi, la
valutazione dell’impatto della globalizzazione sulle popolazioni locali è un documento utile per questa Commissione.
Ringrazio di nuovo in particolare monsieur Sarr, cui faccio i miei migliori auguri
per la sua visita in Europa.
Dichiaro conclusa l’audizione.
La seduta termina alle 15,30.
IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO RESOCONTI
ESTENSORE DEL PROCESSO VERBALE
DOTT. COSTANTINO RIZZUTO
Licenziato per la stampa
il 25 ottobre 2007.
Gli interventi in lingua straniera sono tradotti
a cura degli interpreti della Camera dei deputati
STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO