Tsogho - Denise e Beppe Berna

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Tsogho - Denise e Beppe Berna
... la forza e
lo stupore
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Tsogho, influenze Sango, Gabon.
Legno dipinto con argilla bianca e rossa, parti annerite
per calcinazione (“a lama rovente”), antica patina d’uso.
H. cm. 33.
Provenienza:
Raccolta in situ da Edward Klejman, anni ’60.
Denise e Beppe Berna, Bologna, 1984.
Collezione privata italiana.
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Superba “maschera bianca” realizzata in legno secondo tratti di un
cubismo sorprendentemente vigoroso ed efficace, quasi austero.
La scultura, pur se innegabilmente imparentata, sul piano plastico, con
le maschere Bikereu dei Fang - Aduma, del Medio Ogooué [cfr.:
l’esemplare del museo Barbier-Müller pubblicato col n. 290 a pag. 271
di “Arts du Gabon – Les Arts Plastiques du Bassin de l’Ogooué”, Louis
Perrois, Arts d’Afrique Noire, Arnouville, 1979] e con talune Ndjabi,
dell’area compresa tra Gabon e Congo [cfr.: l’esemplare del Musée de
l’Homme,
n. 290 a pag. 239 del medesimo testo], appare
correttamente ascrivibile alla produzione Tsogho, con influenze Sango
[possibili anche influssi Kwélé, per gli occhi (cfr.: pag. 33 in “Masques
du Gabon”, Gwénaelle Dubreuil , Musée de l'Hôtel-Dieu, Ville de
Mantes-la-Jolie, 2007/2008)].
Gli Tsogho (e i Sango) sono stanziati in quella parte meridionale del
Gabon, delimitata dal corso dell’Ogooué, celebre per le sue “maschere
bianche” che già nelle forme più arcaiche, le Ngil dei Fang [ritenute
legate a culti violenti e pertanto interdette, dopo gli anni ’20, dagli
ufficiali della neonata Afrique-Équatoriale française] avevano affascinato
ed influenzato i grandi movimenti artistici del ‘900.
Queste creazioni, accomunate dal “bianco”, innalzato a simbolo di
morte – resurrezione, prendono generalmente le mosse da una variante
del tema della « antenata giovinetta » (il cui pallore evoca quello della
luna) che, ritornando tra i vivi, dispensava benessere all’intera
comunità ( Moghondji ).
Accanto a queste, nella grandissima varietà di temi, esistono anche
realizzazioni che evocano altre entità della complessa mitologia tsogho,
legate al Bouiti.
Una tale molteplicità di forme si è potuta generare grazie alla
collocazione geografica degli Tsogho che li ha visti al centro di un
crocevia di influssi assai differenziati.
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Sul piano dell’indagine questa caratteristica permette di porre l’accento
su di un altro aspetto di quella “eccellenza transculturale” verso la
quale ho da molto tempo indirizzato il mio interesse di
approfondimento (tra gli altri si veda il mio saggio: Il “Maestro dei
sorrisi”. Il mistero di un artista transculturale, in “archeologia africana –
Saggi occasionali 2012-2013”, n. 18-19, Centro Studi Archeologia
Africana, Milano).
Secondo Perrois [pag. 266 in “Arts du Gabon – Les Arts Plastiques du
Bassin de l’Ogooué”, op. citata] le maschere trovavano impiego nei riti
di iniziazione e nelle cerimonie di lutto, nell’ambito della confraternita
maschile del Bouiti e venivano conservate in un paniere posto
all’interno dell’Ébandza (la casa degli uomini), ricavata sul retro del
tempio del Bouiti.
Sul piano comparativo, questo magnifico esemplare, raccolto da
Edward Klejman negli anni ’60, non può non richiamare subito alla
mente quello notissimo, Vuvi (o Sango), della collezione Pablo Picasso
[ora al Musée National Picasso, Paris, pubblicato, fra gli altri, in "Arts
primitifs dans les ateliers d'artistes", Musée de l'Homme, 1967, Yale n.
0085907] che appare però meno geometrizzato, nei contorni del viso,
ma presenta la rarissima particolarità comune degli occhi spioventi
(derivazione Kwélé?).
La nostra maschera, inoltre, pur se di fattura di gran lunga più
raffinata e di maggiore arcaicità, appare morfologicamente correlabile
ad una delle tipologie studiate da Gollnhofer, nel 1970, per il Musée de
Libreville e pubblicate in « les masques mitsogho » par Pierre Sallée,
pag. 88/123 di “Art et artisanat Tsogho”, Otto Gollnhofer, Pierre
Sallée, Roger Sillans, Louis Perrois, ORSTOM, Paris, 1975.
In dettaglio, faccio riferimento al n. 205 [pubblicato anche a pag. 55 di
“Masques du Gabon”, op. citata], una maschera maschile, raccolta nel
1965 da Pierre Sallée, nelle vicinanze di Mimongo e di cui il nostro
esemplare costituisce una variante priva di corna.
Entrambe le opere appaiono legate ai riti di iniziazione e di lutto del
Bwété (Bouiti).
Ottimo stato di conservazione.
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copyright © denise e beppe berna
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