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1 parte-d i polimeri organici di sintesi usati nel
PARTE-D I POLIMERI ORGANICI DI SINTESI USATI NEL CONSOLIDAMENTO E NELLA PROTEZIONE DEL COSTRUITO E DEI MANUFATTI LAPIDEI CAPITOLO 1-D A ) LE RESINE ACRILICHE: SINTESI, STRUTTURA E PROPRIETA’ Le resine acriliche comprendono una vasta gamma di polimeri e copolimeri di poliaddizione che si ottengono mediante polimerizzazioni radicalica di monomeri acrilici o metacrilici ( ad es. esteri etilici e metilici dell’acido acrilico e dell’acido metacrilico ) [1,2]. Questi monomeri < are used singly or in combination, sometimes with other monomers, to give products ranging from soft, flexible elastomers to hard, stiff thermoplastics and thermosets. With this wide range of characteristics, acrylics are produced in many forms including sheet, rod, tube, and film, also pellets, beads, solutions, lattices, and reactive syrups > [3]. La struttura molecolare di alcuni monomeri acrilici e dei corrispondenti omopolimeri è riportata nelle figure 1-6 [4]. I processi di sintesi applicati industrialmente per la produzione di polimeri acrilici sono essenzialmente quelli basati su un meccanismo radicalico. < Una polimerizzazione a catena viene definita radicalica quando i portatori della catena cinetica sono radicali liberi. Un radicale libero è un frammento molecolare che si può considerare formato dalla rottura omolitica di un legame covalente, e nel quale l’elettrone spaiato risultante non partecipa ad alcun legame. La presenza di questo elettrone spaiato fa si che i radicali liberi siano di norma specie altamente reattive, capaci tra l’altro di addizionarsi a molecole contenenti legami multipli quali ad esempio etilene, stirene, cloruro di vinile, butadiene, ecc.; ciò costituisce la base della polimerizzazione radicalica > [5]. I radicali primari possono essere generati dalla rottura termica di un legame covalente, relativamente debole, di particolari sostanze definite iniziatore ( in genere un perossido oppure un azocomposto ) Nella figura 7 viene illustrata la reazione che porta alla formazione di radicali liberi a partire dalla decomposizione del 2,2’-azo-bis-isobutirronitrile, mentre nella figura 8 è mostrato come il radicale primario prodotto sia in grado di addizionarsi ad una molecola vinilica insatura dando luogo alla formazione di < un nuovo radicale generalmente più stabile del precedente che costituisce il centro attivo per la polimerizzazione. Questo processo rappresenta l‘inizio della catena; l’addizione di altre molecole di monomero avviene tramite una serie di rapide reazioni successive, che costituiscono la propagazione ( o crescita ) della catena > [5] 1 ACIDO ACRILICO ACIDO POLIACRILICO CH2- (CH)COOH [- CH2- (CH)COOH- ]n FIGURA 1: Struttura molecolare dell’acido acrilico ( monomero ), a sinistra, e del corrispondente polimero, l’acido poliacrilico, a destra. Nella figura in basso a sinistra gli atomi di carbonio sono in azzurro, gli ossigeni in rosso e gli idrogeni in grigio-chiaro[4]. ACIDO METACRILICO ACIDO POLIMETACRILICO CH2- C(CH3)COOH [- CH2- C(CH3)COOH- ]n FIGURA 2: Struttura molecolare dell’acido metacrilico ( monomero ), a sinistra, e del corrispondente polimero, l’acido polimetacrilico, a destra. Nella figura in basso a sinistra gli atomi di carbonio sono in azzurro, gli ossigeni in rosso e gli idrogeni in grigio-chiaro[4]. 2 ACRILATO DI METILE POLIACRILATO DI METILE CH2- CHCOO(CH3) [- CH2- CHCOO(CH3) - ]n FIGURA 3: Struttura molecolare dell’acrilato di metile ( monomero ), a sinistra, e del corrispondente polimero, il poliacrilato di metile, a destra. Nella figura in basso a sinistra gli atomi di carbonio sono in azzurro, gli ossigeni in rosso e gli idrogeni in grigio-chiaro[4]. METACRILATO DI METILE POLIMETILMETACRILATO CH2- C(CH3)COO(CH3) [- CH2- C(CH3)COO(CH3)- ]n FIGURA 4: Struttura molecolare del metacrilato di metile ( monomero ), a sinistra, e del corrispondente polimero, il polimetilmetacrilato, a destra. Nella figura in basso a sinistra gli atomi di carbonio sono in azzurro, gli ossigeni in rosso e gli idrogeni in grigio-chiaro[4]. 3 ACRILATO DI ETILE POLIACRILATO DI ETILE CH2- CHCOO(C2H5) [- CH2- CHCOO (C2H5)- ] FIGURA 5: Struttura molecolare dell’acrilato di etile ( monomero ), a sinistra, e del corrispondente polimero, il poliacrilato di etile, a destra. Nella figura in basso a sinistra gli atomi di carbonio sono in azzurro, gli ossigeni in rosso e gli idrogeni in grigio-chiaro[4]. ACRILATO DI BUTILE POLIACRILATO DI BUTILE CH2- CHCOO(C4H9) [- CH2- CHCOO (C4H9)- ] FIGURA 6: Struttura molecolare dell’acrilato di butile ( monomero ), a sinistra, e del corrispondente polimero, il poliacrilato di butile, a destra. Nella figura in basso a sinistra gli atomi di carbonio sono in azzurro, gli ossigeni in rosso e gli idrogeni in grigio-chiaro[4]. 4 Nella figura 9 viene illustrato il mecanismo del processo di propagazione o crescita della catena che consiste nell’addizione successiva di altre molecole di monomero al radicale formatosi come in figura 8. FIGURA 7: Polimerizzazione radicalica: processo di formazione di radicali primari per rottura del legame debole -N=Ndel 2,2’-azo-bis-isobutirronitrile che agisce da iniziatore [5]. FIGURA 8: Polimerizzazione radicalica: fase di inizio della crescita della catena; il radicale primario, prodotto come in figura 7, si addiziona ad una molecola di monomero vinilico formando un nuovo radicale, centro attivo per la reazione di polimerizzazione [5]. 5 FIGURA 9: Polimerizzazione radicalica: processo di propagazione e crescita della catena polivinilica [5]. In generale la fase di propagazione di una qualunque polimerizzazione di tipo radicalica viene rappresentata attraverso la seguente equazione: Pi*+ M ? Pi*+1 (1) dove M rappresenta la molecola di monomero, Pi* il radicale polimerico in crescita, costituito da i unità monomeriche e Pi*+1 il radicale polimerico con i+1 unità in catena. Al processo di crescita fa seguito quello di terminazione che determina la fine della propagazione con formazione di catene polimeriche inattive e con la scomparsa delle forme radicaliche. Lo schema di una generica reazione di terminazione di catena che avviene attraverso l’accoppiamento di due catene polimeriche in crescita è qui di seguito rappresentato: Pn*+ Pm* ? P(n+m) (2) La terminazione può realizzarsi anche mediante un meccanismo di disproporzionamento che vede la reazione di due molecole radicaliche in crescita con estrazione di un idrogeno e formazione di due macromolecole secondo lo schema sotto riportato che si riferisce al caso di un polimero vinilico: 6 In questo ultimo caso la polimerizzazione si conclude con la formazione di due catene diverse, una terminata con un doppio legame ( CH=CHX ) e l’altra con il raggruppamento CH2-CH2X [5]. Le varie fasi della polimerizzazione a catena del polietilene, secondo un meccanismo radicalico ( l’iniziatore è di natura perossidica ), sono raffigurate nella figura 10 [6]. FIGURA 10: Schema della polimerizzazione radicalica del polietilene. Le fasi della reazione sono: 1 ) Iniziazione; 2 ) Propagazione; 3 ) Terminazione ( vedasi testo ) [6]. Il processo di iniziazione può essere indotto anche dall’azione di radiazioni elettromagnetiche ( luce ): reazione fotoiniziata. < L’inizio fotochimica ( polimerizzazione fotoiniziata ) si può avere in diversi modi, che possono comportare il trasferimento dell’energia raggiante assorbita da una molecola di una sostanza appositamente aggiunta al sistema o presente in tracce come impurezze ( il fotosensibilizzatore ) ad un’altra molecola con successiva formazione dei radicali primari, oppure una eccitazione diretta di una molecola ( che può anche essere lo stesso monomero ) con formazione da questa dei radicali per rottura dei legami. Radiazioni ultraviolette nel campo intorno ai 360nm provocano ad esempio ….la formazione di radicali anche a bassa temperatura da perossidi ed azocomposti > [5]. La reazione fotoiniziata è particolarmente indicata nel caso di applicazioni che prevedono che il processo di polimerizzazione sia condotto a basse temperature ( ad esempio a RT ). Al contrario le polimerizzazioni radicaliche iniziate per via termica richiedono temperature relativamente elevate. 7 Mediante opportune e mirate reazioni di copolimerizzazione è possibile produrre sistemi polimerici acrilici con caratteristiche mirate alle più diverse applicazioni. < La grande diffusione delle resine acriliche è dovuta sia alla loro versatilità che alle eccezionali caratteristiche di resistenza agli agenti chimici, alle radiazioni e all’acqua……Tale inerzia chimica è connessa sia con la stabilità della catena polimerica a base di legami C-C sia con la struttura specifica acrilica o metacrilica. Spesso le resine acriliche contengono quantità variabili ( fino ad un massimo del 25% ) di comonomeri contenenti funzioni reattive ( OH, COOH, etc. ) aventi lo scopo sia di migliorare l’adesione sul substrato che di permettere di reticolare il film della vernice dopo l’applicazione > [1]. Essenzialmente i polimeri acrilici vengono prodotti attraverso quattro diversi processi di sintesi: i ) in massa; ii ) in sospensione; iii ) in emulsione; iv ) in soluzione [3]. Le resine acriliche, a seconda delle loro caratteristiche, possono afferire a due grandi famiglie: A) termoplastiche e B) termoindurenti. A ) RESINE ACRILICHE TERMOPLASTICHE Sono ottenute per polimerizzazione radicalica in soluzione ( in solventi aromatici, ad es. xileni, in presenza di perossido di benzoile come catalizzatore ). Di norma sono impiegate in soluzione; seccano all’aria per semplice evaporazione del solvente. Tra i monomeri di più largo utilizzo rientrano il metacrilato di metile, l’acrilato di etile e il metacrilato di etile [1]. Il peso molecolare varia, in genere, da 0,5 a 1x105. I polimeri a minore massa molecolare sono meno resistenti all’invecchiamento ambientale, mentre quelli con massa molecolare maggiore, a causa di una più elevata viscosità delle corrispondenti soluzioni, presentano difficoltà applicative [1]. L’impiego delle resine acriliche di natura termoplastica, spesso, prevede l’utilizzo di solventi costosi, nocivi per l’uomo e inquinanti per l’ambiente. Pertanto le procedure applicative devono sottostare a rigorosi controlli e normative. B ) RESINE ACRILICHE TERMOINDURENTI Le resine acriliche termoindurenti, prima della reazione di reticolazione, rispetto alle resine acriliche termoplastiche si caratterizzano per : a ) un minore peso molecolare ( da 5 a 10x103 ); b ) la presenza di unità monomeriche contenenti gruppi funzionali reattivi capaci di indurre processi di reticolazione [1,2,3]. Le resine acriliche termoindurenti, prodotte mediante processi di polimerizzazione radicalica in soluzione; spesso usando solventi aromatici ( xileni ), possono essere suddivise in classi diverse a 8 seconda della natura chimica del gruppo funzionale che determina la reazione di reticolazione [1]. 1 ) Resine acriliche a base ossidrilica Si ottengono per copolimerizzazione a partire da monomeri idrossi-acrilici ( ad es. CH2- C(OH)COOR ). come agenti reticolanti si usano resine melamminiche oppure diisocianati ( OCN? R? NCO ). La reazione di reticolazione avviene anche a temperatura ambiente [1]. 2 ) Resine acriliche a base acrilammide Si ricavano mediante copolimerizzazione di monomeri acrilici con acrilammide e successiva reazione con formaldeide. Alternativamente possono essere ottenute facendo reagire monomeri acrilici con metilol-acrilammide. In presenza di un catalizzatore acido la reticolazione avviene a ca. 120°C per 30 minuti. [1]. 3 ) Resine acriliche a base epossidica Sono ottenute per copolimerizzazione di meta/acrilati con metacrilatodiglicidile. La reazione di reticolazione sfrutta la presenza di diammine [1]. 4 ) Resine acriliche con funzione carbossilica Si ricavano facendo reagire meta/acrilati con acido acrilico o metacrilico. La reazione di reticolazione è indotta da resine epossidiche a base di bisfenolo A in presenza di sali di tetraalchilammonio o ammine terziarie come catalizzatori [1]. 5 ) Resine acriliche con funzioni amminiche Vengono ottenute per copolimerizzazione tra monomeri acrilici e monomeri contenenti la funzione –NH2. La reticolazione avviene in presenza di funzioni epossidiche [1]. Nel campo degli adesivi grande rilevanza rivestono i cianoacrilati ( CH2- C(C=N)COOR ). I polimeri a base di cianoacrilati si ottengono per polimerizzazione in situ dei corrispondenti monomeri in presenza di umidità [7]. < L’adesione ha luogo quando si crea un sottile strato di materiale tra le due superfici che devono essere legate insieme. La presenza di tracce di materiali basici ( anche deboli come gli alcool o l’acqua ) è sufficiente a catalizzare un processo di polimerizzazione anionica. L’adesione discende in parte dalla creazione di un legame meccanico tra il polimero e le superfici interessate e in parte dalla formazione di forze di legame secondario molto forti > [8 Come si evince dai dati della tabella 1 le proprietà dei polimeri acrilici dipendono fortemente dalla struttura molecolare del monomero di partenza [7]. Attraverso la copolimerizzazione di due o più unità comonomeriche è possibile sintetizzare prodotti con caratteristiche intermedie rispetto a quelle degli omopolimeri. Ad esempio i valori della temperatura di transizione vetrosa ( Tg ) dei copolimeri P[EMA/MA] dipenderà dalla composizione ( rapporto ponderale o molare dei due componenti ). 9 In particolare la Tg aumenta al crescere del contenuto di EMA passando dal valore di 8°C, Tg dell’omopolimero PMA ( 100% ), al valore di 65°C che corrisponde all’omopolimero PEMA ( 100% ). In accordo con quanto scritto la Tg del copolimero P[EMA/MA] ( 70/30 ) è pari a 40°C. TABELLA 1: Proprietà di polimeri acrilici in funzione della struttura molecolare dell’unità ripetitiva. In tabella sono riportati: la temperatura di transizione vetrosa Tg; l’indice di rifrazione nd, a 20/25°C; il modulo di elasticità; la stabilità secondo la classificazione di Feller ( A>100 anni, 100 anni > B >20 anni, 20 anni > C > 6 anni ) [7]. NOME ABBREVI- Tg (°C) AZIONE nd MODULO STABILITA’ POLIMETIL ACRILATO POLIETIL ACRILATO POLI-n-BUTIL ACRILATO POLI-2-ETIL ESILACRILATO POLIMETIL METACRILATO POLIETIL METACRILATO POLI-n-BUTIL METACRILATO POLIMETIL CIANOACRILATO PMA 8 1,479 C PEA -22 1,464 C PBA -54 1,474 B PEHA -55 PMMA 105 1,489 PEMA 65 1,484 A PnBMA 20 1,483 B B 3000 A 165 10 Generalmente si verifica che i copolimeri, sintetizzati a partire da due unità comonomeriche, di tipo statistico o random, danno luogo ad un sistema monofasico che presenta una unica temperatura di transizione vetrosa il cui valore dipende dalla frazione in peso dei due comonomeri. La dipendenza della Tg dalla composizione può essere analiticamente descritta attraverso le equazioni di Flory-Fox e di Gordon-Taylor qui di seguito riportate [9, 10,11,]: Flory-Fox 1/Tg = W1/Tg1 + W2/tg2 Gordon-Taylor Tg = ( W1Tg1 + KW2Tg2 )/( W1 + KW2 ) (3) (4) Dove W1 e W2 sono le frazioni in peso dei due comonomeri, Tg1 e Tg2 le corrispondenti temperature di transizione vetrose , K è un parametro collegato ai coefficienti di espansione termica dei polimeri allo stato gommoso e vetroso. B ) LE RESINE ACRILICHE NELLA CONSERVAZIONE DEL COSTRUITO E DEI MANUFATTI LAPIDEI Le resine acriliche sono usate in maniera estensiva, come consolidanti, adesivi e protettivi superficiali, nel campo della conservazione dei manufatti lapidei di interesse storico/culturale. < Applications of these synthetic polymer plastics include paint media, varnishes, stabilizers for frescoes, murals and paintings, wood finishes, metal coatings, plaster and masonry consolidants, waterproofing > [12]. I sistemi acrilici, usati nella conservazione dei manufatti lapidei, a seconda dello stato fisico e chimico dei prodotti, all’atto dell’ impiego, possono essere suddivisi in tre diverse tipologie: 1 ) polimeri preformati in soluzione; 2 ) monomeri reattivi capaci di reagire in situ; 3 ) dispersioni ed emulsioni di polimeri preformati [7]. 1 ) POLIMERI ACRILICI PREFORMATI IN SOLUZIONE Formulazioni basate su soluzioni di polimeri/copolimeri acrilici sono state ampiamente impiegate nella protezione superficiale di manufatti in pietra. in generale la procedura prevede: — la dissoluzione dei polimeri/copolimeri in idonei solventi; — l’applicazione mediante opportune tecniche ( pennello, spray, spazzola ecc. ) sulla superficie da trattare; ? l’evaporazione del solvente con formazione dello strato/film protettivo. 11 I sistemi acrilici, una volta depositatisi sul substrato si fanno apprezzare per le seguenti caratteristiche: i ) buona adesione; ii ) idrorepellenza; iii ) trasparenza; iv ) assenza di colorazioni; v ) solubilità e quindi reversibilità dei trattamenti [13]. La versatilità dei processi di polimerizzazione/copolimerizzazione,e il numero elevato di monomeri acrilici a disposizione, permettono di ottimizzare la costituzione dei copolimeri per ottenere prodotti finali con una struttura chimica desiderata e peso molecolare predefinito e quindi con caratteristiche funzionali al particolare utilizzo. I polimeri acrilici che hanno trovato impiego nei trattamenti superficiali della pietra sono. — il poliacrilato di metile ( PMA ); — il polimetilmetacrilato ( PMMA ); — il polietilmetacrilato ( PEMA ); — il copolimero P[EMA/MA] ( Paraloid ) [13]. — In commercio è possibile trovare formulazioni, a base di paraloid, diversi per: - la massa molecolare; il rapporto ponderale dei due comonomeri; la solubilità nei vari solventi; la natura chimica del solvente; la viscosità. Tra i vari paraloid quello etichettato come Paraloid ( B72 ), con un rapporto molare tra i due comonomeri pari a 70:30 e con una temperatura di transizione vetrosa di 40°C, prodotto dalla Rohm&Haas, è quello che ha trovato più largo utilizzo nella protezione della pietra [7,10]. Recentemente la tecnica della risonanza magnetica nucleare per immagine, ha permesso di visualizzare la distribuzione spaziale dell’acqua assorbita in pietre porose trattate con Paraloid B72 ( vedasi figura 11 ). Dall’esame delle immagini riportate nella figura 11 emerge come i campioni trattati con Paraloid mostrano una maggiore idrorepellenza di quelli non trattati [14]. Gli studi effettuati hanno permesso di stabilire una stretta correlazione tra il segnale di risonanza magnetica nucleare di immagine e la quantità di acqua assorbita per unità di volume, determinata per via convenzionale ( vedasi figura 12 ) [14]. Il comportamento alla degradazione fotochimica del paraloid B72, del PMA, del PEMA, e del PMMA è stato studiato da S. Bracci e M. J. Melo sottoponendo campioni dei vari polimeri all’azione della luce naturale e delle radiazioni emesse da una lampada a xeno per tempi variabili. I processi degradativi indotti e le modificazioni chimiche causate sono state determinate analizzando i campioni irraggiati mediante la tecnica della cromatografia ad esclusione e la spettroscopia IR [15]. Lo studio ha permesso agli Autori di ricavare le seguenti conclusioni: ? nessuno dei polimeri analizzati subisce fenomeni di colorazione dopo un invecchiamento accelerato di 4000h o 60 mesi di invecchiamento naturale; 12 ? solo nel caso del PMA si osserva perdita di peso; ? l’esposizione alle radiazioni determina nei campioni una riduzione del peso molecolare medio a cui si accompagnano dei processi di modificazione chimica che comunque risultano essere meno marcati nel caso del paraloid ( vedasi figure 13 e 14 ) [15]. FIGURA 11: Applicazione della tecnica di risonanza magnetica nucleare per immagine alla definizione della distribuzione spaziale dell’acqua assorbita in campioni pietra porosa: a ) campioni non trattati; b ) campioni trattati con Paraloid B72. Le regioni in nero sono secche; quelle in grigio contengono acqua assorbita [14]. FIGURA 12: Relazione tra il segnale di risonanza magnetica nucleare per immagine e la quantità di acqua assorbita da parte di un campione di pietra porosa. In figura, D è la massa di acqua per unità di volume [14]. 13 Come si evince dai dati della tabella 2 il Paraloid B72 mostra una efficacia protettiva nei confronti dell’umidità notevolmente maggiore di quella esplicata da altri polimeri acrilici. I dati riportati nella tabella 2 si riferiscono a campioni di marmo dolomitico trattati con soluzioni di polimeri diversi, essiccati e quindi sottoposti ad invecchiamento accelerato e naturale per tempi crescenti [13]. L’impiego di polimeri acrilici preformati richiede, all’atto dell’applicazione, che la soluzione sia molto diluita e questo non solo per permettere la penetrazione in profondità ma anche per evitare che l’evaporazione del solvente possa determinare il riflusso del polimero sulla superficie della pietra trattata [16]. TABELLA 2: Efficacia nella protezione contro l’umidità, E(%), di polimeri acrilici di varia natura nel caso di campioni di marmo dolomitico prima trattati con una soluzione contenete i polimeri e quindi, dopo essiccamento, sottoposti ad invecchiamento accelerato e naturale (solo per il Paraloid B72, (PB72) ) per tempi diversi [13]. INVECCHIA MENTO ACCELERATO (T Irr., h) 0 500 1000 2000 2500 3000 4000 E(%) PMA E(%) PEMA E(%) PMMA E(%) PB/72 94 67 45 5 - 95 90 82 63 7 0 - 93 50 25 7 - 93 93 92 88 80 60 35 INVECCHIA MENTO NATURALE (T esposizione, mesi) 0 6 12 30 42 60 E(%) PB72 96 95 92 75 70 60 14 FIGURA 13: Cromatogrammi di esclusione di campioni di Paraloid B72: -curva piena, campione tal quale; -curve sottili, campioni sottoposti all’azione di lampada allo xeno ( (a) 500 h, (b) 1000 h ) [15]. FIGURA 14: Spettro FT-IR di campioni di Paraloid B72 prima e dopo irraggiamento con lampada allo xeno [15]. 15 2 )MONOMERI REATTIVI CAPACI DI REAGIRE IN SITU La natura macromolecolare dei prodotti polimerici rappresenta la causa di molte delle problematiche connesse al loro impiego come consolidanti/protettivi di strutture in pietra. E’ ben noto infatti che l’ ingombro medio di una catena macromolecolare aumenta con la radice quadrata del valore del peso molecolare. Una macromolecola in soluzione presenta una conformazione a gomitolo statistico( random coil ) il cui ingombro è proporzionale alla distanza quadratica media tra le due estremità ( <r2> ). La relazione che lega <r2> ai parametri molecolari e strutturali della macromolecola è qui di seguito riportata: <r2>= a2 <r02>= a2 NI2 [(1 + cos?)/(1- cos?)] [(1+ < cosf >)/ (1 - < cosf >)] (5) Nella (5) N è il numero di legami con lunghezza I; ? è l’angolo supplementare all’angolo di legame; a è un fattore di espansione che tiene conto delle perturbazioni derivanti dalle interazioni a long range e < cosf > è il valore medio del coseno dell’angolo di rotazione interno [14]. Nel caso di una catena polietilenica: I=1,5 A°; cos? = 1/3 ( essendo l’angolo di legame tetraedrico ) e < cosf > = 0,22 ( assumendo che gli angoli di rotazione interna siano solo di tipo trans e gauche ), la (5) si scrive: <r2> = a2 6,97N (6) Per una catena di polietilene avente un peso molecolare relativamente basso ( MW= 28000 ) N è uguale a 2000, pertanto la (6) diventa <r2> = a214x103 (7) In un buon solvente a assume il valore di ~1,5, quindi <r2>= 30x103 A° (8) da cui si ricava che una macromolecola di polietilene a basso peso molecolare si caratterizza per un ingombro che risulta essere dato dalla seguente relazione: <r2>1/2 = 150 A°; (9) Da quando sopra è possibile concludere che una macromolecola in soluzione, in genere, presenta un ingombro medio che non le permette di penetrare all’interno dei pori di un sistema lapideo aventi una dimensione < 20 A° ( vedasi figura 15 ) [17]. Per ovviare all’inconveniente di cui sopra è stata sviluppata la tecnica della polimerizzazione in situ la quale è basata sulle seguenti operazioni: 16 1 ) trattamento dei manufatti lapidei con monomeri acrilici liquidi oppure in soluzione con l’aggiunta di un idoneo catalizzatore; 2 ) penetrazione dei monomeri in profondità (queste sostanze per il loro basso peso e ingombro molecolare hanno la capacità di penetrare più facilmente dei polimeri preformati all’interno della pietra anche all’interno dei micropori); 3 ) iniziazione e polimerizzazione radicalica dei monomeri all’interno dei pori; 4 ) allontanamento dalla superficie del monomero/solvente in eccesso ( vedasi schema in figura16 ). FIGURA 15: Rappresentazione schematica attraverso cui viene mostrata come una macromolecola in soluzione presenta un ingombro medio tale da non permetterle di penetrare all’interno di micropori con dimensioni inferiori a 20 A° [17]. La metodologia della polimerizzazione in situ è stata applicata fin dagli anni 1960s per il consolidamento di manufatti in pietra naturale e artificiale. Come monomeri reattivi venivano impiegati il metil metacrilato ( MMA ), il n-butil metacrilato (nBMA ) e l’etileneglicoledimetil acrilato [7]. Il metilmetacrilato può essere convenientemente trasformato in polimetilmetacrilato riscaldandolo in presenza di un iniziatore, per effetto di radiazioni gamma e, a temperatura ambiente, in presenza di una appropriata combinazione di promotori e iniziatori. 17 PIETRA NON TRATTATA ASSORBIMENTO MONOMERO REATTIVO POLIMERIZZAZIONE RADICALICA IN SITU PIETRA IMPREGNATA CON MONOMERO PIETRA CONSOLIDATA CON POLIMERO FIGURA 16: Le varie fasi di consolidamento di un manufatto lapideo attraverso il processo basato sulla metodica della polimerizzazione radicalica in situ. 18 < For thermal polymerisation, the chemical initiator ( catalyst ) 2,2’-azobis(isobutyronitrile) has been found to be effective. Heating blankets could be used to polymerise thermally methylmethacrylate or other monomers applied to stone structure. Polymerisation by radiation must be usually carried out in special chambers because of the radiation hazards. Chemical promoters convert initiators into free radicals at ambient temperatures, and the free radicals induce the polymerisation of methylmethacrylate > [16]. Qui di seguito sono descritte alcune recenti metodiche, riportate in letteratura, concernenti trattamenti di consolidamento in situ di materiali in pietra con monomeri acrilici di varia natura. ? S. Vicini et Al., hanno applicato la tecnica della polimerizzazione in situ su campioni di pietra Finale leggera ( una pietra calcarea sedimentaria di origine biogenetica caratterizzata da una alta porosità ) utilizzando una miscela di due monomeri acrilici: l’etilmetacrilato (EMA) e il metilacrilato (MA). La composizione usata ( 67% EMA; 33% MA ) si avvicina a quella del Paraloid B72 [17]. La procedura seguita ha visto le seguenti fasi: – assorbimento della miscela dei due monomeri, disciolti in acetone, per capillarità ( i campioni di pietra, 5x5x2cm, sono disposti su di uno strato di cotone imbevuto della soluzione contenente oltre alla miscela dei due monomeri anche il catalizzatore, il 2,2’azobisisobutirronitrile ( AIBN ), tempo di assorbimento pari a 4 ore ); – polimerizzazione in situ dei due comonomeri a 50°C per 24 ore; – eliminazione del solvente e dei monomeri in eccesso e essiccazione [17]. Al fine di valutare l’effetto consolidante e protettivo sui campioni trattati sono state eseguite le seguenti determinazioni: a ) profondità di penetrazione all’interno dei campioni di pietra; b ) assorbimento di acqua per capillarità e per immersione completa; c ) permeabilità al vapore d’acqua; d ) angolo di contato. Il comportamento dei campioni consolidati attraverso la tecnica della polimerizzazione in situ è stato confrontato con quello di campioni non trattati e con quello di campioni trattati con una formulazione a base di Paraloid B72 (una soluzione di polimero, 3% wt/vol., in acetone è stata spennellata sulle varie facce dei campioni di pietra; l’operazione è stata ripetuta per 6 volte ). Alcuni dei risultati sono evidenziati attraverso i dati riportati nella tabella 3 e nelle figure 17 e 18. Dagli studi condotti da S. Vicini et Al. è stato possibile evidenziare che: ~ la miscela di unità comonomeriche è capace di penetrare fino ad una profondità di 9cm, contro i 2,5cm osservati nel caso del Paraloid; ~ i campioni trattati con la tecnica della polimerizzazione radicalica in situ ( vedasi curve in figura 17 ) a parità di tempo assorbono una quantità di acqua, per capillarità e per immersione completa, sensibilmente inferiore di quella relativa ai campioni non trattati e a quelli trattati con Paraloid; ~ la permeabilità al vapore d’acqua viene ridotta, a seguito del trattamento con la miscela di monomeri acrilici e successiva polimerizzazione in situ, a valori accettabili per garantire un sufficiente grado di traspirazione [17]. 19 Da tutto quanto sopra riportato gli Autori concludono: <…., .it has been proved that the protective properties of the in situ polymerised copolymer are nearly always superior to the ones of the commercial copolymer. This means that there is a better pore filling increasing the resistance to water penetration even if leaving a good permeability to vapour. It is obvious that some synthetic parameters must still be optimised, specifically it will be necessary to reduce the polymerisation temperature to 25-30°C and verify, under this conditions, the initiator behaviour that should guarantee a sufficiently brief polymerisation time and relatively low molecular weights > [17]. TABELLA 3: Valori del coefficiente di assorbimento di acqua per capillarità ( CA ) e per immersione completa(CI ), della permeabilità al vapore di acqua ( PWV ) e dell’angolo di contatto( Ac ) di campioni di pietra Finale tal quali, trattati con una formulazione a base di Paraloid e consolidati attraverso una polimerizzazione in situ a partire da una miscela di monomeri acrilici ( EMA/MA ) ( 67/33 ) [17]. CAMPIONI CA ( mg/cm2t1/2 ) Pietra non trattata 0,39 Pietra trattata con 0,12 Paraloid Pietra trattata 0,05 mediante polimerizzazione in situ CI (%) 2,2 1,7 PWV (g/m2) 60-100 - Ac (°) 0 100 0,5 20 90 ? L’efficacia di una procedura di polimerizzazione in situ nel consolidamento della pietra, basata essenzialmente sull’impiego di una miscela di monomeri acrilici quali il butilmetacrilato ( BMA ) e l’etilacrilato ( EA ), è stata indagata da S. Vicini et Al. [18]. I due comonomeri sono stati scelti al fine di realizzare un copolimero con una Tg inferiore alla RT assumendo che un polimero abbia una migliore attitudine ad agire da consolidante se alla temperatura di servizio si trova in uno stato gommoso. Infatti è ben noto che una delle problematiche connesse all’impiego del Paraloid B72, costituito da un copolimero ( EMA/MA ) ( 70/30 ), deriva dal fatto che la sua Tg, è pari a 41°C, pertanto alla temperatura di servizio questo prodotto presenta un comportamento vetroso che si caratterizza per una elevata rigidità e fragilità. 20 a) FIGURA 17-a): Curve di assorbimento di acqua per capillarità di campioni di pietra Finale . b) FIGURA 17-b ): Curve di assorbimento di acqua per immersione completa di campioni di pietra Finale. ? campioni non trattati; o trattati con Paraloid; ? trattati con una miscela di monomeri acrilici ( EMA/MA ) polimerizzati in situ [17]. 21 La Tg del polibutilmetacrilato e del polietilacrilato è rispettivamente uguale a 20 e a –20°C; pertanto è possibile, scegliendo una opportuna composizione, realizzare un copolimero con una Tg < RT. Al fine di migliorare la resistenza alla degradazione ambientale indotta dalle radiazioni solari i due monomeri acrilici, BMA/EA, prima della reazione di polimerizzazione in situ, sono stati miscelati con un copolimero fluorurato preformato ( Tecnoflon TN, vinilidenefluoruro / esafluoropropilene/ tetrafluoroetilene ( 64/19/17% ) avente una Tg di –14°C ) oppure con un altro monomero, il 2,2,2trifluoroetilmetacrilato ( TFEMA ) [18]. In particolare lo studio ha visto la preparazione e la caratterizzazione di campioni di pietra Finale ( 5x5x2cm ) sottoposti ai seguenti trattamenti: Campioni (A): di riferimento non trattati; Campioni (B): prima impregnati con una soluzione acetonica contenente una miscela di BMA/EA e l’iniziatore (AIBN) e successivamente portati a 30°C per 96h al fine di permettere la polimerizzazione in situ dei monomeri acrilici; Campioni (C): previamente impregnati con una soluzione acetonica contenente una miscela costituita dalla coppia dei monomeri BMA e EA, dal 2%wt di polimero preformato Tecnoflon TN e dall’iniziatore AIBN e quindi condizionati a 30°C per 96h per fare avvenire la polimerizzazione radicalica dei monomeri acrilici; Campioni (D): trattati con una soluzione acetonica contenente la miscela di comonomeri BMA/EA/TFEMA e l’iniziatore AIBN e successivamente tenuti per 96h a 30°C affinché si realizzasse la reazione di copolimerizzazione radicalica dei tre comonomeri; Campioni (E): impregnati direttamente con una soluzione a base del copolimero preformato P(BMA/EA). Prove di invecchiamento accelerato sono state eseguite su film di copolimeri preformati BMA/EA ( 70/30 wt% ) e BMA/EA/TFEMA ( 61/28/11 wt% ) allo scopo di indagare l’effetto della presenza di unità comonomeriche fluorurate sul comportamento alla fotoossidazione. Dall’andamento delle curve di size-exclusion chromatography ( SEC ), riportate in figura 18, e dagli spettrogrammi FT-IR si ricava che: < Throughout the whole irradiation process the apparent weight losses of the two copolymers were limited to less than 10%, whereas the amount of insoluble polymer became very large. Such crosslinked structures grew rapidly in both copolymers after an induction time of less than 200h up to about 90% at the final time of treatment > [18]. L’allargamento della curva di SEC verso tempi di ritenzione minori indica che il processo di degradazione che si verifica a partire dalle prime fasi produce, attraverso reazioni di accoppiamento e di ramificazione, molecole con più elevata massa molecolare. I risultati dello studio riportato nel riferimento [18], facendo riferimento alla tabella 4, sono qui di seguito riassunti. i ) Dai test di abrasione emerge che la perdita di peso dei campioni consolidati con procedure che prevedono la polimerizzazione in situ dei comonomeri acrilici risulta essere minore di quella osservata nel caso di campioni trattati con il copolimero preformato BMA/EA. 22 FIGURA 18: Curve di Size exclusion Chromatography di campioni di film di copolimeri BMA/EA sottoposti ad irraggiamento ( lampada allo xeno ) per tempi diversi. Curva solida- campioni non irradiati; Curva tratteggiata- 100h: Curva tratteggiata-punteggiata- 200h Curva punteggiata- 500h [18]. Le curve che si riferiscono a trattamenti con formulazioni contenenti TN e TFEMA praticamente si sovrimpongono a quelle relative a campioni consolidati solo con la miscela di monomeri acrilici. ii ) Nei confronti dell’assorbimento di acqua per capillarità il migliore comportamento è mostrato dai campioni trattati con formulazioni contenenti oltre che i monomeri BMA e EA anche il polimero preformato TN oppure il monomero TFEMA ( vedasi i dati in tabella 4 ). iii ) I dati relativi alla permeabilità al vapore d’acqua mostrano che la riduzione osservata nei campioni trattati con formulazioni che prevedono una polimerizzazione in situ ( va dal 33 al 50%, inferiore a quella di campioni trattati con il copolimero preformato ( 57% ) ) rimane in limiti accettabili [18]. ? Recentemente N. Proietti et Al. [19] hanno applicato la tecnica della risonanza magnetica nucleare unilaterale ( NMR ) e quella della risonanza magnetica nucleare per immagine ( MRI ) per determinare il contenuto di acqua e la distribuzione dei pori nel caso di campioni di pietra Finale ( 5x5x2cm ) sottoposti a varie tipologie di trattamenti. Campioni (A): di riferimento non trattati; 23 TABELLA 4: Coefficiente di assorbimento di acqua per capillarità (CA), efficacia nella protezione all’acqua (EP), permeabilità al vapore d’acqua (PWV), riduzione della permeabilità al vapore d’acqua (RP), e angolo di contatto (Ac) (a°) per campioni di pietra Finale sottoposti a varie procedure di consolidamento ( vedasi prima colonna e testo ) [18]. CA EP PWV RP Ac CAMPIONI DI (g/cm2t1/2) (%) (gm2 (%) (a°) PIETRA FINALE 24h) NON 15,4 30 TRATTATO BMA/EA (75/25) 2,0 86 20 33 86 Copolimerizzati in situ BMA/EA (75/25 +2wt% TECNOFLON) polimerizzati in situ BMA/EA/TFEMA (73/24,5/2,5) Polimerizzati in situ 1,1 93 15 50 93 1,1 93 17 43 95 COPOLIMERO PREFORMATO BMA/EA (75/25) 8,8 44 13 57 93 Campioni (B): prima impregnati con una soluzione acetonica ( 20% vol/vol ) contenente una miscela di BMA/EA e l’iniziatore (AIBN) e successivamente portati a 50°C per 24h al fine di permettere la polimerizzazione in situ dei monomeri acrilici; Campioni (C): condizionati con una formulazione costituita da acetone ( solvente ), dal monomero acrilico, l’1,6-esandiolo diacrilato ( HDDA ) e l’AIBN e quindi tenuti a 50°C per 24h per lasciare avvenire la polimerizzazione in situ; Campioni (D): prima trattati come i campioni (C) con la differenza che la polimerizzazione in situ viene realizzata attraverso la procedura “frontale” la quale consiste nel mettere a contatto con una piastra tenuta a 200°C solo una delle facce del campione impregnato con la soluzione contenente l’HDDA. 24 Campioni (E): impregnati con una formulazione a base del copolimero preformato, il Paraloid B72. Circa le potenzialità della tecnica di risonanza magnetica nucleare unilaterale nella diagnostica applicata alla conservazione dei beni culturali N. Proietti et Al. hanno scritto: < …. we used unilateral NMR, an innovative non destructive NMR technique, able to characterize not only the water content in porous materials, but also its relaxation values, strictly connected to pore size distribution…. The main advantage of unilateral NMR is that being non invasive and fully portable it can be performed directly on large objects such as monuments, churches and in general any building. Many analytical traditional techniques, such as all kind of porosimetry or gravimetric methods and also NMR, both imaging and relaxometry, allow to evaluate the amount of water absorbed in porous materials. All these methods however require sampling. Sampling can be avoided using an unilateral NMR instrument….. In this paper the results obtained with unilateral NMR are compared with the corresponding ones obtained by Magnetic Resonance Imaging (MRI), a powerful technique providing an excellent tool to visualize the presence of mobile species in any material > [19]. Dagli studi condotti, N. Proietti et Al., hanno potuto mettere in evidenza che: 1 ) L’intensità del segnale di risonanza magnetica nucleare unilaterale (NMR) risulta essere molto debole nel caso di campioni secchi di pietra Finale tal quali e in quelli trattati con paraloid B72, al contrario in quelli trattati con polimerizzazione in situ o frontale il segnale, dovuto alla presenza di polimero nei pori, è molto intenso. 2 )I campioni umidi non trattati e quelli impregnati con paraloid B72 presentano un segnale, dovuto essenzialmente alla presenza di acqua nei pori, molto intenso a dimostrazione del fatto che questo ultimo trattamento è poco efficace nei confronti dell’assorbimento dell’acqua. 3 ) L’intensità del segnale, di cui sopra, risulta essere molto ridotto nel caso di campioni trattati con la metodologia della polimerizzazione in situ e frontale e che successivamente hanno assorbito acqua. Questa ultima osservazione, avvalorata da determinazioni del coefficiente di assorbimento di acqua per capillarità, indica che questi trattamenti inducono una idrorepellenza ai campioni di pietra Finale. Da quanto sopra emerge in definitiva che la tecnica della risonanza magnetica nucleare unilaterale è < an inexpensive and simple technique for the non invasive observation of the water uptake in porous materials and that it can be used for measurements “in situ” on monuments and buildings and, in general, on items belonging to the Cultural Heritage > [19]. Inoltre è stato possibile concludere che i trattamenti con monomeri acrilici che prevedono una reazione di polimerizzazione in situ che fa seguito al processo di impregnazione e di penetrazione della formulazione all’interno del manufatto lapideo mostrano una efficacia protettiva nei confronti di alcuni fattori di degradazione che risulta essere, relativamente ai campioni di pietra studiati e nelle condizioni di sperimentazione investigate, superiore a quella di trattamenti basati sull’impiego di soluzioni di analoghi polimeri acrilici preformati. La versatilità del metodo della polimerizzazione in situ permette di modificare la composizione della miscela reagente polimerizzando in situ copolimeri con una Tg prefissata e con un contenuto di unità fluorurate mirate a migliorare la repellenza all’acqua [18]. 25 In particolare è stato osservato come l’impiego di copolimeri con Tg < RT e quindi alla temperatura di servizio in uno stato viscoso-elastico e gommoso, favorisca l’adesione e la resistenza meccanica delle pietre trattate.[18]. Dal punto di vista applicativo la tecnica della polimerizzazione in situ e quella frontale possono essere utilmente impiegate nel trattamento di oggetti con relativamente piccole dimensioni e di superfici limitate di monumenti ed edifici. Il trattamento di pietre porose e del calcestruzzo con la tecnica della polimerizzazione radicalica in situ risulta essere efficace solo se la formulazione usata ha la capacità di penetrare in profondità. Quando questo si verifica allora è stato possibile constatare che il trattamento può indurre, tra l’altro, sostanziali e durevoli miglioramenti alle caratteristiche meccaniche di materiali lapidei porosi. Nel caso di consolidamento in situ di manufatti in pietra naturale o in calcestruzzo con monomeri i cui corrispondenti polimeri hanno una Tg > RT ( ad es. il metilmetacrilato ) dall’andamento delle curve sforzo-deformazione si ricava che il sistema nel suo insieme ha un comportamento fragile [20]. 3 ) DISPERSIONI DI POLIMERI ACRILICI PREFORMATI Alcuni polimeri acrilici sono applicati allo stato di dispersione ( emulsione ). < Una dispersione è un sistema (stabile o instabile) costituito da più fasi (di solito due) in cui la prevalente è detta disperdente e le altre disperse. Caratteristica delle dispersioni è che le varie fasi sono eterogenee e che le fasi disperse hanno dimensioni superiori alle grandezze colloidali (diametro > 1 µm). Se la fase disperdente è liquida si possono avere schiume quando la fase dispersa è gassosa, emulsioni quando è liquida e sospensioni quando è solida. Se la fase disperdente è gassosa, si parla di nebbia quando la fase dispersa è liquida e di fumo se è solida > [21]. In genere il termine dispersione polimerica indica un sistema a due fasi costituito da un insieme di particelle di natura polimerica, idrofobe, di forma sferoidale, con diametro nell’ordine dei micron [ fase dispersa ( polimero ) ], disperse in un mezzo acquoso [ fase disperdente acqua ]. Nell’uso comune le dispersioni polimeriche vengono chiamate anche emulsioni o lattici. < ….caratteristica che è alla base della maggior parte delle applicazioni tecnologiche dei lattici, dovuta alla natura polimerica delle particelle disperse, è che essi, salvo rari casi, danno luogo ad una pellicola continua e coerente dopo l’applicazione e l’evaporazione del mezzo acquoso….. …I lattici sono classificabili secondo la natura chimica dei monomeri che compongono la fase dispersa, oppure secondo le proprietà fisiche ( diametro delle particelle, natura viscoelastica del polimero in dispersione ), o il tipo di tensioattivo ( anionico, cationico, non ionico ) o di colloide protettore, o per campi di impiego ( adesivi, pitture, patinatura della carta, etc. ) > [22]. Il meccanismo di formazione di film da una dispersione polimerica viene così descritto nel riferimento [7]: < An emulsion sets to a film, first by loss of the dispersant, usually water, and then by coalescence of the small particles. In order for this to happen the particles must be soft enough to flow into one another > [7]. 26 Le dispersioni di polimeri acrilici, definite di sintesi se vengono ottenute direttamente mediante la tecnica di polimerizzazione dei monomeri in emulsione, cominciarono a trovare applicazioni significative in vari settori di impiego a partire dagli anni 1950s. . La metodica della sintesi dei polimeri in emulsione è basata sulle seguenti operazioni. 1 ) Formazione della Emulsione: Monomero/ Acqua. Il monomero liquido è versato lentamente in un recipiente contenente acqua. Il sistema viene sottoposto ad agitazione in presenza di agenti emulsionanti ( tensioattivi che hanno la funzione di stabilizzare le micelle di monomero in emulsione e impedire il processo di coalescenza ) fino alla formazione di una fase dispersa costituita da minuscole particelle di monomero. 2 ) Polimerizzazione e Formazione della Dispersione: Polimero/Acqua. Alla emulsione monomero/acqua viene aggiunto il catalizzatore per fare partire la reazione di polimerizzazione che procede, separatamente, in ogni singola particella. Il processo conduce all’ottenimento di una emulsione di particelle di polimero disperse in acqua 3 ) Agglomerazione delle Particelle Viene eseguita quando si desidera aumentare la dimensione media delle particelle disperse [22]. Le dimensioni delle particelle di un polimero in emulsione determinano la viscosità, il comportamento reologico, la stabilità e la capacità di penetrazione in supporti porosi della stessa dispersione. Va sottolineato il fatto che generalmente nelle dispersioni di polimero le micelle non hanno la stessa dimensione ma presentano una distribuzione statistica dei diametri: lattici polidispersi. Dispersioni polimeriche a partire da polimeri preformati, definite artificiali, sono ottenute mediante emulsionamento di soluzioni oppure attraverso tecniche basate sul principio dell’inversione di fase e dell’auto-emulsionamento [22]. La possibilità di avere a disposizione una vasta gamma di monomeri la cui polimerizzazione porta all’ottenimento di polimeri aventi valori della temperatura di transizione vetrosa e caratteristiche variabili in un ampio intervallo consente di sintetizzare polimeri in dispersione con proprietà mirate alle singole applicazioni. Le dispersione acriliche in commercio ( nella gran parte dei casi, copolimeri di due o più monomeri ) si caratterizzano per: ? una distribuzione molto fine delle dimensioni delle particelle; ? un grande potere legante; ? caratteristiche chimico fisiche eccellenti. I film derivanti dalle dispersioni acriliche mostrano: ? una elevata resistenza agli UV; ? una elevata capacità di idrorepellenza; ? buna resistenza all'idrolisi. Le proprietà di alcune delle più comuni dispersioni di polimeri acrilici in acqua, usate nel campo della conservazione di materiali diversi sono elencate nella tabella 5 [7]. La dispersione acrilica commercializzata dalla Rohm & Haas come Primal AC33 [ un copolimero acrilico costituito essenzialmente da etilacrilato ( EA ) e metilmetacrilato ( MMA )], vedasi tabella 5, ha trovato applicazione come consolidante nel restauro di antiche costruzioni in muratura, di 27 pietre delaminate e di malte. Intorno ai primi anni 1990s, avendo la Rohm & Haas cessata la produzione del Primal AC33, sono apparse in commercio dei prodotti similari commercializzati da case diverse. Recentemente alcune di queste dispersioni acriliche sono state caratterizzate dal punto di vista chimico fisico e le loro proprietà sono state messe a confronto con quelle del Primal AC33 ( vedasi lavori citati nei riferimenti [23,24 e 25] ). Le dispersioni studiate nei sopra citati lavori sono le seguenti: • PRIMAL AC33: vedasi tabella 5. •PRIMAL B60A: un copolimero etilacrilato/metilmetacrilato prodotto dalla Rohm & Haas e commercializzato dalla Phase ( Firenze, Italia ) [ viscosità ( a 25°C ) = 1125 (mPa.s); pH = 9,6; contenuto secco ( 130°C-1h ) = 47 (% wt/wt) ]. •ACRILEM IC15: un copolimero etilacrilato/metimetacrilato commercializzato dalla Bresciani ( Milano, Italia ) [ viscosità ( a 25°C ) = 440 (mPa.s); pH = 9,6; contenuto secco ( 130°C1h ) = 41 (% wt/wt) ].. •ACRILEM IC79: un copolimero etilacrilato/metilmetacrilato prodotto e commercializzato dalla ICAP-SIRA ( Parabiago, Milano, Italia ) [ viscosità ( a 25°C ) = 3400 (mPa.s); pH = 9,6; contenuto secco ( 130°C-1h ) = 45 (% wt/wt) ]. •ACRILEM IC79A: un copolimero etilacrilato/metilmetacrilato prodotto e commercializzato dalla ICAP-SIRA [ viscosità ( a 25°C ) = 115 (mPa.s); pH = 4,2, contenuto secco ( 130°C-1h ) = 46 (% wt/wt) ]. Sui film sottili, ottenuti per casting dalle corrispondenti dispersioni, è stata determinata la resistenza: — — — — — all’acqua; ai solventi; alla foto-ossidazione; alla termo-ossidazione; alle deformazioni meccaniche in trazione [23]. La resistenza all’acqua e ai solventi è stata valutata determinando la % di rigonfiamento [ (SW %) ] utilizzando la relazione: (SW %) = 100 ( Ws-W0 )/Wo (10) Dove W0 e Ws sono rispettivamente il peso del campione di film prima e dopo l’immersione in acqua/solvente per un periodo di tempo prefissato. Le prove sono state effettuate sui campioni di film così come ottenuti dal casting e su quelli sottoposti ad invecchiamento accelerato artificiale in una camera solar-box con lampada allo xeno. I risultati sono mostrati nelle tabelle 6 e 7 [23]. La resistenza all’acqua e ai solventi fornisce, rispettivamente, una misura della stabilità ambientale dei film e una indicazione circa la reversibilità dei trattamenti di restauro. Un film ha un comportamento ottimale nel campo del restauro conservativo ( elevata durabilità ambientale e reversibilità ) se presenta bassi valori della SW% all’acqua ( valori negativi di SW% 28 indicano una parziale dissoluzione del film ) e alti valori di SW% ai solventi. Dai dati delle tabelle 6 e 7 si ricava che: TABELLA 5: Proprietà [ pH, dimensione media delle particelle ( D ), contenuto secco ( CS ), viscosità ( V ), temperatura di transizione vetrosa dei film ( Tg ) ] di dispersioni acriliche commerciali [7]. PRODOTTO PrimalAC33 PrimalAC61 PrimalAC73 PrimalAC634 PrimalN560 PrimalWS24 PrimalWS50 Texicryl13002 PlextolB500 PlextolD360 COMPO- pH SIZIONE EA(60)/ 9,2 MMA(40)/ EMA(?) 9,8 D (µm) 0,1 CS V Tg (%) (Pa.s) (°C) 46 6 16 0,1 46 O,06 16 9,5 0,1 46 025 32 MMA(65)/ 9,8 EA(35) 0,1 46 1,2 7 BA(?) 8 0,1 55 0,100,13 7 0,03 36 39 38 36 7,1 EA(65)/ 9,2 MMA(35)/ EMA(?) EA(60)/ 9,5 MMA(40)/ EMA(?) 7,5 0,25 55 0,75 ~-40 0,10,2 50 1,14,5 <29 0,3 60 1-3 <-8 ? la resistenza all’acqua, a parità di tempo, diminuisce fortemente nei campioni invecchiati e in corrispondenza di condizioni alcaline e acide; ? i campioni invecchiati sono completamente solubili in acetone e parzialmente solubili in tricloroetilene e cloroformio. Questo ultimo risultato porta alla conclusione che gli eventuali trattamenti conservativi effettuati con le dispersioni in esame sarebbero caratterizzati da una buona reversibilità. 29 TABELLA 6: Resistenza all’acqua determinata dal valore del rigonfiamento (%), attraverso la relazione (10), di campioni di film ottenuti per casting dalle dispersione acquose di copolimeri acrilici diversi. Le prove si riferiscono a campioni tal quali (Unaged-UN ) e a campioni invecchiati artificialmente ( Aged-AG, 400h in camera solar box con lampada allo xeno ) immersi in acqua per un tempo (T) di 6 e 24 h e in corrispondenza di un pH di 7, 2,5 e 12,5 [23]. Campione T Primal Primal Acrilem Acrilem Acrilem (h) AC33 B-60A IC15 IC79 IC79A pH=7, UN 6 6,8 13,5 11,4 9,3 11,1 24 21,5 90.0 21,0 67,3 22,7 pH=7, AG 6 25,5 31,8 18,6 90,8 20,9 24 63,3 100 48,2 113,8 29,4 PH=2,5,UN 6 9,3 8,7 13,9 6,1 30,3 24 62,3 27,5 17,2 13,4 45,8 PH=2,5,AG 6 120,3 63,6 18,3 268,0 213,0 24 124,1 114,5 51,7 420,0 214,8 PH=12,5,UN 6 15,6 7,5 7,7 13,1 16,5 24 33,3 35,5 23,2 15,2 35,0 PH=12,5,AG 6 -15,0 -49,2 7,7 -72,8 -57,7 24 -35,3 -49,2 8,7 -74,3 -59,1 TABELLA 7: Resistenza ai solventi determinata dal valore del rigonfiamento (%), attraverso la relazione (10), di film ottenuti per casting dalle dispersione acquose di copolimeri acrilici di varia natura. Le prove si riferiscono a campioni tal quali (Unaged-UN ) e a campioni invecchiati artificialmente ( Aged-AG per 400h in solar box con lampada allo xeno ) immersi in vari solventi per un 1h. Nella tabella: Sol=completamente solubile; Parz.sol.= parzialmente solubile [23]. Campioni UN AG solvente Primal AC33 Etanolo 52,4 Acetone Sol. tricloroetilene Sol. Cloroformio Sol. Etanolo Parz.sol. Acetone Sol. Tricloroetilene Parz.sol. cloroformio Parz.sol. Primal B-60A 34,3 Sol. Sol. Sol. 10,3 Sol. Parz.sol. Parz.sol. Acrilem IC15 58,4 Sol. Sol. Sol. Parz.sol. Sol. Parz.sol. Parz.sol. Acrilem IC79 80,7 Sol. Sol. Sol. Parz.sol. Sol. Parz.sol. Parz.sol. Acrilem IC79A 73,2 Sol. Sol. Sol. Parz.sol. Sol. Parz.sol. Parz.sol. 30 I film, ottenuti per casting dalle dispersioni sopra elencate, dopo essere stati sottoposti a prove di invecchiamento artificiale in una camera solar box con lampada allo xeno sono stati caratterizzati anche mediante spettroscopia FTIR, calorimetria differenziale in scansione ( DSC ), termogravimetria ( TGA ), prove di deformazione meccanica in trazione e determinazione dell’indice di ingiallimento. Alcuni dei risultati più significativi sono sotto riportati. I ) Analisi-FTIR L’esposizione alle radiazioni elettromagnetiche ( fino a 250h ) provoca nei campioni di film profonde modificazioni strutturali, evidenziabili attraverso l’allargamento del picco a 1731cm-1 ( C=O, estere ) e la comparsa di nuove bande di assorbimento a 1780 e 1665cm-1 ( vedasi figura 19 ) [23, 24]. FIGURA 19: Spettrogrammi FTIR di film ottenuti per casting dalle dispersioni di polimeri acrilici diversi. A) Primal AC33 tal quale; B) Acrilem IC79, ( invecchiato per 250h, lampada allo xeno ); C) Primal AC33 ( invecchiato per 250h, lampada allo xeno ); D) Primal B60A ( invecchiato per 250h, lampada allo xeno ) [24]. 31 Il rapporto ( R ) tra le intensità delle bande di assorbimento a 1780 e 1731cm-1 rappresenta un indice del grado delle modificazioni chimiche indotte dai processi di degradazione foto-ossidativa ai film di polimero. Come si evince dai dati in tabella 8, R aumenta per tutti i campioni esaminati con il crescere del tempo di esposizione. In particolare è possibile osservare come i film di Primal B60A mostrano una maggiore tendenza alla degradazione mentre quelli di Acrilem IC15 sembrano essere i più stabili [23]. TABELLA 8: Valore del rapporto ( R ) tra le intensità dei picchi FTIR a 1780 e 1731cm-1 nel caso di film ottenuti per casting dalle dispersioni di polimeri acrilici diversi in funzione del tempo di esposizione alla lampada allo xeno [23]. T (h) Primal AC33 0 0,0 50 1,0 100 7,1 150 10,3 250 25,8 Primal B60A 0,0 5,0 21,5 26,9 37,8 Acrilem IC15 0,0 1,3 8,1 14,2 16,7 Acrilem IC79A 0,0 2,1 9,4 15,7 32,3 Acrilem IC79 0,0 3,1 13,6 21,2 34,o II ) Analisi termica differenziale in scansione ( DSC ) Dai termogrammi DSC è stato possibile determinare i valori della temperatura di transizione vetrosa Tg dei film prima e dopo il processo di invecchiamento Questa analisi ha portato alla conclusione che solo nel caso dei film di Primal B-60 A si è registrato un sensibile aumento nei valori della Tg ( Tg = 17°C - campioni tal quali; Tg = 27°C- campioni invecchiati per 400h in solar box ) essenzialmente dovuto a fenomeni di parziale reticolazione. III ) Analisi termogravimetrica ( TGA ) Dall’andamento delle curve termogravimetriche di TGA [ % in peso di materiale residuo in funzione della temperatura; ( intervallo 40-600°C, velocità di riscaldamento 5, 10, 20 e 40°C/min; in atmosfera di azoto ) si deduce che tutti i materiali studiati sono termostabili fino alla temperatura di ~340°C; al disopra di questa temperatura essi sono interessati da fenomeni di degradazione che si esauriscono intorno ai ~430°C [23]. Mediante l’applicazione della relazione in figura 20 è stato possibile ricavare per i materiali in esame: 32 i) la temperatura ( Tm ) a cui corrisponde la massima velocità di degradazione; ii) l’energia di attivazione ( Ea ) relativa al processo di degradazione termica ( tabella 9 ) [23]. FIGURA 20: Equazione attraverso la cui applicazione è possibile ricavare i parametri cinetici del processo di degradazione termica così come evidenziato dalle curve di TGA. ?T/?t = velocità di riscaldamento; Tm = temperatura corrispondente alla massima velocità di degradazione; K0 = fattore pre-esponenziale; R = costante universale dei gas; Ea = energia di attivazione del processo [23]. Dai dati in tabella 9 si deduce che i film di Acrilem IC15 mostrano un valore di Ea maggiore e quindi una maggiore stabilità termica; al contrario di quanto trovato nel caso dei film di Primal B60 A ai quali compete un più basso valore di Ea. IV ) Prove tensili in trazione uniassiale I valori del modulo di young, dello sforzo e della deformazione in corrispondenza dello sforzo massimo sono riportati nella tabella 10. Dalla lettura dei dati si ricava che: --- nel caso di campioni tal quali i film di Acrilem IC79 e IC79A mostrano valori più elevati del modulo di young; --- l’invecchiamento causa un incremento nei valori del modulo di film di Primal B60A e AC33 e di Acrilem IC15 dovuto essenzialmente a fenomeni di reticolazione; --- il modulo di campioni di Acrilem IC79 e IC79A invecchiati artificialmente risulta essere sensibilmente minore di quelli non trattati in solar box; --- lo sforzo in corrispondenza del carico massimo dei campioni invecchiati è minore di quelli tal quali; --- le proprietà meccaniche dei film di Acrilem IC15 nel loro insieme subiscono variazioni relativamente meno rilevanti a seguito dell’invecchiamento artificiale a dimostrazione del fatto che questo materiale è caratterizzato da una buona stabilità alla foto-ossidazione [23]. 33 TABELLA 9: Energia di attivazione ( Ea ) relativa ai processi di termo-degradazione di film di polimeri acrilici diversi ottenuti da dispersioni acquose. I valori di Ea sono stati determinati applicando la relazione in figura 20 [23]. Campione Primal AC33 Primal B60A Acrilem IC15 Acrilem IC79 Acrilem IC79A Ea ( KJ/mol ) 384 369 486 402 397 TABELLA 10: Proprietà meccaniche in trazione di campioni di film di polimeri acrilici diversi ottenuti per casting dalle dispersioni acquose. Film tal quali: UN; invecchiati ( 400h in solar box ) AG [23]. Campione E Sforzo Deformazione ( MPa ) Max Load Max Load ( MPa ) (mm/mm) Primal AC33 UN AG 22 29 6 2 27 22 Primal B60A UN AG Acrilem IC15 UN AG Acrilem IC79 UN AG Acrilem IC79A UN AG 20 31 9 12 43 13 30 17 5 1 3 1 6 3 5 1 23 25 23 21 26 34 23 16 34 V ) Resistenza all’ingiallimento L’indice di ingiallimento ( YI ) è stato determinato attraverso la seguente relazione: YI = ( A380 – A600 ) 0,1mm/ T (11) Dove T è lo spessore del film in mm; A380 e A600 sono rispettivamente l’assorbanza dei film sottili ( 0,3-0,65mm ) a 380 e 600 nm. I valori di YI sono diagrammati in funzione del tempo di esposizione in solar box, per i film dei diversi materiali in esame, nella figura 21. Dall’andamento delle curve si evince che tutti i film tal quali mostrano ottime proprietà ottiche ( YI < 1: trasparenza e assenza di colore ). Il materiale che subisce il più rapido e massiccio fenomeno di ingiallimento è il Primal B60A mentre i film di Acrilem IC15 e IC79A conservano buone proprietà ottiche anche per lunghi tempi di invecchiamento artificiale [23]. FIGURA 21: Variazione dell’indice di ingiallimento ( YI ), di film di polimeri acrilici diversi ottenuti per casting dalle dispersioni acquose, con il tempo di invecchiamento in solar box con lampada allo xeno. Curva (a): Primal AC33; (b): Primal B60A; (c): Acrilem IC15; (e): Acrilem IC79A [23]. 35 Dall’insieme dei risultati ottenuti gli Autori del lavoro citato nel riferimento[ 23] hanno tratto la conclusione che i film ottenuti per casting dalla dispersione commercializzata come Acrilem IC15 presentano un insieme di proprietà chimico-fisiche e una stabilità alla foto-ossidazione migliori di quelli relativi a film prodotti dalle altre dispersioni investigate e dal Primal AC33; Llo studio citato ha permesso di evidenziare come attraverso le metodiche e le tecniche utilizzate sia possibile provvedere ad una idonea caratterizzazione delle dispersioni acriliche in commercio e quindi selezionare quelle più soddisfacenti ai fini della conservazione di manufatti in pietra. C ) TEST PER LA VALUTAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DEI POLIACRILATI IN RELAZIONE AD APPLICAZIONI NEL CAMPO DELLA CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI Il nome commerciale, la casa produttrice e la composizione chimica di alcuni prodotti acrilici, usati nel campo della conservazione e del restauro di varie tipologie di materiali, suddivisi in base al loro stato fisico ( solido, liquido e emulsione ) sono riportati, rispettivamente, nelle tabelle 11, 12 e 13. TABELLA 11: Composizione chimica, produttore e nome commerciale di prodotti acrilici, venduti allo stato di SOLIDO, impiegati nella conservazione di materiali vari. Nome comerciale Elvacite 2028/2023 Elvacite 2044 Paraloid B72 Paraloid B82 Rhoplex AC73 Paraloid B64-N Paraloid B-48S Elvacite 2013 Paraloid B66 Produttore Composizione Du Pont Du Pont Rhom&Haas Rhom&Haas Rhom&Haas Rhom&Haas Rhom&Haas EMA BMA MA/EMA EA(50%)/MMA EA(50%)/MMA EA(<<50%)/MMA BA(2044%)/MMA Du Pont MMA/BMA(40%) Rhom&Haas MMA/BMA(50%) La possibilità di potere impiegare i poliacrilati nel settore della conservazione dei beni culturali, in relazione alla natura dei materiali che costituiscono il particolare manufatto che si vuole proteggere e/o consolidare, è stata valutata attraverso una serie test specifici ( determinazione del pH degli estratti secchi; emissione di prodotti volatili; proprietà meccaniche in trazione uniassiale; ingiallimento e variazione del peso molecolare ) messi a punto dal Canadian Conservation Institute ( 1983 ) su di una serie di prodotti commerciali ( prima e dopo invecchiamento artificiale ) [26,27,28] 36 TABELLA 12: Composizione chimica, produttore e nome commerciale di prodotti acrilici, venduti allo stato di SOLUZIONE, impiegati nella conservazione di materiali vari. Nome comerciale Paraloid F-10 Bedacryl 122X Formstar clear Lascaux P5540TB Plexisol P550 Pliantex Produttore Composizione Rhom&Haas BMA BMA BMA Lascaux BMA Farbenfabrik BMA EA(>66%)/MMA TABELLA 13: Composizione chimica, produttore e nome commerciale di prodotti acrilici impiegati, allo stato di EMULSIONE, nella conservazione di beni culturali diversi. Nome commerciale Rhoplex LC-40 Primal CA12 Rhoplex N-580 Rhoplex PS-83-D Acrysol WS-24 Rhoplex AC33 Rhoplex AC34 Plextol B500 Rhoplex AC22 Rhoplex AC634 Rhoplex N-619 Rhoplex AC-235 Lascaux 498HV Lascaux 360HV Rhoplex N-650 Plextol D360 Produttore Composizione Rhom%Haas EA EA Rhom&Haas BA Rhom&Haas BA BMA Rhom&Haas EA(66%)/MMA Rhom&Haas EA(66%)/MMA EA(66%)/MMA Rhom&Haas EA(66%)/MMA Rhom&Haas EA(66%)/MMA Rhom&Haas BA/iBA Rhom&Haas BA(56%)/MMA Lascaux Farbenfabrik BA(56%)/MMA Lascaux Farbenfabrik BA(>50%)/MMA Rhom&Haas BA(>>50%)/MMA MMA/BMA/EMA 37 Alcuni significativi risultati, relativi ad alcune tipologie di test, enucleati dall’analisi comportamentale di 25 diversi prodotti acrilici commerciali, sono qui di seguito riassunti [28]. — Determinazione del pH degli estratti dai film secchi Come si evince dall’andamento dei dati riportati nelle figure 22 e 23 il pH degli estratti da film di varie resine acriliche, sottoposti ad invecchiamento artificiale ( 22°C, 45% di umidità relativa, irraggiamento con luce fluorescente ) per tempi crescenti, cade, nell’intervallo di 5,5-8 per i campioni appartenenti alla famiglia dei Paraloid e al disotto dell’intervallo di 5,5-8 per quelli della famiglia dei Rhoplex.. FIGURA 22: pH degli estratti da film di resine acriliche ( famiglia dei Paraloid, commercializzati dalla Rhom&Haas ) in funzione del tempo di invecchiamento [26,27,28]. In linea di principio il comportamento auspicabile dovrebbe essere quello per cui il pH degli estratti resti vicino alla neutralità. Dai risultati del test di cui sopra si ricava che le resine di tipo Rhoplex non sono idonee per la conservazione dei tessuti. Infatti il loro impiego potrebbe indurre e/o facilitare fenomeni degradativi che portano alla rottura delle catene macromolecolari che compongono le fibre tessili di origine naturale [29]. 38 FIGURA 23: pH degli estratti da film di prodotti acrilici appartenenti alla famiglia dei Rhoplex, commercializzati dalla Rhom&Haas,in funzione del tempo di invecchiamento [26,27,28]. — Proprietà meccaniche in trazione uniassiale I risultati delle prove effettuate c/o il Canadian Conservation Institute confermano che la flessibilità di film di resine acriliche è strettamente correlata alla natura chimica delle unità ripetitive e alla loro composizione ( vedasi figura 24 ). I poliacrilati sono più flessibili dei corrispondenti polimetacrilati. Nel caso dei copolimeri BA/MMA la flessibilità aumenta al crescere della % di BA. I valori della resistenza a trazione e dell’allungamento a rottura di film di prodotti acrilici commerciali, come illustrato nella figura 24 per alcuni tipi di Paraloid, variano con il tempo di invecchiamento al buio. In particolare dall’andamento delle curve in figura 24 emerge come il Paraloid F10 ( BMA ) dimostri una elevata stabilità meccanica all’invecchiamento al contrario di quanto osservato per i campioni di Paraloid B72 ( MA/EMA ) e di B82 ( EA/MMA ) che denotano un notevole aumento della resistenza alla trazione e una diminuizione dell’allungamento a rottura al crescere del tempo di invecchiamento ( i materiali diventano man mano più fragili ) [26,27,28]. 39 FIGURA 24: Dipendenza dei valori della resistena a trazione e dello allungamento a rottura dal tempo di invecchiamento per campioni di film di Paraloid a diversa composizione chimica [26,27,28,]. — Resistenza all’ingiallimento La resistenza alla foto-ossidazione di film di resine acriliche, quantificata attraverso misure del grado di ingiallimento,GI [ GI = (A380nm – A600 nm) 0,1mm/spessore del film(mm) ], è stata determinata in funzione del tempo di esposizione alla luce. Dall’andamento delle curve GI? Tempo di esposizione alla luce, alcune delle quali riportate in figura 25, si ricava che i film dei polimeri esaminati presentano valori di GI inferiori al valore limite applicativo di 0,1, anche se la dipendenza di GI dal tempo varia, da campione a campione, in 40 funzione della composizione chimica delle unità ripetitive che costituiscono le macromolecole. In particolare è possibile osservare come i film di Paraloid B67 mostrino una stabilità alla fotoossidazione maggiore di quella relativa ai film di Paraloid B72, B82 e di Elvacite 2028 [26,27,28]. FIGURA 25: Dipendenza del grado di ingiallimento di film di alcune resine acriliche commerciali dal tempo di esposizione alla luce [26,27,28]. — Viscosimetria-variazione del peso molecolare E’ stato ampiamente dimostrato che la luce causa profonde modificazioni alla struttura molecolare delle resine acriliche. Nel caso dei poliacrilati è stato trovato che l’esposizione alle radiazioni UV determina, principalmente, dei processi di reticolazione e quindi un aumento del peso molecolare medio. I polimetacrilati, esposti alle radiazioni UV, a temperature = alla Tg, reticolano, mentre a RT danno luogo, essenzialmente, a dei processi di degradazione molecolare per scissione di catena a cui fa seguito una riduzione del peso molecolare ( vedasi schema di reazione in figura 26 ) [7,28]. La capacità da parte dei polimetacrilati di assorbire radiazioni UV può essere messa in evidenza attraverso la tecnica della spettroscopia in assorbimento. Infatti come mostrato in figura 27 per il polimetilmetacrilato lo spettrogramma UV presenta una forte banda intorno ai 275 nm [30,28]. Questo assorbimento di radiazioni è la causa principale della degradazione molecolare dei polimetacrilati. Il processo degradativo che conduce alla diminuzione del peso molecolare dei materiali polimerici può essere convenientemente seguito mediante misure della viscosità intrinseca in funzione del tempo di esposizione ( T ). Un esempio di tale applicazione è mostrato, nel caso del Paraloid B72, nella figura 28 [31,28]. 41 Dall’andamento delle curve Viscosità ? Tempo di esposizione alla luce si evince come al crescere di T la viscosità dei campioni diminuisce a dimostrazione del fatto che le macromolecole subiscono un graduale processo di scissione molecolare. Infatti è ben noto che la viscosità di una soluzione di polimero è tanto più elevata quanto maggiore è la sua massa molecolare [29]. FIGURA 26: Schema della reazione di foto-ossidazione che nel caso dei polimetacrilati, a RT, porta alla rottura di catene con diminuzione del peso molecolare [7,28]. D) LA MODIFICAZIONE CHIMICA DELLE RESINE ACRILICHE: -RESINE ACRILICHE FLUORURATE -RESINE ACRILICHE INNESTATE CON PERFLUOROPOLIETERI Partendo dal presupposto che la sostituzione di atomi di idrogeno con quelli di fluoro porti a polimeri con una maggiore stabilità chimica, termica e fotochimica, con una minore energia superficiale e quindi una maggiore idrorepellenza, sono stati sintetizzati nuovi monomeri acrilici caratterizzati dalla presenza nella loro molecola di atomi di fluoro. Questi composti, la cui struttura molecolare è illustrata in figura 29, sono stati utilizzati, insieme a monomeri acrilici tradizionali ( MMA, EMA MA, BMA, ecc. ), per la sintesi, mediante reazioni di copolimerizzazione, di nuove resine acriliche, mirate ad applicazioni come consolidanti e/o protettivi di manufatti lapidei, caratterizzate da una migliorata resistenza alla foto-ossidazione e da una più elevata repellenza all’acqua [13,31,32]. Alcuni di questi copolimeri acrilici fluorurati sono stati testati come protettivi/consolidanti su campioni di marmo di Candoglia ( porosità < dell’1% ) e di pietra di Noto ( porosità 30-40% ) determinando, in funzione della struttura chimica delle unità comonomeriche e della composizione, i valori dell’angolo di contatto, della quantità di acqua assorbita ( WA ) e della permeabilità al 42 FIGURA 27: Spettrogramma di assorbimento delle radiazioni UV di un polimetilmetacrilato commerciale [30,28]. FIGURA 28: A ) viscosità intrinseca; B ) viscosità intrinseca relativa in funzione del tempo di esposizione ad una lampada RStype sunlamp. C ) viscosità intrinseca; D ) viscosità intrinseca relativa in funzione del tempo di esposizione ad una lampada a fluorescenza. Le curve si riferiscono al Paraloid B72 [28]. 43 vapore d’acqua ( WV ). Inoltre si è valutata l’efficacia dei trattamenti mediante prove di invecchiamento accelerato. Dai risultati di questo studio, riassunti, in parte, attraverso i dati elencati nella tabella 14, è stato possibile evidenziare i seguenti aspetti [13,31,32]: — i campioni di pietra di Noto dopo trattamento con copolimeri fluorurati mostrano una ridotta capacità di assorbire acqua, mentre la permeabilità al vapore d’acqua risulta essere poco influenzata; — nel caso dei campioni di marmo di Candoglia, il trattamento sembra che non alteri in maniera sostanziale i valori di WA e WV. Le prove di invecchiamento fotochimico accelerato denotano che la stabilità dei copolimeri acrilici è tanto più elevata quanto maggiore è la frazione di monomero fluorurato e minore la lunghezza della ramificazione laterale delle unità comonomeriche costituenti le macromolecole [13,31,32]. FIGURA 29: Struttura molecolare di monomeri fluorurati usati nella sintesi di copolimeri acrilici da impiegare come protettivi di manufatti lapidei [13]. R. Peruzzi et Al., hanno dimostrato come l’inserimento nella catena di un polimero/copolimero acrilico ( fluorurato oppure non ) di unità n-butilviniletere ( nBVE ) conferisce al materiale un miglioramento nella efficacia protettiva, una buona permeabilità al vapore d’acqua e buoni angoli di contatto. Risultati particolarmente significativi si sono riscontrati nel caso di formulazioni basate su copolimeri fluorurati TFEM/nBVE e non fluorurati EMA/nBVE e acetato di etile [33]. Quanto sopra trova conferma dall’andamento delle curve, Acqua assorbita per capillarità ? Tempo, della figura 30 dal quale si evince che i campioni di marmo di Candoglia trattatti con copolimeri TFEM/nBVE mostrano una idrorepellenza superiore rispetto a quella di campioni tal quali e di campioni trattati con Paraloid B72 [33]. Da notare come anche il trattamento con copolimeri non fluorurati del tipo EMA/nBVE risulta essere più efficace di quello basato sull’uso del Paraloid. E’ interessante rimarcare il fatto che con l’aumentare della frazione di monomeri fluorurati in catena le resine acriliche tendono a degradare, a seguito dell’esposizione alla luce, mediante un meccanismo basato essenzialmente sulla scissione delle macromolecole. 44 TABELLA 14: Angolo di contatto con acqua( ? ), acqua assorbita ( WA ) e permeabilità al vapore d’acqua (WV ) da parte di campioni di marmo di Candoglia e di pietra di Noto trattati con copolimeri acrilici fluorurati di diversa composizione [13,31,32]. PIETRA CANDOGLIA COPOLIMERO (?) ( WA ) ( WV ) 3 mg/cm * g/m2** 0,25-0,51 - XFDM/MMA 113-128 (1/7) 131-136 0,72-0,77 7,8-10 CANDOGLIA XFDM/EMA (1/4) 113-118 0,34-0,54 7,2-8,54 CANDOGLIA XFDM/MMA (1/4) 127-129 0,42-0,77 6,3-7,7 CANDOGLIA XFDM/EMA (1/7) XFDM/MMA 143-146 2,3-16,7 NOTO (1/7) XFDM/EMA 132-145 5,2-15,3 329-355 NOTO (1/4) XFDM/MMA 136-140 2,5-3,0 268-328 NOTO (1/4) XFDM/EMA 139-142 2,9-8,3 300-310 NOTO (1/7) *) WA ( Marmo di Candoglia tal quale ) = 0,36-0,51mg/cm2; WA ( Pietra di Noto tal quale ) = 229-257 mg/cm2 * ) WV ( Marmo di Candoglia tal quale ) = 8,5-15g/m2 WV ( Pietra di Noto tal quale ) = 313-357g/m2 E. Casazza, S. Russo, e M. Camaiti hanno sintetizzato nuovi copolimeri ottenuti innestando perfluoropolieteri ( PFPE ) monofunzionalizzati su terpolimeri acrilici allo scopo di mettere a punto una nuova classe di polimeri fluorurati efficaci nei trattamenti di protezione di manufatti lapidei di interesse artistico/culturale [34]. I perfluoropolieteri sono una famiglia di polimeri composti esclusivamente di carbonio, ossigeno e fluoro. < Essi presentano caratteristiche chimico-fisiche che si avvicinano a quelle che dovrebbe avere un prodotto ideale per la protezione di ornamenti di pietra di interesse storico artistico. Infatti questi prodotti……sono estremamente stabili alla luce, al calore e agli agenti chimici; sono permeabili ai gas, trasparenti e privi di colore, insolubili in acqua e in tutti i principali solventi, eccetto che nei vari omologhi oligomeri o nei clorofluorocarboni …> [35]. La preparazione del copolimero fluorurato ad innesto ha visto in una prima fase la funzionalizzazione di un PFPE oligomerico, a terminale ossidrilico ( Fomblin Y dell’Ausimont ), con esametilendiisocianato. La struttura chimica di questo PFPE funzionalizzato con un gruppo isocianico ( PFPE-HMDI ) è illustrata in figura 31. 45 FIGURA 30: Assorbimento di acqua per capillarità di campioni di marmo di Candoglia in funzione del tempo. Le curve si riferiscono a trattamenti protettivi con resine acriliche aventi diversa struttura e composizione chimica ( vedasi didascalia a destra in figura ) [33]. In una seconda fase si è provveduto alla preparazione del terpolimero statistico [ P( BMA-HEA-EA ], ottenuto mediante polimerizzazione radicalica in soluzione di tetraidrofurano ( THF ) dei monomeri: butilmetacrilato BMA ( 66,6% mol. ); etilacrilato EA ( 13% mol. ), 2-idrossietilacrilato HEA ( 20,4% mol. ). Il terpolimero acrilico [ P( BMA-HEA-EA ], il copolimero fluorurato ad innesto [P( BMA-HEAEA-g-PFPE-HMDI ) ] e le miscele tra il terpolimero e il copolimero innestato [P(BMA-HEA-EA)/ P( BMA-HEA-EA-g-PFPE-HMDI) ] (90/10) e (80/20) sono stati sperimentati su campioni di pietra di Lecce, e il loro comportamento paragonato con quello del Paraloid B72 [34]. < I prodotti sono stati applicati a pennello su una faccia 5x5cm di ciascun provino, impiegando soluzioni all’1% in CHCl3 e lasciando evaporare lentamente il solvente. Le misure di idrorepellenza sono state eseguite sia con il metodo dell’angolo di contatto ( ? ) sia con quello di assorbimento capillare mentre la permeabilità al vapore è stata effettuata con il metodo del bicchierino…. L’efficacia protettiva ( EP% ), valutata da misure di assorbimento capillare di acqua è calcolata dalla formula: EP% = ( A0-A1 )/A0 100 Dove A0 e A1 sono le quantità di acqua assorbita dai campioni prima e dopo il trattamento rispettivamente. La permeabilità residua al vapore ( RP% ) è stata determinata valutando la permeabilità dei campioni prima ( P0 ) e dopo ( P1 ) il trattamento ed espressa come: RP% = P1/P0 100 l test di invecchiamento dei polimeri è stato effettuato in Solar Box sottoponendo i provini ad irraggiamento UV con una lampada allo Xeno avente ? > 295nm, mantenendo una temperatura di circa 40°C e UR% ambiente > [34]. 46 FIGURA 31: Struttura molecolare del perfluoropolietere funzionalizzato ( PFPE-HMDI ) usato nella sintesi dei polimeri acrilici innestati descritti in figura 32 [34]. FIGURA 32: Schema delle reazioni che portano all’ottenemento di polimeri acrilici innestati con perfluoropolieteri ( vedasi testo ) [34]. 47 Nella figura 33 è riprodotta una micrografia elettronica in scansione della superficie di un campione di pietra di Lecce trattato con il copolimero fluorurato ad innesto [P( BMA-HEA-EA-g-PFPEHMDI )]. Dai risultati ottenuti, riassunti nella tabella 15, emerge quanto segue: 1 ) il copolimero fluorurato innestato con PFPE mostra una notevole efficacia protettiva, < soprattutto se paragonato a materiali acrilici non fluorurati, come il terpolimero madre e il prodotto commerciale Paraloid B72 > [34]; 2 ) le miscele contenenti il 10-20% di polimero fluorurato esibiscono valori di EP e di ? paragonabili a quelli del solo copolimero fluorurato; 3 ) la permeabilità al vapore d’acqua è leggermente ridotta nel caso del copolimero fluorurato puro, è ottima per la miscela 90/10 [34]. Da tutto quanto sopra E. Casazza et Al., hanno concluso che: < il nuovo prodotto acrilico-perfluoropolietereo esibisce ottime proprietà protettive; analoghi risultati si sono avuti per le miscele, nelle quali il copolimero fluorurato è contenuto solo in piccole percentuali ( 5-20% ). Per quanto riguarda la permeabilità al vapore d’acqua le miscele sembrano garantire risultati addirittura migliori. ……L’utilizzo di miscele potrebbe essere una valida alternativa ai copolimeri fluorurati puri, qualora il loro costo o le loro caratteristiche chimicofisiche, meccaniche e di adesione alla pietra non fossero ottimali > [34]. In linea di principio la resistenza dei polimeri acrilici alla foto-ossidazione può essere migliorata anche inserendo lungo le loro macromolecole unità comonomeriche con gruppi che agiscono da stabilizzanti nei confronti delle radiazioni UV [28,36]. Un esempio di questo tipo di prodotto è rappresentato dal poli-n-butilacrilato lungo la cui catena sono state inserite unità contenenti il raggruppamento del 2-idrossibenzofenone, una molecola, quest’ultima, caratterizzata da specifiche proprietà di stabilizzante UV ampiamente impiegata come stabilizzante di polimeri [28,36]. FIGURA 33: Micrografia elettronica in scansone della superficie di un campione di pietra di Lecce trattata con il coplimero fluorurato, innestato P( BMA-HEA-EA-g-PFPE-HMDI) ] [34]. 48 TABELLA 15: Permeabilità al vapore d’acqua ( RP ), angolo di contatto ( ? ), efficacia protettiva ( EP ) e quantità applicata ( QA ) nel caso del Paraloid B72, del terpolimero acrilico [ P(BMA-HEA-EA) ], del copolimero innestato [ P( BMA-HEA-EA-g-PFPE-HMDI ] e delle miscele tra il terpolimero e il copolimero innestato [P(BMA-HEA-EA)/ P( BMA-HEA-EA-g-PFPE-HMDI) ], (90/10) e (80/20), applicati su campioni di pietra di Lecce [34]. PROTETTIVO QA RP 2 (g/m ) (%) ? EP(%) (? ) 15 gg 15gg 12mesi ParaloidB72 16 97 98 73 P(BMA-HEAEA) P( BMA-HEAEA-g-PFPEHMDI ) P(BMA-HEAEA)/ P( BMAHEA-EA-gPFPEHMDI)(90/10) P(BMA-HEAEA)/ P( BMAHEA-EA-gPFPEHMDI)(80/20) 33 94 115 25 82 15 - 0 EP(%) (? ) 12mesi 28gg irr.UV 22 0 EP(%) 28gg irr.UV 21 91 110 83 63 51 140 99 138 99 113 99 95 136 99 135 99 105 97 92 138 99 135 99 110 98 49 RIFERIMENTI 1 ) A. Bisogno, A. Priola, Vernici-caratteristiche generali e basi polimeriche impiegate, in < Macromolecole, Scienza e Tecnologia >, Vol.1, pp. 624-645, Pacini Editore, Pisa (1982). 2 ) Zusi on line, I Materiali Polimerici nel Trattamento della Pietra, http://www.zusieditore.it, n.516/dicembre (2004). 3 ) G. R. Mengel, < Modern Plastics Enciclopedia Handbook >, McGraw-Hill, Inc., pp. 3-5, (1994). 4 ) http://www.gianniberti.it/Editoriali/Polimeri/_in_Emulsione/acrilici.htm (2006). 5 ) P. 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L’utilizzo di < un polimero a solvente presenta come pregio primario una elevata adesione, unita alla capacità di saldare fratture di dimensioni maggiori ai 50-100 micron, cosa impossibile per tutti i consolidanti inorganici, dal bario idrossido, all´ossalato di ammonio all´acqua di calce. Gli stessi limiti mostra il silicato d´etile…….L´applicazione di questa…… classe di consolidanti deve essere effettuata con particolare cautela, giocando sulle concentrazioni e sulla tipologia del solvente, per non incappare nella formazione di un film superficiale. Altro aspetto positivo dei consolidanti organici è che esplicano generalmente il loro effetto consolidante in tempi brevi (dopo evaporazione del solvente). Non è quindi necessario, ad esempio, aspettare le 3-4 settimane necessarie per il silicato d´etile, o ripetere più volte il trattamento come richiesto dall´acqua di calce >[2]. Le modalità applicative delle resine acriliche dipendono dalla natura del manufatto e dalla tipologia della fase dell’ intervento in corrispondenza della quale viene effettuato il trattamento di consolidamento/protezione. OPERE IN PIETRA La successione delle fasi operative per una corretta esecuzione delle operazioni di restauro conservativo di un manufatto in pietra è la seguente: — Documentazione storica, grafica e fotografica, rilevamento dello stato di conservazione, degli interventi pregressi e della loro tecnica esecutiva; — Indagini conoscitive e diagnostiche e saggi per la scelta dell’intervento più idoneo; — Operazioni preliminari < rimozione di depositi superficiali incoerenti a secco con spazzole, pennellesse e aspiratori. Rimozione di depositi superficiali parzialmente aderenti con acqua, spruzzatori, pennelli, spazzole e spugne > [1]. — Disinfestazione e disinfezione. — Preconsolidamento; — Pulitura e rimozione di materiale non idoneo utilizzato in precedenti restauri; — Stuccatura e reintegrazione; — Protezione finale [1]. Nell’ambito delle fasi sopra elencate le resine acriliche trovano applicazione, essenzialmente, nelle seguenti operazioni: a ) Preconsolidamento; b ) Distacco e riadesione di frammenti, parti pericolanti o cadute; c ) Consolidamento e protezione finale. In generale la procedura prevede l’applicazione fino a rifiuto di formulazioni liquide per mezzo di pennelli, spruzzino, siringhe pipette ecc.[1]. 2 OPERE IN STUCCO Le resine acriliche, in soluzione o in emulsione, sono impiegate nelle operazioni preliminari e nella fase di consolidamento al fine di ristabilire, l’adesione e la coesione della pellicola pittorica o della doratura e la coesione degli intonaci. Il trattamento viene effettuato mediante impregnazione con pennelli, siringhe e pipette o a spruzzo oppure con impregnazione ad impaccco. Formulazioni liquide acriliche, a bassa concentrazione, sono utilizzate nelle operazioni finali di protezione superficiale mediante stesura con pennelli [1]. DIPINTI MURALI ED INTONACI In questo settore le resine acriliche ( in emulsion, eventualmente caricate con silice micronizzata ) trovano impiego principalmente nel ristabilimento dell’adesione tra il supporto murario ed intonaco mediante iniezione. CERAMICHE Nel campo della conservazione di manufatti in ceramica le resine acriliche sono utilizzate essenzialmente nella fase di consolidamento mediante immersione, per imbibizione a pennello, a spruzzo o per vaporizzazione. Qui di seguito sono riportati alcuni esempi di applicazione delle resine acriliche nei processi di consolidamento/protezione di manufatti, di interesse storico e culturale, in pietra naturale o artificiale, di elementi in cotto, gesso e in ceramica e nel campo del consolidamento corticale di intonaci e stucchi. CASE HISTORY-1: Statua all’esterno della Chiesa di S.Michele a Lucca La statua, Madonna con Bambino, all’esterno della Chiesa di S. Michele a Lucca ( vedasi figure 1 e 2 ) è un manufatto in calcare del Monte Antola, una roccia carbonatica [ bassa porosità (3-4%) ] con un alto contenuto di minerali argillosi]. L’assorbimento/desorbimento dell’acqua determina in questo tipo di materiale fenomeni di esfoliazione, fratturazione e scagliatura della superficie. Al fine di ridurre l’assorbimento dell’acqua e quindi il procedere del degrado è necessario trattare i manufatti con prodotti aventi un elevato effetto idrorepellente [2]. < Tra i prodotti sperimentati il Fluormet CP (miscela fra una resina acrilica e un fluoroelastomero) ha mostrato buone proprietà adesive, paragonabili a quelle di altre resine acriliche, pur usando un metodo di applicazione più semplice e rapido (spruzzo anzichè pennello). Ciò ha permesso di ottenere l´effetto adesivo in tempi brevi, benchè siano state usate soluzioni diluite. Inoltre a confronto degli altri prodotti testati (Paraloid B-72, Wacker OH, Akeogard LTX, Safe Stone), il Fluormet CP si è rivelato come il meno influente sul colore (variazioni di colore DeltaE tra 1 e 2, quindi impercettibili alla vista), e dotato di buona efficacia protettiva. 3 I risultati ottenuti sembrano quindi unire le qualità adesive dell´acrilico alla reversibilità ed assenza di "lucido" tipiche dei fluoroelastomeri. L´elevata reversibilità del prodotto in solventi polari permette l´immediata rimozione nel caso si siano formati accumuli superficiali con conseguenti fenomeni di "lucido" > [2]. Nella letteratura commerciale il Fluormet viene così presentato: < Prodotto consolidante/protettivo pronto all’uso a base di fluoroelastomeri e polimeri acrilici in acetone, reversibile, resistente ai raggi UV. Fluormet CP può essere utilizzato per il consolidamento e la protezione di elementi architettonici, senza alterarne il cromatismo. CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE: -Aspetto: liquido trasparente incolore; -Tempo di essiccazione: ca. 10 ore (a 23° C); -Peso specifico: 0,81 ± 0,03 kg/lt (ASTM D 792) >. E’ importante sottolineare il fatto che, a causa della elevata massa molecolare dei componenti, il trattamento con Fluormet CP non consente elevate profondità di penetrazione. Questo comportamento viene evidenziato attraverso misure della resistenza alla perforazione della pietra di San Marino, una calcarenite quarzoso feldspatica, dalle quali si ricava che l´aumento di resistenza meccanica è localizzato entro i primi due millimetri dalla superficie ( vedasi figura 3 ) [2]. FIGURA 1: Veduta esterna della Chiesa di S. Michele ( Lucca ). 4 FIGURA 2-a) FIGURA 2-b) FIGURA 2: Riproduzione fotografica della statua all’esterno della Chiesa di S. Michele a Lucca ( copia di una statua dello scultore Matteo Civitali) per il cui restauro, effettuato nel corso del 2005, è stato impiegato il Fluormet CP. FIGURA 2-a): prima del trattamento. FIGURA 2-b): dopo il trattamento [2]. 5 . FIGURA 3: Prove di resistenza alla perforazione della pietra di San Marino, ( calcarenite quarzoso feldspatica ), prima e dopo trattamento con Fluormet CP [2]. CASE HISTORY-2: Cappella della Madonna del Carmine (Chiesa Santa Maria del Carmine – Milano ) I lavori di restauro e di conservazione della seicentesca cappella della Madonna del Carmine, ( Chiesa di Santa Maria del Carmine - Milano ), che hanno interessato prima le superfici interne ed esterne della cappella e successivamente quelle esterne dell’abside, sono stati completati il 2002. La cappella, collocata al termine della croce latina, affacciata sul transetto destro, attribuita a Gerolamo Quadrio, < spicca per ricchezza decorativa e spettacolarità dell'impianto nel contesto austero e semplice dell'interno della Chiesa > ( figura 4 ) [3,4]. Resine acriliche sono state impiegate essenzialmente nelle operazioni di restauro della grande Madonna marmorea dell’altare ( opera di Giovan Battista Maestri detto il Volpino ). Alcune delle fasi del restauro di questa scultura sono così descritte nel riferimento [3]: < Dalla superficie del gruppo marmoreo sono stati rimossi i depositi di sporco, plausibilmente sostanze grasse da fumo di candela e pulviscolo da inquinamento principalmente. Il lento effetto complessante dell’impacco pulente ha permesso una graduale e sempre controllata pulitura dalle sostanze da rimuovere sul calcare bianco. Una pulitura lenta e graduale che nelle poche zone localizzate, caratterizzate da macchie di resine e vernici residue di restauri precedenti, ha richiesto un mirata pulitura con alcool lavorato a tamponcino di cotone. Le parti in zanche di metallo di assemblaggio della statua sono state protette con Paraloid B72 disciolto in miscela di solventi >[3,4]. 6 a) b) FIGURA 4: a ) Chiesa Santa Maria del Carmine – Milano. b ) Cappella della Madonna del Carmine a restauro concluso [3,4]. 7 CASE HISTORY-3 Cattedrale di San Petronio ( Bologna ) Nel consolidamento della facciata della Basilica di San Petronio [ la più grande ed importante chiesa di Bologna e il più tardo monumento del Gotico in Italia e in Europa, dedicata al santo patrono della città ( figura 5 ) ], come riportato da R. Rossi-Manaresi [7 ] e O. Nonfarmale [8 ], è stata impiegata una particolare formulazione, detta Cocktail di Bologna, i cui componenti principali sono: - il Paraloid B72, resina acrilica; il DriFilm, un composto idrorepellente-siliconico; il tricloroetano, usato come solvente [9,10]. Sull’efficacia del Cocktail di Bologna, e in particolare sull’impiego delle resine acriliche nella conservazione delle pietre, J. Delgado Rodrigues scrive: < Results obtained with this formulation in porous carbonate stones (up to 26% porosity) have shown that the consolidation effect is confined to not more than 2mm depth, even in the most porous varieties. When confronting our results with the reported good performance of this “cocktail” in the Bologna Cathedral, we have to conclude that apparently both things do not match. In our opinion, Paraloid B72 has been used indiscriminately whatever the substrate is, and this is certainly a mistake that explains some of the discrepancies found when analysing the performance of this consolidant. In fact, the stone used in the Bologna Cathedral is a very dense limestone (the rosso di Verona) and marble, both having the relevant void space mainly made of fissures and not of pores. Their typical degradation forms consist of the enlargement of fissures and the occurrence of scales of several sizes. Paraloid B72 is able to penetrate through these fissures where it builds up some adhering bridges between the fracture walls and therefore it plays the role that is expected to be effective for such a degradation form. In spite of the larger size, the connectivity is poorer in the porous stones, and this characteristic forces the consolidant to stay in the outer stone layer where it promotes a high increase in strength but with serious harmful consequences in terms of the stone subsequent behaviour. In practical terms, these results seem to demonstrate that Paraloid B72 (and may be all the other acrylic consolidants) acts like an adhesive or gluing agent and not as a traditional impregnating consolidant as we usually see it. When properly used in the situations typified above with the dense, fissured or fractured limestones, Paraloid B72 (and alike) can be of valuable use, but it may turn very risky or even disastrous when used inadequately in stones with spherical pores particularly in the very porous ones > (Figure 6) [9]. Da quando sopra è possibile concludere che l’utilizzo di resine acriliche nella procedure di conservazione di manufatti in pietra deve essere necessariamente preceduto da una accurata analisi diagnostica ex-ante che permetta di conoscere la natura del substrato e del danno in essere. Inoltre sembra necessario determinare, attraverso test accelerati di degradazione l’efficacia del trattamento e la sua idoneità in termini di durabilità, reversibilità e di inalterabilità cromatica della superficie delle pietre trattate. 8 a) . b) FIGURA 5: La Basilica di San Petronio in Bologna. a ): La facciata principale; b ): Il portale ( Porta Magna ), un capolavoro di Jacopo della Quercia [5,6]. 9 FIGURA 6: Il trattamento di una pietra calcarea porosa con il paraloid B72 determina la formazione di una sottile pellicola superficiale [9]. A sinistra campione non trattato. A destra campione trattato. CASE HISTORY-4 La Colonna Barocca Pestsäule ( Vienna ) < The Pestsäule ….is located on Graben, a street in the inner city of Vienna and is one of the most well-known and prominent pieces of sculpture in the city. In 1679, Vienna was visited by one of the last big plague epidemics. Fleeing the city, Emperor Leopold I vowed to erect a mercy column if the epidemic would end. In the same year, a provisional wooden column made by Johann Frühwirth was inaugurated, showing the Holy Trinity on a corinthian column together with nine sculpted angel (for the Nine Choirs of Angels). In 1683, Matthias Rauchmiller was commissioned to do the marble works, but he died in 1686 and only left a few angel figures. Several new designs followed, among others by Johann Bernhard Fischer von Erlach, who designed the sculptures at the base of the column. Finally, the project management was assigned to Paul Strudel, who based his work on the concept of theatre engineer Lodovico Burnacini. Below the Trinity figure, Burnacini envisioned a cloud pyramid with angel sculptures as well as the kneeling emperor Leopold, praying to a sculpture of faith. Among others, the sculptors Tobias Kracker and Johann Bendel contributed to the column. The column was inaugurated in 1693 > ( figura 6 ) [11]. 10 FIGURA 7: La colonna barocca Pestsäule ( Vienna ) per il cui restauro sono state impiegate resine acriliche, in particolare il Paraloid B72 [11,12]. In relazione al restauro conservativo del monumento di cui sopra, per il quale sono state impiegate resine acriliche, nel riferimento [12] è scritto: < In contrast to the soft porous limestones, a number of compact types of limestone frequently called “marbles” have been used throughout the centuries….... The two most important lithotypes of this group of stones are the Adnet Stone, a red limestone resembling e.g. the Italian Rosso di Verona, and the Untersberg Stone, a pale compact limestone. In general, weathering of these limestones proceeds along distinct inhomogeneities and not at grain boundaries between the single components. Thus, consolidants are required which have not only good properties of penetration into narrow veins, but are also able to bridge cracks……… At that time, solutions of acrylics seemed to be the only appropriate consolidant for Adnet Stone, and the same held for Untersberg Stone, where as early as in 1982 the laboratory of the Austrian Federal Office for the Care of Monuments, on the base of laboratory tests and following the Italian experiences at San Petronio, Bologna, for the first time in Austria decided for Paraloid B-72 in the conservation of Vienna’s Baroque Plague Column. Long-term exposure since then seems to reveal acceptable results, but a more detailed monitoring would be desirable > [12]. 11 L’impiego delle resine acriliche, come emerge dal riferimento [12], è stato ampiamente perseguito in Austria nel campo della conservazione di manufatti in pietra calcarea ad elevato grado di compattezza, comunemente chiamati marmi. CASE HISTORY-5 La Sala Martorana nel Palazzo Comitini ( Palermo) Il monumentale Palazzo Comitini, realizzato nella seconda metà del ‘700 su incarico del principe Michele Maria Gravina di Comitini, è < diviso in “quarti” gravitanti attorno a due punti focali costituiti dallo scalone di accesso e dalla galleria degli specchi. Quest’ultima è nota come Sala Martorana, dal nome di Gioacchino Martorana, il pittore che ha eseguito il grande affresco della volta e l’intera decorazione della galleria > ( figura 8-a ) [13]. I lavori di restauro, finanziati dal governo italiano in occasione della Conferenza mondiale dell’ONU ( Palermo 2000 ), mirati alla pulitura e alla conservazione del pavimento maiolicato ( figura 8-b ) vengono così descritti nel riferimento [13]: < La galleria è pavimentata con uno splendido retablo, composto da circa 3860 mattoni, oggi molto deteriorato……………. Il pavimento è stato sottoposto a preconsolidamento effettuato attraverso velinatura con carta giapponese e resina acrilica e ad una pulitura preliminare utilizzando pennelli a setole morbide, gomme a PH neutro o un impacco leggero di acqua deionizzata. A seguito del riempimento dei vacui tra il massetto e le mattonelle con infiltrazioni di malta idraulica e della disinfestazione da microrganismi, si è proceduto alla pulitura attraverso impacchi di ammonio carbonato e EDTA, secondo tempi e percentuali suggeriti dalle prove preliminari. L’operazione è stata completata dalla stesura di un protettivo > [13]. CASE HISTORY-6 IL Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo Nel riferimento [13] il Gymnasium, il padiglione centrale del nuovo Orto Botanico di Palermo ( 1789 ) viene così descritto nei suoi elementi essenziali: <…..caratterizzato da due pronai dorici posti al centro dei prospetti principali, si articola attorno ad una sala centrale quadrata, adibita ad aula per le lezioni di botanica.…..Il colonnato, dall’imponente trabeazione dorica, è sormontato da statue raffiguranti le allegorie delle quattro stagioni…..Il pronao rivolto verso la strada è preceduto da una monumentale scalinata ...Entrambi i portici sono coperti da un soffitto cassettonato con decorazione vegetale, anch’essa in stucco > ( figura 9 ) [13]. Lo stato di conservazione, prima del restauro, si caratterizzava per i seguenti aspetti: 12 a) b) FIGURA 8: a ) la sala barocca del palazzo Comitini ( Palermo ). b ) particolare del pavimento maiolicato per il cui restauro sono state impiegate resine acriliche [13]. 13 < …..i degradi più vistosi rilevati nel Gymnasium erano causati dalla risalita capillare d’acqua dal terreno e dal cattivo funzionamento dell’originario sistema di smaltimento delle acque meteoriche. A tali guasti di ordine funzionale si aggiungeva una pesante alterazione dell’originaria policromia dell’edificio, determinata dalla sovrapposizione di un più recente strato di intonaco che, interessando tutti i paramenti murari esterni, falsava la lettura generale del monumento….. L’accurata analisi stratigrafica condotta sugli intonaci ha evidenziato che le coloriture originali di tutte le superfici del Gymnasium erano diverse. In particolare, nei pronai era stato impiegato il rosso pompeiano, in seguito obliterato da un intonaco di colore grigio…..> [13]. Il restauro conservativo, che ha visto l’impiego di prodotti polimerici di sintesi, è stato condotto sulla base delle seguenti operazioni: < ……Rimossi meccanicamente tali intonaci, si sono eliminate le efflorescenze saline mediante lavaggi ed impacchi di acqua deionizzata. Le zone decoese sono state consolidate mediante impregnazione di silicato di etile…... Hanno completato il restauro l’equilibratura tonale con velature a base di pigmenti naturali e il protettivo finale, dato a spruzzo a pressione controllata fino al soddisfacente grado di saturazione. Nei pronai si è proceduto al rifacimento dell’intonaco rosso pompeiano a mezzo stucco ed alla sua protezione a cera. La pulitura degli stucchi della sala centrale, effettuata con impacchi di polpa di carta, acqua deionizzata e carbonato di ammonio, è stata completata dalla rifinitura a bisturi. Le parti decoese delle cornici e degli elementi scultorei a tutto tondo sono state sottoposte a velinatura con resina acrilica ed insufflazioni di malta idraulica a basso peso specifico per colmare i vacuoli presenti. Si è quindi proceduto alla risarcitura dei frammenti tramite imperniature di barre in vetroresina e resina epossidica. Nel restauro dei dipinti murali è stata, in prima istanza, effettuata la rimozione a secco delle polveri decoese ed incoerenti. Il consolidamento degli intonaci e degli arricci è avvenuto mediante infiltrazioni di resine acriliche in emulsione acquosa e malte di calce, additivate con pomici ed altri inerti naturali > [13]. CASE HISTORY-7 Ciclo degli Affreschi dell’Oratorio di San Vincenzo ( Sesto Calende- Varese ) I lavori di restauro dell’Oratorio di S. Vincenzo [ una cappella rurale ad unica navata ( XI secolo ), un esempio dell'architettura romanica varesina ], iniziati nel 1978, si protrassero fino al 1987. Tali lavori interessarono sia la struttura architettonica, che gli affreschi cinquecenteschi all'interno dell'abside e lungo le pareti laterali della navata [14]. Alcune fasi del restauro, che hanno contemplato anche l’impiego di resine acriliche, sono così descritte nel riferimento [14]: <……….. Le efflorescenze saline vennero asportate superficialmente con un pennello asciutto e, più in profondità, ricorrendo ad impacchi di polpa di carta umida per sciogliere i sali e assorbirli. Durante la fase di consolidamento degli affreschi furono adottate diverse tecniche di intervento. Nei buchi già esistenti e in altri praticati dove era assente la pellicola pittorica fu iniettato un consolidante a base di emulsione acrilica. Le aree con abbondanti distacchi, furono 14 FIGURA 9: Il Gymnasium dell’orto botanico di Palermo FIGURA 10: Restauro del ciclo di affreschi dell'Oratorio di San Vincenzo a Sesto Calende (VA). Abside dopo il restauro [14]. 15 cautelativamente puntellate, proteggendo la superficie pittorica con "carta riso" e "tessuto non tessuto", aggiungendo nel consolidante del carbonato di calcio. Nelle zone dell'intonachino, con scarsa coesione, si procedette con un trattamento ad impregnazione di acqua di calce a più riprese. Al termine dei consolidamenti, la fase di pulitura dei dipinti fu preceduta dall'applicazione di un impacco con composto di bicarbonato di ammonio e biocida a largo spettro, ………. In base alla zona e allo stato di degrado presente, sono state utilizzate due diverse tecniche di consolidamento superficiale: in presenza di solfati la superficie pittorica é stata trattata con il metodo ad idrossido di bario, mentre in presenza di distacchi della pellicola pittorica mediante impregnazione di acqua di calce. I buchi e le microfratture furono stuccate con malte a base di calce e resine acriliche; le stuccature delle lacune più profonde furono eseguite con un primo impasto di calce, sabbia e cocciopesto; mentre per le rifiniture si stese una malta con una composizione studiata in base agli intonaci originali, anch'essi conservati e analizzati…….> [14]. Nella figura 10 è riportata una fotografia degli affreschi dopo le operazioni di restauro [14]. CASE HISTORY-8 Chiesa di Maria Santissima Ausiliatrice ( Torino-Valdocco ) Questa chiesa, disegnata da Antonio Spezia, è stata fondata da Don Bosco tra il 1865 e il 1868. La statua della Madonna sulla cupola è di Camillo Boggio; l'interno conserva le spoglie del Santo. L'affresco della cupola è di Giuseppe Rollini mentre il dipinto sull'altare maggiore, che rappresenta Maria Ausiliatrice, è di Tommaso Lorenzone ( figura 11 ). FIGURA 11: Vedute della Basilica di Santa Maria Ausiliatrice ( Torino ). 16 Gli interventi che hanno visto l’impiego di resine acriliche riguardano l’interno e in particolare gli stucchi, i dipinti murali e i calchi in gesso. I dettagli di questi interventi, così come descritti nel riferimento [15], sono sotto riportati. Intervento sugli stucchi: < -Ristabilimento dell'adesione tra i diversi strati di intonaco mediante iniezione di adesivi; operazione eseguibile su stucchi monocromi o policromi e dorati, con successiva rimozione degli eccessi di prodotto consolidante, per ciascun distacco con malta idraulica premiscelata con resine acriliche in emulsion. -Ristabilimento della coesione della pellicola pittorica o della doratura mediante resine acriliche in soluzione; e successiva rimozione degli eccessi delle stesse a pennello o con siringa. - Ristabilimento dell'adesione della pellicola pittorica o della doratura mediante resina acrilica in emulsione; inclusi gli oneri relativi alla preparazione del prodotto e alla successiva rimozione degli eccessi dello stesso a pennello con carta giapponese, o con siringa. ……………….. - Rimozione dei depositi polverosi con pennelli di martora, l’uso di aspiratori evita il ricircolo delle polveri. - Pulitura mediante solvente composto da acqua demineralizzata con ammoniaca acetone ed alcool, previa calibratura del solvente ed applicato con compresse di carta. - Protezione finale utilizzando la vernice Zappon > ( vedasi figura 12 )[15]. FIGURA 12: Il restauro degli stucchi all’ Interno della Basilica di Santa Maria Ausiliatrice ( Torino ) [15]. Intervento sui dipinti murali: < - Rimozione di depositi superficiali parzialmente coerenti a mezzo di spugne sintetiche o pani di gomma su affreschi e tempere. ……… - Ristabilimento parziale della adesione e della coesione della pellicola pittorica propedeutico alle 17 operazioni di consolidamento e pulitura nei casi di disgregazione e sollevamento della stessa, su graffiti, affreschi e tempere, con resine acriliche in emulsione applicate a pennello con carta giapponese o con siringhe. - Ristabilimento della coesione della pellicola pittorica mediante applicazione di prodotto consolidante, con resine acriliche in emulsione a bassa concentrazione applicata a pennello con carta giapponese e successiva pressione a spatola. ……… - Rimozione di sostanze di varia natura quali oli, vernici, cere, etc. sovrammessi al dipinto, depositi con scarsa coerenza e aderenza poco polimerizzati, mediante applicazione di carte assorbenti e tampone con miscela di amilacetato e diluente nitro su affreschi e tempere. ………. - Protezione superficiale mediante applicazione di resina acrilica in soluzione a bassa percentuale, su graffiti, affreschi, tempere ed olio su muro > [15]. Intervento sui calchi in gesso: < - Rimozione di depositi superficiali incoerenti a secco, con pennellesse e aspiratori; operazione eseguibile su gessi monocromi, policromi o dorati. - Ristabilimento della coesione del gesso mediante impregnazione con resina acrilica in soluzione. Propedeutico alle operazioni di pulitura, operazione eseguibile su gessi bianchi o policromi, e successiva rimozione degli eccessi dello stesso nei casi di disgregazione, mediante impregnazione per mezzo di pennelli e siringhe. - Riadesione dei sollevamenti della pellicola pittorica o della doratura, da eseguirsi prima o dopo le fasi di pulitura, applicata a pennello o con siringa con resina acrilica in emulsione, applicata a pennello o con siringa. - Fissaggio degli eventuali segni di riferimento disegnati sulla superficie dei modelli mediante resina acrilica in soluzione, da eseguirsi prima o dopo le fasi di pulitura. ………… - Applicazione di protettivo superficiale a pennello; operazione, eseguibile su gessi bianchi o policromi, mediante una applicazione con cera microcristallina e resina acrilica in soluzione > [15]. CASE HISTORY-9 Palazzo Agucchi ( Bologna ) Il Palazzo Agucchi è un interessante esempio di architettura civile del settecento bolognese ( figura 13 ). L’intervento di restauro ha riguardato essenzialmente la facciata che <…… è stata realizzata con due materiali tipici dell’edilizia settecentesca bolognese: il paramento murario in laterizi è rivestito da un sottile strato di rasatura a cocciopesto; gli elementi architettonici sono costituiti da arenaria opportunamente sagomata e caratterizzata da una serie di scialbi superficiali > [16 Le fasi del restauro, che hanno visto l’utilizzo di resine acriliche, sono state così descritte nel riferimento [16]: 18 < Le operazioni sono state così differenziate: per quanto riguarda l’arenaria si è tenuto conto della diversa entità delle croste nere e della diffusione dei fenomeni di esfoliazione, mentre nel caso degli intonaci si sono valutate le zone maggiormente interessate da esfoliazioni e distacchi. Nelle porzioni di arenaria in cui vi erano croste nere di livello basso e medio si è proceduto dapprima con una pulitura superficiale ad azione meccanica per asportare i depositi non ancora coesi, quindi sono state effettuate operazioni di preconsolidamento del materiale lapideo mediante applicazioni a pennello di silicato di etile che agissero sulla superficie dell’arenaria. Figura 13: Palazzo Agucchi, facciata dopo il restauro [16]. Nelle porzioni con croste nere di livello alto si è preferito invece, per ottenere un risultato più efficace in profondità, eseguire il preconsolidamento con iniezioni localizzate di resine acriliche a bassa percentuale diluite in acqua e veicolate con alcool. Come ultima operazione propedeutica alle fasi successive sono state iniettate malte riempitive in corrispondenza di esfoliazioni e distacchi, previe stuccature temporanee de imargini per evitare la fuoriuscita del materiale……………. Si è quindi passati alle operazioni di consolidamento per le quali si è impiegato silicato di etile applicato a pennello fino a rifiuto della materia. Da ultimo, come di consueto, sono stati effettuati interventi di stuccatura e protezione finale > [16]. 19 CASE HISTORY-10 Arco Galleria Vittorio Emanuele-II, lato Piazza Scala ( Milano ) Il restauro conservativo, che ha riguardato le superfici lapidee dell’arco ( vedasi figura 14 ), è stato articolato secondo le seguenti fasi: preconsolidamento, pulitura, sigillatura-stuccatura, consolidamento e protezione finale. I dettagli dell’intervento, descritti nel riferimento [17], sono in parte qui di seguito riportati. . < Le zone ammalorate ed in particolare quelle parti caratterizzate da materiale decoeso e/o disgregato sono state preconsolidate con velinature e impregnazione di silicato d’etile (RC 70 Rhone-Poulenc) per evitare ulteriore perdita di materiale o danneggiamenti durante le operazioni di pulitura………… Terminata la fase di pulitura è stato eseguito un controllo statico degli elementi agettanti e delle mensole; le parti che hanno presentato perdita d’adesione alla superficie portante sono state fissate con iniezioni di resina epossidica e sigillate in superficie malta per evitare la possibilità di viraggio del colore della resina. I frammenti di stucco o di terrecotte in via di distacco sono stati incollati al supporto e gli elementi di maggiore dimensione sono stati fissati con perni in teflon e acciaio inox…….. I pannelli con intonaci graffiti sono stati trattati con un’azione combinata di pulituraconsolidamento, in quelle zone caratterizzate da fenomeni di polverizzazione e dalla presenza d’efflorescenze saline causa di decoesione tra gli strati d’intonaco. Le parti d’intonaco sollevate o in fase di distacco sono state consolidate tramite iniezioni di malta d’aggrappaggio previo inumidimento uniforme degli strati con iniezioni d’acqua e alcool per eliminare i detriti e la polvere nelle sacche. Le iniezioni sono state eseguite con emulsione acrilica Primal AC33. Le iniezioni sono state fatte con una malta a base di grassello di calce e cocciopesto setacciato fine con l’aggiunta di Primal. Dopo le iniezioni si è mantenuto sotto pressione controllata la superficie per almeno 48 ore, ottenendo così la riadesione della porzione d’intonaco. …………………………..Il trattamento del metallo dei capitelli, ghisa, è stato eseguito a secco previa spazzolatura e rimozione meccanica delle polveri con pennelli ed aspiratori. Successivamente si è eseguito il trattamento fosfatante, con la stesura di Paraloid a pennello in modo da fermare il processo di deterioramento dovuto agli attacchi della ruggine. Le ricostruzioni modellate sono state eseguite con resina poliestere bicomponente termoindurente. Infine i capitelli sono stati protetti con una stesura a spruzzo e pennello di Paraloid, con funzione protettiva. Come ulteriore protezione e per riproporre l’effetto cromatico originale, è stato steso un doppio strato di prodotto ferromicaceo. L’intervento si è concluso con il consolidamento lapideo localizzato solo sulle parti più degradate con l’impiego di resina a base d’etil-silicato RC70 Rhone- Poulenc. Tutte le superfici trattate sono state infine protette con applicazione di resina idrorepellente Silirain 50 Rhone-Poulenc a base siliconica, applicata a spruzzo > [17]. CASE HISTORY-11 Manufatti in Alabastro Secondo quanto riportato da D.Cox le resine acriliche sono idonee per il restauro conservativo di manufatti in alabastro [18]. L’alabastro gessoso o tenero ( CaSO4?2H2O ) < ha struttura saccaroide o ceroide è di colore bianco 20 se puro, oppure colorato ……Il suo peso specifico è 2,7-2,8; durezza 2……Si trova in arnioni di varia dimensioni e il cui peso può superare anche la tonnellata…….Per la sua durezza limitata si presta per lavori di scultura, statue, vasi, ecc. > [19]. FIGURA 14: Fotografia dell’Arco Galleria Vittorio Emanuele, lato P.zza Scala ( Milano ), dopo il restauro conservativo [17]. Alla fine del secolo 14th la scoperta di un grande giacimento di alabastro in Inghilterra ( vicino la città di Nottingham ) determinò un grande impulso alla produzione di manufatti ( piccole statue votive, monumenti funerari, tombe ecc. ), spesso di grande valore artistico, che venivano esportati in tutto il mondo. Limiti e vantaggi dell’utilizzo dell’alabastro nelle manifattura di oggetti d’arte, essenzialmente per interno, sono stati così delineati nel riferimento [18]: < Far too soft for external use, Alabaster is hopelessly vulnerable to the elements, and it is too weak for building. It is so soft that it can be cut with a penknife, making it a ready target for vandals over the ages. The very ease with which it could be carved with finally wrought detail was one of the reasons for its popularity for tomb sculptures and other internal devotional features, like reredoses, triptychs and panels. The other reason, of course, was its spectacular appearance. All alabaster has a unique translucent quality that even the most desensitised individual should be able to distinguish from marble. The colour spectrum ranges from a creamy white (very rare) to a dark honey colour. Whatever the colour, it is made up of dozens of veins. In colour these may be anything from dozens of shades of white to veins of pink and reddish brown > [18]. 21 Alcuni oggetti in alabastro di valore artistico e culturale sono riprodotti nella figura 15. I particolari problemi connessi al restauro e alla conservazione di manufatti in alabastro sono stati messi in risalto da D. Cox che nel suo già citato articolo scrive: < The main problems that alabaster presents to the conservator spring from its softness and susceptibility to the elements, and one of the most common, caused by water penetration, is rusting ferrous fixings and cramps. Besides staining, corroding iron can cause the stone to fracture and ultimately render a complete monument unstable and dangerous. The treatment is to remove all ferrous fixings and replace them with stainless steel fixings and cramps set in resin adhesives. Sometimes the troublesome ferrous material was introduced in 19th century restorations, as the fixings of many monuments down to the 17th century were more usually non-ferrous. Sheep bones were a particularly popular alternative. Indeed probably one of the biggest problems facing the conservator of alabaster, or any other stone, is botched or failed restoration procedures carried out in the past. Even the first epoxy resin repairs are now starting to emerge as subjects for treatment > [18]. Circa gli interventi di restauro conservativo D. Cox, suggerisce per alcune significative fasi l’impiego di resine acriliche. < Much can be done to correct poor restoration or repair. For instance old repair plaster can be removed from a feature and break joints filled with a matching aggregate combined with a resin fill such as Paraloid, touched in to match the adjacent surface…… Usually alabaster, however begrimed by the centuries, will clean up beautifully. One great virtue of this stone is that, unlike marble, it rarely stains and if it does, as often as not the stain can pass off as one of its veins. In fact the veins are a kind of staining. It should be remembered that up until the beginning of the 17th century, alabaster monuments were usually painted in places. Therefore it is important to carry out a careful examination for traces of polychromy so that paint layers can be tested for stability and resistance to solvents prior to cleaning. Subsequently any flaking areas discovered during cleaning need to be consolidated with Paraloid resin. Alabaster should be cleaned using mild solvents…….. > [18]. CASE HISTORY-12 Protezione di Superfici in Calcestruzzo ed Intonaco Cementizio Per la protezione di superfici in calcestruzzo ed intonaco cementizio trovano ampio impiego pitture monocomponenti a base di resine acriliche in dispersione acquosa. Questa pittura ha la capacità di reticolare in superficie, sfruttando l’azione delle radiazioni solari, formando, dopo il completo asciugamento, un rivestimento elastico, impermeabile all’acqua ed agli agenti aggressivi presenti nell’atmosfera ( CO2, SO2 ), ma permeabile al passaggio del vapore. I rivestimenti protettivi si caratterizzano per una ottima resistenza all’invecchiamento, al gelo e ai sali disgelanti e forniscono alle superfici trattate, grazie alla reticolazione fotochimica, una bassissima ritenzione dello sporco. Tra i vari prodotti in commercio si ricorda l’ELASTOCOLOR, della MAPEI SPA, i cui campi di impiego sono così delineati nel riferimento [20]: 22 a ) Testa di S.Giovanni Battista, Inghilterra ( circa 1470-90 ), in alabastro, dipinta e dorata, [19]. b) Statua in alabastro., Bath Abbey ( UK ) 17th secolo [18]. FIGURA 15: esempi di opere d’arte in alabastro 23 < Pitturazione di facciate con problemi di fessurazioni e di strutture in calcestruzzo soggette a deformazioni. Esempi tipici di applicazione – Protegge dalla carbonatazione strutture in calcestruzzo sottoposte a piccole deformazioni sotto carico. – Protegge e decora con uno strato elastico continuo intonaci che presentano microfessurazioni. – Protegge strutture prefabbricate sottili soggette a fessurazioni > [20]. Le modalità applicative,così come descritte nel riferimento [20], sono qui di seguito riportate: < Elastocolor si applica a pennello, rullo e spruzzo in 2 o 3 mani su sottofondo perfettamente pulito, asciutto e precedentemente trattato con Elastocolor Primer o con Malech in funzione dell’assorbimento del supporto. Elastocolor è disponibile in una ampia gamma di colori ottenibili col sistema di colorazione ColorMap. Consumo 200-400 g/m2 per mano. Confezioni fustini da kg 20 > [20]. CASE HISTORY-13 Mosaici dell’Arco di ingresso al Presbiterio in San Vitale ( Ravenna ) I mosaici della Basilica di San Vitale a Ravenna [ edificata tra il 525 e il 547, una delle chiese più famose di Ravenna, capolavoro dell'arte paleocristiana e bizantina ( vedasi figura 16 ) ] < sono il prodotto più prezioso realizzato nel VI secolo da esperte maestranze ravennate su commissione della corte giustinianea. All’interno della chiesa, concepita quale mirabile microcosmo, le immagini si succedono sviluppando un preciso ciclo iconologico …> [21]. FIGURA 16: La Basilica di S. Vitale a Ravenna [22]. 24 Le riproduzioni fotografiche di alcuni dei mosaici, presenti nella Basilica di S. Vitale a Ravenna, sono riportate nella figura 17 [23]. Nel restauro dell’arco di ingresso al Presbiterio della Basilica di S. Vitale sono state applicati, nelle varie fasi operative, prodotti a base di resine acriliche con caratteristiche diverse. In particolare, facendo riferimento a quanto pubblicato da L. Alberti e A. Tomeucci, l’impiego di resine acriliche ha riguardato i seguenti aspetti [24]. a ) Preconsolidamento - Il fissaggio delle tessere distaccate: effettuato con una resina acrilica in emulsione ( Lascaux360 HV ). Il fissaggio delle cartelline di protezione delle foglie di argento: eseguito con infiltrazione di resina acrilica ( Paraloid B72 ) in soluzione al 4% in cloroetene. La protezione delle foglie di argento/oro rimaste scoperte per la caduta delle cartelline: eseguita con paraloid B72 in cloroetene all’8%. b ) Consolidamento di superficie - L’ancoraggio delle tessere completamente distaccate, ma con loro sede integra: le tessere sono state prima distaccate e poi ricollocate, dopo trattamento con una resina acrilica in emulsione Lascaux 360HV. - Il consolidamento locale della malta di allettamento e il ripristino dell’adesione delle tessere mobili: è stato realizzato mediante infiltrazione negli interstizi tra le tessere di una soluzione acquosa al 50% di resina acrilica in emulsione, Vinnapas SAF54, dopo avere provveduto alla bagnatura, con una soluzione di acqua/alcool, della regione interessata. - La ricollocazione delle tessere che avevano l’impronta nello strato di allettamento integra: < non si è potuta usare la malta…….poiché lo spessore necessario per avere una buona presa sarebbe stato eccessivo e le tessere sarebbero rimaste troppo aggettanti rispetto al livello originale; utilizzando la resina acrilica, in dose molto ridotta e quindi con uno spessore trascurabile, si è potuto assicurare una buona adesione al supporto senza variare la posizione originaria delle tessere > [24]. - Il consolidamento dello strato di allettamento e miglioramento dell’adesione delle tessere mobili: <….non è stata effettuata a malta idraulica per i problemi di sbiancamento che questa avrebbe provocato se non rimossa completamente dalla superficie prima della sua presa; l’uso di resina acrilica, più penetrante e quindi con meno residui in superficie, reversibile e comunque assolutamente trasparente dopo il consolidamento senza provocare spiacevoli effetti ottici….. Si è usata la resina acrilica Lascaux 360HV per le riadesioni e la resina acrilica Vinnapas SAF54 per le infiltrazioni perché la prima ha dimostrato maggiore forza di adesione mentre la seconda maggiore capacità di penetrazione > [24]. c ) Consolidamento e protezione delle tessere deteriorate - L’ancoraggio delle cartelline di protezione delle lamine in oro e argento: è stato eseguito mediate infiltrazione a goccia di Paraloid B72 in cloroetene al 4%. 25 - La protezione delle lamine, dove si è registrata la caduta della cartellina: effettuata applicando, con pennello, una soluzione a base di Paraloid B72 in cloroetene ( 8% ). Il consolidamento e la protezione delle tessere in pietra e in marmo: è stata attuata attraverso infiltrazione di una miscela di Paraloid B72 e di resina acrilica /siliconica Dry Film 104 diluito in cloroetene ( 12,5% Paraloid B72 al 30% in cloroetene; 4% Dry Film 104 al 70% in White Spirit; 83,5% cloroetene ). Dopo il trattamento le tessere sono state ripulite, con solvente organico, della resina in eccesso sulla superficie. In relazione a quest’ultima fase di restauro nel riferimento [24] è scritto: < Quasi tutte le tessere in pietra e in marmo sono state invece consolidate e protette; il deterioramento, consistente in alcuni casi in una vera e propria corrosione ed in altri in decoesione e solfatazione superficiale, interessava pressoché tutto il materiale lapideo. Il Paraloid molto diluito, penetrando in profondità nel materiale decoesionato, ha avuto funzione consolidante; il Dry Film, impedendo il contatto dell’acqua allo stato liquido con la superficie dei pori, protegge il materiale dall’azione corrosiva della condensa acida che ciclicamente si forma sulla superficie del mosaico….> [24]. La reversibilità dei trattamenti di consolidamento/protezione mediante l’impiego di miscele a base di resina acrilica ( Paraloid B72) e di resina acrilica siliconica ( Dry Film 104) è stato studiato da A. E. Carola e A. Tucci nel caso di campioni di due tipi diversi di pietra calcarea. Le condizioni sperimentali sono così descritte nel riferimento [25]. < Two limestones were used for this study, an oolitic one, Indiana limestone, and a fossiliferous one, from Vicenza, Italy. Cubic samples (5 × 5 × 5 cm) were treated with a mixture of acrylic and silicone resins. The samples were treated by capillary rise with the following mixture: -15% v/v of 30% w/v Acryloid B72 (Rohm & Haas) in 1:1 toluene-xylene mixture -5% v/v of 70% v/v DriFilm 104 in white spirit -40% v/v 1,1,1 trichloroethane –40% v/v acetone The samples were left in contact with the mixture for about 18 hours. The increase in weight due to the resin mixture uptake was 0.7% for the Indiana limestone and 1.5% for the Vicenza limestone, which is more porous > [25]. Alcuni campioni di pietra, dopo trattamento con la miscela di resine, sono stati sottoposti a test di invecchiamento accelerato < ……by repeated cycles of sulphuric acid fog (4 hours) followed by drying in a climatic chamber (20 hours). The samples were subjected to 21 cycles in total. Acid fog was obtained by means of a 0.02 M H2SO4 solution. About 0.01 ml/cm2 of acid solution collected per hour on the horizontal face of the sample (the face that had been in contact with the mixture during the treatment, referred to from here on as the top face). The climatic chamber was equipped with a 125 W UV lamp, of high pressure mercury vapor, with highest emission at 280–380 nm, which was left on during the length of the exposure in the chamber at 50°C and 70% RH…. > [25]. L’estrazione delle resine dai campioni trattati ( invecchiati e non ) è stata effettuata mediante una delle seguenti procedure: < 1)-poulticing with a cotton pack holding a 1:1 acetone-trichloroethane mixture, applied over tissue paper on the top face. The pack was left for 1 hour, and the treatment repeated three times; 26 a) b) FIGURA 17: Esempi di mosaici presenti nella Basilica di S. Vitale a Ravenna. a ) Presbiterio, arco dell’abside; rappresenta gli Arcangeli Michele e Gabriele [23]. b ) Presbiterio, lunetta di sinistra; rappresenta i due sacrifici eucaristici di Abele e Melchiseder [23]. 27 2)-immersion of the whole specimen in a 1:1 acetone-trichloroethane mixture and left for four days, the solvent was then changed and left for another seven days > [25]. Dall’esame della micrografia elettronica in scansione della figura 18, che mostra la superficie di un campione di pietra calcarea di Vicenza dopo trattamento con la miscela di resine(Acryloid B72/ DriFilm DF104 ), si ricava che i polimeri che si depositano, a seguito dell’evaporazione del solvente, ricoprono i grani in maniera uniforme. < The appearance of the treated sample does not change, even after one year, in specimens that are kept in the laboratori> [25]. Sottoponendo i campioni trattati con la miscela B72/DF104 ad un processo di estrazione con idoneo solvente si osserva che il materiale polimerico che si era depositato sui grani viene completamente disciolto: il trattamento è reversibile. La degradazione artificiale mette meglio in evidenza il reticolo polimerico formatosi dopo l’evaporazione del solvente nei campioni di pietra di Vicenza, precedentemente trattati con la miscela B72/DF104 ( vedasi micrografia elettronica in figura 19 ). Questa osservazione è da mettere in relazione all’attacco acido che provoca la dissoluzione parziale dei grani lapidei [25]. E’ interessante osservare che il processo di invecchiamento artificiale determina nei campioni trattati con la miscela di resine una certa resistenza a rilasciare completamente i polimeri depositatisi ( vedasi figura 20 ) a dimostrazione del fatto che, almeno nelle condizioni sperimentate il trattamento non è completamente reversibile [25]. I risultati dello studio condotto A. E. Carola e A. Tucci portano alla seguente conclusione: < ….the consolidating and water-repelling treatment based on mixtures of B72-DF104 is not “totally” reversible once the treatment has aged. Specifically, the in-situ polymerization of the silicone resin makes this part of the treatment irreversible.. This irreversibility is limited to the exposed surface of the stone only. This feature should not be a condemning factor, as the surface will be the most weathered part, and should the treatment be totally reversible after the stone has weathered, the surface would be lost because of lack of cohesion. This treatment, based on a mixture of acrylic and silicone resins was found to be totally reversible for the bulk of the treatment, while only a thin surface layer turns partially irreversible. This remaining surface layer, because of its chemical nature and its microstructure, should not interfere with future treatments >[25]. 28 FIGURA 18: Campione di pietra calcarea di Vicenza dopo trattamento con la miscela di resine ( B72/DF104 ) [25]. FIGURA 19: Micrografia elettronica in scansione della superficie di un campione di pietra di Vicenza prima trattato con la miscela B72/DF104 e quindi sottoposto a degradazione artificiale [25]. 29 FIGURA 20: Micrografia elettronica al SEM di un campione di pietra di Vicenza, trattato con la miscela B72/DF104, quindi sottoposto a degradazione artificiale e successivamente a prove di estrazione con solventi dei polimeri solidi depositatisi sui grani. Si nota la presenza di residui di resina: il trattamento è parzialmente reversibile [25]. 30 RIFERIMENTI 1 ) http://www.rcrestauro.it/tipologie.htm (2006). 2 ) http://www.ctseurope.com/dettaglionews.asp?id=12, Bollettino CTS (2006 ). -V. Passarello, M. Camaiti, R. Canova, F. Fratini; "The decay of marly-limestones: individuation of the products for their conservation" dagli atti del convegno "Art & Chimie - Les polymers", Paris, October, 15-16,( 2002). -M. Camaiti, F. Fratini, V. Passarello, U. Tonietti "Consolidamento di materiali lapidei con prodotti organici: recupero della coesione ed inconvenienti", Incontro Tecnico, Fiera del Restauro di Ferrara, 27 Marzo (2004). 3 ) http://www.chiesadelcarmine.it/documenti/restauro_cappella_del_carmine.pdf (2006). 4 ) www.chiesadelcarmine.it (2006) 5 ) http://www.bolognaonline.info/monumenti/sanpetronio.php ( 2006). 6 ) http://commons.wikimedia.org/wiki/Basilica_di_San_Petronio_%28Bologna%29" ( 2006). 7 ) R. Rossi-Manaresi, Effectiveness of conservation treatments for the sandstone of monuments in Bologna. The Conservation of Stone II. Preprints of the Contributions to the International Symposium, Bologna. 665-688 (1981). -Treatment for stone consolidation. Proceedings of the Meeting of the Joint Committee for the Conservation of Stone, Bologna. 547-569 (1975). 8 ) O. Nonfarmale,. – A method of consolidation and restoration for decayed sandstones. Proc. Int. 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Vitale: osservazioni e scelte metodologiche per un restauro”, in < Restauri ai Mosaici nella Basilica di S. Vitale a Ravenna >, a cura di C. Fiori, C. Muscolino, CNR-IRTEC, Faenza (RA) (1999) 22 ) http://it.wikipedia.org/wiki/Immagine:Ravenna_1978_074.jpg (2006). 23 ) www.ravennamosaici.it (2006). 24 ) L. Alberti, A. Tomeucci, “ Intervento di restauro sui mosaici dell’arco di ingresso al presbiterio in S. Vitale a Ravenna”, in < Restauri ai Mosaici nella Basilica di S. Vitale a Ravenna >, a cura di C. Fiori, C. Muscolino, CNR-IRTEC, Faenza (RA) (1999). 25 ) A. E. Carola, A. Tucci, Journal of the American Institute for Conservation, 25, 83 (1986). 32 33 PARTE-D I POLIMERI ORGANICI DI SINTESI USATI NEL CONSOLIDAMENTO E NELLA PROTEZIONE DEL COSTRUITO E DEI MANUFATTI LAPIDEI CAPITOLO 3-D A ) I POLIURETANI: SINTESI, STRUTTURA E PROPRIETA’ I poliuretani ( PU ) sono polimeri di sintesi che si ottengono attraverso una reazione chimica tra diisocianati ( contenenti nella molecola un numero di gruppi –N=C=O = 2 ) e polioli ( con un numero di gruppi idrossilici = 2 ). Questi materiali si caratterizzano per la presenza in catena di legami uretanici [–NH–C(=O)–O–] ( vedasi figura 1 ). FIGURA 1: La reazione tra una molecola di un isocianato e di un alcol porta alla formazione di un legame uretanico La struttura molecolare di diisocianati/poliisocianati comunemente impiegati nella sintesi di poliuretani, lineari e ramificati, è riportata nella figura 2 [1,2]. Le fasi che portano all’ottenimento di un poliuretano, a partire dal 4,4’diisocianatodifenilmetano ( MDI ) e dal glicole etilenico ( vedasi formule in figura 3 ), in presenza di un idoneo catalizzatore ( il diazobiciclo [2.2.2.] ottano ( DABCO ) ), sono a titolo esemplificativo qui di seguito illustrate [3]. FASE-1 Il DABCO, una molecola nucleofila con due elettroni non condivisi, si lega elettrostaticamente con l’idrogeno dell’ossidrile carico positivamente a causa dell’elettronegatività dell’ossigeno a cui esso è legato. La reazione di accoppiamento, descritta in figura 4, determina la formazione di un intermedio, basato su di un legame ad idrogeno, che presenta una carica positiva sull’azoto e una negativa sull’ossigeno. FIGURA 2: Struttura chimica, sigla, nome e settore di utilizzo di diisocianati/poliisocianati comunemente impiegati nella sintesi dei poliuretani [1,2]. FIGURA 3: Nella molecola del diisocianato ( MDI ) e in quella del diolo sono presenti, rispettivamente i due gruppi reattivi –N=C=O e –OH. FIGURA 4: Nella prima fase della reazione che porta alla formazione di una molecola di poliuretano una molecola di catalizzatore, il DABCO, si lega attraverso un legame ad idrogeno ad una molecola di diolo [3]. FASE 2 L’ossigeno carico negativamente si lega al carbonio isocianato di un'altra molecola di MDI. L’intermedio che si forma presenta una carica negativa sull’azoto e una positiva sull’ossigeno ( vedasi reazione in figura 5 ). L’azoto con carica negativa sposta l’idrogeno dall’alcol: si forma un primo dimero che presenta nella sua molecola un legame uretanico, contemporaneamente si libera la molecola di DABCO. Lo schema di questa reazione è riportato in figura 6 [3]. FASE 3 Il dimero uretano contiene ad una delle estremità un gruppo OH, all’altra un gruppo isocianato. Questo gli permette di reagire sia con una molecola di diolo che con una di diisocianato formando un trimero uretano. Il dimero può anche reagire con un altro dimero oppure con un trimero dando luogo alla formazione di oligomeri. Lo schema di questa fase di propagazione è schematicamente illustrato nella figura 7 Infine la combinazione tra oligomeri conduce alla produzione di macromolecole poliuretaniche ad elevata massa molecolare. [3,4]. La formula di struttura dell’unità ripetitiva di un macromolecola di un poliuretano lineare, derivante dalla reazione tra molecole di MDI e di glicole etilenico, è descritta nella figura 8. Nella pratica industriale risulta utile partire non da molecole piccole quali il glicole etilenico ma da un poliglicole preformato ( figura 9 ) avente massa molecolare relativamente elevata ( ad es. 2000 ). A seconda del numero di gruppi funzionali presenti nelle molecole di monomero si possono ottenere poliuretani lineari oppure reticolati FIGURA 5: Schema della reazione di formazione di una molecola di poliuretano: Fase 2 ( vedasi testo ) [3]. FIGURA 6: Schema della sintesi di una molecola di un poliuretano: Fase 2, formazione di un dimero con legame uretanico ( vedasi testo ) [3]. FIGURA 7: Schema relativo alla fase di accrescimento delle molecole di uretano con formazione di un trimero ( vedasi testo ) [3]. FIGURA 8: struttura dell’unità ripetitiva di un macromolecola di un poliuretano lineare, derivante dalla reazione tra molecole di MDI e di glicole etilenico [3,4]. FIGURA 9: In alto: struttura molecolare del poliglicole etilenico. In basso: struttura dell’unità ripetitiva di una macromolecola di un poliuretano ottenuta per reazione del poliglicole con MDI. Il polimero si caratterizza per la presenza di blocchi flessibili e rigidi [3,4]. FIGURA 10: Processo di sintesi e struttura chimica dell’unità ripetitiva di una macromolecola di poliurea a partire dal 4,4diisocianatofenilmetano e dall’etilene diammina [5]. Quando il dialcol è sostituito con una molecola di diammina il polimero risultante è denominato poliurea: lungo la catena si succedono legami di tipo ureico [ ? NH? C(=O)? NH? ]. La struttura chimica dell’unità ripetitiva di una macromolecola di poliurea, derivante dalla reazione tra il 4,4 diisocianatofenilmetano e l’etilene diammina è illustrata in figura 10 [5]. Come si evince dalla figura 9 i PU sono dei copolimeri a blocchi ( di tipo alternato ) dove lungo le singole macromolecole si succedono segmenti molecolari rigidi ( Hard segment: A ) e flessibili/elastomerici ( Soft segment: B ). Pertanto la struttura molecolare di una singola catena di PU-lineare può essere schematicamente così rappresentata: [? A? B? A? B? A? B? A? B? ]n I segmenti elastomerici/flessibili, in generale, derivano da molecole di polioli che possono essere di tipo polietere ( si ricavano essenzialmente da una miscela di ossido di propilene e ossido di etilene ) oppure poliestere ( ottenuti, ad esempio, dalla polimerizzazione del glicole etilenico con l’acido adipico ). Conseguentemente i rispettivi poliuretani vengono denominati PU-polieteri e PUpoliesteri. Le strutture molecolari di un poliolo-etere di un poliolo-estere sono qui di seguito riportate: POLIOLO-ETERE R? [O? CH(CH3)? CH2? O)x? (CH2? CH2? O)y? H]n POLIOLO-ESTERE R? [O? (C(=O)? (CH2)4? C(=O)? O? CH2? CH2? O)x? H]n Nei PU i segmenti rigidi sono costituiti da molecole di diisocianato e da molecole di un diolo a basso peso molecolare che di norma viene chiamato chain extender o estensore di catena. Tipici esempi di estensori di catena sono: l’ 1,4-butandiolo; l’etilene glicole e l’1,6-esandiolo [6]. Nello stato condensato, a causa di forti legami ad idrogeno che si vengono ad esplicare tra gruppi uretanici appartenenti a macromolecole diverse, i segmenti rigidi tendono ad aggregarsi costituendo delle microfasi. Pertanto il materiale può essere considerato un sistema a due fasi interconnesse tra loro che si differenziano sostanzialmente per le diverse caratteristiche chimico-fisiche. In molti PU segmentati questa struttura bifasica determina un comportamento termico del materiale caratterizzato da due transizioni vetrose: quella dei segmenti flessibili a bassa temperatura e quella della fase rigida a temperature più elevate. I segmenti rigidi, a temperature relativamente basse ( T < Tg fase rigida ) agiscono da cross-link di natura fisica contribuendo a dare consistenza al materiale. A temperature elevate ( T > Tg fase rigida ) i legami intercatena si rompono e pertanto il polimero può essere lavorato come un normale termoplastico. Riportato alle basse temperature si riformano i legami ad idrogeno e il materiale conserva la forma conferitagli nel corso del processo di lavorazione. La micromorfologia in massa di un PU-segmentato, caratterizzata dalla presenza delle due fasi ( hard e soft ) è schematicamente illustrata nella figura 11 [7]. Le proprietà e le caratteristiche dei poliuretani < dipendono sia dalla struttura dei prodotti di base, polioli e isocianati, sia dal tipo di catalizzatori e additivi impiegati; catalizzatori e additivi vengono spesso premiscelati con i polioli e contribuiranno, durante la reazione con l’isocianato, sia a controllare la reazione di sintesi del poliuretano, sia a modificare le proprietà del polimero finale >[8]. FIGURA 11: Struttura dei poliuretani segmentati allo stato condensato. Sono schematicamente rappresentate le microfasi ( hard e soft ) Che determinano il comportamento chimico e fisico del materiale [7]. La moderna chimica dei PU offre ai produttori la possibilità di potere sintetizzare materiali con proprietà fortemente diversificate e spesso mirati /funzionali a particolari e sempre più sofisticati impieghi. In relazione a questo ultimo punto A. M. M. Baker e J. Mead hanno scritto: < The properties of PU can be varied by changing the type or amount of the three basic building blcks of the polyurethane -diisocyanate, short chain diol, or long chain diol. Given the same starting materials the polymer can be varied simply by changing the ratio of the hard and soft segments > [6]. I polioli impiegati nella sintesi dei PU hanno un peso molecolare compreso tra 400 e 6000 e una funzionalità (numero di OH reattivi per molecola) che, generalmente, varia da 2 ad 8. Possono essere di natura polietere o poliestere e con una struttura lineare o ramificata. La flessibilità molecolare, la struttura, la funzionalità e il peso molecolare dei polioli determinano il grado di reticolazione e le proprietà ultime del poliuretano che si ottiene a seguito della reazione con isocianati. I catalizzatori più usati, nella sintesi dei poliuretani sono a base di ammine alifatiche terziarie ( vedasi tabella 1 ) [8]. TABELLA 1 Catalizzatori di tipo ammina terziaria usati nella sintesi dei poliuretani [8]. N,N-Dimetilamminoetanolo ? liquido poco viscoso, basso odore; utilizzato per schiume flessibili N,N-Dimetilcicloesammina ? liquido con odore intenso; utilizzato per schiume flessibili e semirigide Bis-(2-dimetil-ammina-etil-etere) ? liquido poco viscoso, basso odore; utilizzato per schiume flessibili N,N-Dimetilbenzilamina ? liquido odoroso; utilizzato per schiume flessibili e semirigide, e nella preparazione di prepolimeri N,N-Dimetilacetilammina ? liquido viscoso con basso odore;utilizzato per schiume flessibili Diamminocicloottano (DABCO) ? solido solubile in acqua, glicol e in polieteri; impiegato in molti tipi di poliuretani; N-etilmorfoline ? liquido odoroso a bassa viscosità, molto volatile; usato per schiume flessibili, e nella preparazione di Prepolimeri Metilene-bis-dimetilcicloesammina ? liquido a bassa volatilità, poco odoroso; utilizzato per schiume flessibili N,N,N’,N”,N”-pentametildipropilene-triammina ? liquido con forte odore ammoniacale; utilizzato per schiume rigide e semirigide I PU vengono impiegati nella produzione di una vasta gamma di materiali, con proprietà fortemente diversificate, che trovano applicazione in una grande varietà di settori di utilizzo. Alcune delle più significative classi di prodotti di natura poliuretanica sono qui di seguito descritte. 1 ) POLIURETANI ELASTOMERICI Si ottengono per reazione tra un diisocianato, un poliolo ed un estensore di catena (in genere un glicole a basso peso molecolare, un triolo o una diammina). La sintesi porta alla formazione di copolimeri a blocchi lungo le cui macromolecole si succedono segmenti rigidi alternati a segmenti flessibili. < Tra i segmenti rigidi delle diverse catene si instaurano interazioni a formare una struttura secondaria basata su legami idrogeno. Durante il raffreddamento, a causa della incompatibilità tra segmenti rigidi e flessibili, si ha il passaggio da una struttura omogenea allo stato fuso ad una struttura in cui sono visibili due microfasi: zone dall'aspetto quasi-cristallino, costituite dagli agglomerati di segmenti rigidi, e zone a carattere amorfo, costituite dai lunghi segmenti flessibili. Il gran numero di legami idrogeno presenti tra i segmenti rigidi conferisce loro una certa coesione e li mantiene ordinati; l'applicazione di uno sforzo in senso longitudinale fa sì che i segmenti flessibili si ordinino in parallelo, mentre le catene rimangono impedite nello scorrimento dall'ancoraggio alle zone rigide. I segmenti rigidi sono responsabili della resistenza alla tensione, mentre i segmenti flessibili determinano l'espansione elastica e la temperatura di transizione vetrosa >[8]. I PU-elastomerici si caratterizzano per le seguenti proprietà: ? buona flessibilità, anche a basse temperature; ? resistenza allo sforzo, all’abrasione e agli agenti chimici; ? resistenza all’urto [8]. 2 ) POLIURETANI ELASTO-PLASTICI Sono poliuretani elastomerici ( lineari o reticolati ) capaci di assumere caratteristiche plastiche a temperature elevate e quindi essere lavorati mediante estrusione, calandratura e stampaggio per iniezione. I PU-elastoplastici si ottengono facendo reagire polioli poliesteri o polieteri (dioli) con diisocianati in presenza di idonei estensori di catena ( ad esempio glicoli a basso peso molecolare ). < La reticolazione si ottiene inserendo nella formulazione un leggero eccesso di isocianato e questo fa sì che si formino reticolazioni con legami tipo allofanato o biureto; per riscaldamento a temperature di 90-120°C si ha rottura reversibile dei legami di reticolazione, con formazione di un polimero lineare che, sottoposto a raffreddamento dopo la lavorazione, reticola nuovamente per reazione dei gruppi isocianici liberi con i gruppi uretanici e ureici >[8]. I PU-elastoplastici presentano: ? ? ? ? buona attitudine alla lavorazione buone proprietà meccaniche elevata resistenza all'abrasione, in particolare alle basse temperature; ottima fonoassorbenza [8]. 3 ) GOMME POLIURETANICHE In genere vengono sintetizzate aggiungendo alla miscela di polioli polieteri o poliesteri e diisocianati agenti vulcanizzanti ( ad es. zolfo e perossidi ). < La gomma poliuretanica viene utilizzata per produrre parti soggette ad elevati stress meccanici, ad alta temperatura ed al contatto con lubrificanti e solventi. La gomma poliuretanica è un prodotto solido che viene lavorato con le tecnologie tipiche dell'industria della gomma: estrusione, calandratura, stampaggio per iniezione > [8]. 4) PRODOTTI POLIURETANICI PER RIVESTIMENTI SUPERFICIALI: VERNICI E ADESIVI Si caratterizzano per: ? ? ? ? durezza; flessibilità; resistenza all’abrasione; resistenza alla luce e agli agenti chimici. 5 ) POLIURETANI ESPANSI: SCHIUME RIGIDE E FLESSIBILI I materiali polimerici espansi, comunemente denominati schiume, hanno una struttura cellulare e quindi una relativamente bassa densità. Hanno caratteristica di termoindurenti a causa della loro struttura reticolata per cui il prodotto finito non può essere più fuso e rilavorato. Questi prodotti, che possono essere ottenuti mediante un processo fisico ( un agente rigonfiante a basso punto di ebollizione, capace di passare allo stato di gas a seguito dell’aumento di temperatura causato dalla esotermicità della reazione di polimerizzazione, viene immesso nella miscela di reazione ) oppure chimico ( viene aggiunta H2O che reagendo con l’isocianato provoca lo sviluppo di CO2 sulla base della seguente reazione: R-NCO+ H2O ? R-NH2+CO2 ), si suddividono, a seconda del loro impiego, in quattro gruppi [9,10]. -Schiume flessibili Sono materiali con struttura a celle aperte, caratterizzati da elevata elasticità, resistenza alla trazione e allungamento. -Schiume rigide Generalmente hanno una morfologia a celle chiuse. Si caratterizzano per le loro basse proprietà meccaniche e l’elevata capacità di fono e termo isolamento. -Schiume elastomeriche Si distinguono per una struttura cellulare molto fine ( microcellulare ), una densità relativamente elevata e una ottima resistenza all’abrasione. -Schiume strutturali Sono dei materiali a più di un componente, con struttura a sandwich, caratterizzati da due strati superficiali ( rivestimenti ) in polimero termoplastico( PVC o ABS ) e uno strato interno in poliuretano espanso. Per le loro proprietà meccaniche e termiche le schiume strutturali a base poliuretanica sostituiscono in molte applicazioni materiali come il legno, i polimeri termoplastici e i compositi a matrice polimerica [8,11,12]. RIFERIMENTI 1 ) 7 ) C.V.Horie, < Materials for Conservation >, Elsevier ( BH) (2005). 2 ) 28 ) G. Gentile < Materiali Polimerici per la Conservazione dei Tessili > tesi ambito PONMURST-Parnaso, Supervisore e Coordinatore Scientifico E. Martuscelli, CAMPEC (2000). 3 ) http://pslc.ws/italian/uresyn.htm ,|Department of Polymer Science|University of Southern Mississippi (1995,1996). 4 ) S. Vargiu, “Polimeri termoindurenti”, in < Macromolecole Scienza e Tecnologia >, pp-507-532, AIM, Pacini Editore, Pisa (1983) 5 ) http://pslc.ws/italian/urethane.htm ,|Department of Polymer Science|University of Southern Mississippi (1995,1996). 6 ) A. M. M. Baker, J. Mead, Thermoplastics, in < Modern Plastics Handbook >,chap.1, C. A. Harper Editor, McGraw-Hill, New York (1999). 7 ) E. Polo, Bollettino AIM, 61-annoXXXI, 28 (2006). 8 ) http://extranet.regione.piemonte.it (2006). 9 ) G. Cossi, “Materiali polimerici espansi: sintesi e tecnologie”, in < Macromolecole Scienza e Tecnologia >, pp-800-818, AIM, Pacini Editore, Pisa (1983). 10 ) < Chimica dei poliuretani >, http://www.tela.it/approfondimenti/chimica.html (22006). 11 ) C. Bigozzi, Seleplast, 7-8,53 (1994). 12 ) H.R. Gillis,Senior, Polyurethanes in < Modern Plastics-Encyclopedia Handbook >, pp. 82-85, McGraw-Hill, Inc. USA (1994). PARTE-D I POLIMERI ORGANICI DI SINTESI USATI NEL CONSOLIDAMENTO E NELLA PROTEZIONE DEL COSTRUITO E DEI MANUFATTI LAPIDEI CAPITOLO 4-D A ) LE PROPRIETA’ DEI POLIURETANI IN RELAZIONE ALLE LORO APPLICAZIONI NELLA CONSERVAZIONE DEL COSTRUITO E DEI MANUFATTI LAPIDEI CASE HISTORY 1 I poliuretani ( PU ), la cui commercializzazione risale agli anni 30 del secolo scorso, cominciarono a trovare applicazione nella conservazione dei beni culturali solo a partire dai primi anni del decennio 1950-60 [1]. Come già scritto nel capitolo precedente, a seconda della natura chimica del poliolo usato i PU si suddividono in PU-poliesteri ( PU-Pes ) oppure in PU-polieteri ( PU-Pet ). A parità di ogni altra condizione si verifica che i PU-Pet sono più resistenti all’idrolisi dei Pu-Pes, mentre nei confronti dell’azione degli oli e dei carburanti sono i PU-Pes a presentare una maggiore resistenza. La flessibilità alle basse temperature dei PU può essere controllata dalla lunghezza e dalla natura dei segmenti soft. In generale si riscontra che la temperatura di transizione vetrosa dei PU-Pet è inferiore di quella dei PU-Pes; pertanto questi ultimi si caratterizzano per una minore flessibilità alle basse temperature [2]. La resistenza al calore dei PU è determinata dalla struttura chimica dei segmenti hard. In generale i PU si caratterizzano per l’elevata resistenza: - all’abrasione; all’urto; al taglio; agli attacchi fungini [2]. L’elevata resistenza agli oli è dovuta alla natura altamente polare delle macromolecole di PU, mentre l’alta resistenza all’abrasione deriva dall’impacchettamento compatto dei segmenti hard e dalla loro distribuzione, come domini, nella matrice elastomerica dei segmenti soft [3]. Le problematiche connesse all’impiego dei PU sono da mettere in relazione ai seguenti aspetti: ‡ alta tossicità degli isocianati; ‡ tendenza all’ingiallimento all’aria; ‡ attitudine alla depolimerizzazione, polverizzazione e deformazione strutturale [4]. In presenza di sostanze acide e alle alte temperature una prolungata esposizione alla luce naturale può indurre fenomeni di decomposizione delle catene di PU che portano alla formazione di molecole di diisocianato ( O=C=N–R–N=C=O ) e di lunghe molecole di alcoli ( poliesteri o poliesteri ) [5]. In conseguenza di ciò film di PU possono diventare, per esposizione alla luce, fragili, mentre lo sviluppo di diisocianati può causare la corrosione di metalli e lo scoloramento di pigmenti e tessili di varia natura. Le resine poliuretaniche, le poliuree e gli ibridi poliuretani/poliuree ( derivano dalla reazione chimica tra un isocianato e una miscela di poliolo e ammina ) hanno trovato applicazione nei lavori di restauro come impregnanti ad effetto consolidante. I PU vengono impiegati come consolidanti/protettivi di manufatti in pietra, generalmente, allo stato di soluzione o di emulsione acquosa dalla quale essi si depositano per evaporazione del solvente. < Polyurethanes can achieve substantial increase in stone strength but are vulnerable to decay caused by exposure to heat or light, they may therefore include stabilizers > [6]. In molte applicazioni, per evitare l’uso di solventi, i PU vengono utilizzati sfruttando il concetto della polimerizzazione in situ. In questo caso vengono impiegate formulazioni a base di prepolimeri a basso peso molecolare ( 250-350 ) e a bassa viscosità ( a 25°C intorno ai 250 cps ) capaci di penetrare e diffondere all’interno della pietra dove in presenza di opportuni catalizzatori polimerizzano e induriscono. Verso la fine degli anni 80 del secolo ventesimo la Syremont ( Italia ) mise a punto una famiglia di 2 PU-Pes da usare come consolidanti di vari tipi di materiali. Tra questi rientra l’ Akeogard-PU, un < Aggregante superficiale idrofobizzante a base di poliuretano fluorurato anionico, in emulsione acquosa > capace di esplicare un’azione di protezione per qualsiasi tipo di materiale lapideo, laterizi e intonaci [7]. Le caratteristiche chimico-fisiche dell’Akeogard-PU sono le seguenti: -Contenuto materia attiva: 12-13% poliuretano fluorurato -Aspetto: emulsione limpida -Densità: 1 kg/l a 20°C -pH: 5,5 [7]. Alcuni significativi esempi di applicazione dei PU nel campo della conservazione del costruito sono qui di seguito riportati e discussi. CASE HISTORY-1 Protezione/Consolidamento di Pietre di Travertino Recentemente, nell’ambito del < Progetto Travertino >, si è provveduto alla valutazione delle prestazioni di alcuni prodotti commerciali quali protettivi e consolidanti di campioni di travertino. < …roccia sedimentaria carbonatica con struttura concrezionata, è costituita da zone compatte alternate a zone con cavità più o meno grandi. Questa roccia la si ritrova in grandi affioramenti nel Lazio e in Toscana e, proprio in queste regioni, è stata ampiamente usata come materiale da costruzione. Benchè il travertino abbia numerose cavità, anche di grandi dimensioni, ha una compattezza elevata e una limitata capacità di assorbire acqua > [8]. Tra i materiali impiegati, come si evince dalla tabella 1, insieme a prodotti appartenenti alla famiglia degli alcossisilani, degli alchilalcossisilani, delle resine acriliche e dei fluoroelastomeri figura anche l’ Akeogard-PU. Dalla relazione conclusiva del “Progetto Travertino”, redatta da M. Camaiti e B Sacchi ( ICVBC - CNR – Firenze ), al termine di uno studio eseguito in collaborazione con C.T.S. S.r.l., è stato possibile ricavare interessanti informazioni sull’idoneità dei vari trattamenti [8]. Per valutare l’efficacia dei prodotti usati, sui provini in travertino ( dimensioni: 5x5x2 cm3 ), prima e dopo il trattamento, sono state effettuate misure di: –Idrorepellenza –Diffusione di acqua liquida all´interno dei provini –Resistenza alla perforazione –Variazioni cromatiche I campioni sono stati anche trattati con sali solubili secondo la seguente procedura: < Sono stati scelti 6 provini per ciascun trattamento, 4 fra quelli trattati a pennello e fra quelli trattati per assorbimento capillare, e sono stati sottoposti ad assorbimento capillare di una soluzione di Na2SO4 al 10% in peso. L'assorbimento è stato fatto avvenire appoggiando, su 10 filtri di carta, la faccia 5x5 cm2 opposta a quella del trattamento, lasciando poi i provini ad assorbire per 24 ore, aggiungendo opportune quantità di soluzione quando si rendeva necessario, perchè la carta da filtro non andasse mai a secco > [8]. 3 TABELLA 1 PRODOTTI COMMERCIALI CON CARATTERISTICHE CONSOLIDANTI/PROTETTIVI INPIEGATI NEL “PROGETTO TRAVERTINO” [8]. Wacker OH: silicato d'etile al 75% in solvente organico Tegovakon Estel 1000: silicato d'etile al 75% in solventi organici V100: composti organici dell'estere silicico e metilsilossano al 100% Fluormet CP: blend fluoroelastomero / poli(etil metacrilato - co-metil acrilato) al 3% in acetone Akeogard PU: poliuretano perfluorurato anionico in emulsione acquosa (12-13%) VP5035: miscela di 40-60% alchil-alcossi-silani, 30-40% esteri dell'acido silicico, 10-20% propanolo Paraloid B72: poli(etil metacrilato- co-metil acrilato) (70/30) al 2,5% in acetone Infine i campioni sono stati sottoposti a prove di invecchiamento artificiale le cui modalità sono così descritte nel riferimento [8]: < I provini contenenti il solfato di sodio, dopo essiccamento a temperatura e umidità ambiente, sono stati sottoposti a cicli di invecchiamento accelerato in camera climatica. Ciascun ciclo, della durata di 9 ore, era così costituito: 3 ore a T = 50ºC e U.R.% = 30% e 3 ore a T = 5ºC e U.R.% = 80%, con tempi intermedi di 1 ora e mezzo fra le due isoterme per raggiungere le diverse temperatura e umidità relativa impostate. Dopo 50 cicli di invecchiamento accelerato i provini sono stati estratti dalla camera, fatti stabilizzare a temperatura e umidità ambiente, quindi effettuate nuovamente le misure di colore. Dopo ulteriori 50 cicli di invecchiamento (100 cicli in totale), oltre alle misure di colore è stata misurata l'idrorepellenza sia a tempi brevi, sia a tempi lunghi. Le curve di assorbimento capillare, ottenute dalle misure di assorbimento a tempi lunghi, sono state confrontate con quelle ottenute dai provini non invecchiati, e che non avevano assorbito la soluzione di solfato di sodio. Ulteriori cicli di invecchiamento sono stati effettuati raggiungendo complessivamente i 200 cicli. 4 Dopo 150 e 200 cicli sono state eseguite misure di resistenza alla perforazione mediante DFMS (Drilling Force Measurement System). Le misure effettuate dopo 150 cicli sono state realizzate su alcuni provini essiccati in essiccatore a cloruro di calcio fino a peso costante, mentre quelle eseguite dopo 200 cicli, sempre sugli stessi provini, sono state fatte sia ad "umido" (appena tolti dalla camera climatica), sia a "secco" (dopo essiccazione in essiccatore fino a peso costante). Su alcuni provini, dopo 200 cicli di invecchiamento, sono state inoltre fatte delle misure di tomografia NMR (MRI) per la valutazione della profondità di penetrazione del prodotto e della omogeneità del materiale lapideo. Per confronto, le misure MRI sono state eseguite anche su provini non invecchiati ma stagionati > [8]. Come si evince dai dati riportati nella figura 1 tutti i trattamenti effettuati mostrano una elevata efficacia protettiva ( > dell’80% ) conferendo ai campioni di travertino una buona capacità di idrorepellenza. FIGURA 1: Efficacia protettiva in funzione della natura chimica dei prodotti usati su campioni di travertino. Sulle ascisse sono riportati i nomi commerciali delle varie formulazioni impiegate ( vedasi tabella 1 ) [8]. Dalla quantità di acqua assorbita dalla faccia non trattata dei vari provini è stato possibile risalire al grado di penetrazione dei diversi trattamenti. Da queste determinazioni è risultato che i prodotti siliconoici penetrano più in profondità di quanto non facciano il Fluormet CP e l’Akeogard PU. < L´invecchiamento accelerato in presenza di sali solubili (solfato di sodio) non sembra modificare sensibilmente l´effetto idrorepellente dei trattamenti……almeno dopo 100 cicli. La diminuzione dell´efficacia protettiva, infatti, è al di sotto del 10%, ad eccezione di Estel 1000 (11%). Diminuzioni più marcate, in particolare per i prodotti a base di silicio, sono osservate sui provini non invecchiati ma "stagionati", in condizioni di laboratorio, per 5 mesi (lo stesso tempo dal trattamento dei provini sottoposti ad un invecchiamento di 100 cicli) > ( vedasi figura 2 ) [8]. 5 Il comportamento apparentemente anomalo, riscontrato sui provini di travertino non trattati ma invecchiati artificialmente ( figura 2-a) ) è, secondo gli Autori, attribuibile ad una diminuzione della porosità totale connessa alla cristallizzazione del solfato di sodio all´interno dei pori. < Questa ipotesi sembra confermata dalle misure di assorbimento di acqua a tempi lunghi: in tal caso i provini invecchiati assorbono una maggior quantità di acqua rispetto a quelli non invecchiati ……Durante l´assorbimento a tempi lunghi, infatti, il sale ha sufficiente tempo per solubilizzarsi, contrariamente a quanto potrebbe non avvenire a tempi brevi (60 minuti) e i cristalli depositati all´interno dei pori funzionano da "blocco" per l´ingresso dell´acqua > [8]. a) b) FIGURA 2: Variazione dell'efficacia protettiva dei vari tipi di trattamento effettuati su provini di travertino in presenza di sali solubili ( solfato di sodio ): a ) dopo invecchiamento artificiale (100 cicli); b ) dopo stagionatura (5 mesi) [8]. 6 Dalle prove effettuate è emerso che l’invecchiamento artificiale causa nei campioni trattati con Fluormet CP e Akeogard PU una riduzione dell’efficacia protettiva che è maggiore di quella osservata nel caso dei prodotti a base di silicio e del PB72 ( vedasi figura 2-a) ). < Questo risultato potrebbe essere attribuibile ad una differente penetrazione dei prodotti all´interno della pietra: maggiore è la penetrazione minore è la capacità di assorbire acqua e soluzioni saline, quindi migliore la resistenza all´invecchiamento……… La valutazione dell´efficacia all´invecchiamento …….dà indicazioni sul fatto che composti a più basso peso molecolare riescono a penetrare fino in profondità e quindi garantiscono una miglior protezione > [8]. Dai dati della figura 3 si ricava che, ad eccezione del trattamento con VP5035 ( per il quale si osserva un valore di ? E ~10 ), le variazioni cromatiche, riferite al valore prima del trattamento, riscontrate nei provini trattati con tutti gli altri prodotti sono tali da non essere percepite ad occhio nudo ( ? E < 3 ) [8]. I valori delle variazioni colorimetriche non risultano essere influenzate dall’invecchiamento. FIGURA 3: Variazioni cromatiche di provini di travertino dopo trattamento e dopo invecchiamento accelerato in funzione della natura chimica dei prodotti impiegati il cui nome commerciale è indicato sulle ascisse [8]. L’insieme dei risultati ottenuti nell’ambito del “Progetto Travertino” ha permesso di trarre, in definitiva, le seguenti conclusioni: < ? Tutti i prodotti, compreso quelli contenenti silicato di etile, conferiscono elevata idrofobicità alla pietra con quantità di prodotto talvolta molto basse. Tale proprietà permane anche dopo invecchiamento accelerato. ? Le variazioni cromatiche del travertino dovute al trattamento sono modeste e spesso trascurabili, ad eccezione di VP5035. 7 ? I materiali polimerici a peso molecolare relativamente alto (PB72, Fluormet CP e Akeogard PU) hanno una minor capacità di penetrazione e la quantità di prodotto che viene assorbita dalla roccia è molto minore rispetto ai composti oligomerici o monomerici. La distribuzione del materiale polimerico è inoltre preferenzialmente superficiale, come evidenziato dalla capacità di assorbimento di acqua dalla faccia non trattata. ? La valutazione dell´efficacia all´invecchiamento dei prodotti di conservazione è difficile da valutare a causa della elevata disomogeneità del travertino. Le misure più attendibili sono risultate quelle della determinazione dell´assorbimento di acqua e della visualizzazione della diffusione di acqua liquida (MRI), a condizione che le prove vengano effettuate sugli stessi provini prima del trattamento, dopo trattamento e dopo invecchiamento. Valutazioni per confronto con provini simili sono poco significative > [8]. CASE HISTORY-2 Restauro/Conservazione di Manufatti Piani in Calcestruzzo La Elastomer Specialties, INC. ( USA ), produce e commercializza un prodotto sigillante a due componenti, una poliurea modificata con caratteristiche di elastomero ( KWIKSEAL 35 ES-1945 ) < designed for sealing expansion/contraction joints in both new and old concrete……. KWIKSEAL 35 ( ES-1945 ) is self levelling and has been specifically formulated for use on horizontal surfaces only > [9]. Le caratteristiche di impiego del KWIKSEAL 35; ES-1945 e alcune delle più significative proprietà fisiche sono qui di seguito riassunte: ? ? ? ? ? ? ? ? ? solido al 100%, rispetta le norme per il VOC; temperatura di cura 7-54 °C; tempo di gelo 1-2 minuti; tack-free in 3-5 minuti ottima durabilità; resta flessibile anche alle temperature basse; ottima adesione al calcestruzzo; ottima stabilità termica; elevata elongazione [9]. ? ? ? ? ? ? ? ? resistenza meccanica in trazione elongazione modulo, 100% modulo, 200% modulo, 300% resistenza allo strappo durezza abrasione Taber ASTM D412 ASTM D412 ASTM D412 ASTM D412 ASTM D412 ASTM D624 ASTM D2240 ASTM D3489 654 (psi) 900 (%) 174 (psi) 279 (psi) 357 (psi) 140 (pli) 46 (shore A) CS-17 (wheel) Possibili applicazioni del KWIKSEAL 35 ES-1945, relativamente al restauro conservativo di manufatti piani in calcestruzzo sono illustrate nella figura 4 [9]. 8 a) b) FIGURA 4 : Esempi di applicazioni del sigillante KWIKSEAL 35; ES-1945 ( un prodotto elastomerico a due componenti, una poliurea modificata, della Elastomer Specialties, INC. ( USA ) ) nel campo della conservazione di manufatti piani in calcestruzzo [9]. CASE HISTORY- 3 Ripristino dell’Adesione tra Superfici Metallo/Calcestruzzo La Elastomer Specialties, INC. ( USA ) commercializza anche una poliurea ibrida, modificataaromatica, a due componenti ( marchio di fabbrica: ELASTOKAST 95 (ES-9500) ). < ElastoKast 95 (ES-9500) is a two component, 100% solids, no VOC’s (Volatile Organic Compound), modified, aromatic, hybrid polyurea. ElastoKast 95 (ES-9500) is designed to be a rapid curing elastomer system, that can either be poured or pumped. The material has been specifically formulated for use as an emergency airport runway repair polymer, capable of receiving heavy loads within 1 hour of installation. ElastoKast 95 (ES-9500) displays quick cure times and develops high early green strength. This polyurea bonds extremely well to properly prepared concrete and metal surfaces, withstanding temperatures up to 425ºF. The polymer offers good chemical resistance, water insensitivity, abrasion resistance and thermal stability at both high and low temperature ranges. Gel times are adjustable from 3 minutes to 30 seconds > [10]. 9 Come raffigurato nella figura 5 ELASTOKAST 95(ES-9500) può essere applicato sia mediante una pompa ( figura 5-a) ) oppure a mano ( figura 5-b) ). Il prodotto di cui sopra è capace di agire da forte legante tra superfici di metallo e di calcestruzzo, opportunamente preparate, resistendo fino alla temperatura di ~ 220°C. La poliurea è capace di esplicare una ottima resistenza nei confronti degli agenti chimici e dell’acqua. Inoltre il polimero, dopo cura, resiste molto bene all’abrasione e mostra una elevata stabilità termica sia alle alte che alle basse temperature [10]. Alcune delle più significative proprietà fisiche dell’ ELASTOKAST 95(ES-9500) sono sotto riportate: ? ? ? ? ? ? ? ? ? resistenza meccanica in trazione elongazione modulo, 100% modulo, 200% modulo, 300% resistenza allo strappo durezza abrasione Taber temperatura di transizione vetrosa ASTM D412 ASTM D412 ASTM D412 ASTM D412 ASTM D412 ASTM D624 ASTM D2240 ASTM D4060 DMA 3300 (psi) 450 (%) 1373 (psi) 873 (psi) 2392 (psi) 501 (pli) 55 (shore A) 11,5 -8,3°C ELASTOKAST 95(ES-9500) si caratterizza per le seguenti caratteristiche di impiego: ? tempo di gelo ? tempo di tack-free ? rapporto volumetrico dei componenti 2 (mins) 4 (mins) 1:2 CASE HISTORY-4 Restauro Conservativo del Monumento alla Libertà’ ( Riga, Lettonia ) Un mastice a due componenti di natura poliuretanica è stato impiegato come sigillante, sostitutivo del piombo, dei rivestimenti in granito durante il restauro del Monumento alla Libertà ( vedasi capitoli precedenti per i dettagli costruttivi ). In relazione a questa importante fase di restauro conservativo nel riferimento [11] è scritto: < According to the conservation principles, and architectural/constructive specification of the Freedom Monument, the filling material of the joints between granite cladding and sculptures in the vertical facades should meet the following demands: • providing the hermetic properties preventing the ingress of moisture and atmospheric pollution into reinforced concrete construction; • elasticity of the material providing the possibility to deformations due to the thermical and mechanical movement of the Monument materials. According to the calculations, the material should be able to uptake about 2 – 3% of deformations; • compatibility with the granite by the density (= granite) and thermal expansion (similar to granite); • compatibility with the lead by the expression, appearance, texture and form; 10 • reversibility of the substitute material > [11]. I tecnici valutarono i materiali tradizionali ( piombo, malta in calce/cemento ) non idonei a soddisfare i requisiti sopra elencati. < Therefore the solution was made to evaluate the possibility to use the modern materials as the most appropriate the binary mixed elastic material of epoxy bounded polyurethane was selected > [11]. a) b) FIGURA 5: Possibili modalità applicative della resina ELASTOKAST 95(ES-9500), una poliurea ibrida, modificata-aromatica, a due componenti, commercia-lizzata dalla Elastomer Specialties, INC., ( USA ) [10]. 11 In particolare il mastice poliuretanico prescelto ( un poliuretano epossidico binario con caratteristiche elastomeriche ) si caratterizza per le seguenti proprietà: • capacità di assorbire deformazioni fino al 25%; • alta elasticità; • densità minore di quella del granito ( granito: 2600 Kg/m3; mastice-PU: 1200 Kg/m3 ); • elevata idrofobicità; • colorazione identica a quella del sigillante a base di piombo; • reversibilità ( è possibile eliminare il mastice-PU indurito dalle connessioni senza danneggiare il granito ) [11]. L’esperienza ha messo in risalto il fatto che dopo circa 10-15 anni dall’applicazione manufatti trattati con il mastice-PU denotano un comportamento all’esposizione migliore di quelli trattati con la tradizionale malta basata su cemento/sabbia. I dettagli dell’intervento di sostituzione del sigillante in piombo con quello in mastice-PU viene così descritto nel riferimento [11]: < Taking into account the construction of the Monument, the possibility of the presence of the moisture under the granite cladding was considered. In order to provide the evaporation of the moisture and prevent the negative side-effects in the long-term period, the drainage of the PU mastic joints was done by the placing in the plastic drains (diameter about 5 – 10 mm) in the joint material in the direct places determined for the construction of the Monument as a whole. In the period of 2 years after restoration the evaluation of the performance of the PU mastic in the object was carried out by the visual observation and detailed documentation. In summary the following points should be outlined: • the PU mastic shows good bounding and hermetic properties; • however despite the carefully carried out jointing work, in few places the damages due to the inaccuracies in the jointing technology was observed; • the main damages are the mechanical cutting of the jointing material caused by the people. It could be considered as the main disadvantage of the PU material when using it in the places accessible to public. • the regular every-year survival of the damages and subsequent local repointing of the joints should be done as a further regular maintenance > [11]. CASE HISTORY-5 Rivestimento del Ponte di San Matteo ( San Francisco- California, USA ) Resine poliuree della Elastomer Specialties, Inc. Polymers Division sono state impiegate, insieme ad altri tipi di formulazioni, in alcune delle fasi progettate per il rivestimento del ponte di San Matteo ( figura 6 ). In particolare il processo, molto complesso, era basasto sulle seguenti fasi realizzative: Fase uno - trattamento con una resina epossidica bug hole-filler; Fase due - trattamento con un primer di natura epossidico; Fase tre - rivestimento con un prodotto a base di poliurea; Fase quattro - topcoat rivestimento con una poliurea stabile alle radiazioni UV [12]. . Alcuni dei momenti delle fasi di cui sopra sono documentati nella figura 7. 12 FIGURA 6: Il ponte di San Matteo ( San Francisco ), visione parziale. FIGURA 7: Immagini delle fasi relative al rivestimento della superficie del ponte di San Matteo ( San Francisco, California, USA ) ( vedasi testo ) [12]. CASE HISTORY-6 Interventi di Consolidamento delle Fondazioni e di Correzione dell’Inclinazione di Edifici Resine poliuretaniche espandenti vengono impiegate nel campo del consolidamento dei terreni e delle pavimentazioni. Recentemente è stata messa a punto una nuova formulazione espandente denominata “Uretek Geoplus”. Le caratteristiche di questa resina sono così riportate nel riferimento [13]. < Uretek Geoplus è una resina espandente esclusivamente progettata per le iniezioni in profondità e prodotta in esclusiva per Uretek. 13 In passato nel campo del consolidamento dei terreni e delle pavimentaazioni venivano utilizzate buone resine poliuretaniche che producevano risultati soddisfacenti; per la prima volta si è arrivati a studiare specificatamente una resina per il consolidamento dei terreni, appunto Uretek Geoplus, la resina superconsolidante da 10.000 kPa. Tra le caratteristiche principali di Uretek Geoplus, la forza di espansione è senz’altro la più evidente, potendo essere 20 volte superiore alle vecchie resine e garantendo perciò un’azione consolidante fino a 20 volte superiore. Non meno importanti sono la padronanza e la precisione con le quali con il sistema Uretek si riesce a controllare e gestire tale straordinaria potenza: Uretek Geoplus rappresenta il giusto equilibrio tra forza e sicurezza…… La resina viene iniettata nel terreno da consolidare ancora allo stato liquido mentre si sta sviluppando una reazione chimica che ne determina il cambiamento di stato da liquido a solido. Con la reazione chimica si assiste ad un forte aumento di volume (fino a 30 volte) in ragione della forza di espansione della resina e della resistenza opposta dal terreno. Nel caso della resina Geoplus®, la pressione di espansione massima raggiunge i 100 kg/cm2 > ( vedasi figura 8 ) [13]. FIGURA 8: Il sistema Uretek Geoplus basato su di una resina liquida espandente che viene iniettata nel terreno per stabilizzare le fondamenta di edifici [13]. 14 CASE HISTORY-7 Consolidamento di Pietre Tufacee mediante Polimerizzazione In Situ di Resine Poli(uretano/urea) Il tufo giallo napoletano è una roccia vulcanica di colore giallo paglierino costituita da un impasto di pomici, lapilli litoidi e scoriacei, e vari cristalli silicatici, cementati da zeoliti. La porosità è compresa tra 55 e 70%. Per la polimerizzazione in situ sono state sperimentate, da Martuscelli et Al., formulazioni liquide diverse per tipologia dei componenti ( monomeri ) e per la concentrazione relativa degli stessi e per la natura chimica e la concentrazione dei catalizzatori [14,15, 16, 17 ]. Le formulazioni sperimentate sono qui di seguito descritte. ~ Formulazione-1 -monomeri: 5-isocianato-1-(isocianatometil)-1,3,3-trimetilcicloesano[isoforondiisocianato] ( IPDI ) e polipropileneglicole ( PPG ) ( rapporto molare 1/1 ) -catalizzatore: ( Toct ) zinco(II) etilesaonato -solvente: acetone ~ Formulazione-2 -monomeri: IPDI e PPG ( rapporto molare 1/2 ) -catalizzatore: ( Toct ) stagno(II) etilesaonato -solvente: acetone ~ Formulazione-3 -monomeri: IPDI e PPG ( rapporto molare 1/1 ) -solvente: acetone -catalizzatore: alluminio acetilacetonato ( AlAcAc ) ~ Formulazione-4 -monomeri: IPDI e PPG rapporto molare 1/1 -solvente: acetone -catalizzatore: zirconio acetilacetonato ( ZrAcAc ) [14]. La tecnica di trattamento dei campioni in tufo attraverso la polimerizzazione in situ è essenzialmente basata sulle seguenti operazioni: I ) 10 g della soluzione di partenza viene versata in un opportuno contenitore; II ) i campioni in tufo, previamente condizionati a 60°C nel vuoto per 48hrs e quindi portati a RT per 1hr, sono collocati nel contenitore a contatto con la soluzione; III ) la soluzione per capillarità viene assorbita dal tufo risalendo verso l’interno del materiale lapideo; IV ) il sistema di reazione viene tenuto al buio per 72hrs, a 25°C e ad una umidità relativa del 50%; V ) la completezza della reazione di polimerizzazione viene valutata attraverso misure di spettroscopia all’infrarosso in trasformata di Fourier (FTIR); VI ) i campioni di tufo sono immersi in acqua per 48hrs, al fine di rendere inattivi eventuali residui di gruppi isocianati e di monomeri, quindi sono seccati in vuoto a 60°C [14]. Un aspetto rilevante del sistema di reazioni che si va a realizzare è rappresentato dal fatto che nei 15 pori delle pietre di natura tufacea è sempre presente una certa quantità di acqua la quale determina una reazione collaterale che porta alla formazione di prodotti con legami ureici e quindi, durante la polimerizzazione, alla formazione di copolimeri di natura Uretano/Urea ( vedasi schema in figura 9 ) [14,15]. FIGURA9: Schema della reazione tra molecole di acqua, sempre presenti nei pori di rocce tufacee, e molecole di isocianato. I prodotti sono sostanze con legami ureici che partecipano all’insieme delle reazioni che avvengono in situ dando luogo alla formazione di copolimeri Uretano/Urea [14,15]. < ….the product of a diisocyanate with water is a carbamic acid, which breaks down and yields carbon dioxide and an amine. The amine can then react with furher isocyanate to produce a substituted urea > [14 ,15]. Circa la distribuzione del poli(uretano/urea) nei campioni di tufo, con riferimento alla figura 10, è stato possibile trarre le seguenti conclusioni: i ) dal confronto degli spettri micro-FTIR in riflessione mostrati nella figura 10-B, si ricava che nello spettrogramma del tufo tal quale non compare la banda dovuta allo stretching del CH2 al contrario di quanto osservato nel caso dei campioni trattati; ii ) l’area sottesa alla banda di assorbimento dello stretching del CH2, riportata in funzione della distanza lungo l’asse z e y fornisce una misura quantitativa della distribuzione del polimero all’interno della pietra ( vedasi figura 10-C e D; iii) dalle curve in figura 10-A e B si deduce che il poli(uretano/urea) si distribuisce uniformemente all’interno dei campioni, a parte un surplus alla superficie [14,15]. Dall’andamento delle curve termogravimetriche della figura 11 si deduce che: a) I campioni di tufo tal quali non mostrano particolari fenomeni degradativi nell’intervallo di temperatura esplorato ( 50-600°C ) ( la perdita in peso osservata a 80 e 150°C è dovuta, rispettivamente, all’evaporazione di acqua libera e legata attraverso legami ad idrogeno al substrato lapideo ( vedasi termogrammi A e C in figura 11 ) ). 16 b) I campioni trattati presentano, oltre ai fenomeni di cui sopra, un chiaro processo di degradazione a circa 320°C da imputare alla degradazione del polimero formatosi a seguito della polimerizzazione in situ all’interno dei pori ( vedasi termogrammi B e D in figura 11 ). FIGURA 10: A) Rappresentazione schematica della sezione trasversale tagliata da un campione di tufo napoletano ( xy= corrisponde alla superficie di applicazione della soluzione reattiva, z= direzione di penetrazione per capillarità all’interno del campione ). B) Spettrogrammi micro-FTIR in riflessione: I= tufo non trattato; II, III e IV effettuati a valori diversi di z dopo trattamento con una delle formulazioni sperimentate. C) Andamento dell’area della banda di assorbimento del CH2 ( stretching ) in funzione della distanza lungo l’asse z. D ) Andamento dell’area della banda di assorbimento del CH2 ( stretching ) in funzione della distanza lungo l’asse y ( vedasi testo ) [14,15]. 17 FIGURA 11: Diagrammi termogravimetrici di campioni di tufo trattati con la tecnica della polimerizzazione in situ che porta alla formazione nei pori di un poli(uretano/urea). Curve a tratto pieno: peso residuo in funzione della temperatura (curva A = tufo non trattato; curva B = tufo trattato ). Curve tratteggiate: Velocità della perdita in peso in funzione della temperatura ( curva C = tufo tal quale; curva D = tufo trattato ) [14]. Dalle curve in figura 11, sottraendo la traccia TGA del tufo trattato da quella del tufo tal quale, è stato possibile determinare la quantità relativa ( Q ) di polimero presente nei pori e questo in relazione alla composizione della formulazione iniziale usata. I risultati portano alla conclusione che Q varia tra il 7-10% (w/w) [14,15]. L’analisi morfologica, condotta sulle superfici di frattura dei campioni, mediante microscopia elettronica in scansione, permette di evidenziare, nel caso del tufo trattato, la presenza di un film sottile di polimero che ricopre omogeneamente la superficie dei cristalli pseudo-cubici di cabasite e quelli prismatici di fillipsite, principali costituenti dei tufi napoletani ( confronta figura 12-A con figure 12-B,C e D ) [14]. < …poly(urethane/urea) in situ polymerised inside stone forms a regular homogeneous thin film covering the grains of the stone without modifying their morphological features > [15]. L’ efficacia dei trattamenti di polimerizzazione in situ su campioni di tufo napoletano è stata valutata mediante misure di assorbimento di acqua per capillarità, di permeabilità al vapore d’acqua e la determinazione di alcuni significativi parametri meccanici. L’assorbimento di acqua per capillarità, [ A (g/cm2 ) ], è stata calcolata attraverso la seguente relazione: 18 A = ( mi – m0 )/S Dove mi e m0 sono rispettivamente il peso del campione imbibito di acqua al tempo ti e quello del campione secco al tempo zero ( t0 ); S rappresenta la superficie di tufo a contatto del tampone di carta da filtro imbevuta di acqua [14]. Come si evince dall’andamento delle curve, A ? tempo ( figura 13 ), a parità di tempo di assorbimento di acqua, i campioni trattati mostrano valori di A sensibilmente minori di quelli del tufo tal quale. Inoltre i tufi consolidati con il copolimero uretano/urea si caratterizzano per una ridotta velocità di assorbimento. Infatti il coefficiente di assorbimento di acqua per capillarità, ( CA ), calcolato dalla pendenza del tratto iniziale delle curve della figura 13, risulta essere per i campioni trattati sensibilmente minore di quello relativo al tufo non trattato ( 0,013-0,017 contro 0,032 gcm-2 t-1/2 ) [14]. FIGURA 12: Micrografie elettroniche al microscopio elettronico a scansione di superfici di frattura di campioni di: A) tufo non trattato; B), C) e D) campioni di tufo dopo polimerizzazione in situ con formulazioni reattive aventi diversa composizione di partenza ( vedasi testo ) [14]. La permeabilità al vapore d’acqua ( Pv ), definita come l’ammontare di vapore capace di passare, nell’unità di tempo, attraverso una superficie unitaria di pietra, a temperatura costante, viene determinata dal rapporto tra la variazione di peso del campione in 24 hrs e la superficie attraverso la quale fluisce il vapore d’acqua. 19 Nel caso dei campioni di tufo trattati Pv , a seconda della formulazione impiegata, varia tra 205 e 174 ( g/m2 24hrs ), mentre per il tufo tal quale è stato trovato un valore di Pv pari a 256 ( g/m2 24hrs ). Da quando sopra emerge che tutti i trattamenti di polimerizzazione in situ provocano una sensibile riduzione dell’assorbimento di acqua per capillarità. Tuttavia l’entità di questa riduzione è tale da permettere ai campioni trattati ancora una buona capacità di traspirazione [14,15,16]. FIGURA 13: Curve di assorbimento di acqua per capillarità nel caso di campioni di tufo tal quali ( curva superiore ) e di campioni di tufo sottoposti a processo di polimerizzazione in situ ( curve sottostanti, vedasi testo ) [14]. Da test di abrasione è stato possibile valutare l’efficienza di aggregazione ( AE% ) calcolata mediante la seguente relazione: AE(%)- 100( ? W - ? Wpol )/ ? W Dove: ? W e ? Wpol sono, rispettivamente, la perdita in peso di campioni di tufo tal quale e di tufo dopo trattamento con polimerizzazione in situ, dopo 300 cicli di abrasione [15]. I campioni di tufo consolidati con il copolimero uretano/urea presentano valori di AE(%) all’incirca pari all’83%, notevolmente superiori di quelli del tufo non trattato [15]. < ..the decrease of disaggregation and pulverisation phenomena under applied stresses were assessed through abrasion tests. It was shown that comparatively higher consolidating effect are achieved by using 1,6-diisocyanatohexane as isocyanate co-monomer in the reaction system > [18]. 20 Da prove in compressione, condotti su campioni prima sottoposti a cicli di gelo/disgelo e quindi consolidati con la procedura della polimerizzazione in situ, si sono determinati i valori del recupero della resistenza alla compressione, RCS(%), in funzione del tipo di trattamento. In particolare per il calcolo della RCS(%) si è fatto uso della seguente relazione: RCS(%) = 100( CSpol - CSft )/( CS - CSft ) Dove CSft, CSpol e CS sono, rispettivamente, la resistenza alla compressione di campioni di tufo dopo cicli di gelo/disgelo, di campioni di tufo prima sottoposti a cicli gelo/disgelo e quindi consolidati con la tecnica della polimerizzazione in situ e di campioni di tufo tal quali. Il tufo consolidato con poli(uretano/urea) presenta un recupero della resistenza alla compressione di circa l’85% [15]. Dai risultati di cui sopra emerge che nel caso di pietre di natura tufacea il trattamento in situ con copolimeri uretano/urea, qualora si dimostrasse durevole e reversibile, potrebbe rappresentare una interessante alternativa ai trattamenti classici con polimeri preformati i quali presentano come fatto negativo una scarsa penetrazione del materiale all’interno della pietra ( vedasi figura 14 dalla quale traspare come il poliuretano preformato, depositatosi da soluzione, si dispone essenzialmente alla superficie di un campione di pietra arenaria ) [14,15,16]. FIGURA 14: Micrografia elettronica in scansione della superficie di un campione di pietra arenaria Trattata con un poliuretano preformato disperso in acqua [15]. 21 RIFERIMENTI 1 ) L. Borgioli, < Polimeri di sintesi per la conservazione della pietra >, Il Prato, Collana i Talenti, Padova (2002). 2 ) A. M. M. Baker, J. Mead, “Thermoplastics” in < Modern Plastics Handbook >,chap.1, C. A. 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S. Korugic, W. J. MacKnight, E. Martuscelli, ACS Symposium Series 916, pp. 370-390, Washington, DC (2005). 16 ) E. Martuscelli et Al., Italian Patent NA – A000021, (2004). 17 ) L. D’Orazio, L. Gentile, C. Mancarella, E. Martuscelli, Polymer Testing, 20, 227,(2001). 18 ) M. Cocca, L. D’Arienzo, L. D’Orazio, G. Gentile, E. Martuscelli , Macromol. Symp., 228, 245 (2005). 22 23 PARTE-E CAPITOLO 1-E RELAZIONE TRA EFFICACIA CONSOLIDANTE E/O PROTETTIVA, STRUTTURA CHIMICA E REATTIVITA’ DEI SISTEMI MACROMOLECOLARI E STRUTTURA FISICA E COMPOSIZIONE DELLE PIETRE COSTITUENTI I MANUFATTI LAPIDEI Gli sviluppi della chimica macromolecolare, dell’ingegneria dei processi di lavorazione e di trasformazione e dei metodi di analisi per la determinazione delle caratteristiche chimiche /fisiche/molecolari dei materiali polimerici, che hanno registrato un grande impulso a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, hanno permesso di progettare, produrre e commercializzare una vasta e differenziata gamma di prodotti di sintesi [1,2, 3]. Di questi sviluppi ha tratto grande giovamento il settore del restauro dei beni culturali, siano essi immobili ( costruito, monumenti in pietra , legno e ferro ) che mobili ( tessuti, carta e beni archivistici e librari ). Infatti a partire dai primi anni 50s del secolo scorso sono stati messi a punto formulati a base di polimeri che hanno trovato impiego come consolidanti, adesivi e protettivi nel restauro conservativo di manufatti di interesse artistico/storico [4,5]. In particolare le moderne metodiche di chimica macromolecolare hanno permesso di progettare e realizzare formulazioni da impiegare selettivamente in funzione della: 1 ) procedura applicativa; 2 ) tipologia del danno; 3 ) natura chimica, fisica e strutturale delle pietre costituenti il manufatto da risanare. A dimostrazione della validità di quanto sopra scritto, relativamente ai punti1 ) e 2 ), in figura 1 vengono riportate le caratteristiche di formulazioni a base di resine epossidiche mirate a specifici settori di impiego. E’ possibile notare, tra l’altro, come aumentando le dimensioni della lesione da risanare ( da < 1,5mm a > 1,5mm ) la viscosità della formulazione passa rispettivamente da 150-400 a 3500-4000 mPa.s. e come il modulo a flessione per i formulati per impregnazione è circa un terzo di quelli per iniezione [6]. E’ interessante anche registrare come il pot life di formulazioni per il restauro di strutture sia la metà di quello che si richiede a formulati per incollaggi strutturali [6]. l’insieme dei dati riportati nella figura 1 dimostra come a seconda della funzione d’uso richiesta la moderna chimica delle resine epossidiche permette di realizzare formulazioni le cui proprietà variano sostanzialmente adattandosi alle particolari richieste di prestazione [2]. Relativamente al punto 3 ) è stato ampiamente documentato come il tipo di pietra da consolidare e le sue caratteristiche ( composizione e natura chimica dei minerali componenti, struttura, porosità, dimensione dei grani e loro forma spaziale, presenza o meno di microfessure ) determinano di fatto la scelta del sistema consolidante [6,7,8]. FIGURA 1: Caratteristiche di resine epossidiche in relazione all’impiego e alla funzione [6]. Formulati per impregnazione: Punto d'infiammabilità...90°C ritiro ............................ 0,10% viscosità (a+b) mPa.s ..150 pot life (minuti) ..............60 assorbimento ................2% punto Martens ..............35°C resistenza a trazione (MPa)............ 50 resistenza a flessione (MPa) ........... 50 resistenza a compressione (MPa)... .70 modulo elastico a fless. (MPa) .....… 1.000 Formulati per iniezione: per lesioni inferiori a mm 1, 5: Punto d'infiammabilità .......90°C ritiro....................................12% viscosità (a+b) mPa.s 150-400 pot life (minuti) ...................30 assorbimento......................2% punto Martens ....................50°C resistenza a trazione (MPa)............30 resistenza a flessione (MPa)...........50 resistenza a compressione (MPa)..70 modulo elastico a fless. (MPa) .......1.000 - 3.000 Formulati per iniezione: per lesioni superiori a mm 1, 5: Punto d'infiammabilità .90°C ritiro............................. 12% viscosità (a+b) mPa.s. 3.500-4.000 pot life (minuti)..................30 assorbimento ...................2% punto Martens..................50°C resistenza a trazione (MPa)............... .50 resistenza a flessione (MPa) .........…..50 resistenza a compressione (MPa)....... 70 modulo elastico a fless. (MPa) ............ 3.000 FIGURA 1: Caratteristiche di resine epossidiche in relazione all’impiego e alla funzione [6]. Formulati per restauro strutture: Formulati per incollaggi strutturali: Punto d'infiammabilità..........90°C ritiro......................................0,10% viscosità (a+b) mPa.s ......... 7.000 pot life (minuti) .....................30 assorbimento .......................2% punto Martens......................35°C resistenza a trazione (MPa)...........30 resistenza a flessione (MPa) .........50 resistenza a compressione (MPa)...70 modulo elastico a fless. (MPa) ........700 Punto d'infiammabilità.................90°C ritiro.............................................0,1% viscosità (a+b) mPa.s .................8.000 pot life (minuti) ............................60 assorbimento ..............................2% punto Martens .............................40°C resistenza a trazione (MPa) ....... 80 resistenza a flessione (MPa) ...... 50 resistenza a compressione (MPa)..80 modulo elastico a fless. (MPa)...........1.000 Le correlazioni tra la selettività, la specificità e le caratteristiche molecolari dei più noti sistemi consolidanti e/o protettivi polimerici e le caratteristiche di substrati lapidei diversi, comunemente impiegati nella costruzione di edifici e monumenti in pietra, con particolare riguardo a quelli di interesse storico culturale, sono qui di seguito analizzati alla luce delle più recenti fonti di letteratura scientifica e tecnica. A ) RELAZIONE TRA CAPACITA’ CONSOLIDANTE, STRUTTURA CHIMICA E REATTIVITA’ DEI POLIMERI E STRUTTURA FISICA E CHIMICA DELLE PIETRE DA RISANARE Torna utile a questo punto richiamare la definizione di agente consolidante, relativamente alle operazioni di restauro di edifici , monumenti e manufatti lapidei, così come viene riportata nel riferimento[6]: < Una sostanza capace di ristabilire un grado sufficiente di coesione in materiali che hanno subito una compromissione della microstruttura. Per esplicare tale funzione è solitamente previsto l’impiego della sostanza allo stato fluido ( essenzialmente liquido ) per impregnazione della struttura ( tramite le porosità, le micro-crettature, i microdistacchi ) in modo che nel processo di presa, per reazione o evaporazione del solvente si ricostruisca una tessitura coesiva quanto più omogenea e commisurata allo specifico contesto materico ( M. Matteini, A. Moles ) > [6]. A.1 ) IL CONSOLIDAMENTO DELLE PIETRE SILICEE A.1.1 ) PIETRE ARENARIE Le rocce sedimentarie, costituite da materiali provenienti dalla disgregazione di rocce preesistenti, possono essere di origine detritica o di precipitazione chimica e biochimica. < La differenza è basata sui diversi modi di trasporto e di sedimentazione dei materiali. Le rocce detritiche o clastiche derivano dal materiale trasportato in forma solida; le rocce di precipitazione chimica e biochimica derivano dal materiale trasportato in soluzione >[9]. Come si evince dalla figura 2 le rocce arenarie rappresentano uno dei quattro gruppi in cui si suddividono le rocce detritiche; gli altri gruppi essendo i conglomerati, le argille e i tufi. I principali componenti delle arenarie sono: 1 ) Il quarzo, caratterizzato, quando è cristallino, da una struttura dove < i tetraedi di anidride silicica sono collegati tra loro attraverso gli ioni ossigeno (—O-) che disponendosi a ponte si trovano ad appartenere ognuno a due diversi atomi di silicio. In tale modo il rapporto tra il silicio e l’ossigeno è di 1:2 atomi (SiO2) > [8]. Figura 2: Suddivisione delle rocce sedimentarie detritiche o clastiche [9]. 2 ) L’ortoclasio, un feldspato potassico, con formula chimica K[AlSi3O8]. Un aggregato di cristalli monoclini di ortoclasio è mostrato nella figura 3 [10]. 3 ) I fillosilicati, si caratterizzano per il fatto che < i tetraedri SiO4 scambiano tre vertici ciascuno si forma un silicato a strati di formula (Si2O52- )n. Vi sono diverse topologie possibili per questi strati……Il tipo più comune di strati però è costituito da maglie a sei tetraedri. I vertici terminali dei singoli tetraedri possono poi essere orientati con diverse sequenze, da una parte o dall’altra dello strato, e gli strati possono essere corrugati. Ne derivano diverse possibilità strutturali > [11]. Alcune delle principali caratteristiche delle rocce arenarie e tufacee sono elencata nella tabella 1 [9]. Esempi di manufatti lapidei in pietra arenaria della Lunigiana ( Toscana ) sono mostrati nella figura 4 [12-a]. FIGURA 3: Cristalli monoclini di ortoclasio, un comune feldspato componente delle rocce arenarie [10]. FIGURA 4: Manufatti in pietra arenaria della Lunigiana ( Toscana ). Sinistra: Cervara - Pontremoli. "Facion" < sculture, espressioni della cultura popolare. Si tratta per lo più di volti, collocati sopra i portali o in posizione ben visibile sulle facciate delle abitazioni, probabilmente con funzione apotropaica, di difesa cioè dalle forze malefiche, in primo luogo dal demonio. >. Destra: Verrucola - Fivizzano. Chiesa di Santa Margherita. Altare maggiore in pietra arenaria [12-a]. L’estere etilico dell’acido silicico ( tetraetilortosilicato; Si—(OEt)4 ), comunemente indicato con la sigla ( TEOS ) e gli alchil-alcossisilani, virtualmente ottenuti dal TEOS per sostituzione di uno o più gruppi (OEt) con gruppi alchilici ( ad esempio il metiletossisilano: [ (CH3)2 —Si—(OEt)2 ] ( MTEOS ) e il metilmetossisilano: [ (CH3) —Si—(OMe)3 ] ( MTMOS ), rappresentano i prodotti comunemente usati nel consolidamento delle pietre arenarie. Questa caratteristica, come si è visto nei capitoli precedenti, deriva essenzialmente dal fatto che sia il TEOS ( sostanza liquida a RT, punto di ebollizione pari a 169°C e una densità di 0,94 Kg/dm3 ) che il MTMOS ( solubile nei più comuni solventi insieme ai quali forma soluzioni a bassa densità ) in presenza di acqua si idrolizzano dando luogo alla formazione di silanoli [HO—Si—(OEt)3; (CH3)2 —Si—(OEt)(OH) ]. Questi ultimi per successive reazioni di condensazione, che coinvolgono anche molecole di TEOS oppure di MTMOS, polimerizzano formando un reticolo tridimensionale la cui formula bruta, nel caso che la reazione sia completa, è uguale a quella della silice ( SiO2 ). Le molecole di silanolo nel corso delle reazioni di condensazione hanno l’opportunità di legarsi alle pietre sfruttando la reazione tra i propri gruppi ossidrili e quelli presenti sulle superfici lapidee secondo lo schema di reazione qui di seguito riportato. SILANOLO O? H H? O SILANOLO O SUPERFICIE PIETRA SUPERFICIE PIETRA + H 2O TABELLA 1: Caratteristiche principali di rocce arenarie e tufacee [9]. Denominazione ARENARIA CEM. CALCITICO Classificazione sedimentaria clastica Minerali qz, Kfl, msc ARENARIA TUFO CEM. SILICEO sedimentaria clastica sedim. piroclastica qz, Kfl, msc agt, bt, lct Grana fine fine grossolana Colore grigio, giallo rosso, viola grigio, giallo Massa vol. app. 2,1 2,2 1,8 Tipologie blocco, lastra blocco, lastra blocchi Lavorabilità buona buona ottima Uso muro, scultura muro, scultura muro Alterazione erosione scagliatura polverizzazione Cause degrado dissoluzione cemento cristallizzazione sali cristallizz. sali nota: qz=quarzo; Kfl=feldspato potassico (silicati); msc=muscovite=ortosilicato di alluminio e potassio (H2KAl2(SiO4)3); bt=biotite, costituita da silicati, H6 Al6Si6O24+Mg12Si6O24; agt=augite, metasilicato di calcio magnesio,contenente anche ferro e allumina ; lct=leucite=metasilicato di potassio e alluminio (KAlSi2O6). La presenza di legami tra i grani di quarzo di una pietra arenaria e la matrice polimerica, venutisi a formare a seguito del trattamento e della successiva polimerizzazione in situ del MTMOS , viene documentata attraverso la micrografia riportata, a sinistra, nella figura 5. Per confronto a destra, sempre in figura 5, è mostrata la morfologia di una pietra calcarea ( carbonatica ) trattata con MTMOS dalla quale si evidenzia l’assenza di legami tra matrice polimerica e i grani del materiale lapideo [13]. FIGURA 5: Micrografie elettroniche in scansione di: Sinistra- una pietra arenaria trattata con metiltrimetossisilano ( MTMOS ). Con la freccia sono evidenziati dei collegamenti materici che legano i grani di quarzo alla matrice del polimero formatosi in situ. Destra- una pietra di origine calcarea trattata con MTMOS; in questo caso non si evidenziano legami tra grani e matrice polimerica [13]. Nella tabella 2 sono elencati casi accertati e documentati di successo di trattamenti di monumenti in pietra arenaria di vario tipo con una formulazione, a base di MTMOS , commercializzata come Brethane. < Brethane, ….it is a four-component system packaged in three containers whose contents are mixed at the time of application; and the consolidating ingredient is methyltrimethoxysilane ( MTMOS ) monomer. The other ingredients are water, industrial methylated spirit ( denaturated alcohol ), and a catalyst….> [13]. In particolare nella tabella 2 sono indicati: il sito; il tipo di pietra; il contenuto in calcite o carbonato di calcio; il contenuto in silicati e ossidi di ferro e la porosità. In tutti i casi riportati in tabella 2 è stato verificato, a molti anni dal trattamento di consolidamento, che lo stato di conservazione delle pietre è migliore di quello delle pietre non trattate [13]. TABELLA 2: Casi documentati di successo di trattamenti di pietre arenarie effettuati con prodotti alcossisilanici ( Brethane ) [13]. SITO TIPO DI PIETRA CONTENUTO CARBONATO Bolsover Castle Kenilworth Castle Rievaulx Abbey Sandbach Crosses Arenaria litica Arenaria rossa QuarzoArenite Arenaria rossa silicea n-d. CONTENUTO POROSITA’ SILICATI E OSSIDI DI FERRO n.d. 4,5% 2% 98% 26% - 100% >40% - 100% 16-20% Nei capitoli precedenti sono stati già documentati esempi di successo relativi al consolidamento di manufatti in pietra arenaria ( vedasi il caso dei portali di Casa Eskens e di una antica casa nel Mercato Vecchio di Torun, Polonia ) effettuati, con formulazioni a base di resine epossidiche, da Domaslowski e Strzeleczyk [12-b]. Da quanto sopra è possibile concludere che i consolidanti di origine silanica, in primis, e quelli basati su formulazioni di natura epossidica hanno dimostrato una buona efficacia per la conservazione di manufatti in pietra arenaria. A.1.2 ) TUFI I tufi sono rocce sedimentarie di origine vulcanica ( piroclastiche ), formati da lapilli, di dimensioni comprese fra i 2mm e i 30 mm, emessi durante eruzioni vulcaniche esplosive. I tufi laziali (peperino laziale) e campani, di colore grigio, giallo e bruno hanno trovato grande utilizzo nel campo delle costruzioni. Come si evince dai dati della tabella 1 i componenti principali dei tufi sono minerali a base di silicati [9]. I tufi si caratterizzano per una elevata porosità ( 46% per il tufo vulcanico del Palatino-Roma; tra il 55 e 70% per il tufo giallo napoletano e 56% per altri tipi di tufi ) a cui si accompagna generalmente una bassa resistenza meccanica. La porosità totale (€ ) è comunemente determinata attraverso la seguente relazione: € = Vpori/Vtotale x 100 (1) dove Vpori e Vtotale rappresentano rispettivamente il volume globale dei pori aperti e chiusi e il volume totale del campione nel suo insieme [8]. In letteratura sono riportati esempi di consolidamento dei tufi effettuati con miscele di oligomeri di TEOS e MTEOS ( in commercio come Tegovakon V, come Wacker-OH e WACKER-H). L. A. Useke ha confrontato l’efficacia di vari tipi di consolidanti su pietre tufacee dimostrando come i trattamenti con Wacker-H e -OH siano migliori di quelli a base di Acryloid-B72 e di resine epossidiche [14]. In particolare è stato trovato che a seguito di consolidamento con Wacker-OH e Wacker-H campioni di pietre tufacee mostrano valori della resistenza a compressione fortemente migliorati rispetto a quelli dei campioni tal quali [13,14]. Una formulazione basata su di una miscela tra un prepolimero epossidico ( EP-2101 ), una poliammina alifatica in un appropriato solvente ( toluene+ isopropanolo ) si è dimostrata efficace nel consolidamento di una sezione di antico acquedotto Romano, costruito con tufo di Viterbo, che mostrava forti fenomeni di deterioramento. < Treatment with the consolidating solution stabilized the tuff and arrested the process of decay. The stone initially displayed a change in color but with time, the oxidative deterioration of the exposed epoxy resin removed most of discoloration, and the stone remained strong and stable > [14]. Una nuova procedura di consolidamento del tufo napoletano che sfrutta la polimerizzazione in situ di resine poli(uretano/urea ) è stata messa a punto da E. Martuscelli et Al. ( vedasi capitolo 4-d ) [15, a ) e 15 b) )]. Tipici manufatti in tufo sono mostrati nelle figure 6 e 7 [15-c ),16]. A.1.3 ) GRANITI I graniti sono rocce a elevato contenuto siliceo di origine magmatica, acide e con struttura granulare. I graniti si sono formati per raffreddamento lento all’interno della crosta terrestre ( rocce intrusive ). La solidificazione a bassi valori del sottoraffreddamento ha portato alla formazione di cristalli morfologicamente ben sviluppati [8]. I graniti sono generalmente costituiti da < ….ortoclasio, quarzo e mica. Alcuni graniti possono contenere feldspati sodiocalcici pirosseni, miche e anfiboli, e come elementi accessori apatite magnetite, tormalina e zircone. I graniti presentano una buona resistenza agli agenti atmosferici sono diffusi nella crosta terrestre e sono utilizzati come materiale da costruzione e rivestimento > [17]. Le rocce granitiche si caratterizzano per elevati valori della coesione ( indice di porosità tra 0,41,5% ), durezza, resistenza agli agenti atmosferici, resistenza alla compressione (2000 kg/cm2) e alla corrosione. Queste rocce mostrano una colorazione che varia dal bianco al grigio, dal rosa al rosso che dipende soprattutto dalle impurezze presenti nell’ortoclasio [18,19,20, 21, 22]. Figura 6: Antico muro in tufo [15-c)]. FIGURA 7: Facciata principale di un edificio di via Scarlatti, zona collinare di Napoli, realizzato in tufo subito dopo la prima guerra mondiale [16]. Come documentato dalle micrografie della figura 8, attraverso la microscopia ottica ed elettronica è possibile mettere in evidenza come i minerali componenti una roccia granitica formino cristalli ben definiti , di dimensioni apprezzabili e quindi facilmente riconoscibili ( i cristalli di quarzo sono di colore grigio scuro, quelli di feldspato, grigio chiaro, e quelli di biotite, neri ) [18,19,20 ]. Alcune delle principali caratteristiche delle rocce granitiche sono elencate nella tabella 3 FIGURA 8: Struttura cristallina di graniti di varia origine così come appare all’osservazione al microscopio ottico in luce polarizzata di sezioni sottili. I campioni si diversificano per la forma dei cristalli e per il loro colore [18,19, 20,21, 22]. Un esempio di costruzione in granito è rappresentato dalla chiesa di San Simplicio ( figura 9 ), il più artistico e antico monumento religioso della Gallura, testimonianza della diffusione del primo Cristianesimo in Sardegna [23]. In letteratura è riportato come il trattamento di pietre granitiche con silicato di etile produca un aumento della resistenza alla flessione dello stesso ordine di grandezza di quello osservato nel caso di pietre arenarie ( > 170% ) a cui si accompagna un aumento della velocità di propagazione di onde ultrasoniche del 74% [24, 13]. TABELLA 3: Caratteristiche delle rocce granitiche [9]. Denominazione GRANITO Classificazione magmatica plutonica Minerali qz, Kfl, plc, bt Chimismo Si, Al, K, Na, Fe Struttura granulare Grana media Colore bianco, rosa, rosso, punti neri Massa vol. app. 2,6 Tipologie blocco, lastra Lavorabilità scarsa; lucidabile Uso muro, colonna, pavimento Alterazione scagliatura, polverizzazione Cause degrado cristallizzazione sali nota: qz=quarzo; Kfl=feldspato potassico; plc=plagioclasio; bt=biotite; afb= anfibolo- costituito da metasilicati di magnesio calcio e ferro e allumina; orb=orneblenda- miscela di metasilicati FIGURA 9: la chiesa di San Simplicio ( Gallura- Sardegna ) è un esempio di costruzione per la quale si è fatto uso di pietre in granito, sia per l’esterno che per l’interno [23]. Come già precedentemente riportato le resine epossidiche, in particolare quelle di natura cicloalifatica ( ad es. la EP 2101 dell’EUROSTAC, con elevata resistenza alle radiazioni UV e bassa viscosità ) hanno mostrato una buona efficacia nel consolidamento di manufatti in granito. E’ stato osservato, inoltre, che le formulazioni epossidiche sono capaci di impregnare in profondità le pietre di natura granitica causando un graduale aumento nei valori della resistenza alle sollecitazioni meccaniche. Questo comportamento sembra essere principalmente dovuto al fatto che i graniti degradino essenzialmente attraverso un processo di fessurazione graduale. Pertanto il consolidamento da parte delle resine epossidiche deve essere, principalmente, imputato alla capacità di queste ultime di entrare nelle fessure esplicando la loro attitudine di agenti di adesione [24]. A.2 ) IL CONSOLIDAMENTO DELLE PIETRE CALCAREE I calcari, rocce di origine sedimentaria, costituite essenzialmente da calcite ( carbonato di calcio ), hanno origine da un processo chimico ( precipitazione diretta del carbonato di calcio: Ca++ + 2HCO- 3 CaCO3 + CO2 + H2O ), oppure da un processo di natura biochimica che vede le seguenti fasi: n sottrazione degli ioni calcio e degli ioni carbonato dalle acque marine da parte di organismi animali, come i molluschi, che li utilizzano per formare il proprio guscio; n accumulo e sedimentazione dei gusci alla morte degli organismi marini. I travertini sono classici esempi di calcari di origine chimica ( gli antichi romani usavano il travertino nella costruzione dei loro monumenti; ad esempio il Colosseo era tutto rivestito di pietre di travertino ), mentre la pietra di Finale, la pietra di Lecce e il rosso di Verona appartengono alla famiglia delle pietre di origine organogenica ( biochimica ) [8,9]. Le caratteristiche di alcune tipiche pietre calcaree sono riportate nella tabella 4 [9]. I marmi sono calcari di origine sedimentaria-metamorfica. Queste rocce si sono formate in profondità nella crosta terrestre a seguito di processi indotti da variazioni di temperatura e pressione che hanno comportato la ricristallizzazione dei calcari e modificazioni nella loro composizione mineralogica e/o nella struttura e nella tessitura [8,9]. Come si evince dai dati in tabella 5 la calcite e la dolomite sono i componenti principali dei marmi. Altri minerali, quali il quarzo e la muscovite, sono presenti con una più bassa concentrazione [9]. Il colore dei marmi, a seconda della natura chimica delle impurezze varia da bianco a grigio venato, a rosa a giallo a nero a grigio azzurro ( quelli gialli contengono la limonite ( Fe2O3.nH2O ), quelli rossi l’ematite ( Fe2O3 ), quelli grigio-azzuri particelle carboniose ) ( vedasi figura 10 ) . I marmi bianchi di Carrara, i più puri dei quali contengono fino al 99,9% di calcite, estratti dalle Alpi Apuane, per la loro struttura compatta e microcristallina rappresentano il materiale di partenza usato da secoli nell’arte scultorea. Per alcuni marmi estratti dalle cave di Carrara è stato trovato un valore della porosità totale (€ ) di circa il 4%. I marmi oltre che nell’arte scultorea vengono comunemente impiegati nei rivestimenti di esterni, di pavimenti e pareti e nelle decorazioni ( vedasi figure 11 e 12 ). Per la loro porosità e scarsa resistenza agli agenti chimici i marmi comuni, con una strutturazione più grossolana, vengono impiegati solo in manufatti per interni. TABELLA 4: Caratteristiche di rocce calcaree di varia origine [9]. Denominazione CALCARE COMPATTO Classificazione Sedimentaria chimica CALCARE TENERO Sedimentaria clastica CALCARE ARENACEO Sedimentaria clastica Minerali calcite calcite calcite Chimismo Ca Ca Ca Tessitura Mudstone packstone grainstone Colore bianco giallo, bruno grigio chiaro Massa vol. app. 2,7 1,7 2,6 Tipologie blocco, lastra blocchi blocco, lastra Lavorabilità buona, lucidabile ottima buona Uso muro, colonna, pavimento decorazione, scultura, decorazione, muro muro Alterazione erosione erosione erosione Cause degrado dissoluzione dissoluzione dissoluzione Esempio Biancone pietra di Vicenza pietra di Viggiù Denominazione CALCARE FOSSILIFERO DOLOMIA TRAVERTINO Classificazione sedimentaria biochimica Minerali calcite sedimentaria chimica dolomite sedimentaria chimica calcite Chimismo Ca Ca, Mg Ca Tessitura wackestone ricristallizzata boundstone Colore bianco, rosso, rosa, giallo bianco, rosa bianco, bruno Massa vol. app. variabile 2,5 2,3 Tipologie blocco, lastra blocco, lastra blocco, lastra Lavorabilità buona, lucidabile buona buona, lucidabile Uso decorazione, muro decorazione, muro muro Alterazione erosione erosione erosione Cause degrado dissoluzione dissoluzione dissoluzione Esempio Rosso di Verona pietra d'Angera Travertino di Tivoli TABELLA 5: Alcune delle principali caratteristiche dei marmi [9]. Denominazione Classificazione Minerali MARMO metam. regionale calcite, qz, msc Chimismo Ca, Si Struttura granoblastica Scistosità assente Grana variabile Colore bianco, rosa, vene grigie Massa vol. app. 2,7 Tipologie blocco, lastra Lavorabilità ottima, lucidabile Uso scultura, decorazione Alterazione erosione Cause degrado dissoluzione Esempio marmo di Carrara nota: qz=quarzo; msc=muscovite;mcc=microclino. FIGURA 10: Micrografia ottica di una sezione sottile di un marmo calcareo cristallino. Viene chiaramente evidenziata la morfologia dei grani elementari [9]. FIGURA 11: Scultura in marmo statuario ( lucidato ) di Carrara di Marco Ambrosini, denominata Amanti [25]. FIGURA 12: il Duomo di Carrara splendido esempio di utilizzo del marmo come rivestimento di esterni [25]. Un numero rilevante di edifici e di oggetti di interesse storico/culturale sono stati realizzati impiegando materiali ricavati da rocce calcaree ( vedasi esempio in figura 13 ) [26]. I calcari di origine sedimentaria, a seconda della loro natura, si diversificano fortemente per: • composizione; • porosità • texture; • proprietà meccaniche; • durezza; • resistenza agli agenti chimici e alle piogge acide. La determinazione della porosità totale € di alcune rocce calcaree ha portato a valori che vanno da 43 ( arenaria calcarea dei templi di Agrigento ) a 56% (calcare Maya ) [8-b]. I prodotti di origine silanica ( silicati e alcossisilani ) hanno dimostrato, in alcuni casi, vedasi tabella 6, una buona attività consolidante nel caso delle pietre calcaree. In altre circostanze è stato trovato che la calcite favorisce l’evaporazione degli alcossisilani riducendo la loro velocità di polimerizzazione. TABELLA 6: Casi documentati di successo di trattamenti di pietre calcaree effettuati con prodotti alcossisilanici ( Brethane ) [13]. SITO TIPO DI PIETRA St.Gorge Clunch temple: Audley end Chichester GlauconiteCathedral Calcare /silicico Bolsover Dolomite Castle Calcare /arenaria Goodrich Arenaria Castle /calcarea CONTENUTO CONTENUTO POROSITA’ CARBONATO SILICATI E OSSIDI DI FERRO 100% <25% <100% >0% 3-5% 82% 18% 29% 12% 88% 24% E’ possibile minimizzare questo effetto usando formulazioni opportunamente catalizzate. Pur tuttavia anche in queste condizioni il gel polimerico che si viene a formare non risulta aderire al substrato; quindi l’efficienza consolidante è relativamente bassa [13]. Da quanto sopra e da quanto precedentemente scritto è possibile concludere che pur in presenza a di una chiara incompatibilità chimica con i minerali che compongono i calcari di origine sedimentaria ( principalmente la calcite ) i prodotti consolidanti di origine silanica ( silicati e organosilossani ), in alcuni casi hanno mostrato una buona idoneità per il consolidamento di manufatti lapidei in pietra carbonatiche. FIGURA 13:Gli edifici del centro storico della Medina di Malta sono stati edificati utilizzando pietre calcaree. <La duttilità della sua pietra calcarea che riflette la luce secondo le varie angolature ha permesso di creare gli intagli più complessi, che decorano la moltitudine di palazzi nobiliari e dei luoghi cristiani di cui l’isola pullula. Melita, cioè “Isola del miele”, fu il nome attribuito a Malta grazie a questa sua pietra dorata > [26]. Per quanto riguarda i marmi è stato ampiamente dimostrato che l’impiego di formulazioni contenenti silicati o alcossisilani può risultare molto utile per il loro consolidamento. Questo comportamento è stato interpretato assumendo che: a ) il processo di deterioramento dei marmi sia principalmente dovuto alla disintegrazione dei grani; b ) al contrario dei calcari sedimentari i marmi si caratterizzino per una dimensione dei grani relativamente elevata e per l’assenza di sostanze che agiscono da cementi, di fatto i grani sono a diretto contatto tra loro; c ) la porosità dei marmi, anche se degradati, sia relativamente bassa e la forma degli interstizi inter-grani sia a forma di lamina ( sheetlike ) [13]. Ruedrich et Al., a convalida di quanto sopra, hanno dimostrato che gli alcossisilani hanno, nel caso di campioni di marmo, la capacità di riempire quasi completamente gli spazi intergrani ( vedasi micrografia elettronica in figura 14 ) [13,27]. FIGURA 14: Micrografia elettronica in scansione di un campione di marmo trattato con Wacker OH, un consolidante a base di silicato di etile o tetraetossisilano. Il gel polimerico riempie gli spazi intergrani del marmo conformandosi alle superfici piane dei grani adiacenti [27,13]. L’effetto stabilizzante del Wacker OH sui campioni di marmo mostrati in figura 14 viene così spiegato nel riferimento [27]: < Alkoxysilane solutions enter these intergranular spaces and later gel and shrink…… The SEM shown in figure ( 14 ) helps to explain why OH-type gels are capable of stabilizing marble against granular disintegration. Although the gel does not adhere to the grain, it nearly fills the spaces surrounding the loose grain and prevents it from moving and to be dislodged > [27]. I polimeri acrilici [28] risultano essere efficaci come consolidanti nel caso di manufatti per la cui realizzazione si sono usati materiali in pietra calcarea molto densa, caratterizzata da una bassa porosità e i cui spazi vuoti derivino essenzialmente da fessure/fratture e non da pori [29]. Nei casi di cui sopra, secondo quanto scrive J. Delgado Rodrigues, i polimeri/copolimeri acrilici sono capaci di penetrare attraverso le fessure <…. where they build up some adhering bridges between the fracture walls and therefore they play the role that is expected to be effective for such a degradation form ….> [29]. In effetti il Paraloid B72 e altri prodotti acrilici in commercio, agiscono di fatto da agenti di adesione . < They act like adhesives or gluing agents and not as traditional impregnating consolidants…> [29]. Nel caso di pietre carbonatiche porose la connettività è bassa, i consolidanti acrilici tendono a formare un film sulla superficie e, anche se questo determina un aumento della resistenza meccanica, il comportamento del materiale trattato, visto nel suo insieme, risulta esserne compromesso [29]. Per il consolidamentodi pietre in travertino, caratterizzate da una elevata compatezza e bassa porosità ( circa il 6% per il travertino delle cave di Tivoli [8-a] ) è stato dimostrato come prodotti di natura chimica diversa [ silicato di etile ( Waker- OH ); miscela elastomero fluorurato/copolimero acrilico ( Fluormet CP ); miscela di alcossisilani/esteri dell’acido silicico ( VP5035 ); copolimeri acrilici ( Paraloyd B72 ) e un poliuretano fluorurato anionico in emulsione ( Akeogard-PU )] possano essere, anche se in maniera diversificata, efficaci ( vedasi capitoli precedenti ) [30]. La scelta di un prodotto a scapito di un altro può dipendere fortemente dalla natura fisica del campione e in particolare dal rapporto tra vuoti dovuti a fessurazioni e quelli connessi alla porosità della pietra. In presenza di travertini con elevata percentuale di fessure è probabile che prodotti ad alto potere di adesione abbiano un maggiore effetto stabilizzante. In caso contrario ( basso grado di fessurazioni ) mostreranno una efficacia maggiore quei prodotti capaci di penetrare più in profondità attraverso i pori e quindi esplicare più propriamente la funzione di consolidante. Da quanto riportato si ricava che la compatibilità ( chimica, fisica, strutturale, meccanica ) tra i materiali che compongono gli elementi dei manufatti architettonici e monumentali, oggetto di restauro e di conservazione, e le macromolecole costituenti il polimero rappresenta uno dei principali requisiti che spesso determina la scelta di un prodotto polimerico con caratteristiche consolidanti. Il requisito di compatibilità deve applicarsi anche all’insieme delle caratteristiche ambientali ( condizioni climatiche, presenza di inquinanti chimici/fisici/biologici ) tipiche dell’area dove è collocato il manufatto da risanare. I risultati sul campo hanno dimostrato che non sempre prodotti potenzialmente compatibili siano i più idonei ad essere impiegati nel consolidamento di campioni di pietra. Infatti come ampiamente documentato, altri fattori ( profondità di penetrazione, natura del danno e meccanismo di degradazione, ecc. ) possono portare alla scelta di materiali meno compatibili ma dotati di particolari altre proprietà in base alle quali farsi preferire. Per le ragioni di cui sopra, prima di procedere alle operazioni di restauro in situ, è necessario valutare, in laboratorio, la capacità e l’efficienza consolidante di un prodotto chimico, in relazione ad un ben definito manufatto lapideo, effettuando una serie di prove, con metodiche oramai consolidate e standardizzate, atte a determinare i seguenti parametri comportamentali: - L’adesione del polimero consolidato con i materiali costituenti le pietre ( naturali e/o sintetiche ) componenti il manufatto. Una buona adesione prevede la formazione di legami chimici ( primari e/o secondari ) e/o fisici che sfruttano la particolare affinità tra gruppi funzionali presenti lungo le macromolecole dei polimeri solidi e sulla superficie o sulle pareti dei pori dei materiali lapidei sottoposti a trattamento. - - - Il grado di ritiro, in fase di precipitazione dal solvente e conseguente solidificazione e/o di indurimento o polimerizzazione in situ, che deve quanto più possibile essere vicino allo zero. La resistenza alla degradazione molecolare indotta dalle radiazioni solari e dal calore. La capacità di resistere agli attacchi chimici/degradativi di sostanze con caratteristiche basiche e/o acide, dell’acqua e di inquinanti presenti a vario titolo nell’ambiente circostante. La profondità di penetrazione che auspicabilmente dovrebbe portare il consolidante fino alla parte integra del materiale costituente il manufatto in pietra. Le caratteristiche meccaniche ( modulo di elasticità, resistenza alla compressione, alla trazione e alla flessione ) degli elementi lapidei costituenti post- trattamento. La dilatazione volumetrica indotta dal calore e dall’assorbimento di acqua che non dovrebbe causare tensioni sulle pareti dei pori e delle fessure. La permeabilità e la porosità dei materiali costituenti. E’ buona norma che il trattamento consolidante porti solo all’occlusione parziale dei pori affinché lo strato consolidato mantenga la permeabilità al vapore d’acqua e ai vapori di solventi rilasciati a seguito della deposizione del polimero: il materiale deve comunque respirare. L’ apparenza e il colore che non dovrebbero essere mai troppo dissimili dall’originale. Questo problema si verifica in particolare quando il consolidamento coinvolge anche la superficie dei manufatti [7,8]. Come già ampiamente scritto la maggior parte delle procedure di consolidamento, basate sull’azione di polimeri allo stato condensato, prevede l’utilizzo di formulazioni liquide contenenti monomeri e/o pre-polimeri reattivi ( a bassa viscosità e basso peso molecolare ) che solo dopo la penetrazione all’interno del materiale da risanare e dopo l’allontanamento del solvente e in presenza di idonei catalizzatori, polimerizzano, reticolano e solidificano stabilendo con i materiali che costituiscono il substrato lapideo dei legami ( chimici/fisici ) [31]. Lo sviluppo della chimica dei polimeri di sintesi ha permesso di mettere a punto e commercializzare formulazioni polimeriche e procedure applicative mirate e specifiche per il tipo di pietra da consolidare e per le sue caratteristiche ( in particolare la composizione e la natura chimica dei minerali componenti, la struttura e la porosità, la dimensione dei grani e la loro forma spaziale e la presenza o meno di microfessure ) le quali tra l’altro si adattano anche al tipo di danno che predomina nel processo di deterioramento. B ) RELAZIONE TRA STRUTTURA CHIMICA E REATTIVITA’ DEI POLIMERI, STRUTTURA E COMPOSIZIONE DELLE PIETRE E CAPACITA’ DI PROTEZIONE SUPERFICIALE Nelle operazioni di conservazione di manufatti in pietra dopo il consolidamento è buona prassi procedere a trattamenti di protezione superficiale allo scopo di conferire al manufatto una maggiore idrorepellenza impedendo altresì il trasporto di sali e agenti inquinanti dall’esterno verso l’interno [32]. I requisiti di un prodotto protettivo, secondo la “Raccomandazione Normal 20/85”, sono qui di seguito elencati: 1 ) assenza di sottoprodotti nocivi per il substrato lapideo ( ad esempio produzione di sali), e questo anche a distanza di tempo dall’esecuzione del trattamento; 2 ) stabilità chimica nei confronti degli agenti inquinanti presenti nell’ambiente e dell’ossigeno; 3 ) resistenza alle radiazioni ultraviolette; 4 ) permeabilità al vapore d’acqua ( il substrato deve comunque traspirare; la normativa vigente prescrive di non ridurre, nel materiale trattato, la preesistente permeabilità ai vapori oltre il valore limite del 10% ) e impermeabilità all’acqua liquida; 5 ) solubilità nei più comuni solventi organici al fine di favorire la eventuale rimozione quando il prodotto ha perduto la sua efficacia ( concetto di reversibilità ); 6 ) trasparenza ed inalterabilità del colore; ad un protettivo si richiede di non provocare variazioni nel colore della superficie della pietra trattata e quindi di non influenzarne le proprietà ottichecromatiche. Come nel caso del consolidamento l’efficacia di un trattamento idrorepellente viene valutata sulla base di sperimentazioni in laboratorio, ex ante, atti a fornire, tra l’altro, indicazioni circa la compatibilità chimica, fisica e strutturale con le sostanze costituenti il substrato lapideo. Alcuni dei test più significativi sono qui di seguito ricordati [8-b]. i ) Determinazione dell’angolo di contatto tra la superficie di un film di prodotto protettivo e una goccia di acqua ( la massima capacità di idrorepellenza corrisponde a valori dell’angolo di contatto vicini a 180° ). I polimeri fluorurati, le resine acriliche fluorurate e i siliconi presentano valori dell’angolo di contatto rispettivamente > 110°, 130° e 90-120°. In base a questi valori i polimeri sopra indicati sono da considerare potenzialmente delle buone sostanze idrorepellenti. ii ) Misura del coefficiente di assorbimento dell’acqua per capillarità o per immersione totale. iii ) Determinazione dell’assorbimento dell’acqua sotto bassa pressione ( vedasi procedura della pipetta ). iv ) Calcolo della curva di evaporazione. v ) Misura dell’indice di asciugamento. vi ) Quantificazione della durabilità mediante cicli di invecchiamento artificiale/accelerato in apposite camere climatiche [33]. Formulazioni contenenti polimeri preformati di natura organo-silossanica ( concentrazione di sostanza attiva intorno al 5-10% ) sono risultati idonee per il trattamento superficiale di pietre molto porose ( ad esempio tufi, arenaria calcarea, mattoni ecc. ). Nel caso di substrati compatti e poco assorbenti si sono usati prodotti a base di estere etilico dell’acido silicico ( TEOS ) e di alchil-alcossisilani, ( ad esempio il metiletossisilano ( MTEOS ) e il metilmetossisilano ( MTMOS ), che allo stato monomerico o di pre-polimeri a bassissima massa molecolare sono commercializzati come liquidi privi di solvente L’efficacia protettiva di questi prodotti è funzione della struttura molecolare del polimero che si viene a formare sulla superficie del materiale da trattare e delle interazioni chimiche e fisiche tra i gruppi funzionali attivi all’interfaccia pietra/polimero. La capacità di ricoprire e impregnare la superficie del substrato può essere migliorata utilizzando idonei solventi. In letteratura sono riportati esempi di trattamenti idrorepellenti effettuati con prodotti silanici su pietre di varia natura. Secondo quanto riportato da G. Dell’Agli et Al., campioni di tufo ( porosità è permeabilità all’acqua rispettivamente pari al 54% e al 248% ) trattati con silossano puro oppure con una miscela di oligomeri di TEOS e MTEOS ( in commercio come Wacker-OH e Wacker-H) mostrano una riduzione della permeabilità all’acqua rispettivamente del 21 e 10% ( da 248% a 203 e 222% ) [34]. J. Lukaszewicz et Al. Hanno dimostrato come trattamenti protettivi di pietre arenarie effettuati con una formulazione a base di Brethane ( il cui componente attivo è il MTMOS ) causa una riduzione della permeabilità del 61%, mentre con l’impiego di miscele TEOS + silossano ( Wacker-H ) è stato possibile ottenere una riduzione di circa il 40% [35]. Da quanto sopra si ricava che la compatibilità chimica tra i costituenti di pietre siliciche e i prodotti di natura silanica determina una buona efficienza protettiva da parte di questi ultimi prodotti. Come già precedentemente riportato, i copolimeri acrilici( in particolare il copolimero etilmetacrilato(EMA )/metilacrilato ( MA ) commercializzato come Paraloid B72 ) sono stati ampiamente impiegati nella protezione superficiale di manufatti lapidei di varia natura e origine. La versatilità dei processi di sintesi dei copolimeri acrilici permette di ottenere prodotti con una struttura chimica e massa molecolare funzionale al tipo di substrato e alla procedura di applicazione [36]. Una formulazione acquosa a base di alchilalcossisilano, commercializzata come ( Funcosil WS ), è stata utilizzata con successo nel trattamento protettivo sia di pietre di Travertino Romano ( una pietra con una:composizione chimica, essenzialmente a base di calcite microcristallina, porosità totale pari al 4-7% ) che di pietre di Granito Rosso e Granito Grigio ( rocce intrusive a struttura granulare, dense ed omogenee i cui costituenti principali sono minerali silicei, mica, quarzo e feldspato, porosità totale >1% ). Queste pietre facevano parte del rivestimento esterno del monumento alla Libertà di Riga ( vedasi dettagli in capitolo precedente ) [37]. I campioni di granito dopo il trattamento con alcossisilano presentano una riduzione dell’assorbimento di acqua e della porosità, a dimostrazione dell’efficacia del prodotto protettivo usato sia nel caso di pietre calcaree che silicee. In generale è stato riscontrato che campioni di pietra trattati con agenti protettivi di natura acrilica ( ad esempio il Paraloid B72 ) sottoposti a prove di invecchiamento ambientale (accelerato o naturale ) denotano nel tempo una riduzione della loro capacità protettiva a seguito di processi di degradazione e di modificazione chimica indotti in particolare dall’azione delle radiazioni UV [36]. Uno studio comparativo circa l’efficacia di protezione nei confronti dell’umidità e la stabilità fotochimica di polimeri/copolimeri acrilici con struttura chimica diversa è stato effettuato da S. Bracci e M. J. Melo analizzando il comportamento di campioni di marmo dolomitico, prima sottoposti a trattamento protettivo e quindi a prove di invecchiamento accelerato in camera climatica [38]. E’ ben noto che il marmo dolomitico, costituito essenzialmente da carbonato doppio di calcio e magnesio, CaMg(CO3)2, è stato usato nella scultura di statue sin da tempi remoti come dimostrato dalle cinque statue di donne, sculture di epoca romana, allineate lungo la parete di fondo della Loggia dei Lanzi a Firenze ( vedasi figura 15 ) [39]. I risultati dello studio di Bracci e Melo hanno dimostrato come il Paraloid ( copolimero PEMA/PMA ) conserva, anche a tempi lunghi, una efficacia protettiva maggiore di quella relativa agli omopolimeri PMA, PEMA e PMMA [38]. Nei capitoli precedenti si è già scritto che per ovviare all’inconveniente della istabilità fotochimica dei polimeri acrilici, negli ultimi anni, sono stati sintetizzati e messi in commercio resine acriliche fluorurate. Queste ultime si applicano attraverso reazioni di copolimerizzazione in situ di monomeri acrilici in presenza di monomeri fluorurati. Questi materiali, per la presenza di atomi di fluoro in catena, si caratterizzano per una maggiore idrorepellenza e resistenza ai raggi UV. Inoltre le molecole di questi nuovi prodotti sono state, in alcuni casi, opportunamente funzionalizzate al fine di aumentarne l’adesione al substrato lapideo [32,36]. L’efficacia protettiva di copolimeri acrilici fluorurati, con struttura molecolare e composizione FIGURA 15: La Loggia dei Lanzi a Firenze. Le cinque statue collocate lungo la parete di fondo sono in marmo dolomitico [41]. diversa, è stata valutata su campioni di marmo di Candoglia e di pietra di Noto. Il marmo di Candoglia ( grana media, compattezza buona, porosità bassa, <1% , componenti: calcite, quarzo, muscovite, pirite ), estratto nelle cave di Candoglia in Val d' Ossola, è una pietra di colore bianco/rosa o grigio. < Se ne conosce l'uso in epoca romana per stele e altari, ma fin dal 24 ottobre 1387, in base ad un privilegio di Gian Galeazzo Visconti, il marmo fu riservato alla Fabbrica del Duomo di Milano: per la costruzione dei piloni, degli archi e dei muri perimetrali, per il rivestimento delle facciate e delle terrazze, per la decorazione e la scultura; l’uso prosegue tuttora nell’attività di manutenzione dell’edificio > [40]. La degradazione di questo materiale avviene per < erosione superficiale fino a disgregazione e polverizzazione a causa dell’azione solvente delle acque meteoriche sui cristalli calcitici; possibilità di solfatazione con formazione di croste...> [40]. La pietra di Noto ( impiegata in architettura per la realizzazione di rivestimenti esterni ed interni e per elementi decorativi ) è una roccia sedimentaria, costituita prevalentemente da calcareniti, che si caratterizza per i seguenti elementi: ? ? ? ? composizione calcarea ( calcimetria: CaCO3 = 95,1 ) facile lavorabilità e buone qualità fisico- meccaniche; particolari caratteristiche cromatiche ( colore giallo-oro ); porosità elevata, 30-40% [42, 43]. Campioni di marmo di Candoglia e di pietra di Noto sono stati condizionati con trattamenti protettivi con copolimeri acrilici fluorurati che si differenziavano per la loro struttura molecolare, composizione e contenuto in fluoro. Successivamente questi campioni sono stati sottoposti ad invecchiamento fotochimico accelerato e quindi si è provveduto alla valutazione dell’efficacia dei vari trattamenti sulla base della determinazione della stabilità all’azione delle radiazioni UV e della permeabilità all’acqua e al vapore d’acqua. I risultati dello studio di cui sopra hanno portato alla conclusione che quanto maggiore è la frazione del comonomero fluorurato e quanto minore è la lunghezza della ramificazione, maggiore è la stabilità chimica del sistema di protezione lapideo. La protezione superficiale con i polimeri acrilici fluorurati è risultata essere particolarmente efficace nel caso delle pietre di Noto, meno per il marmo di Candoglia ( bassa porosità ) [36 ]. Dall’insieme dei risultati presentati si ricava che: 1 ) mediante opportune procedure di sintesi chimiche è possibile modulare il comportamento e i meccanismi di consolidamento e di protezione realizzando materiali che siano funzionali alla particolare struttura fisica e composizione dei substrati oggetto di trattamento; 2 ) è possibile progettare prodotti macromolecolari la cui struttura sia tale da indurre una maggiore resistenza nei confronti dell’azione degradativa degli agenti chimici/fisici attivi nell’ambiente circostante il substrato lapideo; 3 ) la scelta di un prodotto consolidante/protettivo dipenderà comunque dai risultati di una serie di test ex ante da eseguire prima in laboratorio e quindi sul campo e questo in relazione al particolare substrato da proteggere e alle condizioni climatiche e ambientali al contorno. RIFERIMENTI 1 ) E. Martuscelli, La Chimica e l’lndustria, 77, 86-97 (1995) 2 ) E. Martuscelli E. La Chimica e l'lndustria, 77, 537-539 (1995) 3 ) E. 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PARTE-F CAPITOLO-1 LO SVILUPPO DELLA CHIMICA MACROMOLECOLARE E DELLA SCIENZA DEI POLIMERI PER L’IMPLEMENTAZIONE DI PRODOTTI E METODOLOGIE INNOVATIVE PER IL CONSOLIDAMENTO E LA PROTEZIONE DELLE PIETRE Negli ultimi anni notevoli investimenti in RST&D sono stati indirizzati verso la messa a punto di sistemi macromolecolari di nuova concezione, da impiegare come consolidanti e/o protettivi di manufatti lapidei, caratterizzati da: — performance di utilizzo a più lungo termine; — una più elevata stabilità nei confronti dei fattori ambientali ( ossigeno, umidità, calore, luce e inquinanti chimici ); — un maggiore durabilità e resistenza in relazione alle sollecitazioni fisico/meccaniche imposte dalle funzioni d’uso del manufatto. Alcuni significativi percorsi innovativi, di interesse applicativo nel campo del restauro e della conservazione delle pietre naturali e sintetiche, sono qui di seguito illustrati. 1 ) AGENTI ACCOPPIANTI PER MIGLIORARE L’ADESIONE TRA PRODOTTO CONSOLIDANTE/PROTETTIVO E LA PIETRA Un agente accoppiante, relativamente ad un sistema composito bifasico PIETRA/POLIMERO è < una sostanza capace di reagire, attraverso legami chimici stabili, sia con il componente lapideo che con la resina polimerica contribuendo a: - rinforzare l’adesione all’interfaccia; - migliorare la resistenza meccanica; - prolungare la “service life” > [1,2]. . I composti di natura organosilanica, a formula generale: Y- Si=(OR)3 hanno la capacità, per la loro costituzione chimica, funzionalità e reattività, di agire da agenti accoppianti formando dei ponti chimici tra una fase inorganica ( ad esempio una superficie lapidea ) e una fase organica ( resine polimeriche di varia natura e struttura ), vedasi schema in figura 1. Queste molecole si caratterizzano per la presenza di gruppi con due diversi tipi di reattività. 1 — I gruppi —OR- di natura alcossilica [ metossi ( —OCH3 ), etossi ( —OCH2CH3) ), acetossi (—O(CO)CH3 ) ] per effetto dell’acqua si idrolizzano dando luogo alla formazione di silanoli ( -Si-OH ) che per condensazione con gli ossidrili presenti sulla superficie della fase inorganica formano dei ponti di tipo -Si—O—Si-. — I gruppi organofunzionali ( —Y )- possono avere una funzionalità di natura vinilica ( figura 2,a), epossidica ( figura 2,b), metacrilossidica ( figura 2,c ) e amminica ( figura 2,d ); interagiscono con varie tipologie di resine polimeriche [3]. FIGURA 1: Rappresentazione schematica: formazione di ponti chimici attraverso i quali molecole silaniche con caratteristiche di accoppianti agganciano una fase organica ( in nero in figura ) ad una inorganica ( in azzurro in figura )[3]. Alcuni esempi di impiego degli accoppianti silanici sono qui di seguito descritti [3]. Silani di natura vinilica (figura 2,a) Vengono usati in reazioni di reticolazione di polimeri non polari, dotati di scarsa reattività ( polietilene e copolimeri dell’etilene ) e nel caso di poliuretani. Le reazioni di aggancio sono basate su di un meccanismo di tipo free radical. Generalmente si fa uso di perossidi organici per iniziare la reazione di innesto. Silani con funzionalità epossidica ( figura 2,b ) Possono essere applicati come agenti accoppianti per le resine epossidiche , poliesteri e poliuretaniche. Silani con funzionalità metacrilossidica ( figura 2,c ) Sono idonei ad essere impiegati come additivi in sistemi che reticolano via radicali liberi ( poliolefine, poliuretani, poliacrilici, poliesteri ecc. ) 2 Ammino silani ( figura 2,d ) Hanno la capacità di legarsi a matrici polimeriche diverse ( termoplastiche e termoindurenti ) quali ad esempio: resine epossidiche, poliuretani, polietilene, gomme siliconiche, copolimeri etilene vinilalcole, ecc.. a) b) c) d) FIGURA 2: Struttura chimica di gruppi organo-funzionali in molecole di accoppianti silanici: a) funzionalità vinilica; b) epossidica; c) metacrilossidica; d) amminica [3]. 3 Nella figura 3 viene indicata la struttura chimica di alcuni agenti accoppianti di tipo organosilanico, di recente sviluppo, e le resine polimeriche con le quali, attraverso i gruppi organo funzionali, formano legami stabili [1]. Nei trattamenti di consolidamento/protezione gli agenti accoppianti possono essere applicati direttamente sulle pietre come pre-trattamento oppure aggiunte alle resine insieme a idonei catalizzatori. FIGURA 3: Struttura chimica di agenti accoppianti di tipo organosilanico e natura chimica delle resine organiche con le quali, attraverso i gruppi organo funzionali, possono formare legami stabili [1]. 4 Come schematicamente rappresentato in figura 4 l’utiizzo di un appropriato agente di accoppiamento organo silanico,con una funzione epossidica, permette di ancorare una resina epossidica ad un substrato lapideo con esposti gruppi Si—OH [1,4,5,6]. FIGURA 4: Viene mostrato il meccanismo di accoppiamento chimico tra la superficie di una pietra ( area verde bordata di rosso ) con gruppi Si—OH esposti e una resina epossidica ( area bordata in blu ) indotto da un agente organo silanico con una funzione epossidica [1]. 2 ) NANOCOMPOSITI A MATRICE POLIMERICA CONSOLIDANTI/PROTETTIVI DELLA PIETRA Attraverso la tecnologia dei nano-compositi polimerici (materiali caricati in cui le dimensioni delle particelle disperse (nanocariche) è dell’ordine di grandezza del nanometro (10-9 m) ) è possibile realizzare prodotti potenzialmente idonei ad essere impiegati come consolidanti/protettivi con performance fortemente innovative e outstanding . Processi che portano all’ottenimento di nano-compositi caratterizzati da una matrice polimerica e da una fase dispersa costituita da particelle inorganiche derivanti da silicati lamellari, opportunamente esfoliati o delaminati, appartenenti alla famiglia dei fillosilicati (ad esempio la montmorillonite, la ectorite, la vermiculite ecc. ) appaiono essere particolarmente promettenti ai fini applicativi. La sintesi di questi nano-compositi, polimero/ silicato, è essenzialmente basata su una delle seguenti procedure: a ) Intercalazione del polimero da soluzione. b ) Polimerizzazione in situ. c )Intercalazione dal fuso [7,8,9]. 5 a ) intercalazione del polimero da soluzione Prevede: 1 ) il dissolvimento del polimero in un idoneo solvente organico; 2 ) la diffusione dello stesso solvente all’interno delle lamelle argillose del silicato e successiva sfaldatura delle stesse; 3 ) il mescolamento del sistema in 2 ) con la soluzione in 1 ); 4 ) adsorbimento del polimero sulla superficie delle lamelle elementari del silicato; 5 ) evaporazione del solvente; 6 ) occlusione delle macromolecole di polimero tra le lamelle e formazione di strutture ordinate multistrato allo stato condensato ( vedasi figura 5 ) [10]. FIGURA 5: Sintesi di un nano-composito polimero/silicato (lamellare) basato sul processo di intercalazione del polimero in soluzione ( vedasi testo ) [10] b ) Polimerizzazione in situ. Le fasi di questo processo, con riferimento alla figura 6, sono: 1 ) la dispersione delle strutture lamellari elementari del silicato in un solvente contenente anche il monomero e il catalizzatore ; 2 ) la intercalazione delle molecole di monomero e del catalizzatore tra le lamelle del silicato; 3 ) la polimerizzazione in situ del monomero intrappolato tra le lamelle argillose ( figura 6 ) [10]. c ) Intercalazione dal fuso Questa procedura, che non prevede l’uso di solventi, contempla i seguenti passaggi: 6 1 ) un pre-trattamento di compatibilizzazione del silicato che consiste nell’introdurre tra le lamelle molecole di un tensioattivo cationico di natura organica, quale un sale di ammonio quaternario ( il silicato, organomodificato, assume un comportamento idrofobico, la sua energia superficiale è ridotta, la compatibilità con il polimero aumentata ); 2 ) miscelazione del silicato organomodificato con il polimero a temperature maggiori della temperatura di fusione o di rammollimento del polimero utilizzando le normali apparecchiature usate per la lavorazione delle materie plastiche ( estrusori, brabender ecc. ) ( vedasi figura 7 ) [10]. Figura 6: Il processo di sintesi di un nano-composito polimero/silicato (lamellare) basato sulla polimerizzazione del monomero in situ tra le Lamelle del silicato ( vedasi testo ) [10]. FIGURA 7: Processo di sintesi di un nano-composito basato sulla metodica dell’intercalazione diretta dal fuso ( vedasi testo ) [10]. Alternativamente, quando la compatibilità tra polimero e lamelle di silicato è elevata è possibile con opportuni metodi realizzare la completa dispersione delle singole lamelle del silicato, dopo un appropriato processo di delaminazione degli stessi, nella matrice polimerica. I nano-compositi così ottenuti sono definiti esfoliati o delaminati. 7 Recentemente sono state messe a punto delle procedure di sintesi per l’ottenimento di nano-filler ibridi, organici/inorganici, aventi una geometria sferica/cubica che per la loro struttura sono chimicamente affini/compatibili con matrici polimeriche di varia natura [10,11]. < in alternativa è stata recentemente proposta una nuova tipologia di nanofiller ibridi organici/inorganici per i quali non sono necessari trattamenti di compatibilizzazione. Questi materiali denominati POSS (Polyhedral Oligomeric Silsesquioxanes) sono formati da una gabbia silossanica a cui sono legati residui idrocarburici R (otto in tutto) o comunque di natura organica > (figura 8) [10]. Un altro aspetto innovativo è basato sull’impiego di nano-tubi di carbonio in grado di conferire, a concentrazioni molte basse, al polimero ospite particolari caratteristiche meccaniche ed elettriche [11, 12]. FIGURA 8: Formula di struttura dei POSS (Polyhedral Oligomeric Silsesquioxanes), cubi di lato 0,5nm, utilizzati per l’ottenimento di nano-compositi innovativi che non hanno bisogno di procedure di compatibilizzazione [10]. Con lo sviluppo delle nano-tecnologie è stato possibile realizzare compositi a matrice polimerica con proprietà migliorate se paragonate a quelle dei polimeri tal quali e ai corrispondenti compositi tradizionali. È importante sottolineare come questi risultati si ottengano con un contenuto di cariche relativamente basso, entro un intervallo di 0,1-10%w/w. Alcune delle più significative prestazioni dei nano-compositi a matrice polimerica sono qui di seguito elencate. ? Proprietà meccaniche: contestuale incremento del modulo elastico, della resistenza a trazione e in alcune circostanze dell’allungamento a rottura. 8 ? Proprietà termiche: miglioramento della stabilità dimensionale a caldo, riduzione dei ritiri, diminuzione del coefficiente di espansione termica e aumento della massima temperatura di esercizio. ? Proprietà barriera: ridotta permeabilità a gas e vapori. ? Resistenza ai solventi e agli agenti chimici: migliorata resistenza all’azione dei solventi e degli agenti chimici. ? Resistenza al fuoco: proprietà fire retardant, migliorata reazione al fuoco [9,10,11,13]. Tra i nano-compositi messi a punto rientrano anche quelli basati su di una matrice epossidica oppure di natura poli-acrilica con una fase dispersa, rispettivamente, di montmorillonite organomodificata e di particelle di carbonato di calcio. La sintesi di nano-compositi polimerici con particelle disperse di biossido di titanio può portare all’ottenimento di materiali consolidanti e protettivi con elevata resistenza alle radiazioni UV e con caratteristiche autopulenti e biocide [14] Attraverso l’ulteriore sviluppo delle nanotecnologie sarà possibile progettare e realizzare nuovi materiali controllando la struttura delle superfici e delle interfasi e la fenomenologia fisica e chimica all'interfaccia tra la matrice e la fase dispersa. Alcuni di questi potranno trovare utilizzo ,anche, come consolidanti/protettivi innovativi nelle operazioni di conservazione del costruito. In questo contesto vanno inquadrate le ricerche che tendono all’ottenimento attraverso la metodologia sol- gel, di sistemi ibridi organici/inorganici, con una strutturazione nano-metrica, di natura acrilica-organosilanica. < Tali sistemi ibridi sono stati ottenuti a partire da dispersione acquose (lattici) di polimeri acrilici funzionalizzati in catena laterale con gruppi reattivi alcossisilanici –SiOR, in grado di formare legami covalenti con monomeri alchilalcossisilanici in seguito a successive reazioni di idrolisi e condensazione > [15]. Le ricerche hanno pemesso la sintesi di sistemi ibridi poliacrilati/polisilossani ( PA-PSi ), nanostrutturati, con morfologia controllata di tipo core shell ( vedasi figura 9) [15]. Questi materiali eterofasici nanostrutturati, che associano, in linea di principio, < le buone proprietà idrorepellenti, di flessibilità, di resistenza termica, di stabilità all’invecchiamento e la bassa tensione interfacciale dei polisilossani, con le ottime proprietà meccaniche, filmanti, coesive e di durabilità conferite dai poliacrilati > sono particolarmente interessanti in quanto potenzialmente in grado di essere impiegati quali rivestimenti o impregnanti per substrati porosi di natura lapidea [15]. FIGURA 9: Sistemi ibridi poliacrilati/polisilossani, PA-PSi, nano-strutturati con morfologia: core shell [15]. 9 3 ) CONSOLIDANTI/PROTETIVI CON PROPRIETA’ BARRIERA NEI CONFRONTI DEGLI AGENTI CHIMICI AMBIENTALI, INIBITORI DELLA CRESCITA DI SALI, CON CARATTERISTICHE BIOCIDE E UV-RESISTANT 3.1 )Prodotti con proprietà barriera e inibitori della cristallizzazione di sali I normali agenti di protezione superficiale sono progettati per impedire la permeabilità all’acqua liquida ma non al vapore d’acqua e purtroppo ad altre sostanze gassose nocive presenti nell’ambiente ( ad esempio SO2, NOx, HCl, ecc. ). Il ritrovamento di cristalli di CaSO4 sulla superficie di campioni di pietra calcarea trattati con una resina siliconica e successivamente esposti all’azione dell’anidride solforosa dimostra che molecole di SO2 sono riuscite a penetrare attraverso la superficie ed attaccare il carbonato di calcio sottostante. Dall’esame della letteratura tecnica e scientifica si ricava che al fine di ovviare all’ inconveniente di cui sopra, si stanno sviluppando: ? film polimerici protettivi che siano permeabili al vapore d’acqua ma impermeabili ai gas nocivi, quale ad esempio la SO2: ? membrane polimeriche protettive più o meno permeabili agli agenti inquinanti gassosi a seconda della direzione e del percorso di penetrazione; ? processi di pre-trattamento delle superfici delle pietre con sostanze capaci di inibire la crescita di cristalli di sali come ad esempio quelli di solfato di calcio derivanti dalla solfatazione del carbonato di calcio (da citare alcuni esperimenti effettuati, apparentemente con successo, usando come primer la p-nitroanilina ) [16]. Attualmente bisogna riconoscere che i risultati ottenuti non sembrano essere risolutivi e che quindi l’argomento richiede ancora un grosso sforzo da parte dei ricercatori del settore. 3.2 ) Prodotti polimerici ( consolidanti/protettivi ) con migliorata resistenza all’invecchiamento chimico L’invecchiamento chimico, la risultante dell’azione sinergica e combinata di vari fattori ambientali (calore, ossigeno, inquinanti ( basici e acidi ), luce solare ( radiazioni UV ), radiazioni ionizzanti ecc. ), determina importanti modificazioni nella struttura macromolecolare dei polimeri ( ad esempio formazione o rottura di legami chimici e variazione della massa molecolare media e della sua distribuzione ) essenzialmente riconducibili alle seguenti tipologie di reazioni: ? ? ? ? ? rottura statistica delle catene; reticolazione; modificazione dei gruppi laterali; eliminazione dei gruppi laterali; ciclizzazione dei gruppi laterali ( vedasi figura 10 ) [17]. L’invecchiamento chimico si manifesta nei polimeri attraverso un decadimento progressivo e irreversibile delle proprietà ( termiche, meccaniche, ottiche, elettriche, ecc. ). I grafici delle figure 11 e 12 evidenziano come in presenza di una riduzione del peso molecolare, e quindi della viscosità, le proprietà meccaniche di un generico polimero decadono. In particolare si osserva come in corrispondenza di un valore critico ( Mcr ) delle masse molecolari si verifica un brusco crollo delle caratteristiche di rottura; il materiale perde completamente le sue 10 caratteristiche funzionali (vedasi figura 12 ) [17,18]. I fenomeni di ageing possono portare anche ad un aumento della massa molecolare e quindi della viscosità, qualora dovesse prevalere il processo di reticolazione tra molecole diverse [18]. FIGURA 10: Modificazioni molecolari di catene polimeriche indotte da invecchiamento chimico [17]. Dall’alto verso il basso: ? rottura statistica delle catene; ? reticolazione; ? modificazione dei gruppi laterali; ? eliminazione dei gruppi laterali; ? ciclizzazione dei gruppi laterali [17]. 11 In generale per aumentare la resistenza dei polimeri all’ageing ambientale si fa ricorso a procedure di stabilizzazione basate essenzialmente su tre diversi processi. 3.2.1 ) aggiunta di additivi ( antiossidanti e stabilizzanti anti-UV ) Gli antiossidanti hanno la funzione di prevenire i processi di degradazione derivanti da reazioni di ossidazione, generalmente iniziate da radicali liberi generatisi per azione del calore, della luce e dalla presenza di impurezze e difetti di catena. Gli antossidanti possono essere di natura primaria ( ammine, fenoli, sali metallici ecc. ) se intervengono sullo stadio di iniziazione del fenomeno degradativo oppure secondaria ( organofosfiti, tioesteri ecc. ) se operano sullo stadio di propagazione [19]. Gli stabilizanti anti-UV, a seconda della loro tipologia di azione sono suddivisi in varie famiglie. a ) Assorbitori di radiazioni UV - ( nerofumo, ossidi di ferro, derivati del benzofenone ). b) Estintori di stati eccitati ( quenchers )- ( complessi a base di nichelio ). c ) Sequestratori di radicali ( radical scavengers )- (ad esempio derivati della piperidina, HALS= hindered amine light stabilizers ) [20]. La possibilità di mettere a punto sistemi polimerici che resistano meglio all’invecchiamento chimico ambientale è legata allo sviluppo di nuovi additivi, antiossidanti e stabilizzanti anti-UV, caratterizzati da una maggiore efficacia e inoltre caratterizzati da: - una più bassa tensione di vapore alle temperature di lavorazione e di esercizio; una minore propensione alla migrazione verso la superficie del manufatto con formazione di depositi ( chalking o blooming ); una maggiore resistenza all’azione estrattiva da parte di solventi con i quali il polimero viene a contatto durante l’uso. In relazione a quanto sopra la Atochem ha sviluppato dei nuovi additivi HALS, contenenti gruppi perossicarbonato, che possono essere impiegati come iniziatori di polimerizzazioni di monomeri reattivi ( ad esempio i monomeri acrilici ). Il polimero risultante contiene lungo le sue catene molecole di HALS legate chimicamente. Pertanto le molecole di additivo non hanno ne la possibilità di diffondere verso la superficie ne quella di essere estratte da eventuali solventi. In questo contesto la Ciba-Geigy e la American Cyanamide hanno sintetizzato additivi non oligomerici a base di HALS ad elevata massa molecolare e bassa volatilità [21]. 3.2.2 ) Modificazione chimica della struttura molecolare dei polimeri L’inserimento di monomeri fluorurati lungo le catene di copolimeri acrilici, attraverso polimerizzazione radicalica di miscele di monomeri acrilici tradizionali e monomeri contenenti atomi di fluoro, rappresenta un esempio, di cui si è già scritto nei capitoli precedenti, di come sia possibile sintetizzare polimeri modificati con una più elevata resistenza nei confronti dell’ageing chimico. Le particolari caratteristiche dei polimeri fluorurati è da mettere in relazione con il fatto che il legame carbonio-fluoro è uno dei legami covalenti a più alta energia. Pertanto la presenza di atomi di fluoro, distribuiti casualmente lungo le macromolecole di un 12 FIGURA 11: La tenacità di un polimero ( G1c ) cresce all’aumentare della massa molecolare [17]. FIGURA 12: Rappresentazione schematica. Curva tratteggiata- variazione della massa molecolare di un generico polimero con il tempo di invecchiamento. Curva continua- dipendenza delle caratteristiche di rottura con il tempo di invecchiamento [17]. 13 polimero, determina una maggiore resistenza: - ai raggi UV, all’ossidazione e alle variazioni di temperatura; all’attacco di microorganismi e alla biodegradabilità; agli aggressivi chimici in un ampio intervallo di temperatura. al calore e al fuoco; all’usura, all’abrasione a alla perforazione; alle sollecitazioni dinamiche ( vibrazioni o flessioni ). Inoltre i polimeri fluorurati si caratterizzano per: - una più elevata capacità di trasmettere la luce; una riduzione dell’energia superficiale ( eccellenti prestazioni contro il bagnamento e l’adesione di sostanze estranee ). una più lunga durata di servizio, anche in presenza di alte temperature e prodotti chimici aggressivi [22]. La polimerizzazione in situ di copolimeri acrilici fluorurati potrebbe rappresentare una interessante opportunità per lo sviluppo di nuovi protettivi superficiali fluorurati dotati di elevata stabilità chimica e fotochimica o di consolidanti con migliorate proprietà di rinforzo di substrati lapidei purchè vengano ottimizzate le condizioni di sintesi e migliorate le metodiche per la caratterizzazione chimica e chimico fisica dei materiali e questo in relazione alla natura e struttura dei substrati da trattare. Particolare attenzione dovrà essere riservata alla definizione delle correlazioni tra efficacia protettiva, stabilità di aggancio alla pietra, durabilità, trasparenza, solubilità, contenuto in fluoro e distribuzione dei comonomeri fluorurati lungo le macromolecole e tutto questo in una ottica di migliorare il rapporto costo/prestazioni [23,24]. Un esempio di utilizzo dei polimeri acrilici fluorurati è rappresentato dal trattamento protettivo del Duomo di Carrara ( vedasi figura 13 ) [23]. FIGURA 13: Esempio di trattamento protettivo a base di polimero acrilico fluorurato di sintesi effettuato nel caso del Duomo di Carrara [23]. 14 Altri casi di applicazione del principio della copolimerizzazione, funzionale al miglioramento delle caratteristiche di un polimero di base di interesse nel settore della conservazione dei beni culturali, sono qui di seguito elencati: 1- resine acriliche modificate, copolimeri acrilici/stirene; 2- polivinilacetato modificato, copolimeri vinilacetato/vinilcloruro/etilene; 3- resine acriliche modificate, copolimeri butilacrilato/stirene/acido acrilico [25]. 3.3 ) Miglioramento delle prestazioni protettive/consolidanti mediante processi di miscelazione Processi innovativi che portano all’ottenimento di miscele di polimeri pre-formati rappresentano una interessante prospettiva al fine di produrre protettivi/consolidanti di manufatti lapidei a più di un componente ( monofasici o polifasici- compatibili ) con prestazioni migliorate e maggiore efficacia [26,27,28]. Le tecnologie del blending e del reactive blending ( vedasi figura 14 ) sembrano essere particolarmente promettenti per mettere a punto formulazioni a più di un componente capaci di esplicare contemporaneamente le funzioni di consolidamento e di protezione ( vedasi ad esempio il caso di miscele tra polimeri acrilici e polimeri siliconici-fluorurati con caratteristiche reticolanti ) [23,24]. Lo sviluppo di formulazioni a più di un componente richiede sforzi di ricerca finalizzati in particolare alla definizione delle relazioni tra composizione, struttura delle fasi, compatibilità, miscibilità, viscosità, profondità di penetrazione e funzionalità di protezione e di consolidamento modulata in corrispondenza delle caratteristiche del substrato lapideo da trattare [26,27]. FIGURA 14: La tecnologia del “Blending” e del “Reactive Blending” permette di realizzare una vasta gamma di materiali con caratteristiche innovative e con una varietà di strutturazione delle fasi e della morfologia dalle quali ultime dipendono le proprietà finali del sistema [28]. 15 CONCLUSIONI Negli ultimi decenni si è assistito ad un notevole sviluppo nella produzione e nelle applicazioni di materiali polimerici. Il secolo ventesimo è passato alla storia come il secolo della plastica. E’ in questo contesto che è possibile riscontrare la crescita dell’impiego di formulazioni a base di prodotti macromolecolari nei processi di restauro e conservazione dei beni culturali. In particolare questi prodotti vengono comunemente utilizzati nelle varie procedure di pulizia, consolidamento, protezione e manutenzione del costruito e dei manufatti lapidei con l’obbiettivo di ridurre la velocità dei processi di decadimento indotti dai più svariati agenti chimici, fisici e biologici. La straordinaria evoluzione della chimica macromolecolare ha permesso di progettare nuove strutture molecolari con caratteristiche innovative da utilizzare in complesse procedure di consolidamento/protezione in funzione sia della composizione chimica e struttura fisica delle pietre naturali / sintetiche costituenti il manufatto da stabilizzare e proteggere sia dei fattori causa dei processi di deterioramento. Quanto sopra è stato certamente favorito anche dalla messa a punto di tecniche di analisi chimica strumentale che da un lato hanno consentito una sempre più accurata caratterizzazione chimico/molecolare e strutturale dei polimeri e dall’altro hanno contribuito a definire l’entità e la tipologia del danno, le caratteristiche chimico/fisiche del substrato lapideo da trattare e i principali agenti di degrado ( natura, concentrazione, meccanismi di azione e reattività ) presenti nell’ambiente circostante. Nei precedenti capitoli del presente volume si è messo in risalto come la moderna industria chimica, opportunamente supportata da un intensa attività di ricerca di base, industriale e pre-competitiva, sia stata capace di mettere a disposizione dei restauratori e dei conservatori di beni culturali una gamma molto vasta di formulazioni polimeriche , con caratteristiche molto diversificate, tra le quali sia possibile scegliere prodotti idonei a risolvere in maniera mirata le più svariate necessità di consolidamento e di protezione del costruito e dei manufatti lapidei. I polimeri attualmente usati nella conservazione di varie tipologie di beni culturali, in base alla loro struttura molecolare e funzionalità, essenzialmente afferiscono alle seguenti famiglie: acriliche; viniliche; poliammidiche; siliconiche; silani, silossani e alcossisilossani; acriliche/siliconiche, acriliche/vinilacetati; stireniche/acriliche; epossidiche; perfluoropolieteri; derivati della cellulosa; polivinilacetati; copolimeri vinilacetato/acidomaleico/dibutilestere. Pur in presenza di una vasta gamma di prodotti polimerici con caratteristiche diversificate che già attualmente trovano impiego nella conservazione del costruito si avverte comunque la esigenza di sviluppare nuove molecole e quindi nuovi prodotti consolidanti/protettivi caratterizzati da un migliorato rapporto costo/prestazioni e di innovative tecnologie di produzione e di impiego ecosostenibili. Nell’ottica di cui sopra si guarda con interesse allo sviluppo di: a ) materiali multifunzionali, knowledge-based, con taylored e predictable prestazioni e proprietà; b ) prodotti nano-rinforzati caratterizzati da resistenza meccanica, duttilità, adesione, resistenza all’urto e all’abrasione, inerzia chimica e resistenza alla corrosione, all’ossidazione, ai raggi UV e alle escursioni di temperatura; c ) materiali intelligenti multifunzionali con proprietà taylored ( ad esempio: a memoria di forma, auto-regolabili; auto-restaurabili ( riparabili ) e autopulenti ); 16 d ) tecnologie di produzione e di impiego a basso impatto ( relativamente all’intero life-cycle ) sia sulla salute dell’uomo che sulla sicurezza dell’ambiente; e ) procedure di progettazione, caratterizzazione chimico/fisica e di controllo delle proprietà di lavorazione e di prestazione; f ) una nuova generazione di catalizzatori ( ad esempio nano-strutturati ) con nuove funzionalità e che includano il controllo dei fattori che ne determinano la reattività e la specificità; g ) sintesi flessibili, eco-compatibili ed efficienti per la realizzazione di sistemi ibridi inorganici/organici, nano-strutturati a morfologia controllata. h ) tecniche di polimerizzazione in situ per ottenere copolimeri, leghe, compositi nanostrutturati con morfologia adattata all’impiego e formulati polimerici, multifunzionali, capaci di potere agire sia da consolidanti che da agenti di protezione dei materiali lapidei; i ) materiali compatibili con i substrati lapidei, durevoli e resistenti alle sollecitazioni chimiche e fisiche ambientali. FIGURA 15: Apparecchiatura portatile di Spettroscopia Raman impiegata nelle procedure di diagnostica che hanno preceduto il restauro degli affreschi della Chiesa di Santa Maria de Lemoniz ( Paesi Baschi-Spagna ) [29]. La messa a punto di più attendibili e pronti sistemi di diagnostica, basati su tecniche non distruttive e con strumentazioni portatili per effettuare test in situ ( vedasi a titolo di esempio il caso della Spettroscopia Raman della figura 15 [29] ) favorirà l’impiego di prodotti innovativi, sviluppati nell’ottica di cui sopra. Bisogna riconoscere che a causa della differente composizione chimica delle pietre ( naturali e sintetiche ) che costituiscono un manufatto lapideo non esiste un unica procedura di consolidamento e di protezione; spesso bisogna fare ricorso a trattamenti combinati di varia natura che prevedono l’impiego di formulati contenenti prodotti diversi per struttura chimica, funzione e reattività. Alla luce di quanto riportato nel presente volume emerge, comunque, la esigenza di dovere inquadrare i processi di restauro/conservazione dei manufatti lapidei in una visione innovativa in 17 cui la soluzione delle problematiche, i cui aspetti sono connessi in maniera molto complessa alle caratteristiche dei sistemi consolidanti/protettivi, alle proprietà dei costituenti il manufatto e alle condizioni climatiche ambientali che agiscono al contorno, sia affrontata, sempre di più, sulla base di un approccio integrato e multidisciplinare che si avvalga di competenze specifiche di natura chimica, fisica, ingegneria e di storia e arte. Inoltre bisogna prendere atto che il restauro conservativo di ogni singolo manufatto lapideo, in particolare se di interesse storico-culturale, debba essere considerato come un problema unico per la sua specificità e complessità e questo in accordo con quanto scritto, in relazione alla conservazione del costruito, nella Carta di Gracovia: < Each community, by means of its collective memory and consciousness of its past, is responsible for the identification as well as the management of its heritage. Individual elements of his heritage are bearers of many values, which may change in time. The various specific values in the elements characterize the specificity of each heritage. From this process of change, each community develops an awareness and consciousness of a need to look after their own common heritage values > [( Principles for Conservation and Restoration of Built Heritage-2000) ]. DETERMINATION OF CHEMICAL,BIOLOGICAL POLLUTANTS : 18 RIFERIMENTI 1 ) P. Bosch, C. 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