1 parte-d i polimeri organici di sintesi usati nel

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1 parte-d i polimeri organici di sintesi usati nel
PARTE-D
I POLIMERI ORGANICI DI SINTESI USATI NEL CONSOLIDAMENTO E NELLA
PROTEZIONE DEL COSTRUITO E DEI MANUFATTI LAPIDEI
CAPITOLO 1-D
A ) LE RESINE ACRILICHE: SINTESI, STRUTTURA E PROPRIETA’
Le resine acriliche comprendono una vasta gamma di polimeri e copolimeri di poliaddizione che si
ottengono mediante polimerizzazioni radicalica di monomeri acrilici o metacrilici ( ad es. esteri
etilici e metilici dell’acido acrilico e dell’acido metacrilico ) [1,2].
Questi monomeri
< are used singly or in combination, sometimes with other monomers, to give products ranging
from soft, flexible elastomers to hard, stiff thermoplastics and thermosets.
With this wide range of characteristics, acrylics are produced in many forms including sheet, rod,
tube, and film, also pellets, beads, solutions, lattices, and reactive syrups > [3].
La struttura molecolare di alcuni monomeri acrilici e dei corrispondenti omopolimeri è riportata
nelle figure 1-6 [4].
I processi di sintesi applicati industrialmente per la produzione di polimeri acrilici sono
essenzialmente quelli basati su un meccanismo radicalico.
< Una polimerizzazione a catena viene definita radicalica quando i portatori della catena cinetica
sono radicali liberi. Un radicale libero è un frammento molecolare che si può considerare formato
dalla rottura omolitica di un legame covalente, e nel quale l’elettrone spaiato risultante non
partecipa ad alcun legame. La presenza di questo elettrone spaiato fa si che i radicali liberi siano
di norma specie altamente reattive, capaci tra l’altro di addizionarsi a molecole contenenti legami
multipli quali ad esempio etilene, stirene, cloruro di vinile, butadiene, ecc.; ciò costituisce la base
della polimerizzazione radicalica > [5].
I radicali primari possono essere generati dalla rottura termica di un legame covalente,
relativamente debole, di particolari sostanze definite iniziatore ( in genere un perossido oppure un
azocomposto )
Nella figura 7 viene illustrata la reazione che porta alla formazione di radicali liberi a partire dalla
decomposizione del 2,2’-azo-bis-isobutirronitrile, mentre nella figura 8 è mostrato come il radicale
primario prodotto sia in grado di addizionarsi ad una molecola vinilica insatura dando luogo alla
formazione di
< un nuovo radicale generalmente più stabile del precedente che costituisce il centro attivo per la
polimerizzazione. Questo processo rappresenta l‘inizio della catena; l’addizione di altre molecole
di monomero avviene tramite una serie di rapide reazioni successive, che costituiscono la
propagazione ( o crescita ) della catena > [5]
1
ACIDO ACRILICO
ACIDO POLIACRILICO
CH2- (CH)COOH
[- CH2- (CH)COOH- ]n
FIGURA 1: Struttura molecolare dell’acido acrilico ( monomero ),
a sinistra, e del corrispondente polimero, l’acido poliacrilico,
a destra.
Nella figura in basso a sinistra gli atomi di carbonio sono in azzurro,
gli ossigeni in rosso e gli idrogeni in grigio-chiaro[4].
ACIDO METACRILICO
ACIDO POLIMETACRILICO
CH2- C(CH3)COOH
[- CH2- C(CH3)COOH- ]n
FIGURA 2: Struttura molecolare dell’acido metacrilico ( monomero ),
a sinistra, e del corrispondente polimero, l’acido polimetacrilico,
a destra.
Nella figura in basso a sinistra gli atomi di carbonio sono in azzurro,
gli ossigeni in rosso e gli idrogeni in grigio-chiaro[4].
2
ACRILATO DI METILE
POLIACRILATO DI METILE
CH2- CHCOO(CH3)
[- CH2- CHCOO(CH3) - ]n
FIGURA 3: Struttura molecolare dell’acrilato di metile ( monomero ),
a sinistra, e del corrispondente polimero, il poliacrilato di metile,
a destra.
Nella figura in basso a sinistra gli atomi di carbonio sono in azzurro,
gli ossigeni in rosso e gli idrogeni in grigio-chiaro[4].
METACRILATO DI METILE
POLIMETILMETACRILATO
CH2- C(CH3)COO(CH3)
[- CH2- C(CH3)COO(CH3)- ]n
FIGURA 4: Struttura molecolare del metacrilato di metile ( monomero ),
a sinistra, e del corrispondente polimero, il polimetilmetacrilato,
a destra.
Nella figura in basso a sinistra gli atomi di carbonio sono in azzurro,
gli ossigeni in rosso e gli idrogeni in grigio-chiaro[4].
3
ACRILATO DI ETILE
POLIACRILATO DI ETILE
CH2- CHCOO(C2H5)
[- CH2- CHCOO (C2H5)- ]
FIGURA 5: Struttura molecolare dell’acrilato di etile ( monomero ),
a sinistra, e del corrispondente polimero, il poliacrilato di etile,
a destra.
Nella figura in basso a sinistra gli atomi di carbonio sono in azzurro,
gli ossigeni in rosso e gli idrogeni in grigio-chiaro[4].
ACRILATO DI BUTILE
POLIACRILATO DI BUTILE
CH2- CHCOO(C4H9)
[- CH2- CHCOO (C4H9)- ]
FIGURA 6: Struttura molecolare dell’acrilato di butile ( monomero ),
a sinistra, e del corrispondente polimero, il poliacrilato di butile,
a destra.
Nella figura in basso a sinistra gli atomi di carbonio sono in azzurro,
gli ossigeni in rosso e gli idrogeni in grigio-chiaro[4].
4
Nella figura 9 viene illustrato il mecanismo del processo di propagazione o crescita della catena
che consiste nell’addizione successiva di altre molecole di monomero al radicale formatosi come in
figura 8.
FIGURA 7: Polimerizzazione radicalica: processo di formazione
di radicali primari per rottura del legame debole -N=Ndel 2,2’-azo-bis-isobutirronitrile che agisce da iniziatore [5].
FIGURA 8: Polimerizzazione radicalica: fase di inizio della crescita
della catena; il radicale primario, prodotto come in figura 7, si
addiziona ad una molecola di monomero vinilico formando un nuovo
radicale, centro attivo per la reazione di polimerizzazione [5].
5
FIGURA 9: Polimerizzazione radicalica: processo di propagazione e crescita
della catena polivinilica [5].
In generale la fase di propagazione di una qualunque polimerizzazione di tipo radicalica viene
rappresentata attraverso la seguente equazione:
Pi*+ M ? Pi*+1
(1)
dove M rappresenta la molecola di monomero, Pi* il radicale polimerico in crescita, costituito da i
unità monomeriche e Pi*+1 il radicale polimerico con i+1 unità in catena.
Al processo di crescita fa seguito quello di terminazione che determina la fine della propagazione
con formazione di catene polimeriche inattive e con la scomparsa delle forme radicaliche.
Lo schema di una generica reazione di terminazione di catena che avviene attraverso
l’accoppiamento di due catene polimeriche in crescita è qui di seguito rappresentato:
Pn*+ Pm* ? P(n+m)
(2)
La terminazione può realizzarsi anche mediante un meccanismo di disproporzionamento che vede
la reazione di due molecole radicaliche in crescita con estrazione di un idrogeno e formazione di
due macromolecole secondo lo schema sotto riportato che si riferisce al caso di un polimero
vinilico:
6
In questo ultimo caso la polimerizzazione si conclude con la formazione di due catene diverse, una
terminata con un doppio legame ( CH=CHX ) e l’altra con il raggruppamento CH2-CH2X [5].
Le varie fasi della polimerizzazione a catena del polietilene, secondo un meccanismo radicalico (
l’iniziatore è di natura perossidica ), sono raffigurate nella figura 10 [6].
FIGURA 10: Schema della polimerizzazione radicalica del
polietilene.
Le fasi della reazione sono:
1 ) Iniziazione;
2 ) Propagazione;
3 ) Terminazione ( vedasi testo ) [6].
Il processo di iniziazione può essere indotto anche dall’azione di radiazioni elettromagnetiche ( luce
): reazione fotoiniziata.
< L’inizio fotochimica ( polimerizzazione fotoiniziata ) si può avere in diversi modi, che possono
comportare il trasferimento dell’energia raggiante assorbita da una molecola di una sostanza
appositamente aggiunta al sistema o presente in tracce come impurezze ( il fotosensibilizzatore ) ad
un’altra molecola con successiva formazione dei radicali primari, oppure una eccitazione diretta di
una molecola ( che può anche essere lo stesso monomero ) con formazione da questa dei radicali
per rottura dei legami. Radiazioni ultraviolette nel campo intorno ai 360nm provocano ad esempio
….la formazione di radicali anche a bassa temperatura da perossidi ed azocomposti > [5].
La reazione fotoiniziata è particolarmente indicata nel caso di applicazioni che prevedono che il
processo di polimerizzazione sia condotto a basse temperature ( ad esempio a RT ). Al contrario le
polimerizzazioni radicaliche iniziate per via termica richiedono temperature relativamente elevate.
7
Mediante opportune e mirate reazioni di copolimerizzazione è possibile produrre sistemi polimerici
acrilici con caratteristiche mirate alle più diverse applicazioni.
< La grande diffusione delle resine acriliche è dovuta sia alla loro versatilità che alle eccezionali
caratteristiche di resistenza agli agenti chimici, alle radiazioni e all’acqua……Tale inerzia chimica
è connessa sia con la stabilità della catena polimerica a base di legami C-C sia con la struttura
specifica acrilica o metacrilica. Spesso le resine acriliche contengono quantità variabili ( fino ad
un massimo del 25% ) di comonomeri contenenti funzioni reattive ( OH, COOH, etc. ) aventi lo
scopo sia di migliorare l’adesione sul substrato che di permettere di reticolare il film della vernice
dopo l’applicazione > [1].
Essenzialmente i polimeri acrilici vengono prodotti attraverso quattro diversi processi di sintesi:
i ) in massa;
ii ) in sospensione;
iii ) in emulsione;
iv ) in soluzione [3].
Le resine acriliche, a seconda delle loro caratteristiche, possono afferire a due grandi famiglie:
A) termoplastiche e B) termoindurenti.
A ) RESINE ACRILICHE TERMOPLASTICHE
Sono ottenute per polimerizzazione radicalica in soluzione ( in solventi aromatici, ad es. xileni, in
presenza di perossido di benzoile come catalizzatore ).
Di norma sono impiegate in soluzione; seccano all’aria per semplice evaporazione del solvente.
Tra i monomeri di più largo utilizzo rientrano il metacrilato di metile, l’acrilato di etile e il
metacrilato di etile [1].
Il peso molecolare varia, in genere, da 0,5 a 1x105. I polimeri a minore massa molecolare sono
meno resistenti all’invecchiamento ambientale, mentre quelli con massa molecolare maggiore, a
causa di una più elevata viscosità delle corrispondenti soluzioni, presentano difficoltà applicative
[1].
L’impiego delle resine acriliche di natura termoplastica, spesso, prevede l’utilizzo di solventi
costosi, nocivi per l’uomo e inquinanti per l’ambiente. Pertanto le procedure applicative devono
sottostare a rigorosi controlli e normative.
B ) RESINE ACRILICHE TERMOINDURENTI
Le resine acriliche termoindurenti, prima della reazione di reticolazione, rispetto alle resine
acriliche termoplastiche si caratterizzano per :
a ) un minore peso molecolare ( da 5 a 10x103 );
b ) la presenza di unità monomeriche contenenti gruppi funzionali reattivi capaci di indurre processi
di reticolazione [1,2,3].
Le resine acriliche termoindurenti, prodotte mediante processi di polimerizzazione radicalica in
soluzione; spesso usando solventi aromatici ( xileni ), possono essere suddivise in classi diverse a
8
seconda della natura chimica del gruppo funzionale che determina la reazione di reticolazione [1].
1 ) Resine acriliche a base ossidrilica
Si ottengono per copolimerizzazione a partire da monomeri idrossi-acrilici ( ad es.
CH2- C(OH)COOR ).
come agenti reticolanti si usano resine melamminiche oppure diisocianati ( OCN? R? NCO ).
La reazione di reticolazione avviene anche a temperatura ambiente [1].
2 ) Resine acriliche a base acrilammide
Si ricavano mediante copolimerizzazione di monomeri acrilici con acrilammide e successiva
reazione con formaldeide. Alternativamente possono essere ottenute facendo reagire monomeri
acrilici con metilol-acrilammide.
In presenza di un catalizzatore acido la reticolazione avviene a ca. 120°C per 30 minuti.
[1].
3 ) Resine acriliche a base epossidica
Sono ottenute per copolimerizzazione di meta/acrilati con metacrilatodiglicidile. La reazione di
reticolazione sfrutta la presenza di diammine [1].
4 ) Resine acriliche con funzione carbossilica
Si ricavano facendo reagire meta/acrilati con acido acrilico o metacrilico. La reazione di
reticolazione è indotta da resine epossidiche a base di bisfenolo A in presenza di sali di
tetraalchilammonio o ammine terziarie come catalizzatori [1].
5 ) Resine acriliche con funzioni amminiche
Vengono ottenute per copolimerizzazione tra monomeri acrilici e monomeri contenenti la funzione
–NH2. La reticolazione avviene in presenza di funzioni epossidiche [1].
Nel campo degli adesivi grande rilevanza rivestono i cianoacrilati ( CH2- C(C=N)COOR ).
I polimeri a base di cianoacrilati si ottengono per polimerizzazione in situ dei corrispondenti
monomeri in presenza di umidità [7].
< L’adesione ha luogo quando si crea un sottile strato di materiale tra le due superfici che devono
essere legate insieme. La presenza di tracce di materiali basici ( anche deboli come gli alcool o
l’acqua ) è sufficiente a catalizzare un processo di polimerizzazione anionica. L’adesione discende
in parte dalla creazione di un legame meccanico tra il polimero e le superfici interessate e in parte
dalla formazione di forze di legame secondario molto forti > [8
Come si evince dai dati della tabella 1 le proprietà dei polimeri acrilici dipendono fortemente dalla
struttura molecolare del monomero di partenza [7].
Attraverso la copolimerizzazione di due o più unità comonomeriche è possibile sintetizzare prodotti
con caratteristiche intermedie rispetto a quelle degli omopolimeri. Ad esempio i valori della
temperatura di transizione vetrosa ( Tg ) dei copolimeri P[EMA/MA] dipenderà dalla composizione
( rapporto ponderale o molare dei due componenti ).
9
In particolare la Tg aumenta al crescere del contenuto di EMA passando dal valore di 8°C, Tg
dell’omopolimero PMA ( 100% ), al valore di 65°C che corrisponde all’omopolimero PEMA (
100% ). In accordo con quanto scritto la Tg del copolimero P[EMA/MA] ( 70/30 ) è pari a 40°C.
TABELLA 1:
Proprietà di polimeri acrilici in funzione della struttura molecolare dell’unità
ripetitiva. In tabella sono riportati: la temperatura di transizione vetrosa Tg;
l’indice di rifrazione nd, a 20/25°C; il modulo di elasticità; la stabilità secondo la
classificazione di Feller ( A>100 anni, 100 anni > B >20 anni,
20 anni > C > 6 anni ) [7].
NOME
ABBREVI- Tg (°C)
AZIONE
nd
MODULO
STABILITA’
POLIMETIL
ACRILATO
POLIETIL
ACRILATO
POLI-n-BUTIL
ACRILATO
POLI-2-ETIL
ESILACRILATO
POLIMETIL
METACRILATO
POLIETIL
METACRILATO
POLI-n-BUTIL
METACRILATO
POLIMETIL
CIANOACRILATO
PMA
8
1,479
C
PEA
-22
1,464
C
PBA
-54
1,474
B
PEHA
-55
PMMA
105
1,489
PEMA
65
1,484
A
PnBMA
20
1,483
B
B
3000
A
165
10
Generalmente si verifica che i copolimeri, sintetizzati a partire da due unità comonomeriche, di tipo
statistico o random, danno luogo ad un sistema monofasico che presenta una unica temperatura di
transizione vetrosa il cui valore dipende dalla frazione in peso dei due comonomeri.
La dipendenza della Tg dalla composizione può essere analiticamente descritta attraverso le
equazioni di Flory-Fox e di Gordon-Taylor qui di seguito riportate [9, 10,11,]:
Flory-Fox
1/Tg = W1/Tg1 + W2/tg2
Gordon-Taylor
Tg = ( W1Tg1 + KW2Tg2 )/( W1 + KW2 )
(3)
(4)
Dove W1 e W2 sono le frazioni in peso dei due comonomeri, Tg1 e Tg2 le corrispondenti
temperature di transizione vetrose , K è un parametro collegato ai coefficienti di espansione termica
dei polimeri allo stato gommoso e vetroso.
B ) LE RESINE ACRILICHE NELLA CONSERVAZIONE DEL COSTRUITO E DEI
MANUFATTI LAPIDEI
Le resine acriliche sono usate in maniera estensiva, come consolidanti, adesivi e protettivi
superficiali, nel campo della conservazione dei manufatti lapidei di interesse storico/culturale.
< Applications of these synthetic polymer plastics include paint media, varnishes, stabilizers for
frescoes, murals and paintings, wood finishes, metal coatings, plaster and masonry consolidants,
waterproofing > [12].
I sistemi acrilici, usati nella conservazione dei manufatti lapidei, a seconda dello stato fisico e
chimico dei prodotti, all’atto dell’ impiego, possono essere suddivisi in tre diverse tipologie:
1 ) polimeri preformati in soluzione;
2 ) monomeri reattivi capaci di reagire in situ;
3 ) dispersioni ed emulsioni di polimeri preformati [7].
1 ) POLIMERI ACRILICI PREFORMATI IN SOLUZIONE
Formulazioni basate su soluzioni di polimeri/copolimeri acrilici sono state ampiamente impiegate
nella protezione superficiale di manufatti in pietra.
in generale la procedura prevede:
— la dissoluzione dei polimeri/copolimeri in idonei solventi;
— l’applicazione mediante opportune tecniche ( pennello, spray, spazzola ecc. ) sulla
superficie da trattare;
? l’evaporazione del solvente con formazione dello strato/film protettivo.
11
I sistemi acrilici, una volta depositatisi sul substrato si fanno apprezzare per le seguenti
caratteristiche:
i ) buona adesione;
ii ) idrorepellenza;
iii ) trasparenza;
iv ) assenza di colorazioni;
v ) solubilità e quindi reversibilità dei trattamenti [13].
La versatilità dei processi di polimerizzazione/copolimerizzazione,e il numero elevato di monomeri
acrilici a disposizione, permettono di ottimizzare la costituzione dei copolimeri per ottenere prodotti
finali con una struttura chimica desiderata e peso molecolare predefinito e quindi con caratteristiche
funzionali al particolare utilizzo.
I polimeri acrilici che hanno trovato impiego nei trattamenti superficiali della pietra sono.
— il poliacrilato di metile ( PMA );
— il polimetilmetacrilato ( PMMA );
— il polietilmetacrilato ( PEMA );
— il copolimero P[EMA/MA] ( Paraloid ) [13].
—
In commercio è possibile trovare formulazioni, a base di paraloid, diversi per:
-
la massa molecolare;
il rapporto ponderale dei due comonomeri;
la solubilità nei vari solventi;
la natura chimica del solvente;
la viscosità.
Tra i vari paraloid quello etichettato come Paraloid ( B72 ), con un rapporto molare tra i due
comonomeri pari a 70:30 e con una temperatura di transizione vetrosa di 40°C, prodotto dalla
Rohm&Haas, è quello che ha trovato più largo utilizzo nella protezione della pietra [7,10].
Recentemente la tecnica della risonanza magnetica nucleare per immagine, ha permesso di
visualizzare la distribuzione spaziale dell’acqua assorbita in pietre porose trattate con Paraloid B72
( vedasi figura 11 ).
Dall’esame delle immagini riportate nella figura 11 emerge come i campioni trattati con Paraloid
mostrano una maggiore idrorepellenza di quelli non trattati [14].
Gli studi effettuati hanno permesso di stabilire una stretta correlazione tra il segnale di risonanza
magnetica nucleare di immagine e la quantità di acqua assorbita per unità di volume, determinata
per via convenzionale ( vedasi figura 12 ) [14].
Il comportamento alla degradazione fotochimica del paraloid B72, del PMA, del PEMA, e del
PMMA è stato studiato da S. Bracci e M. J. Melo sottoponendo campioni dei vari polimeri
all’azione della luce naturale e delle radiazioni emesse da una lampada a xeno per tempi variabili.
I processi degradativi indotti e le modificazioni chimiche causate sono state determinate
analizzando i campioni irraggiati mediante la tecnica della cromatografia ad esclusione e la
spettroscopia IR [15].
Lo studio ha permesso agli Autori di ricavare le seguenti conclusioni:
? nessuno dei polimeri analizzati subisce fenomeni di colorazione dopo un invecchiamento
accelerato di 4000h o 60 mesi di invecchiamento naturale;
12
? solo nel caso del PMA si osserva perdita di peso;
? l’esposizione alle radiazioni determina nei campioni una riduzione del peso molecolare medio a
cui si accompagnano dei processi di modificazione chimica che comunque risultano essere meno
marcati nel caso del paraloid ( vedasi figure 13 e 14 ) [15].
FIGURA 11: Applicazione della tecnica di risonanza magnetica nucleare
per immagine alla definizione della distribuzione spaziale dell’acqua
assorbita in campioni pietra porosa:
a ) campioni non trattati;
b ) campioni trattati con Paraloid B72.
Le regioni in nero sono secche; quelle in grigio contengono acqua assorbita
[14].
FIGURA 12: Relazione tra il segnale di risonanza
magnetica nucleare per immagine e la quantità di
acqua assorbita da parte di un campione di pietra
porosa. In figura, D è la massa di acqua per unità di
volume [14].
13
Come si evince dai dati della tabella 2 il Paraloid B72 mostra una efficacia protettiva nei confronti
dell’umidità notevolmente maggiore di quella esplicata da altri polimeri acrilici.
I dati riportati nella tabella 2 si riferiscono a campioni di marmo dolomitico trattati con soluzioni di
polimeri diversi, essiccati e quindi sottoposti ad invecchiamento accelerato e naturale per tempi
crescenti [13].
L’impiego di polimeri acrilici preformati richiede, all’atto dell’applicazione, che la soluzione sia
molto diluita e questo non solo per permettere la penetrazione in profondità ma anche per evitare
che l’evaporazione del solvente possa determinare il riflusso del polimero sulla superficie della
pietra trattata [16].
TABELLA 2:
Efficacia nella protezione contro l’umidità, E(%), di polimeri acrilici di varia
natura nel caso di campioni di marmo dolomitico prima trattati con una soluzione
contenete i polimeri e quindi, dopo essiccamento, sottoposti ad invecchiamento
accelerato e naturale (solo per il Paraloid B72, (PB72) ) per tempi diversi [13].
INVECCHIA
MENTO
ACCELERATO
(T Irr., h)
0
500
1000
2000
2500
3000
4000
E(%)
PMA
E(%)
PEMA
E(%)
PMMA
E(%)
PB/72
94
67
45
5
-
95
90
82
63
7
0
-
93
50
25
7
-
93
93
92
88
80
60
35
INVECCHIA
MENTO
NATURALE
(T esposizione,
mesi)
0
6
12
30
42
60
E(%)
PB72
96
95
92
75
70
60
14
FIGURA 13: Cromatogrammi di esclusione di campioni di Paraloid
B72: -curva piena, campione tal quale; -curve sottili, campioni
sottoposti all’azione di lampada allo xeno ( (a) 500 h, (b) 1000 h )
[15].
FIGURA 14: Spettro FT-IR di campioni di Paraloid B72 prima e
dopo irraggiamento con lampada allo xeno [15].
15
2 )MONOMERI REATTIVI CAPACI DI REAGIRE IN SITU
La natura macromolecolare dei prodotti polimerici rappresenta la causa di molte delle
problematiche connesse al loro impiego come consolidanti/protettivi di strutture in pietra.
E’ ben noto infatti che l’ ingombro medio di una catena macromolecolare aumenta con la radice
quadrata del valore del peso molecolare.
Una macromolecola in soluzione presenta una conformazione a gomitolo statistico( random coil ) il
cui ingombro è proporzionale alla distanza quadratica media tra le due estremità ( <r2> ). La
relazione che lega <r2> ai parametri molecolari e strutturali della macromolecola è qui di seguito
riportata:
<r2>= a2 <r02>= a2 NI2 [(1 + cos?)/(1- cos?)]
[(1+ < cosf >)/ (1 - < cosf >)] (5)
Nella (5) N è il numero di legami con lunghezza I; ? è l’angolo supplementare all’angolo di legame;
a è un fattore di espansione che tiene conto delle perturbazioni derivanti dalle interazioni a long
range e < cosf > è il valore medio del coseno dell’angolo di rotazione interno [14].
Nel caso di una catena polietilenica: I=1,5 A°; cos? = 1/3 ( essendo l’angolo di legame tetraedrico )
e < cosf > = 0,22 ( assumendo che gli angoli di rotazione interna siano solo di tipo trans e gauche ),
la (5) si scrive:
<r2> = a2 6,97N
(6)
Per una catena di polietilene avente un peso molecolare relativamente basso ( MW= 28000 ) N è
uguale a 2000, pertanto la (6) diventa
<r2> = a214x103
(7)
In un buon solvente a assume il valore di ~1,5, quindi
<r2>= 30x103 A°
(8)
da cui si ricava che una macromolecola di polietilene a basso peso molecolare si caratterizza per un
ingombro che risulta essere dato dalla seguente relazione:
<r2>1/2 = 150 A°;
(9)
Da quando sopra è possibile concludere che una macromolecola in soluzione, in genere, presenta un
ingombro medio che non le permette di penetrare all’interno dei pori di un sistema lapideo aventi
una dimensione < 20 A° ( vedasi figura 15 ) [17].
Per ovviare all’inconveniente di cui sopra è stata sviluppata la tecnica della polimerizzazione in situ
la quale è basata sulle seguenti operazioni:
16
1 ) trattamento dei manufatti lapidei con monomeri acrilici liquidi oppure in
soluzione con l’aggiunta di un idoneo catalizzatore;
2 ) penetrazione dei monomeri in profondità (queste sostanze per il loro basso peso e
ingombro molecolare hanno la capacità di penetrare più facilmente dei polimeri preformati
all’interno della pietra anche all’interno dei micropori);
3 ) iniziazione e polimerizzazione radicalica dei monomeri all’interno dei pori;
4 ) allontanamento dalla superficie del monomero/solvente in eccesso ( vedasi schema in
figura16 ).
FIGURA 15: Rappresentazione schematica attraverso cui viene
mostrata come una macromolecola in soluzione presenta un
ingombro medio tale da non permetterle di penetrare all’interno
di micropori con dimensioni inferiori a 20 A° [17].
La metodologia della polimerizzazione in situ è stata applicata fin dagli anni 1960s per il
consolidamento di manufatti in pietra naturale e artificiale. Come monomeri reattivi venivano
impiegati il metil metacrilato ( MMA ), il n-butil metacrilato (nBMA ) e l’etileneglicoledimetil
acrilato [7].
Il metilmetacrilato può essere convenientemente trasformato in polimetilmetacrilato riscaldandolo
in presenza di un iniziatore, per effetto di radiazioni gamma e, a temperatura ambiente, in presenza
di una appropriata combinazione di promotori e iniziatori.
17
PIETRA
NON TRATTATA
ASSORBIMENTO
MONOMERO
REATTIVO
POLIMERIZZAZIONE
RADICALICA IN SITU
PIETRA
IMPREGNATA
CON MONOMERO
PIETRA
CONSOLIDATA
CON POLIMERO
FIGURA 16: Le varie fasi di consolidamento di un
manufatto lapideo attraverso il processo basato
sulla metodica della polimerizzazione radicalica in situ.
18
< For thermal polymerisation, the chemical initiator ( catalyst ) 2,2’-azobis(isobutyronitrile) has
been found to be effective. Heating blankets could be used to polymerise thermally
methylmethacrylate or other monomers applied to stone structure. Polymerisation by radiation
must be usually carried out in special chambers because of the radiation hazards. Chemical
promoters convert initiators into free radicals at ambient temperatures, and the free radicals
induce the polymerisation of methylmethacrylate > [16].
Qui di seguito sono descritte alcune recenti metodiche, riportate in letteratura, concernenti
trattamenti di consolidamento in situ di materiali in pietra con monomeri acrilici di varia natura.
? S. Vicini et Al., hanno applicato la tecnica della polimerizzazione in situ su campioni di
pietra Finale leggera ( una pietra calcarea sedimentaria di origine biogenetica caratterizzata da una
alta porosità ) utilizzando una miscela di due monomeri acrilici: l’etilmetacrilato (EMA) e il
metilacrilato (MA). La composizione usata ( 67% EMA; 33% MA ) si avvicina a quella del
Paraloid B72 [17].
La procedura seguita ha visto le seguenti fasi:
– assorbimento della miscela dei due monomeri, disciolti in acetone, per capillarità ( i
campioni di pietra, 5x5x2cm, sono disposti su di uno strato di cotone imbevuto della
soluzione contenente oltre alla miscela dei due monomeri anche il catalizzatore, il 2,2’azobisisobutirronitrile ( AIBN ), tempo di assorbimento pari a 4 ore );
– polimerizzazione in situ dei due comonomeri a 50°C per 24 ore;
– eliminazione del solvente e dei monomeri in eccesso e essiccazione [17].
Al fine di valutare l’effetto consolidante e protettivo sui campioni trattati sono state eseguite le
seguenti determinazioni:
a ) profondità di penetrazione all’interno dei campioni di pietra;
b ) assorbimento di acqua per capillarità e per immersione completa;
c ) permeabilità al vapore d’acqua;
d ) angolo di contato.
Il comportamento dei campioni consolidati attraverso la tecnica della polimerizzazione in situ è
stato confrontato con quello di campioni non trattati e con quello di campioni trattati con una
formulazione a base di Paraloid B72 (una soluzione di polimero, 3% wt/vol., in acetone è stata
spennellata sulle varie facce dei campioni di pietra; l’operazione è stata ripetuta per 6 volte ).
Alcuni dei risultati sono evidenziati attraverso i dati riportati nella tabella 3 e nelle figure 17 e 18.
Dagli studi condotti da S. Vicini et Al. è stato possibile evidenziare che:
~ la miscela di unità comonomeriche è capace di penetrare fino ad una profondità di 9cm,
contro i 2,5cm osservati nel caso del Paraloid;
~ i campioni trattati con la tecnica della polimerizzazione radicalica in situ ( vedasi curve in
figura 17 ) a parità di tempo assorbono una quantità di acqua, per capillarità e per immersione
completa, sensibilmente inferiore di quella relativa ai campioni non trattati e a quelli trattati con
Paraloid;
~ la permeabilità al vapore d’acqua viene ridotta, a seguito del trattamento con la miscela di
monomeri acrilici e successiva polimerizzazione in situ, a valori accettabili per garantire un
sufficiente grado di traspirazione [17].
19
Da tutto quanto sopra riportato gli Autori concludono:
<…., .it has been proved that the protective properties of the in situ polymerised copolymer are
nearly always superior to the ones of the commercial copolymer. This means that there is a better
pore filling increasing the resistance to water penetration even if leaving a good permeability to
vapour. It is obvious that some synthetic parameters must still be optimised, specifically it will be
necessary to reduce the polymerisation temperature to 25-30°C and verify, under this conditions,
the initiator behaviour that should guarantee a sufficiently brief polymerisation time and relatively
low molecular weights > [17].
TABELLA 3: Valori del coefficiente di assorbimento
di acqua per capillarità ( CA ) e per immersione
completa(CI ), della permeabilità al vapore di acqua (
PWV ) e dell’angolo di contatto( Ac ) di campioni di
pietra Finale tal quali, trattati con una formulazione a
base di Paraloid e consolidati attraverso una
polimerizzazione in situ a partire da una miscela di
monomeri acrilici ( EMA/MA ) ( 67/33 ) [17].
CAMPIONI
CA
( mg/cm2t1/2 )
Pietra non trattata
0,39
Pietra trattata con
0,12
Paraloid
Pietra trattata
0,05
mediante
polimerizzazione
in situ
CI (%)
2,2
1,7
PWV
(g/m2)
60-100
-
Ac
(°)
0
100
0,5
20
90
? L’efficacia di una procedura di polimerizzazione in situ nel consolidamento della pietra,
basata essenzialmente sull’impiego di una miscela di monomeri acrilici quali il butilmetacrilato (
BMA ) e l’etilacrilato ( EA ), è stata indagata da S. Vicini et Al. [18].
I due comonomeri sono stati scelti al fine di realizzare un copolimero con una Tg inferiore alla RT
assumendo che un polimero abbia una migliore attitudine ad agire da consolidante se alla
temperatura di servizio si trova in uno stato gommoso.
Infatti è ben noto che una delle problematiche connesse all’impiego del Paraloid B72, costituito da
un copolimero ( EMA/MA ) ( 70/30 ), deriva dal fatto che la sua Tg, è pari a 41°C, pertanto alla
temperatura di servizio questo prodotto presenta un comportamento vetroso che si caratterizza per
una elevata rigidità e fragilità.
20
a)
FIGURA 17-a): Curve di assorbimento di acqua per
capillarità di campioni di pietra Finale .
b)
FIGURA 17-b ): Curve di assorbimento di acqua per
immersione completa di campioni di pietra Finale.
? campioni non trattati;
o trattati con Paraloid;
? trattati con una miscela di monomeri acrilici
( EMA/MA ) polimerizzati in situ [17].
21
La Tg del polibutilmetacrilato e del polietilacrilato è rispettivamente uguale a 20 e a –20°C;
pertanto è possibile, scegliendo una opportuna composizione, realizzare un copolimero con una Tg
< RT.
Al fine di migliorare la resistenza alla degradazione ambientale indotta dalle radiazioni solari i due
monomeri acrilici, BMA/EA, prima della reazione di polimerizzazione in situ, sono stati miscelati
con un copolimero fluorurato preformato ( Tecnoflon TN, vinilidenefluoruro / esafluoropropilene/
tetrafluoroetilene ( 64/19/17% ) avente una Tg di –14°C ) oppure con un altro monomero, il 2,2,2trifluoroetilmetacrilato ( TFEMA ) [18].
In particolare lo studio ha visto la preparazione e la caratterizzazione di campioni di pietra Finale (
5x5x2cm ) sottoposti ai seguenti trattamenti:
Campioni (A): di riferimento non trattati;
Campioni (B): prima impregnati con una soluzione acetonica contenente una miscela di BMA/EA e
l’iniziatore (AIBN) e successivamente portati a 30°C per 96h al fine di permettere la
polimerizzazione in situ dei monomeri acrilici;
Campioni (C): previamente impregnati con una soluzione acetonica contenente una miscela
costituita dalla coppia dei monomeri BMA e EA, dal 2%wt di polimero preformato Tecnoflon TN e
dall’iniziatore AIBN e quindi condizionati a 30°C per 96h per fare avvenire la polimerizzazione
radicalica dei monomeri acrilici;
Campioni (D): trattati con una soluzione acetonica contenente la miscela di comonomeri
BMA/EA/TFEMA e l’iniziatore AIBN e successivamente tenuti per 96h a 30°C affinché si
realizzasse la reazione di copolimerizzazione radicalica dei tre comonomeri;
Campioni (E): impregnati direttamente con una soluzione a base del copolimero preformato
P(BMA/EA).
Prove di invecchiamento accelerato sono state eseguite su film di copolimeri preformati BMA/EA (
70/30 wt% ) e BMA/EA/TFEMA ( 61/28/11 wt% ) allo scopo di indagare l’effetto della presenza di
unità comonomeriche fluorurate sul comportamento alla fotoossidazione.
Dall’andamento delle curve di size-exclusion chromatography ( SEC ), riportate in figura 18, e dagli
spettrogrammi FT-IR si ricava che:
< Throughout the whole irradiation process the apparent weight losses of the two copolymers were
limited to less than 10%, whereas the amount of insoluble polymer became very large. Such
crosslinked structures grew rapidly in both copolymers after an induction time of less than 200h up
to about 90% at the final time of treatment > [18].
L’allargamento della curva di SEC verso tempi di ritenzione minori indica che il processo di
degradazione che si verifica a partire dalle prime fasi produce, attraverso reazioni di accoppiamento
e di ramificazione, molecole con più elevata massa molecolare.
I risultati dello studio riportato nel riferimento [18], facendo riferimento alla tabella 4, sono qui di
seguito riassunti.
i ) Dai test di abrasione emerge che la perdita di peso dei campioni consolidati con procedure che
prevedono la polimerizzazione in situ dei comonomeri acrilici risulta essere minore di quella
osservata nel caso di campioni trattati con il copolimero preformato BMA/EA.
22
FIGURA 18: Curve di Size exclusion Chromatography
di campioni di film di copolimeri BMA/EA sottoposti ad
irraggiamento ( lampada allo xeno ) per tempi diversi.
Curva solida- campioni non irradiati;
Curva tratteggiata- 100h:
Curva tratteggiata-punteggiata- 200h
Curva punteggiata- 500h [18].
Le curve che si riferiscono a trattamenti con formulazioni contenenti TN e TFEMA praticamente si
sovrimpongono a quelle relative a campioni consolidati solo con la miscela di monomeri acrilici.
ii ) Nei confronti dell’assorbimento di acqua per capillarità il migliore comportamento è mostrato
dai campioni trattati con formulazioni contenenti oltre che i monomeri BMA e EA anche il
polimero preformato TN oppure il monomero TFEMA ( vedasi i dati in tabella 4 ).
iii ) I dati relativi alla permeabilità al vapore d’acqua mostrano che la riduzione osservata nei
campioni trattati con formulazioni che prevedono una polimerizzazione in situ ( va dal 33 al 50%,
inferiore a quella di campioni trattati con il copolimero preformato ( 57% ) ) rimane in limiti
accettabili [18].
? Recentemente N. Proietti et Al. [19] hanno applicato la tecnica della risonanza magnetica
nucleare unilaterale ( NMR ) e quella della risonanza magnetica nucleare per immagine ( MRI ) per
determinare il contenuto di acqua e la distribuzione dei pori nel caso di campioni di pietra Finale (
5x5x2cm ) sottoposti a varie tipologie di trattamenti.
Campioni (A): di riferimento non trattati;
23
TABELLA 4: Coefficiente di assorbimento di acqua per
capillarità (CA), efficacia nella protezione all’acqua (EP),
permeabilità al vapore d’acqua (PWV), riduzione della
permeabilità al vapore d’acqua (RP), e angolo di contatto
(Ac) (a°) per campioni di pietra Finale sottoposti a varie
procedure di consolidamento ( vedasi prima colonna e
testo ) [18].
CA
EP PWV RP Ac
CAMPIONI DI
(g/cm2t1/2) (%) (gm2 (%) (a°)
PIETRA
FINALE
24h)
NON
15,4
30
TRATTATO
BMA/EA (75/25)
2,0
86 20 33 86
Copolimerizzati in
situ
BMA/EA
(75/25 +2wt%
TECNOFLON)
polimerizzati in
situ
BMA/EA/TFEMA
(73/24,5/2,5)
Polimerizzati in
situ
1,1
93
15
50
93
1,1
93
17
43
95
COPOLIMERO
PREFORMATO
BMA/EA (75/25)
8,8
44
13
57
93
Campioni (B): prima impregnati con una soluzione acetonica ( 20% vol/vol ) contenente una
miscela di BMA/EA e l’iniziatore (AIBN) e successivamente portati a 50°C per 24h al fine di
permettere la polimerizzazione in situ dei monomeri acrilici;
Campioni (C): condizionati con una formulazione costituita da acetone ( solvente ), dal monomero
acrilico, l’1,6-esandiolo diacrilato ( HDDA ) e l’AIBN e quindi tenuti a 50°C per 24h per lasciare
avvenire la polimerizzazione in situ;
Campioni (D): prima trattati come i campioni (C) con la differenza che la polimerizzazione in situ
viene realizzata attraverso la procedura “frontale” la quale consiste nel mettere a contatto con una
piastra tenuta a 200°C solo una delle facce del campione impregnato con la soluzione contenente
l’HDDA.
24
Campioni (E): impregnati con una formulazione a base del copolimero preformato, il Paraloid B72.
Circa le potenzialità della tecnica di risonanza magnetica nucleare unilaterale nella diagnostica
applicata alla conservazione dei beni culturali N. Proietti et Al. hanno scritto:
< …. we used unilateral NMR, an innovative non destructive NMR technique, able to characterize
not only the water content in porous materials, but also its relaxation values, strictly connected to
pore size distribution….
The main advantage of unilateral NMR is that being non invasive and fully portable it can be
performed directly on large objects such as monuments, churches and in general any building.
Many analytical traditional techniques, such as all kind of porosimetry or gravimetric methods and
also NMR, both imaging and relaxometry, allow to evaluate the amount of water absorbed in
porous materials. All these methods however require sampling. Sampling can be avoided using an
unilateral NMR instrument…..
In this paper the results obtained with unilateral NMR are compared with the corresponding ones
obtained by Magnetic Resonance Imaging (MRI), a powerful technique providing an excellent tool
to visualize the presence of mobile species in any material > [19].
Dagli studi condotti, N. Proietti et Al., hanno potuto mettere in evidenza che:
1 ) L’intensità del segnale di risonanza magnetica nucleare unilaterale (NMR) risulta essere molto
debole nel caso di campioni secchi di pietra Finale tal quali e in quelli trattati con paraloid B72, al
contrario in quelli trattati con polimerizzazione in situ o frontale il segnale, dovuto alla presenza di
polimero nei pori, è molto intenso.
2 )I campioni umidi non trattati e quelli impregnati con paraloid B72 presentano un segnale, dovuto
essenzialmente alla presenza di acqua nei pori, molto intenso a dimostrazione del fatto che questo
ultimo trattamento è poco efficace nei confronti dell’assorbimento dell’acqua.
3 ) L’intensità del segnale, di cui sopra, risulta essere molto ridotto nel caso di campioni trattati con
la metodologia della polimerizzazione in situ e frontale e che successivamente hanno assorbito
acqua. Questa ultima osservazione, avvalorata da determinazioni del coefficiente di assorbimento di
acqua per capillarità, indica che questi trattamenti inducono una idrorepellenza ai campioni di pietra
Finale.
Da quanto sopra emerge in definitiva che la tecnica della risonanza magnetica nucleare unilaterale è
< an inexpensive and simple technique for the non invasive observation of the water uptake in
porous materials and that it can be used for measurements “in situ” on monuments and buildings
and, in general, on items belonging to the Cultural Heritage > [19].
Inoltre è stato possibile concludere che i trattamenti con monomeri acrilici che prevedono una
reazione di polimerizzazione in situ che fa seguito al processo di impregnazione e di penetrazione
della formulazione all’interno del manufatto lapideo mostrano una efficacia protettiva nei confronti
di alcuni fattori di degradazione che risulta essere, relativamente ai campioni di pietra studiati e
nelle condizioni di sperimentazione investigate, superiore a quella di trattamenti basati sull’impiego
di soluzioni di analoghi polimeri acrilici preformati.
La versatilità del metodo della polimerizzazione in situ permette di modificare la composizione
della miscela reagente polimerizzando in situ copolimeri con una Tg prefissata e con un contenuto
di unità fluorurate mirate a migliorare la repellenza all’acqua [18].
25
In particolare è stato osservato come l’impiego di copolimeri con Tg < RT e quindi alla temperatura
di servizio in uno stato viscoso-elastico e gommoso, favorisca l’adesione e la resistenza meccanica
delle pietre trattate.[18].
Dal punto di vista applicativo la tecnica della polimerizzazione in situ e quella frontale possono
essere utilmente impiegate nel trattamento di oggetti con relativamente piccole dimensioni e di
superfici limitate di monumenti ed edifici.
Il trattamento di pietre porose e del calcestruzzo con la tecnica della polimerizzazione radicalica in
situ risulta essere efficace solo se la formulazione usata ha la capacità di penetrare in profondità.
Quando questo si verifica allora è stato possibile constatare che il trattamento può indurre, tra
l’altro, sostanziali e durevoli miglioramenti alle caratteristiche meccaniche di materiali lapidei
porosi.
Nel caso di consolidamento in situ di manufatti in pietra naturale o in calcestruzzo con monomeri i
cui corrispondenti polimeri hanno una Tg > RT ( ad es. il metilmetacrilato ) dall’andamento delle
curve sforzo-deformazione si ricava che il sistema nel suo insieme ha un comportamento fragile
[20].
3 ) DISPERSIONI DI POLIMERI ACRILICI PREFORMATI
Alcuni polimeri acrilici sono applicati allo stato di dispersione ( emulsione ).
< Una dispersione è un sistema (stabile o instabile) costituito da più fasi (di solito due) in cui la
prevalente è detta disperdente e le altre disperse. Caratteristica delle dispersioni è che le varie fasi
sono eterogenee e che le fasi disperse hanno dimensioni superiori alle grandezze colloidali
(diametro > 1 µm). Se la fase disperdente è liquida si possono avere schiume quando la fase
dispersa è gassosa, emulsioni quando è liquida e sospensioni quando è solida. Se la fase
disperdente è gassosa, si parla di nebbia quando la fase dispersa è liquida e di fumo se è solida >
[21].
In genere il termine dispersione polimerica indica un sistema a due fasi costituito da un insieme di
particelle di natura polimerica, idrofobe, di forma sferoidale, con diametro nell’ordine dei micron [
fase dispersa ( polimero ) ], disperse in un mezzo acquoso [ fase disperdente acqua ].
Nell’uso comune le dispersioni polimeriche vengono chiamate anche emulsioni o lattici.
< ….caratteristica che è alla base della maggior parte delle applicazioni tecnologiche dei lattici,
dovuta alla natura polimerica delle particelle disperse, è che essi, salvo rari casi, danno luogo ad
una pellicola continua e coerente dopo l’applicazione e l’evaporazione del mezzo acquoso…..
…I lattici sono classificabili secondo la natura chimica dei monomeri che compongono la fase
dispersa, oppure secondo le proprietà fisiche ( diametro delle particelle, natura viscoelastica del
polimero in dispersione ), o il tipo di tensioattivo ( anionico, cationico, non ionico ) o di colloide
protettore, o per campi di impiego ( adesivi, pitture, patinatura della carta, etc. ) > [22].
Il meccanismo di formazione di film da una dispersione polimerica viene così descritto nel
riferimento [7]:
< An emulsion sets to a film, first by loss of the dispersant, usually water, and then by coalescence
of the small particles. In order for this to happen the particles must be soft enough to flow into one
another > [7].
26
Le dispersioni di polimeri acrilici, definite di sintesi se vengono ottenute direttamente mediante la
tecnica di polimerizzazione dei monomeri in emulsione, cominciarono a trovare applicazioni
significative in vari settori di impiego a partire dagli anni 1950s. .
La metodica della sintesi dei polimeri in emulsione è basata sulle seguenti operazioni.
1 ) Formazione della Emulsione: Monomero/ Acqua. Il monomero liquido è versato lentamente in
un recipiente contenente acqua. Il sistema viene sottoposto ad agitazione in presenza di agenti
emulsionanti ( tensioattivi che hanno la funzione di stabilizzare le micelle di monomero in
emulsione e impedire il processo di coalescenza ) fino alla formazione di una fase dispersa
costituita da minuscole particelle di monomero.
2 ) Polimerizzazione e Formazione della Dispersione: Polimero/Acqua. Alla emulsione
monomero/acqua viene aggiunto il catalizzatore per fare partire la reazione di polimerizzazione che
procede, separatamente, in ogni singola particella.
Il processo conduce all’ottenimento di una emulsione di particelle di polimero disperse in acqua
3 ) Agglomerazione delle Particelle Viene eseguita quando si desidera aumentare la dimensione
media delle particelle disperse [22].
Le dimensioni delle particelle di un polimero in emulsione determinano la viscosità, il
comportamento reologico, la stabilità e la capacità di penetrazione in supporti porosi della stessa
dispersione.
Va sottolineato il fatto che generalmente nelle dispersioni di polimero le micelle non hanno la stessa
dimensione ma presentano una distribuzione statistica dei diametri: lattici polidispersi.
Dispersioni polimeriche a partire da polimeri preformati, definite artificiali, sono ottenute mediante
emulsionamento di soluzioni oppure attraverso tecniche basate sul principio dell’inversione di fase
e dell’auto-emulsionamento [22].
La possibilità di avere a disposizione una vasta gamma di monomeri la cui polimerizzazione porta
all’ottenimento di polimeri aventi valori della temperatura di transizione vetrosa e caratteristiche
variabili in un ampio intervallo consente di sintetizzare polimeri in dispersione con proprietà mirate
alle singole applicazioni.
Le dispersione acriliche in commercio ( nella gran parte dei casi, copolimeri di due o più monomeri
) si caratterizzano per:
? una distribuzione molto fine delle dimensioni delle particelle;
? un grande potere legante;
? caratteristiche chimico fisiche eccellenti.
I film derivanti dalle dispersioni acriliche mostrano:
? una elevata resistenza agli UV;
? una elevata capacità di idrorepellenza;
? buna resistenza all'idrolisi.
Le proprietà di alcune delle più comuni dispersioni di polimeri acrilici in acqua, usate nel campo
della conservazione di materiali diversi sono elencate nella tabella 5 [7].
La dispersione acrilica commercializzata dalla Rohm & Haas come Primal AC33 [ un copolimero
acrilico costituito essenzialmente da etilacrilato ( EA ) e metilmetacrilato ( MMA )], vedasi tabella
5, ha trovato applicazione come consolidante nel restauro di antiche costruzioni in muratura, di
27
pietre delaminate e di malte.
Intorno ai primi anni 1990s, avendo la Rohm & Haas cessata la produzione del Primal AC33, sono
apparse in commercio dei prodotti similari commercializzati da case diverse.
Recentemente alcune di queste dispersioni acriliche sono state caratterizzate dal punto di vista
chimico fisico e le loro proprietà sono state messe a confronto con quelle del Primal AC33 ( vedasi
lavori citati nei riferimenti [23,24 e 25] ).
Le dispersioni studiate nei sopra citati lavori sono le seguenti:
• PRIMAL AC33: vedasi tabella 5.
•PRIMAL B60A: un copolimero etilacrilato/metilmetacrilato prodotto dalla Rohm & Haas e
commercializzato dalla Phase ( Firenze, Italia ) [ viscosità ( a 25°C ) = 1125 (mPa.s); pH = 9,6;
contenuto secco ( 130°C-1h ) = 47 (% wt/wt) ].
•ACRILEM IC15: un copolimero etilacrilato/metimetacrilato commercializzato dalla
Bresciani ( Milano, Italia ) [ viscosità ( a 25°C ) = 440 (mPa.s); pH = 9,6; contenuto secco ( 130°C1h ) = 41 (% wt/wt) ]..
•ACRILEM IC79: un copolimero etilacrilato/metilmetacrilato prodotto e commercializzato
dalla ICAP-SIRA ( Parabiago, Milano, Italia ) [ viscosità ( a 25°C ) = 3400 (mPa.s); pH = 9,6;
contenuto secco ( 130°C-1h ) = 45 (% wt/wt) ].
•ACRILEM IC79A: un copolimero etilacrilato/metilmetacrilato prodotto e commercializzato
dalla ICAP-SIRA [ viscosità ( a 25°C ) = 115 (mPa.s); pH = 4,2, contenuto secco ( 130°C-1h ) = 46
(% wt/wt) ].
Sui film sottili, ottenuti per casting dalle corrispondenti dispersioni, è stata determinata la
resistenza:
—
—
—
—
—
all’acqua;
ai solventi;
alla foto-ossidazione;
alla termo-ossidazione;
alle deformazioni meccaniche in trazione [23].
La resistenza all’acqua e ai solventi è stata valutata determinando la % di rigonfiamento [ (SW %) ]
utilizzando la relazione:
(SW %) = 100 ( Ws-W0 )/Wo
(10)
Dove W0 e Ws sono rispettivamente il peso del campione di film prima e dopo l’immersione in
acqua/solvente per un periodo di tempo prefissato.
Le prove sono state effettuate sui campioni di film così come ottenuti dal casting e su quelli
sottoposti ad invecchiamento accelerato artificiale in una camera solar-box con lampada allo xeno.
I risultati sono mostrati nelle tabelle 6 e 7 [23].
La resistenza all’acqua e ai solventi fornisce, rispettivamente, una misura della stabilità ambientale
dei film e una indicazione circa la reversibilità dei trattamenti di restauro.
Un film ha un comportamento ottimale nel campo del restauro conservativo ( elevata durabilità
ambientale e reversibilità ) se presenta bassi valori della SW% all’acqua ( valori negativi di SW%
28
indicano una parziale dissoluzione del film ) e alti valori di SW% ai solventi.
Dai dati delle tabelle 6 e 7 si ricava che:
TABELLA 5: Proprietà [ pH, dimensione media delle
particelle ( D ), contenuto secco ( CS ), viscosità ( V ),
temperatura di transizione vetrosa dei film ( Tg ) ] di
dispersioni acriliche commerciali [7].
PRODOTTO
PrimalAC33
PrimalAC61
PrimalAC73
PrimalAC634
PrimalN560
PrimalWS24
PrimalWS50
Texicryl13002
PlextolB500
PlextolD360
COMPO- pH
SIZIONE
EA(60)/
9,2
MMA(40)/
EMA(?)
9,8
D
(µm)
0,1
CS V
Tg
(%) (Pa.s) (°C)
46
6
16
0,1
46
O,06
16
9,5
0,1
46
025
32
MMA(65)/ 9,8
EA(35)
0,1
46
1,2
7
BA(?)
8
0,1
55
0,100,13
7
0,03
36
39
38
36
7,1
EA(65)/
9,2
MMA(35)/
EMA(?)
EA(60)/
9,5
MMA(40)/
EMA(?)
7,5
0,25
55
0,75
~-40
0,10,2
50
1,14,5
<29
0,3
60
1-3
<-8
? la resistenza all’acqua, a parità di tempo, diminuisce fortemente nei campioni invecchiati e in
corrispondenza di condizioni alcaline e acide;
? i campioni invecchiati sono completamente solubili in acetone e parzialmente solubili in
tricloroetilene e cloroformio.
Questo ultimo risultato porta alla conclusione che gli eventuali trattamenti conservativi effettuati
con le dispersioni in esame sarebbero caratterizzati da una buona reversibilità.
29
TABELLA 6: Resistenza all’acqua determinata dal valore del rigonfiamento (%),
attraverso la relazione (10), di campioni di film ottenuti per casting dalle dispersione
acquose di copolimeri acrilici diversi.
Le prove si riferiscono a campioni tal quali (Unaged-UN ) e a campioni
invecchiati artificialmente ( Aged-AG, 400h in camera solar box con lampada allo
xeno ) immersi in acqua per un tempo (T) di 6 e 24 h e in corrispondenza di un pH di
7, 2,5 e 12,5 [23].
Campione
T
Primal
Primal
Acrilem Acrilem Acrilem
(h) AC33
B-60A
IC15
IC79
IC79A
pH=7, UN
6
6,8
13,5
11,4
9,3
11,1
24 21,5
90.0
21,0
67,3
22,7
pH=7, AG
6
25,5
31,8
18,6
90,8
20,9
24 63,3
100
48,2
113,8
29,4
PH=2,5,UN 6
9,3
8,7
13,9
6,1
30,3
24 62,3
27,5
17,2
13,4
45,8
PH=2,5,AG 6
120,3
63,6
18,3
268,0
213,0
24 124,1
114,5
51,7
420,0
214,8
PH=12,5,UN 6
15,6
7,5
7,7
13,1
16,5
24 33,3
35,5
23,2
15,2
35,0
PH=12,5,AG 6
-15,0
-49,2
7,7
-72,8
-57,7
24 -35,3
-49,2
8,7
-74,3
-59,1
TABELLA 7: Resistenza ai solventi determinata dal valore del rigonfiamento (%),
attraverso la relazione (10), di film ottenuti per casting dalle dispersione acquose di
copolimeri acrilici di varia natura.
Le prove si riferiscono a campioni tal quali (Unaged-UN ) e a campioni invecchiati
artificialmente ( Aged-AG per 400h in solar box con lampada allo xeno ) immersi in
vari solventi per un 1h.
Nella tabella: Sol=completamente solubile; Parz.sol.= parzialmente solubile [23].
Campioni
UN
AG
solvente
Primal
AC33
Etanolo
52,4
Acetone
Sol.
tricloroetilene Sol.
Cloroformio
Sol.
Etanolo
Parz.sol.
Acetone
Sol.
Tricloroetilene Parz.sol.
cloroformio
Parz.sol.
Primal
B-60A
34,3
Sol.
Sol.
Sol.
10,3
Sol.
Parz.sol.
Parz.sol.
Acrilem
IC15
58,4
Sol.
Sol.
Sol.
Parz.sol.
Sol.
Parz.sol.
Parz.sol.
Acrilem
IC79
80,7
Sol.
Sol.
Sol.
Parz.sol.
Sol.
Parz.sol.
Parz.sol.
Acrilem
IC79A
73,2
Sol.
Sol.
Sol.
Parz.sol.
Sol.
Parz.sol.
Parz.sol.
30
I film, ottenuti per casting dalle dispersioni sopra elencate, dopo essere stati sottoposti a prove di
invecchiamento artificiale in una camera solar box con lampada allo xeno sono stati caratterizzati
anche mediante spettroscopia FTIR, calorimetria differenziale in scansione ( DSC ),
termogravimetria ( TGA ), prove di deformazione meccanica in trazione e determinazione
dell’indice di ingiallimento.
Alcuni dei risultati più significativi sono sotto riportati.
I ) Analisi-FTIR
L’esposizione alle radiazioni elettromagnetiche ( fino a 250h ) provoca nei campioni di film
profonde modificazioni strutturali, evidenziabili attraverso l’allargamento del picco a 1731cm-1 (
C=O, estere ) e la comparsa di nuove bande di assorbimento a 1780 e 1665cm-1 ( vedasi figura 19 )
[23, 24].
FIGURA 19: Spettrogrammi FTIR di film ottenuti per casting dalle
dispersioni di polimeri acrilici diversi.
A) Primal AC33 tal quale; B) Acrilem IC79, ( invecchiato per 250h,
lampada allo xeno ); C) Primal AC33 ( invecchiato per 250h, lampada
allo xeno ); D) Primal B60A ( invecchiato per 250h, lampada allo
xeno ) [24].
31
Il rapporto ( R ) tra le intensità delle bande di assorbimento a 1780 e 1731cm-1 rappresenta un indice
del grado delle modificazioni chimiche indotte dai processi di degradazione foto-ossidativa ai film
di polimero.
Come si evince dai dati in tabella 8, R aumenta per tutti i campioni esaminati con il crescere del
tempo di esposizione. In particolare è possibile osservare come i film di Primal B60A mostrano una
maggiore tendenza alla degradazione mentre quelli di Acrilem IC15 sembrano essere i più stabili
[23].
TABELLA 8: Valore del rapporto ( R ) tra le intensità dei
picchi FTIR a 1780 e 1731cm-1 nel caso di film ottenuti
per casting dalle dispersioni di polimeri acrilici diversi in
funzione del tempo di esposizione alla lampada allo xeno
[23].
T (h) Primal
AC33
0
0,0
50
1,0
100 7,1
150 10,3
250 25,8
Primal
B60A
0,0
5,0
21,5
26,9
37,8
Acrilem
IC15
0,0
1,3
8,1
14,2
16,7
Acrilem
IC79A
0,0
2,1
9,4
15,7
32,3
Acrilem
IC79
0,0
3,1
13,6
21,2
34,o
II ) Analisi termica differenziale in scansione ( DSC )
Dai termogrammi DSC è stato possibile determinare i valori della temperatura di transizione vetrosa
Tg dei film prima e dopo il processo di invecchiamento
Questa analisi ha portato alla conclusione che solo nel caso dei film di Primal B-60 A si è registrato
un sensibile aumento nei valori della Tg ( Tg = 17°C - campioni tal quali; Tg = 27°C- campioni
invecchiati per 400h in solar box ) essenzialmente dovuto a fenomeni di parziale reticolazione.
III ) Analisi termogravimetrica ( TGA )
Dall’andamento delle curve termogravimetriche di TGA [ % in peso di materiale residuo in
funzione della temperatura; ( intervallo 40-600°C, velocità di riscaldamento 5, 10, 20 e 40°C/min;
in atmosfera di azoto ) si deduce che tutti i materiali studiati sono termostabili fino alla temperatura
di ~340°C; al disopra di questa temperatura essi sono interessati da fenomeni di degradazione che si
esauriscono intorno ai ~430°C [23]. Mediante l’applicazione della relazione in figura 20 è stato
possibile ricavare per i materiali in esame:
32
i) la temperatura ( Tm ) a cui corrisponde la massima velocità di degradazione;
ii) l’energia di attivazione ( Ea ) relativa al processo di degradazione termica ( tabella 9 ) [23].
FIGURA 20: Equazione attraverso la cui applicazione è
possibile ricavare i parametri cinetici del processo di
degradazione termica così come evidenziato dalle curve
di TGA.
?T/?t = velocità di riscaldamento; Tm = temperatura
corrispondente alla massima velocità di degradazione;
K0 = fattore pre-esponenziale; R = costante universale
dei gas; Ea = energia di attivazione del processo [23].
Dai dati in tabella 9 si deduce che i film di Acrilem IC15 mostrano un valore di Ea maggiore e
quindi una maggiore stabilità termica; al contrario di quanto trovato nel caso dei film di Primal B60 A ai quali compete un più basso valore di Ea.
IV ) Prove tensili in trazione uniassiale
I valori del modulo di young, dello sforzo e della deformazione in corrispondenza dello sforzo
massimo sono riportati nella tabella 10.
Dalla lettura dei dati si ricava che:
--- nel caso di campioni tal quali i film di Acrilem IC79 e IC79A mostrano valori più elevati del
modulo di young;
--- l’invecchiamento causa un incremento nei valori del modulo di film di Primal B60A e AC33 e di
Acrilem IC15 dovuto essenzialmente a fenomeni di reticolazione;
--- il modulo di campioni di Acrilem IC79 e IC79A invecchiati artificialmente risulta essere
sensibilmente minore di quelli non trattati in solar box;
--- lo sforzo in corrispondenza del carico massimo dei campioni invecchiati è minore di quelli tal
quali;
--- le proprietà meccaniche dei film di Acrilem IC15 nel loro insieme subiscono variazioni
relativamente meno rilevanti a seguito dell’invecchiamento artificiale a dimostrazione del fatto che
questo materiale è caratterizzato da una buona stabilità alla foto-ossidazione [23].
33
TABELLA 9: Energia di attivazione ( Ea ) relativa ai
processi di termo-degradazione di film di polimeri acrilici
diversi ottenuti da dispersioni acquose. I valori di Ea
sono stati determinati applicando la relazione in figura 20
[23].
Campione
Primal
AC33
Primal
B60A
Acrilem
IC15
Acrilem
IC79
Acrilem
IC79A
Ea
( KJ/mol )
384
369
486
402
397
TABELLA 10: Proprietà meccaniche in trazione di campioni
di film di polimeri acrilici diversi ottenuti per casting dalle
dispersioni acquose.
Film tal quali: UN; invecchiati ( 400h in solar box ) AG [23].
Campione
E
Sforzo
Deformazione
( MPa ) Max Load Max Load
( MPa )
(mm/mm)
Primal AC33 UN
AG
22
29
6
2
27
22
Primal B60A UN
AG
Acrilem IC15 UN
AG
Acrilem IC79 UN
AG
Acrilem IC79A UN
AG
20
31
9
12
43
13
30
17
5
1
3
1
6
3
5
1
23
25
23
21
26
34
23
16
34
V ) Resistenza all’ingiallimento
L’indice di ingiallimento ( YI ) è stato determinato attraverso la seguente relazione:
YI = ( A380 – A600 ) 0,1mm/ T
(11)
Dove T è lo spessore del film in mm; A380 e A600 sono rispettivamente l’assorbanza dei film sottili (
0,3-0,65mm ) a 380 e 600 nm.
I valori di YI sono diagrammati in funzione del tempo di esposizione in solar box, per i film dei
diversi materiali in esame, nella figura 21.
Dall’andamento delle curve si evince che tutti i film tal quali mostrano ottime proprietà ottiche ( YI
< 1: trasparenza e assenza di colore ).
Il materiale che subisce il più rapido e massiccio fenomeno di ingiallimento è il Primal B60A
mentre i film di Acrilem IC15 e IC79A conservano buone proprietà ottiche anche per lunghi tempi
di invecchiamento artificiale [23].
FIGURA 21: Variazione dell’indice di ingiallimento ( YI ),
di film di polimeri acrilici diversi ottenuti per casting dalle
dispersioni acquose, con il tempo di invecchiamento in solar
box con lampada allo xeno. Curva (a): Primal AC33;
(b): Primal B60A; (c): Acrilem IC15; (e): Acrilem IC79A
[23].
35
Dall’insieme dei risultati ottenuti gli Autori del lavoro citato nel riferimento[ 23] hanno tratto la
conclusione che i film ottenuti per casting dalla dispersione commercializzata come Acrilem IC15
presentano un insieme di proprietà chimico-fisiche e una stabilità alla foto-ossidazione migliori di
quelli relativi a film prodotti dalle altre dispersioni investigate e dal Primal AC33;
Llo studio citato ha permesso di evidenziare come attraverso le metodiche e le tecniche utilizzate
sia possibile provvedere ad una idonea caratterizzazione delle dispersioni acriliche in commercio e
quindi selezionare quelle più soddisfacenti ai fini della conservazione di manufatti in pietra.
C ) TEST PER LA VALUTAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DEI POLIACRILATI
IN RELAZIONE AD APPLICAZIONI NEL CAMPO DELLA CONSERVAZIONE DEI
BENI CULTURALI
Il nome commerciale, la casa produttrice e la composizione chimica di alcuni prodotti acrilici, usati
nel campo della conservazione e del restauro di varie tipologie di materiali, suddivisi in base al loro
stato fisico ( solido, liquido e emulsione ) sono riportati, rispettivamente, nelle tabelle 11, 12 e 13.
TABELLA 11: Composizione chimica, produttore e
nome commerciale di prodotti acrilici, venduti allo stato
di SOLIDO, impiegati nella conservazione di
materiali vari.
Nome
comerciale
Elvacite 2028/2023
Elvacite 2044
Paraloid B72
Paraloid B82
Rhoplex AC73
Paraloid B64-N
Paraloid B-48S
Elvacite 2013
Paraloid B66
Produttore
Composizione
Du Pont
Du Pont
Rhom&Haas
Rhom&Haas
Rhom&Haas
Rhom&Haas
Rhom&Haas
EMA
BMA
MA/EMA
EA(50%)/MMA
EA(50%)/MMA
EA(<<50%)/MMA
BA(2044%)/MMA
Du Pont
MMA/BMA(40%)
Rhom&Haas MMA/BMA(50%)
La possibilità di potere impiegare i poliacrilati nel settore della conservazione dei beni
culturali, in relazione alla natura dei materiali che costituiscono il particolare manufatto che
si vuole proteggere e/o consolidare, è stata valutata attraverso una serie test specifici (
determinazione del pH degli estratti secchi; emissione di prodotti volatili; proprietà
meccaniche in trazione uniassiale; ingiallimento e variazione del peso molecolare ) messi a
punto dal Canadian Conservation Institute ( 1983 ) su di una serie di prodotti commerciali (
prima e dopo invecchiamento artificiale ) [26,27,28]
36
TABELLA 12: Composizione chimica, produttore e
nome commerciale di prodotti acrilici, venduti allo
stato di SOLUZIONE, impiegati nella conservazione
di materiali vari.
Nome
comerciale
Paraloid F-10
Bedacryl 122X
Formstar clear
Lascaux
P5540TB
Plexisol P550
Pliantex
Produttore
Composizione
Rhom&Haas BMA
BMA
BMA
Lascaux
BMA
Farbenfabrik
BMA
EA(>66%)/MMA
TABELLA 13: Composizione chimica, produttore e
nome commerciale di prodotti acrilici impiegati, allo
stato di EMULSIONE, nella conservazione di beni
culturali diversi.
Nome
commerciale
Rhoplex LC-40
Primal CA12
Rhoplex N-580
Rhoplex PS-83-D
Acrysol WS-24
Rhoplex AC33
Rhoplex AC34
Plextol B500
Rhoplex AC22
Rhoplex AC634
Rhoplex N-619
Rhoplex AC-235
Lascaux 498HV
Lascaux 360HV
Rhoplex N-650
Plextol D360
Produttore
Composizione
Rhom%Haas
EA
EA
Rhom&Haas
BA
Rhom&Haas
BA
BMA
Rhom&Haas
EA(66%)/MMA
Rhom&Haas
EA(66%)/MMA
EA(66%)/MMA
Rhom&Haas
EA(66%)/MMA
Rhom&Haas
EA(66%)/MMA
Rhom&Haas
BA/iBA
Rhom&Haas
BA(56%)/MMA
Lascaux Farbenfabrik BA(56%)/MMA
Lascaux Farbenfabrik BA(>50%)/MMA
Rhom&Haas
BA(>>50%)/MMA
MMA/BMA/EMA
37
Alcuni significativi risultati, relativi ad alcune tipologie di test, enucleati dall’analisi
comportamentale di 25 diversi prodotti acrilici commerciali, sono qui di seguito riassunti [28].
— Determinazione del pH degli estratti dai film secchi
Come si evince dall’andamento dei dati riportati nelle figure 22 e 23 il pH degli estratti da film di
varie resine acriliche, sottoposti ad invecchiamento artificiale ( 22°C, 45% di umidità relativa,
irraggiamento con luce fluorescente ) per tempi crescenti, cade, nell’intervallo di 5,5-8 per i
campioni appartenenti alla famiglia dei Paraloid e al disotto dell’intervallo di 5,5-8 per quelli della
famiglia dei Rhoplex..
FIGURA 22: pH degli estratti da film di resine acriliche (
famiglia dei Paraloid, commercializzati dalla Rhom&Haas )
in funzione del tempo di invecchiamento [26,27,28].
In linea di principio il comportamento auspicabile dovrebbe essere quello per cui il pH degli estratti
resti vicino alla neutralità.
Dai risultati del test di cui sopra si ricava che le resine di tipo Rhoplex non sono idonee per la
conservazione dei tessuti. Infatti il loro impiego potrebbe indurre e/o facilitare fenomeni degradativi
che portano alla rottura delle catene macromolecolari che compongono le fibre tessili di origine
naturale [29].
38
FIGURA 23: pH degli estratti da film di prodotti acrilici
appartenenti alla famiglia dei Rhoplex, commercializzati
dalla Rhom&Haas,in funzione del tempo di invecchiamento
[26,27,28].
— Proprietà meccaniche in trazione uniassiale
I risultati delle prove effettuate c/o il Canadian Conservation Institute confermano che la flessibilità
di film di resine acriliche è strettamente correlata alla natura chimica delle unità ripetitive e alla loro
composizione ( vedasi figura 24 ). I poliacrilati sono più flessibili dei corrispondenti polimetacrilati.
Nel caso dei copolimeri BA/MMA la flessibilità aumenta al crescere della % di BA.
I valori della resistenza a trazione e dell’allungamento a rottura di film di prodotti acrilici
commerciali, come illustrato nella figura 24 per alcuni tipi di Paraloid, variano con il tempo di
invecchiamento al buio.
In particolare dall’andamento delle curve in figura 24 emerge come il Paraloid F10 ( BMA )
dimostri una elevata stabilità meccanica all’invecchiamento al contrario di quanto osservato per i
campioni di Paraloid B72 ( MA/EMA ) e di B82 ( EA/MMA ) che denotano un notevole aumento
della resistenza alla trazione e una diminuizione dell’allungamento a rottura al crescere del tempo di
invecchiamento ( i materiali diventano man mano più fragili ) [26,27,28].
39
FIGURA 24: Dipendenza dei valori della resistena a trazione e dello
allungamento a rottura dal tempo di invecchiamento per campioni di
film di Paraloid a diversa composizione chimica [26,27,28,].
— Resistenza all’ingiallimento
La resistenza alla foto-ossidazione di film di resine acriliche, quantificata attraverso misure del
grado di ingiallimento,GI [ GI = (A380nm – A600 nm) 0,1mm/spessore del film(mm) ], è stata
determinata in funzione del tempo di esposizione alla luce.
Dall’andamento delle curve GI? Tempo di esposizione alla luce, alcune delle quali riportate in
figura 25, si ricava che i film dei polimeri esaminati presentano valori di GI inferiori al valore limite
applicativo di 0,1, anche se la dipendenza di GI dal tempo varia, da campione a campione, in
40
funzione della composizione chimica delle unità ripetitive che costituiscono le macromolecole.
In particolare è possibile osservare come i film di Paraloid B67 mostrino una stabilità alla fotoossidazione maggiore di quella relativa ai film di Paraloid B72, B82 e di Elvacite 2028 [26,27,28].
FIGURA 25: Dipendenza del grado di ingiallimento di film di alcune resine
acriliche commerciali dal tempo di esposizione alla luce [26,27,28].
— Viscosimetria-variazione del peso molecolare
E’ stato ampiamente dimostrato che la luce causa profonde modificazioni alla struttura molecolare
delle resine acriliche. Nel caso dei poliacrilati è stato trovato che l’esposizione alle radiazioni UV
determina, principalmente, dei processi di reticolazione e quindi un aumento del peso molecolare
medio. I polimetacrilati, esposti alle radiazioni UV, a temperature = alla Tg, reticolano, mentre a RT
danno luogo, essenzialmente, a dei processi di degradazione molecolare per scissione di catena a cui
fa seguito una riduzione del peso molecolare ( vedasi schema di reazione in figura 26 ) [7,28].
La capacità da parte dei polimetacrilati di assorbire radiazioni UV può essere messa in evidenza
attraverso la tecnica della spettroscopia in assorbimento. Infatti come mostrato in figura 27 per il
polimetilmetacrilato lo spettrogramma UV presenta una forte banda intorno ai 275 nm [30,28].
Questo assorbimento di radiazioni è la causa principale della degradazione molecolare dei
polimetacrilati. Il processo degradativo che conduce alla diminuzione del peso molecolare dei
materiali polimerici può essere convenientemente seguito mediante misure della viscosità intrinseca
in funzione del tempo di esposizione ( T ). Un esempio di tale applicazione è mostrato, nel caso del
Paraloid B72, nella figura 28 [31,28].
41
Dall’andamento delle curve Viscosità ? Tempo di esposizione alla luce si evince come al crescere
di T la viscosità dei campioni diminuisce a dimostrazione del fatto che le macromolecole subiscono
un graduale processo di scissione molecolare. Infatti è ben noto che la viscosità di una soluzione di
polimero è tanto più elevata quanto maggiore è la sua massa molecolare [29].
FIGURA 26: Schema della reazione di foto-ossidazione che nel caso
dei polimetacrilati, a RT, porta alla rottura di catene con diminuzione
del peso molecolare [7,28].
D) LA MODIFICAZIONE CHIMICA DELLE RESINE ACRILICHE:
-RESINE ACRILICHE FLUORURATE
-RESINE ACRILICHE INNESTATE CON PERFLUOROPOLIETERI
Partendo dal presupposto che la sostituzione di atomi di idrogeno con quelli di fluoro porti a
polimeri con una maggiore stabilità chimica, termica e fotochimica, con una minore energia
superficiale e quindi una maggiore idrorepellenza, sono stati sintetizzati nuovi monomeri acrilici
caratterizzati dalla presenza nella loro molecola di atomi di fluoro.
Questi composti, la cui struttura molecolare è illustrata in figura 29, sono stati utilizzati, insieme a
monomeri acrilici tradizionali ( MMA, EMA MA, BMA, ecc. ), per la sintesi, mediante reazioni di
copolimerizzazione, di nuove resine acriliche, mirate ad applicazioni come consolidanti e/o
protettivi di manufatti lapidei, caratterizzate da una migliorata resistenza alla foto-ossidazione e da
una più elevata repellenza all’acqua [13,31,32].
Alcuni di questi copolimeri acrilici fluorurati sono stati testati come protettivi/consolidanti su
campioni di marmo di Candoglia ( porosità < dell’1% ) e di pietra di Noto ( porosità 30-40% )
determinando, in funzione della struttura chimica delle unità comonomeriche e della composizione,
i valori dell’angolo di contatto, della quantità di acqua assorbita ( WA ) e della permeabilità al
42
FIGURA 27: Spettrogramma di assorbimento delle
radiazioni UV di un polimetilmetacrilato commerciale
[30,28].
FIGURA 28: A ) viscosità intrinseca; B ) viscosità intrinseca
relativa in funzione del tempo di esposizione ad una lampada RStype sunlamp.
C ) viscosità intrinseca; D ) viscosità intrinseca relativa in
funzione del tempo di esposizione ad una lampada a fluorescenza.
Le curve si riferiscono al Paraloid B72 [28].
43
vapore d’acqua ( WV ). Inoltre si è valutata l’efficacia dei trattamenti mediante prove di
invecchiamento accelerato.
Dai risultati di questo studio, riassunti, in parte, attraverso i dati elencati nella tabella 14, è stato
possibile evidenziare i seguenti aspetti [13,31,32]:
— i campioni di pietra di Noto dopo trattamento con copolimeri fluorurati mostrano una ridotta
capacità di assorbire acqua, mentre la permeabilità al vapore d’acqua risulta essere poco
influenzata;
— nel caso dei campioni di marmo di Candoglia, il trattamento sembra che non alteri in
maniera sostanziale i valori di WA e WV.
Le prove di invecchiamento fotochimico accelerato denotano che la stabilità dei copolimeri acrilici
è tanto più elevata quanto maggiore è la frazione di monomero fluorurato e minore la lunghezza
della ramificazione laterale delle unità comonomeriche costituenti le macromolecole [13,31,32].
FIGURA 29: Struttura molecolare di monomeri fluorurati usati nella sintesi
di copolimeri acrilici da impiegare come protettivi di manufatti lapidei [13].
R. Peruzzi et Al., hanno dimostrato come l’inserimento nella catena di un polimero/copolimero
acrilico ( fluorurato oppure non ) di unità n-butilviniletere ( nBVE ) conferisce al materiale un
miglioramento nella efficacia protettiva, una buona permeabilità al vapore d’acqua e buoni angoli di
contatto.
Risultati particolarmente significativi si sono riscontrati nel caso di formulazioni basate su
copolimeri fluorurati TFEM/nBVE e non fluorurati EMA/nBVE e acetato di etile [33].
Quanto sopra trova conferma dall’andamento delle curve, Acqua assorbita per capillarità ? Tempo,
della figura 30 dal quale si evince che i campioni di marmo di Candoglia trattatti con copolimeri
TFEM/nBVE mostrano una idrorepellenza superiore rispetto a quella di campioni tal quali e di
campioni trattati con Paraloid B72 [33].
Da notare come anche il trattamento con copolimeri non fluorurati del tipo EMA/nBVE risulta
essere più efficace di quello basato sull’uso del Paraloid.
E’ interessante rimarcare il fatto che con l’aumentare della frazione di monomeri fluorurati in
catena le resine acriliche tendono a degradare, a seguito dell’esposizione alla luce, mediante un
meccanismo basato essenzialmente sulla scissione delle macromolecole.
44
TABELLA 14: Angolo di contatto con acqua( ? ), acqua assorbita
( WA ) e permeabilità al vapore d’acqua (WV ) da parte di campioni di
marmo di Candoglia e di pietra di Noto trattati con copolimeri
acrilici fluorurati di diversa composizione [13,31,32].
PIETRA
CANDOGLIA
COPOLIMERO
(?)
( WA )
( WV )
3
mg/cm * g/m2**
0,25-0,51 -
XFDM/MMA
113-128
(1/7)
131-136 0,72-0,77 7,8-10
CANDOGLIA XFDM/EMA
(1/4)
113-118 0,34-0,54 7,2-8,54
CANDOGLIA XFDM/MMA
(1/4)
127-129 0,42-0,77 6,3-7,7
CANDOGLIA XFDM/EMA
(1/7)
XFDM/MMA
143-146 2,3-16,7 NOTO
(1/7)
XFDM/EMA
132-145 5,2-15,3 329-355
NOTO
(1/4)
XFDM/MMA
136-140 2,5-3,0
268-328
NOTO
(1/4)
XFDM/EMA
139-142 2,9-8,3
300-310
NOTO
(1/7)
*) WA ( Marmo di Candoglia tal quale ) = 0,36-0,51mg/cm2;
WA ( Pietra di Noto tal quale ) = 229-257 mg/cm2
* ) WV ( Marmo di Candoglia tal quale ) = 8,5-15g/m2
WV ( Pietra di Noto tal quale ) = 313-357g/m2
E. Casazza, S. Russo, e M. Camaiti hanno sintetizzato nuovi copolimeri ottenuti innestando
perfluoropolieteri ( PFPE ) monofunzionalizzati su terpolimeri acrilici allo scopo di mettere a punto
una nuova classe di polimeri fluorurati efficaci nei trattamenti di protezione di manufatti lapidei di
interesse artistico/culturale [34].
I perfluoropolieteri sono una famiglia di polimeri composti esclusivamente di carbonio, ossigeno e
fluoro.
< Essi presentano caratteristiche chimico-fisiche che si avvicinano a quelle che dovrebbe avere un
prodotto ideale per la protezione di ornamenti di pietra di interesse storico artistico. Infatti questi
prodotti……sono estremamente stabili alla luce, al calore e agli agenti chimici; sono permeabili ai
gas, trasparenti e privi di colore, insolubili in acqua e in tutti i principali solventi, eccetto che nei
vari omologhi oligomeri o nei clorofluorocarboni …> [35].
La preparazione del copolimero fluorurato ad innesto ha visto in una prima fase la
funzionalizzazione di un PFPE oligomerico, a terminale ossidrilico ( Fomblin Y dell’Ausimont ),
con esametilendiisocianato. La struttura chimica di questo PFPE funzionalizzato con un gruppo
isocianico ( PFPE-HMDI ) è illustrata in figura 31.
45
FIGURA 30: Assorbimento di acqua per capillarità di campioni
di marmo di Candoglia in funzione del tempo. Le curve si riferiscono
a trattamenti protettivi con resine acriliche aventi diversa struttura e
composizione chimica ( vedasi didascalia a destra in figura ) [33].
In una seconda fase si è provveduto alla preparazione del terpolimero statistico [ P( BMA-HEA-EA
], ottenuto mediante polimerizzazione radicalica in soluzione di tetraidrofurano ( THF ) dei
monomeri: butilmetacrilato BMA ( 66,6% mol. ); etilacrilato EA ( 13% mol. ), 2-idrossietilacrilato
HEA ( 20,4% mol. ).
Il terpolimero acrilico [ P( BMA-HEA-EA ], il copolimero fluorurato ad innesto [P( BMA-HEAEA-g-PFPE-HMDI ) ] e le miscele tra il terpolimero e il copolimero innestato [P(BMA-HEA-EA)/
P( BMA-HEA-EA-g-PFPE-HMDI) ] (90/10) e (80/20) sono stati sperimentati su campioni di pietra
di Lecce, e il loro comportamento paragonato con quello del Paraloid B72 [34].
< I prodotti sono stati applicati a pennello su una faccia 5x5cm di ciascun provino, impiegando
soluzioni all’1% in CHCl3 e lasciando evaporare lentamente il solvente. Le misure di
idrorepellenza sono state eseguite sia con il metodo dell’angolo di contatto ( ? ) sia con quello di
assorbimento capillare mentre la permeabilità al vapore è stata effettuata con il metodo del
bicchierino…. L’efficacia protettiva ( EP% ), valutata da misure di assorbimento capillare di
acqua è calcolata dalla formula:
EP% = ( A0-A1 )/A0 100
Dove A0 e A1 sono le quantità di acqua assorbita dai campioni prima e dopo il trattamento
rispettivamente.
La permeabilità residua al vapore ( RP% ) è stata determinata valutando la permeabilità dei
campioni prima ( P0 ) e dopo ( P1 ) il trattamento ed espressa come:
RP% = P1/P0 100
l test di invecchiamento dei polimeri è stato effettuato in Solar Box sottoponendo i provini ad
irraggiamento UV con una lampada allo Xeno avente ? > 295nm, mantenendo una temperatura di
circa 40°C e UR% ambiente > [34].
46
FIGURA 31: Struttura molecolare del perfluoropolietere funzionalizzato ( PFPE-HMDI )
usato nella sintesi dei polimeri acrilici innestati descritti in figura 32 [34].
FIGURA 32: Schema delle reazioni che portano all’ottenemento di
polimeri acrilici innestati con perfluoropolieteri ( vedasi testo ) [34].
47
Nella figura 33 è riprodotta una micrografia elettronica in scansione della superficie di un campione
di pietra di Lecce trattato con il copolimero fluorurato ad innesto [P( BMA-HEA-EA-g-PFPEHMDI )].
Dai risultati ottenuti, riassunti nella tabella 15, emerge quanto segue:
1 ) il copolimero fluorurato innestato con PFPE mostra una notevole efficacia protettiva, <
soprattutto se paragonato a materiali acrilici non fluorurati, come il terpolimero madre e il
prodotto commerciale Paraloid B72 > [34];
2 ) le miscele contenenti il 10-20% di polimero fluorurato esibiscono valori di EP e di ?
paragonabili a quelli del solo copolimero fluorurato;
3 ) la permeabilità al vapore d’acqua è leggermente ridotta nel caso del copolimero fluorurato puro,
è ottima per la miscela 90/10 [34].
Da tutto quanto sopra E. Casazza et Al., hanno concluso che:
< il nuovo prodotto acrilico-perfluoropolietereo esibisce ottime proprietà protettive; analoghi
risultati si sono avuti per le miscele, nelle quali il copolimero fluorurato è contenuto solo in piccole
percentuali ( 5-20% ). Per quanto riguarda la permeabilità al vapore d’acqua le miscele sembrano
garantire risultati addirittura migliori. ……L’utilizzo di miscele potrebbe essere una valida
alternativa ai copolimeri fluorurati puri, qualora il loro costo o le loro caratteristiche chimicofisiche, meccaniche e di adesione alla pietra non fossero ottimali > [34].
In linea di principio la resistenza dei polimeri acrilici alla foto-ossidazione può essere migliorata
anche inserendo lungo le loro macromolecole unità comonomeriche con gruppi che agiscono da
stabilizzanti nei confronti delle radiazioni UV [28,36]. Un esempio di questo tipo di prodotto è
rappresentato dal poli-n-butilacrilato lungo la cui catena sono state inserite unità contenenti il
raggruppamento del 2-idrossibenzofenone, una molecola, quest’ultima, caratterizzata da specifiche
proprietà di stabilizzante UV ampiamente impiegata come stabilizzante di polimeri [28,36].
FIGURA 33: Micrografia elettronica in scansone
della superficie di un campione di pietra di Lecce
trattata con il coplimero fluorurato, innestato
P( BMA-HEA-EA-g-PFPE-HMDI) ] [34].
48
TABELLA 15: Permeabilità al vapore d’acqua ( RP ), angolo di contatto ( ? ),
efficacia protettiva ( EP ) e quantità applicata ( QA ) nel caso del Paraloid B72, del
terpolimero acrilico [ P(BMA-HEA-EA) ], del copolimero innestato
[ P( BMA-HEA-EA-g-PFPE-HMDI ] e delle miscele tra il terpolimero e il
copolimero innestato [P(BMA-HEA-EA)/ P( BMA-HEA-EA-g-PFPE-HMDI) ],
(90/10) e (80/20), applicati su campioni di pietra di Lecce [34].
PROTETTIVO QA
RP
2
(g/m ) (%)
?
EP(%) (? )
15 gg 15gg
12mesi
ParaloidB72
16
97
98
73
P(BMA-HEAEA)
P( BMA-HEAEA-g-PFPEHMDI )
P(BMA-HEAEA)/ P( BMAHEA-EA-gPFPEHMDI)(90/10)
P(BMA-HEAEA)/ P( BMAHEA-EA-gPFPEHMDI)(80/20)
33
94
115
25
82
15
-
0
EP(%) (? )
12mesi 28gg
irr.UV
22
0
EP(%)
28gg
irr.UV
21
91
110
83
63
51
140
99
138
99
113
99
95
136
99
135
99
105
97
92
138
99
135
99
110
98
49
RIFERIMENTI
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51
52
PARTE-D
CAPITOLO 2-D
APPLICAZIONI DELLE RESINE ACRILICHE NELLA CONSERVAZIONE DI
MANUFATTI IN PIETRA NATURALE O ARTIFICIALE:
TIPOLOGIE DI INTERVENTO E CASE HISTORY
ASPETTI POSITIVI, LIMITI E CRITICITA’
1
A ) TIPOLOGIE DI INTERVENTO
Le resine acriliche vengono impiegate, come consolidanti/protettivi di materiali lapidei,
generalmente allo stato di soluzione o di emulsione [1].
L’utilizzo di
< un polimero a solvente presenta come pregio primario una elevata adesione, unita alla capacità
di saldare fratture di dimensioni maggiori ai 50-100 micron, cosa impossibile per tutti i
consolidanti inorganici, dal bario idrossido, all´ossalato di ammonio all´acqua di calce. Gli stessi
limiti mostra il silicato d´etile…….L´applicazione di questa…… classe di consolidanti deve essere
effettuata con particolare cautela, giocando sulle concentrazioni e sulla tipologia del solvente, per
non incappare nella formazione di un film superficiale. Altro aspetto positivo dei consolidanti
organici è che esplicano generalmente il loro effetto consolidante in tempi brevi (dopo
evaporazione del solvente). Non è quindi necessario, ad esempio, aspettare le 3-4 settimane
necessarie per il silicato d´etile, o ripetere più volte il trattamento come richiesto dall´acqua di
calce >[2].
Le modalità applicative delle resine acriliche dipendono dalla natura del manufatto e dalla tipologia
della fase dell’ intervento in corrispondenza della quale viene effettuato il trattamento di
consolidamento/protezione.
OPERE IN PIETRA
La successione delle fasi operative per una corretta esecuzione delle operazioni di restauro
conservativo di un manufatto in pietra è la seguente:
— Documentazione storica, grafica e fotografica, rilevamento dello stato di conservazione,
degli interventi pregressi e della loro tecnica esecutiva;
— Indagini conoscitive e diagnostiche e saggi per la scelta dell’intervento più idoneo;
— Operazioni preliminari < rimozione di depositi superficiali incoerenti a secco con spazzole,
pennellesse e aspiratori. Rimozione di depositi superficiali parzialmente aderenti con
acqua, spruzzatori, pennelli, spazzole e spugne > [1].
— Disinfestazione e disinfezione.
— Preconsolidamento;
— Pulitura e rimozione di materiale non idoneo utilizzato in precedenti restauri;
— Stuccatura e reintegrazione;
— Protezione finale [1].
Nell’ambito delle fasi sopra elencate le resine acriliche trovano applicazione, essenzialmente, nelle
seguenti operazioni:
a ) Preconsolidamento;
b ) Distacco e riadesione di frammenti, parti pericolanti o cadute;
c ) Consolidamento e protezione finale.
In generale la procedura prevede l’applicazione fino a rifiuto di formulazioni liquide per mezzo di
pennelli, spruzzino, siringhe pipette ecc.[1].
2
OPERE IN STUCCO
Le resine acriliche, in soluzione o in emulsione, sono impiegate nelle operazioni preliminari e nella
fase di consolidamento al fine di ristabilire, l’adesione e la coesione della pellicola pittorica o della
doratura e la coesione degli intonaci. Il trattamento viene effettuato mediante impregnazione con
pennelli, siringhe e pipette o a spruzzo oppure con impregnazione ad impaccco.
Formulazioni liquide acriliche, a bassa concentrazione, sono utilizzate nelle operazioni finali di
protezione superficiale mediante stesura con pennelli [1].
DIPINTI MURALI ED INTONACI
In questo settore le resine acriliche ( in emulsion, eventualmente caricate con silice micronizzata )
trovano impiego principalmente nel ristabilimento dell’adesione tra il supporto murario ed intonaco
mediante iniezione.
CERAMICHE
Nel campo della conservazione di manufatti in ceramica le resine acriliche sono utilizzate
essenzialmente nella fase di consolidamento mediante immersione, per imbibizione a pennello, a
spruzzo o per vaporizzazione.
Qui di seguito sono riportati alcuni esempi di applicazione delle resine acriliche nei processi di
consolidamento/protezione di manufatti, di interesse storico e culturale, in pietra naturale o
artificiale, di elementi in cotto, gesso e in ceramica e nel campo del consolidamento corticale di
intonaci e stucchi.
CASE HISTORY-1:
Statua all’esterno della Chiesa di S.Michele a Lucca
La statua, Madonna con Bambino, all’esterno della Chiesa di S. Michele a Lucca ( vedasi figure 1 e
2 ) è un manufatto in calcare del Monte Antola, una roccia carbonatica [ bassa porosità (3-4%) ] con
un alto contenuto di minerali argillosi].
L’assorbimento/desorbimento dell’acqua determina in questo tipo di materiale fenomeni di
esfoliazione, fratturazione e scagliatura della superficie. Al fine di ridurre l’assorbimento dell’acqua
e quindi il procedere del degrado è necessario trattare i manufatti con prodotti aventi un elevato
effetto idrorepellente [2].
< Tra i prodotti sperimentati il Fluormet CP (miscela fra una resina acrilica e un fluoroelastomero)
ha mostrato buone proprietà adesive, paragonabili a quelle di altre resine acriliche, pur usando un
metodo di applicazione più semplice e rapido (spruzzo anzichè pennello). Ciò ha permesso di
ottenere l´effetto adesivo in tempi brevi, benchè siano state usate soluzioni diluite.
Inoltre a confronto degli altri prodotti testati (Paraloid B-72, Wacker OH, Akeogard LTX, Safe
Stone), il Fluormet CP si è rivelato come il meno influente sul colore (variazioni di colore DeltaE
tra 1 e 2, quindi impercettibili alla vista), e dotato di buona efficacia protettiva.
3
I risultati ottenuti sembrano quindi unire le qualità adesive dell´acrilico alla reversibilità ed
assenza di "lucido" tipiche dei fluoroelastomeri.
L´elevata reversibilità del prodotto in solventi polari permette l´immediata rimozione nel caso si
siano formati accumuli superficiali con conseguenti fenomeni di "lucido" > [2].
Nella letteratura commerciale il Fluormet viene così presentato:
< Prodotto consolidante/protettivo pronto all’uso a base di fluoroelastomeri e polimeri acrilici in
acetone, reversibile, resistente ai raggi UV. Fluormet CP può essere utilizzato per il
consolidamento e la protezione di elementi architettonici, senza alterarne il cromatismo.
CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE:
-Aspetto: liquido trasparente incolore;
-Tempo di essiccazione: ca. 10 ore (a 23° C);
-Peso specifico: 0,81 ± 0,03 kg/lt (ASTM D 792) >.
E’ importante sottolineare il fatto che, a causa della elevata massa molecolare dei componenti, il
trattamento con Fluormet CP non consente elevate profondità di penetrazione. Questo
comportamento viene evidenziato attraverso misure della resistenza alla perforazione della pietra di
San Marino, una calcarenite quarzoso feldspatica, dalle quali si ricava che l´aumento di resistenza
meccanica è localizzato entro i primi due millimetri dalla superficie ( vedasi figura 3 ) [2].
FIGURA 1: Veduta esterna della Chiesa di S. Michele ( Lucca ).
4
FIGURA 2-a)
FIGURA 2-b)
FIGURA 2: Riproduzione fotografica della statua all’esterno
della Chiesa di S. Michele a Lucca ( copia di una statua dello
scultore Matteo Civitali) per il cui restauro, effettuato nel corso
del 2005, è stato impiegato il Fluormet CP. FIGURA 2-a):
prima del trattamento. FIGURA 2-b): dopo il trattamento [2].
5
.
FIGURA 3: Prove di resistenza alla perforazione della pietra
di San Marino, ( calcarenite quarzoso feldspatica ), prima e
dopo trattamento con Fluormet CP [2].
CASE HISTORY-2:
Cappella della Madonna del Carmine (Chiesa Santa Maria del Carmine – Milano )
I lavori di restauro e di conservazione della seicentesca cappella della Madonna del Carmine, (
Chiesa di Santa Maria del Carmine - Milano ), che hanno interessato prima le superfici interne ed
esterne della cappella e successivamente quelle esterne dell’abside, sono stati completati il 2002.
La cappella, collocata al termine della croce latina, affacciata sul transetto destro, attribuita a
Gerolamo Quadrio, < spicca per ricchezza decorativa e spettacolarità dell'impianto nel contesto
austero e semplice dell'interno della Chiesa > ( figura 4 ) [3,4].
Resine acriliche sono state impiegate essenzialmente nelle operazioni di restauro della grande
Madonna marmorea dell’altare ( opera di Giovan Battista Maestri detto il Volpino ).
Alcune delle fasi del restauro di questa scultura sono così descritte nel riferimento [3]:
< Dalla superficie del gruppo marmoreo sono stati rimossi i depositi di sporco, plausibilmente
sostanze grasse da fumo di candela e pulviscolo da inquinamento principalmente.
Il lento effetto complessante dell’impacco pulente ha permesso una graduale e sempre
controllata pulitura dalle sostanze da rimuovere sul calcare bianco. Una pulitura lenta e graduale
che nelle poche zone localizzate, caratterizzate da macchie di resine e vernici residue di restauri
precedenti, ha richiesto un mirata pulitura con alcool lavorato a tamponcino di cotone.
Le parti in zanche di metallo di assemblaggio della statua sono state protette con Paraloid B72
disciolto in miscela di solventi >[3,4].
6
a)
b)
FIGURA 4: a ) Chiesa Santa Maria del Carmine – Milano.
b ) Cappella della Madonna del Carmine a restauro concluso
[3,4].
7
CASE HISTORY-3
Cattedrale di San Petronio ( Bologna )
Nel consolidamento della facciata della Basilica di San Petronio [ la più grande ed importante
chiesa di Bologna e il più tardo monumento del Gotico in Italia e in Europa, dedicata al santo
patrono della città ( figura 5 ) ], come riportato da R. Rossi-Manaresi [7 ] e O. Nonfarmale [8 ], è
stata impiegata una particolare formulazione, detta Cocktail di Bologna, i cui componenti principali
sono:
-
il Paraloid B72, resina acrilica;
il DriFilm, un composto idrorepellente-siliconico;
il tricloroetano, usato come solvente [9,10].
Sull’efficacia del Cocktail di Bologna, e in particolare sull’impiego delle resine acriliche nella
conservazione delle pietre, J. Delgado Rodrigues scrive:
< Results obtained with this formulation in porous carbonate stones (up to 26% porosity) have
shown that the consolidation effect is confined to not more than 2mm depth, even in the most
porous varieties.
When confronting our results with the reported good performance of this “cocktail” in the
Bologna Cathedral, we have to conclude that apparently both things do not match. In our
opinion, Paraloid B72 has been used indiscriminately whatever the substrate is, and this is
certainly a mistake that explains some of the discrepancies found when analysing the
performance of this consolidant. In fact, the stone used in the Bologna Cathedral is a very dense
limestone (the rosso di Verona) and marble, both having the relevant void space mainly made of
fissures and not of pores. Their typical degradation forms consist of the enlargement of fissures
and the occurrence of scales of several sizes. Paraloid B72 is able to penetrate through these
fissures where it builds up some adhering bridges between the fracture walls and therefore it
plays the role that is expected to be effective for such a degradation form. In spite of the larger
size, the connectivity is poorer in the porous stones, and this characteristic forces the
consolidant to stay in the outer stone layer where it promotes a high increase in strength but
with serious harmful consequences in terms of the stone subsequent behaviour.
In practical terms, these results seem to demonstrate that Paraloid B72 (and may be all the
other acrylic consolidants) acts like an adhesive or gluing agent and not as a traditional
impregnating consolidant as we usually see it. When properly used in the situations typified
above with the dense, fissured or fractured limestones, Paraloid B72 (and alike) can be of
valuable use, but it may turn very risky or even disastrous when used inadequately in stones
with spherical pores particularly in the very porous ones > (Figure 6) [9].
Da quando sopra è possibile concludere che l’utilizzo di resine acriliche nella procedure di
conservazione di manufatti in pietra deve essere necessariamente preceduto da una accurata analisi
diagnostica ex-ante che permetta di conoscere la natura del substrato e del danno in essere.
Inoltre sembra necessario determinare, attraverso test accelerati di degradazione l’efficacia del
trattamento e la sua idoneità in termini di durabilità, reversibilità e di inalterabilità cromatica della
superficie delle pietre trattate.
8
a)
.
b)
FIGURA 5: La Basilica di San Petronio in Bologna.
a ): La facciata principale; b ): Il portale ( Porta Magna ),
un capolavoro di Jacopo della Quercia [5,6].
9
FIGURA 6: Il trattamento di una pietra calcarea porosa
con il paraloid B72 determina la formazione di una sottile
pellicola superficiale [9]. A sinistra campione non trattato.
A destra campione trattato.
CASE HISTORY-4
La Colonna Barocca Pestsäule ( Vienna )
< The Pestsäule ….is located on Graben, a street in the inner city of Vienna and is one of the most
well-known and prominent pieces of sculpture in the city.
In 1679, Vienna was visited by one of the last big plague epidemics. Fleeing the city, Emperor
Leopold I vowed to erect a mercy column if the epidemic would end. In the same year, a provisional
wooden column made by Johann Frühwirth was inaugurated, showing the Holy Trinity on a
corinthian column together with nine sculpted angel (for the Nine Choirs of Angels).
In 1683, Matthias Rauchmiller was commissioned to do the marble works, but he died in 1686 and
only left a few angel figures. Several new designs followed, among others by Johann Bernhard
Fischer von Erlach, who designed the sculptures at the base of the column. Finally, the project
management was assigned to Paul Strudel, who based his work on the concept of theatre engineer
Lodovico Burnacini. Below the Trinity figure, Burnacini envisioned a cloud pyramid with angel
sculptures as well as the kneeling emperor Leopold, praying to a sculpture of faith. Among others,
the sculptors Tobias Kracker and Johann Bendel contributed to the column. The column was
inaugurated in 1693 > ( figura 6 ) [11].
10
FIGURA 7: La colonna barocca Pestsäule
( Vienna ) per il cui restauro sono state impiegate
resine acriliche, in particolare il Paraloid B72
[11,12].
In relazione al restauro conservativo del monumento di cui sopra, per il quale sono state impiegate
resine acriliche, nel riferimento [12] è scritto:
< In contrast to the soft porous limestones, a number of compact types of limestone
frequently called “marbles” have been used throughout the centuries….... The two most important
lithotypes of this group of stones are the Adnet Stone, a red limestone resembling e.g. the
Italian Rosso di Verona, and the Untersberg Stone, a pale compact limestone. In general,
weathering of these limestones proceeds along distinct inhomogeneities and not at grain
boundaries between the single components. Thus, consolidants are required which have not
only good properties of penetration into narrow veins, but are also able to bridge cracks………
At that time, solutions of acrylics seemed to be the only appropriate consolidant for Adnet Stone,
and the same held for Untersberg Stone, where as early as in 1982 the laboratory of the Austrian
Federal Office for the Care of Monuments, on the base of laboratory tests and following the Italian
experiences at San Petronio, Bologna, for the first time in Austria decided for Paraloid B-72 in the
conservation of Vienna’s Baroque Plague Column. Long-term exposure since then seems to reveal
acceptable results, but a more detailed monitoring would be desirable > [12].
11
L’impiego delle resine acriliche, come emerge dal riferimento [12], è stato ampiamente perseguito
in Austria nel campo della conservazione di manufatti in pietra calcarea ad elevato grado di
compattezza, comunemente chiamati marmi.
CASE HISTORY-5
La Sala Martorana nel Palazzo Comitini ( Palermo)
Il monumentale Palazzo Comitini, realizzato nella seconda metà del ‘700 su incarico del principe
Michele Maria Gravina di Comitini, è
< diviso in “quarti” gravitanti attorno a due punti focali costituiti dallo scalone di accesso e
dalla galleria degli specchi. Quest’ultima è nota come Sala Martorana, dal nome di Gioacchino
Martorana, il pittore che ha eseguito il grande affresco della volta e l’intera decorazione della
galleria > ( figura 8-a ) [13].
I lavori di restauro, finanziati dal governo italiano in occasione della Conferenza mondiale
dell’ONU ( Palermo 2000 ), mirati alla pulitura e alla conservazione del pavimento maiolicato (
figura 8-b ) vengono così descritti nel riferimento [13]:
< La galleria è pavimentata con uno splendido retablo, composto da circa 3860 mattoni, oggi molto
deteriorato…………….
Il pavimento è stato sottoposto a preconsolidamento effettuato attraverso velinatura con carta
giapponese e resina acrilica e ad una pulitura preliminare utilizzando pennelli a setole morbide,
gomme a PH neutro o un impacco leggero di acqua deionizzata.
A seguito del riempimento dei vacui tra il massetto e le mattonelle con infiltrazioni di malta
idraulica e della disinfestazione da microrganismi, si è proceduto alla pulitura attraverso impacchi
di ammonio carbonato e EDTA, secondo tempi e percentuali suggeriti dalle prove preliminari.
L’operazione è stata completata dalla stesura di un protettivo > [13].
CASE HISTORY-6
IL Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo
Nel riferimento [13] il Gymnasium, il padiglione centrale del nuovo Orto Botanico di Palermo (
1789 ) viene così descritto nei suoi elementi essenziali:
<…..caratterizzato da due pronai dorici posti al centro dei prospetti principali, si articola attorno
ad una sala centrale quadrata, adibita ad aula per le lezioni di botanica.…..Il colonnato,
dall’imponente trabeazione dorica, è sormontato da statue raffiguranti le allegorie delle quattro
stagioni…..Il pronao rivolto verso la strada è preceduto da una monumentale scalinata ...Entrambi
i portici sono coperti da un soffitto cassettonato con decorazione vegetale, anch’essa in stucco > (
figura 9 ) [13].
Lo stato di conservazione, prima del restauro, si caratterizzava per i seguenti aspetti:
12
a)
b)
FIGURA 8: a ) la sala barocca del palazzo Comitini
( Palermo ).
b ) particolare del pavimento maiolicato per il cui restauro
sono state impiegate resine acriliche [13].
13
< …..i degradi più vistosi rilevati nel Gymnasium erano causati dalla risalita capillare d’acqua dal
terreno e dal cattivo funzionamento dell’originario sistema di smaltimento delle acque meteoriche.
A tali guasti di ordine funzionale si aggiungeva una pesante alterazione dell’originaria policromia
dell’edificio, determinata dalla sovrapposizione di un più recente strato di intonaco che,
interessando tutti i paramenti murari esterni, falsava la lettura generale del monumento…..
L’accurata analisi stratigrafica condotta sugli intonaci ha evidenziato che le coloriture originali di
tutte le superfici del Gymnasium erano diverse.
In particolare, nei pronai era stato impiegato il rosso pompeiano, in seguito obliterato da un
intonaco di colore grigio…..> [13].
Il restauro conservativo, che ha visto l’impiego di prodotti polimerici di sintesi, è stato condotto
sulla base delle seguenti operazioni:
< ……Rimossi meccanicamente tali intonaci, si sono eliminate le efflorescenze saline mediante
lavaggi ed impacchi di acqua deionizzata. Le zone decoese sono state consolidate mediante
impregnazione di silicato di etile…...
Hanno completato il restauro l’equilibratura tonale con velature a base di pigmenti naturali e il
protettivo finale, dato a spruzzo a pressione controllata fino al soddisfacente grado di saturazione.
Nei pronai si è proceduto al rifacimento dell’intonaco rosso pompeiano a mezzo stucco ed alla sua
protezione a cera.
La pulitura degli stucchi della sala centrale, effettuata con impacchi di polpa di carta, acqua
deionizzata e carbonato di ammonio, è stata completata dalla rifinitura a bisturi.
Le parti decoese delle cornici e degli elementi scultorei a tutto tondo sono state sottoposte a
velinatura con resina acrilica ed insufflazioni di malta idraulica a basso peso specifico per colmare
i vacuoli presenti. Si è quindi proceduto alla risarcitura dei frammenti tramite imperniature di
barre in vetroresina e resina epossidica.
Nel restauro dei dipinti murali è stata, in prima istanza, effettuata la rimozione a secco delle
polveri decoese ed incoerenti. Il consolidamento degli intonaci e degli arricci è avvenuto mediante
infiltrazioni di resine acriliche in emulsione acquosa e malte di calce, additivate con pomici ed altri
inerti naturali > [13].
CASE HISTORY-7
Ciclo degli Affreschi dell’Oratorio di San Vincenzo ( Sesto Calende- Varese )
I lavori di restauro dell’Oratorio di S. Vincenzo [ una cappella rurale ad unica navata ( XI secolo ),
un esempio dell'architettura romanica varesina ], iniziati nel 1978, si protrassero fino al 1987. Tali
lavori interessarono sia la struttura architettonica, che gli affreschi cinquecenteschi all'interno
dell'abside e lungo le pareti laterali della navata [14].
Alcune fasi del restauro, che hanno contemplato anche l’impiego di resine acriliche, sono così
descritte nel riferimento [14]:
<……….. Le efflorescenze saline vennero asportate superficialmente con un pennello asciutto e,
più in profondità, ricorrendo ad impacchi di polpa di carta umida per sciogliere i sali e assorbirli.
Durante la fase di consolidamento degli affreschi furono adottate diverse tecniche di intervento.
Nei buchi già esistenti e in altri praticati dove era assente la pellicola pittorica fu iniettato un
consolidante a base di emulsione acrilica. Le aree con abbondanti distacchi, furono
14
FIGURA 9: Il Gymnasium dell’orto botanico di Palermo
FIGURA 10: Restauro del ciclo di affreschi
dell'Oratorio di San Vincenzo a Sesto Calende
(VA). Abside dopo il restauro [14].
15
cautelativamente puntellate, proteggendo la superficie pittorica con "carta riso" e "tessuto non
tessuto", aggiungendo nel consolidante del carbonato di calcio.
Nelle zone dell'intonachino, con scarsa coesione, si procedette con un trattamento ad
impregnazione di acqua di calce a più riprese. Al termine dei consolidamenti, la fase di pulitura dei
dipinti fu preceduta dall'applicazione di un impacco con composto di bicarbonato di ammonio e
biocida a largo spettro, ……….
In base alla zona e allo stato di degrado presente, sono state utilizzate due diverse tecniche di
consolidamento superficiale: in presenza di solfati la superficie pittorica é stata trattata con il
metodo ad idrossido di bario, mentre in presenza di distacchi della pellicola pittorica mediante
impregnazione di acqua di calce. I buchi e le microfratture furono stuccate con malte a base di
calce e resine acriliche; le stuccature delle lacune più profonde furono eseguite con un primo
impasto di calce, sabbia e cocciopesto; mentre per le rifiniture si stese una malta con una
composizione studiata in base agli intonaci originali, anch'essi conservati e analizzati…….> [14].
Nella figura 10 è riportata una fotografia degli affreschi dopo le operazioni di restauro [14].
CASE HISTORY-8
Chiesa di Maria Santissima Ausiliatrice ( Torino-Valdocco )
Questa chiesa, disegnata da Antonio Spezia, è stata fondata da Don Bosco tra il 1865 e il 1868.
La statua della Madonna sulla cupola è di Camillo Boggio; l'interno conserva le spoglie del Santo.
L'affresco della cupola è di Giuseppe Rollini mentre il dipinto sull'altare maggiore, che rappresenta
Maria Ausiliatrice, è di Tommaso Lorenzone ( figura 11 ).
FIGURA 11: Vedute della Basilica di Santa Maria Ausiliatrice
( Torino ).
16
Gli interventi che hanno visto l’impiego di resine acriliche riguardano l’interno e in particolare gli
stucchi, i dipinti murali e i calchi in gesso.
I dettagli di questi interventi, così come descritti nel riferimento [15], sono sotto riportati.
Intervento sugli stucchi:
< -Ristabilimento dell'adesione tra i diversi strati di intonaco mediante iniezione di adesivi;
operazione eseguibile su stucchi monocromi o policromi e dorati, con successiva rimozione degli
eccessi di prodotto consolidante, per ciascun distacco con malta idraulica premiscelata con resine
acriliche in emulsion.
-Ristabilimento della coesione della pellicola pittorica o della doratura mediante resine acriliche in
soluzione; e successiva rimozione degli eccessi delle stesse a pennello o con siringa.
- Ristabilimento dell'adesione della pellicola pittorica o della doratura mediante resina acrilica in
emulsione; inclusi gli oneri relativi alla preparazione del prodotto e alla successiva rimozione degli
eccessi dello stesso a pennello con carta giapponese, o con siringa.
………………..
- Rimozione dei depositi polverosi con pennelli di martora, l’uso di aspiratori evita il ricircolo delle
polveri.
- Pulitura mediante solvente composto da acqua demineralizzata con ammoniaca acetone ed
alcool, previa calibratura del solvente ed applicato con compresse di carta.
- Protezione finale utilizzando la vernice Zappon > ( vedasi figura 12 )[15].
FIGURA 12: Il restauro degli stucchi all’
Interno della Basilica di Santa Maria
Ausiliatrice ( Torino ) [15].
Intervento sui dipinti murali:
< - Rimozione di depositi superficiali parzialmente coerenti a mezzo di spugne sintetiche o pani di
gomma su affreschi e tempere. ………
- Ristabilimento parziale della adesione e della coesione della pellicola pittorica propedeutico alle
17
operazioni di consolidamento e pulitura nei casi di disgregazione e sollevamento della stessa, su
graffiti, affreschi e tempere, con resine acriliche in emulsione applicate a pennello con carta
giapponese o con siringhe.
- Ristabilimento della coesione della pellicola pittorica mediante applicazione di prodotto
consolidante, con resine acriliche in emulsione a bassa concentrazione applicata a pennello con
carta giapponese e successiva pressione a spatola.
………
- Rimozione di sostanze di varia natura quali oli, vernici, cere, etc. sovrammessi al dipinto,
depositi con scarsa coerenza e aderenza poco polimerizzati, mediante applicazione di carte
assorbenti e tampone con miscela di amilacetato e diluente nitro su affreschi e tempere.
……….
- Protezione superficiale mediante applicazione di resina acrilica in soluzione a bassa percentuale,
su graffiti, affreschi, tempere ed olio su muro > [15].
Intervento sui calchi in gesso:
< - Rimozione di depositi superficiali incoerenti a secco, con pennellesse e aspiratori; operazione
eseguibile su gessi monocromi, policromi o dorati.
- Ristabilimento della coesione del gesso mediante impregnazione con resina acrilica in soluzione.
Propedeutico alle operazioni di pulitura, operazione eseguibile su gessi bianchi o policromi, e
successiva rimozione degli eccessi dello stesso nei casi di disgregazione, mediante impregnazione
per mezzo di pennelli e siringhe.
- Riadesione dei sollevamenti della pellicola pittorica o della doratura, da eseguirsi prima o dopo
le fasi di pulitura, applicata a pennello o con siringa con resina acrilica in emulsione, applicata a
pennello o con siringa.
- Fissaggio degli eventuali segni di riferimento disegnati sulla superficie dei modelli mediante
resina acrilica in soluzione, da eseguirsi prima o dopo le fasi di pulitura.
…………
- Applicazione di protettivo superficiale a pennello; operazione, eseguibile su gessi bianchi o
policromi, mediante una applicazione con cera microcristallina e resina acrilica in soluzione >
[15].
CASE HISTORY-9
Palazzo Agucchi ( Bologna )
Il Palazzo Agucchi è un interessante esempio di architettura civile del settecento bolognese ( figura
13 ).
L’intervento di restauro ha riguardato essenzialmente la facciata che
<…… è stata realizzata con due materiali tipici dell’edilizia settecentesca bolognese: il paramento
murario in laterizi è rivestito da un sottile strato di rasatura a cocciopesto; gli elementi
architettonici sono costituiti da arenaria opportunamente sagomata e caratterizzata da una serie di
scialbi superficiali > [16
Le fasi del restauro, che hanno visto l’utilizzo di resine acriliche, sono state così descritte nel
riferimento [16]:
18
< Le operazioni sono state così differenziate: per quanto riguarda l’arenaria si è tenuto conto della
diversa entità delle croste nere e della diffusione dei fenomeni di esfoliazione, mentre nel caso degli
intonaci si sono valutate le zone maggiormente interessate da esfoliazioni e distacchi. Nelle
porzioni di arenaria in cui vi erano croste nere di livello basso e medio si è proceduto
dapprima con una pulitura superficiale ad azione meccanica per asportare i depositi non ancora
coesi, quindi sono state effettuate operazioni di preconsolidamento del materiale lapideo mediante
applicazioni a pennello di silicato di etile che agissero sulla superficie dell’arenaria.
Figura 13: Palazzo Agucchi,
facciata dopo il restauro [16].
Nelle porzioni con croste nere di livello alto si è preferito invece, per ottenere un risultato
più efficace in profondità, eseguire il preconsolidamento con iniezioni localizzate di resine
acriliche a bassa percentuale diluite in acqua e veicolate con alcool. Come ultima operazione
propedeutica alle fasi successive sono state iniettate malte riempitive in corrispondenza di
esfoliazioni e distacchi, previe stuccature temporanee de imargini per evitare la fuoriuscita del
materiale…………….
Si è quindi passati alle operazioni di consolidamento per le quali si è impiegato silicato di etile
applicato a pennello fino a rifiuto della materia. Da ultimo, come di consueto, sono stati effettuati
interventi di stuccatura e protezione finale > [16].
19
CASE HISTORY-10
Arco Galleria Vittorio Emanuele-II, lato Piazza Scala ( Milano )
Il restauro conservativo, che ha riguardato le superfici lapidee dell’arco ( vedasi figura 14 ), è stato
articolato secondo le seguenti fasi: preconsolidamento, pulitura, sigillatura-stuccatura,
consolidamento e protezione finale.
I dettagli dell’intervento, descritti nel riferimento [17], sono in parte qui di seguito riportati.
. < Le zone ammalorate ed in particolare quelle parti caratterizzate da materiale decoeso e/o
disgregato sono state preconsolidate con velinature e impregnazione di silicato d’etile (RC 70
Rhone-Poulenc) per evitare ulteriore perdita di materiale o danneggiamenti durante le operazioni
di pulitura…………
Terminata la fase di pulitura è stato eseguito un controllo statico degli elementi agettanti e delle
mensole; le parti che hanno presentato perdita d’adesione alla superficie portante sono state fissate
con iniezioni di resina epossidica e sigillate in superficie malta per evitare la possibilità di viraggio
del colore della resina. I frammenti di stucco o di terrecotte in via di distacco sono stati incollati al
supporto e gli elementi di maggiore dimensione sono stati fissati con perni in teflon e acciaio
inox……..
I pannelli con intonaci graffiti sono stati trattati con un’azione combinata di pulituraconsolidamento, in quelle zone caratterizzate da fenomeni di polverizzazione e dalla presenza
d’efflorescenze saline causa di decoesione tra gli strati d’intonaco. Le parti d’intonaco sollevate o
in fase di distacco sono state consolidate tramite iniezioni di malta d’aggrappaggio previo
inumidimento uniforme degli strati con iniezioni d’acqua e alcool per eliminare i detriti e la
polvere nelle sacche. Le iniezioni sono state eseguite con emulsione acrilica Primal AC33. Le
iniezioni sono state fatte con una malta a base di grassello di calce e cocciopesto setacciato fine
con l’aggiunta di Primal. Dopo le iniezioni si è mantenuto sotto pressione controllata la superficie
per almeno 48 ore, ottenendo così la riadesione della porzione d’intonaco.
…………………………..Il trattamento del metallo dei capitelli, ghisa, è stato eseguito a secco previa
spazzolatura e rimozione meccanica delle polveri con pennelli ed aspiratori. Successivamente si è
eseguito il trattamento fosfatante, con la stesura di Paraloid a pennello in modo da fermare il
processo di deterioramento dovuto agli attacchi della ruggine. Le ricostruzioni modellate sono
state eseguite con resina poliestere bicomponente termoindurente. Infine i capitelli sono stati
protetti con una stesura a spruzzo e pennello di Paraloid, con funzione protettiva. Come ulteriore
protezione e per riproporre l’effetto cromatico originale, è stato steso un doppio strato di prodotto
ferromicaceo.
L’intervento si è concluso con il consolidamento lapideo localizzato solo sulle parti più degradate
con l’impiego di resina a base d’etil-silicato RC70 Rhone- Poulenc.
Tutte le superfici trattate sono state infine protette con applicazione di resina idrorepellente Silirain
50 Rhone-Poulenc a base siliconica, applicata a spruzzo > [17].
CASE HISTORY-11
Manufatti in Alabastro
Secondo quanto riportato da D.Cox le resine acriliche sono idonee per il restauro conservativo di
manufatti in alabastro [18].
L’alabastro gessoso o tenero ( CaSO4?2H2O ) < ha struttura saccaroide o ceroide è di colore bianco
20
se puro, oppure colorato ……Il suo peso specifico è 2,7-2,8; durezza 2……Si trova in arnioni di
varia dimensioni e il cui peso può superare anche la tonnellata…….Per la sua durezza limitata si
presta per lavori di scultura, statue, vasi, ecc. > [19].
FIGURA 14: Fotografia dell’Arco Galleria Vittorio
Emanuele, lato P.zza Scala ( Milano ), dopo il restauro
conservativo [17].
Alla fine del secolo 14th la scoperta di un grande giacimento di alabastro in Inghilterra ( vicino la
città di Nottingham ) determinò un grande impulso alla produzione di manufatti ( piccole statue
votive, monumenti funerari, tombe ecc. ), spesso di grande valore artistico, che venivano esportati
in tutto il mondo.
Limiti e vantaggi dell’utilizzo dell’alabastro nelle manifattura di oggetti d’arte, essenzialmente per
interno, sono stati così delineati nel riferimento [18]:
< Far too soft for external use, Alabaster is hopelessly vulnerable to the elements, and it is too
weak for building. It is so soft that it can be cut with a penknife, making it a ready target for
vandals over the ages. The very ease with which it could be carved with finally wrought detail was
one of the reasons for its popularity for tomb sculptures and other internal devotional features, like
reredoses, triptychs and panels. The other reason, of course, was its spectacular appearance. All
alabaster has a unique translucent quality that even the most desensitised individual should be able
to distinguish from marble. The colour spectrum ranges from a creamy white (very rare) to a dark
honey colour. Whatever the colour, it is made up of dozens of veins. In colour these may be
anything from dozens of shades of white to veins of pink and reddish brown > [18].
21
Alcuni oggetti in alabastro di valore artistico e culturale sono riprodotti nella figura 15.
I particolari problemi connessi al restauro e alla conservazione di manufatti in alabastro sono stati
messi in risalto da D. Cox che nel suo già citato articolo scrive:
< The main problems that alabaster presents to the conservator spring from its softness and
susceptibility to the elements, and one of the most common, caused by water penetration, is rusting
ferrous fixings and cramps. Besides staining, corroding iron can cause the stone to fracture and
ultimately render a complete monument unstable and dangerous. The treatment is to remove all
ferrous fixings and replace them with stainless steel fixings and cramps set in resin adhesives.
Sometimes the troublesome ferrous material was introduced in 19th century restorations, as the
fixings of many monuments down to the 17th century were more usually non-ferrous. Sheep bones
were a particularly popular alternative. Indeed probably one of the biggest problems facing the
conservator of alabaster, or any other stone, is botched or failed restoration procedures carried out
in the past. Even the first epoxy resin repairs are now starting to emerge as subjects for treatment >
[18].
Circa gli interventi di restauro conservativo D. Cox, suggerisce per alcune significative fasi
l’impiego di resine acriliche.
< Much can be done to correct poor restoration or repair. For instance old repair plaster can be
removed from a feature and break joints filled with a matching aggregate combined with a resin fill
such as Paraloid, touched in to match the adjacent surface……
Usually alabaster, however begrimed by the centuries, will clean up beautifully. One great virtue of
this stone is that, unlike marble, it rarely stains and if it does, as often as not the stain can pass off
as one of its veins. In fact the veins are a kind of staining.
It should be remembered that up until the beginning of the 17th century, alabaster monuments were
usually painted in places. Therefore it is important to carry out a careful examination for traces of
polychromy so that paint layers can be tested for stability and resistance to solvents prior to
cleaning. Subsequently any flaking areas discovered during cleaning need to be consolidated with
Paraloid resin.
Alabaster should be cleaned using mild solvents…….. > [18].
CASE HISTORY-12
Protezione di Superfici in Calcestruzzo ed Intonaco Cementizio
Per la protezione di superfici in calcestruzzo ed intonaco cementizio trovano ampio impiego
pitture monocomponenti a base di resine acriliche in dispersione acquosa. Questa pittura ha la
capacità di reticolare in superficie, sfruttando l’azione delle radiazioni solari, formando, dopo il
completo asciugamento, un rivestimento elastico, impermeabile all’acqua ed agli agenti aggressivi
presenti nell’atmosfera ( CO2, SO2 ), ma permeabile al passaggio del vapore.
I rivestimenti protettivi si caratterizzano per una ottima resistenza all’invecchiamento, al gelo e ai
sali disgelanti e forniscono alle superfici trattate, grazie alla reticolazione fotochimica, una
bassissima ritenzione dello sporco.
Tra i vari prodotti in commercio si ricorda l’ELASTOCOLOR, della MAPEI SPA, i cui campi di
impiego sono così delineati nel riferimento [20]:
22
a ) Testa di S.Giovanni Battista, Inghilterra
( circa 1470-90 ), in alabastro, dipinta e dorata,
[19].
b) Statua in alabastro., Bath Abbey
( UK ) 17th secolo [18].
FIGURA 15: esempi di opere d’arte
in alabastro
23
< Pitturazione di facciate con problemi di fessurazioni e di strutture in calcestruzzo soggette a
deformazioni. Esempi tipici di applicazione – Protegge dalla carbonatazione strutture in
calcestruzzo sottoposte a piccole deformazioni sotto carico. – Protegge e decora con uno strato
elastico continuo intonaci che presentano microfessurazioni. – Protegge strutture prefabbricate
sottili soggette a fessurazioni > [20].
Le modalità applicative,così come descritte nel riferimento [20], sono qui di seguito riportate:
< Elastocolor si applica a pennello, rullo e spruzzo in 2 o 3 mani su sottofondo perfettamente
pulito, asciutto e precedentemente trattato con Elastocolor Primer o con Malech in funzione
dell’assorbimento del supporto. Elastocolor è disponibile in una ampia gamma di colori ottenibili
col sistema di colorazione ColorMap. Consumo 200-400 g/m2 per mano. Confezioni fustini da kg
20 > [20].
CASE HISTORY-13
Mosaici dell’Arco di ingresso al Presbiterio in San Vitale ( Ravenna )
I mosaici della Basilica di San Vitale a Ravenna [ edificata tra il 525 e il 547, una delle chiese più
famose di Ravenna, capolavoro dell'arte paleocristiana e bizantina ( vedasi figura 16 ) ]
< sono il prodotto più prezioso realizzato nel VI secolo da esperte maestranze ravennate su
commissione della corte giustinianea. All’interno della chiesa, concepita quale mirabile
microcosmo, le immagini si succedono sviluppando un preciso ciclo iconologico …> [21].
FIGURA 16: La Basilica di S. Vitale a Ravenna [22].
24
Le riproduzioni fotografiche di alcuni dei mosaici, presenti nella Basilica di S. Vitale a Ravenna,
sono riportate nella figura 17 [23].
Nel restauro dell’arco di ingresso al Presbiterio della Basilica di S. Vitale sono state applicati, nelle
varie fasi operative, prodotti a base di resine acriliche con caratteristiche diverse.
In particolare, facendo riferimento a quanto pubblicato da L. Alberti e A. Tomeucci, l’impiego di
resine acriliche ha riguardato i seguenti aspetti [24].
a ) Preconsolidamento
-
Il fissaggio delle tessere distaccate: effettuato con una resina acrilica in emulsione ( Lascaux360 HV ).
Il fissaggio delle cartelline di protezione delle foglie di argento: eseguito con infiltrazione di
resina acrilica ( Paraloid B72 ) in soluzione al 4% in cloroetene.
La protezione delle foglie di argento/oro rimaste scoperte per la caduta delle cartelline: eseguita
con paraloid B72 in cloroetene all’8%.
b ) Consolidamento di superficie
- L’ancoraggio delle tessere completamente distaccate, ma con loro sede integra: le tessere
sono state prima distaccate e poi ricollocate, dopo trattamento con una resina acrilica in emulsione
Lascaux 360HV.
- Il consolidamento locale della malta di allettamento e il ripristino dell’adesione delle tessere
mobili: è stato realizzato mediante infiltrazione negli interstizi tra le tessere di una soluzione
acquosa al 50% di resina acrilica in emulsione, Vinnapas SAF54, dopo avere provveduto alla
bagnatura, con una soluzione di acqua/alcool, della regione interessata.
- La ricollocazione delle tessere che avevano l’impronta nello strato di allettamento integra:
< non si è potuta usare la malta…….poiché lo spessore necessario per avere una buona presa
sarebbe stato eccessivo e le tessere sarebbero rimaste troppo aggettanti rispetto al livello
originale; utilizzando la resina acrilica, in dose molto ridotta e quindi con uno spessore
trascurabile, si è potuto assicurare una buona adesione al supporto senza variare la posizione
originaria delle tessere > [24].
-
Il consolidamento dello strato di allettamento e miglioramento dell’adesione delle tessere
mobili:
<….non è stata effettuata a malta idraulica per i problemi di sbiancamento che questa avrebbe
provocato se non rimossa completamente dalla superficie prima della sua presa; l’uso di resina
acrilica, più penetrante e quindi con meno residui in superficie, reversibile e comunque
assolutamente trasparente dopo il consolidamento senza provocare spiacevoli effetti ottici…..
Si è usata la resina acrilica Lascaux 360HV per le riadesioni e la resina acrilica Vinnapas SAF54
per le infiltrazioni perché la prima ha dimostrato maggiore forza di adesione mentre la seconda
maggiore capacità di penetrazione > [24].
c ) Consolidamento e protezione delle tessere deteriorate
- L’ancoraggio delle cartelline di protezione delle lamine in oro e argento: è stato eseguito
mediate infiltrazione a goccia di Paraloid B72 in cloroetene al 4%.
25
-
La protezione delle lamine, dove si è registrata la caduta della cartellina: effettuata applicando,
con pennello, una soluzione a base di Paraloid B72 in cloroetene ( 8% ).
Il consolidamento e la protezione delle tessere in pietra e in marmo: è stata attuata attraverso
infiltrazione di una miscela di Paraloid B72 e di resina acrilica /siliconica Dry Film 104 diluito
in cloroetene ( 12,5% Paraloid B72 al 30% in cloroetene; 4% Dry Film 104 al 70% in White
Spirit; 83,5% cloroetene ). Dopo il trattamento le tessere sono state ripulite, con solvente
organico, della resina in eccesso sulla superficie.
In relazione a quest’ultima fase di restauro nel riferimento [24] è scritto:
< Quasi tutte le tessere in pietra e in marmo sono state invece consolidate e protette; il
deterioramento, consistente in alcuni casi in una vera e propria corrosione ed in altri in decoesione
e solfatazione superficiale, interessava pressoché tutto il materiale lapideo.
Il Paraloid molto diluito, penetrando in profondità nel materiale decoesionato, ha avuto funzione
consolidante; il Dry Film, impedendo il contatto dell’acqua allo stato liquido con la superficie dei
pori, protegge il materiale dall’azione corrosiva della condensa acida che ciclicamente si forma
sulla superficie del mosaico….> [24].
La reversibilità dei trattamenti di consolidamento/protezione mediante l’impiego di miscele a base
di resina acrilica ( Paraloid B72) e di resina acrilica siliconica ( Dry Film 104) è stato studiato da A.
E. Carola e A. Tucci nel caso di campioni di due tipi diversi di pietra calcarea.
Le condizioni sperimentali sono così descritte nel riferimento [25].
< Two limestones were used for this study, an oolitic one, Indiana limestone, and a fossiliferous
one, from Vicenza, Italy. Cubic samples (5 × 5 × 5 cm) were treated with a mixture of acrylic and
silicone resins.
The samples were treated by capillary rise with the following mixture:
-15% v/v of 30% w/v Acryloid B72 (Rohm & Haas) in 1:1 toluene-xylene mixture
-5% v/v of 70% v/v DriFilm 104 in white spirit
-40% v/v 1,1,1 trichloroethane
–40% v/v acetone
The samples were left in contact with the mixture for about 18 hours. The increase in weight due to
the resin mixture uptake was 0.7% for the Indiana limestone and 1.5% for the Vicenza limestone,
which is more porous > [25].
Alcuni campioni di pietra, dopo trattamento con la miscela di resine, sono stati sottoposti a test di
invecchiamento accelerato < ……by repeated cycles of sulphuric acid fog (4 hours) followed by
drying in a climatic chamber (20 hours). The samples were subjected to 21 cycles in total. Acid fog
was obtained by means of a 0.02 M H2SO4 solution. About 0.01 ml/cm2 of acid solution collected
per hour on the horizontal face of the sample (the face that had been in contact with the mixture
during the treatment, referred to from here on as the top face). The climatic chamber was equipped
with a 125 W UV lamp, of high pressure mercury vapor, with highest emission at 280–380 nm,
which was left on during the length of the exposure in the chamber at 50°C and 70% RH…. > [25].
L’estrazione delle resine dai campioni trattati ( invecchiati e non ) è stata effettuata mediante una
delle seguenti procedure:
< 1)-poulticing with a cotton pack holding a 1:1 acetone-trichloroethane mixture, applied over
tissue paper on the top face. The pack was left for 1 hour, and the treatment repeated three times;
26
a)
b)
FIGURA 17: Esempi di mosaici presenti nella Basilica di S.
Vitale a Ravenna.
a ) Presbiterio, arco dell’abside; rappresenta gli Arcangeli Michele
e Gabriele [23].
b ) Presbiterio, lunetta di sinistra; rappresenta i due sacrifici
eucaristici di Abele e Melchiseder [23].
27
2)-immersion of the whole specimen in a 1:1 acetone-trichloroethane mixture and left for four days,
the solvent was then changed and left for another seven days > [25].
Dall’esame della micrografia elettronica in scansione della figura 18, che mostra la superficie di un
campione di pietra calcarea di Vicenza dopo trattamento con la miscela di resine(Acryloid B72/
DriFilm DF104 ), si ricava che i polimeri che si depositano, a seguito dell’evaporazione del
solvente, ricoprono i grani in maniera uniforme.
< The appearance of the treated sample does not change, even after one year, in specimens that are
kept in the laboratori> [25].
Sottoponendo i campioni trattati con la miscela B72/DF104 ad un processo di estrazione con idoneo
solvente si osserva che il materiale polimerico che si era depositato sui grani viene completamente
disciolto: il trattamento è reversibile.
La degradazione artificiale mette meglio in evidenza il reticolo polimerico formatosi dopo
l’evaporazione del solvente nei campioni di pietra di Vicenza, precedentemente trattati con la
miscela B72/DF104 ( vedasi micrografia elettronica in figura 19 ). Questa osservazione è da mettere
in relazione all’attacco acido che provoca la dissoluzione parziale dei grani lapidei [25].
E’ interessante osservare che il processo di invecchiamento artificiale determina nei campioni
trattati con la miscela di resine una certa resistenza a rilasciare completamente i polimeri
depositatisi ( vedasi figura 20 ) a dimostrazione del fatto che, almeno nelle condizioni sperimentate
il trattamento non è completamente reversibile [25].
I risultati dello studio condotto A. E. Carola e A. Tucci portano alla seguente conclusione:
< ….the consolidating and water-repelling treatment based on mixtures of B72-DF104 is not
“totally” reversible once the treatment has aged. Specifically, the in-situ polymerization of the
silicone resin makes this part of the treatment irreversible..
This irreversibility is limited to the exposed surface of the stone only.
This feature should not be a condemning factor, as the surface will be the most weathered part, and
should the treatment be totally reversible after the stone has weathered, the surface would be lost
because of lack of cohesion.
This treatment, based on a mixture of acrylic and silicone resins was found to be totally reversible
for the bulk of the treatment, while only a thin surface layer turns partially irreversible. This
remaining surface layer, because of its chemical nature and its microstructure, should not interfere
with future treatments >[25].
28
FIGURA 18: Campione di pietra calcarea di
Vicenza dopo trattamento con la miscela di
resine ( B72/DF104 ) [25].
FIGURA 19: Micrografia elettronica in scansione
della superficie di un campione di pietra di Vicenza
prima trattato con la miscela B72/DF104 e quindi
sottoposto a degradazione artificiale [25].
29
FIGURA 20: Micrografia elettronica al SEM di un
campione di pietra di Vicenza, trattato con la miscela
B72/DF104, quindi sottoposto a degradazione
artificiale e successivamente a prove di estrazione con
solventi dei polimeri solidi depositatisi sui grani. Si
nota la presenza di residui di resina: il trattamento è
parzialmente reversibile [25].
30
RIFERIMENTI
1 ) http://www.rcrestauro.it/tipologie.htm (2006).
2 ) http://www.ctseurope.com/dettaglionews.asp?id=12, Bollettino CTS (2006 ).
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-M. Camaiti, F. Fratini, V. Passarello, U. Tonietti "Consolidamento di materiali lapidei con prodotti
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Bologna, Centro per la Conservazione delle Sculture all’Aperto, Edizioni Alfa, Bologna, pp. 279306 (1981).
9 ) J. Delgado Rodrigues, in < Historical Constructions >, P. B. Lourenco, P. Roca ( Eds. ),
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11 ) http://en.wikipedia.org/wiki/Pests%C3%A4ule_%28Vienna%29" (2006).
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13 ) Provincia Regionale di Palermo, Assessorato ai Beni Culturali Monumentali ed Ambientali,
< LA PROVINCIA RESTAURA >, Esempi di restauro realizzati dalla Provincia Regionale di
Palermo, ideazione di R. M. Dibenedetto, testi e progetto grafico di R. Diliberto,
http://www.provincia.palermo.it/venezia/completa.pdf (2006).
14 ) http://www.icsa-giacomelli.it/index.php (2006).
15 ) http://www.sdb.org/basilicama/ITA/restauro/restauri_attuali/descrizione_tecnica.htm (2006).
16 ) “ARCHEOLOGIA DELL’ARCHITETTURA E RESTAURO: UNA PROPOSTA
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http://www.bologna-restauratori.it/download/leonardo.pdf. (2006).
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19 ) http://www.vam.ac.uk/collections/sculpture/bayes/carved/alabaster/index.html
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31
20 ) http://www.edilio.it/aziendeeprodotti/popupprodotto.asp?cod=519 (2006).
21 ) C. Muscolino, “I mosaici dell’arco presbiteriale di S. Vitale: osservazioni e scelte
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cura di C. Fiori, C. Muscolino, CNR-IRTEC, Faenza (RA) (1999)
22 ) http://it.wikipedia.org/wiki/Immagine:Ravenna_1978_074.jpg (2006).
23 ) www.ravennamosaici.it (2006).
24 ) L. Alberti, A. Tomeucci, “ Intervento di restauro sui mosaici dell’arco di ingresso al
presbiterio in S. Vitale a Ravenna”, in < Restauri ai Mosaici nella Basilica di S. Vitale a Ravenna >,
a cura di C. Fiori, C. Muscolino, CNR-IRTEC, Faenza (RA) (1999).
25 ) A. E. Carola, A. Tucci, Journal of the American Institute for Conservation, 25, 83 (1986).
32
33
PARTE-D
I POLIMERI ORGANICI DI SINTESI USATI NEL CONSOLIDAMENTO E NELLA
PROTEZIONE DEL COSTRUITO E DEI MANUFATTI LAPIDEI
CAPITOLO 3-D
A ) I POLIURETANI: SINTESI, STRUTTURA E PROPRIETA’
I poliuretani ( PU ) sono polimeri di sintesi che si ottengono attraverso una reazione chimica tra diisocianati ( contenenti nella molecola un numero di gruppi –N=C=O = 2 ) e polioli ( con un numero
di gruppi idrossilici = 2 ).
Questi materiali si caratterizzano per la presenza in catena di legami uretanici [–NH–C(=O)–O–] (
vedasi figura 1 ).
FIGURA 1: La reazione tra una molecola di un isocianato
e di un alcol porta alla formazione di un legame uretanico
La struttura molecolare di diisocianati/poliisocianati comunemente impiegati nella sintesi di
poliuretani, lineari e ramificati, è riportata nella figura 2 [1,2].
Le fasi che portano all’ottenimento di un poliuretano, a partire dal 4,4’diisocianatodifenilmetano (
MDI ) e dal glicole etilenico ( vedasi formule in figura 3 ), in presenza di un idoneo catalizzatore ( il
diazobiciclo [2.2.2.] ottano ( DABCO ) ), sono a titolo esemplificativo qui di seguito illustrate [3].
FASE-1
Il DABCO, una molecola nucleofila con due elettroni non condivisi, si lega elettrostaticamente con
l’idrogeno dell’ossidrile carico positivamente a causa dell’elettronegatività dell’ossigeno a cui esso
è legato.
La reazione di accoppiamento, descritta in figura 4, determina la formazione di un intermedio,
basato su di un legame ad idrogeno, che presenta una carica positiva sull’azoto e una negativa
sull’ossigeno.
FIGURA 2: Struttura chimica, sigla, nome e settore di utilizzo di
diisocianati/poliisocianati comunemente impiegati nella sintesi dei
poliuretani [1,2].
FIGURA 3: Nella molecola del diisocianato ( MDI ) e in quella
del diolo sono presenti, rispettivamente i due gruppi reattivi
–N=C=O e –OH.
FIGURA 4: Nella prima fase della reazione che porta alla formazione
di una molecola di poliuretano una molecola di catalizzatore, il DABCO,
si lega attraverso un legame ad idrogeno ad una molecola di diolo [3].
FASE 2
L’ossigeno carico negativamente si lega al carbonio isocianato di un'altra molecola di MDI.
L’intermedio che si forma presenta una carica negativa sull’azoto e una positiva sull’ossigeno (
vedasi reazione in figura 5 ). L’azoto con carica negativa sposta l’idrogeno dall’alcol: si forma un
primo dimero che presenta nella sua molecola un legame uretanico, contemporaneamente si libera
la molecola di DABCO. Lo schema di questa reazione è riportato in figura 6 [3].
FASE 3
Il dimero uretano contiene ad una delle estremità un gruppo OH, all’altra un gruppo isocianato.
Questo gli permette di reagire sia con una molecola di diolo che con una di diisocianato formando
un trimero uretano.
Il dimero può anche reagire con un altro dimero oppure con un trimero dando luogo alla formazione
di oligomeri. Lo schema di questa fase di propagazione è schematicamente illustrato nella figura 7
Infine la combinazione tra oligomeri conduce alla produzione di macromolecole poliuretaniche ad
elevata massa molecolare. [3,4].
La formula di struttura dell’unità ripetitiva di un macromolecola di un poliuretano lineare, derivante
dalla reazione tra molecole di MDI e di glicole etilenico, è descritta nella figura 8.
Nella pratica industriale risulta utile partire non da molecole piccole quali il glicole etilenico ma da
un poliglicole preformato ( figura 9 ) avente massa molecolare relativamente elevata ( ad es. 2000 ).
A seconda del numero di gruppi funzionali presenti nelle molecole di monomero si possono
ottenere poliuretani lineari oppure reticolati
FIGURA 5: Schema della reazione di formazione di
una molecola di poliuretano: Fase 2 ( vedasi testo ) [3].
FIGURA 6: Schema della sintesi di una molecola di un
poliuretano: Fase 2, formazione di un dimero con legame
uretanico ( vedasi testo ) [3].
FIGURA 7: Schema relativo alla fase di accrescimento
delle molecole di uretano con formazione di un trimero
( vedasi testo ) [3].
FIGURA 8: struttura dell’unità ripetitiva di un macromolecola di un
poliuretano lineare, derivante dalla reazione tra molecole di MDI e di
glicole etilenico [3,4].
FIGURA 9:
In alto: struttura molecolare del poliglicole etilenico.
In basso: struttura dell’unità ripetitiva di una
macromolecola di un poliuretano ottenuta per reazione del
poliglicole con MDI. Il polimero si caratterizza per la
presenza di blocchi flessibili e rigidi [3,4].
FIGURA 10: Processo di sintesi e struttura chimica dell’unità
ripetitiva di una macromolecola di poliurea a partire dal 4,4diisocianatofenilmetano e dall’etilene diammina [5].
Quando il dialcol è sostituito con una molecola di diammina il polimero risultante è denominato
poliurea: lungo la catena si succedono legami di tipo ureico [ ? NH? C(=O)? NH? ].
La struttura chimica dell’unità ripetitiva di una macromolecola di poliurea, derivante dalla reazione
tra il 4,4 diisocianatofenilmetano e l’etilene diammina è illustrata in figura 10 [5].
Come si evince dalla figura 9 i PU sono dei copolimeri a blocchi ( di tipo alternato ) dove lungo le
singole macromolecole si succedono segmenti molecolari rigidi ( Hard segment: A ) e
flessibili/elastomerici ( Soft segment: B ). Pertanto la struttura molecolare di una singola catena di
PU-lineare può essere schematicamente così rappresentata:
[? A? B? A? B? A? B? A? B? ]n
I segmenti elastomerici/flessibili, in generale, derivano da molecole di polioli che possono essere di
tipo polietere ( si ricavano essenzialmente da una miscela di ossido di propilene e ossido di etilene )
oppure poliestere ( ottenuti, ad esempio, dalla polimerizzazione del glicole etilenico con l’acido
adipico ). Conseguentemente i rispettivi poliuretani vengono denominati PU-polieteri e PUpoliesteri. Le strutture molecolari di un poliolo-etere di un poliolo-estere sono qui di seguito
riportate:
POLIOLO-ETERE
R? [O? CH(CH3)? CH2? O)x? (CH2? CH2? O)y? H]n
POLIOLO-ESTERE
R? [O? (C(=O)? (CH2)4? C(=O)? O? CH2? CH2? O)x? H]n
Nei PU i segmenti rigidi sono costituiti da molecole di diisocianato e da molecole di un diolo a
basso peso molecolare che di norma viene chiamato chain extender o estensore di catena.
Tipici esempi di estensori di catena sono: l’ 1,4-butandiolo; l’etilene glicole e l’1,6-esandiolo [6].
Nello stato condensato, a causa di forti legami ad idrogeno che si vengono ad esplicare tra gruppi
uretanici appartenenti a macromolecole diverse, i segmenti rigidi tendono ad aggregarsi costituendo
delle microfasi. Pertanto il materiale può essere considerato un sistema a due fasi interconnesse tra
loro che si differenziano sostanzialmente per le diverse caratteristiche chimico-fisiche. In molti PU
segmentati questa struttura bifasica determina un comportamento termico del materiale
caratterizzato da due transizioni vetrose: quella dei segmenti flessibili a bassa temperatura e quella
della fase rigida a temperature più elevate.
I segmenti rigidi, a temperature relativamente basse ( T < Tg fase rigida ) agiscono da cross-link di
natura fisica contribuendo a dare consistenza al materiale. A temperature elevate ( T > Tg fase
rigida ) i legami intercatena si rompono e pertanto il polimero può essere lavorato come un normale
termoplastico. Riportato alle basse temperature si riformano i legami ad idrogeno e il materiale
conserva la forma conferitagli nel corso del processo di lavorazione.
La micromorfologia in massa di un PU-segmentato, caratterizzata dalla presenza delle due fasi (
hard e soft ) è schematicamente illustrata nella figura 11 [7].
Le proprietà e le caratteristiche dei poliuretani < dipendono sia dalla struttura dei prodotti di base,
polioli e isocianati, sia dal tipo di catalizzatori e additivi impiegati; catalizzatori e additivi vengono
spesso premiscelati con i polioli e contribuiranno, durante la reazione con l’isocianato, sia a
controllare la reazione di sintesi del poliuretano, sia a modificare le proprietà del polimero finale
>[8].
FIGURA 11: Struttura dei poliuretani segmentati allo stato
condensato.
Sono schematicamente rappresentate le microfasi ( hard e soft )
Che determinano il comportamento chimico e fisico del materiale
[7].
La moderna chimica dei PU offre ai produttori la possibilità di potere sintetizzare materiali con
proprietà fortemente diversificate e spesso mirati /funzionali a particolari e sempre più sofisticati
impieghi.
In relazione a questo ultimo punto A. M. M. Baker e J. Mead hanno scritto:
< The properties of PU can be varied by changing the type or amount of the three basic building
blcks of the polyurethane -diisocyanate, short chain diol, or long chain diol. Given the same
starting materials the polymer can be varied simply by changing the ratio of the hard and soft
segments > [6].
I polioli impiegati nella sintesi dei PU hanno un peso molecolare compreso tra 400 e 6000 e una
funzionalità (numero di OH reattivi per molecola) che, generalmente, varia da 2 ad 8. Possono
essere di natura polietere o poliestere e con una struttura lineare o ramificata.
La flessibilità molecolare, la struttura, la funzionalità e il peso molecolare dei polioli determinano il
grado di reticolazione e le proprietà ultime del poliuretano che si ottiene a seguito della reazione
con isocianati.
I catalizzatori più usati, nella sintesi dei poliuretani sono a base di ammine alifatiche terziarie (
vedasi tabella 1 ) [8].
TABELLA 1
Catalizzatori di tipo ammina terziaria usati nella sintesi dei
poliuretani [8].
N,N-Dimetilamminoetanolo ? liquido poco viscoso, basso
odore; utilizzato per schiume flessibili
N,N-Dimetilcicloesammina ? liquido con odore intenso;
utilizzato per schiume flessibili e semirigide
Bis-(2-dimetil-ammina-etil-etere) ? liquido poco viscoso,
basso odore; utilizzato per schiume flessibili
N,N-Dimetilbenzilamina ? liquido odoroso; utilizzato per
schiume flessibili e semirigide, e nella preparazione di
prepolimeri
N,N-Dimetilacetilammina ? liquido viscoso con basso
odore;utilizzato per schiume flessibili
Diamminocicloottano (DABCO) ? solido solubile in acqua,
glicol e in polieteri; impiegato in molti tipi di poliuretani;
N-etilmorfoline ? liquido odoroso a bassa viscosità, molto
volatile; usato per schiume flessibili, e nella preparazione di
Prepolimeri
Metilene-bis-dimetilcicloesammina ? liquido a bassa
volatilità, poco odoroso; utilizzato per schiume flessibili
N,N,N’,N”,N”-pentametildipropilene-triammina ? liquido
con forte odore ammoniacale; utilizzato per schiume rigide e
semirigide
I PU vengono impiegati nella produzione di una vasta gamma di materiali, con proprietà fortemente
diversificate, che trovano applicazione in una grande varietà di settori di utilizzo.
Alcune delle più significative classi di prodotti di natura poliuretanica sono qui di seguito descritte.
1 ) POLIURETANI ELASTOMERICI
Si ottengono per reazione tra un diisocianato, un poliolo ed un estensore di catena (in genere un
glicole a basso peso molecolare, un triolo o una diammina). La sintesi porta alla formazione di
copolimeri a blocchi lungo le cui macromolecole si succedono segmenti rigidi alternati a segmenti
flessibili.
< Tra i segmenti rigidi delle diverse catene si instaurano interazioni a formare una struttura
secondaria basata su legami idrogeno. Durante il raffreddamento, a causa della incompatibilità tra
segmenti rigidi e flessibili, si ha il passaggio da una struttura omogenea allo stato fuso ad una
struttura in cui sono visibili due microfasi: zone dall'aspetto quasi-cristallino, costituite dagli
agglomerati di segmenti rigidi, e zone a carattere amorfo, costituite dai lunghi segmenti flessibili.
Il gran numero di legami idrogeno presenti tra i segmenti rigidi conferisce loro una certa
coesione e li mantiene ordinati; l'applicazione di uno sforzo in senso longitudinale fa sì che i
segmenti flessibili si ordinino in parallelo, mentre le catene rimangono impedite nello
scorrimento dall'ancoraggio alle zone rigide. I segmenti rigidi sono responsabili della resistenza
alla tensione, mentre i segmenti flessibili determinano l'espansione elastica e la temperatura di
transizione vetrosa >[8].
I PU-elastomerici si caratterizzano per le seguenti proprietà:
? buona flessibilità, anche a basse temperature;
? resistenza allo sforzo, all’abrasione e agli agenti chimici;
? resistenza all’urto [8].
2 ) POLIURETANI ELASTO-PLASTICI
Sono poliuretani elastomerici ( lineari o reticolati ) capaci di assumere caratteristiche plastiche a
temperature elevate e quindi essere lavorati mediante estrusione, calandratura e stampaggio per
iniezione.
I PU-elastoplastici si ottengono facendo reagire polioli poliesteri o polieteri (dioli) con diisocianati
in presenza di idonei estensori di catena ( ad esempio glicoli a basso peso molecolare ).
< La reticolazione si ottiene inserendo nella formulazione un leggero eccesso di isocianato e
questo fa sì che si formino reticolazioni con legami tipo allofanato o biureto; per riscaldamento a
temperature di 90-120°C si ha rottura reversibile dei legami di reticolazione, con formazione di
un polimero lineare che, sottoposto a raffreddamento dopo la lavorazione, reticola nuovamente
per reazione dei gruppi isocianici liberi con i gruppi uretanici e ureici >[8].
I PU-elastoplastici presentano:
?
?
?
?
buona attitudine alla lavorazione
buone proprietà meccaniche
elevata resistenza all'abrasione, in particolare alle basse temperature;
ottima fonoassorbenza [8].
3 ) GOMME POLIURETANICHE
In genere vengono sintetizzate aggiungendo alla miscela di polioli polieteri o poliesteri e
diisocianati agenti vulcanizzanti ( ad es. zolfo e perossidi ).
< La gomma poliuretanica viene utilizzata per produrre parti soggette ad elevati stress meccanici,
ad alta temperatura ed al contatto con lubrificanti e solventi.
La gomma poliuretanica è un prodotto solido che viene lavorato con le tecnologie tipiche
dell'industria della gomma: estrusione, calandratura, stampaggio per iniezione > [8].
4) PRODOTTI POLIURETANICI PER RIVESTIMENTI SUPERFICIALI: VERNICI E ADESIVI
Si caratterizzano per:
?
?
?
?
durezza;
flessibilità;
resistenza all’abrasione;
resistenza alla luce e agli agenti chimici.
5 ) POLIURETANI ESPANSI: SCHIUME RIGIDE E FLESSIBILI
I materiali polimerici espansi, comunemente denominati schiume, hanno una struttura cellulare e
quindi una relativamente bassa densità. Hanno caratteristica di termoindurenti a causa della loro
struttura reticolata per cui il prodotto finito non può essere più fuso e rilavorato.
Questi prodotti, che possono essere ottenuti mediante un processo fisico ( un agente rigonfiante a
basso punto di ebollizione, capace di passare allo stato di gas a seguito dell’aumento di temperatura
causato dalla esotermicità della reazione di polimerizzazione, viene immesso nella miscela di
reazione ) oppure chimico ( viene aggiunta H2O che reagendo con l’isocianato provoca lo sviluppo
di CO2 sulla base della seguente reazione: R-NCO+ H2O ? R-NH2+CO2 ), si suddividono, a
seconda del loro impiego, in quattro gruppi [9,10].
-Schiume flessibili
Sono materiali con struttura a celle aperte, caratterizzati da elevata elasticità, resistenza alla trazione
e allungamento.
-Schiume rigide
Generalmente hanno una morfologia a celle chiuse. Si caratterizzano per le loro basse proprietà
meccaniche e l’elevata capacità di fono e termo isolamento.
-Schiume elastomeriche
Si distinguono per una struttura cellulare molto fine ( microcellulare ), una densità relativamente
elevata e una ottima resistenza all’abrasione.
-Schiume strutturali
Sono dei materiali a più di un componente, con struttura a sandwich, caratterizzati da due strati
superficiali ( rivestimenti ) in polimero termoplastico( PVC o ABS ) e uno strato interno in
poliuretano espanso.
Per le loro proprietà meccaniche e termiche le schiume strutturali a base poliuretanica sostituiscono
in molte applicazioni materiali come il legno, i polimeri termoplastici e i compositi a matrice
polimerica [8,11,12].
RIFERIMENTI
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Tecnologia >, pp-800-818, AIM, Pacini Editore, Pisa (1983).
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PARTE-D
I POLIMERI ORGANICI DI SINTESI USATI NEL CONSOLIDAMENTO E NELLA
PROTEZIONE DEL COSTRUITO E DEI MANUFATTI LAPIDEI
CAPITOLO 4-D
A ) LE PROPRIETA’ DEI POLIURETANI IN RELAZIONE ALLE LORO APPLICAZIONI
NELLA CONSERVAZIONE DEL COSTRUITO E DEI MANUFATTI LAPIDEI
CASE HISTORY
1
I poliuretani ( PU ), la cui commercializzazione risale agli anni 30 del secolo scorso, cominciarono
a trovare applicazione nella conservazione dei beni culturali solo a partire dai primi anni del
decennio 1950-60 [1].
Come già scritto nel capitolo precedente, a seconda della natura chimica del poliolo usato i PU si
suddividono in PU-poliesteri ( PU-Pes ) oppure in PU-polieteri ( PU-Pet ).
A parità di ogni altra condizione si verifica che i PU-Pet sono più resistenti all’idrolisi dei Pu-Pes,
mentre nei confronti dell’azione degli oli e dei carburanti sono i PU-Pes a presentare una maggiore
resistenza.
La flessibilità alle basse temperature dei PU può essere controllata dalla lunghezza e dalla natura
dei segmenti soft. In generale si riscontra che la temperatura di transizione vetrosa dei PU-Pet è
inferiore di quella dei PU-Pes; pertanto questi ultimi si caratterizzano per una minore flessibilità alle
basse temperature [2].
La resistenza al calore dei PU è determinata dalla struttura chimica dei segmenti hard.
In generale i PU si caratterizzano per l’elevata resistenza:
-
all’abrasione;
all’urto;
al taglio;
agli attacchi fungini [2].
L’elevata resistenza agli oli è dovuta alla natura altamente polare delle macromolecole di PU,
mentre l’alta resistenza all’abrasione deriva dall’impacchettamento compatto dei segmenti hard e
dalla loro distribuzione, come domini, nella matrice elastomerica dei segmenti soft [3].
Le problematiche connesse all’impiego dei PU sono da mettere in relazione ai seguenti aspetti:
‡ alta tossicità degli isocianati;
‡ tendenza all’ingiallimento all’aria;
‡ attitudine alla depolimerizzazione, polverizzazione e deformazione strutturale [4].
In presenza di sostanze acide e alle alte temperature una prolungata esposizione alla luce naturale
può indurre fenomeni di decomposizione delle catene di PU che portano alla formazione di
molecole di diisocianato ( O=C=N–R–N=C=O ) e di lunghe molecole di alcoli ( poliesteri o
poliesteri ) [5]. In conseguenza di ciò film di PU possono diventare, per esposizione alla luce,
fragili, mentre lo sviluppo di diisocianati può causare la corrosione di metalli e lo scoloramento di
pigmenti e tessili di varia natura.
Le resine poliuretaniche, le poliuree e gli ibridi poliuretani/poliuree ( derivano dalla reazione
chimica tra un isocianato e una miscela di poliolo e ammina ) hanno trovato applicazione nei lavori
di restauro come impregnanti ad effetto consolidante.
I PU vengono impiegati come consolidanti/protettivi di manufatti in pietra, generalmente, allo stato
di soluzione o di emulsione acquosa dalla quale essi si depositano per evaporazione del solvente.
< Polyurethanes can achieve substantial increase in stone strength but are vulnerable to decay
caused by exposure to heat or light, they may therefore include stabilizers > [6].
In molte applicazioni, per evitare l’uso di solventi, i PU vengono utilizzati sfruttando il concetto
della polimerizzazione in situ. In questo caso vengono impiegate formulazioni a base di prepolimeri
a basso peso molecolare ( 250-350 ) e a bassa viscosità ( a 25°C intorno ai 250 cps ) capaci di
penetrare e diffondere all’interno della pietra dove in presenza di opportuni catalizzatori
polimerizzano e induriscono.
Verso la fine degli anni 80 del secolo ventesimo la Syremont ( Italia ) mise a punto una famiglia di
2
PU-Pes da usare come consolidanti di vari tipi di materiali. Tra questi rientra l’ Akeogard-PU, un <
Aggregante superficiale idrofobizzante a base di poliuretano fluorurato anionico, in emulsione
acquosa > capace di esplicare un’azione di protezione per qualsiasi tipo di materiale lapideo,
laterizi e intonaci [7].
Le caratteristiche chimico-fisiche dell’Akeogard-PU sono le seguenti:
-Contenuto materia attiva: 12-13% poliuretano fluorurato
-Aspetto: emulsione limpida
-Densità: 1 kg/l a 20°C
-pH: 5,5 [7].
Alcuni significativi esempi di applicazione dei PU nel campo della conservazione del costruito sono
qui di seguito riportati e discussi.
CASE HISTORY-1
Protezione/Consolidamento di Pietre di Travertino
Recentemente, nell’ambito del < Progetto Travertino >, si è provveduto alla valutazione delle
prestazioni di alcuni prodotti commerciali quali protettivi e consolidanti di campioni di travertino.
< …roccia sedimentaria carbonatica con struttura concrezionata, è costituita da zone compatte
alternate a zone con cavità più o meno grandi. Questa roccia la si ritrova in grandi affioramenti
nel Lazio e in Toscana e, proprio in queste regioni, è stata ampiamente usata come materiale da
costruzione.
Benchè il travertino abbia numerose cavità, anche di grandi dimensioni, ha una compattezza
elevata e una limitata capacità di assorbire acqua > [8].
Tra i materiali impiegati, come si evince dalla tabella 1, insieme a prodotti appartenenti alla
famiglia degli alcossisilani, degli alchilalcossisilani, delle resine acriliche e dei fluoroelastomeri
figura anche l’ Akeogard-PU. Dalla relazione conclusiva del “Progetto Travertino”, redatta da M.
Camaiti e B Sacchi ( ICVBC - CNR – Firenze ), al termine di uno studio eseguito in collaborazione
con C.T.S. S.r.l., è stato possibile ricavare interessanti informazioni sull’idoneità dei vari
trattamenti [8]. Per valutare l’efficacia dei prodotti usati, sui provini in travertino ( dimensioni:
5x5x2 cm3 ), prima e dopo il trattamento, sono state effettuate misure di:
–Idrorepellenza
–Diffusione di acqua liquida all´interno dei provini
–Resistenza alla perforazione
–Variazioni cromatiche
I campioni sono stati anche trattati con sali solubili secondo la seguente procedura:
< Sono stati scelti 6 provini per ciascun trattamento, 4 fra quelli trattati a pennello e fra quelli
trattati per assorbimento capillare, e sono stati sottoposti ad assorbimento capillare di una
soluzione di Na2SO4 al 10% in peso. L'assorbimento è stato fatto avvenire appoggiando, su 10
filtri di carta, la faccia 5x5 cm2 opposta a quella del trattamento, lasciando poi i provini ad
assorbire per 24 ore, aggiungendo opportune quantità di soluzione quando si rendeva necessario,
perchè la carta da filtro non andasse mai a secco > [8].
3
TABELLA 1
PRODOTTI COMMERCIALI CON CARATTERISTICHE
CONSOLIDANTI/PROTETTIVI INPIEGATI NEL “PROGETTO
TRAVERTINO” [8].
Wacker OH: silicato d'etile al 75% in solvente organico
Tegovakon Estel 1000: silicato d'etile al 75% in solventi organici
V100: composti organici dell'estere silicico e metilsilossano al 100%
Fluormet CP: blend fluoroelastomero / poli(etil metacrilato - co-metil
acrilato) al 3% in acetone
Akeogard PU: poliuretano perfluorurato anionico in emulsione acquosa
(12-13%)
VP5035: miscela di 40-60% alchil-alcossi-silani, 30-40% esteri dell'acido
silicico, 10-20% propanolo
Paraloid B72: poli(etil metacrilato- co-metil acrilato) (70/30) al 2,5% in
acetone
Infine i campioni sono stati sottoposti a prove di invecchiamento artificiale le cui modalità sono
così descritte nel riferimento [8]:
< I provini contenenti il solfato di sodio, dopo essiccamento a temperatura e umidità ambiente,
sono stati sottoposti a cicli di invecchiamento accelerato in camera climatica. Ciascun ciclo, della
durata di 9 ore, era così costituito: 3 ore a T = 50ºC e U.R.% = 30% e 3 ore a T = 5ºC e U.R.% =
80%, con tempi intermedi di 1 ora e mezzo fra le due isoterme per raggiungere le diverse
temperatura e umidità relativa impostate. Dopo 50 cicli di invecchiamento accelerato i provini
sono stati estratti dalla camera, fatti stabilizzare a temperatura e umidità ambiente, quindi
effettuate nuovamente le misure di colore.
Dopo ulteriori 50 cicli di invecchiamento (100 cicli in totale), oltre alle misure di colore
è stata misurata l'idrorepellenza sia a tempi brevi, sia a tempi lunghi. Le curve di
assorbimento capillare, ottenute dalle misure di assorbimento a tempi lunghi, sono state
confrontate con quelle ottenute dai provini non invecchiati, e che non avevano assorbito
la soluzione di solfato di sodio. Ulteriori cicli di invecchiamento sono stati effettuati
raggiungendo complessivamente i 200 cicli.
4
Dopo 150 e 200 cicli sono state eseguite misure di resistenza alla perforazione mediante DFMS
(Drilling Force Measurement System). Le misure effettuate dopo 150 cicli sono state realizzate su
alcuni provini essiccati in essiccatore a cloruro di calcio fino a peso costante, mentre quelle
eseguite dopo 200 cicli, sempre sugli stessi provini, sono state fatte sia ad "umido" (appena tolti
dalla camera climatica), sia a "secco" (dopo essiccazione in essiccatore fino a peso costante).
Su alcuni provini, dopo 200 cicli di invecchiamento, sono state inoltre fatte delle misure di
tomografia NMR (MRI) per la valutazione della profondità di penetrazione del prodotto e della
omogeneità del materiale lapideo. Per confronto, le misure MRI sono state eseguite anche su
provini non invecchiati ma stagionati > [8].
Come si evince dai dati riportati nella figura 1 tutti i trattamenti effettuati mostrano una elevata
efficacia protettiva ( > dell’80% ) conferendo ai campioni di travertino una buona capacità di
idrorepellenza.
FIGURA 1: Efficacia protettiva in funzione della natura chimica
dei prodotti usati su campioni di travertino. Sulle ascisse sono
riportati i nomi commerciali delle varie formulazioni impiegate (
vedasi tabella 1 ) [8].
Dalla quantità di acqua assorbita dalla faccia non trattata dei vari provini è stato possibile risalire al
grado di penetrazione dei diversi trattamenti. Da queste determinazioni è risultato che i prodotti
siliconoici penetrano più in profondità di quanto non facciano il Fluormet CP e l’Akeogard PU.
< L´invecchiamento accelerato in presenza di sali solubili (solfato di sodio) non sembra modificare
sensibilmente l´effetto idrorepellente dei trattamenti……almeno dopo 100 cicli.
La diminuzione dell´efficacia protettiva, infatti, è al di sotto del 10%, ad eccezione di Estel 1000
(11%). Diminuzioni più marcate, in particolare per i prodotti a base di silicio, sono osservate sui
provini non invecchiati ma "stagionati", in condizioni di laboratorio, per 5 mesi (lo stesso tempo
dal trattamento dei provini sottoposti ad un invecchiamento di 100 cicli) > ( vedasi figura 2 ) [8].
5
Il comportamento apparentemente anomalo, riscontrato sui provini di travertino non trattati ma
invecchiati artificialmente ( figura 2-a) ) è, secondo gli Autori, attribuibile ad una diminuzione della
porosità totale connessa alla cristallizzazione del solfato di sodio all´interno dei pori.
< Questa ipotesi sembra confermata dalle misure di assorbimento di acqua a tempi lunghi: in tal
caso i provini invecchiati assorbono una maggior quantità di acqua rispetto a quelli non
invecchiati ……Durante l´assorbimento a tempi lunghi, infatti, il sale ha sufficiente tempo per
solubilizzarsi, contrariamente a quanto potrebbe non avvenire a tempi brevi (60 minuti) e i cristalli
depositati all´interno dei pori funzionano da "blocco" per l´ingresso dell´acqua > [8].
a)
b)
FIGURA 2: Variazione dell'efficacia protettiva dei vari tipi di
trattamento effettuati su provini di travertino in presenza di sali
solubili ( solfato di sodio ): a ) dopo invecchiamento artificiale
(100 cicli); b ) dopo stagionatura (5 mesi) [8].
6
Dalle prove effettuate è emerso che l’invecchiamento artificiale causa nei campioni trattati con
Fluormet CP e Akeogard PU una riduzione dell’efficacia protettiva che è maggiore di quella
osservata nel caso dei prodotti a base di silicio e del PB72 ( vedasi figura 2-a) ).
< Questo risultato potrebbe essere attribuibile ad una differente penetrazione dei prodotti
all´interno della pietra: maggiore è la penetrazione minore è la capacità di assorbire acqua e
soluzioni saline, quindi migliore la resistenza all´invecchiamento………
La valutazione dell´efficacia all´invecchiamento …….dà indicazioni sul fatto che composti a più
basso peso molecolare riescono a penetrare fino in profondità e quindi garantiscono una miglior
protezione > [8].
Dai dati della figura 3 si ricava che, ad eccezione del trattamento con VP5035 ( per il quale si
osserva un valore di ? E ~10 ), le variazioni cromatiche, riferite al valore prima del trattamento,
riscontrate nei provini trattati con tutti gli altri prodotti sono tali da non essere percepite ad occhio
nudo ( ? E < 3 ) [8].
I valori delle variazioni colorimetriche non risultano essere influenzate dall’invecchiamento.
FIGURA 3: Variazioni cromatiche di provini di travertino dopo trattamento e dopo
invecchiamento accelerato in funzione della natura chimica dei prodotti impiegati il
cui nome commerciale è indicato sulle ascisse [8].
L’insieme dei risultati ottenuti nell’ambito del “Progetto Travertino” ha permesso di trarre, in
definitiva, le seguenti conclusioni:
< ? Tutti i prodotti, compreso quelli contenenti silicato di etile, conferiscono elevata idrofobicità
alla pietra con quantità di prodotto talvolta molto basse. Tale proprietà permane anche dopo
invecchiamento accelerato.
? Le variazioni cromatiche del travertino dovute al trattamento sono modeste e spesso
trascurabili, ad eccezione di VP5035.
7
? I materiali polimerici a peso molecolare relativamente alto (PB72, Fluormet CP e Akeogard
PU) hanno una minor capacità di penetrazione e la quantità di prodotto che viene assorbita dalla
roccia è molto minore rispetto ai composti oligomerici o monomerici. La distribuzione del
materiale polimerico è inoltre preferenzialmente superficiale, come evidenziato dalla capacità di
assorbimento di acqua dalla faccia non trattata.
? La valutazione dell´efficacia all´invecchiamento dei prodotti di conservazione è difficile da
valutare a causa della elevata disomogeneità del travertino. Le misure più attendibili sono risultate
quelle della determinazione dell´assorbimento di acqua e della visualizzazione della diffusione di
acqua liquida (MRI), a condizione che le prove vengano effettuate sugli stessi provini prima del
trattamento, dopo trattamento e dopo invecchiamento. Valutazioni per confronto con provini simili
sono poco significative > [8].
CASE HISTORY-2
Restauro/Conservazione di Manufatti Piani in Calcestruzzo
La Elastomer Specialties, INC. ( USA ), produce e commercializza un prodotto sigillante a due
componenti, una poliurea modificata con caratteristiche di elastomero ( KWIKSEAL 35 ES-1945 )
< designed for sealing expansion/contraction joints in both new and old concrete……. KWIKSEAL
35 ( ES-1945 ) is self levelling and has been specifically formulated for use on horizontal surfaces
only > [9].
Le caratteristiche di impiego del KWIKSEAL 35; ES-1945 e alcune delle più significative proprietà
fisiche sono qui di seguito riassunte:
?
?
?
?
?
?
?
?
?
solido al 100%, rispetta le norme per il VOC;
temperatura di cura 7-54 °C;
tempo di gelo 1-2 minuti;
tack-free in 3-5 minuti
ottima durabilità;
resta flessibile anche alle temperature basse;
ottima adesione al calcestruzzo;
ottima stabilità termica;
elevata elongazione [9].
?
?
?
?
?
?
?
?
resistenza meccanica in trazione
elongazione
modulo, 100%
modulo, 200%
modulo, 300%
resistenza allo strappo
durezza
abrasione Taber
ASTM D412
ASTM D412
ASTM D412
ASTM D412
ASTM D412
ASTM D624
ASTM D2240
ASTM D3489
654 (psi)
900 (%)
174 (psi)
279 (psi)
357 (psi)
140 (pli)
46 (shore A)
CS-17 (wheel)
Possibili applicazioni del KWIKSEAL 35 ES-1945, relativamente al restauro conservativo di
manufatti piani in calcestruzzo sono illustrate nella figura 4 [9].
8
a)
b)
FIGURA 4 : Esempi di applicazioni del sigillante KWIKSEAL 35;
ES-1945 ( un prodotto elastomerico a due componenti, una poliurea
modificata, della Elastomer Specialties, INC. ( USA ) ) nel
campo della conservazione di manufatti piani in calcestruzzo [9].
CASE HISTORY- 3
Ripristino dell’Adesione tra Superfici Metallo/Calcestruzzo
La Elastomer Specialties, INC. ( USA ) commercializza anche una poliurea ibrida, modificataaromatica, a due componenti ( marchio di fabbrica: ELASTOKAST 95 (ES-9500) ).
< ElastoKast 95 (ES-9500) is a two component, 100% solids, no VOC’s (Volatile Organic
Compound), modified, aromatic, hybrid polyurea. ElastoKast 95 (ES-9500) is designed to be a
rapid curing elastomer system, that can either be poured or pumped. The material has been
specifically formulated for use as an emergency airport runway repair polymer, capable of
receiving heavy loads within 1 hour of installation. ElastoKast 95 (ES-9500) displays quick cure
times and develops high early green strength. This polyurea bonds extremely well to properly
prepared concrete and metal surfaces, withstanding temperatures up to 425ºF. The polymer offers
good chemical resistance, water insensitivity, abrasion resistance and thermal stability at both high
and low temperature ranges. Gel times are adjustable from 3 minutes to 30 seconds > [10].
9
Come raffigurato nella figura 5 ELASTOKAST 95(ES-9500) può essere applicato sia mediante una
pompa ( figura 5-a) ) oppure a mano ( figura 5-b) ).
Il prodotto di cui sopra è capace di agire da forte legante tra superfici di metallo e di calcestruzzo,
opportunamente preparate, resistendo fino alla temperatura di ~ 220°C.
La poliurea è capace di esplicare una ottima resistenza nei confronti degli agenti chimici e
dell’acqua. Inoltre il polimero, dopo cura, resiste molto bene all’abrasione e mostra una elevata
stabilità termica sia alle alte che alle basse temperature [10].
Alcune delle più significative proprietà fisiche dell’ ELASTOKAST 95(ES-9500) sono sotto
riportate:
?
?
?
?
?
?
?
?
?
resistenza meccanica in trazione
elongazione
modulo, 100%
modulo, 200%
modulo, 300%
resistenza allo strappo
durezza
abrasione Taber
temperatura di transizione vetrosa
ASTM D412
ASTM D412
ASTM D412
ASTM D412
ASTM D412
ASTM D624
ASTM D2240
ASTM D4060
DMA
3300 (psi)
450 (%)
1373 (psi)
873 (psi)
2392 (psi)
501 (pli)
55 (shore A)
11,5
-8,3°C
ELASTOKAST 95(ES-9500) si caratterizza per le seguenti caratteristiche di impiego:
? tempo di gelo
? tempo di tack-free
? rapporto volumetrico
dei componenti
2 (mins)
4 (mins)
1:2
CASE HISTORY-4
Restauro Conservativo del Monumento alla Libertà’ ( Riga, Lettonia )
Un mastice a due componenti di natura poliuretanica è stato impiegato come sigillante, sostitutivo
del piombo, dei rivestimenti in granito durante il restauro del Monumento alla Libertà ( vedasi
capitoli precedenti per i dettagli costruttivi ).
In relazione a questa importante fase di restauro conservativo nel riferimento [11] è scritto:
< According to the conservation principles, and architectural/constructive specification of
the Freedom Monument, the filling material of the joints between granite cladding and
sculptures in the vertical facades should meet the following demands:
• providing the hermetic properties preventing the ingress of moisture and atmospheric
pollution into reinforced concrete construction;
• elasticity of the material providing the possibility to deformations due to the thermical and
mechanical movement of the Monument materials. According to the calculations, the
material should be able to uptake about 2 – 3% of deformations;
• compatibility with the granite by the density (= granite) and thermal expansion (similar to
granite);
• compatibility with the lead by the expression, appearance, texture and form;
10
• reversibility of the substitute material > [11].
I tecnici valutarono i materiali tradizionali ( piombo, malta in calce/cemento ) non idonei a
soddisfare i requisiti sopra elencati.
< Therefore the solution was made to evaluate the possibility to use the modern materials as the
most appropriate the binary mixed elastic material of epoxy bounded polyurethane was selected >
[11].
a)
b)
FIGURA 5: Possibili modalità applicative della resina
ELASTOKAST 95(ES-9500), una poliurea ibrida,
modificata-aromatica, a due componenti, commercia-lizzata dalla Elastomer Specialties, INC.,
( USA ) [10].
11
In particolare il mastice poliuretanico prescelto ( un poliuretano epossidico binario con
caratteristiche elastomeriche ) si caratterizza per le seguenti proprietà:
• capacità di assorbire deformazioni fino al 25%;
• alta elasticità;
• densità minore di quella del granito ( granito: 2600 Kg/m3; mastice-PU: 1200 Kg/m3 );
• elevata idrofobicità;
• colorazione identica a quella del sigillante a base di piombo;
• reversibilità ( è possibile eliminare il mastice-PU indurito dalle connessioni senza danneggiare il
granito ) [11].
L’esperienza ha messo in risalto il fatto che dopo circa 10-15 anni dall’applicazione manufatti
trattati con il mastice-PU denotano un comportamento all’esposizione migliore di quelli trattati con
la tradizionale malta basata su cemento/sabbia.
I dettagli dell’intervento di sostituzione del sigillante in piombo con quello in mastice-PU viene così
descritto nel riferimento [11]:
< Taking into account the construction of the Monument, the possibility of the presence of the
moisture under the granite cladding was considered. In order to provide the evaporation of the
moisture and prevent the negative side-effects in the long-term period, the drainage of the PU
mastic joints was done by the placing in the plastic drains (diameter about 5 – 10 mm) in the joint
material in the direct places determined for the construction of the Monument as a whole.
In the period of 2 years after restoration the evaluation of the performance of the PU
mastic in the object was carried out by the visual observation and detailed documentation. In
summary the following points should be outlined:
• the PU mastic shows good bounding and hermetic properties;
• however despite the carefully carried out jointing work, in few places the damages due to
the inaccuracies in the jointing technology was observed;
• the main damages are the mechanical cutting of the jointing material caused by the
people. It could be considered as the main disadvantage of the PU material when using it
in the places accessible to public.
• the regular every-year survival of the damages and subsequent local repointing of the
joints should be done as a further regular maintenance > [11].
CASE HISTORY-5
Rivestimento del Ponte di San Matteo ( San Francisco- California, USA )
Resine poliuree della Elastomer Specialties, Inc. Polymers Division sono state impiegate, insieme
ad altri tipi di formulazioni, in alcune delle fasi progettate per il rivestimento del ponte di San
Matteo ( figura 6 ).
In particolare il processo, molto complesso, era basasto sulle seguenti fasi realizzative:
Fase uno - trattamento con una resina epossidica bug hole-filler;
Fase due - trattamento con un primer di natura epossidico;
Fase tre - rivestimento con un prodotto a base di poliurea;
Fase quattro - topcoat rivestimento con una poliurea stabile alle radiazioni UV [12].
.
Alcuni dei momenti delle fasi di cui sopra sono documentati nella figura 7.
12
FIGURA 6: Il ponte di San Matteo
( San Francisco ), visione parziale.
FIGURA 7: Immagini delle fasi relative al rivestimento della superficie del ponte di
San Matteo ( San Francisco, California, USA ) ( vedasi testo ) [12].
CASE HISTORY-6
Interventi di Consolidamento delle Fondazioni e di Correzione dell’Inclinazione di Edifici
Resine poliuretaniche espandenti vengono impiegate nel campo del consolidamento dei terreni e
delle pavimentazioni.
Recentemente è stata messa a punto una nuova formulazione espandente denominata “Uretek
Geoplus”. Le caratteristiche di questa resina sono così riportate nel riferimento [13].
< Uretek Geoplus è una resina espandente esclusivamente progettata per le iniezioni in profondità
e prodotta in esclusiva per Uretek.
13
In passato nel campo del consolidamento dei terreni e delle pavimentaazioni venivano utilizzate
buone resine poliuretaniche che producevano risultati soddisfacenti; per la prima volta si è arrivati
a studiare specificatamente una resina per il consolidamento dei terreni, appunto Uretek Geoplus,
la resina superconsolidante da 10.000 kPa.
Tra le caratteristiche principali di Uretek Geoplus, la forza di espansione è senz’altro la più
evidente, potendo essere 20 volte superiore alle vecchie resine e garantendo perciò un’azione
consolidante fino a 20 volte superiore. Non meno importanti sono la padronanza e la precisione
con le quali con il sistema Uretek si riesce a controllare e gestire tale straordinaria potenza:
Uretek Geoplus rappresenta il giusto equilibrio tra forza e sicurezza…… La resina viene iniettata
nel terreno da consolidare ancora allo stato liquido mentre si sta sviluppando una reazione
chimica che ne determina il cambiamento di stato da liquido a solido. Con la reazione chimica si
assiste ad un forte aumento di volume (fino a 30 volte) in ragione della forza di espansione della
resina e della resistenza opposta dal terreno. Nel caso della resina Geoplus®, la pressione di
espansione massima raggiunge i 100 kg/cm2 > ( vedasi figura 8 ) [13].
FIGURA 8: Il sistema Uretek Geoplus basato su di una
resina liquida espandente che viene iniettata nel terreno
per stabilizzare le fondamenta di edifici [13].
14
CASE HISTORY-7
Consolidamento di Pietre Tufacee mediante Polimerizzazione In Situ di Resine Poli(uretano/urea)
Il tufo giallo napoletano è una roccia vulcanica di colore giallo paglierino costituita da un impasto
di pomici, lapilli litoidi e scoriacei, e vari cristalli silicatici, cementati da zeoliti. La porosità è
compresa tra 55 e 70%.
Per la polimerizzazione in situ sono state sperimentate, da Martuscelli et Al., formulazioni liquide
diverse per tipologia dei componenti ( monomeri ) e per la concentrazione relativa degli stessi e per
la natura chimica e la concentrazione dei catalizzatori [14,15, 16, 17 ].
Le formulazioni sperimentate sono qui di seguito descritte.
~ Formulazione-1
-monomeri: 5-isocianato-1-(isocianatometil)-1,3,3-trimetilcicloesano[isoforondiisocianato] (
IPDI ) e polipropileneglicole ( PPG ) ( rapporto molare 1/1 )
-catalizzatore: ( Toct ) zinco(II) etilesaonato
-solvente: acetone
~ Formulazione-2
-monomeri: IPDI e PPG ( rapporto molare 1/2 )
-catalizzatore: ( Toct ) stagno(II) etilesaonato
-solvente: acetone
~ Formulazione-3
-monomeri: IPDI e PPG ( rapporto molare 1/1 )
-solvente: acetone
-catalizzatore: alluminio acetilacetonato ( AlAcAc )
~ Formulazione-4
-monomeri: IPDI e PPG rapporto molare 1/1
-solvente: acetone
-catalizzatore: zirconio acetilacetonato ( ZrAcAc ) [14].
La tecnica di trattamento dei campioni in tufo attraverso la polimerizzazione in situ è
essenzialmente basata sulle seguenti operazioni:
I ) 10 g della soluzione di partenza viene versata in un opportuno contenitore;
II ) i campioni in tufo, previamente condizionati a 60°C nel vuoto per 48hrs e quindi portati a RT
per 1hr, sono collocati nel contenitore a contatto con la soluzione;
III ) la soluzione per capillarità viene assorbita dal tufo risalendo verso l’interno del materiale
lapideo;
IV ) il sistema di reazione viene tenuto al buio per 72hrs, a 25°C e ad una umidità relativa del 50%;
V ) la completezza della reazione di polimerizzazione viene valutata attraverso misure di
spettroscopia all’infrarosso in trasformata di Fourier (FTIR);
VI ) i campioni di tufo sono immersi in acqua per 48hrs, al fine di rendere inattivi eventuali residui
di gruppi isocianati e di monomeri, quindi sono seccati in vuoto a 60°C [14].
Un aspetto rilevante del sistema di reazioni che si va a realizzare è rappresentato dal fatto che nei
15
pori delle pietre di natura tufacea è sempre presente una certa quantità di acqua la quale determina
una reazione collaterale che porta alla formazione di prodotti con legami ureici e quindi, durante la
polimerizzazione, alla formazione di copolimeri di natura Uretano/Urea ( vedasi schema in figura 9
) [14,15].
FIGURA9: Schema della reazione tra molecole di acqua, sempre
presenti nei pori di rocce tufacee, e molecole di isocianato. I prodotti
sono sostanze con legami ureici che partecipano all’insieme delle
reazioni che avvengono in situ dando luogo alla formazione di
copolimeri Uretano/Urea [14,15].
< ….the product of a diisocyanate with water is a carbamic acid, which breaks down and yields
carbon dioxide and an amine. The amine can then react with furher isocyanate to produce a
substituted urea > [14 ,15].
Circa la distribuzione del poli(uretano/urea) nei campioni di tufo, con riferimento alla figura 10, è
stato possibile trarre le seguenti conclusioni:
i ) dal confronto degli spettri micro-FTIR in riflessione mostrati nella figura 10-B, si ricava che
nello spettrogramma del tufo tal quale non compare la banda dovuta allo stretching del CH2 al
contrario di quanto osservato nel caso dei campioni trattati;
ii ) l’area sottesa alla banda di assorbimento dello stretching del CH2, riportata in funzione della
distanza lungo l’asse z e y fornisce una misura quantitativa della distribuzione del polimero
all’interno della pietra ( vedasi figura 10-C e D;
iii) dalle curve in figura 10-A e B si deduce che il poli(uretano/urea) si distribuisce uniformemente
all’interno dei campioni, a parte un surplus alla superficie [14,15].
Dall’andamento delle curve termogravimetriche della figura 11 si deduce che:
a) I campioni di tufo tal quali non mostrano particolari fenomeni degradativi nell’intervallo di
temperatura esplorato ( 50-600°C ) ( la perdita in peso osservata a 80 e 150°C è dovuta,
rispettivamente, all’evaporazione di acqua libera e legata attraverso legami ad idrogeno al
substrato lapideo ( vedasi termogrammi A e C in figura 11 ) ).
16
b) I campioni trattati presentano, oltre ai fenomeni di cui sopra, un chiaro processo di
degradazione a circa 320°C da imputare alla degradazione del polimero formatosi a seguito
della polimerizzazione in situ all’interno dei pori ( vedasi termogrammi B e D in figura 11 ).
FIGURA 10: A) Rappresentazione schematica della sezione
trasversale tagliata da un campione di tufo napoletano ( xy=
corrisponde alla superficie di applicazione della soluzione reattiva, z=
direzione di penetrazione per capillarità all’interno del campione ).
B) Spettrogrammi micro-FTIR in riflessione: I= tufo non trattato; II,
III e IV effettuati a valori diversi di z dopo trattamento con una delle
formulazioni sperimentate.
C) Andamento dell’area della banda di assorbimento del CH2 (
stretching ) in funzione della distanza lungo l’asse z.
D ) Andamento dell’area della banda di assorbimento del CH2 (
stretching ) in funzione della distanza lungo l’asse y ( vedasi testo )
[14,15].
17
FIGURA 11: Diagrammi termogravimetrici di campioni di
tufo trattati con la tecnica della polimerizzazione in situ che
porta alla formazione nei pori di un poli(uretano/urea).
Curve a tratto pieno: peso residuo in funzione della
temperatura (curva A = tufo non trattato; curva B = tufo
trattato ).
Curve tratteggiate: Velocità della perdita in peso in funzione
della temperatura ( curva C = tufo tal quale; curva D = tufo
trattato ) [14].
Dalle curve in figura 11, sottraendo la traccia TGA del tufo trattato da quella del tufo tal quale, è
stato possibile determinare la quantità relativa ( Q ) di polimero presente nei pori e questo in
relazione alla composizione della formulazione iniziale usata.
I risultati portano alla conclusione che Q varia tra il 7-10% (w/w) [14,15].
L’analisi morfologica, condotta sulle superfici di frattura dei campioni, mediante microscopia
elettronica in scansione, permette di evidenziare, nel caso del tufo trattato, la presenza di un film
sottile di polimero che ricopre omogeneamente la superficie dei cristalli pseudo-cubici di cabasite e
quelli prismatici di fillipsite, principali costituenti dei tufi napoletani ( confronta figura 12-A con
figure 12-B,C e D ) [14].
< …poly(urethane/urea) in situ polymerised inside stone forms a regular homogeneous thin film
covering the grains of the stone without modifying their morphological features > [15].
L’ efficacia dei trattamenti di polimerizzazione in situ su campioni di tufo napoletano è stata
valutata mediante misure di assorbimento di acqua per capillarità, di permeabilità al vapore d’acqua
e la determinazione di alcuni significativi parametri meccanici.
L’assorbimento di acqua per capillarità, [ A (g/cm2 ) ], è stata calcolata attraverso la seguente
relazione:
18
A = ( mi – m0 )/S
Dove mi e m0 sono rispettivamente il peso del campione imbibito di acqua al tempo ti e quello del
campione secco al tempo zero ( t0 ); S rappresenta la superficie di tufo a contatto del tampone di
carta da filtro imbevuta di acqua [14].
Come si evince dall’andamento delle curve, A ? tempo ( figura 13 ), a parità di tempo di
assorbimento di acqua, i campioni trattati mostrano valori di A sensibilmente minori di quelli del
tufo tal quale. Inoltre i tufi consolidati con il copolimero uretano/urea si caratterizzano per una
ridotta velocità di assorbimento. Infatti il coefficiente di assorbimento di acqua per capillarità, ( CA
), calcolato dalla pendenza del tratto iniziale delle curve della figura 13, risulta essere per i campioni
trattati sensibilmente minore di quello relativo al tufo non trattato ( 0,013-0,017 contro 0,032 gcm-2
t-1/2 ) [14].
FIGURA 12: Micrografie elettroniche al microscopio elettronico a
scansione di superfici di frattura di campioni di:
A) tufo non trattato; B), C) e D) campioni di tufo dopo
polimerizzazione in situ con formulazioni reattive aventi diversa
composizione di partenza ( vedasi testo ) [14].
La permeabilità al vapore d’acqua ( Pv ), definita come l’ammontare di vapore capace di passare,
nell’unità di tempo, attraverso una superficie unitaria di pietra, a temperatura costante,
viene determinata dal rapporto tra la variazione di peso del campione in 24 hrs e la superficie
attraverso la quale fluisce il vapore d’acqua.
19
Nel caso dei campioni di tufo trattati Pv , a seconda della formulazione impiegata, varia tra 205 e
174 ( g/m2 24hrs ), mentre per il tufo tal quale è stato trovato un valore di Pv pari a 256 ( g/m2 24hrs
).
Da quando sopra emerge che tutti i trattamenti di polimerizzazione in situ provocano una sensibile
riduzione dell’assorbimento di acqua per capillarità. Tuttavia l’entità di questa riduzione è tale da
permettere ai campioni trattati ancora una buona capacità di traspirazione [14,15,16].
FIGURA 13: Curve di assorbimento di acqua per capillarità nel
caso di campioni di tufo tal quali ( curva superiore ) e di campioni
di tufo sottoposti a processo di polimerizzazione in situ ( curve
sottostanti, vedasi testo ) [14].
Da test di abrasione è stato possibile valutare l’efficienza di aggregazione ( AE% ) calcolata
mediante la seguente relazione:
AE(%)- 100( ? W - ? Wpol )/ ? W
Dove: ? W e ? Wpol sono, rispettivamente, la perdita in peso di campioni di tufo tal quale e di tufo
dopo trattamento con polimerizzazione in situ, dopo 300 cicli di abrasione [15].
I campioni di tufo consolidati con il copolimero uretano/urea presentano valori di AE(%) all’incirca
pari all’83%, notevolmente superiori di quelli del tufo non trattato [15].
< ..the decrease of disaggregation and pulverisation phenomena under applied stresses were
assessed through abrasion tests. It was shown that comparatively higher consolidating effect are
achieved by using 1,6-diisocyanatohexane as isocyanate co-monomer in the reaction system > [18].
20
Da prove in compressione, condotti su campioni prima sottoposti a cicli di gelo/disgelo e quindi
consolidati con la procedura della polimerizzazione in situ, si sono determinati i valori del recupero
della resistenza alla compressione, RCS(%), in funzione del tipo di trattamento.
In particolare per il calcolo della RCS(%) si è fatto uso della seguente relazione:
RCS(%) = 100( CSpol - CSft )/( CS - CSft )
Dove CSft, CSpol e CS sono, rispettivamente, la resistenza alla compressione di campioni di tufo
dopo cicli di gelo/disgelo, di campioni di tufo prima sottoposti a cicli gelo/disgelo e quindi
consolidati con la tecnica della polimerizzazione in situ e di campioni di tufo tal quali.
Il tufo consolidato con poli(uretano/urea) presenta un recupero della resistenza alla compressione di
circa l’85% [15].
Dai risultati di cui sopra emerge che nel caso di pietre di natura tufacea il trattamento in situ con
copolimeri uretano/urea, qualora si dimostrasse durevole e reversibile, potrebbe rappresentare una
interessante alternativa ai trattamenti classici con polimeri preformati i quali presentano come fatto
negativo una scarsa penetrazione del materiale all’interno della pietra ( vedasi figura 14 dalla quale
traspare come il poliuretano preformato, depositatosi da soluzione, si dispone essenzialmente alla
superficie di un campione di pietra arenaria ) [14,15,16].
FIGURA 14: Micrografia elettronica in scansione della
superficie di un campione di pietra arenaria Trattata con un
poliuretano preformato disperso in acqua [15].
21
RIFERIMENTI
1 ) L. Borgioli, < Polimeri di sintesi per la conservazione della pietra >, Il Prato, Collana i Talenti,
Padova (2002).
2 ) A. M. M. Baker, J. Mead, “Thermoplastics” in < Modern Plastics Handbook >,chap.1, C. A.
Harper Editor, McGraw-Hill, New York (1999).
3 ) L. Mascia, < Thermoplastics >, Elsevier Applied Science, London (1989).
4 ) L. Borgioli, P. Cremonesi < Le resine sintetiche usate nel trattamento di opere policrome >, Il
Prato, Collana i Talenti, Padova (2005).
5 ) A. Timar-Balazsy, D. Eastop, < Chemical Principles of Textiles Conservation >, ButterworthHeinemann, Oxford (1999).
6 ) M. E. Young, M. Murray, P. Cordiner, “Stone consolidants and chemical treatments in
Scotland” in < Report to Historic Scotland >, Robert Gordon University, (1999).
7 ) http://www.ctseurope.com/catalogo.asp?capitolo=2&paragrafo=4&lingua=ITA (2006).
8 ) M. Camaiti, B. Sacchi, < Progetto Travertino >, relazione conclusiva intitolata "Valutazione
delle prestazioni di alcuni prodotti commerciali quali protettivi e consolidanti del travertino",
ICVBC-CNR di Firenze in collaborazione con C.T.S. S.r.l.,
http://www.ctseurope.com/dettaglionews.asp?id=29 (2006).
9 ) http://www.elastomer.com , SpecData ES-1945 KwikSeal 35 Exterior Concrete
Sealant & Repair Elastomer Copyright © 1999 - 2001, Elastomer Specialties Inc., USA.
10 ) http://www.elastomer.com, SpecData ES-9500 ElastoKast 95 Rapid Repair" Polyurea
Elastomer For Runways, Copyright © 1999 - 2001, Elastomer Specialties, Inc., USA.
11 ) I. Sidraba, < Nerw Materials for Stone Monuments in Latvia >,
www.arcchip.cz/w10/w10_sidraba.pdf , (2006).
12 ) Polyurea Installation Bulletins
www.elastomer.com/polymer/installation.html , (2006).
13)www.edilportale.com/EdilCatalogo0/EdilCatalogo_SchedaProdotto.asp?IDProdotto=1508,
(2006).
14 ) M. Cocca, L. D’Arienzo, L. D’Orazio, G. Gentile, E. Martuscelli, Journal of Polymer Science:
Part B: Polymer Physics, 43, 542 (2005).
15 ) M. Cocca, L. D’Arienzo, G. Gentile, E. Martuscelli , L. D’Orazio, “Polymers for the
Conservation of Cultural Heritage” in < New Polymeric Materials >, Edited by L. S. Korugic, W. J.
MacKnight, E. Martuscelli, ACS Symposium Series 916, pp. 370-390, Washington, DC (2005).
16 ) E. Martuscelli et Al., Italian Patent NA – A000021, (2004).
17 ) L. D’Orazio, L. Gentile, C. Mancarella, E. Martuscelli, Polymer Testing, 20, 227,(2001).
18 ) M. Cocca, L. D’Arienzo, L. D’Orazio, G. Gentile, E. Martuscelli , Macromol. Symp., 228, 245
(2005).
22
23
PARTE-E
CAPITOLO 1-E
RELAZIONE TRA EFFICACIA CONSOLIDANTE E/O PROTETTIVA, STRUTTURA
CHIMICA E REATTIVITA’ DEI SISTEMI MACROMOLECOLARI E STRUTTURA
FISICA E COMPOSIZIONE DELLE PIETRE COSTITUENTI I MANUFATTI LAPIDEI
Gli sviluppi della chimica macromolecolare, dell’ingegneria dei processi di lavorazione e di
trasformazione e dei metodi di analisi per la determinazione delle caratteristiche chimiche
/fisiche/molecolari dei materiali polimerici, che hanno registrato un grande impulso a partire dalla
fine della seconda guerra mondiale, hanno permesso di progettare, produrre e commercializzare una
vasta e differenziata gamma di prodotti di sintesi [1,2, 3].
Di questi sviluppi ha tratto grande giovamento il settore del restauro dei beni culturali, siano essi
immobili ( costruito, monumenti in pietra , legno e ferro ) che mobili ( tessuti, carta e beni
archivistici e librari ). Infatti a partire dai primi anni 50s del secolo scorso sono stati messi a punto
formulati a base di polimeri che hanno trovato impiego come consolidanti, adesivi e protettivi nel
restauro conservativo di manufatti di interesse artistico/storico [4,5].
In particolare le moderne metodiche di chimica macromolecolare hanno permesso di progettare e
realizzare formulazioni da impiegare selettivamente in funzione della:
1 ) procedura applicativa;
2 ) tipologia del danno;
3 ) natura chimica, fisica e strutturale delle pietre costituenti il manufatto da risanare.
A dimostrazione della validità di quanto sopra scritto, relativamente ai punti1 ) e 2 ), in figura 1
vengono riportate le caratteristiche di formulazioni a base di resine epossidiche mirate a specifici
settori di impiego. E’ possibile notare, tra l’altro, come aumentando le dimensioni della lesione da
risanare ( da < 1,5mm a > 1,5mm ) la viscosità della formulazione passa rispettivamente da 150-400
a 3500-4000 mPa.s. e come il modulo a flessione per i formulati per impregnazione è circa un terzo
di quelli per iniezione [6].
E’ interessante anche registrare come il pot life di formulazioni per il restauro di strutture sia la
metà di quello che si richiede a formulati per incollaggi strutturali [6].
l’insieme dei dati riportati nella figura 1 dimostra come a seconda della funzione d’uso richiesta la
moderna chimica delle resine epossidiche permette di realizzare formulazioni le cui proprietà
variano sostanzialmente adattandosi alle particolari richieste di prestazione [2].
Relativamente al punto 3 ) è stato ampiamente documentato come il tipo di pietra da consolidare e
le sue caratteristiche ( composizione e natura chimica dei minerali componenti, struttura, porosità,
dimensione dei grani e loro forma spaziale, presenza o meno di microfessure ) determinano di fatto
la scelta del sistema consolidante [6,7,8].
FIGURA 1: Caratteristiche di resine epossidiche in relazione all’impiego
e alla funzione [6].
Formulati per impregnazione:
Punto d'infiammabilità...90°C
ritiro ............................ 0,10%
viscosità (a+b) mPa.s ..150
pot life (minuti) ..............60
assorbimento ................2%
punto Martens ..............35°C
resistenza a
trazione (MPa)............ 50
resistenza a
flessione (MPa) ........... 50
resistenza a
compressione (MPa)... .70
modulo elastico
a fless. (MPa) .....…
1.000
Formulati per iniezione:
per lesioni inferiori a mm 1, 5:
Punto d'infiammabilità .......90°C
ritiro....................................12%
viscosità (a+b) mPa.s 150-400
pot life (minuti) ...................30
assorbimento......................2%
punto Martens ....................50°C
resistenza a
trazione (MPa)............30
resistenza a
flessione (MPa)...........50
resistenza a
compressione (MPa)..70
modulo elastico
a fless. (MPa) .......1.000 - 3.000
Formulati per iniezione:
per lesioni superiori a mm 1, 5:
Punto d'infiammabilità .90°C
ritiro............................. 12%
viscosità (a+b)
mPa.s.
3.500-4.000
pot life (minuti)..................30
assorbimento ...................2%
punto Martens..................50°C
resistenza a
trazione (MPa)............... .50
resistenza a
flessione (MPa) .........…..50
resistenza a
compressione (MPa)....... 70
modulo elastico
a fless. (MPa) ............ 3.000
FIGURA 1: Caratteristiche di resine epossidiche in relazione all’impiego e alla
funzione [6].
Formulati per restauro strutture:
Formulati per incollaggi strutturali:
Punto d'infiammabilità..........90°C
ritiro......................................0,10%
viscosità (a+b) mPa.s ......... 7.000
pot life (minuti) .....................30
assorbimento .......................2%
punto Martens......................35°C
resistenza a
trazione (MPa)...........30
resistenza a
flessione (MPa) .........50
resistenza a
compressione (MPa)...70
modulo elastico
a fless. (MPa) ........700
Punto d'infiammabilità.................90°C
ritiro.............................................0,1%
viscosità (a+b) mPa.s .................8.000
pot life (minuti) ............................60
assorbimento ..............................2%
punto Martens .............................40°C
resistenza a
trazione (MPa) ....... 80
resistenza a
flessione (MPa) ...... 50
resistenza a
compressione (MPa)..80
modulo elastico
a fless. (MPa)...........1.000
Le correlazioni tra la selettività, la specificità e le caratteristiche molecolari dei più noti sistemi
consolidanti e/o protettivi polimerici e le caratteristiche di substrati lapidei diversi, comunemente
impiegati nella costruzione di edifici e monumenti in pietra, con particolare riguardo a quelli di
interesse storico culturale, sono qui di seguito analizzati alla luce delle più recenti fonti di letteratura
scientifica e tecnica.
A ) RELAZIONE TRA CAPACITA’ CONSOLIDANTE, STRUTTURA CHIMICA E
REATTIVITA’ DEI POLIMERI E STRUTTURA FISICA E CHIMICA DELLE PIETRE
DA RISANARE
Torna utile a questo punto richiamare la definizione di agente consolidante, relativamente alle
operazioni di restauro di edifici , monumenti e manufatti lapidei, così come viene riportata nel
riferimento[6]:
< Una sostanza capace di ristabilire un grado sufficiente di coesione in materiali che hanno subito
una compromissione della microstruttura. Per esplicare tale funzione è solitamente previsto
l’impiego della sostanza allo stato fluido ( essenzialmente liquido ) per impregnazione della
struttura ( tramite le porosità, le micro-crettature, i microdistacchi ) in modo che nel processo di
presa, per reazione o evaporazione del solvente si ricostruisca una tessitura coesiva quanto più
omogenea e commisurata allo specifico contesto materico ( M. Matteini, A. Moles ) > [6].
A.1 ) IL CONSOLIDAMENTO DELLE PIETRE SILICEE
A.1.1 ) PIETRE ARENARIE
Le rocce sedimentarie, costituite da materiali provenienti dalla disgregazione di rocce preesistenti,
possono essere di origine detritica o di precipitazione chimica e biochimica.
< La differenza è basata sui diversi modi di trasporto e di sedimentazione dei materiali. Le rocce
detritiche o clastiche derivano dal materiale trasportato in forma solida; le rocce di precipitazione
chimica e biochimica derivano dal materiale trasportato in soluzione >[9].
Come si evince dalla figura 2 le rocce arenarie rappresentano uno dei quattro gruppi in cui si
suddividono le rocce detritiche; gli altri gruppi essendo i conglomerati, le argille e i tufi.
I principali componenti delle arenarie sono:
1 ) Il quarzo, caratterizzato, quando è cristallino, da una struttura dove
< i tetraedi di anidride silicica sono collegati tra loro attraverso gli ioni ossigeno (—O-) che
disponendosi a ponte si trovano ad appartenere ognuno a due diversi atomi di silicio. In tale modo
il rapporto tra il silicio e l’ossigeno è di 1:2 atomi (SiO2) > [8].
Figura 2: Suddivisione delle rocce sedimentarie
detritiche o clastiche [9].
2 ) L’ortoclasio, un feldspato potassico, con formula chimica K[AlSi3O8]. Un aggregato di cristalli
monoclini di ortoclasio è mostrato nella figura 3 [10].
3 ) I fillosilicati, si caratterizzano per il fatto che
< i tetraedri SiO4 scambiano tre vertici ciascuno si forma un silicato a strati di formula (Si2O52- )n.
Vi sono diverse topologie possibili per questi strati……Il tipo più comune di strati però è costituito
da maglie a sei tetraedri. I vertici terminali dei singoli tetraedri possono poi essere orientati con
diverse sequenze, da una parte o dall’altra dello strato, e gli strati possono essere corrugati. Ne
derivano diverse possibilità strutturali > [11].
Alcune delle principali caratteristiche delle rocce arenarie e tufacee sono elencata nella tabella 1 [9].
Esempi di manufatti lapidei in pietra arenaria della Lunigiana ( Toscana ) sono mostrati nella figura
4 [12-a].
FIGURA 3: Cristalli monoclini di ortoclasio, un
comune feldspato componente delle rocce arenarie
[10].
FIGURA 4: Manufatti in pietra arenaria della Lunigiana (
Toscana ).
Sinistra: Cervara - Pontremoli. "Facion" < sculture, espressioni
della cultura popolare. Si tratta per lo più di volti, collocati sopra
i portali o in posizione ben visibile sulle facciate delle abitazioni,
probabilmente con funzione apotropaica, di difesa cioè dalle
forze malefiche, in primo luogo dal demonio. >.
Destra: Verrucola - Fivizzano. Chiesa di Santa Margherita. Altare
maggiore in pietra arenaria [12-a].
L’estere etilico dell’acido silicico ( tetraetilortosilicato; Si—(OEt)4 ), comunemente indicato con la
sigla ( TEOS ) e gli alchil-alcossisilani, virtualmente ottenuti dal TEOS per sostituzione di uno o
più gruppi (OEt) con gruppi alchilici ( ad esempio il metiletossisilano: [ (CH3)2 —Si—(OEt)2 ] (
MTEOS ) e il metilmetossisilano: [ (CH3) —Si—(OMe)3 ] ( MTMOS ), rappresentano i prodotti
comunemente usati nel consolidamento delle pietre arenarie.
Questa caratteristica, come si è visto nei capitoli precedenti, deriva essenzialmente dal fatto che sia
il TEOS ( sostanza liquida a RT, punto di ebollizione pari a 169°C e una densità di 0,94 Kg/dm3 )
che il MTMOS ( solubile nei più comuni solventi insieme ai quali forma soluzioni a bassa densità )
in presenza di acqua si idrolizzano dando luogo alla formazione di silanoli [HO—Si—(OEt)3;
(CH3)2 —Si—(OEt)(OH) ]. Questi ultimi per successive reazioni di condensazione, che
coinvolgono anche molecole di TEOS oppure di MTMOS, polimerizzano formando un reticolo
tridimensionale la cui formula bruta, nel caso che la reazione sia completa, è uguale a quella della
silice ( SiO2 ).
Le molecole di silanolo nel corso delle reazioni di condensazione hanno l’opportunità di legarsi alle
pietre sfruttando la reazione tra i propri gruppi ossidrili e quelli presenti sulle superfici lapidee
secondo lo schema di reazione qui di seguito riportato.
SILANOLO
O? H
H? O
SILANOLO
O
SUPERFICIE PIETRA
SUPERFICIE PIETRA
+ H 2O
TABELLA 1: Caratteristiche principali di rocce arenarie
e tufacee [9].
Denominazione ARENARIA
CEM. CALCITICO
Classificazione sedimentaria clastica
Minerali
qz, Kfl, msc
ARENARIA
TUFO
CEM. SILICEO
sedimentaria clastica sedim. piroclastica
qz, Kfl, msc
agt, bt, lct
Grana
fine
fine
grossolana
Colore
grigio, giallo
rosso, viola
grigio, giallo
Massa vol. app. 2,1
2,2
1,8
Tipologie
blocco, lastra
blocco, lastra
blocchi
Lavorabilità
buona
buona
ottima
Uso
muro, scultura
muro, scultura
muro
Alterazione
erosione
scagliatura
polverizzazione
Cause degrado dissoluzione cemento cristallizzazione sali cristallizz. sali
nota: qz=quarzo; Kfl=feldspato potassico (silicati);
msc=muscovite=ortosilicato di alluminio e potassio (H2KAl2(SiO4)3);
bt=biotite, costituita da silicati, H6 Al6Si6O24+Mg12Si6O24;
agt=augite, metasilicato di calcio magnesio,contenente anche ferro
e allumina ; lct=leucite=metasilicato di potassio e alluminio (KAlSi2O6).
La presenza di legami tra i grani di quarzo di una pietra arenaria e la matrice polimerica, venutisi a
formare a seguito del trattamento e della successiva polimerizzazione in situ del MTMOS , viene
documentata attraverso la micrografia riportata, a sinistra, nella figura 5. Per confronto a destra,
sempre in figura 5, è mostrata la morfologia di una pietra calcarea ( carbonatica ) trattata con
MTMOS dalla quale si evidenzia l’assenza di legami tra matrice polimerica e i grani del materiale
lapideo [13].
FIGURA 5: Micrografie elettroniche in scansione di:
Sinistra- una pietra arenaria trattata con metiltrimetossisilano ( MTMOS
). Con la freccia sono evidenziati dei collegamenti materici che legano i
grani di quarzo alla matrice del polimero formatosi in situ.
Destra- una pietra di origine calcarea trattata con MTMOS; in questo
caso non si evidenziano legami tra grani e matrice polimerica [13].
Nella tabella 2 sono elencati casi accertati e documentati di successo di trattamenti di monumenti in
pietra arenaria di vario tipo con una formulazione, a base di MTMOS , commercializzata come
Brethane.
< Brethane, ….it is a four-component system packaged in three containers whose contents are
mixed at the time of application; and the consolidating ingredient is methyltrimethoxysilane (
MTMOS ) monomer. The other ingredients are water, industrial methylated spirit ( denaturated
alcohol ), and a catalyst….> [13].
In particolare nella tabella 2 sono indicati: il sito; il tipo di pietra; il contenuto in calcite o carbonato
di calcio; il contenuto in silicati e ossidi di ferro e la porosità.
In tutti i casi riportati in tabella 2 è stato verificato, a molti anni dal trattamento di consolidamento,
che lo stato di conservazione delle pietre è migliore di quello delle pietre non trattate [13].
TABELLA 2: Casi documentati di successo di trattamenti di pietre
arenarie effettuati con prodotti alcossisilanici ( Brethane ) [13].
SITO
TIPO DI
PIETRA
CONTENUTO
CARBONATO
Bolsover
Castle
Kenilworth
Castle
Rievaulx
Abbey
Sandbach
Crosses
Arenaria
litica
Arenaria
rossa
QuarzoArenite
Arenaria
rossa silicea
n-d.
CONTENUTO POROSITA’
SILICATI E
OSSIDI DI
FERRO
n.d.
4,5%
2%
98%
26%
-
100%
>40%
-
100%
16-20%
Nei capitoli precedenti sono stati già documentati esempi di successo relativi al consolidamento di
manufatti in pietra arenaria ( vedasi il caso dei portali di Casa Eskens e di una antica casa nel
Mercato Vecchio di Torun, Polonia ) effettuati, con formulazioni a base di resine epossidiche, da
Domaslowski e Strzeleczyk [12-b].
Da quanto sopra è possibile concludere che i consolidanti di origine silanica, in primis, e quelli
basati su formulazioni di natura epossidica hanno dimostrato una buona efficacia per la
conservazione di manufatti in pietra arenaria.
A.1.2 ) TUFI
I tufi sono rocce sedimentarie di origine vulcanica ( piroclastiche ), formati da lapilli, di dimensioni
comprese fra i 2mm e i 30 mm, emessi durante eruzioni vulcaniche esplosive.
I tufi laziali (peperino laziale) e campani, di colore grigio, giallo e bruno hanno trovato grande
utilizzo nel campo delle costruzioni.
Come si evince dai dati della tabella 1 i componenti principali dei tufi sono minerali a base di
silicati [9].
I tufi si caratterizzano per una elevata porosità ( 46% per il tufo vulcanico del Palatino-Roma; tra il
55 e 70% per il tufo giallo napoletano e 56% per altri tipi di tufi ) a cui si accompagna generalmente
una bassa resistenza meccanica.
La porosità totale (€ ) è comunemente determinata attraverso la seguente relazione:
€ = Vpori/Vtotale x 100 (1)
dove Vpori e Vtotale rappresentano rispettivamente il volume globale dei pori aperti e chiusi e il
volume totale del campione nel suo insieme [8].
In letteratura sono riportati esempi di consolidamento dei tufi effettuati con miscele di oligomeri di
TEOS e MTEOS ( in commercio come Tegovakon V, come Wacker-OH e WACKER-H).
L. A. Useke ha confrontato l’efficacia di vari tipi di consolidanti su pietre tufacee dimostrando
come i trattamenti con Wacker-H e -OH siano migliori di quelli a base di Acryloid-B72 e di resine
epossidiche [14].
In particolare è stato trovato che a seguito di consolidamento con Wacker-OH e Wacker-H
campioni di pietre tufacee mostrano valori della resistenza a compressione fortemente migliorati
rispetto a quelli dei campioni tal quali [13,14].
Una formulazione basata su di una miscela tra un prepolimero epossidico ( EP-2101 ), una
poliammina alifatica in un appropriato solvente ( toluene+ isopropanolo ) si è dimostrata efficace
nel consolidamento di una sezione di antico acquedotto Romano, costruito con tufo di Viterbo, che
mostrava forti fenomeni di deterioramento.
< Treatment with the consolidating solution stabilized the tuff and arrested the process of decay.
The stone initially displayed a change in color but with time, the oxidative deterioration of the
exposed epoxy resin removed most of discoloration, and the stone remained strong and stable >
[14].
Una nuova procedura di consolidamento del tufo napoletano che sfrutta la polimerizzazione in situ
di resine poli(uretano/urea ) è stata messa a punto da E. Martuscelli et Al. ( vedasi capitolo 4-d )
[15, a ) e 15 b) )].
Tipici manufatti in tufo sono mostrati nelle figure 6 e 7 [15-c ),16].
A.1.3 ) GRANITI
I graniti sono rocce a elevato contenuto siliceo di origine magmatica, acide e con struttura
granulare. I graniti si sono formati per raffreddamento lento all’interno della crosta terrestre ( rocce
intrusive ). La solidificazione a bassi valori del sottoraffreddamento ha portato alla formazione di
cristalli morfologicamente ben sviluppati [8].
I graniti sono generalmente costituiti da
< ….ortoclasio, quarzo e mica. Alcuni graniti possono contenere feldspati sodiocalcici pirosseni,
miche e anfiboli, e come elementi accessori apatite magnetite, tormalina e zircone. I graniti
presentano una buona resistenza agli agenti atmosferici sono diffusi nella crosta terrestre e sono
utilizzati come materiale da costruzione e rivestimento > [17].
Le rocce granitiche si caratterizzano per elevati valori della coesione ( indice di porosità tra 0,41,5% ), durezza, resistenza agli agenti atmosferici, resistenza alla compressione (2000 kg/cm2) e
alla corrosione.
Queste rocce mostrano una colorazione che varia dal bianco al grigio, dal rosa al rosso che dipende
soprattutto dalle impurezze presenti nell’ortoclasio [18,19,20, 21, 22].
Figura 6: Antico muro in tufo [15-c)].
FIGURA 7: Facciata principale di un edificio
di via Scarlatti, zona collinare di Napoli, realizzato
in tufo subito dopo la prima guerra mondiale [16].
Come documentato dalle micrografie della figura 8, attraverso la microscopia ottica ed elettronica è
possibile mettere in evidenza come i minerali componenti una roccia granitica formino cristalli ben
definiti , di dimensioni apprezzabili e quindi facilmente riconoscibili ( i cristalli di quarzo sono di
colore grigio scuro, quelli di feldspato, grigio chiaro, e quelli di biotite, neri ) [18,19,20 ].
Alcune delle principali caratteristiche delle rocce granitiche sono elencate nella tabella 3
FIGURA 8: Struttura cristallina di graniti di varia origine così
come appare all’osservazione al microscopio ottico in luce
polarizzata di sezioni sottili. I campioni si diversificano per la
forma dei cristalli e per il loro colore [18,19, 20,21, 22].
Un esempio di costruzione in granito è rappresentato dalla chiesa di San Simplicio ( figura 9 ), il più
artistico e antico monumento religioso della Gallura, testimonianza della diffusione del primo
Cristianesimo in Sardegna [23].
In letteratura è riportato come il trattamento di pietre granitiche con silicato di etile produca un
aumento della resistenza alla flessione dello stesso ordine di grandezza di quello osservato nel caso
di pietre arenarie ( > 170% ) a cui si accompagna un aumento della velocità di propagazione di onde
ultrasoniche del 74% [24, 13].
TABELLA 3: Caratteristiche delle rocce
granitiche [9].
Denominazione GRANITO
Classificazione magmatica plutonica
Minerali
qz, Kfl, plc, bt
Chimismo
Si, Al, K, Na, Fe
Struttura
granulare
Grana
media
Colore
bianco, rosa, rosso, punti neri
Massa vol. app. 2,6
Tipologie
blocco, lastra
Lavorabilità
scarsa; lucidabile
Uso
muro, colonna, pavimento
Alterazione
scagliatura, polverizzazione
Cause degrado cristallizzazione sali
nota: qz=quarzo; Kfl=feldspato potassico;
plc=plagioclasio; bt=biotite;
afb= anfibolo- costituito da metasilicati di magnesio
calcio e ferro e allumina;
orb=orneblenda- miscela di metasilicati
FIGURA 9: la chiesa di San Simplicio ( Gallura- Sardegna ) è un
esempio di costruzione per la quale si è fatto uso di pietre in granito,
sia per l’esterno che per l’interno [23].
Come già precedentemente riportato le resine epossidiche, in particolare quelle di natura cicloalifatica ( ad es. la EP 2101 dell’EUROSTAC, con elevata resistenza alle radiazioni UV e bassa
viscosità ) hanno mostrato una buona efficacia nel consolidamento di manufatti in granito. E’ stato
osservato, inoltre, che le formulazioni epossidiche sono capaci di impregnare in profondità le pietre
di natura granitica causando un graduale aumento nei valori della resistenza alle sollecitazioni
meccaniche. Questo comportamento sembra essere principalmente dovuto al fatto che i graniti
degradino essenzialmente attraverso un processo di fessurazione graduale. Pertanto il
consolidamento da parte delle resine epossidiche deve essere, principalmente, imputato alla capacità
di queste ultime di entrare nelle fessure esplicando la loro attitudine di agenti di adesione [24].
A.2 ) IL CONSOLIDAMENTO DELLE PIETRE CALCAREE
I calcari, rocce di origine sedimentaria, costituite essenzialmente da calcite ( carbonato di calcio ),
hanno origine da un processo chimico ( precipitazione diretta del carbonato di calcio:
Ca++ + 2HCO- 3
CaCO3 + CO2 + H2O ),
oppure da un processo di natura biochimica che vede le seguenti fasi:
n sottrazione degli ioni calcio e degli ioni carbonato dalle acque marine da parte di organismi
animali, come i molluschi, che li utilizzano per formare il proprio guscio;
n accumulo e sedimentazione dei gusci alla morte degli organismi marini.
I travertini sono classici esempi di calcari di origine chimica ( gli antichi romani usavano il
travertino nella costruzione dei loro monumenti; ad esempio il Colosseo era tutto rivestito di pietre
di travertino ), mentre la pietra di Finale, la pietra di Lecce e il rosso di Verona appartengono alla
famiglia delle pietre di origine organogenica ( biochimica ) [8,9].
Le caratteristiche di alcune tipiche pietre calcaree sono riportate nella tabella 4 [9].
I marmi sono calcari di origine sedimentaria-metamorfica. Queste rocce si sono formate in
profondità nella crosta terrestre a seguito di processi indotti da variazioni di temperatura e pressione
che hanno comportato la ricristallizzazione dei calcari e modificazioni nella loro composizione
mineralogica e/o nella struttura e nella tessitura [8,9].
Come si evince dai dati in tabella 5 la calcite e la dolomite sono i componenti principali dei marmi.
Altri minerali, quali il quarzo e la muscovite, sono presenti con una più bassa concentrazione [9].
Il colore dei marmi, a seconda della natura chimica delle impurezze varia da bianco a grigio venato,
a rosa a giallo a nero a grigio azzurro ( quelli gialli contengono la limonite ( Fe2O3.nH2O ), quelli
rossi l’ematite ( Fe2O3 ), quelli grigio-azzuri particelle carboniose ) ( vedasi figura 10 ) .
I marmi bianchi di Carrara, i più puri dei quali contengono fino al 99,9% di calcite, estratti dalle
Alpi Apuane, per la loro struttura compatta e microcristallina rappresentano il materiale di partenza
usato da secoli nell’arte scultorea.
Per alcuni marmi estratti dalle cave di Carrara è stato trovato un valore della porosità totale (€ ) di
circa il 4%.
I marmi oltre che nell’arte scultorea vengono comunemente impiegati nei rivestimenti di esterni, di
pavimenti e pareti e nelle decorazioni ( vedasi figure 11 e 12 ).
Per la loro porosità e scarsa resistenza agli agenti chimici i marmi comuni, con una strutturazione
più grossolana, vengono impiegati solo in manufatti per interni.
TABELLA 4: Caratteristiche di rocce calcaree di varia origine [9].
Denominazione CALCARE
COMPATTO
Classificazione Sedimentaria
chimica
CALCARE
TENERO
Sedimentaria
clastica
CALCARE
ARENACEO
Sedimentaria
clastica
Minerali
calcite
calcite
calcite
Chimismo
Ca
Ca
Ca
Tessitura
Mudstone
packstone
grainstone
Colore
bianco
giallo, bruno
grigio chiaro
Massa vol. app. 2,7
1,7
2,6
Tipologie
blocco, lastra
blocchi
blocco, lastra
Lavorabilità
buona, lucidabile
ottima
buona
Uso
muro, colonna,
pavimento
decorazione, scultura, decorazione, muro
muro
Alterazione
erosione
erosione
erosione
Cause degrado
dissoluzione
dissoluzione
dissoluzione
Esempio
Biancone
pietra di Vicenza
pietra di Viggiù
Denominazione CALCARE
FOSSILIFERO
DOLOMIA
TRAVERTINO
Classificazione sedimentaria
biochimica
Minerali
calcite
sedimentaria
chimica
dolomite
sedimentaria
chimica
calcite
Chimismo
Ca
Ca, Mg
Ca
Tessitura
wackestone
ricristallizzata
boundstone
Colore
bianco, rosso, rosa, giallo bianco, rosa
bianco, bruno
Massa vol. app. variabile
2,5
2,3
Tipologie
blocco, lastra
blocco, lastra
blocco, lastra
Lavorabilità
buona, lucidabile
buona
buona, lucidabile
Uso
decorazione, muro
decorazione, muro muro
Alterazione
erosione
erosione
erosione
Cause degrado
dissoluzione
dissoluzione
dissoluzione
Esempio
Rosso di Verona
pietra d'Angera
Travertino di Tivoli
TABELLA 5: Alcune delle principali
caratteristiche dei marmi [9].
Denominazione
Classificazione
Minerali
MARMO
metam. regionale
calcite, qz, msc
Chimismo
Ca, Si
Struttura
granoblastica
Scistosità
assente
Grana
variabile
Colore
bianco, rosa, vene grigie
Massa vol. app.
2,7
Tipologie
blocco, lastra
Lavorabilità
ottima, lucidabile
Uso
scultura, decorazione
Alterazione
erosione
Cause degrado
dissoluzione
Esempio
marmo di Carrara
nota: qz=quarzo; msc=muscovite;mcc=microclino.
FIGURA 10: Micrografia ottica di una sezione sottile di un
marmo calcareo cristallino. Viene chiaramente evidenziata
la morfologia dei grani elementari [9].
FIGURA 11: Scultura in marmo statuario
( lucidato ) di Carrara di Marco Ambrosini,
denominata Amanti [25].
FIGURA 12: il Duomo di Carrara splendido esempio di utilizzo
del marmo come rivestimento di esterni [25].
Un numero rilevante di edifici e di oggetti di interesse storico/culturale sono stati realizzati
impiegando materiali ricavati da rocce calcaree ( vedasi esempio in figura 13 ) [26].
I calcari di origine sedimentaria, a seconda della loro natura, si diversificano fortemente per:
• composizione;
• porosità
• texture;
• proprietà meccaniche;
• durezza;
• resistenza agli agenti chimici e alle piogge acide.
La determinazione della porosità totale € di alcune rocce calcaree ha portato a valori che vanno da
43 ( arenaria calcarea dei templi di Agrigento ) a 56% (calcare Maya ) [8-b].
I prodotti di origine silanica ( silicati e alcossisilani ) hanno dimostrato, in alcuni casi, vedasi tabella
6, una buona attività consolidante nel caso delle pietre calcaree. In altre circostanze è stato trovato
che la calcite favorisce l’evaporazione degli alcossisilani riducendo la loro velocità di
polimerizzazione.
TABELLA 6: Casi documentati di successo di trattamenti di pietre
calcaree effettuati con prodotti alcossisilanici ( Brethane ) [13].
SITO
TIPO DI
PIETRA
St.Gorge Clunch
temple:
Audley
end
Chichester GlauconiteCathedral Calcare
/silicico
Bolsover Dolomite
Castle
Calcare
/arenaria
Goodrich Arenaria
Castle
/calcarea
CONTENUTO CONTENUTO POROSITA’
CARBONATO SILICATI E
OSSIDI DI
FERRO
100%
<25%
<100%
>0%
3-5%
82%
18%
29%
12%
88%
24%
E’ possibile minimizzare questo effetto usando formulazioni opportunamente catalizzate.
Pur tuttavia anche in queste condizioni il gel polimerico che si viene a formare non risulta
aderire al substrato; quindi l’efficienza consolidante è relativamente bassa [13].
Da quanto sopra e da quanto precedentemente scritto è possibile concludere che pur in
presenza a di una chiara incompatibilità chimica con i minerali che compongono i calcari
di origine sedimentaria ( principalmente la calcite ) i prodotti consolidanti di origine
silanica ( silicati e organosilossani ), in alcuni casi hanno mostrato una buona idoneità per
il consolidamento di manufatti lapidei in pietra carbonatiche.
FIGURA 13:Gli edifici del centro storico della Medina di Malta sono
stati edificati utilizzando pietre calcaree.
<La duttilità della sua pietra calcarea che riflette la luce secondo le
varie angolature ha permesso di creare gli intagli più complessi, che
decorano la moltitudine di palazzi nobiliari e dei luoghi cristiani di cui
l’isola pullula. Melita, cioè “Isola del miele”, fu il nome attribuito a
Malta grazie a questa sua pietra dorata > [26].
Per quanto riguarda i marmi è stato ampiamente dimostrato che l’impiego di formulazioni
contenenti silicati o alcossisilani può risultare molto utile per il loro consolidamento.
Questo comportamento è stato interpretato assumendo che:
a ) il processo di deterioramento dei marmi sia principalmente dovuto alla disintegrazione
dei grani;
b ) al contrario dei calcari sedimentari i marmi si caratterizzino per una dimensione dei
grani relativamente elevata e per l’assenza di sostanze che agiscono da cementi, di fatto i
grani sono a diretto contatto tra loro;
c ) la porosità dei marmi, anche se degradati, sia relativamente bassa e la forma degli
interstizi inter-grani sia a forma di lamina ( sheetlike ) [13].
Ruedrich et Al., a convalida di quanto sopra, hanno dimostrato che gli alcossisilani hanno,
nel caso di campioni di marmo, la capacità di riempire quasi completamente gli spazi
intergrani ( vedasi micrografia elettronica in figura 14 ) [13,27].
FIGURA 14: Micrografia elettronica in scansione di un campione
di marmo trattato con Wacker OH, un consolidante a base di silicato
di etile o tetraetossisilano. Il gel polimerico riempie gli spazi
intergrani del marmo conformandosi alle superfici piane dei grani
adiacenti [27,13].
L’effetto stabilizzante del Wacker OH sui campioni di marmo mostrati in figura 14 viene
così spiegato nel riferimento [27]:
< Alkoxysilane solutions enter these intergranular spaces and later gel and shrink……
The SEM shown in figure ( 14 ) helps to explain why OH-type gels are capable of
stabilizing marble against granular disintegration. Although the gel does not adhere to the
grain, it nearly fills the spaces surrounding the loose grain and prevents it from moving
and to be dislodged > [27].
I polimeri acrilici [28] risultano essere efficaci come consolidanti nel caso di manufatti per
la cui realizzazione si sono usati materiali in pietra calcarea molto densa, caratterizzata da
una bassa porosità e i cui spazi vuoti derivino essenzialmente da fessure/fratture e non da
pori [29].
Nei casi di cui sopra, secondo quanto scrive J. Delgado Rodrigues, i polimeri/copolimeri
acrilici sono capaci di penetrare attraverso le fessure
<…. where they build up some adhering bridges between the fracture walls and therefore
they play the role that is expected to be effective for such a degradation form ….> [29].
In effetti il Paraloid B72 e altri prodotti acrilici in commercio, agiscono di fatto da agenti
di adesione .
< They act like adhesives or gluing agents and not as traditional impregnating
consolidants…> [29].
Nel caso di pietre carbonatiche porose la connettività è bassa, i consolidanti acrilici
tendono a formare un film sulla superficie e, anche se questo determina un aumento della
resistenza meccanica, il comportamento del materiale trattato, visto nel suo insieme, risulta
esserne compromesso [29].
Per il consolidamentodi pietre in travertino, caratterizzate da una elevata compatezza e
bassa porosità ( circa il 6% per il travertino delle cave di Tivoli [8-a] ) è stato dimostrato
come prodotti di natura chimica diversa [ silicato di etile ( Waker- OH ); miscela
elastomero fluorurato/copolimero acrilico ( Fluormet CP ); miscela di alcossisilani/esteri
dell’acido silicico ( VP5035 ); copolimeri acrilici ( Paraloyd B72 ) e un poliuretano
fluorurato anionico in emulsione ( Akeogard-PU )] possano essere, anche se in maniera
diversificata, efficaci ( vedasi capitoli precedenti ) [30].
La scelta di un prodotto a scapito di un altro può dipendere fortemente dalla natura fisica
del campione e in particolare dal rapporto tra vuoti dovuti a fessurazioni e quelli connessi
alla porosità della pietra.
In presenza di travertini con elevata percentuale di fessure è probabile che prodotti ad alto
potere di adesione abbiano un maggiore effetto stabilizzante. In caso contrario ( basso
grado di fessurazioni ) mostreranno una efficacia maggiore quei prodotti capaci di
penetrare più in profondità attraverso i pori e quindi esplicare più propriamente la funzione
di consolidante.
Da quanto riportato si ricava che la compatibilità ( chimica, fisica, strutturale, meccanica ) tra i
materiali che compongono gli elementi dei manufatti architettonici e monumentali, oggetto di
restauro e di conservazione, e le macromolecole costituenti il polimero rappresenta uno dei
principali requisiti che spesso determina la scelta di un prodotto polimerico con caratteristiche
consolidanti.
Il requisito di compatibilità deve applicarsi anche all’insieme delle caratteristiche ambientali (
condizioni climatiche, presenza di inquinanti chimici/fisici/biologici ) tipiche dell’area dove è
collocato il manufatto da risanare.
I risultati sul campo hanno dimostrato che non sempre prodotti potenzialmente compatibili siano i
più idonei ad essere impiegati nel consolidamento di campioni di pietra. Infatti come ampiamente
documentato, altri fattori ( profondità di penetrazione, natura del danno e meccanismo di
degradazione, ecc. ) possono portare alla scelta di materiali meno compatibili ma dotati di
particolari altre proprietà in base alle quali farsi preferire.
Per le ragioni di cui sopra, prima di procedere alle operazioni di restauro in situ, è necessario
valutare, in laboratorio, la capacità e l’efficienza consolidante di un prodotto chimico, in relazione
ad un ben definito manufatto lapideo, effettuando una serie di prove, con metodiche oramai
consolidate e standardizzate, atte a determinare i seguenti parametri comportamentali:
-
L’adesione del polimero consolidato con i materiali costituenti le pietre ( naturali e/o
sintetiche ) componenti il manufatto. Una buona adesione prevede la formazione di legami
chimici ( primari e/o secondari ) e/o fisici che sfruttano la particolare affinità tra gruppi
funzionali presenti lungo le macromolecole dei polimeri solidi e sulla superficie o sulle
pareti dei pori dei materiali lapidei sottoposti a trattamento.
-
-
-
Il grado di ritiro, in fase di precipitazione dal solvente e conseguente solidificazione e/o di
indurimento o polimerizzazione in situ, che deve quanto più possibile essere vicino allo
zero.
La resistenza alla degradazione molecolare indotta dalle radiazioni solari e dal calore.
La capacità di resistere agli attacchi chimici/degradativi di sostanze con caratteristiche
basiche e/o acide, dell’acqua e di inquinanti presenti a vario titolo nell’ambiente circostante.
La profondità di penetrazione che auspicabilmente dovrebbe portare il consolidante fino
alla parte integra del materiale costituente il manufatto in pietra.
Le caratteristiche meccaniche ( modulo di elasticità, resistenza alla compressione, alla
trazione e alla flessione ) degli elementi lapidei costituenti post- trattamento.
La dilatazione volumetrica indotta dal calore e dall’assorbimento di acqua che non
dovrebbe causare tensioni sulle pareti dei pori e delle fessure.
La permeabilità e la porosità dei materiali costituenti. E’ buona norma che il trattamento
consolidante porti solo all’occlusione parziale dei pori affinché lo strato consolidato
mantenga la permeabilità al vapore d’acqua e ai vapori di solventi rilasciati a seguito della
deposizione del polimero: il materiale deve comunque respirare.
L’ apparenza e il colore che non dovrebbero essere mai troppo dissimili dall’originale.
Questo problema si verifica in particolare quando il consolidamento coinvolge anche la
superficie dei manufatti [7,8].
Come già ampiamente scritto la maggior parte delle procedure di consolidamento, basate
sull’azione di polimeri allo stato condensato, prevede l’utilizzo di formulazioni liquide contenenti
monomeri e/o pre-polimeri reattivi ( a bassa viscosità e basso peso molecolare ) che solo dopo la
penetrazione all’interno del materiale da risanare e dopo l’allontanamento del solvente e in presenza
di idonei catalizzatori, polimerizzano, reticolano e solidificano stabilendo con i materiali che
costituiscono il substrato lapideo dei legami ( chimici/fisici ) [31].
Lo sviluppo della chimica dei polimeri di sintesi ha permesso di mettere a punto e commercializzare
formulazioni polimeriche e procedure applicative mirate e specifiche per il tipo di pietra da
consolidare e per le sue caratteristiche ( in particolare la composizione e la natura chimica dei
minerali componenti, la struttura e la porosità, la dimensione dei grani e la loro forma spaziale e la
presenza o meno di microfessure ) le quali tra l’altro si adattano anche al tipo di danno che
predomina nel processo di deterioramento.
B ) RELAZIONE TRA STRUTTURA CHIMICA E REATTIVITA’ DEI POLIMERI,
STRUTTURA E COMPOSIZIONE DELLE PIETRE E CAPACITA’ DI PROTEZIONE
SUPERFICIALE
Nelle operazioni di conservazione di manufatti in pietra dopo il consolidamento è buona prassi
procedere a trattamenti di protezione superficiale allo scopo di conferire al manufatto una maggiore
idrorepellenza impedendo altresì il trasporto di sali e agenti inquinanti dall’esterno verso l’interno
[32].
I requisiti di un prodotto protettivo, secondo la “Raccomandazione Normal 20/85”, sono qui di
seguito elencati:
1 ) assenza di sottoprodotti nocivi per il substrato lapideo ( ad esempio produzione di sali), e
questo anche a distanza di tempo dall’esecuzione del trattamento;
2 ) stabilità chimica nei confronti degli agenti inquinanti presenti nell’ambiente e dell’ossigeno;
3 ) resistenza alle radiazioni ultraviolette;
4 ) permeabilità al vapore d’acqua ( il substrato deve comunque traspirare; la normativa vigente
prescrive di non ridurre, nel materiale trattato, la preesistente permeabilità ai vapori oltre il valore
limite del 10% ) e impermeabilità all’acqua liquida;
5 ) solubilità nei più comuni solventi organici al fine di favorire la eventuale rimozione quando il
prodotto ha perduto la sua efficacia ( concetto di reversibilità );
6 ) trasparenza ed inalterabilità del colore; ad un protettivo si richiede di non provocare variazioni
nel colore della superficie della pietra trattata e quindi di non influenzarne le proprietà ottichecromatiche.
Come nel caso del consolidamento l’efficacia di un trattamento idrorepellente viene valutata sulla
base di sperimentazioni in laboratorio, ex ante, atti a fornire, tra l’altro, indicazioni circa la
compatibilità chimica, fisica e strutturale con le sostanze costituenti il substrato lapideo.
Alcuni dei test più significativi sono qui di seguito ricordati [8-b].
i ) Determinazione dell’angolo di contatto tra la superficie di un film di prodotto protettivo e una
goccia di acqua ( la massima capacità di idrorepellenza corrisponde a valori dell’angolo di contatto
vicini a 180° ). I polimeri fluorurati, le resine acriliche fluorurate e i siliconi presentano valori
dell’angolo di contatto rispettivamente > 110°, 130° e 90-120°.
In base a questi valori i polimeri sopra indicati sono da considerare potenzialmente delle buone
sostanze idrorepellenti.
ii ) Misura del coefficiente di assorbimento dell’acqua per capillarità o per immersione totale.
iii ) Determinazione dell’assorbimento dell’acqua sotto bassa pressione ( vedasi procedura della
pipetta ).
iv ) Calcolo della curva di evaporazione.
v ) Misura dell’indice di asciugamento.
vi ) Quantificazione della durabilità mediante cicli di invecchiamento artificiale/accelerato in
apposite camere climatiche [33].
Formulazioni contenenti polimeri preformati di natura organo-silossanica ( concentrazione di
sostanza attiva intorno al 5-10% ) sono risultati idonee per il trattamento superficiale di pietre molto
porose ( ad esempio tufi, arenaria calcarea, mattoni ecc. ).
Nel caso di substrati compatti e poco assorbenti si sono usati prodotti a base di estere etilico
dell’acido silicico ( TEOS ) e di alchil-alcossisilani, ( ad esempio il metiletossisilano ( MTEOS ) e il
metilmetossisilano ( MTMOS ), che allo stato monomerico o di pre-polimeri a bassissima massa
molecolare sono commercializzati come liquidi privi di solvente
L’efficacia protettiva di questi prodotti è funzione della struttura molecolare del polimero che si
viene a formare sulla superficie del materiale da trattare e delle interazioni chimiche e fisiche tra i
gruppi funzionali attivi all’interfaccia pietra/polimero. La capacità di ricoprire e impregnare la
superficie del substrato può essere migliorata utilizzando idonei solventi.
In letteratura sono riportati esempi di trattamenti idrorepellenti effettuati con prodotti silanici su
pietre di varia natura.
Secondo quanto riportato da G. Dell’Agli et Al., campioni di tufo ( porosità è permeabilità all’acqua
rispettivamente pari al 54% e al 248% ) trattati con silossano puro oppure con una miscela di
oligomeri di TEOS e MTEOS ( in commercio come Wacker-OH e Wacker-H) mostrano una
riduzione della permeabilità all’acqua rispettivamente del 21 e 10% ( da 248% a 203 e 222% ) [34].
J. Lukaszewicz et Al. Hanno dimostrato come trattamenti protettivi di pietre arenarie effettuati con
una formulazione a base di Brethane ( il cui componente attivo è il MTMOS ) causa una riduzione
della permeabilità del 61%, mentre con l’impiego di miscele TEOS + silossano ( Wacker-H ) è stato
possibile ottenere una riduzione di circa il 40% [35].
Da quanto sopra si ricava che la compatibilità chimica tra i costituenti di pietre siliciche e i prodotti
di natura silanica determina una buona efficienza protettiva da parte di questi ultimi prodotti.
Come già precedentemente riportato, i copolimeri acrilici( in particolare il copolimero
etilmetacrilato(EMA )/metilacrilato ( MA ) commercializzato come Paraloid B72 ) sono stati
ampiamente impiegati nella protezione superficiale di manufatti lapidei di varia natura e origine.
La versatilità dei processi di sintesi dei copolimeri acrilici permette di ottenere prodotti con una
struttura chimica e massa molecolare funzionale al tipo di substrato e alla procedura di applicazione
[36].
Una formulazione acquosa a base di alchilalcossisilano, commercializzata come ( Funcosil WS ), è
stata utilizzata con successo nel trattamento protettivo sia di pietre di Travertino Romano ( una
pietra con una:composizione chimica, essenzialmente a base di calcite microcristallina, porosità
totale pari al 4-7% ) che di pietre di Granito Rosso e Granito Grigio ( rocce intrusive a struttura
granulare, dense ed omogenee i cui costituenti principali sono minerali silicei, mica, quarzo e
feldspato, porosità totale >1% ).
Queste pietre facevano parte del rivestimento esterno del monumento alla Libertà di Riga ( vedasi
dettagli in capitolo precedente ) [37].
I campioni di granito dopo il trattamento con alcossisilano presentano una riduzione
dell’assorbimento di acqua e della porosità, a dimostrazione dell’efficacia del prodotto protettivo
usato sia nel caso di pietre calcaree che silicee.
In generale è stato riscontrato che campioni di pietra trattati con agenti protettivi di natura acrilica (
ad esempio il Paraloid B72 ) sottoposti a prove di invecchiamento ambientale (accelerato o naturale
) denotano nel tempo una riduzione della loro capacità protettiva a seguito di processi di
degradazione e di modificazione chimica indotti in particolare dall’azione delle radiazioni UV [36].
Uno studio comparativo circa l’efficacia di protezione nei confronti dell’umidità e la stabilità
fotochimica di polimeri/copolimeri acrilici con struttura chimica diversa è stato effettuato da S.
Bracci e M. J. Melo analizzando il comportamento di campioni di marmo dolomitico, prima
sottoposti a trattamento protettivo e quindi a prove di invecchiamento accelerato in camera
climatica [38].
E’ ben noto che il marmo dolomitico, costituito essenzialmente da carbonato doppio di calcio e
magnesio, CaMg(CO3)2, è stato usato nella scultura di statue sin da tempi remoti come dimostrato
dalle cinque statue di donne, sculture di epoca romana, allineate lungo la parete di fondo della
Loggia dei Lanzi a Firenze ( vedasi figura 15 ) [39].
I risultati dello studio di Bracci e Melo hanno dimostrato come il Paraloid ( copolimero
PEMA/PMA ) conserva, anche a tempi lunghi, una efficacia protettiva maggiore di quella relativa
agli omopolimeri PMA, PEMA e PMMA [38].
Nei capitoli precedenti si è già scritto che per ovviare all’inconveniente della istabilità fotochimica
dei polimeri acrilici, negli ultimi anni, sono stati sintetizzati e messi in commercio resine acriliche
fluorurate. Queste ultime si applicano attraverso reazioni di copolimerizzazione in situ di monomeri
acrilici in presenza di monomeri fluorurati. Questi materiali, per la presenza di atomi di fluoro in
catena, si caratterizzano per una maggiore idrorepellenza e resistenza ai raggi UV. Inoltre le
molecole di questi nuovi prodotti sono state, in alcuni casi, opportunamente funzionalizzate al fine
di aumentarne l’adesione al substrato lapideo [32,36].
L’efficacia protettiva di copolimeri acrilici fluorurati, con struttura molecolare e composizione
FIGURA 15: La Loggia dei Lanzi a Firenze. Le cinque statue collocate lungo
la parete di fondo sono in marmo dolomitico [41].
diversa, è stata valutata su campioni di marmo di Candoglia e di pietra di Noto.
Il marmo di Candoglia ( grana media, compattezza buona, porosità bassa, <1% , componenti:
calcite, quarzo, muscovite, pirite ), estratto nelle cave di Candoglia in Val d' Ossola, è una pietra di
colore bianco/rosa o grigio.
< Se ne conosce l'uso in epoca romana per stele e altari, ma fin dal 24 ottobre 1387, in base ad un
privilegio di Gian Galeazzo Visconti, il marmo fu riservato alla Fabbrica del Duomo di Milano:
per la costruzione dei piloni, degli archi e dei muri perimetrali, per il rivestimento delle facciate e
delle terrazze, per la decorazione e la scultura; l’uso prosegue tuttora nell’attività di manutenzione
dell’edificio > [40].
La degradazione di questo materiale avviene per
< erosione superficiale fino a disgregazione e polverizzazione a causa dell’azione solvente delle
acque meteoriche sui cristalli calcitici; possibilità di solfatazione con formazione di croste...> [40].
La pietra di Noto ( impiegata in architettura per la realizzazione di rivestimenti esterni ed interni e
per elementi decorativi ) è una roccia sedimentaria, costituita prevalentemente da calcareniti, che si
caratterizza per i seguenti elementi:
?
?
?
?
composizione calcarea ( calcimetria: CaCO3 = 95,1 )
facile lavorabilità e buone qualità fisico- meccaniche;
particolari caratteristiche cromatiche ( colore giallo-oro );
porosità elevata, 30-40% [42, 43].
Campioni di marmo di Candoglia e di pietra di Noto sono stati condizionati con trattamenti
protettivi con copolimeri acrilici fluorurati che si differenziavano per la loro struttura molecolare,
composizione e contenuto in fluoro. Successivamente questi campioni sono stati sottoposti ad
invecchiamento fotochimico accelerato e quindi si è provveduto alla valutazione dell’efficacia dei
vari trattamenti sulla base della determinazione della stabilità all’azione delle radiazioni UV e della
permeabilità all’acqua e al vapore d’acqua.
I risultati dello studio di cui sopra hanno portato alla conclusione che quanto maggiore è la frazione
del comonomero fluorurato e quanto minore è la lunghezza della ramificazione, maggiore è la
stabilità chimica del sistema di protezione lapideo.
La protezione superficiale con i polimeri acrilici fluorurati è risultata essere particolarmente efficace
nel caso delle pietre di Noto, meno per il marmo di Candoglia ( bassa porosità ) [36 ].
Dall’insieme dei risultati presentati si ricava che:
1 ) mediante opportune procedure di sintesi chimiche è possibile modulare il comportamento e i
meccanismi di consolidamento e di protezione realizzando materiali che siano funzionali alla
particolare struttura fisica e composizione dei substrati oggetto di trattamento;
2 ) è possibile progettare prodotti macromolecolari la cui struttura sia tale da indurre una maggiore
resistenza nei confronti dell’azione degradativa degli agenti chimici/fisici attivi nell’ambiente
circostante il substrato lapideo;
3 ) la scelta di un prodotto consolidante/protettivo dipenderà comunque dai risultati di una serie di
test ex ante da eseguire prima in laboratorio e quindi sul campo e questo in relazione al particolare
substrato da proteggere e alle condizioni climatiche e ambientali al contorno.
RIFERIMENTI
1 ) E. Martuscelli, La Chimica e l’lndustria, 77, 86-97 (1995)
2 ) E. Martuscelli E. La Chimica e l'lndustria, 77, 537-539 (1995)
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41 ) http://it.wikipedia.org/wiki/Immagine:Duomo.jpg, (2006).
42 ) [email protected], (2006).
43 ) http://www.lavorincasa.it/?articolo=4181, (2006).
PARTE-F
CAPITOLO-1
LO SVILUPPO DELLA CHIMICA MACROMOLECOLARE E DELLA SCIENZA DEI
POLIMERI PER L’IMPLEMENTAZIONE DI PRODOTTI E METODOLOGIE
INNOVATIVE PER IL CONSOLIDAMENTO E LA PROTEZIONE DELLE PIETRE
Negli ultimi anni notevoli investimenti in RST&D sono stati indirizzati verso la messa a punto di
sistemi macromolecolari di nuova concezione, da impiegare come consolidanti e/o protettivi di
manufatti lapidei, caratterizzati da:
— performance di utilizzo a più lungo termine;
— una più elevata stabilità nei confronti dei fattori ambientali ( ossigeno, umidità, calore,
luce e inquinanti chimici );
— un maggiore durabilità e resistenza in relazione alle sollecitazioni fisico/meccaniche
imposte dalle funzioni d’uso del manufatto.
Alcuni significativi percorsi innovativi, di interesse applicativo nel campo del restauro e della
conservazione delle pietre naturali e sintetiche, sono qui di seguito illustrati.
1 ) AGENTI ACCOPPIANTI PER MIGLIORARE L’ADESIONE TRA PRODOTTO
CONSOLIDANTE/PROTETTIVO E LA PIETRA
Un agente accoppiante, relativamente ad un sistema composito bifasico
PIETRA/POLIMERO
è < una sostanza capace di reagire, attraverso legami chimici stabili, sia con il componente lapideo
che con la resina polimerica contribuendo a:
- rinforzare l’adesione all’interfaccia;
- migliorare la resistenza meccanica;
- prolungare la “service life” > [1,2].
.
I composti di natura organosilanica, a formula generale:
Y- Si=(OR)3
hanno la capacità, per la loro costituzione chimica, funzionalità e reattività, di agire da agenti
accoppianti formando dei ponti chimici tra una fase inorganica ( ad esempio una superficie lapidea )
e una fase organica ( resine polimeriche di varia natura e struttura ), vedasi schema in figura 1.
Queste molecole si caratterizzano per la presenza di gruppi con due diversi tipi di reattività.
1
— I gruppi —OR- di natura alcossilica [ metossi ( —OCH3 ), etossi ( —OCH2CH3) ), acetossi
(—O(CO)CH3 ) ] per effetto dell’acqua si idrolizzano dando luogo alla formazione di
silanoli ( -Si-OH ) che per condensazione con gli ossidrili presenti sulla superficie della fase
inorganica formano dei ponti di tipo -Si—O—Si-.
— I gruppi organofunzionali ( —Y )- possono avere una funzionalità di natura vinilica (
figura 2,a), epossidica ( figura 2,b), metacrilossidica ( figura 2,c ) e amminica ( figura 2,d );
interagiscono con varie tipologie di resine polimeriche [3].
FIGURA 1: Rappresentazione schematica: formazione di
ponti chimici attraverso i quali molecole silaniche con
caratteristiche di accoppianti agganciano una fase organica (
in nero in figura ) ad una inorganica ( in azzurro in figura
)[3].
Alcuni esempi di impiego degli accoppianti silanici sono qui di seguito descritti [3].
Silani di natura vinilica (figura 2,a)
Vengono usati in reazioni di reticolazione di polimeri non polari, dotati di scarsa reattività (
polietilene e copolimeri dell’etilene ) e nel caso di poliuretani. Le reazioni di aggancio sono basate
su di un meccanismo di tipo free radical. Generalmente si fa uso di perossidi organici per iniziare la
reazione di innesto.
Silani con funzionalità epossidica ( figura 2,b )
Possono essere applicati come agenti accoppianti per le resine epossidiche , poliesteri e
poliuretaniche.
Silani con funzionalità metacrilossidica ( figura 2,c )
Sono idonei ad essere impiegati come additivi in sistemi che reticolano via radicali liberi (
poliolefine, poliuretani, poliacrilici, poliesteri ecc. )
2
Ammino silani ( figura 2,d )
Hanno la capacità di legarsi a matrici polimeriche diverse ( termoplastiche e termoindurenti ) quali
ad esempio: resine epossidiche, poliuretani, polietilene, gomme siliconiche, copolimeri etilene
vinilalcole, ecc..
a)
b)
c)
d)
FIGURA 2: Struttura chimica di gruppi organo-funzionali in molecole
di accoppianti silanici:
a) funzionalità vinilica;
b) epossidica;
c) metacrilossidica;
d) amminica [3].
3
Nella figura 3 viene indicata la struttura chimica di alcuni agenti accoppianti di tipo organosilanico,
di recente sviluppo, e le resine polimeriche con le quali, attraverso i gruppi organo funzionali,
formano legami stabili [1].
Nei trattamenti di consolidamento/protezione gli agenti accoppianti possono essere applicati
direttamente sulle pietre come pre-trattamento oppure aggiunte alle resine insieme a idonei
catalizzatori.
FIGURA 3: Struttura chimica di agenti accoppianti di tipo organosilanico e
natura chimica delle resine organiche con le quali, attraverso i gruppi organo
funzionali, possono formare legami stabili [1].
4
Come schematicamente rappresentato in figura 4 l’utiizzo di un appropriato agente di
accoppiamento organo silanico,con una funzione epossidica, permette di ancorare una resina
epossidica ad un substrato lapideo con esposti gruppi Si—OH [1,4,5,6].
FIGURA 4: Viene mostrato il meccanismo di accoppiamento chimico
tra la superficie di una pietra ( area verde bordata di rosso ) con gruppi
Si—OH esposti e una resina epossidica ( area bordata in blu ) indotto da
un agente organo silanico con una funzione epossidica [1].
2 ) NANOCOMPOSITI A MATRICE POLIMERICA CONSOLIDANTI/PROTETTIVI DELLA
PIETRA
Attraverso la tecnologia dei nano-compositi polimerici (materiali caricati in cui le dimensioni delle
particelle disperse (nanocariche) è dell’ordine di grandezza del nanometro (10-9 m) ) è possibile
realizzare prodotti potenzialmente idonei ad essere impiegati come consolidanti/protettivi con
performance fortemente innovative e outstanding .
Processi che portano all’ottenimento di nano-compositi caratterizzati da una matrice polimerica e da
una fase dispersa costituita da particelle inorganiche derivanti da silicati lamellari, opportunamente
esfoliati o delaminati, appartenenti alla famiglia dei fillosilicati (ad esempio la montmorillonite, la
ectorite, la vermiculite ecc. ) appaiono essere particolarmente promettenti ai fini applicativi.
La sintesi di questi nano-compositi, polimero/ silicato, è essenzialmente basata su una delle seguenti
procedure:
a ) Intercalazione del polimero da soluzione.
b ) Polimerizzazione in situ.
c )Intercalazione dal fuso [7,8,9].
5
a ) intercalazione del polimero da soluzione
Prevede:
1 ) il dissolvimento del polimero in un idoneo solvente organico;
2 ) la diffusione dello stesso solvente all’interno delle lamelle argillose del silicato e
successiva sfaldatura delle stesse;
3 ) il mescolamento del sistema in 2 ) con la soluzione in 1 );
4 ) adsorbimento del polimero sulla superficie delle lamelle elementari del silicato;
5 ) evaporazione del solvente;
6 ) occlusione delle macromolecole di polimero tra le lamelle e formazione di strutture
ordinate multistrato allo stato condensato ( vedasi figura 5 ) [10].
FIGURA 5: Sintesi di un nano-composito polimero/silicato
(lamellare) basato sul processo di intercalazione del
polimero in soluzione ( vedasi testo ) [10]
b ) Polimerizzazione in situ.
Le fasi di questo processo, con riferimento alla figura 6, sono:
1 ) la dispersione delle strutture lamellari elementari del silicato in un solvente contenente anche il
monomero e il catalizzatore ;
2 ) la intercalazione delle molecole di monomero e del catalizzatore tra le lamelle del silicato;
3 ) la polimerizzazione in situ del monomero intrappolato tra le lamelle argillose ( figura 6 ) [10].
c ) Intercalazione dal fuso
Questa procedura, che non prevede l’uso di solventi, contempla i seguenti passaggi:
6
1 ) un pre-trattamento di compatibilizzazione del silicato che consiste nell’introdurre tra le lamelle
molecole di un tensioattivo cationico di natura organica, quale un sale di ammonio quaternario ( il
silicato, organomodificato, assume un comportamento idrofobico, la sua energia superficiale è
ridotta, la compatibilità con il polimero aumentata );
2 ) miscelazione del silicato organomodificato con il polimero a temperature maggiori della
temperatura di fusione o di rammollimento del polimero utilizzando le normali apparecchiature
usate per la lavorazione delle materie plastiche ( estrusori, brabender ecc. ) ( vedasi figura 7 ) [10].
Figura 6: Il processo di sintesi di un nano-composito polimero/silicato
(lamellare) basato sulla polimerizzazione del monomero in situ tra le
Lamelle del silicato ( vedasi testo ) [10].
FIGURA 7: Processo di sintesi di un nano-composito basato sulla
metodica dell’intercalazione diretta dal fuso ( vedasi testo ) [10].
Alternativamente, quando la compatibilità tra polimero e lamelle di silicato è elevata è possibile con
opportuni metodi realizzare la completa dispersione delle singole lamelle del silicato, dopo un
appropriato processo di delaminazione degli stessi, nella matrice polimerica. I nano-compositi così
ottenuti sono definiti esfoliati o delaminati.
7
Recentemente sono state messe a punto delle procedure di sintesi per l’ottenimento di nano-filler
ibridi, organici/inorganici, aventi una geometria sferica/cubica che per la loro struttura sono
chimicamente affini/compatibili con matrici polimeriche di varia natura [10,11].
< in alternativa è stata recentemente proposta una nuova tipologia di nanofiller ibridi
organici/inorganici per i quali non sono necessari trattamenti di compatibilizzazione. Questi
materiali denominati POSS (Polyhedral Oligomeric Silsesquioxanes) sono formati da una gabbia
silossanica a cui sono legati residui idrocarburici R (otto in tutto) o comunque di natura organica
> (figura 8) [10].
Un altro aspetto innovativo è basato sull’impiego di nano-tubi di carbonio in grado di conferire, a
concentrazioni molte basse, al polimero ospite particolari caratteristiche meccaniche ed elettriche
[11, 12].
FIGURA 8: Formula di struttura dei POSS
(Polyhedral Oligomeric Silsesquioxanes),
cubi di lato 0,5nm, utilizzati per
l’ottenimento di nano-compositi innovativi
che non hanno bisogno di procedure di
compatibilizzazione [10].
Con lo sviluppo delle nano-tecnologie è stato possibile realizzare compositi a matrice polimerica
con proprietà migliorate se paragonate a quelle dei polimeri tal quali e ai corrispondenti compositi
tradizionali. È importante sottolineare come questi risultati si ottengano con un contenuto di cariche
relativamente basso, entro un intervallo di 0,1-10%w/w.
Alcune delle più significative prestazioni dei nano-compositi a matrice polimerica sono qui di
seguito elencate.
? Proprietà meccaniche: contestuale incremento del modulo elastico, della resistenza a trazione e
in alcune circostanze dell’allungamento a rottura.
8
? Proprietà termiche: miglioramento della stabilità dimensionale a caldo, riduzione dei ritiri,
diminuzione del coefficiente di espansione termica e aumento della massima temperatura di
esercizio.
? Proprietà barriera: ridotta permeabilità a gas e vapori.
? Resistenza ai solventi e agli agenti chimici: migliorata resistenza all’azione dei solventi e degli
agenti chimici.
? Resistenza al fuoco: proprietà fire retardant, migliorata reazione al fuoco [9,10,11,13].
Tra i nano-compositi messi a punto rientrano anche quelli basati su di una matrice epossidica
oppure di natura poli-acrilica con una fase dispersa, rispettivamente, di montmorillonite organomodificata e di particelle di carbonato di calcio.
La sintesi di nano-compositi polimerici con particelle disperse di biossido di titanio può portare
all’ottenimento di materiali consolidanti e protettivi con elevata resistenza alle radiazioni UV e con
caratteristiche autopulenti e biocide [14]
Attraverso l’ulteriore sviluppo delle nanotecnologie sarà possibile progettare e realizzare nuovi
materiali controllando la struttura delle superfici e delle interfasi e la fenomenologia fisica e
chimica all'interfaccia tra la matrice e la fase dispersa. Alcuni di questi potranno trovare utilizzo
,anche, come consolidanti/protettivi innovativi nelle operazioni di conservazione del costruito.
In questo contesto vanno inquadrate le ricerche che tendono all’ottenimento attraverso la
metodologia sol- gel, di sistemi ibridi organici/inorganici, con una strutturazione nano-metrica, di
natura acrilica-organosilanica.
< Tali sistemi ibridi sono stati ottenuti a partire da dispersione acquose (lattici) di polimeri
acrilici funzionalizzati in catena laterale con gruppi reattivi alcossisilanici –SiOR, in grado
di formare legami covalenti con monomeri alchilalcossisilanici in seguito a successive
reazioni di idrolisi e condensazione > [15].
Le ricerche hanno pemesso la sintesi di sistemi ibridi poliacrilati/polisilossani ( PA-PSi ),
nanostrutturati, con morfologia controllata di tipo core shell ( vedasi figura 9) [15].
Questi materiali eterofasici nanostrutturati, che associano, in linea di principio,
< le buone proprietà idrorepellenti, di flessibilità, di resistenza termica, di stabilità
all’invecchiamento e la bassa tensione interfacciale dei polisilossani, con le ottime proprietà
meccaniche, filmanti, coesive e di durabilità conferite dai poliacrilati >
sono particolarmente interessanti in quanto potenzialmente in grado di essere impiegati quali
rivestimenti o impregnanti per substrati porosi di natura lapidea [15].
FIGURA 9: Sistemi ibridi poliacrilati/polisilossani,
PA-PSi, nano-strutturati con morfologia: core shell [15].
9
3 ) CONSOLIDANTI/PROTETIVI CON PROPRIETA’ BARRIERA NEI CONFRONTI DEGLI
AGENTI CHIMICI AMBIENTALI, INIBITORI DELLA CRESCITA DI SALI, CON
CARATTERISTICHE BIOCIDE E UV-RESISTANT
3.1 )Prodotti con proprietà barriera e inibitori della cristallizzazione di sali
I normali agenti di protezione superficiale sono progettati per impedire la permeabilità all’acqua
liquida ma non al vapore d’acqua e purtroppo ad altre sostanze gassose nocive presenti
nell’ambiente ( ad esempio SO2, NOx, HCl, ecc. ).
Il ritrovamento di cristalli di CaSO4 sulla superficie di campioni di pietra calcarea trattati con una
resina siliconica e successivamente esposti all’azione dell’anidride solforosa dimostra che molecole
di SO2 sono riuscite a penetrare attraverso la superficie ed attaccare il carbonato di calcio
sottostante.
Dall’esame della letteratura tecnica e scientifica si ricava che al fine di ovviare all’ inconveniente di
cui sopra, si stanno sviluppando:
? film polimerici protettivi che siano permeabili al vapore d’acqua ma impermeabili ai gas nocivi,
quale ad esempio la SO2:
? membrane polimeriche protettive più o meno permeabili agli agenti inquinanti gassosi a seconda
della direzione e del percorso di penetrazione;
? processi di pre-trattamento delle superfici delle pietre con sostanze capaci di inibire la crescita di
cristalli di sali come ad esempio quelli di solfato di calcio derivanti dalla solfatazione del carbonato
di calcio (da citare alcuni esperimenti effettuati, apparentemente con successo, usando come primer
la p-nitroanilina ) [16].
Attualmente bisogna riconoscere che i risultati ottenuti non sembrano essere risolutivi e che quindi
l’argomento richiede ancora un grosso sforzo da parte dei ricercatori del settore.
3.2 ) Prodotti polimerici ( consolidanti/protettivi ) con migliorata resistenza
all’invecchiamento chimico
L’invecchiamento chimico, la risultante dell’azione sinergica e combinata di vari fattori ambientali
(calore, ossigeno, inquinanti ( basici e acidi ), luce solare ( radiazioni UV ), radiazioni ionizzanti
ecc. ), determina importanti modificazioni nella struttura macromolecolare dei polimeri ( ad
esempio formazione o rottura di legami chimici e variazione della massa molecolare media e della
sua distribuzione ) essenzialmente riconducibili alle seguenti tipologie di reazioni:
?
?
?
?
?
rottura statistica delle catene;
reticolazione;
modificazione dei gruppi laterali;
eliminazione dei gruppi laterali;
ciclizzazione dei gruppi laterali ( vedasi figura 10 ) [17].
L’invecchiamento chimico si manifesta nei polimeri attraverso un decadimento progressivo e
irreversibile delle proprietà ( termiche, meccaniche, ottiche, elettriche, ecc. ).
I grafici delle figure 11 e 12 evidenziano come in presenza di una riduzione del peso molecolare, e
quindi della viscosità, le proprietà meccaniche di un generico polimero decadono.
In particolare si osserva come in corrispondenza di un valore critico ( Mcr ) delle masse molecolari
si verifica un brusco crollo delle caratteristiche di rottura; il materiale perde completamente le sue
10
caratteristiche funzionali (vedasi figura 12 ) [17,18].
I fenomeni di ageing possono portare anche ad un aumento della massa molecolare e quindi della
viscosità, qualora dovesse prevalere il processo di reticolazione tra molecole diverse [18].
FIGURA 10: Modificazioni molecolari di catene
polimeriche indotte da invecchiamento chimico [17].
Dall’alto verso il basso: ? rottura statistica delle catene;
? reticolazione; ? modificazione dei gruppi laterali;
? eliminazione dei gruppi laterali; ? ciclizzazione
dei gruppi laterali [17].
11
In generale per aumentare la resistenza dei polimeri all’ageing ambientale si fa ricorso a procedure
di stabilizzazione basate essenzialmente su tre diversi processi.
3.2.1 ) aggiunta di additivi ( antiossidanti e stabilizzanti anti-UV )
Gli antiossidanti hanno la funzione di prevenire i processi di degradazione derivanti da reazioni di
ossidazione, generalmente iniziate da radicali liberi generatisi per azione del calore, della luce e
dalla presenza di impurezze e difetti di catena.
Gli antossidanti possono essere di natura primaria ( ammine, fenoli, sali metallici ecc. ) se
intervengono sullo stadio di iniziazione del fenomeno degradativo oppure secondaria (
organofosfiti, tioesteri ecc. ) se operano sullo stadio di propagazione [19].
Gli stabilizanti anti-UV, a seconda della loro tipologia di azione sono suddivisi in varie famiglie.
a ) Assorbitori di radiazioni UV - ( nerofumo, ossidi di ferro, derivati del benzofenone ).
b) Estintori di stati eccitati ( quenchers )- ( complessi a base di nichelio ).
c ) Sequestratori di radicali ( radical scavengers )- (ad esempio derivati della piperidina, HALS=
hindered amine light stabilizers ) [20].
La possibilità di mettere a punto sistemi polimerici che resistano meglio all’invecchiamento
chimico ambientale è legata allo sviluppo di nuovi additivi, antiossidanti e stabilizzanti anti-UV,
caratterizzati da una maggiore efficacia e inoltre caratterizzati da:
-
una più bassa tensione di vapore alle temperature di lavorazione e di esercizio;
una minore propensione alla migrazione verso la superficie del manufatto con formazione di
depositi ( chalking o blooming );
una maggiore resistenza all’azione estrattiva da parte di solventi con i quali il polimero
viene a contatto durante l’uso.
In relazione a quanto sopra la Atochem ha sviluppato dei nuovi additivi HALS, contenenti
gruppi perossicarbonato, che possono essere impiegati come iniziatori di polimerizzazioni di
monomeri reattivi ( ad esempio i monomeri acrilici ). Il polimero risultante contiene lungo le sue
catene molecole di HALS legate chimicamente. Pertanto le molecole di additivo non hanno ne la
possibilità di diffondere verso la superficie ne quella di essere estratte da eventuali solventi.
In questo contesto la Ciba-Geigy e la American Cyanamide hanno sintetizzato additivi non
oligomerici a base di HALS ad elevata massa molecolare e bassa volatilità [21].
3.2.2 ) Modificazione chimica della struttura molecolare dei polimeri
L’inserimento di monomeri fluorurati lungo le catene di copolimeri acrilici, attraverso
polimerizzazione radicalica di miscele di monomeri acrilici tradizionali e monomeri contenenti
atomi di fluoro, rappresenta un esempio, di cui si è già scritto nei capitoli precedenti, di come sia
possibile sintetizzare polimeri modificati con una più elevata resistenza nei confronti dell’ageing
chimico.
Le particolari caratteristiche dei polimeri fluorurati è da mettere in relazione con il fatto che il
legame carbonio-fluoro è uno dei legami covalenti a più alta energia.
Pertanto la presenza di atomi di fluoro, distribuiti casualmente lungo le macromolecole di un
12
FIGURA 11: La tenacità di un polimero ( G1c )
cresce all’aumentare della massa molecolare [17].
FIGURA 12: Rappresentazione schematica.
Curva tratteggiata- variazione della massa
molecolare di un generico polimero con il tempo
di invecchiamento.
Curva continua- dipendenza delle caratteristiche
di rottura con il tempo di invecchiamento [17].
13
polimero, determina una maggiore resistenza:
-
ai raggi UV, all’ossidazione e alle variazioni di temperatura;
all’attacco di microorganismi e alla biodegradabilità;
agli aggressivi chimici in un ampio intervallo di temperatura.
al calore e al fuoco;
all’usura, all’abrasione a alla perforazione;
alle sollecitazioni dinamiche ( vibrazioni o flessioni ).
Inoltre i polimeri fluorurati si caratterizzano per:
-
una più elevata capacità di trasmettere la luce;
una riduzione dell’energia superficiale ( eccellenti prestazioni contro il bagnamento e
l’adesione di sostanze estranee ).
una più lunga durata di servizio, anche in presenza di alte temperature e prodotti chimici
aggressivi [22].
La polimerizzazione in situ di copolimeri acrilici fluorurati potrebbe rappresentare una interessante
opportunità per lo sviluppo di nuovi protettivi superficiali fluorurati dotati di elevata stabilità
chimica e fotochimica o di consolidanti con migliorate proprietà di rinforzo di substrati lapidei
purchè vengano ottimizzate le condizioni di sintesi e migliorate le metodiche per la
caratterizzazione chimica e chimico fisica dei materiali e questo in relazione alla natura e struttura
dei substrati da trattare.
Particolare attenzione dovrà essere riservata alla definizione delle correlazioni tra efficacia
protettiva, stabilità di aggancio alla pietra, durabilità, trasparenza, solubilità, contenuto in fluoro e
distribuzione dei comonomeri fluorurati lungo le macromolecole e tutto questo in una ottica di
migliorare il rapporto costo/prestazioni [23,24].
Un esempio di utilizzo dei polimeri acrilici fluorurati è rappresentato dal trattamento protettivo del
Duomo di Carrara ( vedasi figura 13 ) [23].
FIGURA 13: Esempio di trattamento protettivo a base
di polimero acrilico fluorurato di sintesi effettuato nel
caso del Duomo di Carrara [23].
14
Altri casi di applicazione del principio della copolimerizzazione, funzionale al miglioramento delle
caratteristiche di un polimero di base di interesse nel settore della conservazione dei beni culturali,
sono qui di seguito elencati:
1- resine acriliche modificate, copolimeri acrilici/stirene;
2- polivinilacetato modificato, copolimeri vinilacetato/vinilcloruro/etilene;
3- resine acriliche modificate, copolimeri butilacrilato/stirene/acido acrilico [25].
3.3 ) Miglioramento delle prestazioni protettive/consolidanti mediante processi di
miscelazione
Processi innovativi che portano all’ottenimento di miscele di polimeri pre-formati rappresentano
una interessante prospettiva al fine di produrre protettivi/consolidanti di manufatti lapidei a più di
un componente ( monofasici o polifasici- compatibili ) con prestazioni migliorate e maggiore
efficacia [26,27,28].
Le tecnologie del blending e del reactive blending ( vedasi figura 14 ) sembrano essere
particolarmente promettenti per mettere a punto formulazioni a più di un componente capaci di
esplicare contemporaneamente le funzioni di consolidamento e di protezione ( vedasi ad esempio il
caso di miscele tra polimeri acrilici e polimeri siliconici-fluorurati con caratteristiche reticolanti )
[23,24].
Lo sviluppo di formulazioni a più di un componente richiede sforzi di ricerca finalizzati in
particolare alla definizione delle relazioni tra composizione, struttura delle fasi, compatibilità,
miscibilità, viscosità, profondità di penetrazione e funzionalità di protezione e di consolidamento
modulata in corrispondenza delle caratteristiche del substrato lapideo da trattare [26,27].
FIGURA 14: La tecnologia del “Blending” e del “Reactive
Blending” permette di realizzare una vasta gamma di materiali
con caratteristiche innovative e con una varietà di
strutturazione delle fasi e della morfologia dalle quali ultime
dipendono le proprietà finali del sistema [28].
15
CONCLUSIONI
Negli ultimi decenni si è assistito ad un notevole sviluppo nella produzione e nelle applicazioni di
materiali polimerici. Il secolo ventesimo è passato alla storia come il secolo della plastica.
E’ in questo contesto che è possibile riscontrare la crescita dell’impiego di formulazioni a base di
prodotti macromolecolari nei processi di restauro e conservazione dei beni culturali.
In particolare questi prodotti vengono comunemente utilizzati nelle varie procedure di pulizia,
consolidamento, protezione e manutenzione del costruito e dei manufatti lapidei con l’obbiettivo di
ridurre la velocità dei processi di decadimento indotti dai più svariati agenti chimici, fisici e
biologici.
La straordinaria evoluzione della chimica macromolecolare ha permesso di progettare nuove
strutture molecolari con caratteristiche innovative da utilizzare in complesse procedure di
consolidamento/protezione in funzione sia della composizione chimica e struttura fisica delle pietre
naturali / sintetiche costituenti il manufatto da stabilizzare e proteggere sia dei fattori causa dei
processi di deterioramento.
Quanto sopra è stato certamente favorito anche dalla messa a punto di tecniche di analisi chimica
strumentale che da un lato hanno consentito una sempre più accurata caratterizzazione
chimico/molecolare e strutturale dei polimeri e dall’altro hanno contribuito a definire l’entità e la
tipologia del danno, le caratteristiche chimico/fisiche del substrato lapideo da trattare e i principali
agenti di degrado ( natura, concentrazione, meccanismi di azione e reattività ) presenti
nell’ambiente circostante.
Nei precedenti capitoli del presente volume si è messo in risalto come la moderna industria chimica,
opportunamente supportata da un intensa attività di ricerca di base, industriale e pre-competitiva, sia
stata capace di mettere a disposizione dei restauratori e dei conservatori di beni culturali una gamma
molto vasta di formulazioni polimeriche , con caratteristiche molto diversificate, tra le quali sia
possibile scegliere prodotti idonei a risolvere in maniera mirata le più svariate necessità di
consolidamento e di protezione del costruito e dei manufatti lapidei.
I polimeri attualmente usati nella conservazione di varie tipologie di beni culturali, in base alla loro
struttura molecolare e funzionalità, essenzialmente afferiscono alle seguenti famiglie:
acriliche; viniliche; poliammidiche; siliconiche; silani,
silossani e alcossisilossani; acriliche/siliconiche, acriliche/vinilacetati;
stireniche/acriliche; epossidiche; perfluoropolieteri; derivati della cellulosa;
polivinilacetati; copolimeri vinilacetato/acidomaleico/dibutilestere.
Pur in presenza di una vasta gamma di prodotti polimerici con caratteristiche diversificate che già
attualmente trovano impiego nella conservazione del costruito si avverte comunque la esigenza di
sviluppare nuove molecole e quindi nuovi prodotti consolidanti/protettivi caratterizzati da un
migliorato rapporto costo/prestazioni e di innovative tecnologie di produzione e di impiego ecosostenibili.
Nell’ottica di cui sopra si guarda con interesse allo sviluppo di:
a ) materiali multifunzionali, knowledge-based, con taylored e predictable prestazioni e
proprietà;
b ) prodotti nano-rinforzati caratterizzati da resistenza meccanica, duttilità, adesione,
resistenza all’urto e all’abrasione, inerzia chimica e resistenza alla corrosione,
all’ossidazione, ai raggi UV e alle escursioni di temperatura;
c ) materiali intelligenti multifunzionali con proprietà taylored ( ad esempio: a memoria di
forma, auto-regolabili; auto-restaurabili ( riparabili ) e autopulenti );
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d ) tecnologie di produzione e di impiego a basso impatto ( relativamente all’intero life-cycle
) sia sulla salute dell’uomo che sulla sicurezza dell’ambiente;
e ) procedure di progettazione, caratterizzazione chimico/fisica e di controllo delle proprietà
di lavorazione e di prestazione;
f ) una nuova generazione di catalizzatori ( ad esempio nano-strutturati ) con nuove
funzionalità e che includano il controllo dei fattori che ne determinano la reattività e la
specificità;
g ) sintesi flessibili, eco-compatibili ed efficienti per la realizzazione di sistemi ibridi
inorganici/organici, nano-strutturati a morfologia controllata.
h ) tecniche di polimerizzazione in situ per ottenere copolimeri, leghe, compositi nanostrutturati con morfologia adattata all’impiego e formulati polimerici, multifunzionali,
capaci di potere agire sia da consolidanti che da agenti di protezione dei materiali lapidei;
i ) materiali compatibili con i substrati lapidei, durevoli e resistenti alle sollecitazioni
chimiche e fisiche ambientali.
FIGURA 15: Apparecchiatura portatile di Spettroscopia Raman impiegata
nelle procedure di diagnostica che hanno preceduto il restauro degli affreschi
della Chiesa di Santa Maria de Lemoniz ( Paesi Baschi-Spagna ) [29].
La messa a punto di più attendibili e pronti sistemi di diagnostica, basati su tecniche non distruttive
e con strumentazioni portatili per effettuare test in situ ( vedasi a titolo di esempio il caso della
Spettroscopia Raman della figura 15 [29] ) favorirà l’impiego di prodotti innovativi, sviluppati
nell’ottica di cui sopra.
Bisogna riconoscere che a causa della differente composizione chimica delle pietre ( naturali e
sintetiche ) che costituiscono un manufatto lapideo non esiste un unica procedura di consolidamento
e di protezione; spesso bisogna fare ricorso a trattamenti combinati di varia natura che prevedono
l’impiego di formulati contenenti prodotti diversi per struttura chimica, funzione e reattività.
Alla luce di quanto riportato nel presente volume emerge, comunque, la esigenza di dovere
inquadrare i processi di restauro/conservazione dei manufatti lapidei in una visione innovativa in
17
cui la soluzione delle problematiche, i cui aspetti sono connessi in maniera molto complessa alle
caratteristiche dei sistemi consolidanti/protettivi, alle proprietà dei costituenti il manufatto e alle
condizioni climatiche ambientali che agiscono al contorno, sia affrontata, sempre di più, sulla base
di un approccio integrato e multidisciplinare che si avvalga di competenze specifiche di natura
chimica, fisica, ingegneria e di storia e arte.
Inoltre bisogna prendere atto che il restauro conservativo di ogni singolo manufatto lapideo, in
particolare se di interesse storico-culturale, debba essere considerato come un problema unico per la
sua specificità e complessità e questo in accordo con quanto scritto, in relazione alla conservazione
del costruito, nella Carta di Gracovia:
< Each community, by means of its collective memory and consciousness of its past, is responsible
for the identification as well as the management of its heritage. Individual elements of his heritage
are bearers of many values, which may change in time. The various specific values in the elements
characterize the specificity of each heritage. From this process of change, each community
develops an awareness and consciousness of a need to look after their own common heritage values
> [( Principles for Conservation and Restoration of Built Heritage-2000) ].
DETERMINATION OF CHEMICAL,BIOLOGICAL POLLUTANTS :
18
RIFERIMENTI
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