Il giorno 18 settembre 2003 alle ore 10, presso l`Infopoint

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Il giorno 18 settembre 2003 alle ore 10, presso l`Infopoint
Il giorno 18 settembre 2003 alle ore 10, presso l’Infopoint, Via Po, 29 si è svolto il decimo incontro
dedicato all’orientamento al lavoro per i lureandi e neolaureati dell’Università di Torino con
l’intervento del Prof. Andrea Fumagalli che ha relazionato su “Cambiamenti qualitativi nella
prestazioni lavorative”.
Gli incontri sono parte di una serie di appuntamenti intitolati “L’Università incontra le Aziende”
un progetto organizzato dalla Funzione “Dal Diritto allo studio al mondo del Lavoro (Dir.S.eL.)”.
Il Prof. Fumagalli ha iniziato la conferenza affermando che da tempo si interessava delle
applicazioni delle nuove tecnologie e degli effetti che queste hanno prodotto sul mercato del
lavoro.
Ha quindi iniziato un breve escursus storico sullo sviluppo dell’economia fordista e sui successivi
mutamenti, che hanno avuto profonde ricadute nel mercato del lavoro, in Italia e nel mondo dal
dopoguerra ad oggi.
In particolare il boom economico degli anni ‘50/’60, in ritardo rispetto agli Stati Uniti, era stato in
gran parte dovuto alla nascita ed espansione di imprese di grandi dimensioni, soprattutto nell’area
che veniva definita “Triangolo economico”, ovvero Piemonte Lombardia e Liguria, che da sole
producevano il 40% del PIL italiano. Torino è stata particolarmente colpita dalla crisi della grande
impresa, poiché quasi tutta l’attività torinese era concentrata nel settore automobilistico, mentre ad
esempio a Milano grazie ad una maggior diversificazione settoriale la crisi è stata meno intensa.
Il sistema fordista era basato su una netta separazione tra lavoro fisico e lavoro intellettuale.
I principi economici che avevano ispirato le grandi imprese erano quelli del taylorismo, che
prevedeva l’organizzazione scientifica del lavoro. Vi erano tecnologie ripetitive e statiche che
sfruttavano le economie di scala1. Queste teorie hanno incoraggiato l’allargamento degli impianti
di produzione e vi era un legame preciso tra aumento di produzione ed aumento dell’occupazione.
Le tecnologie avanzate prendevano il posto del lavoro artigianale, in cui diversi artigiani
svolgevano lavori scollegati per ottenere un singolo prodotto.
Le fasi artigianali furono standardizzate e le macchine vennero strutturate in catene di montaggio,
comportando una minore qualificazione della forza lavoro.
Questi progressi furono resi possibili dagli sviluppi tecnico–scientifici: apparvero nuovi materiali,
nuove leghe metalliche e tessuti artificiali che univano leggerezza e resistenza.
Le grandi aziende avevano una struttura piramidale e fortemente gerarchizzata: vi erano i dirigenti
ed i progettisti, solitamente ingegneri o tecnici di alto livello, una struttura intermedia che si
dedicava all’organizzazione ed alla commercializzazione e la fase produttiva.
Era possibile iniziare la produzione solo quando la fase progettuale era terminata, poiché le
catene di montaggio erano dedicate ad un determinato prodotto.
Negli anni 30 Keynes teorizzò l’aumento dei salari per trovare nuovi sbocchi commerciali alle
abbondanti merci prodotte nelle catene di montaggio e che avevano accresciuto vertiginosamente
i tassi di crescita economica degli stati.
In America la Ford aveva difficoltà a trovare il personale necessario ad accrescere la produzione e
per questo decise di offrire un salario doppio rispetto alle retribuzioni medie di quel periodo. Un
salario elevato consentiva agli operai di compiere maggiori acquisti, e quindi il sistema produttivo
generale ne traeva grandi vantaggi economici.
Si può affermare che nel complesso dell’economia fordista, soprattutto là dove i sindacati avevano
maggiore potere contrattuale (in special modo nei paesi del nord Europa nel dopo-guerra), ad
aumenti di produttività corrispondevano aumenti salariali. Anche lo Stato aveva una sua funzione
in questa dinamica: offrendo accesso gratuito alla sanità e all’istruzione, rendeva disponibili i salari
per altre spese e creando infrastrutture facilitava i trasporti delle merci.
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Un'impresa ottiene economie di scala quando il costo medio unitario di produzione diminuisce all’aumentare del
volume di produzione. E’ facile intuire che l’azienda tenderà ad aumentare le dimensioni fisiche e il numero di
dipendenti rendendo in tal modo più difficile l’adattamento della produzione ai mutamenti del mercato e agli stili di
consumo.
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La rigidità di questo sistema, tuttavia, fu anche la causa del suo declino.
La fase di espansione fu bloccata dalla saturazione del mercato, unita alla crisi petrolifera ed alle
oscillazioni del dollaro, moneta base degli scambi internazionali, che rendevano difficile
preventivare i costi delle importazioni ed i profitti delle esportazioni.
Questa crisi ha colpito particolarmente l’Italia in quanto la nostra economia si appoggia
notevolmente sulle esportazioni.
Di fronte alla saturazione dei mercati la strategia adottata dalle grandi aziende fu indurre i
consumatori a sostituire i prodotti che già avevano. Per stimolare le persone a cambiare gli oggetti
si sono creati degli status symbol, ma soprattutto si è resa necessari una forte diversificazione (il
più delle volte solo apparente) dei prodotti e una continua innovazione.
Questa situazione ha favorito le piccole- medie imprese, in quanto le strutture di piccole
dimensioni sono per loro natura più flessibili.
In Italia, tali mutamenti, hanno portato al successo le aziende del Nord-Est e delle aree Adriatiche
superiori. La crisi della grande industria ha anche permesso a queste piccole realtà di disporre di
maggiori risorse.
La diversificazione e la continua innovazione delle produzioni è stata resa possibile
dall’introduzione di tecnologie informatiche. Il linguaggio elettronico è estremamente flessibile: le
macchine comunicano tra loro: le tecnologie C.A.D. e C.A.M. hanno rivoluzionato le produzioni e
le organizzazioni aziendali.
Dalla lettura delle tesi esposte dal prof. Fumagalli è possibile affermare che si è verificata una
transizione dall’economia fordista ad un economia post-fordista che ha portato profondi mutamenti
nelle prestazioni lavorative.
A questo punto il prof. Fumagalli ha affrontato nello specifico le caratteristiche che emergono
dall’attuale mercato del lavoro determinato “dalla diffusione pervasiva delle tecnologie linguisticocomunicative”.
Riportiamo alcuni brani di un documento presentato dal prof. Fumagalli in occasione di alcuni suoi
seminari e che approfondisce alcuni aspetti delle tematiche oggetto dell’intervento.
Credo che sia sempre più ineludibile analizzare le trasformazioni quantitative e qualitative
dell'erogazione del lavoro. Ma non bisogna limitarsi ad analizzare le forme della trasformazione
produttiva e tecnologica (seppur importanti) ma anche e soprattutto gli effetti sulla soggettività di chi
presta lavoro.
Dal lato quantitativo, siamo abbastanza d'accordo per quanto riguarda il processo di precarizzazione
del mercato del lavoro, cominciato negli anni Ottanta con l'accordo Scotti che ha introdotto la prima
figura atipica di lavoro (il contratto di formazione lavoro) che è poi continuato sino al libro bianco di
Maroni e al Patto per l'Italia. Molto brevemente, tale processo può essere diviso in due parti: la prima
riguarda la flessibilità in entrata e la flessibilità salariale (nuove tipologie lavorative per assumere e gli
accordi del luglio 92 e 93 che eliminano la scala mobile e rendono il salario dipendente dal tasso
atteso di inflazione e quindi non più variabile contrattabile (da variabile indipendente dal mercato del
lavoro nell'accezione keynesiana fordista il salario ritorna ad essere dipendente dal mercato del lavoro
e sganciato dal processo di accumulazione), la seconda, negli anni Novanta volta a flessibilizzare
l'uscita dal lavoro (legge 223 sulla mobilità sino ad attacco alI' art. 18).
Il prof. Fumagalli mette in evidenza, nel documento citato, alcuni aspetti qualitativi del “lavoro”
post-fordista. Ne proponiamo alcune parti essenziali.
La differenza tradizionale tra lavoro manuale e lavoro intellettuale tende a perdere di significato di
fronte alla necessità di formazione professionale sempre più necessaria per
svolgere lavoro di esecuzione (es. sistemi Cad-Cam) e di fronte alla standardizzazione delle
procedure di comunicazione introdotte dall'informatica che tendono a taylorizzare sempre
più il lavoro intellettuale. Per quanto riguarda il lavoro manuale, uno degli effetti dell "'automazione
flessibile", come esito dei processi di ristrutturazione produttiva, e stata quella di rompere la
ripetitività dell'azione lavorativa tipica della tradizionale linea di montaggio meccanica tramite
l'inglobazione in un solo momento operativo di più funzioni e mansioni (aumento dello
sfruttamento). La possibilità di comunicare (con il linguaggio dell'informatica) tra macchine
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operatrici diverse consente, infatti, di poter svolgere in quasi simultaneità operazioni che fino a
poco tempo fa veniva svolte sequenzialmente: in particolare, all ' attività di esecuzione vera e
propria, oggi ad appannaggio esclusivo della macchina (con notevole riduzione della fatica fisica),
si sommano operazioni di controllo-qualità, di adeguamento computerizzato della macchina al
pezzo in linea, che variando costantemente, necessita di una continua riprogettazione della
macchina operatrice.
(…)
Parallelamente, si assiste al diffondersi di nuove servitù del lavoro. Le attività servili ( dalla pulizia,
alla cura di persone e cose) lungi dall'essere forme arcaiche acquistano una nuova modernità e
necessità senza la quale la prestazione di lavoro cognitiva e precaria non potrebbe avere luogo.
(…)
La prestazione lavorativa tende a diventare sempre più cognitiva e relazionale: il cervello, i
sentimenti e l' esperienza di vita diventano fattori produttivi altrettanto importanti (se non di
più) delle braccia e del corpo. Le componenti immateriali crescono così come il successo di
una merce dipende sempre più dagli aspetti simbolici ed immateriali ad essa legata (almeno
in Occidente ). Ciò dipende dal fatto che la prestazione lavorativa si è modificata in modo
strutturale negli ultimi due decenni, a causa degli effetti della diffusione del nuovo
paradigma produttivo, organizzativo e sociale che opera nel nord-capitalistico del pianeta e che
chiamiamo "dell'accumulazione flessibile" (meglio) o "post-fordista" (peggio):
La produzione di ricchezza non più è fondata solo ed esclusivamente sulla produzione
materiale ma si basa sempre più su elementi di immaterialità, vale a dire su "merci"
intangibili, difficilmente misurabili e quantificabili, che discendono direttamente dall 'utilizzo delle
facoltà relazioni, sentimentali e cerebrali degli esseri umani;
(…)
Ne consegue un superamento parziale della tradizionale figura del lavoratore salariato dipendente
a
tempo indeterminato con forme lavorative sempre più precarie. Tale fenomeno, compensato a
livello internazionale dall'incremento del numero dei salariati nel Sud del mondo, può essere
osservato sia dal lato della frammentazione del lavoro che dal lato del cambiamento qualitativo
della stessa prestazione lavorativa, a prescindere dalle forme contrattuali che assume. Si tratta,
evidentemente, di due facce della stessa medaglia.
La riduzione numerica della figura del lavoratore dipendente a tempo indeterminato è un fenomeno
comune a quasi tutti i paesi d'Europa. Essa ha dato origine ad un processo di scomposizione e
frammentazione del mercato del lavoro, il cui ritardo di analisi è stata la principale concausa della
debolezza attuale dei sindacati, insieme alla sciagurata scelta della maggior parte degli stessi
sindacati europei (quelli, raccolti nella CES, Confederazione Europea dei Sindacati) di perseguire
politiche di concertazione, cogestione e subalternità aconflittuale. Il processo di desindacalizzazione
(ovvero la riduzione nel numero degli iscritti) negli ultimi vent'anni, anche se più contenuto in Italia e
in Germania (perché compensato dall'aumento dei pensionati), ne è la eclatante conferma.
(…)
Oggi, possiamo forse cercare di riordinare le diverse tipologie lavorative esistenti in due grandi
categorie di massima, che si aggiungono a quella, ridotta ma non scomparsa, del salariato a tempo
indeterminato: il lavoratore salariato autonomo e l'artigiano "biopolitico" della soggettività.
La prima categoria racchiude tutte le prestazione di lavoro subordinato oggi definite "atipiche", ovvero
caratterizzate da precari età salariale e contrattuale, sottoposte al ricatto della ricerca della continuità
di lavoro, all'impari contrattazione individuale, senza tutele ne garanzie, "soli" di fronte
all'arroganza padronale, come se fossero lavoratori autonomi. Dal contratto part-time, agli
interinali, agli stagionali, sino ai parasubordinati, circa un 50% della forza-lavoro giovanile a livello
europeo (con punte di 70 75% nei paesi di fascia mediterranea, Spagna e Italia in testa), entra nel
mercato del lavoro con queste caratteristiche. La seconda categoria fa riferimento a tutte le
prestazioni lavorative formalmente indipendenti, ma fortemente caratterizzate da attività cognitivorelazionali, in cui l'uso delle cognizioni linguistico-cerebrali-esperienzali ricorda le competenze
individuali che gli artigiani dei primi anni del secolo scorso dovevano avere per poter svolgere il loro
"mestiere". La differenza sta che oggi i saperi dipendono e sono strettamente interrelati alla vita dei
soggetti, al "bios" e non più solo all'abilità manuale.
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