Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana

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Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
SILVIO MARA
Solo occasionalmente ci si è occupati della provenienza e delle
vicende collezionistiche dei vari fondi di grafica in Ambrosiana1,
e ciò va prevalentemente imputato alla carenza di fonti documentarie e ai processi storici che portarono allo smembramento
dei volumi, a cui è seguito troppo spesso il distacco dei disegni
dai supporti originali.
Con questo studio si auspica di fornire un primo contributo
alla ricerca storica sulle raccolte secentesche di disegni dell’Ambrosiana, col ridare forma a un volume che qui indicheremo come Libro di disegni. L’importanza di questo Libro doveva essere
considerevole, perché, come si vedrà, esso raccoglieva uno dei nuclei più antichi di grafica conservati in Ambrosiana, ma la consapevolezza della sua esistenza si era progressivamente offuscata in
seguito al suo smembramento; sono state perciò fondamentali
per la sua ricostruzione alcune fonti tardo settecentesche e di primo Ottocento che ne attestano fedelmente la composizione.
Questo lavoro trae origine dalle ricerche compiute nell’ambito della mia tesi di dottorato, di prossima discussione, dal titolo Studiosi di Leonardo da Vinci in ambito
milanese tra Sette e Ottocento, svolta presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore,
tutors Alessandro Rovetta e Danilo Zardin. Ringrazio vivamente il professor Giulio
Bora per il costante e generoso interesse con cui ha seguito l’evoluzione di questo studio e i professori Mirella Ferrari, Pietro C. Marani, Marino Viganò. Ringrazio inoltre: Laura Aldovini, Martino Astolfi, Giacomo Berra, Stefano Bruzzese, Matteo
Facchi, Stefano Margutti, Stefania Vecchio, i bibliotecari dell’Ambrosiana Ferdinando Righetto e Nino Cellamaro.
Il sottolineato presente in alcuni testi antichi qui citati è stato reso con il corsivo,
con la necessaria eccezione della nota 32; per il resto ci si è attenuti a criteri di
rigida fedeltà alla grafia originale.
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1 La carenza di studi sulla formazione della collezione di disegni della Biblioteca
Ambrosiana di Milano (d’ora in poi BAMi) era già stata denunciata da Giulio
Bora, che ipotizzava lo smembramento di tutti i codici secenteschi di disegni ad
eccezione del codice BAMi, F 245 inf.; lo studioso segnalava anche la presenza su
molti disegni di iscrizioni antiche, tutte della stessa mano: G. BORA, Per un catalogo
dei disegni dei leonardeschi lombardi: indicazioni e problemi di metodo, in «Raccolta
Vinciana», XXII (1987), pp. 139-182. Dello stesso autore si consideri il successivo
contributo I disegni dei leonardeschi e il collezionismo milanese: consistenza, fortuna,
dispersione, in I leonardeschi a Milano: fortuna e collezionismo, a cura di M. T. Fiorio
e P. C. Marani, Milano 1991, pp. 206-217, nel quale a proposito dei disegni leonardeschi dell’Ambrosiana si riscontrava l’originaria collocazione in quattro libri
di disegni registrati dagli inventari seicenteschi e si ventilava l’ipotesi che essi fossero
pervenuti all’Ambrosiana per iniziativa di Federico Borromeo. L’ipotesi di Bora è
Il Libro di disegni nelle fonti settecentesche
Il documento principe per la nostra ricerca è un bifoglio manoscritto2 che si trova inserito tra i manoscritti di argomento
vinciano del conte Anton Giuseppe Della Torre di Rezzonico3
(1709-1785), che probabilmente si può datare tra il 1779 e il
1780 e che verosimilmente servì come relazione per studio
personale.
La grafia molto regolare e curata è identificabile facilmente
con quella di Felice Monti4, scrittore e custode attivo in Biblioteca Ambrosiana nella seconda metà del Settecento, dove
svolgeva mansioni di copista al servizio del prefetto Baldassarre
Oltrocchi sia per il disbrigo degli affari interni sia per la cura
della corrispondenza durante i periodi di villeggiatura. Il nostro bifoglio deve essere appunto uno degli incarichi commissionatigli dall’Oltrocchi5 e nello specifico vi si può riconoscere
stata in seguito ripresa da Jane Roberts nel tentativo di identificare uno dei suddetti
libri attraverso la citazione di un passo del critico e pittore settecentesco Jonathan
Richardson (J. ROBERTS, Il collezionismo dei disegni di Leonardo, in Leonardo & Venezia, catalogo della mostra, Milano 1992, pp. 164 e 176 nota 59), per il quale si
veda nota 13. Come si riscontra nella presente indagine tale menzione è risultata
effettivamente riferibile al nostro Libro di disegni.
2 Si veda la trascrizione integrale qui riportata in Appendice documentaria, 1.
In realtà il documento era già stato pubblicato ma con erronea attribuzione a
Baldassarre Oltrocchi e interpretato come descrizione del Codice Resta in S.
MONTI, Albero ossia discendenza della famiglia da Vinci, in «Periodico della Società Storica per la Provincia e Diocesi di Como», XVIII (1908), pp. 218-220.
3 Figura di erudito settecentesco, il Rezzonico nei suoi ultimi anni di vita si dedicò agli studi vinciani con l’intenzione di pubblicare un’opera sulla vita e le
opere di Leonardo da Vinci, la quale di fatto non vide mai la luce. Gran parte
dei manoscritti riconducibili a questa impresa sono conservati a Como, mentre
un suo autografo contenente copia della biografia di Leonardo è attualmente
presso la Biblioteca Ambrosiana, nel fondo Bossi. Per una biografia del personaggio si rimanda a G. FAGIOLI VERCELLONE, Della Torre di Rezzonico, Anton
Giuseppe, in Dizionario Biografico degli Italiani, 30, Roma 1984, pp. 671-674.
4 Per l’identificazione del ductus grafico del Monti e un confronto paleografico
col nostro bifoglio si veda L. AIROLDI, Il «Codice Della Croce» e il suo vero autore,
in «Aevum», 3 (1994), pp. 661-675.
5 La descrizione del Monti molto verosimilmente fu stesa intorno agli anni ottanta del Settecento perché a quel periodo risalgono gli studi del conte Della
Torre di Rezzonico riguardanti l’apparato illustrativo per la sua opera su Leonardo da Vinci. Si veda S. MARA, Una biografia inedita di Leonardo scritta dal
conte Della Torre di Rezzonico, in Tra i fondi dell’Ambrosiana: manoscritti italiani
antichi e moderni, atti del convegno (Milano 15-18 maggio 2007), a cura di M.
Ballarini et al., II, Bologna 2008, pp. 865-890.
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
la trascrizione di un testo più antico6, come suggerisce il modo
di qualificare il Libro attraverso l’elenco degli artisti presenti al
suo interno, ricalcando la tipologia adottata negli inventari secenteschi dell’Ambrosiana.
Che la relazione del Monti sia una copia da un testo più antico è suggerito anche da un quadernetto rilegato in cartone proveniente dal fondo Morbio della Biblioteca Braidense. Il quaderno di soli 33 fogli contiene un antico inventario della collezione
Pertusati e a seguire al f. 27 una relazione quasi identica a quella
di Felice Monti7. L’inventario fu compilato per ovvie ragioni ereditarie da un anonimo perito alla morte dell’abate Gian Matteo
Pertusati8 avvenuta nel 1738, ma non si comprende per quale
motivo all’ignoto compilatore di questo quadernetto9 interessasse anche il Libro di disegni dell’Ambrosiana. Si può pensare che
anche questo scrittore abbia avuto la possibilità di copiare un testo secentesco come farà più tardi il Monti.
Come si è detto, la relazione del Monti è la prima che inequivocabilmente qualifica il nostro volume come Libro entro il quale
erano raccolte «pitture, disegni, schizzi ed abbozzi impastati sopra
carte». Il documento, fornito l’elenco degli artisti, prosegue con
una selezione dei disegni indicati sommariamente secondo il loro
autore, soggetto e pagina nella quale erano collocati.
Il conte Rezzonico nei suoi appunti manoscritti ritornò ad
analizzare questo Libro focalizzando, come si vedrà, il suo interesse su alcuni disegni che lui credeva di mano di Leonardo. Egli
inoltre riconosceva il gran pregio del volume anche per il fatto
che era «stato donato dal cardinal Federigo Borromeo alla sua
cara nascente Biblioteca». Il nobile comasco ricordava l’elevato
interesse che questo codice aveva destato presso gli scrittori settecenteschi e i visitatori dell’Ambrosiana suoi contemporanei.
L’osservazione del Rezzonico è corretta e si può verificare con
una rapida rassegna della letteratura artistica di quel momento
storico. Ciò che stupiva maggiormente i visitatori, spesso nobili
o savants che inserivano l’Ambrosiana fra le tappe milanesi del
grand tour, era la varietà sorprendente di teste grottesche o caricate di derivazione vinciana che si addensavano sui fogli e che
costituivano in un certo senso ai loro occhi la peculiarità del Libro di disegni. Il mai sopito interesse per questo genere10, che ebbe un picco nel secondo Settecento a seguito della pubblicazione
della Recueil de testes de caractère di Pierre-Jean Mariette11, accrebbe l’interesse verso il volume dell’Ambrosiana.
Questo Libro divenne perciò un vero e proprio oggetto di
culto fra gli eruditi dell’epoca, soprattutto per l’equivocata paternità delle teste caricate, che sulla scorta di quelle del Mariette
venivano indistintamente credute di Leonardo.
Tra coloro che prestarono attenzione al libro dell’Ambrosiana
vi furono soprattutto gli inglesi, che probabilmente avevano ben
presenti le raccolte di teste caricaturali nelle collezioni Spencer e
Pembroke12. Merita una menzione certamente il Traité de la
peinture del pittore e critico inglese Jonathan Richardson. Sia
nella prima edizione in lingua inglese del 1722 che nella seconda
in francese del 1728, tra tutti i tesori conservati presso la Biblioteca Ambrosiana la scelta cade appositamente sul Libro dei disegni, che viene ricordato in questo modo:
6 Infatti, come si dimostrerà con un’analisi puntuale del documento, anche les-
DRART, Variae figurae monstruosae ab excellentissimo pictore Leonardo da Vinci
quondam delineatae nunc vero aere incisae et excusae a Jacobo Sandrart sculptore,
Ratisbonae 1654).
11 Recueil de testes de caractère & de charges dessinées par Léonard de Vinci florentin
& gravées par m. le c. de C[aylus], A Paris chez J. Mariette 1730.
12 La prima raccolta di caricature in Inghilterra si deve a Thomas Howard Earl
of Arundel (1586-1646) che incaricò Hollar di riprodurle. Da lui successivamente acquistò Thomas Herbert Earl of Pembroke, la cui raccolta di caricature
è paragonabile a quella della collezione Spencer. Per quest’ultima, ora alla New
York Public Library, si ipotizza una provenienza inglese; The drawings of Leonardo da Vinci and his circle in America, arranged and introd. by C. Pedretti,
catalogue by P. Trutty-Coohill, Firenze 1993; P. TRUTTY-COOHILL, The Spencer
Collection of Grotesques and Caricatures after Leonardo, in «Arte Lombarda»,
105-107 (1993/2-4), pp. 48-54.
13 J. RICHARDSON, Traitè de la peinture, et de la sculpture. Par Mrs. Richardson,
pere et fils: diuise en trois tomes, Amsterdam chez Herman Uytwerf 1728, III
(Description de pluieurs des statues, tableaux, desseins etc qui se trouvent en Italie),
p. 38. La stessa citazione un poco più precisa si trova nella versione inglese: «I
believe near 200, amongst wich a very fine one of the Artus with the same account under it as father Resta’s on the drawing my father has. Cav. Benedetto
Luti at Rome as one or two of Artus, the same face, but all are in different attitudes» (An account of some of the statues, bas-reliefs, drawings and pictures in
Italy, & c., with remarks by Mr. Richardson, Sen. and Jun., London, J. Knapton
at the Crown, 1722, p. 362).
sicalmente il testo contiene sviste non imputabili direttamente al copista ma
trascinatesi da altro documento imperfetto (cfr. Appendice documentaria, 1).
Analogamente si illustrerà più avanti l’ipotesi che possa essere copia diretta o
indiretta da un’iscrizione posta a mo’ di indice sui fogli di guardia del Libro.
7 La preziosa segnalazione di questo manoscritto si deve a G. BERRA, Appunti
per Fede Galizia, in «Arte cristiana», 748, LXXX (1992), p. 43, n. 8. Delle varianti proposte da questo documento rispetto alla copia del Monti si darà un
riscontro più avanti.
8 Per gli studi sulla collezione Pertusati, scaturiti a partire dall’inventario manoscritto rinvenuto nel fondo Morbio, si veda E. CASATI, La dispersione della
raccolta Pertusati e il ruolo di Antonio Greppi, in «Archivio Storico Lombardo»,
s. XII, CCXXII (1996), pp. 341-352; M. BONA CASTELLOTTI, La collezione di
Gian Matteo Pertusati, in Collezionisti a Milano nel ’700. Giovanni Battista Visconti, Gian Matteo Pertusati, Giuseppe Pozzobonelli, Firenze 1991, pp. 65-89.
9 Dopo la descrizione del Libro di disegni al f. 31 del quadernetto un’altra mano
più tarda prosegue con una descrizione delle Pitture esistenti nella casa del Signor
Segretario Don Venanzio de Pagave e al f. 33 con una descrizione di Casa Vitali.
10 Nel Seicento si contano varie iniziative editoriali tese a pubblicare riproduzioni di teste grottesche. Si citano ad esempio le sessanta caricature incise da
Wenceslaus Hollar, che non a caso furono ristampate nel tardo Settecento
(Characaturas by Leonardo da Vinci from drawings by Winceslaus Hollar out of
the Portland Museum, Published as the Act directs Nov.r 1. 1786 by John
Clarke, n. 291 Strand), e le ventotto pubblicate da Jacob Sandrart (J. SAN-
On y trouve un autre Livre, du même Maître, qui consiste sur-tout
en Tetes, chargées d’une façon grotesque, que les Italiens apèlent
Caricature, au nombre d’environ deux cens. Il y a pourtant, entre
ces Têtes, un fort beau Dessein du Portrait d’Artus Gouffier, segneur
de Boissi, Grand-maître de France, favori de François I. qui fait une
figure considerable dans l’Histoire de France. Mon Père en a aussi
un, qui est excellent. Cav. Lutti de Rome en avoit deux du même
homme; mais ils sont tous pris dans une vue diférente13.
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Arte Lombarda | SILVIO MARA
La sua stima delle caricature assomma a circa duecento, cifra apparentemente esorbitante se si dà credito all’autore che le attribuiva in toto a Leonardo, ma che, come vedremo, non è lontana
dalla realtà se si includono oltre a quelle sicuramente vinciane
tutte le imitazioni o variazioni sul tema.
Più o meno degli stessi anni è anche la relazione del viaggiatore inglese Edward Wright, che pur non nominandolo come tale si riferisce senz’altro al Libro dei disegni, quando accenna a caricature di Fede Galizia in associazione con altre leonardesche:
As S. Carlo is held in the highest Esteem at Milan upon the account
of his Piety, so is Leonardo da Vinci upon account of his Skill in
Arts and Sciences. His paintings are esteem’d there at least equal to
Raphael’s; and his twelve Volumes of Mechanical designs, wich they
preserve in an Apartment near the Library, almost with Veneration,
are held inestimable. They were given to the Library by Count
Galeaz Arconato, and received with an unparallel’d Solemnity. The
Donation was register’d in great form, in presence of the
Conservators of the Library, the Syndic an Notary, and a solemn
Message of Thanks was sent to the Count; the form of wich is also
register’d among their Archives. A large Inscription in marble over
the Place where the Volumes are kept, fets foth that the King of
England (James I) had offer’d the Count three thousand Pistoles for
one of the Volumes, with He, Regio Animo, refused. [...] They
shew’d us some excellent Caricatura’s* done by her (Fede Galitia)
with a Pen; and others by Leonardo, admirable.
*A sort of Droll-Performance, exaggerating or over-charging
particular Features14.
Questa menzione delle caricature eseguite da Fede Galizia come
si vedrà sarà esplicitata con maggiore precisione dal pittore Giuseppe Bossi (1777-1815).
Più tardo rispetto a Wright ma sostanzialmente dello stesso
tenore è l’accenno al «Libro di Leonardo» contenente caricature
fatto dal francese Christophe-Théophile de Murr, che tuttavia
incorre in una svista grossolana confondendo la Biblioteca Ambrosiana con la Biblioteca di Sant’Ambrogio15.
Forte di questo successo la tipologia della caricatura ebbe
molto spazio all’interno della pubblicazione dei disegni di Leonardo incisi da Carlo Giuseppe Gerli nel 1784. Il suo volume è
per noi molto importante perché nel commento alle tavole, che
si sa essere stato scritto da Carlo Amoretti, in una nota finora
sfuggita alla critica si dà l’indicazione precisa della collocazione
dei disegni da cui trasse le stampe:
I disegni compresi in queste XLV tavole sono tratti da originali
esistenti nella biblioteca ambrosiana, come già s’è detto. Son’essi
14
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E. WRIGHT, Some observations made in travelling trough France, Italy, etc. in the
years 1720, 1721 and 1722, London, printed for Tho. Ward and E. Wickstead,
1730, II, pp. 467-468.
15 «On trouve dans la Biblioteque de S. Ambroise à Milan un Livre de Leonardo
da Vinci, qui consiste sur tout en têtes, chargées d’un façon grotesque, que les
Italien appellent caricature, au nombre d’environ deux cens» (C. T. DE MURR,
Bibliothèque de peinture, de sculpture et de gravure, Francfort et Leipzig Chez
Jean Paul Krauss 1770, II, p. 579).
16 C. G. GERLI, Disegni di Leonardo da Vinci incisi e pubblicati da Carlo Giuseppe
però in diversi luoghi, che gioverà indicare. Tav. I. V. in due
quadretti nel Salone de’ Quadri. Tavv. V. VII. X. XI. XXVIII. XXIX.
XXXI. XXXV. XLV Nel libro intitolato Galleria Portatile. Tavv. XXI
e. XXVI, f. XXVII, g,h,i,l. XXXII., p,u,t,z, 1, 2, 3, XXXIII, a,b,c.
XXXVIII-XLIV, nel Gran codice custodito nel Salone. Tavv. XXXII,
m,n,o,q,s. in un volume di Leonardo segnato Qr. Tavv. XXXII r,x
In simil volume segnato Q3. Tutti gli altri disegni son tratti da un
Codice intitolato, Raccolta di disegni ec.16
Questa nota è preziosissima per la ricostruzione del Libro di disegni, perché per ogni disegno precisa l’appartenenza al rispettivo
volume che lo conteneva. I disegni appartenenti al nostro Libro
erano la maggioranza e per comodità l’autore li indica cumulativamente. Per individuarli uno per uno è stato quindi necessario
operare per esclusione rispetto alle tavole di disegni con altre
provenienze.
Le fonti seicentesche nella Biblioteca Ambrosiana
Conclusa questa rassegna di fonti settecentesche ci resta da verificare il fondamento storico dell’affermazione del Rezzonico secondo la quale il Libro di disegni sarebbe giunto all’Ambrosiana
grazie alla munificenza di Federico Borromeo.
La documentazione a nostra disposizione per il periodo seicentesco purtroppo rimane piuttosto reticente e non ci permette
di sciogliere il nodo fondamentale relativo all’ingresso del Libro
nella Biblioteca Ambrosiana. Ma è del tutto plausibile che il Libro dovesse arrivare in Ambrosiana al più tardi entro il termine
della vita di Federico Borromeo. A suffragio di questa ipotesi si
deve tenere in debita considerazione l’autorevole testo De origine
et statu Bibliothecae Ambrosianae scritto nel 1672 dal dottore e
bibliotecario-prefetto dell’Ambrosiana Pietro Paolo Bosca17, il
quale ci assicura che l’intera collezione di disegni fu trasmessa
all’Ambrosiana grazie al Borromeo.
La sua citazione della vasta collezione di disegni arriva solo
in conclusione della precedente rassegna dei quadri e utilizza le
seguenti parole:
Plurimas deinde graphides Bonaroti, Vincij, Raphaelis, Pauli
Veronensis, Sebastiani, & Baptistae à Plumbo, Titiani, Palmae,
Georgioni, Polydori, Boccaccini, Dureri, Pordononi, Iulij
Romani, Andreae à sarcinatore, Bacij Bandinelli, Lovini, Figini,
Annibalis Fontanae, aliorumque artificum nobilium contentas
libris eadem pinacotheca ostendit, collectas undique Borromaei
aere, quod largè in facultates ingenuas effundebatur18.
Gerli milanese, Milano presso Giuseppe Galeazzi Regio Stampatore 1784, p.
14, nota alla tav. XLV.
17 Il Bosca fu dottore dell’Ambrosiana dal 1667 al 1680 e fu quindi presente
alla prima fondamentale inventariazione del patrimonio artistico e librario (si
veda C. MARCORA, Il Collegio dei Dottori e la Congregazione dei Conservatori,
in Storia dell’Ambrosiana. Il Seicento, Milano 1992, pp. 185-217).
18 P. P. BOSCA, De origine et statu Bibliothecae Ambrosianae, Mediolani typis Ludovici Montiae 1672, p. 132.
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
1. Gabinetto di Leonardo nella Sala G della Pinacoteca Ambrosiana (allestimento Beltrami 1896-1907 ca.). Milano, Civico Archivio Fotografico.
Il passo costituisce una sorta di citazione collettiva in cui si enumera una serie di artisti dei quali si possedevano disegni. Dunque il senso della sua affermazione è che tutti i libri di disegni
esistenti in Ambrosiana entro il 1672 si dovevano considerare
come acquisizioni avvenute durante l’epoca di Federico Borromeo. La sua testimonianza deve ritenersi sufficientemente credibile perché le informazioni contenute nel De origine et statu in
linea di massima sono considerate attendibili, dato che il Bosca
stava ripercorrendo con dovizia di particolari tutta la storia
dell’Ambrosiana a pochi decenni dalla morte del suo fondatore
e a undici anni dalla prima importante e sistematica inventariazione del patrimonio conservato presso l’istituzione milanese.
Pertanto proseguiamo a ritroso per trovare conferme rispetto alla
donazione del nostro Libro nell’epoca borromaica.
Ripercorrendo la storia dell’istituzione risaliamo all’atto di donazione del 1618, documento con cui Federico Borromeo donò
alla Biblioteca Ambrosiana il primo nucleo di opere di sua proprietà, ma che purtroppo non è risolutivo per stabilire la presenza
del Libro già da quel momento. Il documento tuttavia conferma
un interesse del cardinale per la grafica; infatti include una raccolta di disegni collocata nel paragrafo indicato con la lettera G
che comprende «Diversi disegni, i quali sono inseriti in un libro
di carta imperiale, che è nella Libreria Ambrosiana»19. Indicazione troppo generica per consentire di capire a quale libro si riferisca, e che comunque non può riguardare il nostro, che, come si
dimostrerà fra poco, aveva un formato più ridotto.
Dal 1618 in poi si registra una lacuna nelle fonti secentesche
che si interrompe col primo inventario dell’Ambrosiana, redatto
19
romeo and the Ambrosiana, Cambridge 1993, pp. 221, 356. Il documento è
stato ripubblicato nella successiva edizione italiana P. M. JONES, Federico Borromeo e l’Ambrosiana. Arte e riforma cattolica nel XVII secolo a Milano, Milano
1997, p. 349.
L’atto di donazione è stato pubblicato integralmente dalla Jones che, pur
senza poter identificare il volume di disegni fra quelli citati al punto G, ipotizzava che si potesse trattare del libro che Ludovico Besozzo, intermediario del
Borromeo, intendeva comprare da Pompeo Leoni: P. M. JONES, Federico Bor-
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Arte Lombarda | SILVIO MARA
nel 166120. La caratteristica di questo e del successivo del 1685
è la stesura sotto forma di elenco topografico, e il dato che ci interessa è il buon numero di libri di disegni presentati dai compilatori attraverso le specifiche del formato, del tipo di rivestimento e dell’elenco sommario degli autori dei disegni. Per evidenti
ragioni di sintesi manca un elenco dettagliato dei disegni stessi.
Nell’inventario del 1661 si riferisce che in uno dei due «gabinetti
della Libraria»21 si conservavano sette libri di disegni che a detta
del compilatore Antonio Canziani contenevano disegni di Leonardo22; fra questi, il volume a cui è dedicato maggiore spazio
informativo è senza ombra di dubbio il nostro. Ne fa fede la sequenza dei nomi di artisti riportata dal compilatore, pressappoco
identica – comprese le varianti lessicali – alla relazione Monti già
citata23. Si riporta qui di seguito il passo:
Un libro di disegni coloriti di varij Pitori particolarmente di
Giovanni Battista Clerici, di Fede Gallitia, di Polidoro da Caravaggio, di Federico Barozzi, di Francesco Parmigiano, dal Procaccino da Cremona, di Lelio da Novillara, di Domenico Campagnola, di Leonardo da Vinci, del Cavaglier Ardovino, del
Giorgione, di Alberto Durero, di Bernardino Luvino, di Bramante, dal Pordonone, di Pietro Perugino, di Baccio Bandinelli, di Perino dal Vago, di Raffaele d’Urbino, di Michel Angelo
Buonarota, di Carlo da Crema, di Andrea Mantegna, del Gobbo scultore Milanese, di Federico Zuccheri, del Samachino, del
Bologna, di Stiaro Cremonese, e del Sig. Gerardo Cibo. In foglio legato in pergamena con oro24.
A partire da questa prima attestazione del Libro possiamo seguirne le vicende occorse fino alla metà del secolo XIX. Innanzitutto appuriamo che in seguito alla stesura del primo inventario fu sicuramente cambiata collocazione a parte dei volumi,
come si desume già da una postilla aggiunta al catalogo del
1661, che ricorda lo spostamento di tutto quanto elencato nella «Galleria»25.
20 Gli inventari secenteschi sono stati recentemente pubblicati in edizione critica
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da Stefania Vecchio (Inventari seicenteschi della Pinacoteca Ambrosiana, a cura
di S. Vecchio, Bari 2009).
21 A questa data i libri di disegni stavano presso l’Ambrosiana, in un gabinetto
annesso al «Salone della Libraria», collocazione che potrebbe essere stata provvisoria, come parrebbe confermare il successivo spostamento. Per l’assetto secentesco
dell’Ambrosiana si veda A. ROVETTA, Storia della Pinacoteca Ambrosiana. I. Da
Federico Borromeo alla fine del Settecento, in Pinacoteca Ambrosiana. Tomo primo.
Dipinti dal medioevo alla metà del Cinquecento, Milano 2005, pp. 15-45.
22 BAMi, ms. A 357 inf., ff. 69v-70v.
23 Si veda per un confronto la trascrizione in Appendice documentaria, 1.
24 BAMi, ms. A 357 inf., f. 70r: «Inventario antico di quanto si contiene nelli
due gabinetti della Libraria. [altra scrittura] ora quasi tutte queste cose sono
state trasportate parte nella Galleria, parte cioè i libri distribuiti nelle scansie».
Il passo non è stato incluso nella recente pubblicazione dedicata agli inventari
secenteschi dell’Ambrosiana perché non strettamente attinente alla quadreria.
25 Cfr. nota precedente.
26 VECCHIO, 2009, pp. 132-133. Non è semplice far contemperare questa collocazione con la planimetria dell’Ambrosiana rappresentata all’interno del De origine et statu. Quest’ultima infatti presenta un’aula denominata Sedes Graphidis
predisposta per accogliere disegni e incisioni (si veda ROVETTA, 2005, p. 32).
27 L’estrema correttezza dell’inventario ci porta ad escludere che il Libro possa
La notizia è poi confermata dall’inventario 1685 che cita i volumi di disegni collocati in un armadio «in testa alla Galleria delle
Pitture»26. Si nota da subito che il patrimonio di grafica era notevolmente aumentato e la sua collocazione sembrerebbe abbastanza prestigiosa. I volumi di disegni infatti erano custoditi assieme
ai codici di Leonardo da Vinci (eccetto il Codice Atlantico che
stava fin dal 1661 nella Sala della Libraria entro apposita cassetta), al De divina proportione del Pacioli e alle Costituzioni del Collegio Ambrosiano di mano del Borromeo oltre a molti altri oggetti
di forte valenza simbolica. Si nota che a differenza del precedente
inventario qui il compilatore ha adottato l’espediente di sintetizzare il contenuto dei volumi attraverso i nomi di uno o due artisti
maggiormente caratterizzanti il rispettivo libro di disegni. Parallelamente si fornisce l’indicazione dei volumi già presenti nel
1661, cosicché dall’insieme delle informazioni si può rintracciare
il Libro che viene indicato nel seguente modo: «Di Giovanni Battista Clerici, Fede Galizia ed altri un volume in 4° più largo che
longo coperto di pergamena con fiori d’oro»27.
Questa notazione è senz’altro riferibile al nostro Libro perché si
ricorda la sua presenza già fin dal 1661 e gli unici due artisti menzionati sono gli stessi già segnalati nelle fonti fin qui descritte.
È quindi possibile avere una restituzione abbastanza precisa
dell’aspetto del Libro: rilegato in pergamena e decorato con fiori
d’oro, come gli altri volumi di disegni, ma con una caratteristica
singolare. Infatti l’inventario ci ricorda il suo strano formato, che
contrariamente alla maggioranza dei volumi di disegni è più largo che alto28. Dunque abbiamo visto che le fonti seicentesche
non ci permettono di fissare ad annum la data di ingresso in Biblioteca del Libro.
Abbiamo riconosciuto l’originaria strutturazione della raccolta
di disegni in volumi, che però oggi è completamente stravolta sia
per lo smembramento dei libri, sia per l’apposizione di nuove segnature ai disegni. Di questi libri secenteschi sopravvivono solamente il cosiddetto Codice Resta e il cod. F 245 inf.29, che tuttora
essere identificato con quel libro di disegni donato dal Borromeo nel 1618, perché nessuno di quelli citati viene fatto risalire a tale data (VECCHIO, 2009, p.
137, n. 909).
28 Caratteristica che viene ricordata anche dal prefetto Oltrocchi il quale dedicherà un breve passaggio dei suoi appunti al Libro menzionando un disegno
del Castello Sforzesco, che, come vedremo, occupava una delle prime pagine.
Il passaggio è il seguente: «... come si può vedere anche da un disegno del castello di Milano fatto al tempo dei duchi sforzeschi esistente nella Biblioteca
Ambrosiana in un codice bislungo contenente vari disegni e ghiribizzi pittoreschi fra quali alcuni anche di Leonardo» (Baldassarre Oltrocchi e le sue memorie
storiche su la vita di Leonardo da Vinci, a cura di S. Ritter, Roma 1925, p. 44).
29 Il codice è ricoperto in pergamena stampigliata in oro, con una riquadratura
lungo i quattro lati, e agli angoli presenta quattro motivetti decorativi vegetali. Al
centro campeggia un ovale con motivo a girali alternati a vasetti a doppia ansa
contenenti elementi floreali. La copertura in pergamena è probabilmente l’unico
elemento originale, che troverebbe una rispondenza con quanto descritto dagli
inventari, perché all’interno il volume è stato molto rimaneggiato nella composizione e ha subito l’asportazione di parecchi fogli e disegni anche in epoca molto
recente. Il volume in una pubblicazione del 1929 venne stranamente incluso fra
i codici di argomento geografico della Biblioteca Ambrosiana, mentre in realtà,
benché parecchio rimaneggiato nel tempo, rimase sempre un libro di disegni (P.
REVELLI, I codici ambrosiani di contenuto geografico, Milano 1929, p. 59).
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
Le fonti ottocentesche e l’antico proprietario
del Libro di disegni
conserva la copertura in pergamena. Il contenuto è stato alterato
ma il volume deve identificarsi – almeno nella legatura – con il
libro di disegni anticamente contrassegnato dalla lettera A e già
presente in Ambrosiana fin dal 1661. Ciò è suffragato da una dichiarazione in scrittura secentesca30 incollata sul foglio di guardia. Il foglietto secentesco funge da riassunto del contenuto del
libro di disegni alla stessa maniera usata negli inventari, e la breve nota sottostante, firmata e datata, indica quali disegni furono
tolti dal volume per essere esposti nella Galleria31. Si ha pertanto
la certezza che tutti i volumi di disegni secenteschi erano contraddistinti mediante brevi descrizioni poste sui fogli di guardia,
e che essi utilizzavano come segnature lettere alfabetiche. Quanto al cod. F 245 inf. si può affermare, anche solo in seguito ad
un esame superficiale, che il contenuto originario fu in larga parte manomesso sia nella fascicolazione sia nell’ordinamento dei
disegni incollati sui fogli.
Già a partire dal tardo Settecento si riscontra però la tendenza ad esporre nella Galleria alcuni tra i migliori disegni posseduti. Si tratta tuttavia di un fenomeno piuttosto contenuto, che si
può anche quantificare mediante una seconda nota manoscritta
vergata dal prefetto Baldassarre Oltrocchi e incollata sulla coperta interna del cod. F 245 inf.32. Questa cura nel segnare i pezzi
asportati denota il fatto che egli ritenesse importante salvaguardare l’integrità dei volumi33.
Grazie alle cure dei bibliotecari i libri di disegni si conservarono
intatti fino all’Ottocento; ne abbiamo un riscontro oggettivo
negli appunti del pittore Bossi stesi attorno al 180734, che nel
complesso si possono considerare come note critiche raccolte in
presa diretta e poi incluse fra le carte manoscritte funzionali
all’elaborazione dei testi per il volume Del Cenacolo35. Le sue
annotazioni36, che rimangono pur sempre rapide impressioni
colte dalla visione dei disegni, sono una fonte straordinaria per
la nostra ricerca perché per una parte consistente sono costituiti
da elenchi che ci restituiscono talvolta foglio per foglio il contenuto dei libri di disegni più antichi dell’Ambrosiana.
Da un primo esame di queste note si comprende che all’epoca i libri visionati dal Bossi erano ancora contrassegnati da lettere
che andavano dalla A fino alla G e che probabilmente essi non
costituivano la totalità dei volumi allora conservati37. Ovviamente Bossi non manca di soffermarsi sul nostro Libro che egli preferisce definire «Volume delle caricature», e al quale dedica quasi
lo stesso spazio utilizzato per descrivere la Galleria portatile di
padre Resta.
Il Bossi non fu l’ultima persona a vedere integro il Libro di
disegni38: uno degli esemplari del volume del Gerli conservato
30 Si riporta il testo: «A. / Disegni di Leonardo da Vinci / Di Bernardino Lovino
35 L’insistenza sugli artisti cosiddetti leonardeschi, alcuni brani sul modo di di-
/ Di Michelangelo Buonaruota / Di Annibale Fontana /Di Raffaele d’Urbino /
Di Perino del Vago / Di Giulio Romano / Di Ambrogio Figino / Di Pellegrino
Pellegrini / A dì 27 febbraio 1679 Levati alcuni disegni, cioè due terminetti di
Perin del Vago, un carnito di Giulio Romano, un disegno con tre figure di Paolo
Veronese per riporgli in un quadro. / Una testa di Federico Barocci, ed un’altra
di Ambrogio Figino per riporle in due quadri», in BAMi, F 245 inf.
31 Il codice BAMi, F. 245 inf. corrisponderebbe a «Un libro di disegni di varij
Pitori, particolarmente di Leonardo da Vinci, di Bernardino Luvino, di Michel
Angelo, d’Annibale Fontana, di Raffaele d’Urbino, di Perino del Vago, di Giulio
Romano, di Ambrogio Figino, e di Pelegrino Pelegrini in foglio grande legato
in pergamena con fila d’oro» puntualmente citato nell’inventario del 1661
(BAMi, ms. A 357 inf., f. 69v).
32 Il testo è il seguente: «Libro di disegni
A 106. 101. 96. 90. 88. 89. 78. 77. 67. 43. 110. 60. 33. 7. 110. 4. 63. 64. 65.
61. 47 ½. 49. 100. 120. 118. 117 1/3. 110.
B 4. 40. 41. 33 ½. 1 ½.
C 1. 3. 4. 5. 8. 9. 10. 13. 14. 19. 23. 27. 28. 36. 37. 25.
Levati quelli che hanno sotto la linea e riposti in telari nella Galleria de Quadri
à 11. Novembre 1774 secondo la numerazione de Libri tre de disegni segnati
A. B. C. Baldassarre Oltrocchi, bibliotecario» (BAMi, F 245 inf.).
33 È noto quanto il religioso prendesse sul serio il suo compito di custode e gestore del patrimonio artistico e librario. Si sa con quanta cura custodisse i codici
vinciani chiusi a chiave in un armadietto e secondo i testimoni dell’epoca tanto
forte fu il dolore per le pesanti asportazioni subite dall’Ambrosiana nel 1795
per causa dei francesi, che l’Oltrocchi si ritirò a vita privata e morì di lì a poco
(si veda M. BALLARINI, La bufera napoleonica, in Storia dell’Ambrosiana. Il Settecento, Milano 2000, p. 333).
34 In quell’anno infatti è confermata la sua presenza in Ambrosiana. Per questo
episodio e per un primo riesame dei rapporti del Bossi con l’Ambrosiana si veda
S. MARA, Giuseppe Bossi e i rapporti tra Brera e l’Ambrosiana, in Milano 1809:
la Pinacoteca di Brera e i musei in età napoleonica, a cura di S. Sicoli, Milano
2010, pp. 191-197.
segnare di Leonardo da Vinci e sul tema della caricatura sembrano giustificare
la presenza di questi appunti all’interno del materiale preparatorio per il volume
del Bossi, opera monumentale da porsi in relazione con l’importante commissione della copia dell’Ultima Cena affidatagli dal viceré Beauharnais: G. BOSSI,
Del Cenacolo di Leonardo da Vinci: libri quattro di Giuseppe Bossi, pittore, rist.
anast. [ed. Milano, Stamperia Reale 1810], Milano 2009.
36 Non ci si può soffermare in questa sede in considerazioni sull’affinamento
critico del pittore bustocco che in maniera molto genuina riconosce il ductus
grafico di Leonardo, dei leonardeschi e dei maestri della cosiddetta ‘scuola lombarda’, sulla cui definizione specifica era in corso un intenso dibattito, proprio
in quel periodo, anche per merito dei suoi studi. Solo per una parte minoritaria
gli appunti sono formati da brani più compiuti forse destinati a confluire nelle
note per il volume sul Cenacolo, ma che per motivi a noi ignoti non vennero
inclusi. Alcuni sono stati trascritti e pubblicati a supporto dell’introduzione all’edizione moderna degli scritti d’arte di Giuseppe Bossi (Giuseppe Bossi. Scritti
sulle arti, a cura di R. P. Ciardi, Firenze 1982, I, pp. XI-XIII).
37 Si può ipotizzare una complementarità tra queste segnature e quelle un
tempo assegnate ai codici di Leonardo. Queste segnature, infatti, ci sono
note perché ancora visibili sui codici vinciani dell’Institut de France oltre
che nelle Memorie su Leonardo del prefetto Oltrocchi. Non si è ancora raggiunto un parere univoco sulla loro origine. Si tratta delle segnature O, S,
Sa, Sb, Xa, Xb, Xc, Q, Qa, Qb, Qc che rispecchiano il formato dei codici e
tradizionalmente sono fatte risalire al periodo in cui i manoscritti erano conservati in Ambrosiana. Unica voce discorde è quella di Carlo Pedretti secondo
il quale le segnature potrebbero essere state apposte dall’Arconati prima dell’ingresso in Ambrosiana (si veda l’Introduzione in Leonardo da Vinci. Il Codice Arundel 263 nella British Library, a cura di C. Pedretti, Firenze 1998,
p. 20, nn. 29-30).
38 La raccolta di grafica dell’Ambrosiana dovette rappresentare nel primo decennio dell’Ottocento una palestra formidabile per gli aspiranti artisti a cui era
permesso di consultare, studiare e copiare i disegni dei maestri del Rinascimento
(per questa tematica si veda MARA, 2010).
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Arte Lombarda | SILVIO MARA
presso l’Ambrosiana39 reca importanti postille vergate dallo scrittore, ossia copista, Francesco Ghidolli40, personalità dai contorni
biografici ancora sfuggenti, morto nel 1862. Egli usava apporre
sui volumi dell’Ambrosiana da lui visionati la dicitura «visto Ghidolli»41. Le sue postille al Gerli si possono intendere come precisazioni ad uso interno della Biblioteca, infatti esse indicano a
fianco dei disegni incisi sia la pagina corrispondente nello sfogliato del Libro di disegni sia eventuali iscrizioni antiche presenti negli
originali. Non è possibile datare con precisione queste postille,
ma potrebbero risalire al secondo o al terzo decennio dell’Ottocento e in ogni caso a prima della sua definitiva sfascicolazione.
Si colloca in questo periodo l’ultima traccia del Libro, contenuta in una lettera scritta da Gaetano Cattaneo, direttore del
Gabinetto Numismatico di Milano, al conte Pompeo Litta
(1781-1852) il 27 gennaio 1829. Egli era stato grande amico di
Giuseppe Bossi nonché esecutore testamentario alla sua morte e
depositario di alcuni suoi scritti sugli artisti lombardi. Verosimilmente si appoggiava su appunti o riflessioni del Bossi per soddisfare l’interesse del Litta a proposito di Fede Galizia. Riportiamo
il passaggio perché ci rivela per la prima volta l’autore e primo
possessore del Libro di disegni:
80
Maddalena che trovasi alla Pinacoteca di Brera, ivi trasportata dalla
chiesa soppressa dedicata a quella Santa. Ognuno poi le attribuisce il
ritratto del nostro storico Moriggia, che si vede all’Ambrosiana, e s’è
veramente suo, è di assai migliore maniera, che non è quella dei due
quadri antecedenti. Lascio al vostro amico il valutare quello che merita, il rimprovero fatto dal Bianconi a Madonna Fede, a proposito del
quadro suo della Maddalena, per avere, cioè, seguito uno stile più ideale
che vero. Certo è che l’ideale da essa seguito in quel lavoro, è pesante,
inelegante di forme, e privo di effetto, nonché di un colorito opaco e
monotono. La nuova collocazione di quella tela nella gran sala dei
Lombardi, l’ha precipitata dall’alto credito in che era prima tenuta. Si
vuole di Madonna Fede uno studio di ritratto di un frate, eseguito a
tocco libero di matita nera, che sta nella Collezione di Disegni formata dal nostro defunto Bossi, ed acquistata dall’Accademia di Venezia.
Se un tale disegno è suo, convien dire ch’essa era assai più esperta nel
disegnare, che nel dipingere, giacché in questo ultimo genere di lavori
mancava ordinariamente di effetto. Nel codice ambrosiano del Claricio si legge il nome di Madonna Fede sotto al fol. 88 sul quale sta disegnato un putto e sotto altri 5 fol. i quali contengono varj busti, ed
alcune caricature copiate da Leonardo da Vinci. Sono lavori eseguiti
con assai buona grazia di disegno42.
Sono mortificato io nel darvi, che voi certo nel ricevere, così scarse
notizie intorno a Nunzio ed a Fede Galizia, che desiderate di mandare
al vostro amico di Trento. Io vi ho mostrate le poche e inconcludenti
schede che sul conto loro si trovano nei ms. di Bossi da me posseduti,
alle quali io stesso aveva aggiunte altre poche linee, perché di questi
pittori non si conosce che il pochissimo che ce ne hanno detto il Moriggia, il Bianconi, e Lanzi sulla fede dei due primi. Oltre i nominati,
il Torre, perpetuo esageratore, asserì che l’Imperatore Rodolfo, mosso
dall’alta fama di Madonna Fede, volle alcune sue opere, e le premiò
largamente. Il vostro amico sarà probabilmente in situazione di arrivare a sapere quali sono le opere di cui parla il Torre. Delle opere di
Fede non abbiamo in Milano, che il S. Carlo portante il S. Chiodo,
che sta nella Chiesa di S. Antonio Abate, e l’apparizione di Cristo alla
Quanto ai primi passaggi della lettera, si può osservare che buona parte delle osservazioni sull’attività pittorica della Galizia sono state abbracciate anche dalla moderna storiografia artistica43.
Si apprende che Bossi aveva già avanzato qualche elemento di
critica forse basandosi sulle opere di pittura milanese, su un disegno di frate che egli possedeva44 e sui disegni attribuiti alla Galizia presenti nella Biblioteca Ambrosiana. Il Cattaneo, citando
questi disegni dell’Ambrosiana e in particolare quello conservato
al foglio 88, si riferisce proprio al nostro Libro di disegni e le sue
informazioni collimano perfettamente con gli appunti stesi da
Bossi mentre consultava il volume45.
Vi era quindi la certezza da parte del Cattaneo che quel Libro
era del «Claricio» ovvero dell’urbinate Giovanni Battista Clarici
(Urbino, 1542 - Milano, 1602)46, il cui cognome come si è già
39 GERLI, Disegni di Leonardo… [BAMi, S.C.T.IX.33]. Il Gerli utilizzò un doppio sistema di numerazione delle sue tavole incise. I numeri arabi si trovano
stampati sulle incisioni dei disegni, mentre i numeri romani sono stati adottati
nell’illustrazione delle tavole e talvolta apposti a penna sulle incisioni. Una correlazione fra le due numerazioni si trova in un foglio manoscritto intitolato
Nota dimostrante la numerazione delle tavole di mano del Ghidolli incollato come
foglio di guardia in coda al volume; cfr. nota 65.
40 L’unico riferimento a questo personaggio si trova in C. PASINI, Il Collegio dei
Dottori e gli studi all’Ambrosiana sotto i prefetti Ceriani e Ratti, in Storia dell’Ambrosiana. L’Ottocento, Milano 2001, p. 93.
41 Sono stati individuati altri interventi di questo tipo su codici dell’Ambrosiana;
per un dettaglio più preciso si veda Nuove ricerche su codici in scrittura latina dell’Ambrosiana, a cura di M. Ferrari e M. Navoni, Milano 2007, pp. 219, 317.
42 «Lettera di Gaetano Cattaneo a Pompeo Litta del 27 gennaio 1829», Milano,
Civica Biblioteca Archeologica e Numismatica, Corrispondenza extra-ufficio,
vol. IV, p. 370.
43 Si veda il testo di F. CAROLI, Fede Galizia, Torino 1989, che riporta in Appendice un regesto completo dei passi critici riservati dalla storiografia antica
alla Galizia.
44 Ho tentato un’identificazione del disegno citato dal Cattaneo con quelli finora
pubblicati con riferimento all’artista milanese nei cataloghi della collezione di disegni delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, ma nessuno pare rispondere alla
descrizione. Va pur notato che, per stessa ammissione del Cattaneo, il disegno in
questione appariva ben distante dallo stile pittorico della Galizia e ciò rende ancor
più difficoltosa la ricerca. Inoltre, non è chiaro su quali criteri si fondasse l’attribuzione, se, come pare plausibile, sulla base di un paragone con i disegni dell’Ambrosiana, oppure sulla scorta di un’antica sottoscrizione apposta al disegno.
45 Il disegno della Galizia alla pagina 88 del Libro si ritrova anche nella descrizione
Monti e nel testo del manoscritto Morbio; cfr. Appendice documentaria, 1.
46 Il Clarici fu architetto, cartografo e ingegnere militare, dal 1570 trasferitosi a
Milano, dove nel 1586 divenne ingegnere di corte in sostituzione di Pellegrino
Tibaldi. È stato adeguatamente indagato dagli studi il suo apporto all’architettura
militare, quasi per nulla il suo ruolo di artista e uomo di lettere che pur viene attestato dalle fonti coeve. Per un profilo biografico si vedano le voci in T. SCALESSE, Clarici, Giovanni Battista, in Dizionario Biografico degli Italiani, 26, Roma
1982, pp. 134-136; S. PARTSCH, Clarici, Giovanni Battista, in Allgemeines Künstlerlexikon die Bildenden Künstler aller Zeiten un Völker, 19, München - Leipzig
1998, pp. 377-378; per un aggiornamento si veda anche la voce curata da Marino Viganò in Ingegneri ducali e camerali nel Ducato e nello Stato di Milano
(1450-1706): dizionario biobibliografico, a cura di P. Bossi, S. Langè e F. Rephisti,
Firenze 2007, pp. 62-63. Non è accertata l’identificazione del nostro con quel
Giovanni Battista Clerici, discepolo di Tiziano, che a detta di una fonte manoscritta del 1735 (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, ms Oliv. 456, II, Chiese di Pesaro,
f. 385r) in seguito ripresa e aggiornata (A. BECCI, Catalogo delle pitture che si conservano in Pesaro, Pesaro 1783, p. 60) eseguì una pala raffigurante una Vergine
annunciata per la chiesa di San Giovanni dei Riformati a Pesaro.
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
appurato compare anche negli inventari secenteschi a proposito
del Libro preferibilmente nella forma milanesizzata di «Clerici».
Smembramenti durante il riordino
del patrimonio grafico dell’Ambrosiana (circa 1840)
Nonostante lo studio critico che probabilmente Bossi aveva
compiuto sul Libro, il volume fu inesorabilmente smembrato.
Per comprenderne i motivi vanno esaminate le contingenze storiche, e per questo è necessario capire come venne gestita l’immensa raccolta di grafica dell’Ambrosiana nella prima metà
dell’Ottocento.
È già stato illustrato il fenomeno per cui intorno al terzo e al
quarto decennio dell’Ottocento il patrimonio artistico dell’Ambrosiana tornò a crescere dopo le pesanti perdite subite durante
l’occupazione francese e il regime napoleonico47. Sono attestate
in questi anni significative donazioni da parte di facoltose famiglie milanesi; fra queste la collezione del marchese Federico Fagnani. Le stampe e i disegni pertinenti a questo lascito giungevano in Ambrosiana il 1° aprile 1841 e venivano registrati in
modo alquanto sommario dal prefetto Bartolomeo Catena il 19
aprile dello stesso anno48. L’imponente donazione, che l’inventario quantificava approssimativamente in 4320 disegni e 16000
stampe, imponeva una catalogazione e di conseguenza una riorganizzazione perché i disegni si trovavano raggruppati quasi
esclusivamente in fasci. Il Collegio dei conservatori, che evidentemente non disponeva di personalità adeguate al compito, decise di affidarsi al noto editore, collezionista e mercante di disegni e stampe Giuseppe Vallardi (1784-1863). La sua collabora47 Sull’argomento da ultimo si veda A. ROVETTA, L’Ambrosiana, circa 1809. In-
ventari, acquisizioni e scambi eruditi, in Milano 1809…, pp. 183-190.
48 L’inventario è conservato in BAMi, con segnatura A 361 inf.; sul Catena prefetto e letterato da ultimo si veda A. CADIOLI, Bartolomeo Catena nella cultura
milanese di metà Ottocento, in Erudizione e letteratura all’Ambrosiana tra Sette e
Ottocento, a cura di M. Ballarini e P. Bartesaghi, I, Milano 2010, pp. 185-198.
49 È attestata unicamente la nomina a consultore artistico della Biblioteca avvenuta il 23 gennaio 1843 (si veda M. ROSSI, La collezione De Pecis, gli incrementi delle raccolte, la conservazione delle opere, in Storia dell’Ambrosiana.
L’Ottocento…, 2001, p. 293), ma non sono state chiarite le decisioni concrete
che tale ruolo gli permetteva.
50 «… dalla pregiata sua lettera dei 20 corrente raccolgo che dall’illustre Corpo
dei Signori conservatori di questa Biblioteca Ambrosiana, mercé la cortese proposta di Vostra Signoria, io fui nominato ad ordinare le stampe e i disegni prevenuti dalla liberalità del defunto Marchese Fagnani. [...] mi tengo obbligato di
prestare la mia debole opera, in quanto richieda il medesimo legato, ma sì bene
per ogni altro incarico, che mi venisse affidato, riguardante un così celebre sacrario di belle arti. Se non che, quanto concerne ai disegni, come già le dissi a
voce, bramerei che la mia opinione, fosse convalidata dall’assentimento di un’altra persona, quale potrebbe essere il Signor De Antonio pittore e conservatore
della Galleria di Brera, attesoché infiniti oggetti d’arte, per un pronto e sicuro
disimpegno, alla pratica dell’occhio conoscitore, è bene accompagnarvi l’artistico
giudizio. Domani sarò da Vostra Signoria onde intendere del tempo e del modo,
per dare incominciamento al lavoro» (BAMi, ms. S.Q. + I. 1, f. 577, «Lettera di
Giuseppe Vallardi a Bartolomeo Catena Prefetto dell’Ambrosiana del 22 giugno
1841 da Milano»). Era già risaputo che fin dal 25 maggio dello stesso anno con
una lettera alla Congregazione dei conservatori il prefetto Catena aveva proposto
zione con l’Ambrosiana, finora scarsamente indagata49, fu sicuramente foriera di pesanti ripercussioni sul patrimonio della grafica e forse anche per quello pittorico. Due lettere inedite del
Vallardi al prefetto Catena ci aiutano a comprendere quali attività presero l’avvio su sua iniziativa.
Dalla prima lettera del 22 giugno 1841 trapela che da due
giorni gli era stato affidato dai conservatori il compito di riordinare i disegni e le stampe della donazione Fagnani50, ma nella
conclusione del testo si intuisce che il Vallardi appena ottenuto
questo mandato già mostrava chiaramente un malcelato interesse a ricevere nuove responsabilità. Inoltre si apprende che la riorganizzazione del lascito Fagnani sarebbe avvenuta con la consulenza del pittore Antonio De Antoni, «conservatore» (da intendersi come restauratore) della Pinacoteca di Brera.
Ciò che successe lo possiamo ricostruire attraverso una seconda lettera datata 14 marzo 184251, in cui Vallardi questa volta risponde alla Congregazione dei conservatori che gli aveva
richiesto chiarimenti sulla progressione dei lavori. Si intuisce
fra le righe che i conservatori si muovevano per capire quali
mire avesse l’editore milanese, che fino a quel momento non
aveva percepito retribuzione per il lavoro svolto. Dalle parole
utilizzate si comprende che Vallardi non si era limitato solo al
riordino del lascito Fagnani, ma aveva intrapreso una drastica
riorganizzazione di tutto il patrimonio di stampe dell’Ambrosiana. Le scelte del Vallardi dovettero implicare necessariamente l’abbandono del vecchio ordinamento, che doveva rispecchiare ancora i canoni secenteschi, proponendo una classificazione per scuole e per serie. Per fare ciò dovette per forza di cose smembrare i volumi e «scolare e racunciare» le stampe. Lo
stesso Vallardi biasimava i tempi prolungati che l’operazione
il nome di Giuseppe Vallardi (M. NAVONI, L’attività artistico-culturale e i rapporti
con la città, in Storia dell’Ambrosiana. L’Ottocento..., 2001, pp. 252-253).
51 «... Dapprima quanto all’interesse di un compenso, non posso che riconfermare ciò che di già ebbi occasione nel passato anno di significare a voce ed
in iscritto al degnissimo signor Prefetto; che [...] io intendo per ferma e libera
volontà di obbligarmi ad apprestare gratuitamente l’opera mia in tutti quei
giorni e quelle ore, cui mi sarà dato disporre, senza detrimento de’ miei privati
interessi. Ritengo che il tempo con l’opera mi basti, come diedi prova col fatto
nel passato anno, per ben tre mesi, ciò che debb’essere pure noto al chiarissimo
signor Prefetto. Quanto al lavoro, esso divenne al certo farraginoso e lungo
più che non credeva, per la gran quantità delle stampe ritrovate in questo Istituto in un eccessivo disordine, mancanti essendo di classificazione per scuole
e per serie, onde fu d’uopo sciogliere i volumi, scolare e racunciare quelle
stampe, che di una tale abbenché materiale operazione abbisognavano. Operazione che solo è giunta alla metà. Al classificarle per scuole, maestri e per
serie richieggonsi altri tre o quattro mesi di lavoro, cui dovrà succedere la solerzia dei legatori per unire circa centocinquanta volumi. Ultima ed indispensabile opera è la redazione del catalogo di dette stampe, che dovrà classificarsi
per indici di pittori ed incisori, non che dei rispettivi soggetti, onde l’Istituto
possa con celerità ed esattezza soddisfare alle ricerche degli studiosi. [...] non
deve rincrescere che per la migliore esecuzione abbia termine approssimativamente col 1844 [...]. Riguardo alla collezione de’ disegni che arricchiscono di
molto questo cospicuo sacrario d’ogni bell’arte, faccio riflesso, non essere conveniente il porvi mano prima che non sii ultimata l’ordinazione delle stampe;
che [...] è mestiere un maggiore studio» (BAMi, ms. S.Q. + I. 1, f. 579, «Lettera
di Giuseppe Vallardi alla Congregazione dei Conservatori della Biblioteca Ambrosiana del 14 marzo 1842 da Milano»).
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Arte Lombarda | SILVIO MARA
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richiedeva. La sfascicolazione delle stampe aveva prodotto la cifra non indifferente di 150 volumi.
Egli stimava che la riorganizzazione non si sarebbe potuta
concludere prima del 1844, dopo aver stilato un catalogo confacente con indici per pittori, incisori e soggetti. Stesso procedimento doveva seguirsi per i disegni, ma solo una volta conclusasi
la sistemazione delle stampe.
Dopo questa data non abbiamo più notizie precise sul suo lavoro, ma, considerando le premesse metodologiche, si deve ritenere del tutto verosimile che le attuali segnature dei disegni
dell’Ambrosiana risalgano a questo periodo. Infatti, come si è già
visto, ab antiquo i volumi di disegni erano contraddistinti da lettere alfabetiche, mentre con la sfascicolazione degli antichi volumi e l’eventuale riassemblaggio in nuovi si dovette per forza di
cose riassegnare nuove segnature52. In assenza di testimonianze
si può ipotizzare un procedimento di questo tipo: prima la sfascicolazione dei libri di disegni, poi il successivo riordino degli
stessi secondo l’epoca e le scuole artistiche e infine la collocazione dei disegni in nuovi volumi53. Il Vallardi dunque dovette continuare questo processo di riorganizzazione con l’avallo dei dottori dell’Ambrosiana che addirittura il 23 gennaio 1843 lo nominarono consultore artistico della Biblioteca. È opportuno fare
alcune considerazioni: la responsabilità affidata al Vallardi era
notevole e chiaramente il prefetto Catena non ne aveva valutato
i rischi, perché in assenza di un inventario moderno il lavoro di
sfascicolazione degli antichi volumi poteva permettere eventuali
ruberie di disegni e stampe54.
Il susseguirsi dei fatti sembra dare credito all’ipotesi che il
Vallardi abbia sottratto indebitamente dei disegni dall’Ambrosiana, infatti il 23 aprile 1850 in seguito a qualche divergenza
con l’editore milanese la Congregazione pensò a una sua sostituzione. Così avvenne e l’8 giugno, pur ringraziando Vallardi, si
procedette alla nomina di due esperti.
Non a caso cinque anni più tardi Giuseppe Vallardi stampava
a scopo promozionale di vendita il catalogo dei disegni di Leonardo da lui posseduti, che enumerava ben 482 disegni montati
su 284 pagine di un album che oggi convenzionalmente prende
la denominazione di Album Vallardi. Questo album era stato acquistato dall’editore milanese nel 1829 dagli eredi di «un nobilissimo casato esistente lungi da Milano, sulla via Emilia»55, anche se il numero dei disegni originali venne gonfiato con altri
che furono incollati in seguito dallo stesso Vallardi56. Inoltre,
successivamente alla vendita del volume nel 1856 al Louvre, i
conservatori appurarono che solo una minuscola parte dei disegni era effettivamente attribuibile a Leonardo da Vinci. Recentemente Pietro C. Marani ha dimostrato che alcuni disegni
dell’Album Vallardi hanno altre provenienze e ha ipotizzato che
vi siano state delle sottrazioni da gallerie pubbliche57.
Non sembra fortuito il fatto che il foglio 194 dell’Album Vallardi (ora Département des Arts Graphiques; d’ora in poi DAG,
inv. 2397) mostrasse un disegno su pergamena ora attribuito a
Pisanello, che anticamente faceva parte di un taccuino smembrato da cui proviene anche il disegno dell’Ambrosiana F 214
inf. n. 1558. Il disegno dell’Ambrosiana era di proprietà del padre
Sebastiano Resta, noto collezionista che lasciò all’Ambrosiana alcuni dei volumi entro i quali raccoglieva i suoi disegni. Non è
dunque da scartare l’ipotesi che anche il disegno dell’Album Vallardi abbia la medesima provenienza59.
Alla luce delle fonti documentarie qui utilizzate, e in particolare rispetto agli appunti che Bossi prese mentre esaminava i
volumi di disegni dell’Ambrosiana, l’ipotesi proposta da Marani
si concretizza. Operando un confronto si può stabilire con certezza che alcuni disegni visti da Bossi in Ambrosiana finirono
nell’Album Vallardi e quindi al Louvre, dove attualmente sono
conservati. Vallardi dovette sicuramente approfittare del suo ruolo di riorganizzatore delle raccolte grafiche dell’Ambrosiana per
impadronirsi di alcuni disegni, che poi inserì nel suo Album60
mascherandone di fatto la reale provenienza apponendovi il proprio marchio di collezione. A riprova si può citare un caso emblematico che mostra come Vallardi doveva procedere. L’Album
Vallardi del Louvre al foglio 209 esibiva un disegno, l’attuale
DAG inv. 2416, attribuito al Maestro della Pala Sforzesca e rap-
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57I disegni di Leonardo da Vinci e della sua cerchia nelle collezioni pubbliche in
Francia, a cura di P. C. Marani, Firenze 2008, pp. XXV-XXX.
58 Questo codicetto è stato convenzionalmente denominato dagli studiosi come
‘Taccuini di viaggio’ e comprende una cinquantina di fogli pergamenacei ora
suddivisi in tre grandi gruppi: il primo presso l’Ambrosiana, il secondo già in
collezione Vallardi e ora al Louvre, il terzo già di proprietà del marchese di Lagoy
e ora frammentato in oltre dieci luoghi diversi (si veda D. CORDELLIER, Note
su alcuni taccuini e gruppi di disegni smembrati, in Pisanello, a cura di P. Marini,
Milano 1996, pp. 491-492, n. 103-131).
59 D’altro canto anche i primi conoscitori ottocenteschi di fronte al dilemma
posto da questo singolare Album non potevano che notare la sostanziale somiglianza nell’assortimento degli artisti con le raccolte della Biblioteca Ambrosiana
(E. MÜNTZ, Leonardo da Vinci, artist, thinker, and man of science, London 1898,
p. 256; Le Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori scritte da Giorgio
Vasari. I. Gentile da Fabriano e il Pisanello, ed. critica con note, documenti e
96 riproduzioni, a cura di A. Venturi, Firenze 1896. 60 Che il suo operare sia stato fraudolento, e che i disegni siano usciti dall’Ambrosiana in modo illegittimo sembra confermato dal fatto che Vallardi non ne
precisa la provenienza, come al contrario fa per altri casi limitati.
Infatti, le attuali segnature sono del tipo «Cod./ inf./ n.» e sono rimaste immutate nonostante i disegni talvolta siano conservati in passepartout. I volumi
superstiti sono di epoca sette-ottocentesca e talora presentano rilegature recenti.
53 Inutile sottolineare che con questa operazione si è completamente perso l’aspetto
e il criterio che regolava la raccolta formata da Federico Borromeo. Si spiega, in
questo modo, l’uniformità di datazione e di scuola che contraddistingue ad esempio i disegni sotto la segnatura F 263 inf. Questa caratteristica, segnalata già da
Giulio Bora, aveva indotto a credere che i disegni sotto quella segnatura fossero
stati assortiti in quel modo fin dai tempi borromaici (si veda Disegni e dipinti leonardeschi dalle collezioni milanesi, a cura di G. Bora et al., Milano 1987, p. 208).
54 Si ricorda, a tal proposito, che a quell’epoca in Ambrosiana non si usavano
timbri di collezione su stampe e disegni, cosa che, invece, il Vallardi faceva sistematicamente sulle opere di sua proprietà.
55 G. VALLARDI, Disegni di Leonardo da Vinci posseduti da Giuseppe Vallardi dal
medesimo descritti ed in parte illustrati, Milano tip. di Pietro Agnelli 1855, pp.
VIII-IX.
56 Stupisce l’eccessiva circospezione con cui il Vallardi indica la provenienza del
suo Album, così come suscita qualche sospetto anche la descrizione della legatura, molto simile a quella del Codice Atlantico, purtroppo andata perduta.
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
presentante un ritratto d’uomo di tre quarti a destra61. Ma il disegno è certamente lo stesso descritto da Giuseppe Bossi attorno
al 1808 come «testa volante del detto. Bella a mano, bellissima
dello stesso. Dietro la testa di antico francese vi si legge scritto –
d’un eleve de Leonard –»62.
Per Bossi questo disegno era un punto nodale per la ricostruzione di un corpus grafico che aveva individuato in Ambrosiana e
che aveva riferito «all’autore del quadro di S. Ambrogio ad nemus»
ovvero all’artista che attualmente è convenzionalmente chiamato
Maestro della Pala Sforzesca63. Siamo certi che stava parlando dello stesso esemplare ora al Louvre perché citava come importante
testimonianza un’antica iscrizione tuttora visibile sul verso del disegno. Si noti anche il particolare significativo appuntato da Bossi,
che definisce il disegno «testa volante», espressione che verosimilmente sta ad indicare che il foglio era completamente staccato dalla pagina, di modo che era possibile scorgerne l’iscrizione. Perciò
sarà stato ancora più semplice per il Vallardi carpire il disegno64.
A ben vedere il mercante e stampatore milanese aveva già dato prova fin dal 1830 di conoscere approfonditamente la collezione di disegni dell’Ambrosiana, almeno per quanto riguardava
i disegni di Leonardo da Vinci. In quella data aveva pubblicato
una nuova edizione dei disegni di Leonardo incisi da Carlo Giuseppe Gerli65, per la cui realizzazione Vallardi era riuscito a procurarsi le lastre utilizzate dall’incisore milanese. L’edizione, che
riproduceva anche tutto l’apparato illustrativo settecentesco, era
corredata da significative postille scritte per l’occasione dallo
stesso Vallardi e distinte dal testo antico mediante un doppio
asterisco. Attraverso quest’opera l’autore-editore Vallardi intendeva accreditarsi come conoscitore dell’arte lombarda e nello
specifico di Leonardo da Vinci66. Le sue note sono interessanti e
si pongono come aggiornamento dell’impostazione erudita datagli dal Gerli e dall’Amoretti, entrando talvolta anche nel dibattito attribuzionistico.
L’autore tiene a informare in merito alle mutate collocazioni
dei disegni; sappiamo infatti che le sedici tavole riprodotte in
conclusione del volume si riferivano ai disegni della collezione
di Venanzio de Pagave, poi passati in quella di Giuseppe Bossi e
al tempo del Vallardi già pervenuti alle Gallerie dell’Accademia
di Venezia. Le restanti tavole incise dal Gerli riguardavano disegni posseduti dall’Ambrosiana, parte dei quali contenuti nel Codice Atlantico, altri nei codici di Leonardo un tempo segnati Qr
e Q3 (ovvero due degli attuali codici dell’Institut de France a Parigi), altri ancora erano tratti dalla Galleria portatile ovvero dal
Codice Resta, mentre i restanti, cioè la maggioranza, provenivano dal Libro di disegni. Vallardi ragguagliava il lettore a proposito
di questo volume fornendo un’indicazione che, in quanto priva
di riscontri, si deve considerare palesemente falsa. Lo stampatore
infatti sosteneva che questo Libro era stato requisito dai francesi
assieme al codice vinciano segnato Qr e mai più restituito. Permane il dubbio che l’informazione fosse stata da lui falsamente
costruita per potersi poi impossessare tranquillamente dei disegni in esso contenuti. Siamo certi infatti che il volume non era
nell’elenco dei beni trafugati su ordine dell’agente del Direttorio
Jacques-Pierre Tinet, e se anche fosse stato veramente sottratto
non si comprenderebbe come mai i suoi disegni siano tuttora
conservati in Ambrosiana, dal momento che il volume non compare tra le opere restituite durante la Restaurazione. Si potrebbe
quindi ipotizzare abbastanza realisticamente che il nostro Libro
venisse smembrato negli anni quaranta dell’Ottocento e che alcuni dei suoi disegni fossero trafugati dal Vallardi e poi a loro
volta rivenduti.
61 Se ne veda la corrispondente scheda di catalogo in MARANI, 2008, pp. 91-92.
62 BAMi, Bossi, ms. S.P. 6/13 B, f. 149. Dagli appunti si deduce che il disegno ap-
italiana, è affatto estranea al disegno, il quale per se stesso dichiarasi abbastanza
della età migliore dell’artista sunnominato, e non inferiore ai più belli che di
lui trovansi nell’Ambrosiana» (VALLARDI 1855, p. 46, f. 209).
65 C. G. GERLI - G. VALLARDI, Disegni di Leonardo da Vinci incisi sugli originali
da Carlo Giuseppe Gerli, Milano: presso gli editori Pietro e Giuseppe Vallardi,
1830. Per un giudizio critico su questa edizione si veda D. TRENTO, La storiografia dell’arte lombarda: un ponte da Bossi ai conoscitori, in Milano pareva deserta... 1848-1859. L’invenzione della Patria, incontro di studio sulle arti
(Milano 19-21 marzo 1998), a cura di R. Cassanelli, S. Rebora e F. Valli, Milano
1999, pp. 275-289. Oltre alle note contrassegnate con asterisco, Vallardi in questa sua edizione include una Nota dimostrante la numerazione delle tavole trascritta dall’esemplare del Gerli conservato in Ambrosiana e postillato da
Francesco Ghidolli per la quale si veda nota 39. Il Vallardi però nell’ordinare le
tavole preferirà la numerazione arabica piuttosto che quella in numeri romani,
non conservando in tal modo l’allineamento tra il commento alle tavole (in numeri romani) e le tavole stesse.
66 Su questo aspetto si veda S. VECCHIO, Letteratura artistica e collezionismo
nella guidistica di primo Ottocento, in Tracce di letteratura artistica in Lombardia,
a cura di A. Rovetta, Bari 2004, pp. 201-204.
parteneva al volume contrassegnato con la lettera «E». A questo volume, così come
agli altri descritti da Bossi, dedicherò uno studio più approfondito in altra sede.
63 Le osservazioni di Bossi riguardo al Maestro della Pala Sforzesca sono singolari e in largo anticipo rispetto alle conquiste della moderna critica d’arte. Le
sue considerazioni nascono ancora una volta dall’esame dei disegni e dal rinvenimento di una «maschera» in gesso ricoperta di tela dipinta, opera misteriosa
che egli attribuisce a Leonardo. Per una ripresa critica del pensiero bossiano attorno a questo artista si rinvia al paragrafo in calce a questo testo.
64 La descrizione fattane dal Vallardi nel catalogo dei disegni appartenenti al
codice poi venduto al Louvre combacia perfettamente: «Disegno su carta preparata cenerognola, eseguito a matita nera ed a finissima penna, con qualche
traccia di bianco: testa di uomo adulto, di carattere austero, a due terzi il naturale, veduta per due terzi dal lato destro. Al basso in un angolo, piccolo profilo
a sinistra forse della eguale testa. Al rovescio, semplice indicazione a matita nera
di una mano sinistra. Da un lato in carattere molto posteriore al Vinci è scritto
“d’un eleve de Leonard”. Alto poll. 9 largo poll. 6.3.». Dichiaratamente in malafede è il commento che segue sempre del Vallardi: «Questa annotazione non
I disegni del Libro
nei nuovi allestimenti della Pinacoteca
In considerazione di ciò si può osservare che l’antico ordinamento
del patrimonio grafico dell’Ambrosiana, probabilmente già quasi
completamente compromesso dal Vallardi, dovette svanire del tutto a causa delle scelte dei conservatori della Pinacoteca, che con
l’imporsi di nuovi orientamenti espositivi decisero allestimenti in
cui la presenza dei disegni diventava sempre più massiccia.
83
Arte Lombarda | SILVIO MARA
84
Da alcuni elementi fin qui proposti si comprende che non
era un fenomeno nuovo, e di fatto le fonti ci assicurano che fin
dal Seicento alcuni disegni erano già presenti all’interno del percorso espositivo, ma tendenzialmente ci si limitava a presentare
soltanto alcuni pezzi di grandi dimensioni ritenuti eccellenti per
il grado di rifinitura e per il soggetto. Invece nell’Ottocento
questa scelta divenne preponderante ed è attestata già dal
184467, quando furono realizzate apposite bacheche per l’esposizione dei disegni. Sia i disegni che le stampe vennero collocati
in gran quantità sulle pareti e ne abbiamo una testimonianza
abbastanza puntuale nella Guida della Biblioteca Ambrosiana con
cenni storici del 1860.
In principio si descrive una «Sala dei manoscritti» dove erano
conservati «vari volumi di disegni di tutte le scuole» compresa la
famosa Galleria portatile del padre Resta68, ma più avanti, passando alla «Sala dell’Incoronazione», si accenna alle oltre 40.000
incisioni sistemate sugli scaffali, parte in volumi e parte in cartelle, ripartite per soggetto e per autore69 probabilmente secondo
l’ordinamento Vallardi-Blau-De Grandi.
Proseguendo nella Sala Terza si trovavano esposti circa 140
disegni con la commistione di opere ottocentesche di Appiani,
Palagi, Bossi e opere antiche, fra le quali alcune sicuramente appartenenti al Libro di disegni. Si possono citare senza tema di
smentita il disegno con due levrieri (F 264 inf. n. 31) copia da
un particolare del Sant’Eustachio di Albrecht Dürer e «i due putti
del Mantegna», ovvero il disegno attribuito a Zoan Andrea F
271 inf. n. 5270.
La Sala Quarta era praticamente tappezzata da oltre 430 disegni e altri ancora dovevano essere esposti nella Sala Quinta. In
quest’ultima dovevano essercene molti provenienti dal nostro Libro; lo deduciamo dal fatto che qui erano esposti in prevalenza
disegni di Leonardo da Vinci, il cui computo appare assai generoso – la Guida ci parla di circa 150 tra schizzi, studi dal vero e
caricature – ed evidentemente ne include anche molti di ambito
leonardesco.
Possiamo avere una vaga restituzione grafica di questo tipo di
allestimento nelle incisioni di Ambrogio Centenari poste a corredo della Guida della Biblioteca Ambrosiana di Luca Beltrami
edita nel 189571. Il Beltrami e Luigi Cavenaghi, chiamati dal
prefetto Achille Ratti per approntare modifiche espositive alla
Pinacoteca, misero in atto una riorganizzazione complessiva che
coinvolse anche i disegni72. Beltrami si occupò nello specifico
della creazione del cosiddetto Gabinetto di Leonardo che fu sistemato nella Sala G della Pinacoteca (fig. 1). Un’inedita fotografia73 ci restituisce l’aspetto di questa sala in cui l’architetto milanese aveva proposto una selezione di disegni riconducibili a Leonardo e alla sua cerchia.
Il Gabinetto di Leonardo era allestito mediante grandi ante
mobili alle pareti in cui erano collocati vari disegni, mentre lungo il lato corto della saletta in un mobile con vetrine era collocato il Codice Atlantico. I criteri dell’allestimento venivano illustrati dallo stesso Beltrami, che faceva notare i disegni che attribuiva con certezza al Vinci collocati nel riparto centrale (fig. 2)
sopra il mobiletto, mentre nelle vetrine laterali mostrava i disegni considerati di scuola (fig. 3). Tra gli esemplari esposti ne
compaiono molti appartenenti al Libro di disegni, segno che ormai si era persa la memoria del volume privilegiando una pioneristica organizzazione secondo scuole artistiche. Nel riparto centrale, assieme a pezzi di sicura autografia vinciana come i disegni
F 263 inf. n. 91, F 263 inf. n. 84, F 263 inf. n. 68, F 274 inf. n.
25, F 274 inf. n. 28, F 274 inf. n. 29, F 274 inf. n. 35 a-b-c-d-e,
F 263 inf. n. 89, Beltrami esponeva disegni che attualmente vengono attribuiti ad artisti gravitanti nell’orbita dei leonardeschi.
Estremamente singolare è poi il caso del disegno F 263 inf. 80
che, non si capisce se per sbaglio o intenzionalmente, viene presentato ruotato di 90°. Nella vetrina di destra erano raccolte una
serie di caricature sullo stile leonardesco assieme alle incisioni
raffiguranti i cosiddetti Nodi vinciani. Al centro della vetrina
campeggiava il Ritratto di Leonardo F 263 inf. n. 1 bis.
67 Prima di questa data si era assistito a un nuovo allestimento delle sale, attestato dalla Descrizione del 1837 e da una serie di quattro disegni delle tre sale
principali. Si veda in merito A. ROVETTA, Storia della Pinacoteca Ambrosiana
II. Dalle requisizioni napoleoniche all’Unità d’Italia in Pinacoteca Ambrosiana.
Dipinti dell’Ottocento e del Novecento, Milano 2008, pp. 24-29.
68 Guida della Biblioteca Ambrosiana con cenni storici, Milano presso Francesco
Colombo libraio 1860, p. 19.
69 Guida della Biblioteca..., 1860, p. 24.
70 Disegni identificabili attraverso la descrizione del Monti; cfr. Appendice documentaria, 1.
71 L. BELTRAMI, La Biblioteca ambrosiana. Cenni storici e descrittivi, Milano,
Ambrogio Centenari [1896?]. L’autore spiegava, ad esempio, che nella Sala III
erano esposti sulla parete di fondo i disegni di «Francesco Zuccaro, di Polidoro
da Caravaggio, del Guercino e del Procaccini» assieme a qualche dipinto del
Migliara e del Londonio. Invece nella Sala IV lungo le pareti erano disposti più
di 400 disegni, fra i quali alcuni di «Leonardo da Vinci, Alberto Dürer, Mantegna, Polidoro da Caravaggio, Guido Reni, Guercino e delle scuole di Raffaello,
Michelangelo e Giulio Romano». Nella stessa sala si trovavano i cartoni per la
vetrata del Duomo di Milano disegnati da Pellegrino Tibaldi.
72 Di questa riorganizzazione il Ratti renderà noti i risultati a conclusione dei
lavori, pubblicando nel 1907 in forma anonima la Guida sommaria per il visitatore della Biblioteca Ambrosiana e delle collezioni annesse.
73 La rispettiva lastra fotografica, qui riprodotta, proviene da Milano, Civico
Archivio Fotografico, Lissoni, inv. D 3510.
Giovanni Battista Clarici e la genesi del Libro
Esaurite le fonti storiche a nostra disposizione, che completano
le vicende occorse al Libro, passiamo ora a interpretare i dati finora raccolti. Dopo aver riconosciuto il primo proprietario del
Libro ci interessa ora indagare la genesi del volume. A tal fine
non si può prescindere dagli esiti della ricostruzione del contenuto che si proporrà più avanti, ma già fin da ora pare opportuno soffermarsi sull’assortimento degli autori dei disegni. Esso riflette con buona approssimazione gli interessi manifestati da Federico Borromeo nell’allestimento della Pinacoteca, a partire dalla significativa presenza di alcuni disegni originali di Leonardo,
e di artisti leonardeschi.
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
2. Particolare della vetrina centrale nel Gabinetto di Leonardo.
3. Particolare della vetrina di sinistra nel
Gabinetto di Leonardo.
Il carattere prettamente milanese di questa raccolta di disegni
è la nota dominante del Libro, che presentava una straordinaria
sequenza di teste caricate, a volte in serie e a volte intercalate a
disegni di tutt’altro genere. In qualche modo ciò dimostra il riferimento a un precedente illustre, cioè al famoso «libricciuolo»
che conteneva una cinquantina di caricature in lapis rosso di mano di Leonardo che il Lomazzo ricorda essere stato composto da
Aurelio Luini74. Qui il modello verrebbe replicato ma con una
sorta di aggiornamento sui tempi; infatti, accanto alle caricature
autografe di Leonardo, poche per la verità, si addensano quelle
in stile e addirittura quelle delle generazioni seguenti modulate
sulla lezione vinciana. Si possono citare ad esempio i casi delle
caricature ascrivibili al Lomazzo, agli artisti dell’Accademia della
Val di Blenio e alle caricature di Fede Galizia. Queste ultime sono effettivamente ancora ignote, ma la notizia che la Galizia si
esercitasse in questo genere è già una novità degna di considerazione. Le sue caricature, a detta del Bossi che le vide ancora pre-
senti nel Libro, dovevano dividersi fra quelle di sua invenzione e
quelle esemplate su prototipi vinciani.
Tutto ciò desta interesse se lo si ricollega alla biografia del
Clarici e specificatamente ci permette di comprendere perché il
Libro dell’Ambrosiana non si distaccasse dall’orizzonte artistico
milanese, all’interno del quale l’architetto era ben inserito, e al
contempo perché questi prediligesse criteri all’insegna dell’eterogeneità nella scelta degli artisti.
Ripercorrendo la vita del Clarici si può vedere come fosse stato possibile e del tutto naturale per lui il collezionare disegni di
artisti geograficamente e stilisticamente differenti. Clarici nasce
a Urbino, si sa poco della sua formazione, ma è attestata una sua
significativa presenza a Firenze nel 1565 dove ammirò «tutte le
bell’opere, tanto de pittura come di scoltura» e dove su raccomandazione di «messer Giorgio d’Arezzo», ossia del Vasari, dovette impratichirsi nell’arte delle grottesche a fianco di Marco
Marchetti da Faenza75. Egli poi trascorse buona parte degli anni
74
del Luini, anche se non è da escludersi una possibile dipendenza dal modello
luinesco.
75 Lo si deduce da una sua lettera visibile sul verso di uno schizzo di Federico
Barocci preparatorio per la Madonna di San Simone (1567). Per la trascrizione
completa si veda A. EMILIANI, Federico Barocci (Urbino, 1535-1612), Ancona
2008, I, scheda 20.13, p. 181. Marco Marchetti da Faenza, celebre pittore di
grottesche, prese parte a più riprese al cantiere gestito dal Vasari a Palazzo Vecchio a Firenze: nel 1565 aveva verosimilmente concluso la decorazione delle
travi del soffitto del Salone dei Cinquecento e si apprestava all’ornamentazione del cortile e degli apparati effimeri per le nozze di Francesco de’ Medici
e Giovanna d’Austria; si veda in merito A. CECCHI, Pratica, fierezza e terribilità
nelle grottesche di Marco da Faenza in Palazzo Vecchio a Firenze. Parte II, in «Paragone. Arte», 329 (1977), p. 19.
L’esistenza di questo libro ci è tramandata con giusto rilievo dalle fonti milanesi seguendo il Lomazzo che l’aveva ricordato in due riprese nel Trattato e
nell’Idea; G. P. LOMAZZO, Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura
di G.P.L. milanese pittore diviso in sette libri [Milano 1584], Libro VI, cap.
XXXIII; Idea del tempio della pittura di G. P. L. pittore… [Milano 1590], cap.
XVI, ed. in Giovan Paolo Lomazzo. Scritti sulle arti, a cura di R. P. Ciardi, Firenze
1973-1975, 2 voll., II (1975), p. 315, I (1973), p. 290. Giulio Bora ha ventilato
l’ipotesi che il famoso «libricciuolo» del Luini in realtà non fosse probabilmente
tutto di mano di Leonardo e che la vasta serie di caricature dell’Ambrosiana
potesse farne parte; si veda G. BORA, Da Leonardo all’Accademia della Val di
Bregno: Giovan Paolo Lomazzo, Aurelio Luini e i disegni degli accademici, in «Raccolta vinciana», XXIII (1989), p. 90. Questi disegni appartengono al Libro
dell’Ambrosiana, che, come si dimostrerà, non può essere confuso con quello
85
Arte Lombarda | SILVIO MARA
successivi nelle Marche dove verosimilmente si formò come cartografo e architetto e dove fu al servizio, anche se non sono note
le sue mansioni, del duca Francesco Maria II Della Rovere76. Fu
modesto pittore e di lui si conosce un’unica opera, la pala d’altare
raffigurante l’Incoronazione della Vergine fra i santi Francesco,
Chiara, Ubaldo e Terenzio realizzata nel 1574 per la chiesa di San
Francesco di Mercatello sul Metauro. Nel 1570 Clarici si trasferiva a Milano ponendosi al servizio degli spagnoli: qui rivestì soprattutto il ruolo di ingegnere militare progettando e ispezionando difese militari nelle piazzeforti del ducato77. Nel 1586 succedeva a Pellegrino Pellegrini in qualità di ingegnere regio e nel
1588 sposava la milanese Bianca Gallarati dalla quale avrebbe
avuto le figlie Clara e Anna Camilla. Sono attestati suoi interventi
in edifici civili come quello in palazzo Marino nel 1595 e nella
fabbrica di palazzo ducale. In questo cantiere affiancò Valerio
Profondovalle (italianizzazione di Diependale) per la progettazione e realizzazione del ciclo affrescato nel portico inferiore (1594)
con ritratti di Carlo V, Filippo II e dei venti governatori di Milano alternati a quadrature con paesi e figure e grottesche78.
Clarici fu grande intenditore d’arte, e non fu estraneo a trattative importanti per la committenza di opere. Ne sono prova
alcuni scambi epistolari; così, ad esempio, si scopre da una lettera del 27 gennaio 159379 di Guidobaldo Vincenzi, protoparroco
del Duomo di Milano, al fratello Ludovico a Urbino che il Clarici si sarebbe adoperato in qualità di mediatore con Federico
Barocci per la commissione della pala rappresentante il Perdono
di sant’Ambrogio a Teodosio per l’altare di Sant’Ambrogio nella
navata sinistra del Duomo, opera effettivamente commissionata
nel 1600 e pervenuta a Milano entro il 160380.
Ancora più interessante è ciò che emerge da uno scambio
epistolare intercorso più tardi tra il Clarici e il duca di Urbino
Francesco Maria II Della Rovere. Si sa infatti che il 19 maggio
1598 Clarici scrivendo al duca faceva memoria della sua precedente richiesta di una copia «di quella Donna Nuda di Titiano», che quasi certamente doveva essere la Venere di Urbino,
purché fosse fatta da un valente artista81. L’istanza sarà rinnovata il 27 gennaio 1599 precisando che la Donna nuda si trovava nell’Armeria82. Finalmente il 7 maggio 1600 il duca rispose che avrebbe accondisceso e che aveva incaricato un tale
«Ventura» di eseguirne la copia83, che sarebbe stata spedita al
più presto a Milano. Avvertiva però che non si sarebbe dovuta
dare alcuna spiegazione circa la provenienza trattandosi di pittura lasciva84. Infine il 18 luglio 1600 Clarici ringraziava il duca per aver già ricevuto il quadro da una settimana85. Due anni più tardi fu invece il Della Rovere a incaricare Clarici della
scelta di un dono per la duchessa, e il nostro architetto, che
assicurava di essere molto pratico con gli artisti milanesi, optò
per una miniatura con la riproduzione di una Madonna di
Raffaello86.
Infine sono importanti ai fini biografici le attestazioni di
stima da parte di Giovan Paolo Lomazzo, che certamente fu
legato da personale amicizia col Clarici, come dimostrano le
lodi espresse in ben tre occasioni. La prima fu nel 1585 all’interno del Trattato dell’arte della pittura, nel capitolo dedicato
alla prospettiva dove si parla «de i tre modi di vedere e delle
loro linee, nelle quali sono ora molto pronti, tra gli altri pittori, scultori e architetti, il Clariccio, il Meda col Bassi»87. In
effetti il Clarici era esperto di studi prospettici e ce ne lasciò
un saggio proprio all’interno del nostro Libro. Sempre nello
stesso Trattato il Lomazzo più avanti loda le doti di ingegnere
idraulico e militare dell’amico addirittura associandolo ai più
grandi personaggi dell’antichità88. Nel 1587 nelle Rime ritorna
a lodare il Clarici dedicandogli un sonetto dal quale l’urbinate
esce come ottimo pittore e architetto posto nel solco di Bra-
76
81
Sua fu la celebre mappa del Ducato d’Urbino realizzata nel 1570.
Nel 1578 il Clarici disegna una planimetria e un progetto per la cerchia bastionata del Castello Sforzesco e l’anno successivo una pianta geometrica della
città di Milano. Nel 1583 esegue una mappa del circondario di Milano sino a
cinque miglia di distanza, poi viene inviato a ispezionare le fortificazioni di Cremona, delle quali stende un progetto. Nel 1584 avvia la fabbrica di due baluardi
a Guastalla e a Pavia e, a seguire, dà pareri per la porta in testa al ponte coperto
sul Ticino (1588).
78 Suo è il progetto per l’ampliamento della chiesa conventuale del monastero delle
Dame Vergini della Vettabbia (vedasi L. MANTOVANI, Monastero della Vettabbia,
in Le chiese di Milano, a cura di M. T. Fiorio, Milano 1985, pp. 446-447).
79 La notizia è stata resa nota da Fert Sangiorgi e poi richiamata brevemente da
Roberto Zapperi (F. SANGIORGI, Committenze milanesi a Federico Barocci e alla
sua scuola nel carteggio Vincenzi della Biblioteca Universitaria di Urbino, Urbino
1982, p. 15; R. ZAPPERI, Alessandro Farnese, Giovanni Della Casa and Titian’s
Danae in Naples, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 54
(1991), pp. 159-171). In un’altra lettera del 12 marzo 1597 Guidobaldo Vincenzi scriverà a Ludovico che «il signor Clarici tornò l’altra sera da Cremona et
mi ha detto di aver inteso là che la Comedia recitata in Urbino con gl’intermedii
è stata cosa bellissima».
80 Sulla commissione al Barocci di questo quadro si veda S. BANDERA, Nuovi
ragguagli tra Federico Borromeo e Federico Barocci, in Studi di storia dell’arte in
onore di Mina Gregori, a cura di M. Boskovits, Cinisello Balsamo 1994, pp.
178-182.
77
86
G. GRONAU, Documenti artistici urbinati, Firenze 1936, p. 112, n. CIII.
GRONAU, 1936, p. 112, n. CIV.
83 Potrebbe identificarsi con Ventura Mazza, allievo di Federico Barocci nonché
copista di Tiziano (su di lui si veda S. BLASIO, Ventura Mazza (Cantiano, 1560
ca. - Urbino, 6 marzo 1638), in Nel segno di Barocci. Allievi e seguaci tra Marche,
Umbria, Siena, a cura di A. M. Ambrosini Massari e M. Cellini, Milano 2005,
pp. 106-113).
84 GRONAU, 1936, p. 113, n. CV.
85 GRONAU, 1936, p. 113, n. CVI.
86 Francesco Maria II Della Rovere inizialmente era orientato verso l’acquisto
di una pietra intagliata da anello o sigillo, ma dopo una missione esplorativa
condotta dal Clarici mutò le sue preferenze (GRONAU, 1936, pp. 262-265, n.
CCCCXXIX).
87 LOMAZZO, Trattato…, [1584], cap. IV, libro V, Della prospettiva, ed. in
CIARDI, 1975, II, p. 225.
88 Ecco le parole del Lomazzo: «Nella seconda si contiene la levatoria, la trattoria,
la spiritale e tutte le macchine, così di levar acqua, come d’offendere e difendere.
Nelle quali furono, tra gl’antichi, grandissimi Archimede, Filone, Dinocrate, Polibio, il sopraddetto Gianello, Galeazzo Alessio, Pelegrino de Pelegrini, Gio. Battista Clariccio e Giovan Dominico Lonati, e de scrittori come il Vinci, il Cardano,
l’Agricola e l’Orlandi» (LOMAZZO, Trattato…, Libro VII, Dell’istoria della pittura,
in CIARDI, 1975, II, cap. XXVIII, p. 564). Analoga citazione si trova anche nell’Idea ove il Lomazzo cita il Clarici assieme a Domenico Lonati come eccellenti
ingegneri idraulici (LOMAZZO, Idea…, [1590], in CIARDI, 1973, I, p. 370 e nota).
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Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
mante89. Ancor più interessante è la risposta in forma di sonetto che diede l’architetto marchigiano perché ci attesta la
sua perizia di rimatore che sopravanza lo stesso Lomazzo90.
Alla luce di quanto riportato si denotano maggiormente le
propensioni artistiche del Clarici che trovano una rispondenza
nell’elenco di artisti contenuti nel suo Libro91. Fra tutti ne risalta
una nutrita serie del Centro Italia; ciò non stupisce perché, come
si è visto, questi dovevano essere i riferimenti artistici più vicini
per formazione al nostro architetto. I pittori marchigiani erano
probabilmente i più rappresentati e si contavano disegni, oltre che
dello stesso Giovanni Battista Clarici, del celebre Federico Barocci,
di Federico Zuccari e di due artisti decisamente meno conosciuti
come Gherardo Cibo e Girolamo Arduini. Sono tutti personaggi
contemporanei al Clarici, che egli conosceva di persona e i cui disegni quindi poteva aver collezionato con relativa facilità92.
È opportuno soffermarsi brevemente in questa sede sulla biografia di Gherardo Cibo (1512-1600), che emblematicamente incarna la figura di artista comprimario e forse volutamente distante dai grandi maestri dell’arte rinascimentale, ma al contempo antesignano nel fenomeno del collezionismo di disegni. Infatti egli
nel 1533 acquistava un libro di disegni della cerchia di Raffaello,
ora conservato presso la Biblioteca Civica Passionei di Fossombrone93. La vera identità del Cibo è stata svelata e documentata
solo recentemente da Arnold Nesselrath, che in occasione della
mostra a lui dedicata nel 1989 ne presentò i disegni contestualizzati grazie a riscontri documentari94. Prima di quella data infatti
il Cibo era stato confuso con un tale messer Ulisse Severino da
89 Il testo del sonetto: «A Gio. Battista Clariccio / Clariccio mio gentil, ch’a la pittura / Quell’arte aggiungi si famosa e grande / Che’l nome tuo per tutto illustre
spande, / Quanto alto fosse per l’Architettura; /Rechi à tutti un stupor fuor di misura, / Quando appresenti o militari bande, / O alteri edifici al cielo mande, / Con
ingeniosa, et esquisita cura; / Le forme ritrahendo chiare e note / Dal corpo humano, et da suoi gesti, et atti; / Onde l’arte dipende tutta e nasce, / E Bramante
emulando, e i rar suoi tratti / Posti con invention, che tanto pose / In te nata e cresciuta da le fasce» (G. P. LOMAZZO, Rime di Gio. Paolo Lomazzi milanese pittore,
diuise in sette libri. Nelle quali ad imitatione de i Grotteschi... [1587], ed. in G. P.
LOMAZZO, Rime ad imitazione dei Grotteschi usati da’ pittori: con la vita del auttore
descritta da lui stesso in rime sciolte, a cura di A. Ruffino, Manziana 2006, p. 140).
90 «Del S. Gio. Battista Clariccio d’Urbino pittore e architetto / Mentre le luci
havesti con la luce, / Rappresentavi le figure in carte / In tela in muro in asse e
in ogni parte, / Pingendo al arte nostra dasti luce. / E quando fusti poi privo di
luce, / Con altro stil, con altro modo e arte, / Quante bellezze dissipate e sparte
/ Havea pittura ritornasti in luce. / Si che Lomazzo mio co’i tuoi sudori / Facesti
chiare le più oscure forme. / Et l’intricate strade a li Pittori / Facilitasti si, che
di te l’orme / Segue ciascun, e con eterni honori / t’inalza al Cielo in gloriose
torme» (LOMAZZO, Rime…, [1587], ed. in Ruffino, 2006, p. 296).
91 Tengo a precisare che l’elenco di artisti contenuto nella descrizione Monti va
considerato con le opportune precauzioni, perché fu steso a distanza di anni e
perché i nomi furono evidentemente indicati solo in base alle attribuzioni sottoscritte ai disegni, le quali, soprattutto per quanto riguarda gli artisti meno vicini cronologicamente al Clarici, possono rivelarsi erronee.
92 Come abbiamo visto, questi doveva certamente conoscere il Barocci e così
anche il Cibo e l’Arduini, che orbitavano attorno alla corte roveresca. A proposito dello Zuccari non abbiamo elementi per valutare.
93 Ora pubblicato in A. NESSELRATH, Das Fossombroner Skizzenbuch, London
1993.
94 Gherardo Cibo alias Ulisse Severino da Cingoli: disegni e opere da collezioni ita-
Cingoli, a causa di una lettura distorta di una fonte documentaria. Il Cibo invece è una figura di rilievo per il periodo in cui visse, anche se per scelta fece una vita piuttosto ritirata95. Egli, per
quanto ci è dato di sapere, fu solo disegnatore96, e si esercitò in
questa pratica per il semplice e puro amore della natura. Pare che
le sue opere rimanessero quasi esclusivamente confinate alla sfera
privata e alla cerchia dei più intimi amici. La fortuna critica è cosa
recentissima, infatti la sua biografia di artista si è trasmessa nei secoli solo nell’ambito molto limitato della storia locale. La grande
storiografia artistica non lo conosceva e significativo è il silenzio
più totale che accompagna la sua figura già nel 1673 quando, nell’ambito delle ricerche baldinucciane, Domenico Maria Corsi da
Urbino scriveva a Leopoldo de Medici riferendo che «Gherardo
Cibo bolognese, qui non è cognito»97.
Nonostante ciò i più importanti musei del mondo posseggono suoi disegni e ciò si spiega soprattutto per le erronee attribuzioni che venivano proposte in virtù della stretta somiglianza stilistica con i maestri fiamminghi più in voga. Quello dell’Ambrosiana potrebbe essere tuttavia un caso quasi unico di una collezione seicentesca che includeva consapevolmente disegni del Cibo, così come abbiamo visto negli inventari che citano il suo nome relazionandolo solo col Libro di disegni. Nonostante questo,
è difficoltoso stabilire quali disegni del Cibo fossero nel Libro
perché le fonti a nostra disposizione non li descrivono. La Biblioteca Ambrosiana tuttora ne conserva tre ovvero i disegni F
245 inf. n. 4, F 245 inf. n. 76 e F 264 inf. n. 23, che misurano
circa 22 × 32 cm, misure che eccedono rispetto alle dimensioni
liane, a cura di A. Nesselrath, Firenze 1989.
95 Discendente dalla nobile famiglia genovese dei Cibo, Gherardo vantava anche
il fatto di essere pronipote di papa Innocenzo VIII. Nato a Genova, visse nel
periodo dell’infanzia a Rocca Contrada (attuale Arcevia nelle Marche), poi a
Roma dove venne avviato alla carriera ecclesiastica. Nel 1527 fece ritorno nelle
Marche a Camerino dove si mise al servizio del duca Giovanni Maria da Varano,
per passare però presto ai comandi del duca di Urbino Francesco Maria II Della
Rovere, che lo avviava alla pratica militare. Al suo seguito faceva tappa a Bologna, dove forse conobbe il celebre Luca Ghini che gli impartì le prime nozioni
di botanica, scienza che amò e coltivò per tutta la vita. Nel 1532 si registra un
suo viaggio a fianco del padre Aranino Cibo in missione da Carlo V a Ratisbona.
Nel 1538 poté finalmente mettere a frutto la sua vocazione religiosa coll’offrire
le sue competenze per sostenere la lotta contro la Riforma protestante, e così
l’anno successivo si mise al seguito del cardinale Alessandro Farnese. Nel 1540
il Cibo si ritirava definitivamente a vita privata nel borgo di Rocca Contrada,
e qui, salvo brevi viaggi in varie località nelle Marche e un breve soggiorno a
Roma, passò il resto della sua vita coltivando gli studi di storia naturale e assecondando le proprie inclinazioni artistiche.
96 La sua attività artistica si divide tra l’illustrazione di libri (di particolare interesse alcuni erbari), eseguita per diletto o su commissione, e lo studio dal vero
o attraverso trasfigurazioni quasi fiabesche della natura. I suoi disegni solitamente erano tracciati su libri di schizzi o taccuini, e saltuariamente venivano
da lui donati agli amici.
97 F. BALDINUCCI, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua, ripr.
anast. dell’ed. 1845 in cinque volumi e Appendice con nota critica e supplementi a cura di P. Barocchi e indice a cura di A. Boschetto, VI, Firenze 1975,
pp. 174-175; tre dei disegni del Cibo conservati agli Uffizi probabilmente appartenevano alla collezione del cardinal Leopoldo de’ Medici; si veda L. MONACI
MORAN, Inediti di Gherardo Cibo al Gabinetto Disegni e stampe degli Uffizi, in
«Paragone. Arte», 475 (settembre 1989), pp. 77-84.
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Arte Lombarda | SILVIO MARA
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del Libro, determinate come si vedrà a partire dalle poche pagine
superstiti. Va notato però che tutti e tre i disegni mostrano una
vistosa piegatura al centro, il che potrebbe far presumere che fossero stati inseriti nel volume ripiegati a metà.
Rimanendo all’ambito marchigiano, un caso ancor più paradigmatico ci è offerto dalla asserita presenza nel Libro di disegni di un
non meglio precisato «cavalier Ardovino»98. Si tratta certamente
dell’architetto pesarese Girolamo (o Gironimo) Arduini (? - 1601),
personaggio pressoché sconosciuto alla letteratura artistica, di cui
si possiedono pochi dati biografici99. Si sa che fu architetto al servizio del duca Francesco Maria II Della Rovere, che viaggiò in Francia e nel Belgio e che fu amico stretto di Gherardo Cibo. I due infatti rimasero in contatto per lungo tempo condividendo la passione per il disegno e scambiandosi consigli sui colori100. In Ambrosiana è stato rintracciato un solo disegno (F 263 inf. n. 60 verso), a
lui riconducibile grazie all’iscrizione apposta in calce.
Ancor più cospicuo nel Libro doveva essere il gruppo di artisti dell’area cremasca e cremonese, così come vengono indicati
nella descrizione copiata da Felice Monti. Il Clarici potrebbe essere entrato in contatto con questi artisti sia durante il periodo
milanese, sia in occasione delle sue due prolungate visite a Cremona. La prima avvenuta nel 1584 al seguito di Pellegrino Tibaldi, col quale stava studiando e progettando una cerchia bastionata per la difesa della città, la seconda invece nel 1594, per
una nuova ricognizione del sistema difensivo101.
Nel gruppo descritto rientra un tale «Procaccino da Cremona» che si deve intendere come una curiosa deformazione di Camillo Boccaccino (1504-1546), artista figlio di Boccaccio Boccaccini (ante 1466-1525). La svista è rintracciabile anche negli
inventari secenteschi, quindi l’errore dovrebbe essersi originato
nel tardo Seicento confondendo un Camillo cremonese con Ca-
millo Procaccini (ca.1555-1629). L’Ambrosiana possiede sedici
disegni del Boccaccino102 ma non si capisce quali fra questi potevano essere contenuti nel Libro103, perché le descrizioni tacciono completamente sui soggetti del Boccaccino.
Notevole è comunque questa segnalazione di un interesse collezionistico a Milano per i cremonesi; infatti scarse sono le notizie
di raccolte di disegni cremonesi, se si eccettua il caso di Bernardino
Campi, che a detta delle fonti non badò a spese pur di acquistare i
disegni di Camillo Boccaccino subito dopo la sua morte avvenuta
nel 1546. Questa ingente collezione, che assommava a ben 4000
disegni di vari artisti, fu donata dal Campi nel 1575 al suo discepolo Giovanni Battista Trotti detto il Malosso104, dunque Clarici
potrebbe avere acquistato qualche disegno direttamente da lui.
Altro pittore dell’ambito cremonese presente nel Libro
dev’essere quello «Stiaro cremonese» che viene citato nella descrizione Monti e negli inventari secenteschi. Siamo di fronte
anche in questo caso a una svista lessicale che ha modificato un
probabile «Soiaro cremonese». Veniamo quindi a sapere che in
questo Libro erano presenti disegni di mano di Bernardino Gatti
detto il Soiaro (ca. 1495-1576), pittore d’origine pavese che però
condusse gran parte della sua attività a Cremona. Di questo artista l’Ambrosiana possiede un solo disegno (F 269 inf. n. 71)
rappresentante la Vergine annunciata, che sembra potersi escludere dal Libro perché di dimensioni eccedenti in altezza.
Non mancano altri artisti a rappresentare diverse scuole artistiche regionali; così ad esempio l’area emiliana era contraddistinta dai pittori Lelio Orsi da Novellara (1508 o 1511-1587),
Orazio Samacchini (1532-1577) e Francesco Mazzola detto il
Parmigianino (1503-1540). La scuola veneta era documentata
da Giovanni Antonio de Sacchis detto il Pordenone (1483 o
1484-1539) di cui si è individuato un cospicuo nucleo di disegni
98
rici, Giovan Giacomo Paleari Fratino e Tiburzio Spannocchi, in «Arte Lombarda»,
121 (1997/3), pp. 67-78.
102 I suoi disegni in Ambrosiana sono stati individuati e presentati per la prima
volta da Giulio Bora (Disegni di manieristi lombardi, a cura di G. Bora, Vicenza
1971, pp. 22-27).
103 Tuttavia, almeno due disegni di Boccaccio Boccaccino potrebbero essere finiti nelle mani del Clarici. Si tratta dei disegni BAMi, F 271 inf., nn. 60-61
che sono tuttora incollati in parte ad un antico supporto molto simile alla carta
del nostro Libro. Sul verso del F 271 inf., n. 60 si nota l’impronta di un disegno
di ca. 7 × 8 cm sotto il quale è visibile una scritta – della stessa grafia che ritroviamo nel Libro di disegni – la quale recita «Pasarotto», probabile allusione a
Bartolomeo Passerotti (1529-1592), pittore bolognese che fu a Cremona nel
1577, chiamato dai fabbricieri del Duomo per completare la pala di Bernardino
Gatti detto il Soiaro.
104 Per un sintetico esame del collezionismo dei disegni cremonesi si veda l’Introduzione in Disegni cremonesi del Cinquecento, a cura di M. Tanzi, Firenze
1999, pp. 1-33. Va segnalato anche un altro dato interessante che legherebbe il
Clarici alla famiglia dei Campi. Lo storico, nonché pittore e architetto, Antonio
Campi raccontò nella sua Cremona fedelissima che nel maggio del 1584 si trovava assieme a Pellegrino Tibaldi e Giovanni Battista Clarici quando il governatore dello Stato di Milano don Carlo d’Aragona venne a Cremona per
ispezionare i progetti di fortificazione (A. CAMPI, Cremona fedelissima città et
nobilissima colonia de’ Romani..., Cremona 1585, p. LXVII). Inoltre non vanno
trascurate come occasioni di incontro le committenze milanesi affidate ai tre
fratelli Campi Giulio, Antonio e Vincenzo.
Personaggio citato sia nell’inventario del 1661, sia nella descrizione del
Monti; cfr. Appendice documentaria, 1.
99 Scarne le biografie a lui dedicate; cfr. la voce nel Dizionario enciclopedico di
architettura e urbanistica, a cura di P. Portoghesi Roma 1968, I, p. 149; A. DE
FERRARI, Cibo, Gherardo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 25, Roma 1981,
pp. 245-248; L. TONGIORGI TOMASI, Cibo, Gherardo, in Allgemeines Künstlerlexikon..., 19, München - Leipzig, 1998, p. 150. Per ulteriori riferimenti biografici si tenga anche presente il Diario di Francesco Maria II Della Rovere, a
cura di F. Sangiorgi, Urbino 1989, pp. 26, 84-85, 115, 120. Per il duca l’Arduini
realizzò l’edificio denominato la Vedetta (ora scomparso) all’interno del complesso della Villa Imperiale di Pesaro e dal 1574 al 1587 costruì la chiesa di
Santa Maria Nuova degli Angeli (ora demolita) a Pesaro (S. EICHE, The Vedetta
of the Villa Imperiale at Pesaro, in «Architectura», 8 (1978), pp. 150-165; S.
EICHE, I Della Rovere mecenati dell’architettura, in Pesaro nell’età dei Della Rovere, a cura di G. Arbizzoni, A. Brancati e M. R. Valazzi, Venezia 1998, pp.
259-261; P. M. ERTHLER, La Madonna delle Grazie di Pesaro, Roma 1991, 1,
pp. 177-187).
100 Il primo a segnalare fra gli amici di Gherardo Cibo l’architetto pesarese è
stato Nesselrath che tuttavia non ne sciolse completamente la vera identità
(NESSELRATH, 1989, p. 17); una precisazione e un ulteriore documento attestante l’amicizia fra i due è invece pubblicato da S. EICHE, Gherardo Cibo: some
more pieces to the puzzle, in «Notizie da Palazzo Albani», 22-29 (1993-2000),
pp. 161-163.
101 Per una completa disamina dei progetti difensivi di Cremona si veda M.
VIGANÒ, Le mura di Cremona (1584-1596). I progetti di Giovanni Battista Cla-
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
appartenente al nostro Libro, e dal Giorgione (1477-1510). Folta doveva essere la rappresentanza di artisti umbro-toscani e romani con i nomi altisonanti di Perugino, Raffaello, Perin del Vaga, Polidoro da Caravaggio e Michelangelo. Questo gruppo purtroppo è quello meno documentabile attraverso la ricostruzione
del Libro e viene da pensare che in realtà artisti così importanti
fossero rappresentati solo attraverso copie da disegni o da opere
originali.
Si può avanzare qualche considerazione circa la cronologia
del Libro, che raggruppava opere tutte comprese nel secolo XVI,
ma con datazioni a volte molto distanziate. Fortunatamente si
può fissare con certezza come data post quem per l’avvio della
collezione il 1576: infatti su alcuni fogli105 si è rintracciata la filigrana con il disegno di due dardi decussati incrociati con le
punte in alto e con sopra una mazza (Zonghi n. 1249) caratteristica delle cartiere di Fabriano e datata con precisione ad annum106. Come vedremo, dalla ricostruzione codicologica pare
dedursi che il Libro sia l’esito di un lungo processo collezionistico costituito verosimilmente da incrementi progressivi.
Non tutti i disegni del Libro furono incollati sulle pagine, ma
alcuni, che si suddividono fra una serie di sicura autografia del
Clarici107 e altri la cui attribuzione è ancora da discutere108, furono disegnati direttamente sui fogli del volume.
Rimangono misteriose le modalità d’ingresso del Libro in
Ambrosiana e a tale proposito si possono solo esporre alcune
ipotesi. Innanzitutto per quanto si può comprendere dalla scarna
biografia del Clarici, sembra potersi escludere per ora che l’architetto fosse in contatto col cardinale Federico Borromeo. Fra i
corrispondenti inclusi nell’epistolario del cardinale il nome del
Clarici non compare mai109, anche se il Borromeo doveva conoscerlo quasi sicuramente perché l’architetto era ben inserito nel
panorama artistico milanese, soprattutto durante l’ultimo decennio del Cinquecento in corrispondenza con la sua supervisione
presso il cantiere di palazzo ducale110. Se si esclude la possibile
mediazione col Barocci, pare che non si riescano ad esplicitare
eventuali e probabili rapporti col Borromeo. Inoltre l’architetto
di origini urbinati morì troppo presto per poter vedere le fasi che
portarono alla nascita della Biblioteca Ambrosiana e del suo corredo artistico e librario. Non ci vengono in aiuto – perché troppo generiche – nemmeno le disposizioni testamentarie predisposte prima dal Clarici nel 1597111, poi dalla moglie Bianca Gallarati nel 1630112 e infine dall’unico nipote maschio, Gabriele dei
marchesi Recalcati113, figlio di Camilla Clarici.
105 Stiamo parlando degli attuali disegni BAMi, F 245 inf., n. 84, filigrana con
le terminazioni di due dardi in alto al centro del foglio; BAMi, F 245 inf., n. 85,
filigrana con le punte di due dardi e la mazza pendente al centro, visibile in alto
al centro del foglio; BAMi, F 245 inf., n. 86, filigrana con le terminazioni di due
dardi in alto al centro del foglio; BAMi, F 245 inf., n. 87, filigrana con le punte
di due dardi e la mazza pendente al centro, visibile in alto al centro del foglio.
106 A. ZONGHI, Le marche principali delle carte fabrianesi dal 1293 al 1599, Fabriano 1881.
107 Sono i disegni: BAMi, F 245 inf., n. 82; BAMi, F 245 inf., n. 83; BAMi,
F 245 inf., n. 84; BAMi, F 245 inf., n. 85; BAMi, F 245 inf., n. 86; BAMi,
F 245 inf., n. 87; BAMi, F 245 inf., n. 88; BAMi, F 245 inf., n. 89.
108 Sono i disegni BAMi, F 269 inf., n. 35 «testa acquerellata copia da un ritratto di Martin Lutero» e BAMi, F 283 inf., n. 91 «disegno di Castel Sant’Angelo a Roma».
109 Card. Federico Borromeo arcivescovo di Milano: indice delle lettere da lui scritte
conservate all’Ambrosiana, a cura di C. Castiglioni, Milano1966.
110 Questo era uno dei più importanti cantieri della Milano ‘profana’. Va ricordato che i lavori per le decorazioni prima delle sale e poi del cortile di palazzo
ducale avevano convogliato una folta schiera di artisti. Al contrario il Borromeo
era in contatto con l’architetto Tolomeo Rinaldi – gli scrisse una lettera da Roma
il 29 settembre 1593 – collega del Clarici nella fabbrica per il nuovo teatro di
palazzo ducale. Il Rinaldi succedette al Clarici in qualità di ingegnere della Camera il 10 maggio 1603 (si veda F. REPISHTI, Federico Borromeo e gli architetti
milanesi. La «scarseggia che oggidì si trova di simili [valenti] suggetti», in L’architettura milanese e Federico Borromeo. Dall’investitura arcivescovile all’apertura
della Biblioteca Ambrosiana (1595-1609), a cura di F. Repishti e A. Rovetta, Milano 2008, pp. 66-67).
111 Archivio di Stato di Novara, Notarile, 3224, testamento rogato dal notaio
Lanfranco Capra il 21 aprile 1597.
112 Archivio di Stato di Milano, Notarile, 28407, testamento rogato dal notaio
Federico Luigi Bossi il 9 febbraio 1630.
113 Archivio dell’Ospedale Maggiore di Milano, Testatori, 12/24, 22; testamento
steso il 26 settembre 1636 prima di entrare come novizio nel convento dei padri
cappuccini di Varese, dove prenderà i voti col nome di Giovan Pietro. Il Recalcati lascerà ogni sostanza – fatte salve le parti spettanti agli zii Francesco e Paolo
– all’Ospedale Maggiore. Morirà in concetto di santità presso il borgo di Busto
Arsizio (si veda G. DA MEZZANA, Un astro serafico nel cielo di Busto Arsizio ossia
il servo di Dio padre Giampietro da Milano dei minori cappuccini marchese Recalcati, Milano 1932). Il suo ritratto campeggia nella quadreria dei benefattori
dell’Ospedale Maggiore (scheda a cura di F. Porzio, in Ospedale Maggiore / Ca’
Granda. Ritratti antichi, Milano 1986, pp. 32-33).
114 Sono gli attuali disegni BAMi, F 245 inf., nn. 82-89; BAMi, F 283 inf.,
n. 92; BAMi, F 274 inf., n. 48 a-h; BAMi F 263 inf., nn. 23-24; BAMi F 283
inf., n. 91; BAMi F 269 inf., nn. 30-35. Come si vedrà nella ricostruzione codicologica altri sono stati parzialmente rifilati e altri ancora si possono ricomporre nei rispettivi frammenti.
Ipotesi per una ricostruzione codicologica
Procediamo quindi alla ricostruzione codicologica del Libro di
cui si danno le caratteristiche generali. Nulla sappiano dell’antica
legatura che non si trova più fra i codici dell’Ambrosiana, conosciamo invece il formato grazie ad alcuni fogli integri che misurano 20,4 × 27,5 cm circa114. Le carte del Libro inoltre sono abbastanza riconoscibili anche in assenza di filigrane per la trama
di sette filoni per foglio spaziati ogni 4 cm circa, intrecciati ortogonalmente con vergelle molto fitte.
Il formato più largo che alto, che poco si addice a una collezione di disegni, deve aver condizionato le scelte verso opere di
medio e piccolo formato. Sui fogli integri si nota sui tre lati una
sottile acquerellatura, cosicché a volume chiuso i tagli del Libro
dovevano risultare colorati.
Iniziamo quindi a riproporre, per quanto possibile, lo sfogliato del Libro attraverso una sequenza dei disegni che rispetti la loro collocazione nelle pagine, in modo da far emergere gli eventuali accorgimenti e le scelte tematiche adottate dall’assemblatore del volume. Nella ricostruzione proposta qui di seguito si è
proceduto attenendosi per quanto possibile a criteri sicuri per
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Arte Lombarda | SILVIO MARA
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fornire un’identificazione plausibile dei disegni citati nei documenti, e per la conferma della loro antica collocazione nel volume.
Si è quindi prestata attenzione in primo luogo alla misura dei
disegni, e in secondo luogo alle carte antiche qualora i disegni si
presentino ancora incollati ai supporti. Questo secondo punto è
stato fondamentale, perché con un esame attento e una vasta ricognizione dei disegni dell’Ambrosiana si è potuto dimostrare
che su diversi antichi supporti si riscontrano iscrizioni tutte riconducibili ad una medesima mano115, che con intento quasi didascalico postillò i fogli del volume. Da un esame paleografico è
stato possibile stimare che la scrittura potrebbe ascriversi, concordemente alle filigrane già segnalate e alla datazione dei disegni, tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, quindi verosimilmente fu vergata contemporaneamente all’assemblaggio del volume. L’ipotesi prende corpo dalla considerazione
che nell’insieme dei disegni e delle scritte antiche l’autore delle
iscrizioni mostra una sufficiente conoscenza degli artisti, fra i
quali alcuni risultano tuttora semisconosciuti.
Non si può tuttavia asserire con certezza che le illustrazioni
dei disegni siano del Clarici, perché un confronto tra la scrittura
riconosciuta in alcune sue lettere autografe, nonché in alcune
firme sotto i suoi disegni in Ambrosiana116, e la grafia delle
iscrizioni sugli antichi supporti, mostra differenze nel ductus e
nello stile grafico. L’ipotesi più convincente è che le illustrazioni
siano state apposte da un calligrafo su indicazione dello stesso
Clarici; infatti la stessa mano si nota nelle didascalie dei suoi disegni e piante cartografiche117. Pertanto dovremmo concludere
che la presenza di queste iscrizioni a corredo di alcuni disegni è
da ritenersi indizio importante per confermare la loro presenza
nel volume118.
Dato ormai per scomparso il frontespizio, che probabilmente
fu presente, come sembra confermare il Gerli designando il volume col titolo di «Raccolta di disegni...»119, si può con ragionevole certezza stimare che la prima pagina fosse l’attuale disegno
F 245 inf. n. 82120.
Il disegno (fig. 4) reca la numerazione 2 e mostra l’iscrizione
«In nomine Domini Amen», che non ha attinenza con la rappresentazione sottostante e che potrebbe interpretarsi come incipit benaugurante per il Libro. Clarici in questo disegno, che è
certamente autografo perché firmato, dà l’avvio a una serie di tavole che illustrano, attraverso esempi pratici legati alla sua contemporaneità, le metodologie di misurazione basilari per un architetto. Al variare delle situazioni la tecnica sembra essere riconducibile sostanzialmente a principi di triangolazione, fondati
sulla trigonometria euclidea121 con l’ausilio delle misurazioni angolari mediante astrolabio.
Il disegno, che costituisce la prima tavola, presenta un elegante cartiglio con l’iscrizione «PARALLELA». Esso vuole illustrare
il sistema di misurazione di un bastione fortificato a partire da
un punto di vista parallelo alla costruzione e con l’utilizzo di aste
di misurazione. Si nota che l’intento dell’autore è quello di
esporre problemi concreti con un gusto per la rappresentazione
realistica dell’ambientazione.
Osservando il verso di questo foglio (F 245 inf. n. 82, che
tuttavia non è stato catalogato) si denota l’accortezza dell’autore
che eseguì disegni acquerellati solo sul recto delle pagine, lasciando la seconda facciata per disegni meno impegnativi o, come in
questo caso, per studi lasciati solo allo stato di abbozzo122.
La seconda tavola, che rappresenta un sistema di misurazione
in «ALTEZZA E SALITA», come viene esplicitato dal consueto cartiglio, si trovava alla pagina 3 del Libro (attuale disegno F 245 inf.
n. 84123) come tuttora è indicato dalla numerazione. Qui l’oggetto della misurazione è una piccola torre quadrata posta sulla
cima di una collina e il procedimento è sempre quello della definizione di una distanza incognita a partire dalla proporzionalità
fra triangoli simili.
Il verso della pagina 3, che attualmente è catalogato come F
245 inf. n. 86124, ospita una tavola intitolata nuovamente «PARALLELA» e illustra la misurazione di un segmento all’orizzonte
partendo da tre punti di vista differenti. Al contrario delle altre
115 Si deve a Giulio Bora una prima segnalazione dell’importanza di queste
iscrizioni (BORA, 1987, p. 181).
116 Per un elenco dei disegni cfr. nota 107.
117 Si cita, a titolo di esempio, la pianta della chiesa delle Dame Vergini nel
monastero della Vettabbia, che presenta una didascalia la cui grafia è differente
rispetto alla sottostante firma del Clarici (per l’illustrazione si veda MANTOVANI,
1985, p. 446).
118 Si è appurato tuttavia che questa mano non postillò esclusivamente il nostro
Libro di disegni, anzi è possibile che abbia corredato diversi volumi della raccolta
grafica dell’Ambrosiana. Infatti il pittore Giuseppe Bossi, nei suoi appunti stesi
mentre esaminava i libri di disegni dell’istituzione milanese, descrisse il disegno
BAMi, F 271 inf., n. 78 come facente parte di un volume contrassegnato con
la lettera A. Questo disegno di Pellegrino Tibaldi tuttora è incollato a parte dell’antico supporto e mostra un’iscrizione, la cui grafia è identica a quelle trovate
sotto i disegni del Libro.
119 Potrebbe trattarsi di una titolazione recente rispetto alla lunga storia del
Libro, perché come si è visto non trova riscontro nelle fonti antiche.
120 Giovanni Battista Clarici, Misurazione di un bastione fortificato; cm 20.4 ×
27.5; penna e inchiostro bruno, acquerello color arancio, azzurro tenue e verde;
in basso al centro la firma «Di Gio. Batta Clarici». Il disegno è ora parzialmente
incollato alla pagina 48 del codice BAMi, F 245 inf.
121 Per il problema della rilevazione prospettica e degli strumenti utilizzati nel
Cinquecento si veda M. KEMP, Strumenti e meraviglie in La scienza nell’arte.
Prospettiva e percezione visiva da Brunelleschi a Seurat, Firenze 1994, pp. 187203. Questi disegni del Clarici vengono citati e in parte riprodotti in G. BORA,
La prospettiva della figura umana. Gli ‘scurti’ nella teoria e nella pratica pittorica
lombarda del Cinquecento, in La prospettiva rinascimentale. Codificazioni e trasgressioni, atti del convegno internazionale (Milano, 11-15 ottobre 1977), a cura di M. Dalai Emiliani, Firenze 1980, p. 313.
122 BAMi, F 245 inf., n. 82v, Giovanni Battista Clarici, Abbozzo per uno studio
prospettico; penna e inchiostro bruno.
123 Giovanni Battista Clarici, Studio di prospettiva: misurazione in “Altezza e salita”; cm 20.4 × 27.5; penna e inchiostro bruno, acquerello verde e azzurrino;
in basso a destra la firma «Di Gio. Batta Clarici». Il disegno è parzialmente incollato alla pagina 50 di BAMi, F 245 inf.
124 Realizzato sul verso di BAMi, F 245 inf., n. 84. Giovanni Battista Clarici,
Studio di prospettiva: misurazione in “Parallela”; cm 20.4 × 27.5; penna e inchiostro bruno, tracce leggere di acquerellatura; iscrizioni da sinistra verso destra
«Prima veduta», «Terza veduta», «Seconda veduta», a destra entro cartiglio «parallela». Il disegno è parzialmente incollato alla pagina 50 di BAMi, F 245 inf.
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
la tavola è assolutamente priva di ambientazione naturale e,
benché sembri sia stata finita in tutte le parti, non è stata firmata dal Clarici.
A pagina 4 del Libro si trovava una nuova tavola (classificata
come disegno F 245 inf. n. 85125) dedicata alla misurazione della
larghezza, come da apposito cartiglio. Qui per la prima volta il
punto di vista viene impersonato da una piccola figura che, china sulla riva di un fiume, misura la distanza dall’altra sponda.
Sul verso di questa pagina (segnatura F 245 inf. n. 87126) si trova
invece un altro disegno geometrico che in maniera più semplice
replica la misurazione della tavola seguente.
Infatti alla pagina 5 del Libro (ora F 245 inf. n. 88127) c’era la
tavola intitolata «PER L’ALTEZZA ET PROFONDITÀ» che illustra il
metodo per la misurazione dall’alto verso il basso e in profondità. Qui i punti di vista sono posti su un’altura rocciosa sulla sinistra e gli oggetti della misurazione sono due elevate torri poste
in un pianoro percorso da una stradina. Sullo sfondo della composizione Clarici disegnò come ricordo della sua terra la villa
detta l’Imperiale situata nei dintorni di Pesaro. La villa, dimora
prediletta del duca Francesco Maria II Della Rovere, è raffigurata
completa dell’ampliamento rinascimentale progettato e realizzato dall’architetto Girolamo Genga.
Alla pagina 6 del Libro (fig. 5) si trovava un altro disegno del
Clarici (ora F 245 inf. n. 89128) che però non rientra nel ciclo di
tavole prospettiche e che sembra ritrarre dal vero un paesaggio
nordico con castello.
Il disegno F 245 inf. n. 83129 fu certamente una pagina del
nostro Libro, come dimostrano le dimensioni e il tipo di carta,
ma è difficile dargli una collocazione nel volume perché contrariamente ai precedenti non reca la numerazione. La tavola illustra il modo di misurare in altezza e larghezza mediante un punto di vista esemplificato da un omino non molto distante da un
fiume. Da quel punto vengono prese le distanze dalla base di un
campanile e dall’altezza fra la base della cella campanaria e la cima della cuspide conica. L’argomento illustrato si pone a corollario dei precedenti, lasciandoci ipotizzare una consequenzialità
rispetto ad essi così da costituire un continuum tematico. Va
escluso tuttavia che si trovi oltre la pagina 6 perché sappiamo
dalle fonti che sui fogli seguenti iniziava la serie dei disegni del
Cinquecento130. A pagina 7 la descrizione di Felice Monti infatti
citava una «spelonca», senza specificarne l’autore, e in assenza di
altri dati è impossibile identificare il disegno131.
Proseguendo idealmente nello sfogliato alle pagine 7 verso e
8 verso a detta del Bossi si trovavano delle caricature eseguite da
Fede Galizia. Oggi ci è quasi impossibile azzardare qualsiasi ipotesi identificativa perché non esiste un corpus grafico della pittrice cui potersi riferire per un raffronto. Inoltre si consideri che
Gaetano Cattaneo forse doveva nutrire qualche dubbio sull’autografia dei disegni, come si può intuire dalle sue parole poc’anzi
citate. Egli notava infatti la notevole distanza tra i disegni della
pittrice e le sue opere dipinte. Forse una testimonianza di questa
profonda ambiguità creatasi già ab antiquo può essere il disegno
F 233 inf. n. 528, rappresentante un testa caricaturale di vecchio. Il disegno, di esigue dimensioni, è attualmente incollato alla pagina di un codice più recente, e nella parte sottostante reca
una scritta in lapis di mano relativamente moderna che recita
«Madona Fede»132.
A pagina 10, seguendo la relazione Monti, doveva trovarsi un
disegno in matita rossa di Polidoro da Caravaggio raffigurante
un monte, che non è identificabile ed evidentemente è da considerarsi ormai disperso. Proseguendo alla pagina 11 del Libro
sul recto e sul verso avremmo incontrato «due paesi in chiaroscuro in acquarella», che sembrano riconoscersi nelle due vedute paesaggio con edifici F 271 inf. n. 45r e F 271 inf. n. 46r133.
I disegni, rappresentano evidentemente due vedute della campagna romana e per stile e tecnica sembrano avvicinarsi ai modi
125
di uno studio prospettico.
Di conseguenza si potrebbe ipotizzare per il disegno una collocazione in
testa alla serie di tavole prospettiche.
131 Va detto, comunque, che il tema è abbastanza insolito fra i disegni dell’Ambrosiana e si trova trattato singolarmente solo nel disegno di Caverna di Albrecht
Dürer (BAMi, F 264 inf., n. 20). Tuttavia il disegno di Dürer (scheda a cura di
M. G. Aurigemma in, Dürer e l’Italia, catalogo della mostra (Roma), a cura di
K. Herrmann Fiore, Roma 2007, p. 193) appartenente a una serie che avrebbe
come provenienza la collezione di disegni di Federico Fagnani, eccederebbe in
altezza di qualche centimetro rispetto alle dimensioni del Libro. Inoltre esso risulta ancora incollato ad antico supporto cartaceo che si presume essere stato in
origine una pagina di formato verticale e non orizzontale come quelle del Libro.
132 Il Berra, che si era interrogato sulla genuinità o meno di questa iscrizione,
sostanzialmente concludeva di rigettarla per ragioni stilistiche inerenti al disegno
(BERRA, 1992, pp. 37-44).
133 cm 9.8 × 23.7; penna e inchiostro bruno, acquerello; iscrizioni: su un frammento di foglio «Di Polidore da [Cara]vaggio»; cm 10.3 × 26.9; penna e inchiostro bruno, acquerello; iscrizioni: su un frammento di foglio «Di Polidore
da Caravaggio». Attualmente i due disegni in seguito a un restauro mal condotto
sono stati staccati dall’antico supporto rendendo visibili i disegni retrostanti,
ma eliminando quella che probabilmente era l’antica pagina del Libro. Sono
state conservate unicamente le due iscrizioni «Di Polidore da Caravaggio» nella
consueta grafia che si riscontra nel Libro.
Giovanni Battista Clarici, Studio di prospettiva: misurazione “Per la larghezza”; cm 20.4 × 27.5; penna e inchiostro bruno, acquerello marrone, verde e azzurrino; iscrizioni: in alto a destra antica numerazione «4», in alto entro cartiglio «per la larghezza», in basso a destra la firma «Di Gio. Batta Clarici». Il disegno è parzialmente incollato alla pagina 50 di BAMi, F 245 inf.
126 Realizzato sul verso di BAMi, F 245 inf., n. 85. Giovanni Battista Clarici,
abbozzo per uno studio prospettico; cm 20.4 × 27.5; penna e inchiostro bruno,
tracce leggere di acquerellatura. Il disegno è parzialmente incollato alla pagina
50 di BAMi, F 245 inf.
127 Giovanni Battista Clarici, Studio di prospettiva: misurazione “Per la altezza
et la profondità”; cm. 20.4 × 27.5; penna e inchiostro bruno, acquerello verde e
azzurrino; iscrizioni: in alto a destra antica numerazione «5», in alto entro cartiglio «PER LA ALTEZZA ET LA PROFONDITÀ», in basso a destra la firma «Di Gio.
Batta Clarici». Il disegno è incollato al pagina 51 di BAMi, F 245 inf.
128 Giovanni Battista Clarici, Veduta di un castello nordico; cm. 20.4 × 27.5; disegno a lapis ripassato ad acquerello verde, grigio, azzurro, blu; iscrizioni: in
basso al centro la firma «Di Gio. Batta Clarici», in alto a destra antica numerazione «6». Il disegno è incollato al pagina 51 di BAMi, F 245 inf.
129 Giovanni Battista Clarici, Studio di prospettiva: misurazione in “Altezza e larghezza”; cm 20.4 × 27.5; penna e inchiostro bruno, acquerello verde e azzurrino;
iscrizioni: in alto entro cartiglio «Altezza e larghezza», in basso al centro la firma
«Di Gio. Batta Clarici». Il disegno è parzialmente incollato alla pagina 48 di
BAMi, F 245 inf. Sul verso del foglio senza numero di inventario v’è l’abbozzo
130
91
Arte Lombarda | SILVIO MARA
4. Giovanni Battista Clarici, Misurazione di un bastione fortificato. Milano, Biblioteca Ambrosiana, F. 245 inf. n. 82.
92
di Federico Barocci, attribuzione che contrasterebbe con le antiche iscrizioni che li assegnavano a Polidoro da Caravaggio134.
I due soggetti rappresentati non paiono paesaggi reali e forse
sono da credersi come una sorta di capricci dall’antico. Ciò ovviamente non impedisce di scorgere elementi realistici, come nel
primo il complesso basilicale con caratteristico campanile roma-
no vicino a una specie di acquedotto e nel secondo ancora un
complesso basilicale con acquedotto romano e un curioso tempietto rotondo. Sul verso di entrambi i disegni (F 271 inf. n. 45
e F 271 inf. n. 46), che non era visibile quando gli stessi si trovavano nel Libro, si scorgono altri schizzi di paesaggio, questa
volta realizzati a sola penna. Nel primo un casolare posto su una
134
le sue antiche vestigia. Lo studio sul paesaggio, che dovette compiere nella prima
parte del soggiorno romano, è scarsamente attestato dalle prove grafiche, fra le
quali viene assegnato con certezza dagli studiosi al periodo 1524-1527 il solo
disegno del British Museum di Londra (inv. 1905-11-10-48), che pur essendo
eseguito con un differente medium potrebbe offrirsi come primo punto di confronto con quelli sopracitati dell’Ambrosiana. Si veda P. LEONE DE CASTRIS,
Polidoro da Caravaggio, l’opera completa, Napoli 2001, p. 477, fig. 269; per la
discussione critica si rimanda alla scheda corrispondente in Polidoro da Caravaggio fra Napoli e Messina, a cura di P. Leone de Castris, Milano - Roma 1988,
pp. 36-37, scheda n. III, b. 3. Non mi sembra fuori luogo ipotizzare che la famiglia Clarici detenesse qualche patronato nella stessa chiesa romana di San
Silvestro, come potrebbe far supporre la commissione al baroccesco Terenzio
Terenzi detto il Rondolino della pala d’altare nel 1617 da parte di Dionora Clarici, sorella di Giovanni Battista (L. MOCHI ONORI, Terenzio Terenzi detto il
Rondolino, in Nel segno di Barocci..., 2005, p. 243).
Il dibattito attributivo, essendo i disegni tuttora inediti, è aperto a futuri
contributi. Una possibile attribuzione rimane tutta da valutare, come mi viene
suggerito da Jonathan Bober (comunicazione orale). Infatti del Caldara è nota
grazie alla testimonianza del Vasari, anche se scarsamente documentata da opere
reali, l’abilità nel raffigurare paesaggi («perché Polidoro veramente lavorò i paesi
e macchie d’alberi meglio d’ogni pittore»: in G. VASARI, Le Vite de’ più eccellenti
Pittori, Scultori ed Architetti italiani [1568], V, p. 147, ed. in G. VASARI, Le vite
de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568,
testo a cura di R. Bettarini, commento secolare di P. Barocchi, Firenze 1966,
IV - Testo, p. 462. Di questa specialità ci è noto solo un unico saggio pittorico,
ma di eccezionale importanza, negli affreschi per la cappella di fra Mariano Fetti
in San Silvestro al Quirinale a Roma (1524-25). Giustamente le due scene affrescate, pur rappresentando le Storie di santa Caterina da Siena e della Maddalena, sono state riconosciute come raffigurazioni precoci di un paesaggio ‘puro’,
che l’artista aveva realizzato ispirandosi alle visioni della campagna romana con
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
5. Giovanni Battista Clarici, Vista di una fortezza. Milano, Biblioteca Ambrosiana, F. 245 inf. n. 89.
lieve altura e nel secondo un’altra visione della campagna romana con un edificio cupolato e un edificio in rovina simile a una
basilica romana.
La successiva pagina 12 (ora classificata come F 283 inf. n.
92) si conserva tuttora integra e mostra incollato sul recto un disegno antico del Castello Sforzesco, che infatti è ricordato nel
volume da diverse fonti135. Il disegno è particolarmente interessante perché la raffigurazione risale all’epoca sforzesca e ci restituisce lo stato delle fortificazioni del Castello nel 1537, quindi
l’iscrizione appostavi in calce si dimostra veritiera. La presenza
nel Libro è complementare all’attività del Clarici, che certamente
studiò le varie conformazioni del Castello in relazione alle mo-
difiche che si stavano apportando sotto la dominazione spagnola. Infatti sappiamo che nel 1594, nel pieno dei lavori per la costruzione dei baluardi difensivi attorno al vecchio quadrilatero,
il Clarici fu chiamato assieme ai colleghi Genesio Bressani, Luigi
Cogliato e Giovan Paolo de’ Ferrari per un confronto con l’ingegnere militare Gabrio Busca136.
Sul verso della pagina 12 dovevano essere presenti tre piccoli
disegni attribuiti ad Albrecht Dürer; se ne ha una duplice prova
nell’affermazione di Giuseppe Bossi che ricordava «un paese a
penna» del maestro norimberghese e dalle tracce di tre disegni
sul verso del disegno precedente a cui è affiancata un’iscrizione
forse ottocentesca che recita «Di Alberto Durero»137.
135
tificazioni sotto il dominio di Francesco II Sforza. Si deve allo studioso anche la proposta di datazione: M. VIGANÒ, Iconografia del Castello Sforzesco nell’epoca delle grandi
fabbriche (1551-1656), in «Arte Lombarda», 120 (1997/2), pp. 44-54, tav. Ia.
137 Sul verso di BAMi, F 283 inf., n. 92: iscrizione sul margine sinistro posta
perpendicolarmente «Di Alberto Durero», si direbbe di mano ottocentesca. Il
foglio conserva le tracce di tre piccoli disegni un tempo incollati a distanza regolare al centro del foglio e contornati da una leggera acquerellatura grigia. Le
loro misure sono di cm 10.6 × 6.9.
È ricordato, infatti, nella descrizione Monti (Appendice documentaria, 1)
e dal prefetto dell’Ambrosiana Baldassarre Oltrocchi (cfr. n. 28).
136 Artista anonimo, Pianta a volo d’uccello del Castello Sforzesco; cm 20.4 × 27.5 (dimensione del disegno cm 17.6 × 24.4); penna e inchiostro bruno, acquerellature leggere bruno-rossicce e blu; iscrizioni: sul supporto in alto a destra antica numerazione
«12», sotto il disegno «Castello de Milano nel modo che se ritrovava / nel tempo
delli Duchi Sforzeschi». Il disegno è stato pubblicato per la prima volta da Marino
Viganò presentandolo come documento visivo fondamentale per lo stato delle for-
93
Arte Lombarda | SILVIO MARA
Proseguendo sul verso di pagina 13 si incontrava a detta del
Bossi una testa di mano di un anonimo leonardesco, impossibile
da rintracciare, e sul verso di pagina 15 «una figura panneggiata
del Bramantino» di cui è ardua l’identificazione. Va esclusa
un’altra figura panneggiata rappresentata nel disegno F 263 inf.
n. 51 che deve corrispondere, seguendo le parole del Bossi, alla
«figura panneggiata di Bramantino o Bramante da me copiata»138, collocabile secondo le sue indicazioni alla pagina 31 del
Volume C di disegni dell’Ambrosiana. Il disegno fu effettivamente copiato dall’artista, come dimostra l’esemplare bossiano
inv. KK8981/11 dello Schlossmuseum di Weimar139. Analogamente dovrebbero escludersi anche i disegni F 263 inf. n. 50 e F
266 inf. n. 52, che potrebbero rispondere alla descrizione ma eccedono le dimensioni del nostro Libro.
Non abbiamo alcuna indicazione sui disegni presenti nelle
pagine a seguire fino alla 21, che a detta del Bossi presentava sul
recto e sul verso a coppie quattro caricature eseguite da Fede Galizia sulla scorta di tipologie vinciane140.
La successiva pagina 22 mostrava il disegno F 274 inf. n.
11141, insistentemente menzionato dalle fonti settecentesche che
gli attribuivano una fama immeritata per via di un’antica iscrizione – non ci è dato di capire se cinque o seicentesca – che lo identificava come ritratto di Artus Gouffier di Boisy (1475-1519),
ciambellano del re di Francia Francesco I. L’iscrizione non è più
presente, ma è verosimilmente stata cancellata perché il disegno
presenta il lato inferiore abraso con forza e ripiegato sul verso. Veramente non si comprende il perché dell’antica iscrizione, che oltretutto lo legava a una precisa circostanza dell’incontro fra il re
di Francia e papa Leone X avvenuto a Bologna nel 1515. Di sicuro l’effigiato non può essere il Gouffier che nel 1515 non era
così anziano e che soprattutto doveva avere tutt’altra fisionomia,
come ci assicura il ritratto realizzato da Jean Clouet datato circa
al 1519 e ora conservato presso il Musée Condé142. Molti tuttavia
furono deviati dall’iscrizione che mantiene una certa verosimiglianza storica; infatti è tramandato dalle fonti che Leonardo era
presente a Bologna e verosimilmente partecipò a quell’incontro143. Si aggiunga inoltre che il disegno in questione non può essere di mano di Leonardo, fatto peraltro già denunciato dal Bossi,
che ne trasse anche una copia144. La questione non si esaurisce
qui, perché è stato confermato anche dai più recenti studi che
questa raffigurazione deriva sicuramente da una tipologia fisiognomica vinciana, ravvisabile nella testa di vecchio nel disegno
inv. 424E degli Uffizi, poi ripresa dagli artisti della sua cerchia145.
La pagina 22 del Libro ospitava a fianco del presunto ritratto
del Gouffier anche una seconda testa in lapis rosso che secondo
il Bossi doveva essere simile a una di suo possesso già della collezione De Pagave. Tutto sembra condurci a identificarla col disegno F 263 inf. n. 52 di Giovanni Agostino da Lodi146, che pare
138
zione nel Libro, ma con molta probabilità è relativa al posizionamento del foglio
all’interno di un volume ottocentesco. Il primo a parlare di questo disegno pare
sia stato nel 1722 Jonathan Richardson (ROBERTS, 1992, p. 164 n. 59) che notava la somiglianza con un disegno della collezione di suo padre e con altri due
appartenenti al cavalier Benedetto Lutti di Roma. Il disegno poi fu inciso dal
Gerli alla tav. XII della sua opera e nella rispettiva illustrazione veniva riportata
fedelmente l’iscrizione sottostante (GERLI, 1784, p. 10, tav. XII). Sempre lo
stesso precisava che l’originale da cui traeva l’incisione era inserito nel nostro
Libro. La collocazione del disegno a pagina 22 è invece attestata dal Rezzonico
e dal Bossi, mentre si ravvisa certamente un errore di trascrizione nella descrizione Monti (si vedano i documenti 1, 2 e 4 in Appendice documentaria).
142 Chantilly, Musée Condé, inv. DE MN 152. Presso lo stesso museo si conserva anche un ritratto (inv. MN 153) del fratello di Artus, Guillaume Gouffier
signore di Bonnivet e consigliere del re Francesco I, che fece da tramite per la
chiamata di Leonardo in Francia nell’anno 1516. La notizia si ricava da una
lettera del 14 marzo del medesimo anno integralmente pubblicata in J. SAMMER,
L’invitation du Roi, in Léonard de Vinci et la France, catalogo della mostra, a
cura di C. Pedretti, Foligno 2010, pp. 29-32.
143 Nell’ottobre del 1515, Leonardo con la corte pontificia si era spostato da
Roma a Firenze per poi raggiungere in dicembre Bologna in vista dello storico
incontro col re di Francia; sull’episodio si veda C. VECCE, Leonardo, Roma
1998, pp. 327-329.
144 Weimar, Schlossmuseum, inv. KK 8981/13 (FISCHER PACE, 2008, p. 87).
145 Il Kwakkelstein si spiega il proliferare di questa tipologia fisiognomica con
l’uso da parte dei leonardeschi di un modello scultoreo forse lasciato dal maestro
di cui rimarrebbe memoria in una scultura in terracotta già in collezione Silbermann di Vienna; così sono diversi i disegni che sulla scorta dell’iscrizione già
citata venivano creduti ritratti del Gouffier. Per un breve elenco si veda M. W.
KWAKKELSTEIN, Two Weimar drawings rediscovered, in «Achademia Leonardi
Vinci», X (1997), pp. 197-198. Per una riflessione più approfondita si veda: ID.,
Leonardo da Vinci as a physiognomist: theory and drawing practice, Leiden 1994.
146 Il Bossi aggiunge anche in un altro passo (BAMi, Bossi, S.P. 6/13 sez. B n.
1, fasc. i, f. 160): «allo stesso foglio [22] testa di faccia in rosso pubblicata...
esiste anche nella collezione De Pagave».
BAMi, Bossi, S.P. 6/13 sez. B n. 1, fasc. i, f. 148.
Il disegno è stato effettivamente riconosciuto come copia dall’originale
dell’Ambrosiana da Rosalba Antonelli; R. ANTONELLI, Gli studi preparatori di
Giuseppe Bossi per il cartone del Parnaso, in «Raccolta Vinciana», fasc. XXVIII
(1999), p. 242. Il disegno in questione è stato ripubblicato recentemente assieme agli altri bossiani nel catalogo generale del Gabinetto dei disegni di Weimar, Die italienischen Zeichnungen. Bestandskatalog. Ehemalige Großherzogliche
und Staatliche Sammlung, a cura di U. V. Fischer Pace, Köln-Weimar-Wien
2008, p. 86.
140 È interessante rilevare che fra i disegni del Codice Vallardi venduto al Louvre
si trovano quattro teste grottesche sicuramente risalenti alla seconda metà del
Cinquecento, per le quali è stata tentata in via di mera ipotesi un’attribuzione a
Giovanni Ambrogio Brambilla in base all’analogia di soggetto e tratto con una
serie di incisioni conservate agli Uffizi (Gabinetto disegni e stampe, inv. 26322637). Per l’attribuzione delle incisioni – e quindi dei disegni del Louvre – al
Brambilla si veda F. PALIAGA, Giovanni Ambrogio Brambilla, “le teste di carattere”
di Leonardo e la commedia dell’arte, in «Raccolta Vinciana», XXVI (1995), pp.
219-254; ma a dire il vero la proposta non convince completamente per l’incongruenza di stile con altre opere certe che formano il catalogo dell’incisore. In
particolare le incisioni degli Uffizi mostrano un esito nettamente superiore alla
produzione del Brambilla. La cosa singolare è che i disegni del Louvre (DAG
2636, 2637, 2635, 2639) sono da considerarsi a coppie: i primi due disegni, infatti, hanno formato quasi identico e rappresentano caricature femminili, i restanti due hanno anch’essi formato identico e rappresentano due caricature
maschili (si veda la scheda in MARANI, 2008, pp. 144-146). Rimanendo nel
campo delle ipotesi entrambe le coppie potrebbero tranquillamente occupare
una facciata del nostro Libro, anche se ovviamente gli elementi in nostro possesso
non bastano ad assicurarlo. Certo fa pensare la sicura provenienza milanese di
questi disegni e il fatto che essi possano essere accostati, in virtù di alcune scritte
poco leggibili sul verso, alle caricature degli Accademici della Val di Blenio che,
come si vedrà, affollavano le pagine del Libro.
141 cm 15 × 11 (esclusa la linguetta ripiegata sul margine inferiore); punta metallica su carta preparata azzurrata; l’iscrizione sul verso di mano moderna in
lapis «forse da ritornare al fol. 2 altrimenti al 10» non è riferibile alla colloca139
94
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
replicare lo stesso soggetto con barba aguzza ravvisabile nel disegno dalla collezione De Pagave147, inciso dal Gerli alla tavola VI.
Ma il disegno F 263 inf. n. 52148 a sua volta potrebbe con
molta verosimiglianza collocarsi alla pagina 90 del Libro in virtù
di un’affermazione del Bossi, che vi vedeva un «bellissimo profilo
forse di Leonardo». Il disegno succitato infatti si riconosce in
un’antica fotografia Braun assieme ad altri disegni.
Sul verso della pagina 22 si doveva vedere «un uomo morto
del Parmigiano», che purtroppo non siamo in grado di rintracciare, mentre al successivo foglio 23 si trovava il disegno F 263
inf. n. 97149 relazionabile in qualche modo con la celeberrima
composizione della Vergine delle Rocce.
Il Bossi riferendosi a esso metteva in guardia dal considerarlo
autografo di Leonardo, infatti il disegno viene assegnato alla mano di un anonimo leonardesco e la sua realizzazione è stimata in
un lasso di tempo compreso tra la fine del Cinquecento e l’inizio
del Seicento150. Sotto il disegno troviamo un’iscrizione che si riconosce appartenente a una mano seicentesca postillatrice di altri disegni in questo Libro (F 263 inf. n. 35r e F 274 inf. n. 16).
Significativa dello studio che Bossi fece di questo disegno è la
copia perfetta di sua mano ora conservata a Weimar151 (inv.
KK8981/4).
Alla pagina 24 del Libro secondo la descrizione del Monti si
trovava un «ratto di Ganimede» con attribuzione al Parmigianino, che purtroppo non può essere identificato con i pochi disegni col medesimo soggetto esistenti in Ambrosiana152. Nulla si
sa della pagina 25, mentre sul verso della pagina 26 a detta del
Bossi c’erano «tre nudetti» copiati probabilmente da un bassorilievo antico che lui attribuiva con esitazione al Luini153. Molto
evasiva è anche la descrizione al verso del foglio 27 che secondo
il pittore di Busto ospitava due disegni leonardeschi dei quali solo uno forse si poteva considerare di Leonardo.
Estremamente criptica è l’osservazione che Bossi riserva al disegno sul verso della pagina 29. Le sue parole possono essere interpretate nel senso che il disegno di «paese» doveva essere da lui
creduto di Albrecht Dürer154, ma l’antica iscrizione sembrava attribuirlo alla moglie del maestro norimberghese. Si sa che Dürer
probabilmente utilizzò la moglie Agnes come modella (si veda
ad esempio il disegno F 264 inf. n. 2 dell’Ambrosiana), ma non
è altrettanto documentato che essa sapesse disegnare.
Non sappiamo che cosa fosse presente al foglio 30, ma al contrario possiamo ricostruire integralmente la successiva pagina 31.
Grazie alla documentazione in nostro possesso si possono riavvicinare le due metà del foglio che attualmente sono rappresentate
dai rispettivi disegni F 263 inf. n. 60 e F 263 inf. n. 35. La pagina
del Libro infatti mostrava sul verso nella parte sinistra «un volto
bellissimo coi capelli ben fatti del Vinci» come lo definisce la relazione del Monti, che allude verosimilmente a un disegno originale, mentre oggi noi troviamo una copia costituita dall’attuale F
263 inf. n. 60 recto155. Al tempo di Bossi forse non era ancora
avvenuta la sostituzione; infatti egli descriveva il disegno come
«giovinetto: soli contorni con pochi tratti (Gerli tav. 21) non è di
Leonardo», il che non ci sembra richiamare il disegno attuale poiché egli non avrebbe esitato a considerarlo come copia dall’originale. Perciò la mano tuttora visibile che scrisse sopra il disegno
«lucido dell’originale smarrito Gerli tav. 21», si dovrebbe presumere successiva al Bossi, il quale forte dell’iscrizione non si sarebbe nemmeno posto il quesito dell’autografia vinciana.
La testa raffigurata, che già l’Amoretti nel commento alle tavole del Gerli credeva fosse quella di un angelo, assomiglia per la
postura e il panneggio sulla spalla alla testa dell’angelo nella Vergine delle Rocce del Louvre, ma si discosta nella resa della capigliatura. Quindi si deve presumere che il disegno originale, che potrebbe essere stato realizzato a punta d’argento, rappresentasse un’altra
interpretazione della testa d’angelo disegnata da Leonardo e ora
conservata alla Biblioteca Reale di Torino (inv. 15572). L’ipotesi
più credibile è che il disegno originale fosse stato trafugato in
un’epoca di poco posteriore al 1807, cioè alla visita del Bossi in
Ambrosiana, e quindi sostituito subito dopo o comunque in un
periodo in cui il Libro era ancora integro e si sentiva la necessità di
147
150 L’ipotesi di datazione è proposta da Marani, che vede nel disegno anche una
Il disegno, che pervenne alla collezione Bossi, stranamente non seguì la
stessa strada dei disegni antichi venduti alla morte dell’ex segretario di Brera
all’Accademia di Venezia. Si presume, dunque, che abbia preso la via del mercato d’arte rimanendo in collezione privata. A questo proposito l’ultimo passaggio noto è quello segnalato da Franco Moro presso l’antiquario londinese
Hazlitt, Gooden & Fox, in F. MORO, Giovanni Agostino da Lodi ovvero l’Agostino
di Bramantino: appunti per un unico percorso, in «Paragone. Arte», 40 (1989),
pp. 23-61. Il Bora, a cui si deve per primo l’attribuzione di questo disegno a
Giovanni Agostino da Lodi, cade però in equivoco ipotizzando una possibile
provenienza dall’Ambrosiana. Come rileva lo studioso, il disegno fu inciso dal
Gerli, ma inserito nel gruppo delle incisioni tratte dai disegni De Pagave (G.
BORA, I Leonardeschi e il disegno, in I leonardeschi: l’eredità di Leonardo in Lombardia, Milano 1998, pp. 110-111, n. 26).
148 Giovanni Agostino da Lodi, Profilo di uomo con barba aguzza; cm 14 × 8.9;
matita rossa. Il disegno è ormai privo dell’antico supporto.
149 Artista anonimo, Due studi dalla Vergine delle Rocce; cm 13.4 × 9.5; matita
nera; iscrizione sulla carta del disegno di mano seicentesca «Leonardo nella Concettione di S. fran.co / di Milano». Il disegno è incollato all’antico supporto che
è strappato e ritagliato. Sul verso doveva essere incollato un altro disegno asportato maldestramente. Il soggetto è riprodotto in GERLI, 1784, tav. XXX (corrisponde al n. 19).
testimonianza per confermare che la versione della Vergine delle Rocce conservata
a Londra in origine era priva di aureole; Leonardo una carriera di pittore, a cura
di P. C. Marani, Milano (1999) 2002, pp. 138-139.
151 FISCHER PACE, 2008, p. 84.
152 Si sarebbe invece tentati di vederlo nel disegno inv. 11725 del Louvre che
apparteneva al Codice Vallardi. Il disegno è di dimensioni ridotte e porta l’attuale riferimento alla scuola di Michelangelo.
153 L’unico riferimento a nostra disposizione potrebbe essere il disegno BAMi,
F 263 inf., n. 43, che rappresenta tre putti attribuiti al Luini.
154 Esiste in Ambrosiana un disegno di un paesino affacciato sulle rive di un
lago (BAMi, F 264 inf., n. 38), che anticamente era attribuito a Dürer. Le misure sarebbero compatibili col nostro Libro.
155 Artista anonimo, Copia da disegno antico raffigurante una testa di ragazzo o
angelo; cm 20.4 × 14.9 (comprensive di supporto); penna e inchiostro nero;
iscrizione sul supporto in alto di mano ottocentesca «Lucido dall’originale smarrito. Gerli tav. IV». Il disegno è incollato all’antico supporto che si deve considerare come la metà sinistra della pagina 31 del Libro. Il bordo superiore del
supporto presenta una colorazione ad acquerello; sul margine inferiore si nota
un bordino acquerellato come su tutte le pagine del Libro. Il soggetto fu riprodotto in GERLI, 1784, tav. IV (corrispondente n. 21).
95
Arte Lombarda | SILVIO MARA
non lasciare un vuoto nella pagina. La copia ora visibile non è un
vero e proprio lucido, perché non è realizzato su carta oleata e si
nota che l’autore ha sfumato alcune parti del volto, e inoltre per
ragioni stilistiche si deve considerare di epoca neoclassica.
Nella stessa pagina 31 a fianco del disegno già citato c’era
l’attuale disegno F 263 inf. n. 35 recto156, ancora incollato sul
supporto originale che mostra nell’angolo in alto a destra l’antica
numerazione della pagina (fig. 6). Un tempo questo disegno veniva creduto una replica della fisionomia già nel disegno F 274
inf. n. 11 e di conseguenza veniva considerato come ritratto del
Gouffier. La credenza è comprovata dall’antica iscrizione sottostante il disegno che recita: «replicato in profilo à fol. 22. Ritratto del m.o di Cam.a del Re Franco. p.o di cui n’hà un altro il
P.R.». Se ne trovano conferme da ciò che dice il conte Rezzonico,
che però non ne precisa la collocazione, e dal Bossi che lo definisce «Artus in lapis rosso e posto di faccia (tav. 32) bello ma
dubbio forse di F. Melzi». Il disegno venne riprodotto dal Gerli
alla tavola XII e l’Amoretti nell’illustrazione corrispondente lo
riferiva all’altro «ritratto» del Gouffier. La proposta del Bossi di
attribuirlo a Francesco Melzi è particolarmente interessante perché è in totale sintonia con l’attribuzione del disegno proposta
dalla Cogliati Arano (1982157) e confermata a più riprese da Marani158. Evidentemente Bossi si sarà basato per un confronto con
l’unico disegno firmato del Melzi, che egli aveva visto e al quale
dedica un’approfondita riflessione che qui si riporta:
Nella tavola 14 del Gerli v’è inciso il profilo di vecchio calvo La
stessa testa ha inciso il Mantelli alla tav. 17 del suo libro volta al
contrario della incisa dal Gerli ma conforme alla posizione dell’originale. Se ne veda la spiegazione. Nell’originale in lapis rosso vi è
una iscrizione antica, che può dar molto lume sull’autore de’ varj
disegni del pregio ed eccellenza di questo. 1510 adi 14 augusto p.a
cavata de relevo da Francesco da Melzo de anni 17 tale iscrizione è
del disegno. Di carattere posteriore è stato scritto sulla carta che fodera il disegno - Ritratto di Francesco Melzo di Leonardo Vinci ora il Melzo visse col Lomazzo fino oltre il 1584 (verificarsi) quindi
non può essere il ritratto del Melzo. D’altronde la testa si dice fatta
156 Francesco Melzi (attr.), Testa di uomo anziano; cm 20.4 × 12.6 (comprensive
96
di supporto); disegno a lapis nero ripassato a matita rossa; iscrizioni: sotto il disegno a inchiostro bruno di mano antica identica a quelle sui fogli del Libro «Di
Leonardo Vinci», poco più in basso di mano seicentesca (come nei disegni BAMi,
F 274 inf., n. 16 e BAMi, F 263 inf., n. 97) «replicato in profilo à fol. 22. Ritratto
del m.o di Cam.a del Re Franco. p.o di cui n’hà un altro il P.R.», nel margine superiore di altra mano forse ottocentesca «Gerli tav. 32», in alto a destra nell’angolo
l’antica numerazione «31». Il disegno è incollato all’antico supporto che si deve
considerare come la metà destra della pagina. Sul margine inferiore si nota un
bordino acquerellato come su tutte le pagine del Libro. Il soggetto è riprodotto
in GERLI, 1784, tav. XII, corrispondente al n. 32 (seconda incisione).
157 M. L. COGLIATI ARANO, Disegni di Leonardo e della sua cerchia, in Leonardo
all’Ambrosiana, a cura di A. Marinoni e L. Cogliati Arano, Milano 1982, p.
137 n. 43.
158 L’attribuzione proposta dalla Cogliati Arano è stata ripresa e sostenuta da
Marani in Disegni e dipinti..., 1987, p. 95 cat. 38, e in P. C. MARANI, Francesco
Melzi, in I Leonardeschi…, 1998, p. 377.
159 BAMi, Bossi, ms S.P. 6/13 sez. B, n. 1 fasc. i, f. 160. Bossi si sta riferendo al
disegno BAMi, F 274 inf., n. 8.
160 Girolamo Arduini (attr.), Schizzo di albero; cm 20.4 × 14.9 (comprensive
dal rilievo, cioè da qualche gesso o terra cotta forse fatta da Leonardo il quale deve aver molto lavorato in plastica ed è attribuita al
Melzo forse anche l’iscrizione di sua mano159.
È interamente ricostruibile anche il verso della pagina 31 del Libro perché i supporti dei disegni F 263 inf. n. 60 e F 263 inf. n.
35 conservano ancora incollati sul verso un disegno e due piccole incisioni.
Così sulla sinistra della pagina si trovava uno schizzo di albero (con l’attuale segnatura F 263 inf. n. 60 verso160) che l’antica
iscrizione attribuiva a Gerolamo Arduini, architetto urbinate di
cui si è già accennato. In mancanza di prove grafiche certe dell’Arduini, lo schizzo potrebbe essere di un qualunque artista anche se non va trascurato il fatto che, in qualità di architetto al
servizio del duca di Urbino, doveva essere noto al Clarici.
Sull’altra metà della pagina abbiamo due incisioni inedite
(sul verso di F 263 inf. n. 35 non inventariate161), di cui la seconda si riconosce nel «sagrificio d’Isacco in rame bellissimo» indicato nella descrizione del Monti, mentre la prima, che non è
citata dal Monti, raffigura Noè che conduce gli animali nell’arca.
Entrambe le stampe sono certamente dello stesso artista, ma solo
la seconda reca il monogramma DM (Nagler 1222) riconducibile con probabilità all’incisore Dietrich Meyer (1572-1658)162.
Si avverte però che l’attribuzione non è sicura perché le incisioni
finora ascritte a questo maestro sono molto distanti l’una dall’altra quanto a esiti formali e le due dell’Ambrosiana a loro volta
non possono paragonarsi a nessuna di quelle finora pubblicate.
Al foglio 32 secondo la descrizione del Monti si trovava la raffigurazione di un cavallo attribuito a Bramante, notazione bizzarra
che comunque dovrebbe condurci a identificarlo con il disegno F
263 inf. n. 91163. Benché il disegno, che raffigura un cavallo al
passo, sia di indubbia autografia vinciana164, va riscontrato che è
ancora incollato all’antico supporto di cui si conserva una sottile
striscia di carta ripiegata e incollata sul retro. Questa un tempo era
verosimilmente posta sotto il disegno e vi si legge «Mantegna» nella medesima grafia riscontrata sui fogli del Libro. Questo disegno
di supporto); penna e inchiostro nero; iscrizione sotto il disegno sul supporto
di mano antica identica a quelle sui fogli del Libro «Del Cavaliere Ardovini».
Il disegno è incollato all’antico supporto che si deve considerare come la metà
destra del verso della pagina 31.
161 Dietrich Meyer (?), Noè conduce gli animali sull’arca; Il sacrificio di Isacco;
cm 20.4 × 12.6 (comprensive di supporto), cm 7.5 × 10.7 (dimensione incisioni); le incisioni ad acquaforte sono incollate all’antico supporto che si deve
considerare come la metà sinistra della pagina 31 verso.
162 G. K. NAGLER, Die Monogrammisten und diejenigen bekannten...,
Nieuwkoop 1977, ripr. facs. dell’ed. München, G. Franz, 1858-1879, II, pp.
477-479; R. ZIJLMA, Hollstein’s German engraving, etchings and woodcuts, Amsterdam 1980, XXVII, pp. 143-169.
163 Leonardo da Vinci, Cavallo al passo; cm 16.4 × 9.9; penna e inchiostro
bruno: iscrizione su frammento di carta incollato sul verso lungo il margine inferiore di mano antica identica a quelle sui fogli del Libro «Bramante». Il disegno
è incollato all’antico supporto, che è ritagliato lungo i margini del disegno.
Venne riprodotto in GERLI, 1784, tav. XXXIV, n. 34 (terza incisione).
164 Se ne veda la scheda critica a cura di Marco Rossi nel catalogo della recente
mostra Leonardo: dagli studi di proporzioni al Trattato della Pittura, a cura di P.
C. Marani e M. T. Fiorio, Milano 2007, pp. 61-62.
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
apparteneva con certezza al Libro perché le dimensioni gli consentivano di stare su una pagina e soprattutto perché il Gerli, riproducendolo alla tavola XXXVI, lo includeva fra quelli appartenenti
al nostro volume. Tuttavia la collocazione non è certissima perché
il Bossi, solitamente molto accorto nell’individuazione degli originali vinciani, non lo cita a pagina 32, mentre cita al verso del foglio 47 uno «stupendo cavallo di Leonardo».
La pagina 33 del Libro ospitava il disegno F 264 inf. n. 31165,
che risponde perfettamente alla descrizione fattane nella relazione Monti: «d’Alberto Duro due cani veltri in lapis rosso». Il disegno in realtà è una copia in controparte di un ignoto artista,
tratta dal particolare dei due levrieri nella stampa del Sant’Eustachio (1501) di Albrecht Dürer, opera tra le più copiate del
maestro166.
La pagina seguente secondo la descrizione del Monti ospitava
«una volpe bellissima», che tuttavia non si può saldamente ricondurre al disegno F 264 inf. n. 37167 rappresentante una volpe
che poggia su un basamento, perché il disegno pur essendo compatibile al formato del Libro è privo di antico supporto. Invece
possiamo rintracciare il disegno che lo affiancava sulla pagina 34
perché il Bossi ce lo descrive come «testa di leone di Bernardino
Luino», il che dovrebbe corrispondere alla testa raffigurata di tre
quarti in F 271 inf. n. 13168, benché questa sia ora attribuita a
Cesare da Sesto169.
Sul verso della pagina 34 Bossi osservava una «bella testina
della scuola di Leonardo» che lui più precisamente riferiva al
Maestro della Pala Sforzesca. Alla pagina 35 il pittore bustocco
notava la «testa di un giovinetto con molti capelli che gli scendono fino sulle sopraciglie e sulle spalle; trattato al solito stile in
carta tinta a colori rosa»170, che combacia alla perfezione col disegno di Giovan Antonio Boltraffio F 274 inf. n. 13171, ritenuto
dal Bora come preparatorio per il Ritratto di ragazzo alla National Gallery of Art di Washington (inv. 895)172.
Nella stessa pagina così come nelle seguenti 36 e 37 si trovavano altri disegni indicati sommariamente da Bossi senza specificarne il soggetto e con l’attribuzione alla mano di Bernardino
Luini. Probabilmente, alla pagina 36 assieme a qualche disegno
del Luini si trovava, concordemente alla descrizione del Monti,
«un grottesco assai bello del Durero», che dev’essere altra cosa e di
formato ridotto rispetto al già citato acquerello F 264 inf. n. 20.
Non è illuminante nemmeno l’indicazione sempre del Bossi
sui «cavalli attribuiti a Bramante» che stavano sul verso della
165 Artista anonimo, Due levrieri dal Sant’Eustachio di Dürer; cm 12.7 × 13.8;
matita rossa; iscrizione sotto il disegno sul supporto di mano antica identica a
quelle sui fogli del Libro «Di Alberto Durero». Sul verso del supporto cartaceo
si notano i segni dei due disegni che un tempo erano incollati sulla pagina successiva le cui misure sono: cm 10 × 7; 5.5 × 3. Il supporto è stato smarginato.
166 G. M. FARA, Albrecht Dürer originali, copie, derivazioni, Firenze 2007, p.
101. Il disegno è pubblicato con commento in G. SCHWEIKHART, Novità e bellezza: zur frühen Dürer-Rezeption, in Italien in Die Kunst der Renaissance, ausgewählte Schriften, Köln 2001, p. 145. Tra le numerose copie dalla stampa
düreriana si cita in ambito lombardo quella di un cane e del cervo in uno schizzo
a penna di Ottavio Semino (Vienna, Albertina, inv. 2768).
167 cm. 12.8 × 10.3. Disegno privo di supporto cartaceo.
6. Francesco Melzi (attr.), Testa di uomo anziano. Milano, Biblioteca Ambrosiana, F 263 inf. n. 35 recto.
pagina 38, ma si possono individuare con più sicurezza i disegni che stavano nella stessa pagina e nella 39. Infatti il pittore fa
esplicito riferimento a questi all’interno di una discussione abbastanza corposa:
Contro il fol. 39 stesso volume questa volta carta azzurra e col solito
stile metallico studietto d’una testina di cui v’è a fianco uno studio
168 Cesare da Sesto (attr.), Testa di leone; cm 8.2 × 9.6; penna con inchiostro di
seppia e punta di piombo. Il disegno è incollato a un cartoncino marrone relativamente moderno.
169 Si veda la scheda in M. CARMINATI, Cesare da Sesto: 1477-1523, MilanoRoma 1994, s. D16, p. 240.
170 BAMi, Bossi, S.P. 6/13 sez. B n. 1, fasc. i, f. 163.
171 Giovan Antonio Boltraffio, Ritratto di un ragazzo; cm 13.2 × 11.2; penna
d’argento su carta preparata rosa. Il disegno è incollato su un cartoncino marroncino relativamente moderno.
172 BORA, 1987, p. 159. Il disegno è stato pubblicato nel catalogo delle opere
del Boltraffio (M. T. FIORIO, Giovanni Antonio Boltraffio: un pittore milanese
nel lume di Leonardo, Milano 2000, p. 151, cat. B11).
97
Arte Lombarda | SILVIO MARA
colla bocca alquanto più in grande. Lo studio della bocca è pubblicato dal Gerli alla tav. 7 [ovvero la tavola IX], la testina è la prima della
tav. 15 [ovvero la tavola VIII], era meglio unirli per vedere il metodo
di studiare. Nel detto folio vi sono alcuni profili di donna alcuni de
quali pubblicò il Gerli alcuni pel verso dell’originale altri no alla tav.
7, e due caricature la minore pubblicata dal Gerli per la prima alla
tav. 5 [ovvero la tavola XXV] la maggiore è la quarta della tav. 26 [ovvero la tavola XIV]. Sono a penna in carta bianca e fatte al modo che
usò il Luvino vecchio in altri disegni sicuri di lui. Ne s’illuda chi le
vede credendole di Leonardo purché siano belle. Faccia avvertimento
ai versi dei profili femminili, e all’orecchia della maggior caricatura e
si rifletterà con qual verità ed energia rappresentava Lionardo le parti
cartilaginose, scorgerà che senza alcuno danno non gli si può tal foglio attribuire. L’orecchia mal fatta si vede anche nella tavola 26 del
Gerli nonostante avendola io confrontata con l’originale, si scorge in
quest’ultima una minore cura della forma, e una quasi puerile trascuratezza d’esecuzione contraria al magisterio di Leonardo173.
Si intuisce che la riflessione verte sui disegni F 263 inf. n. 82174 e
F 263 inf. n. 98175 un tempo posti rispettivamente sul verso della
pagina 38 (dice infatti «contro il fol. 39») e sul recto della pagina
39. Dunque Bossi era fortemente tentato di riconoscere nel secondo disegno dell’Ambrosiana la mano di Bernardino Luini e in
ogni caso di scartare completamente l’antica attribuzione a Leonardo. Non possiamo sapere però su quali «disegni certi» del Luini basasse la sua attribuzione. Interessante è notare la ricomposizione dei disegni rispetto alla riproduzione frammentaria operata
dal Gerli, che, come giustamente indicava il Bossi, permette di
comprendere meglio il metodo di studio dell’artista. Infatti il brano del pittore di Busto si appaia perfettamente alle copie che fece
da questi disegni: così i due profili femminili di F 263 inf. 98 nella copia di Bossi ora a Weimar (inv. KK8981/9) vengono affiancati in parallelo, e il profilo caricaturale con naso all’insù sempre
nello stesso disegno dell’Ambrosiana viene isolato da tutto il resto
nella copia bossiana (inv. 8981/8)176.
Proseguiamo al verso di pagina 40 dove Bossi riconosceva il
disegno di una porta realizzato da Cristoforo Solari. Questo doveva essere solo il primo di una serie di rappresentazioni grafiche
che l’ex segretario di Brera non esitava a considerare come autografe del celebre artista milanese.
Alla pagina 44 doveva esserci un foglio di una certa importanza raffigurante a detta della relazione Monti un «Cristo morto colle quattro Marie» attribuito al Perugino, fatto che però
Bossi rettificherà riportandolo alla scuola lombarda.
173
BAMi, Bossi, S.P. 6/13 sez. B n. 1, fasc. i, f. 163.
cm 9.7 × 10.8; punta metallica su carta preparata in azzurro. La testa è
stata riprodotta in GERLI, 1784, tav. VIII, n. 15 (primo disegno), mentre
il particolare di bocca e mento è stato riprodotto alla tav. IX, n. 7 (terzo
disegno).
175 cm 16.6 × 19.8; penna e inchiostro bruno. In una fotografia Anderson (n.
12796) si vede il disegno ancora incollato all’antica pagina del Libro. Il primo
profilo è stato riprodotto in controparte in GERLI, 1784, tav. IX, n. 7 (primo
disegno). Il secondo profilo non è stato riprodotto, mentre il profilo caricaturale è stato riprodotto alla tav. XXV, n. 5 (primo disegno). Il particolare con
bocca e naso è stato riprodotto alla tav. IX, n. 7 (quarto disegno) e la caricatura
è stata riprodotta alla tav. XIV, n. 26 (quarto disegno).
174
98
Allo stesso modo non conosciamo i disegni presenti alla pagina 45, ma sappiamo che a quella seguente c’era secondo la relazione Monti, che qui forse rimanda a un parere personale, un
«Ercole che stringe il gigante Anteo, ed una tigre, forse del Clerici» ovvero del Clarici. Altrettanto problematica è l’individuazione del disegno incollato sul verso della pagina 47, che il Bossi
definiva «stupendo cavallo di Leonardo», e quindi potrebbe
portare un riferimento al soggetto di F 263 inf. n. 91, ma se,
come si è visto poc’anzi, si intende collocare questo disegno alla
pagina 32, bisognerebbe spostare l’attenzione su qualche altro
soggetto simile.
Si potrebbe quindi tenere in considerazione il disegno F 269
inf. n. 22177, che raffigura un cavallo rampante in un paesaggio
roccioso e con un paese in lontananza. Questo magnifico esemplare di evidente matrice leonardesca poteva far parte del nostro
Libro. Un elemento è sintomatico: si nota nella parte inferiore del
disegno, dove il profilo della carta è irregolare e taglia parte dello
zoccolo e del prato, un’integrazione ad acquerello per non lasciare
mutila la composizione. Come abbiamo in più casi osservato
questo è un accorgimento tipico dell’assemblatore del Libro.
Al foglio 48 si vedevano due disegni di cui il Monti riferisce
solo il soggetto senza l’autore: si tratta di un «Presepe», ovvero
una Natività, e di «un eremita in luogo deserto», forse un San
Girolamo. La pagina 49 singolarmente è quasi speculare nei soggetti rispetto alla precedente. Secondo il Monti vi erano «un Cristo morto in acquarella tratteggiato»178 e «un eremita di Rafael
d’Urbino». L’attribuzione è in parte ripresa dal Bossi il quale
avanzava la possibilità che il Cristo fosse di mano raffaellesca.
L’ex segretario di Brera sulla scia di quanto detto per il disegno a pagina 39 attribuiva dubitativamente al Luini una caricatura leonardesca visibile al foglio 50 e due teste leonardesche al foglio 51. Proseguendo si possono individuare perfettamente i due disegni sul verso della pagina 51, ovvero gli attuali
F 274 inf. n. 44 e F 271 inf. n. 4179, perché Bossi li descrive in
questi termini:
Della solita mano operatrice in carta azzurra a stilo è una testa contro al fol. 52 data dal Gerli a tav. 37 per caso ma vicina a questa v’è
nel libro il profilo con beretta che il Gerli pubblica alla tav. 24 questo sembra una terza mano ed ha la stravagante singolarità d’aver i
capelli aquerellati in azzurro mentre il resto è a mero chiaroscuro
in carta lievemente tinta a color di polvere180.
176
FISCHER PACE, 2008, pp. 85-86, cat. 146-147.
Ambito leonardesco, Cavallo rampante in un paesaggio; cm 14.9 × 11.5;
penna e inchiostro bruno su carta preparata. Il disegno è incollato su un supporto rinforzato con carta moderna.
178 Non so quanto possa essere utile il raffronto con il Cristo morto di ignoto
autore con segnatura BAMi, F 271 inf., n. 53.
179 Rispettivamente: cm 11 × 11.2 (disegno privo di supporto), punta metallica su carta preparata azzurra; cm 12.3 × 13 (disegno incollato su antico supporto smarginato), matita nera, penna e inchiostro bruno, acquerello azzurro.
Il primo è stato riprodotto in GERLI, 1784, tav. XIX, n. 37 (primo disegno), il
secondo è stato riprodotto alla tav. III, n. 24 (secondo disegno).
180 BAMi, Bossi, S.P. 6/13 sez. B n. 1, fasc. i, f. 163.
177
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
L’accento posto alla «solita mano» non equivale però, all’interno delle note da cui è stato estrapolato il brano, a un’identificazione sicura, quindi si deve presumere che egli notasse piuttosto una comunanza di tecnica d’esecuzione fra i disegni dei
leonardeschi. Il secondo disegno (F 271 inf. n. 4) non è più
stato considerato dopo la copia effettuata dal Gerli ed è interessante notarvi la già sottolineata abitudine a integrare con
stesure ad acquerello le eventuali parti in cui il supporto del disegno risulta mancante.
Difficile è stabilire quali disegni fossero un tempo incollati
alla pagina 52, a proposito della quale il Bossi parla di quattro
caricature sul recto di cui, a sua volta, solo una eseguita a penna
poteva essere di Leonardo. Sul verso della pagina si vedevano altre due teste leonardesche simili alle precedenti.
La serie proseguiva ininterrottamente alla pagina 53, dove a
detta del pittore bustocco si vedevano due teste grottesche sul
recto, una sola delle quali, realizzata in lapis rosso, poteva col beneficio del dubbio essere ascritta a Leonardo. Sul verso della pagina v’erano altre due teste probabilmente di scarsa qualità.
A proposito del foglio 54 del Libro possiamo disporre della
testimonianza del conte Rezzonico che vi vedeva il disegno di un
tempio nel quale riconosceva una possibile allusione al Pantheon
di Roma. Evidentemente si riferiva al disegno F 263 inf. n.
56181, ma si confondeva ravvisandovi una tecnica di esecuzione
che non è ad acquerello verde, ma a punta metallica e biacca su
carta preparata azzurra. Il fraintendimento deriva probabilmente
dalle forti ombreggiature che, soprammesse su carta azzurrata,
tendono a suggerire un verdastro scuro. Anche il Bossi vedeva
questo disegno alla pagina 54 e si limitava a descriverlo come
tempio in prospettiva, concordando col Rezzonico sull’attribuzione a Leonardo segnalata probabilmente da un’antica iscrizione ora scomparsa. L’autore del disegno è ancora sconosciuto, ma
va forse ricercato nell’ambito milanese tra Cristoforo Solari e
Bramantino182. Ovviamente non si tratta di una rappresentazione del Pantheon, come aveva creduto Rezzonico, anche se certamente l’autore attua una rielaborazione da alcuni riferimenti romani, come suggerisce un abbozzo sul verso riferibile alla celebre
scultura del Torso del Belvedere.
Sempre sulla pagina 54 a detta del Rezzonico erano presenti
«abbozzi di cavalli» di mano di Leonardo, quindi si deve presumere che si trattasse di piccoli disegni tra i quali va verosimilmente riconosciuto il disegno F 263 inf. n. 6183, del quale è si-
cura l’appartenenza al Libro di disegni certificata attraverso la nota del Gerli nel suo volume di riproduzioni vinciane. Il disegno,
che reca un’attribuzione a Leonardo, in effetti è incollato a un
supporto antico parzialmente ripiegato lungo due lati, che reca
la consueta acquerellatura per accordare il disegno alla pagina.
La pagina 55 è altrettanto ben documentata perché il Rezzonico vi vedeva alcuni disegni di Leonardo rappresentanti
parti anatomiche del corpo umano e tra i soggetti corrispondenti potremmo collocarvi il disegno di ambito leonardesco F
263 inf. n. 65184, raffigurante uno studio di gamba riprodotto
dal Gerli che lo riferiva al nostro Libro. Nella stessa pagina era
presente il disegno caricaturale F 274 inf. n. 20185, che il copista Ghidolli in una postilla all’esemplare delle incisioni del
Gerli conservato in Ambrosiana collocava al foglio 55, fatto
confermato dal disegno stesso che sul supporto reca l’antica
numerazione di pagina.
Il disegno, che è stato attribuito dal Bora a Giovan Paolo Lomazzo186 e rappresenta la testa di un boia, è riconducibile mediante l’iscrizione nel caratteristico dialetto dei facchini della Val
di Blenio al gruppo delle caricature nate nell’ambito dell’omonima Accademia della quale il Lomazzo era priore. Il richiamo a
prototipi leonardeschi qui è meno chiaro anche se è stato notato,
in una semantica totalmente opposta, un richiamo al disegno di
Leonardo raffigurante una Testa di Cristo ora conservato a Venezia (inv. 231).
Il Ghidolli annotava la collocazione alla stessa pagina 55 dei disegni F 263 inf. n. 5 e F 274 inf. n. 23, mentre sul verso della stessa
pagina va posto il disegno F 274 inf. n. 40. Ciò dovrebbe combaciare con quanto riferito dal Bossi che su questa pagina vedeva dei
«cavalli in lapis rosso» e delle caricature imitate da Leonardo.
Quanto al primo disegno F 263 inf. n. 5187, in realtà troviamo radunati sotto la stessa segnatura due disegni rappresentanti
un cavallo impennato e un uomo nudo visto di tre quarti, che
un tempo erano incollati sullo stesso supporto, come si vede ancora dalla fotografia utilizzata dal catalogo on-line curato dalla
Notre Dame University. Attualmente, partendo dal riconoscimento che i due disegni, assieme al F 263 inf. n. 17, oltre a essere della stessa mano facevano parte di uno stesso foglio, si è
preferito eliminare l’antico supporto per ricomporli insieme.
Già il Bossi aveva notato che erano stati eseguiti dalla stessa persona e volle ricomporre idealmente i disegni di cavallo in una
sua copia ora conservata a Weimar188 (inv. KK8981/1). Tuttora
181
GERLI, 1784, tav. XXXVI, n. 25 (prima incisione).
185 Giovan Paolo Lomazzo, Volto di un boia; cm 11.9 × 9.2; matita nera, tracce
Ambito milanese, Studio di tempio quadrifronte esastilo; cm 7.6 × 10.6 (disegno privo di supporto cartaceo); matita, punta metallica e biacca su carta preparata azzurra. Il disegno è stato riprodotto in GERLI, 1784, tav. II, n. 17.
182 L’Ambrosiana e Leonardo, catalogo della mostra, a cura di P. C. Marani, M.
Rossi e A. Rovetta, Milano 1998, pp. 126-127, cat. 57.
183 Leonardo da Vinci, Testa di cavallo; (disegno incollato su antico supporto
ripiegato su due lati) cm 7.3 × 5 (comprensive di supporto 7.3 × 10); penna e
inchiostro bruno su carta leggermente preparata giallognola. Si scorgono tracce
di acquerellatura sul lembo di supporto ripiegato. È stato riprodotto in GERLI,
1784, tav. XXXIV, n. 34 (secondo disegno).
184 Ambito leonardesco, Studio di gamba; cm 7 × 5.2; penna e inchiostro bruno.
Il disegno è privo di supporto cartaceo ed è stato riprodotto con variazione in
di penna su carta bianca; iscrizioni: antica numerazione sul supporto in alto a
destra «55», in basso sul disegno antica iscrizione «or boglia [vedì] igno / che
porta ol capelasc inscima al co». Sul verso del supporto cartaceo si nota il segno
di un disegno che era incollato (misure per difetto cm 11× 8.5).
186 Si veda la corrispondente scheda in Rabisch: il grottesco nell’arte del Cinquecento, L’Accademia della Val di Blenio, Lomazzo e l’ambiente milanese, catalogo
della mostra (Lugano), a cura di M. Kahn-Rossi e F. Porzio, Milano 1998, s. n.
31, p. 181.
187 cm 13 × 14.8, matita rossa.
188 FISCHER PACE, 2008, p. 83, cat. 139.
99
Arte Lombarda | SILVIO MARA
per i disegni si ritiene il tradizionale riferimento alla cerchia di
Leonardo189.
L’altro disegno che con sicurezza si può collocare su questa
pagina 55, come si è detto, è il F 274 inf. n. 23190, caricatura
prodotta nell’ambito dell’Accademia della Val di Blenio, che mediante l’antica iscrizione si è riconosciuta come il ritratto caricato
di uno degli undici Consiglieri Sapienti191 del sodalizio bleniese.
Il disegno è stato realizzato da un accademico non ancora identificato ed è tuttora incollato all’antico supporto che mostra sul
verso un’altra caricatura. Sul verso della pagina 55, infatti, la serie di caricature proseguiva con il disegno già citato F 274 inf.
n. 40192, che recentemente è stato attribuito dal Bora – assieme
ai disegni F 274 inf. n. 37, 39 r-v, 41 r-v, 42, 43, 52 – all’architetto e scultore Girolamo della Porta detto il Novarino193, allievo
e collaboratore di Cristoforo Solari, dell’Amadeo, del Bambaia e
di Cristoforo Lombardi.
L’attribuzione si basa sulla scritta «Ieronimo [...] la Porta»,
che compare a fianco del disegno F 274 inf. n. 37 e che è stata
interpretata come la firma dell’autore già nel Settecento dall’ex
segretario dell’Accademia di Brera Francesco Antonio Albuzzi.
Egli nelle sue Memorie per servire alla storia dei pittori194 citava
proprio questa serie di disegni, registrandoli come collocati in
un Libro di disegni dell’Ambrosiana che è senz’altro il nostro, e
attribuendoli al Novarino per via della firma succitata.
La conferma che tutta la serie, omogenea quanto a soggetti e
stile, appartenesse al Libro di disegni ci viene anche dal Gerli che
la riprodusse interamente tra le sue incisioni e ne certificò l’appartenenza al volume dell’Ambrosiana. Come giustamente sottolinea il Bora, questi disegni rappresentano un’interpretazione
precoce della lezione vinciana sul genere delle teste caricate, e dimostrano una sorprendente libertà esecutiva ben prima degli
analoghi esperimenti realizzati all’interno dell’Accademia della
Val di Blenio.
Seguendo le annotazioni del Bossi, a pagina 56 troviamo il
disegno F 263 inf. n. 83195, che rappresenta alcuni studi di gambe da Leonardo, uno dei quali fu riprodotto anche dal Gerli che
infatti lo riferiva al Libro. A fianco di questo disegno si doveva
trovare una caricatura leonardesca che era riproposta in un altro
disegno al verso della stessa pagina. Ciò potrebbe indurci a credere che si tratti del disegno F 274 inf. n. 21196 e della sua imitazione nel F 263 inf. n. 20197; solo del primo possiamo certificare la presenza nel Libro, perché il Gerli lo riprodusse specificandone la provenienza.
La pagina 57 si è provvidenzialmente conservata quasi completamente integra nel suo verso, che tuttora mostra incollati i
disegni F 274 inf. n. 45a-e198 (fig. 7). Siamo certi che la collocazione sia corretta, nonostante si sia persa l’antica numerazione
di pagina, perché la descrizione del Monti cita un ritratto di
«Merlino Cocalio» proprio a pagina 56. Si riferiva evidentemente al disegno F 274 inf. n. 45b che reca l’antica iscrizione «Merlino Cocalio», disegno che assieme al vicino F 274 inf. n. 45c
(riferito dall’iscrizione a uno sconosciuto «Sig. Cocal») porta ancora una volta all’Accademia delle Val di Blenio, e più precisamente allo scrittore Teofilo Folengo citato dal Lomazzo nell’introduzione ai Rabisch con lo pseudonimo «Smerlign Cocalia». Il
Paliaga, considerando complessivamente i disegni dell’Ambrosiana riconducibili all’attività dell’accademia bleniese, ne osservava la forte dipendenza dalle caricature leonardesche del gruppo
Spencer. A loro volta le caricature Spencer sono variamente attribuite alla cerchia del Melzi, perciò il Paliaga ipotizzava che i
soci dell’Accademia avessero libero accesso alla collezione di
scritti e disegni vinciani presso la villa Melzi e che quindi avessero utilizzato delle tipologie caricaturali leonardesche per irridere
i membri del medesimo sodalizio bleniese199.
Il verso della pagina 57 è parzialmente ricostruibile in base alle
impronte lasciate dai disegni un tempo incollati200. Si vede
189 La Cogliati Arano proponeva di assegnarli a un imitatore di Leonardo (CO-
catalogo della mostra, a cura di F. Viatte e V. Forcione, Parigi 2003, p. 330.
manoscritto pubblicato per la prima volta dal Nicodemi. Per il passo
in questione si veda G. NICODEMI, Memorie per servire alla storia de’ pittori scultori e architetti milanesi, in «L’Arte», 18, LIIII (1954), p. 53. Sull’Albuzzi scrittore d’arte si veda da ultimo la tesi di dottorato di S. BRUZZESE, La fortuna dei
primitivi lombardi nel secondo Settecento milanese. Giuseppe Allegranza e Francesco
Antonio Albuzzi, Università degli studi di Milano.
195 Imitatore di Leonardo, Tre studi anatomici di gambe; cm 14 × 12.1; matita
rossa, penna, inchiostro nero. La prima gamba è stata riprodotta in GERLI, 1784,
tav. XXXIII, n. 8 (prima incisione). Il profilo al centro è riprodotto alla tav.
XXXVI, n. 27 (terza incisione). Il terzo disegno è riprodotto alla tav. XXXIII,
n. 8 (quarta incisione).
196 cm 10 × 7 (incollato a supporto moderno), matita rossa. Riprodotto in
GERLI, 1784, tav. XX, n. 35 (quarta incisione).
197 cm 6.8 × 6.2, matita nera, penna e inchiostro bruno e nero.
198 Dimensioni complessive cm 19 × 26. Il foglio è stato parzialmente rifilato
lungo i margini.
199 F. PALIAGA, Quattro persone che ridono con un gatto, in «Achademia Leonardi
Vinci», VIII (1995), pp. 143-157.
200 Iscrizioni: al centro della solita mano presente sulle pagine del Libro «Di
Leonardo Vinci». Tracce di incollature dei quattro disegni un tempo presenti.
Le rispettive misure dall’alto verso il basso e da sinistra a destra sono: cm 10 ×
8.5, 11.4 × 7.2, 10.5 × 9, 8 × 25 ca.
GLIATI ARANO, 1982, p. 119), mentre la Fiorio li riferiva a un anonimo leonar-
100
desco (Disegni e dipinti..., 1987, p. 8). Solo Patrizia Zambrano li considerava
autografi del Sodoma e in parte preparatori per un particolare dell’affresco rappresentante Benedetto che predice la distruzione di Montecassino nel monastero
di Monteoliveto Maggiore; P. ZAMBRANO, Un nuovo disegno del Sodoma per
Monteoliveto Maggiore, in «Paragone. Arte», 23, 487 (1990), pp. 59-61. Quest’ultima attribuzione è stata confutata dal Bartalini, che, pur riconoscendo all’origine del particolare nell’affresco e dei disegni dell’Ambrosiana una comune
derivazione dalla Battaglia di Anghiari di Leonardo, ha negato l’attribuzione al
Sodoma riconducendo nuovamente i disegni a un anonimo leonardesco (R.
BARTALINI, Le occasioni del Sodoma, dalla Milano di Leonardo alla Roma di Raffaello, Roma 1996, p. 109, n. 4).
190 cm 12.2 × 8.8; sanguigna; sul disegno in alto l’antica iscrizione «Sor Caputagn Nasotra». Il disegno è stato riprodotto in GERLI, 1784, tav. XXI, n. 36
(penultima incisione).
191 Rabisch..., 1998, pp. 169, 181.
192 Gerolamo della Porta (attr.), Caricatura di uomo con corazza e cappello; cm
12.2 × 7.7; matita nera, penna e inchiostro bruno; iscrizioni: in alto a sinistra
«[Don] Jaimes», sul verso «feste 45 e poi 31». È stato riprodotto in GERLI, 1784,
tav. XIX, n. 37 (terzo disegno).
193 Si veda il saggio di G. BORA, Léonard de Vinci et les «léonardesques» lombards:
les difficultés d’une conquête du naturel, in Léonard de Vinci. Dessins et manuscrits,
194 Testo
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
chiaramente che la pagina ospitava quattro disegni, tre nella
parte superiore e uno molto lungo nella parte inferiore che probabilmente misurava poco più di 8 × 25 cm con un taglio triangolare nel margine superiore. L’unico disegno che si può ricondurre con certezza a questa paginata è il F 263 inf. n. 71201 che
per via della caratteristica forma si può collocare esattamente al
centro del foglio, in corrispondenza dell’antica iscrizione che lo
attribuiva a Leonardo. In effetti il disegno, che rappresenta la
replica della prima testa grottesca da sinistra nel celebre disegno
vinciano di Windsor RL 12495, è stato prima attribuito al Vinci dalla Cogliati Arano e poi assegnato a un imitatore di Leonardo da Marani202.
Simile nell’impostazione è anche la pagina 58 (fig. 8), che si
è conservata integra nella rassegna di otto caricature leonardesche sul recto (disegni F 274 inf. n. 48a-h203). La sua collocazione è certificata dall’antica numerazione ancora visibile e dall’appunto bossiano che ricordava a pagina 58 le «8 caricature imitate
ed esagerate». Tutte le teste grottesche, disegnate dalla stessa mano a matita rossa, attingono fedelmente dal vasto repertorio vinciano replicando probabilmente le copie che circolavano in
Lombardia nella seconda metà del Cinquecento. L’assemblatore
del Libro qui mostra l’accorgimento di riproporre l’affrontamento a coppie di caricature maschili e femminili, criterio già di matrice vinciana.
Sul verso della pagina 58 (che costituisce il supporto di F 274
inf. n. 48) si conservano completamente leggibili le impronte di
tutti e cinque i disegni che un tempo erano incollati204. Non
avendo riferimenti precisi al soggetto di questi disegni, possiamo
solo identificarne uno (F 281 inf. n. 36), che occupava la prima
posizione in alto da sinistra, per via della particolare forma trapezoidale che lo contraddistingue. Questo schizzo a penna, che
rappresenta un paesaggio con edifici, è stato attribuito dal Ruggeri all’allievo di Tiziano, Giovanni Maria Verdizzotti (15251600) per il confronto con disegni certi dell’autore205.
Nulla di preciso si sa circa la pagina 59, che probabilmente
è stata smembrata, ma un’allusione di Bossi fa ritenere verosimile che contenesse una serie di caricature in tutto simile a
quella del foglio 58. Stessa sorte è occorsa alla pagina 60, che
però possiamo ricostruire nella sua composizione grazie a
un’antica fotografia Anderson (n. 12815) conservata presso
l’Archivio Alinari (fig. 9).
Osserviamo quindi partendo dall’alto verso il basso e da sinistra a destra i disegni F 274 inf. n. 22, F 263 inf. n. 89r, F 274
inf. n. 6, F 263 inf. n. 8, F 263 inf. n. 3 e F 274 inf. n. 34b.
L’unico criterio adottato dal compositore sembra essere stato
quello della simmetria tra i formati dei disegni. Il primo disegno
(F 274 inf. n. 22206) ci presenta ancora una volta a una testa maschile grottesca realizzata secondo una tipologia apparentemente
autonoma rispetto alle serie conosciute di questo genere. Segue
un frammento attribuito con esitazione a Leonardo che è da
porsi in relazione agli altri disegni preparatori per il soggetto della Madonna col gatto F 263 inf. n. 89 recto207. Il disegno era stato
osservato anche dal Rezzonico, il quale però riferiva che era stato
eseguito a matita rossa, informazione che diverge nettamente
dall’aspetto del nostro che è realizzato a punta di piombo e matita nera. Curiosamente anche il Müntz a fine Ottocento notava
che il disegno era fatto a matita rossa208, ma si potrebbe obiettare
che lo studioso si sia accontentato di esaminare la fotografia
Braun piuttosto che l’originale. L’affermazione del Rezzonico
tuttavia fa sorgere qualche sospetto perché nella fotografia Anderson si vede chiaramente che di fianco al disegno era rimasto
incollato un piccolo frammento angolare di carta, quasi un residuo di un disegno precedentemente asportato209.
Il terzo disegno di questa pagina (F 274 inf. n. 6210) rappresenta il busto di un uomo con un’insolita espressione e una folta
capigliatura, tipica, assieme alla tecnica a sanguigna, delle opere
di Giovanni Agostino da Lodi (attivo ca. 1467-1524). Questo
profilo maschile fu copiato accuratamente dal Bossi che per una
migliore mimesi utilizzò lo stesso medium. L’esemplare bossiano
è conservato a Weimar (KK8981/5) nella serie di copie da disegni dell’Ambrosiana211.
Nel registro inferiore della pagina si trovavano tre piccoli
disegni, il primo dei quali (F 263 inf. n. 8212), oggi ritenuto
anonimo, rappresenta un cane accucciato; seguiva il disegno
F 263 inf. n. 3213 con un cavallino impennato della stessa mano di F 263 inf. n. 2, disegno già assegnato dalla Cogliati Arano a un imitatore di Leonardo214. Infine a concludere la pagina si cita il disegno F 274 inf. n. 34b, un profilo maschile
201 cm 11.4 × 7.2, penna e inchiostro bruno. È stato riprodotto in GERLI, 1784,
209 Va
tav. XIV, n. 26 (prima incisione).
202 Disegni di Leonardo e della sua cerchia alle Gallerie dell’Accademia, a cura di M.
L. Cogliati Arano, Milano 1980, p. 122; Disegni e dipinti…, 1987, p. 70 cat. 18.
203 Dimensioni complessive cm 20.5 × 27.2; iscrizioni: sul supporto cartaceo
e su parte del disegno BAMi, F 274 inf., n. 48d in alto a destra l’antica numerazione «58».
204 Si riportano le misure rispettive dall’alto in basso e da sinistra a destra: cm
6 × 7, 8.9 × 8.9 (di forma trapezoidale con lato inferiore di 7 cm), 10.2 × 8.5,
8 × 5.5 (di forma quasi esagonale allungata in altezza), 8.5 × 8.3.
205 U. RUGGERI, Disegni veneti dell’Ambrosiana, Vicenza 1979, p. 31, cat. 34.
206 cm 12 × 8.5, matita rossa. Riprodotto in GERLI, 1784, tav. XX, n. 35 (prima
incisione).
207 cm 7.2 × 6.5, punta di piombo e matita nera.
208 E. MÜNTZ, Léonard de Vinci. L’artiste, le penseur, le savant, Paris 1899, p.
515, V.
considerato inoltre che lo stesso soggetto è replicato in un disegno della
Pierpont Morgan Library di New York a sua volta proveniente dalla collezione
Janos Scholz, ritenuto copia del frammento dell’Ambrosiana. Il disegno newyorkese è di dimensioni analoghe all’esemplare milanese ed è eseguito a inchiostro bruno, che alla vista potrebbe essere confuso con una tonalità rossiccia.
Non vi sono però elementi sufficienti per ipotizzare concretamente una sostituzione fra i due disegni.
210 cm 10.5 × 7.5, matita rossa. Riprodotto in GERLI, 1784, tav. III, n. 24
(prima incisione).
211 Pubblicato dalla Antonelli, è ora inserito nel catalogo dei disegni italiani a
Weimar (ANTONELLI, 1999, p. 240; FISCHER PACE, 2008, p. 84, cat. 143).
212 cm 3.6 × 4.5 (dimensioni complete dell’antico supporto 4.1 × 7.2); tecnica:
matita nera e tracce di inchiostro bruno.
213 cm 6.1 × 5.9, penna a inchiostro bruno su carta preparata verde scurita. Riprodotto in GERLI, 1784, tav. XXXVII, n. 28 (terza incisione).
214 COGLIATI ARANO, 1982, p. 115, cat. 24.
101
Arte Lombarda | SILVIO MARA
7. La pagina 57 del Libro di disegni. Milano, Biblioteca Ambrosiana, F 274 inf. n. 45a-e.
scarsamente leggibile a causa della consunzione della carta, ma
riconosciuto come autografo vinciano215.
Stranamente Bossi non si sofferma a descrivere i disegni tra
la pagina 60 e 61 e si limita a indicare genericamente «21 disegnetti di Leonardo», ma sappiamo che egli li analizzò uno per
uno e di alcuni trasse delle copie. Tra questi ventun disegni si
potrebbero includere quelli di piccole dimensioni incisi dal Gerli
e da lui riferiti al nostro Libro.
Cominciamo indicando i disegni di sicura autografia vinciana F 274 inf. n. 35a-b-d, F 271 inf. n. 17 e F 263 inf. n. 27 i, in
parte copiati dal Bossi (Weimar inv. KK8981/2)216. Oltre a que-
sti potevano concludere la serie dei frammenti vinciani altri più
genericamente riferibili all’ambito leonardesco come i disegni F
274 inf. n. 30, F 274 inf. n. 34 e F 271 inf. n. 19217.
Per la pagina 62 tornano nuovamente preziose le note di Bossi
che vedeva una testa disegnata a matita rossa di probabile autografia vinciana, messa dubitativamente in relazione col Giuda nell’Ultima Cena ma in controparte rispetto al dipinto. Questo disegno
si deve ritenere scomparso perché l’unico foglio preparatorio per
l’apostolo Giuda è quello conservato a Windsor (RL 12547). Il
Ghidolli e il Bossi218 inoltre concordano nel collocare sempre nella
stessa pagina il disegno F 263 inf. n. 26219, che rappresenta col
215
(P. C. MARANI, Leonardo e i leonardeschi nei musei della Lombardia, Milano 1990).
Il terzo non è stato pubblicato dalla Cogliati Arano, ma è possibile che anticamente venisse scambiato per un disegno di Leonardo, anche se di scuola.
218 BAMi, Bossi, S.P. 6/13 sez. B n. 1, fasc. i, f. 159.
219 Ora privo di supporto e inserito in falso margine. Riprodotto in GERLI,
1784, tav. XV, n. 3 (quarta incisione).
L’Ambrosiana e Leonardo..., 1998, p. 92, cat. 30.
FISCHER PACE, 2008, p. 83, cat. 140.
217 Il primo, che la Cogliati Arano riteneva opera di imitatore di Leonardo, è
anche stato messo in relazione con il Ritratto di vecchia di Giorgione (COGLIATI
ARANO, 1982, p. 153, n. 60), mentre il secondo, dapprima considerato di dubbia
autografia sempre dalla Cogliati, è poi stato riconfermato a Leonardo da Marani
216
102
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
8. La pagina 58 del Libro di disegni. Milano, Biblioteca Ambrosiana, F 274 inf. n. 48a-h.
consueto espediente degli accademici della Val di Blenio tale
«compà Giambogn» citato dal Lomazzo nei Rabisch220.
La pagina 63 del Libro si è conservata integra ma è corredata
da due disegni (F 263 inf. n. 23 e F 263 inf. n. 24) solo sul verso
(fig. 10). Si tratta ancora una volta di caricature. Il primo disegno, un profilo maschile con berretto cilindrico sul capo, è una
copia da una testa grottesca leonardesca conosciuta anche attraverso il disegno inv. 1975.96 del Metropolitan di mano di Francesco Melzi. Per il secondo disegno, che raffigura due teste l’una
di fronte all’altra, è stata recentemente riproposta da Pedretti
un’attribuzione in favore di Leonardo, motivata con l’osservazione che questo potrebbe rientrare fra gli ‘scarabocchi’ del Vinci
220
Si veda la corrispondente scheda di catalogo in Rabisch..., 1998, pp. 181182, cat. 33.
221 C. PEDRETTI, Dall’icona all’istoria: il “Cristo portacroce” da Leonardo a Cesare,
in Disegni di Leonardo e della sua cerchia nel Gabinetto dei disegni e stampe delle
Gallerie dell’Accademia di Venezia, a cura di G. Nepi Sciré e A. Perissa Torrini,
così come lo sono le figure analoghe abbozzate al f. 2v del Codice Trivulziano221.
Il recto del foglio 63 reca le impronte di due disegni mentre
al centro campeggia l’antica iscrizione «Di Leonardo Vinci»222.
Non è semplice identificarli per via di un riferimento troppo
generico a «un ritratto del Vinci assai bello» trasmessoci dal
Monti e all’indicazione bossiana forse un po’ contraddittoria di
«un bel profilo copiato da Leonardo, forse di Cesare da Sesto,
come par provare l’orecchio».
La pagina 64 non ci è pervenuta integra ma possiamo intuirne il contenuto, simile probabilmente ai fogli 60 e 61. Infatti
in alto a destra campeggiava il bel profilo femminile disegnato
Firenze 2003, p. 214, fig. 131.
222 cm 20.5 × 27; iscrizioni: in alto a destra antica numerazione «63», al centro
in basso antica iscrizione «Di Leonardo Vinci». Restano le impronte di due disegni posti al centro della pagina di dimensioni cm 10.5 × 8 e 12 × 6.7.
103
Arte Lombarda | SILVIO MARA
9. La pagina 60 del Libro di disegni in un’antica fotografia Anderson (n. 12815). Firenze, Archivi Alinari - Archivio Anderson.
104
da Leonardo su F 274 inf. n. 14223 e sul resto della pagina si trovavano altri cinque piccoli disegni di Leonardo, come ci attesta
il Bossi.
Come si può intuire dai dati finora proposti il ponderoso
nucleo della teste caricate e profili leonardeschi si collocava
grosso modo entro le pagine 50 e 70, ma non a tutte riusciamo a dare una collocazione precisa. Possiamo avere l’idea
compositiva, veicolata attraverso immagini antiche, di soli tre
fogli del Libro ora scomposti che, pur in assenza di specifiche
informazioni, si potrebbero collocare verosimilmente tra le
pagine 64 e 67.
Il primo ci è noto attraverso una fotografia Anderson (n.
12785) che mostra i disegni caricaturali di Leonardo F 263 inf.
n. 78224 e F 274 inf. n. 53 l’uno di fronte all’altro con relative antiche iscrizioni (fig. 11). Purtroppo l’immagine ci mostra un foglio già decurtato di parte dei margini con la conseguente scomparsa della numerazione. Il disegno F 274 inf. n. 53225 è tuttora
incollato all’antico supporto che costituisce una metà della pagina
originale e che conserva ben distinguibili sul verso le impronte dei
disegni un tempo incollati. Così grazie all’iscrizione «De Lionardo
Vinci» e alla caratteristica forma si è potuto ricondurre a questo
foglio il disegno originale vinciano F 274 inf. n. 25226.
223 cm 10.2 × 8; punta metallica, penna e inchiostro bruno; iscrizioni: sul sup-
225 cm 15 × 11, punta metallica e penna e inchiostro bruno su carta leggermente
porto in alto a destra l’antica numerazione di pagina «64»; sul verso tracce dell’impronta di un disegno non ben distinguibile. È stato riprodotto in GERLI,
1784, tav. IX, n. 7 (seconda incisione).
224 cm 12.8 × 10.4, penna e inchiostro bruno; iscrizioni: sul supporto in basso
l’antica iscrizione «De Lionardo Vinci». Sul verso sono visibili le impronte di
quattro disegni le cui misure sono dall’alto verso il basso e da sinistra a destra:
cm 6.8 × 2.5 ca.; 7 × 5; 4 × 3.8; 5 × 5. Riprodotto in GERLI, 1784, tav. XXIII,
n. 45 (prima incisione).
preparata. Iscrizioni: sul supporto in basso, ripiegato dietro il disegno, l’antica
iscrizione «De Lionardo Vinci». Sul verso in basso l’antica iscrizione «De Lionardo Vinci». Sul verso sono visibili le impronte di tre disegni le cui misure
sono dall’alto verso il basso e da sinistra a destra: cm 9.5 × 6.5; 6.8 × 2.1 (è
l’altra metà del precedente che misura 6.8 × 2.5); 6.4 × 4.4. Riprodotto in
GERLI, 1784, tav. XXIII, n. 45 (seconda incisione).
226 cm 6.4 × 4.4, penna e inchiostro bruno. Riprodotto in GERLI, 1784, tav.
XXV, n. 5 (terzultima incisione).
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
10. Il verso della pagina 63 del Libro di disegni in un’antica fotografia Anderson (n. 12802). Firenze, Archivi Alinari - Archivio Anderson.
Un’altra paginata di disegni si riconosce nella fotografia n.
12786 Anderson, priva anch’essa dell’antica numerazione, che
presenta secondo un criterio di simmetria i profili di vecchi disegnati da Leonardo in F 263 inf. n. 93, F 263 inf. n. 92 e F 263
inf. n. 94 (figg. 12-13).
Composizione più variegata offriva un altro foglio riconoscibile
nell’immagine Anderson n. 12805, che vedeva la presenza di due
disegni caricaturali attribuiti a Girolamo della Porta (F 274 inf. n.
42 e F 274 inf. n. 52), quasi a incorniciare l’altro profilo grottesco
F 274 inf. n. 33 e più in basso, stranamente, il disegno F 263 inf.
n. 68, primo pensiero per la Conversione di Saulo del Pordenone
(fig. 14). Non è l’unico caso all’interno del Libro in cui si propone
un accostamento tra disegni leonardeschi e pordenoniani.
Più complicato da decifrare è il foglio di disegni F 274 inf. n.
54a-i che contiene una serie di teste caricate tutte riprodotte dal
Gerli con riferimento al nostro Libro, a proposito delle quali già
la Cogliati Arano avvertiva la possibilità che si trattasse di copie
realizzate anche ben al di là del XVI secolo227. Qualche motivo
di sospetto effettivamente c’è: i disegni sono tutti incollati su una
specie di cartoncino moderno con una recente partizione in tre
fasce. Sarebbe piuttosto difficile a credersi che i disegni fossero
stati asportati dal supporto originale per essere reincollati su uno
nuovo. Inoltre almeno due profili di questo foglio sono ripetuti
nel disegno F 274 inf. n. 50, il che rende praticamente impossibile capire da quale disegno abbia copiato il Gerli. È sintomatica
anche la scelta museografica del Beltrami che, come si può notare
nell’immagine succitata del Gabinetto di Leonardo, non espose
questo foglio nella vetrina dedicata alle caricature leonardesche.
Per concludere la serie di teste caricate ci restano da includere nel Libro i disegni incisi dal Gerli ai quali non è stato possibile dare una collocazione precisa, ma che verosimilmente
vanno ricondotti a questa sezione. Sappiamo ad esempio che i
disegni F 274 inf. n. 16 e F 274 inf. n. 18 con un profilo maschile e femminile, realizzati da un ignoto artista leonardesco,
erano incollati sullo stesso foglio come ricorda il Bora che li aveva potuti vedere in un’immagine antica non più rintracciabile228. Il profilo di F 274 inf. n. 16 inoltre con evidenza faceva
227
COGLIATI ARANO, 1982, p. 120.
BORA, 1987, pp. 181-181. Con un riferimento errato a BAMi, F 274 inf.,
n. 10 in luogo di BAMi, F 274 inf., n. 16.
228
105
Arte Lombarda | SILVIO MARA
106
parte del Libro proprio per l’antica iscrizione seicentesca (la cui
mano è già stata segnalata sotto altri disegni) che lo riferiva al
disegno posto al foglio 22229.
Su uno stesso foglio stavano anche le due caricature vinciane
F 274 inf. n. 27 a-b230, che conservano ancora parte dell’antico
supporto e sono corredate dall’ormai consueta iscrizione, e i due
piccoli disegni F 274 inf. n. 26 a-b231.
Sono invece ormai sciolti i disegni F 263 inf. n. 22, F 263
inf. n. 90, i tre disegni di Leonardo F 274 inf. n. 28-29 e F 274
inf. n. 34a, la caricatura riferibile all’Accademia della Val di Blenio F 274 inf. n. 24, F 274 inf. n. 43, F 274 inf. n. 49, F 263
inf. n. 25, F 274 inf. n. 31, F 274 inf. n. 32, F 263 inf. n. 12.
Di grande interesse è la notizia dataci dal Bossi che al verso
di pagina 65 e a pagina 66 vedeva alcuni disegni di Bernardo Zenale, disegni intorno ai quali si desidererebbe sapere di più per
fare più chiarezza sull’assai esiguo catalogo di prove grafiche a lui
attribuite232. Sempre a detta dello stesso alla pagina 67 c’erano
due «torsi attribuiti a Bernardino Luini», notizia suffragata anche dalla relazione Monti che precisava la realizzazione a matita
rossa di uno e a matita nera dell’altro.
Il fatto che il Bossi non si esprima circa l’attribuzione al Luini
dimostra eloquentemente che non poteva accettarla acriticamente, così la sua affermazione concorre all’identificazione coi due
disegni di Marco d’Oggiono F 271 inf. n. 38 e F 263 inf. n. 37,
che raffigurano la sola parte anatomica del busto. Il primo infatti
è realizzato a sanguigna ed è stato messo in relazione, seppur con
significative variazioni, con la tavola del San Sebastiano al Museo
Poldi Pezzoli233. Il secondo, eseguito a punta metallica su carta
preparata in azzurro, con il san Sebastiano del Polittico dell’Assunzione di Oggiono234.
Ancora al Luini venivano attribuiti nella relazione Monti
«due bambinotti» a pagina 68, che si dovrebbero identificare con
i due bambini raffigurati nel disegno F 263 inf. n. 41, già attribuito all’ambito di Bernardino.
Veniamo alla pagina 69, ora scomparsa, ma riconoscibile grazie
alle accurate indicazioni del Bossi che vedeva un disegno del Bramantino in cui c’era «una lite di cavalli», che non esitava a definire
degna di Leonardo. Il disegno è senza ombra di dubbio il F 263 inf.
n. 13, che reca l’antica numerazione «69» e l’iscrizione semicancellata «Di Bramantino». L’osservazione bossiana è molto acuta perché
è stato riconosciuto, specialmente nel gruppo di cavalli in basso,
l’apprendimento della lezione vinciana da parte del Bramantino che
qui copia o forse rielabora analoghe composizioni leonardesche235.
Di fianco a questo disegno, che occupava mezza pagina del
Libro, Bossi vedeva «una piccola Pietà del Gobbo» che si riconosce in F 269 inf. n. 43, esemplare che per identità di stile si inserisce nel gruppo di disegni che il Bora ha attribuito a Cristoforo
Solari236. La sua proposta sembra trovare conferme proprio dalla
ricostruzione di alcune pagine del Libro, che recavano la stessa
attribuzione fin dal tardo Cinquecento, confermata anche dal
giudizio critico del Bossi.
Ritornando allo sfogliato del Libro, al verso di pagina 69
avremmo trovato quello che il Bossi definiva un «putto del Luino», identificabile probabilmente col disegno F 263 inf. n. 44.
Abbastanza chiara è la configurazione della pagina 70, che ospitava il disegno con le teste di Giuda e Pietro (fig. 15) prese dall’Ultima Cena di Leonardo (F 274 inf. n. 5237) e a fianco un’altra Pietà
di Cristoforo Solari, ma attribuita ab antiquo a Leonardo (F 281
inf. n. 38 recto238). Notevole è l’attribuzione del disegno dei due
apostoli a Marco d’Oggiono da parte del Bossi: infatti, seppure formulata come ipotesi, si pone in assoluto anticipo e probabilmente
nasce dal confronto con la copia dell’Ultima Cena ai suoi tempi
conservata in San Barnaba e ora alla Pinacoteca di Brera, che egli
nel suo volume Del Cenacolo attribuisce al pittore oggionese239.
229
disegni lombardi e genovesi del Cinquecento, Treviso 1980, pp. 5-6; poi ribadita
in G. BORA, Indicazioni sul disegno lombardo fra Quattro e Cinquecento per la
scultura, in Giovanni Antonio Amadeo: scultura e architettura del suo tempo, a
cura di J. Shell e L. Castelfranchi, Milano 1993, pp. 570-572, figg. 15-17, 1920. Tale ascrizione al catalogo del Solari non viene confermata – pur senza avanzare motivazioni – dalla Zanuso; Giovanni Agosti invece non si dice certo che
l’antica iscrizione portata dal Bora a sostegno della sua tesi possa confermare
l’attribuzione al Gobbo (S. ZANUSO, Cristoforo Solari tra Milano e Venezia, in
«Nuovi studi», 8 (2000), p. 32 n. 57; G. AGOSTI, Disegni del Rinascimento in
Valpadana, Firenze 2001, p. 47 n. 144).
237 Nella fotografia utilizzata dal database Coleman e in varie pubblicazioni era
ancora visibile sull’antico supporto l’iscrizione in basso «Di Leonardo Vinci»,
ora scomparsa assieme al supporto.
238 cm 19 × 14.2, pennello e acquerello verde, sull’antico supporto in basso antica iscrizione «De Leonardo Vinci». Sul verso del disegno uno schizzo di edificio ottagonale in pianta. Sul verso dell’antico supporto visibile l’impronta di
un disegno con profilo irregolare e dimensioni massime cm 11.5 × 12.2, sotto
cui c’è l’antica iscrizione «Dal Anticho».
239 L’attribuzione a Marco d’Oggiono è stata sostenuta per un parallelo tra il disegno
dell’Ambrosiana e la copia del Cenacolo a Brera. Si veda SEDINI, 1989, p. 73, scheda
n. 29, pp. 180-181, scheda n. 88. Inizialmente sostenuta anche dal Bora, questa attribuzione è stata recentemente ridiscussa con una nuova proposta in favore di Bernardino Luini (si veda G. BORA, scheda in Splendori di corte. Gli Sforza, il
Rinascimento, la città, a cura di L. Giordano e M. Olivari, Milano 2009, p. 190).
cm 10 × 7.9, penna e inchiostro bruno; iscrizioni: sul supporto in basso di
mano seicentesca «si riferisce a fol. 22».
Tracce di acquerellatura sul supporto. Sul verso impronta parziale di un disegno.
Riprodotto in GERLI, 1784, tav. VIII, n. 15 (quarta incisione).
230 cm 7.7 × 4.7, penna e inchiostro bruno, antica iscrizione frammentaria sul
supporto sotto il disegno «...do Vinci», riprodotto in GERLI, 1784, tav. XXII,
n. 38 (terzultima incisione); cm 7.6 × 4.7, penna e inchiostro bruno, sul verso
impronta di un piccolo disegno di ca. 2 × 4 cm e un’antica iscrizione frammentaria «Bernardi...», riprodotto alla tav. XXVII, n. 40 (incisione in alto a destra).
231 Ora incollati su un frammento antico di dimensioni cm 13.5 × 4.5.
232 Si vedano i cinque esemplari attribuiti allo Zenale in Butinone e Zenale, a
cura di J. Shell, F. Rossi e P. De Vecchi, Bergamo 1994, pp. 440-441.
233 D. SEDINI, Marco d’Oggiono. Tradizione e rinnovamento in Lombardia tra
Quattrocento e Cinquecento, Milano 1989, p. 32, scheda n. 4.
234 SEDINI, 1989, p. 188, scheda n. 94.
235 COGLIATI ARANO, 1982, pp. 122-123.
236 Lo studioso, infatti, ha rilevato che la particolare tecnica a tratti di pennello
molto abbreviati e combinati con un fitto incrocio di linee è fondamentale per
una resa plastica dei soggetti disegnati e ben si addice a quelli che forse dovevano
essere modelli per la scultura. In più il Bora ravvisava queste caratteristiche in
un nucleo ben preciso di disegni all’Ambrosiana che proponeva di attribuire al
Solari. Il gruppo consiste dei disegni BAMi, F 281 inf., n. 38, BAMi, F 269
inf., n. 21, BAMi, F 269 inf., n. 23, BAMi, F 269 inf., n. 27, BAMi, F 269
inf., nn. 43-44. L’attribuzione è stata esposta per la prima volta in G. BORA, I
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
11. Una pagina del Libro di disegni in un’antica fotografia Anderson (n. 12785). Firenze, Archivi Alinari - Archivio Anderson.
Entrambi i disegni della pagina 70 avevano incuriosito anche
il conte Rezzonico, che a proposito della Pietà, ora attribuita al Solari, sosteneva una parentela con un affresco di Leonardo scomparso in Santa Maria delle Grazie che era ricordato dallo storico
secentesco del monastero, il padre Gattico (Appendice documentaria, 3). La sua ovviamente è solo un’elucubrazione perché già ai
suoi tempi l’affresco vinciano non esisteva più e non ne è nota la
composizione. Resta da capire il perché dell’antica iscrizione cinquecentesca che assegnava il disegno a Leonardo, ma lungi dal
considerarla una evidente svista (non si capirebbe perché l’altro disegno F 269 inf. n. 27 che segue, del tutto analogo per tecnica e
stile, venisse attribuito anticamente mediante iscrizione al Solari),
si dovrebbe ipotizzare che forse la composizione, seppure realizzata
da un altro maestro, facesse memoria di qualche opera vinciana.
Non mi pare privo di senso in questo contesto portare l’attenzione sul famoso inventario delle opere che Leonardo portava con
sé da Firenze a Milano nel 1482, dove nel finale si allude a «una
storia di Passione fatta in forma»240, che tradizionalmente è stata
identificata dai commentatori come un’opera plastica, forse un bassorilievo. Anche il disegno del Solari, oltre a mostrare una tecnica
che finge realisticamente un rilievo, nella composizione e soprattutto nel particolare dello sperone di roccia prominente verso l’osser-
vatore pare riferirsi a una sorta di bassorilievo. Chiaramente il disegno dell’Ambrosiana non mostra di essere stato ripreso da un’opera
di Leonardo, tuttavia non si può escludere a priori che il postillatore
avesse una motivazione ben precisa che per noi resta indecifrabile.
Una terza Pietà attribuita al Solari (F 269 inf. n. 44) dovette
quasi certamente far parte del Libro, perché conserva ancora il
supporto cartaceo che è il medesimo delle pagine antiche del volume, anche se con le informazioni disponibili non si riesce a definirne la collocazione precisa.
Invece vi sono elementi per affermare che nelle pagine seguenti del Libro conviveva un nuovo genere finora non rappresentato,
ovvero i disegni aventi per soggetto copie dall’antico. Ne è prova
l’impronta di un piccolo disegno sul verso della pagina 70, che
l’iscrizione definisce «Dal Anticho», così come al foglio 73, dove
secondo la relazione Monti si dovevano trovare due figure copiate
dall’antico, e infine, sempre a detta della stessa fonte, alla pagina
79 un Ercole forse copia da una statua classica.
240 Il documento è stato ripreso e commentato più volte; da ultimo si faccia ri-
ferimento alla silloge di testimonianze contemporanee a Leonardo esposte in
Leonardo da Vinci. I documenti e le testimonianze contemporanee, a cura di E.
Villata, Milano 1999, p. 15, doc. 19.
107
Arte Lombarda | SILVIO MARA
12. Una pagina del Libro di disegni in un’antica fotografia Anderson (n. 12786). Firenze, Archivi Alinari - Archivio Anderson.
108
Alla pagina 72 il Bossi ricordava una «donna sedente con un
putto del Luino pubblicata dal Mantelli», che va necessariamente riconosciuto nel disegno di Bernardino Luini F 263 inf. n. 42
riprodotto in incisione da Girolamo Mantelli nel 1785241.
La descrizione Monti ci ricorda sia alla pagina 74 sia alla 92,
forse in duplice copia, «due fanciulli di Andrea Mantegna» che
altri non potrebbero essere che quelli disegnati nella copia da
un’incisione di Mantegna attribuita a Zoan Andrea (attivo Mantova 1475 ca. - Milano 1520 ca.) con segnatura F 271 inf. n. 52.
Sempre nel foglio 74 la relazione Monti fa memoria di un disegno a penna di Bramante rappresentante «una mezza figura».
Non si riescono a identificare i due soggetti indicati dal
Monti alla pagina 75, ma si rivela utile l’indicazione del Bossi
per la pagina 76, infatti i «tre disegnini di cavalli leonardeschi»
sono gli attuali F 263 inf. n. 1-3, che puntualmente sono stati
copiati dal Bossi. Strana però è la sorte di questa copia bossiana,
che non è confluita con le altre già citate nel Gabinetto dei disegni di Weimar e forse per una svista originatasi nell’Ottocento è
giunta alle Gallerie dell’Accademia di Venezia con la collezione
di disegni antichi del Bossi. La copia bossiana (inv. 1460), che
mostra evidentemente un tratto moderno, è stata erroneamente
pubblicata all’interno dei disegni di provenienza Bossi realizzati
dall’artista olandese Pierre David Humbert de Superville (17701849) senza poterne identificare il soggetto reale242.
Il disegno F 263 inf. n. 3, che risulterebbe già collocabile alla
pagina 60, dev’essere stato spostato in epoca tarda perché la fotografia Anderson già presentata (n. 12815) ci restituisce un foglio ormai separato dal Libro di origine e forse manipolato. Inoltre la composizione così come è stata copiata dal Bossi è molto
omogenea e propone un significativo accostamento tra F 263
inf. n. 2 e F 263 inf. n. 3, che probabilmente appartengono alla
stessa mano di un anonimo imitatore di Leonardo.
La «donna che si addormenta» indicata dal Bossi sul verso della pagina 78 deve essere il disegno F 290 inf. n. 16, già attribuito
a Jacopo de’ Barbari (Venezia, 1450 ca. - Malines (?), 1515 ca.) e
poi riconsiderato come copia di un autore verosimilmente lombardo e vicino ai modi di Bernardino Luini. In questo senso si
comprende l’intuizione bossiana di un certo fare luinesco.
È impossibile stabilire quale sia il «Cristo morto con altri in
ischizzo del Mantegna» citato nella descrizione Monti a pagina
80, che non pare potersi identificare con i disegni conosciuti di
analogo soggetto realizzati da Andrea Mantegna243.
241 G. MANTELLI, Raccolta di disegni incisi da Girolamo Mantelli di Canobio
sugli originali esistenti nella Biblioteca Ambrosiana di mano di Leonardo da Vinci
e de suoi scolari lombardi, Milano 1785, tav. XXIV.
242 Gallerie dell’Accademia. Disegni di Humbert de Superville, a cura di A. Perissa
Torrini, Milano 1991, p. 144, cat. 194.
243 Si vedano, ad esempio, il disegno della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia e quello delle Gallerie dell’Accademia di Venezia che mostrano un storia
collezionistica abbastanza delineata, per l’indicazione della quale si rimanda a
Mantegna 1431-1506, catalogo della mostra (Parigi, 2008-2009), a cura di G.
Agosti e D. Thiébaut, Milano 2008, pp. 143-144 cat. 43, 144-145 cat. 44.
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
13. Una pagina del Libro di disegni ridotta in frammenti con una differente composizione dei disegni (studio fotografico Brogi n. 1159B). Firenze, Archivi Alinari
- Archivio Brogi.
Al contrario ci è pervenuta integra metà della pagina 81, a cui
alludeva il Bossi ricordando vari disegni del Solari sia sul recto
che sul verso. Ora noi vediamo il disegno F 269 inf. n. 27244 su
cui sono rappresentati due soggetti biblici: sulla sinistra un Angelo
annunciante e sulla destra Giuditta con la testa di Oloferne. L’antica iscrizione, della solita mano tardo cinquecentesca che postillò
il Libro, già attribuiva al Solari questo disegno, così come due dei
quattro disegni che erano incollati sul verso ora identificabili grazie alle impronte con F 269 inf. n. 21 e F 269 inf. n. 23.
Alla pagina 82 si trovava a detta del Bossi una «bella testa»,
mentre sempre lo stesso non poteva mancare di menzionare sul
verso della pagina il celebre disegno di Dürer F 264 inf. n. 8 raffigurante San Gerolamo nello studio.
Altrettanto certa è l’identificazione del disegno a pagina 85
con F 271 inf. n. 14 rappresentante una Lucrezia e attribuito a
Bernardino Luini. Allude al disegno oltre che il riferimento bossiano anche la relazione Monti, che però non individua esattamente il soggetto e preferisce accennare più genericamente a
«una donna in bella positura».
La pagina 86 del Libro ci è pervenuta integra perché su di essa fu realizzato a tutta pagina il disegno classificato con la segna-
tura F 283 inf. n. 91245. Il disegno mostra delle evidenti consonanze con le tecniche esecutive utilizzate nelle prime pagine del
Libro, riscontrabili nel soggetto tracciato a penna fin nei dettagli
e poi arricchito dall’acquerellatura. L’abituale scrittura che postilla il Libro qui ci descrive il soggetto e dimostra che evidentemente l’artista copiò da un esemplare antico, verosimilmente da
una stampa, che raffigurava Castel Sant’Angelo ai tempi di papa
Leone X, cioè tra il 1513 e il 1521. Si spiega così l’apparente incapacità alla resa prospettica di tutte le parti architettoniche, che
con molta probabilità andrà addebitata all’originale da cui l’artista copiò. Il soggetto non è da considerarsi casuale, infatti riscontriamo l’interesse da parte del collezionista per le raffigurazioni
di fortezze in epoche antecedenti alla propria. In più qui senza
faticare troppo si può vedere un parallelismo simbolico con il
Castello Sforzesco rappresentato quasi a inizio del Libro, come
se l’autore del volume volesse alludere ai due simboli del potere
temporale nelle due capitali italiane.
Tra le numerosissime raffigurazioni di Castel Sant’Angelo
non è immediato il riconoscimento del prototipo per il disegno
dell’Ambrosiana, e si fa ancora più difficile nell’arco cronologico di nostro interesse. Inoltre il taglio prospettico scelto con una
244 cm 18 × 15 (dimensioni del supporto), penna e inchiostro bruno, sul
supporto in basso antica iscrizione «Del Gobbo Scultore Milanese». Sul verso
del supporto in basso antica iscrizione «Del Gobbo Scultore Milanese». Sul
verso impronte di due disegni non identificati le cui misure sono: cm 4 × 5 ca.;
3.5 × 10 ca.
245
cm 20.7 × 27.2 (dimensioni foglio); penna e inchiostro bruno, acquerello
verde; in alto a sinistra l’antica iscrizione «Castello s.to Angelo la parte volta á
levante / che così era al tempo di Papa Leone X», in alto a destra l’antica numerazione di pagina «86». Sul verso del foglio sotto l’impronta di un disegno l’antica iscrizione «Di Carlo da Crema».
109
Arte Lombarda | SILVIO MARA
110
visione da est è piuttosto inusuale e molto meno scenografico
delle classiche vedute246.
Sul verso della pagina 86 possiamo collocare, grazie all’antica
iscrizione tuttora presente e a una nota nella relazione Monti, il
disegno di Carlo Urbino F 254 inf. n. 1601, che raffigura una
teoria di angeli inneggianti ed è preparatorio per l’affresco nel
catino absidale della navata della chiesa di Santa Maria di Campagna a Pallanza247. Il disegno, che reca la data 1578 insieme ad
interessanti iscrizioni dell’Urbino, fu male interpretato dall’autore della relazione seicentesca che vi aveva visto a torto un Giudizio Universale.
La pagina seguente, la numero 87, si è conservata integra con
la segnatura F 269 inf. n. 30-36 e mostra un bizzarro assemblaggio di disegni. Si deve presumere che prima dell’inserimento dei
disegni venisse realizzato, forse per mano dello stesso Clarici, il
disegno ad acquerello al centro della pagina. Infatti, se negli altri
fogli si riconosce come criterio guida per il collezionista l’attinenza tematica, richiamata anche in modo vago, oppure la contrapposizione di generi o anche solo la simmetria nell’impaginazione, in questo caso non c’è motivo di eseguire un ritratto a
complemento dei disegni presentati.
La dissonanza è confermata dal soggetto, perché a ben vedere
in questo ritratto si scopre la copia della famosa effigie di Martin
Lutero così come appare nelle numerose tavolette eseguite da
Lucas Cranach il Vecchio per il matrimonio dell’ex frate agostiniano con Katharina von Bora nel 1525. I piccoli dipinti in tondi o in forma di dittici con i rispettivi busti dei due coniugi vennero realizzati e diffusi dal maestro e dalla sua bottega per una
esplicita finalità propagandistica tesa a legittimare l’unione dei
due248. Non doveva essere difficoltoso quindi il reperire questo
ritratto di Lutero e il nostro artista mostra di avvicinarsi maggiormente nella resa del volto e della capigliatura all’esemplare
più antico firmato e datato 1525, ora conservato a Basilea presso
il Kunstmuseum249.
Questa presenza non deve essere però interpretata come segno di eterodossia da parte del proprietario, che al contrario fu
fedelissimo alla monarchia spagnola e devoto cattolico. Si deve
invece leggere come interesse collezionistico per i ritratti di personaggi storici, e infatti in queste ultime pagine del Libro forse
se ne conservava una serie. Con la sua sfascicolazione del Libro
se ne deve essere persa la forma ma abbiamo qualche fortunato
accenno nella relazione Monti, la quale alla pagina 89 citava un
ritratto del re di Napoli Ferdinando I, che veniva riferito a un
certo «Bologna». Pare che il ritratto non si sia conservato, e quindi non ci resta altro che riflettere sulle parole con cui è descritto.
Innanzitutto è realistico che vi fosse un ritratto di Ferdinando I
così come è plausibile la presunta data di esecuzione, perché nel
1472 avvennero i primi contatti diplomatici tra Milano e Napoli
per promettere in sposa Isabella d’Aragona, nipote di Ferdinando, a Gian Galeazzo Sforza. Poco chiaro è al contrario il riferimento a tale «Bologna» che – fatto salvo un possibile travisamento in fase di trascrizione dall’originale secentesco – sembra
impossibile identificare fra gli artisti quattrocenteschi. Un altro
ritratto celebre si doveva trovare alla pagina 94 sulla quale la descrizione Monti citava una copia del ritratto di Raffaello presente
in Vaticano, cioè il presunto autoritratto del Sanzio nella Scuola
di Atene.
Ritornando alla pagina 87 bisogna dare conto dei disegni che
coronano il ritratto di Lutero. Si hanno i tre disegni F 269 inf.
n. 30, F 269 inf. n. 34 e F 269 inf. n. 31 che il collezionista indicava mediante iscrizioni come opere di Orazio Samacchini
(1532-1577). In realtà i disegni, che rappresentano studi di nudi
virili, sono stati attribuiti a Lattanzio Gambara250.
La pagina poi si completa con i tre disegni del Pordenone F
269 inf. n. 36 e F 269 inf. n. 32-33. Rientrano tutti nella categoria dei ‘primi pensieri’ secondo la classificazione del Cohen,
cioè rappresentano quel tipo di disegni che il Vasari chiamava
schizzi e che nell’elaborazione artistica del Pordenone si pongono come prima idea sintetica di quella che sarà la composizione
finale251. Il disegno F 269 inf. n. 36 infatti costituisce un ‘primo
pensiero’ per la composizione della Raccolta della manna raffigurata dal Pordenone sulle ante d’organo nella chiesa del Santissimo Corpo di Cristo a Valvasone.
Come già rilevava il Cohen la quasi totalità di questi ‘pensieri’ si trova in Ambrosiana e la ricostruzione del Libro di disegni
ha permesso di appurare che, a quanto ci risulta finora, la maggioranza di essi stavano incollati fra le pagine del volume252. Ciò
si spiega col fatto che in molti casi questi schizzi furono tagliati
da uno stesso foglio, che verosimilmente arrivò tra le mani del
nostro collezionista.
246 Uno degli esemplari a stampa più antichi mi pare si possa individuare nella
terials, techniques and workshop practice, Amsterdam 2007, pp. 79-80).
250 L’attribuzione si deve al Ruggeri, che pur ravvisando la maniera di Girolamo
Romanino preferiva assegnarli al Gambara per analogia di tratto con il disegno
in BAMi, F 281 inf., n. 35 e con il Gruppo di nudi con un cane dell’Albertina
(inv. 25000); si veda RUGGERI, 1979, pp. 76-77, cat. 69. Nel frattempo, però,
è mancato come termine di paragone quest’ultimo disegno dell’Albertina che
è stato riassegnato al Romanino; A. NOVA, The drawings of Girolamo Romanino.
Part. I, in «The Burlington Magazine», 1101 (1995), pp. 148-159; Romanino.
Un pittore in rivolta nel Rinascimento italiano, catalogo della mostra (Trento), a
cura di L. Camerlengo et al., Milano 2006, pp. 354-355, cat. 89.
251 C. H. COHEN, The drawings of Giovanni Antonio da Pordenone, Firenze
1980, pp. 8-12.
252 Si veda ad esempio lo schizzo per la Conversione di san Paolo (BAMi, F 263
inf., n. 68) già presentato precedentemente.
incisione di Giovanni Battista Scultori databile presumibilmente al terzo decennio del Cinquecento per la quale si veda The illustrated Bartsch. Italian artists
of the Sixteenth century, 31, New York 1986, p. 24.
247 Il disegno è stato pubblicato per la prima volta dal Bora, che vi riconobbe
la mano di Carlo Urbino e lo mise in relazione con gli affreschi di Pallanza: G.
BORA, Un ciclo di affreschi, due artisti e una bottega a S. Maria di Campagna a
Pallanza, in «Arte Lombarda», 52 (1979), pp. 90-106.
248 Da ultimo si veda Cranach, catalogo della mostra (Francoforte - Londra
2007-2008), a cura di B. Brinkmann, London 2007, pp. 192-193.
249 Si veda M. J. FRIEDLÄNDER - J. ROSENBERG, Les peintures de Lucas Cranach,
Parigi 1978, p. 110, cat. 187-188. Quest’ultimo tra l’altro presenta un caratteristico sistema ad incastro fra i due tondi che fa sì che possa diventare all’evenienza
un piccolo portagioie (G. HEYDENREICH, Lucas Cranach the Elder. Painting ma-
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
14. Una pagina del Libro di disegni in un’antica fotografia Anderson (n. 12805). Firenze, Archivi Alinari - Archivio Anderson.
Questa pagina 87 però fu certamente manipolata, perché i
disegni F 269 inf. n. 32-33 furono incollati successivamente in
sostituzione di un disegno di cui si intravede ancora l’impronta.
Ad ogni modo anche questi due disegni sono ‘primi pensieri’ per
una composizione a noi ignota in cui compare un dignitario sotto una tenda o baldacchino con una schiera di personaggi che
rendono omaggio. Gli schizzi a loro volta furono ritagliati da
uno stesso foglio, che in precedenza fu utilizzato come lettera datata al maggio 1536, la quale si può ricomporre sul verso dei disegni sempre conservati all’Ambrosiana F 268 inf. n. 39, F 282
inf. n. 95 e F 271 inf. n. 18253.
La serie dei ‘pensieri’ continuava sul verso della pagina e ne
possiamo ricostruire il contenuto grazie alle impronte rimasteci
e alle iscrizioni che ci fanno da guida. Il foglio ospitava sei disegni, due dei quali di Leonardo, se prestiamo fede all’iscrizione
sottostante e alla testimonianza del Bossi che citava «due pezzettini di Leonardo», riconoscibili grazie alle tracce di colla lasciate
in F 263 inf. n. 28 e F 274 inf. n. 35c. Caso particolare è quello
del disegno di Leonardo F 263 inf. n. 28 raffigurante un profilo
maschile, che sul verso reca una scritta e uno schizzo architettonico, i quali hanno portato giustamente Pedretti alla conclusione
che questo sia un frammento ritagliato dal f. 1023 (già f. 382)
del Codice Atlantico. L’argomento ci induce a riflettere, perché
implica necessariamente che questo frammento fosse verosimilmente nelle disponibilità del Clarici, possessore del Libro di disegni, prima o dopo l’assemblamento da parte di Pompeo Leoni
del Codice Atlantico254.
I restanti disegni del Pordenone erano assemblati in modo da
coprire quasi tutta la pagina ed erano indicati come di sua mano
grazie a un’iscrizione posta sotto di essi. Il disegno più grande in
253
tegrata ab antiquo con un rappezzo cartaceo, mentre le altre due in corrispondenza dei frammenti di Windsor sarebbero cronologicamente successive
e non integrate; i due piccoli disegni di Windsor sarebbero stati prelevati direttamente da Pompeo Leoni (per una trattazione specifica e per una ricostruzione grafica del foglio vinciano si veda C. PEDRETTI, I fogli
dell’Ambrosiana, in ID., Studi vinciani. Documenti, analisi e inediti leonardeschi, Ginevra 1957, pp. 237-248).
C. FURLAN, Il Pordenone, Milano 1988, pp. 314-316.
Un argomento utile per affrontare questa problematica può essere individuato nella riflessione proposta da Pedretti, che nel 1957 osservando il f.
382 (ora 1023) del Codice Atlantico notava tre lacune prodotte rispettivamente dai frammenti 12451 e 12713 di Windsor e dal frammento ambrosiano BAMi, F 274 inf., n. 35c. Egli osservava però una fondamentale
differenza: infatti la lacuna causata dal frammento ambrosiano era stata in-
254
111
Arte Lombarda | SILVIO MARA
alto era certamente l’attuale schizzo conservato al Cabinet des
Dessins del Louvre inv. 10708. Lo confermano le misure, che
combaciano perfettamente, così come l’antica collocazione del
disegno nel famoso Album Vallardi, che fu venduto al Louvre
nel 1856. È un’ulteriore riprova del comportamento fraudolento del Vallardi durante la sua permanenza in Ambrosiana. Il disegno è uno schizzo – forse relazionabile a una decorazione parietale a noi sconosciuta – che rappresenta su due registri orizzontali come in un fregio un corteo bacchico e una battaglia
con cavalieri255.
Sotto questo disegno c’era il primo pensiero (F 263 inf. n.
69) per la Giustizia di Traiano, episodio affrescato da Pomponio
Amalteo nella Loggia municipale di Ceneda. Il disegno dell’Ambrosiana testimonia, assieme a uno studio per la stessa composizione ora al Louvre (inv. 5426), che probabilmente la commissione dell’affresco era stata affidata inizialmente al Pordenone.
A completare il mosaico di disegni nella pagina si inserivano
le due scene sacrificali in F 269 inf. n. 24-25, che paiono provenire dallo stesso foglio ritagliato e rappresentano i primi pensieri
forse riconducibili a particolari dei fregi sulla facciata di palazzo
Tinghi a Udine256.
Esiste un’altra pagina integra del Libro che risulta tappezzata
da disegni del Pordenone (F 271 inf. n. 39-41) alla quale purtroppo non si riesce a dare una sistemazione precisa perché è stata rifilata lungo i contorni con la conseguente perdita dell’antica numerazione. Il foglio ospita quattro disegni omogenei sia per la tecnica, la sanguigna, sia per il soggetto: si riferiscono tutti a pensieri
per la composizione di una Sacra Famiglia e sono contrassegnati
da tre antiche iscrizioni che li riferiscono al Pordenone257.
Procedendo troviamo alla pagina 88 il disegno F 282 inf. n.
43, di Fede Galizia così come viene indicato nella relazione
Monti e confermato dall’antica iscrizione posta sul disegno. Il
soggetto qui rappresentato è stato riconosciuto dal Berra come
un possibile disegno preparatorio per un’incisione, come pare
suggerire il particolare linguaggio grafico utilizzato258.
Il verso del foglio 90 ci è noto attraverso un’antica fotografia
Braun (n. 75061) conservata presso la biblioteca della Raccolta
Vinciana che risponde correttamente a quanto veniva annotato
dal Bossi. Purtroppo la fotografia è ritagliata, per cui si vede solamente una metà della pagina (fig. 16) con il disegno di Giovanni
Agostino da Lodi F 263 inf. n. 52, sotto il quale sono incollati i
due disegnini del Pordenone F 263 inf. n. 66a-b. Questi ultimi
255
Si veda la scheda critica in FURLAN, 1988, pp. 282-283.
FURLAN, 1988, pp. 283-284.
257 Il verso di questa pagina doveva conservare uno o più disegni del Pordenone
come sembra dall’iscrizione, però non siamo in grado di indicarli perché non è
possibile rilevarne le misure esatte a partire dalle impronte lasciate.
258 BERRA, 1992, pp. 37-44.
259 Credenza che può essere plausibile visto che anche la Cogliati Arano li pubblicò come originali vinciani (COGLIATI ARANO, 1982, p. 105), nonostante i
disegni fossero stati inclusi dal Cohen nel novero delle opere del Pordenone
(COHEN, 1980, p. 88). La Cogliati indicava anche un soggetto alternativo per
il secondo minuto disegno che a suo dire rappresenterebbe una cavalla gravida.
La sua attribuzione non è stata raccolta dalla critica che ha continuato a consi256
112
15. Bernardino Luini (?), Le teste di Giuda e di Pietro dal Cenacolo, immagine
prima del restauro. Milano, Biblioteca Ambrosiana, F 274 inf. n. 5.
due furono copiati dal pittore bustocco (Weimar inv. KK8981/7)
che probabilmente li credeva disegni di Leonardo259.
Sul verso della pagina 92 lo stesso vedeva il disegno di «una
donna che cammina» di Bernardino Luini e lo copiava, segno
che evidentemente lo riteneva degno di considerazione. Singolarmente però non se ne conserva traccia tra quelli conosciuti
presso l’Ambrosiana. Occorre dunque tentare di stabilire un riscontro a partire dalle copie bossiane, che come si è già detto più
volte si conservano in un nucleo ben definito presso il Gabinetto
dei disegni di Weimar260.
Tra questi v’è in effetti un esemplare (inv. KK 8981/12) di
cui recentemente si è identificato l’originale da cui fu copiato261.
Esso rappresenta con evidenza una ripresa puntuale del disegno
derarli opere del Pordenone. Ciò si spiega col fatto che i primi pensieri a penna
del Pordenone risentono spesso dell’influsso leonardesco, tanto che è stata ipotizzata la conoscenza da parte del pittore veneto degli studi di Leonardo per la
Battaglia di Anghiari.
260 La nota di accompagnamento stilata da Cattaneo recita: «No. 16 lucidi in
cinque fogli tratti da Bossi da vari disegni originali in parte esistenti presso la
Biblioteca Ambrosiana, ed in parte presso la ricca collezione di disegni d’Autori
diversi da lui medesimo formata» (FISCHER PACE, 2008, p. 83).
261 Riprodotto in FISCHER PACE, 2008, p. 86. Marani ha notato la relazione
fra la copia bossiana e l’originale del Louvre ipotizzando l’antica provenienza
dell’esemplare di Parigi dalla collezione di Giuseppe Bossi (MARANI, 2008, p.
144 cat. 90).
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
del Louvre inv. RF 478, sanguigna già attribuita al Luini e ora
spostata a un artista di scuola lombardo-emiliana, la quale raffigura una ragazza di spalle che accenna un movimento. Potrebbe
rispondere al sommario accenno del Bossi anche se in tal caso
stupirebbe che questi non si sia soffermato sul carattere licenzioso del soggetto della ragazza vista di spalle che solleva generosamente la veste. In ogni caso, anche se non fosse lo stesso disegno
citato nel Libro, si può teorizzare una sua provenienza dall’Ambrosiana, suffragata in parte dalla storia collezionistica dell’opera
che, prima di arrivare al Cabinet des Dessins con la donazione
His de La Salle, appartenne alla collezione Vallardi, ma soprattutto dal fatto che la copia bossiana rientra nel corpus di quelle
eseguite su disegni di proprietà dell’Ambrosiana.
Con questa notizia si può ritenere sostanzialmente concluso
lo sfogliato del Libro di disegni, che verosimilmente non doveva
eccedere di molto le 94 pagine attestate. Restano tuttavia ancora da illustrare due pagine e alcuni disegni di cui è sicura
l’appartenenza al volume, anche se non è possibile indicarne la
collocazione.
La prima pagina, ora smarrita dopo lo scollamento dei disegni, ci è nota attraverso la fotografia Anderson n. 12783 (fig. 17).
Siamo sicuri si tratti di una pagina del nostro volume sia per il tipo di formato, sia per la presenza al centro del disegno di Leonardo da Vinci F 263 inf. n. 87, riprodotto dal Gerli e riferito al
nostro Libro262. L’assemblaggio è piuttosto curioso rispondendo
al solito gusto per la simmetria e per i contrappunti tematici; così
fiancheggiano il disegno vinciano i due teschi di ignota mano263
F 263 inf. n. 33 e F 263 inf. n. 32, mentre in basso campeggia il
delicato paesaggio di Andrea Solario F 271 inf. n. 37.
Un’ultima pagina del Libro si conservava integra ancora in
tempi recenti, come testimoniano le fotografie dei disegni F 281
inf. n. 29a e F 281 inf. n. 29b utilizzate dal catalogo on-line
dell’Ambrosiana, così come nel catalogo della mostra del 1984
svoltasi alla National Gallery di Washington264. I due disegni, affiancati su una stessa facciata, sono corredati da due antiche
iscrizioni della stessa grafia di quelle presenti nel volume, che li
attribuiscono a Federico Barocci.
Ci accingiamo a concludere la rassegna dei disegni appartenenti al Libro di disegni citando quelli che venivano ascritti al
nostro volume dal Gerli, ma che non siamo stati in grado di collocare precisamente nella ricostruzione dello sfogliato. Ci riferiamo ai tre disegni di Bernardino Luini F 263 inf. n. 19, F 263
inf. n. 19a e F 263 inf. n. 19b un tempo assemblati su un unico
foglio265. Il disegno più ampio, sul quale furono montati gli altri
262
Riprodotto in GERLI, 1784, tav. XVIII.
263 Va notato che probabilmente la serie qui inaugurata proseguiva con gli altri
due teschi BAMi, F 281 inf., n. 40 e BAMi, F 281 inf., n. 41, di analoghe dimensioni e tecnica, ma verosimilmente di mano diversa, rappresentati di fronte
e con una visuale dall’alto. Un terzo esemplare, BAMi, F 281 inf., n. 42, pare
una copia di mediocre mano del già citato BAMi, F 263 inf., n. 32.
264 La rimozione dal supporto avvenne in questa occasione e nella scheda di
catalogo si avvertiva della identità della grafia sottostante ai disegni con alcune
delle altre iscrizioni presenti in Ambrosiana e qui già segnalate. Nella scheda
16. Porzione di un foglio del Libro di disegni in un’antica fotografia Braun
(n. 75061). Milano, Biblioteca dell’Ente Raccolta Vinciana.
due più piccoli, mostra studi per un volto femminile. I due disegni più ridotti sono uno studio per il Cristo giovinetto che
compare nella tavola luinesca con Gesù tra i dottori della National
Gallery di Londra e una testa grottesca già nota in altri due esemplari leonardeschi a Windsor e alla Kunsthalle di Amburgo266. Sia
il Cristo giovinetto che la testa grottesca furono riprodotti dal
Gerli rispettivamente alle tavole XXX e XXVIII267.
veniva confermata anche l’attribuzione a Barocci (Renaissance drawings from
The Ambrosiana, a cura di R. R. Coleman, University of Notre Dame 1984,
pp. 136-139).
265 Sono stati separati in seguito a un recente restauro ma le pubblicazioni solitamente riportano l’immagine d’insieme (si veda M. T. BINAGHI OLIVARI, Bernardino Luini, Milano 2007, p. 13, fig. 1).
266 E. GOMBRICH, The Heritage of Apelles: Studies in the Art of the Renaissance,
New York 1976, p. 67, fig. 147; KWAKKELSTEIN, 1994, p. 117 n. 249.
267 GERLI, 1784, tav. XXX, XXVIII.
113
Arte Lombarda | SILVIO MARA
17. Una pagina del Libro di disegni in un’antica fotografia Anderson (n. 12783). Firenze, Archivi Alinari - Archivio Anderson.
114
Caso analogo è rappresentato dalla segnatura F 263 inf. n. 70
che include tre disegni incollati sullo stesso supporto. La figura
centrale, già copia da un disegno di Leonardo a Windsor (inv.
12583A), fu riprodotta dal Gerli alla tavola XXX. Il disegno incollato sulla destra con un profilo di uomo nudo fu invece riprodotto dal Gerli alla tavola XXXIV.
Si menzionano i due piccoli disegni F 263 inf. n. 9 e F 274
inf. n. 19, rispettivamente una leonessa attribuita a Pellegrino
Tibaldi, riprodotta dal Gerli alla tavola XXXVI, e il ritratto di
un giovane pubblicato dal Malaguzzi Valeri con un’attribuzione
al Boltraffio268, riprodotto dal Gerli alla tavola XXX.
Diverso è il caso di F 263 inf. n. 100 considerato come il ritratto di Francesco Sforza denominato il ‘duchetto’, figlio di
Gian Galeazzo e Isabella d’Aragona, che si considera preparatorio per il dipinto del City Museum and Art Gallery di Bristol
(inv. K 1643) di mano del Boltraffio. Il disegno, che ancora in
una fotografia Anderson (n. 12748) appare associato al disegno
F 263 inf. n. 99 identico per supporto, tecnica e attribuzione, a
mio giudizio però non doveva essere incollato sulla stessa pagina
del Libro. Infatti il Gerli nel riprodurli in due tavole separate, rispettivamente la VI e la XI, ne registrava la diversa provenienza:
il Libro per il primo e il Codice Resta per il secondo.
Giunti a questo punto ci restano da segnalare alcuni disegni
che presentano sui supporti antiche iscrizioni riconducibili alla
stessa mano postillatrice del Libro. Non si è potuto con sicurezza
ascriverli al nostro volume, perché non rispondono a nessuna
delle descrizioni finora consultate e perché la presenza delle iscrizioni non può essere di per sé sicuro indizio di appartenenza, come si è già appurato nel caso del progetto di Pellegrino Tibaldi
F 271 inf. n. 78.
Si citano quindi i disegni: F 271 inf. n. 111 – con iscrizione
che lo attribuisce a Polidoro da Caravaggio – che rappresenta la
copia di due statue; F 281 inf. n. 45 – con iscrizione che lo attribuisce a «Francesco Parmigiano» – raffigurante tre crani e una
mandibola secondo diverse angolature; F 263 inf. n. 53 con il
busto di un personaggio vestito alla francese che l’iscrizione attribuisce a Leonardo; F 268 inf. n. 2 che raffigura un cane con
collare e con iscrizione che lo attribuisce al Pordenone; F 271
inf. n. 27, ritratto di un uomo con cappello che l’iscrizione semicancellata attribuisce a Giorgione; F 271 inf. n. 50, ritratto di
268
F. MALAGUZZI VALERI, La corte di Lodovico il Moro, Milano 1917, III, p.
96, fig. 91.
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
una ragazza con gorgiera che l’iscrizione definisce «Di Federico
Zuccharo ritratto d’una figliola del Viceré di Napoli»; F 271 inf.
n. 81, del Barocci con relativa iscrizione.
Si segnala anche il disegno F 271 inf. n. 27 recto attribuito
mediante un’iscrizione ora semicancellata al Giorgione, ma che
viene attribuito dal Ruggeri al giorgionesco Giuseppe Caletti
(1600 ca. - 1660)269.
Giuseppe Bossi, il Maestro della Pala Sforzesca
e una «maschera» leonardesca in Ambrosiana
Alcune osservazioni di Giuseppe Bossi appaiono fondamentali
e in notevole anticipo rispetto alla definitiva acquisizione critica
dell’artista che eseguì la celebre Pala Sforzesca di Brera. Come è
noto le vicende attributive inerenti questa tavola furono tribolate già fin da prima del suo arrivo a Brera (1808) seguito alla
rimozione dall’originale collocazione nella chiesa di Sant’Ambrogio ad Nemus a Milano (1805). I primi a ipotizzare che
l’opera fosse stata realizzata da un artista diverso rispetto ai leonardeschi fino a quel momento conosciuti furono il Bode
(1889) e il Malaguzzi Valeri (1905): quest’ultimo la attribuì a
una personalità autonoma alla quale diede il nome convenzionale di Maestro della Pala Sforzesca.
Leggendo le annotazioni di Bossi si scopre che egli aveva
già formulato un’ipotesi circa l’autore della Pala braidense270;
ne abbiamo un traccia palese nei disegni che individua in Ambrosiana e che assegna «all’autore del quadro di Sant’Ambrogio ad Nemus». Interpretando i suoi appunti siamo in grado
di capire che i disegni da lui visti effettivamente sono stati ricondotti recentemente al Maestro della Pala Sforzesca, il che
accresce il valore dell’intuizione bossiana che già rilevava il
particolare stile grafico ricollegandolo all’esito pittorico. Come puntello supplementare le sue osservazioni utilizzavano
un’inedita opera plastica che egli attribuiva dubitativamente a
Leonardo stesso.
Egli infatti descrive accuratamente un’opera che si era conservata fino ai suoi tempi fra i gessi dell’Ambrosiana. Citiamo
questo brano inedito:
Al fol. 26 del detto libro testa copiata da una maschera di rilievo
fatta di tela e dipinta esteriormente a olio esistente fra i gessi della
269
RUGGERI, 1979, 105, n. 97, fig. 97. Il disegno a penna e inchiostro bruno
rappresenta un uomo con la testa reclinata in avanti, che indossa un cappello.
Nell’angolo inferiore a sinistra si nota l’iscrizione «Di Giorgione» riconoscibile
nella consueta grafia.
270 In un altro brano tratto dai suoi fogli manoscritti Bossi si era scagliato violentemente contro l’attribuzione a Leonardo della Pala Sforzesca (se ne veda un
estratto pubblicato nella silloge degli scritti bossiani in CIARDI, 1982, I, p. XI).
271 BAMi, Bossi, S.P. 6/13 sez. B n. 1fasc. i, f. 161.
272 È anche difficile trovarne un riscontro negli inventari secenteschi, tuttavia
l’inventario del 1685 nella parte dedicata alla Galleria della scultura registra l’esistenza di un «modello di una testa grossa, vecchia» (VECCHIO, 2009, p. 89, n.
491). Per il patrimonio scultoreo dell’Ambrosiana si rimanda a Pinacoteca Ambrosiana. Raccolte archeologiche, sculture, Milano 2009.
Sala Ambrosiana delle statue. Questa è disegnata in carta preparata con biacca, di un lievemente è smorzato il candore ma non a
segno da farvi uso del bianco. La maschera che è assai interessante
e curiosa non fu mai pubblicata. Ma la sua fisionomia è qua e là
ripetuta nelle teste leonardesche e nella raccolta del Gerli è richiamata alquanto dalla tav. 2* e 13* ma è in entrambe quelle teste
rappresentata in età meno senile. La maschera se non è fatta da
Leonardo medesimo è fuor di dubbio formata sopra una testa di
rilievo di sua mano. Il carattere e l’energia con cui sono indicate
le parti di questa testa ne fanno fede a chiunque ha in pratica
questo autore. Si avverta che la maschera è calva e che la testa disegnata ha una specie di parrucca mal fatta, e che disconviene alla
fisionomia che annuncia una età ed un assieme che esige calvizie.
Porto opinione che tali maschere usasse Leonardo per dare agli allievi da disegnare onde così abituarli ad ombreggiare. Sotto la perrucca mal postagli in testa e fuor di carattere affatto cosa che la
prova d’altra mano della lionardesca vedesi una beretta all’antica
come quella che distingue la terza testa della tav. 29 del Gerli e
alla settima del Mantelli271.
La «maschera» ora è scomparsa e non se ne trova traccia fra le
opere di scultura recentemente catalogate all’Ambrosiana272, ma
il ragionamento di Bossi appare del tutto plausibile e in linea
con i più recenti studi circa il rapporto di Leonardo con la scultura. Infatti, se è vero che Leonardo in partenza da Firenze si
portò «cierti sa. Girolami» e «molte teste di vecchi» che si suppone siano opere in plastica, nessuna delle quali però è stato finora possibile individuare con ragionevole certezza273, è ancor
più certo che egli realizzasse modelletti in terra e in cera per agevolare lo studio delle variazioni luministiche e una resa veristica
delle forme. Bossi si sbilancia in favore di una possibile paternità
vinciana di questa maschera proprio perché la ricollega allo studio che certamente fecero su di essa i seguaci di Leonardo. Il pittore presupponeva che i discepoli del Vinci si fossero esercitati
su quest’opera plastica per realizzare i loro disegni. In alcuni di
essi infatti ritrovava la stessa fisiognomica del volto con la sola
variazione della visuale, della resa chiaroscurale, del tipo di capigliatura o berretta.
Questa pratica di disegnare a partire da un modello plasticoscultoreo è efficacemente esemplificata dal famoso foglio F 274
inf. n. 8 dell’Ambrosiana eseguito da Francesco Melzi e raffigurante una testa calva, che la scritta autografa definisce «cavata de
relevo». La fisionomia tra l’altro nasconde una certa somiglianza
con i disegni che a detta del Bossi erano stati esemplati sul modello
273 Da un inventario incluso nel Codice Atlantico, f. 324r. Testo fondamentale
da cui partirono gli studi su Leonardo e la scultura si può considerare quello di
F. MALAGUZZI VALERI, Leonardo da Vinci e la scultura, Bologna 1922. Le sue
teorie riviste e integrate negli anni sono state oggetto di numerose pubblicazioni
fra le quali si segnalano le due letture vinciane di M. KEMP, Leonardo e lo spazio
dello scultore: XXVII Lettura Vinciana 20 aprile 1987, Firenze 1988, e di K.
WEIL-GARRIS BRANDT, Leonardo e la scultura: XXXVIII Lettura Vinciana, 18
aprile 1998, Firenze 1999, oltre che i contributi in riviste specializzate di A.
PARRONCHI, Nuove proposte per Leonardo scultore, in «Achademia Leonardi
Vinci», 2 (1989), pp. 40-67; R. PANZANELLI CLIGNETT, Plasticem ante alia penicillo praeponebat, in «Achademia Leonardi Vinci», 10 (1997), pp. 152-157; e
P. C. MARANI, Leonardo e gli scultori. Un altro esempio di collaborazione col Rustici?, in «Raccolta vinciana», 29 (2001), pp. 103-123.
115
Arte Lombarda | SILVIO MARA
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della «maschera»274. Per comprendere meglio possiamo tentare di
identificarli attraverso la descrizione fornitaci dal pittore bustocco.
Egli ravvisava questa tipologia di volto in un disegno che attribuiva al Maestro della Pala Sforzesca, e che si trovava al foglio 26 del
Volume E della Biblioteca Ambrosiana. Possiamo intuire a quale
disegno corrisponda grazie alle indicazioni successive che ricordano come questo volto fosse in parte simile alle tavole 2 e 13 incise
dal Gerli ovvero nella corrispettiva numerazione romana II* e III*
che corrispondono ai disegni inv. 236 recto-verso di Leonardo della collezione De Pagave comprata da Bossi e ora a Venezia. Questi
due disegni vinciani rappresentano il medesimo profilo di busto
di uomo con uno schema delle proporzioni275. Un altro riferimento prezioso ci viene dato poco più avanti quando si dice che la testa raffigurata nel disegno portava una parrucca mal posta e al di
sotto si scorgeva una berretta simile a quella nell’incisione alla tavola 29 del Gerli (ovvero alla tav. XVIII) cioè al corrispondente
disegno F 263 inf. n. 87 dell’Ambrosiana. Detto ciò, è naturale
che Bossi si volesse riferire al disegno F 263 inf. n. 79, che tuttora
reca un’attribuzione al Maestro della Pala Sforzesca e raffigura una
testa con capelli tratteggiati molto sommariamente prestandosi ad
essere interpretati come una parrucca. Inoltre, proprio come affermava Bossi, un tratto sottostante alle ciocche di capelli, che si nota
pur essendo stato cancellato, ci rivela la presenza di una berretta.
Inoltre lo studioso non si ferma a questo disegno e prosegue individuando altri tre disegni nello stesso Volume E che attribuisce al
Maestro della Pala Sforzesca. Uno di questi è il già citato disegno
DAG inv. 2416, mentre un secondo, che ai suoi tempi era incollato alla pagina 42, si può individuare nell’attuale F 263 inf. n. 75.
L’identificazione è certa perché viene descritto come «testa dello
stesso [autore] in profilo, somiglia alquanto al Maresciallo Trivulzio eccetto i capelli»276 e ancora come «testa in profilo coronato
sembra di guerriero. Ha una corazza con un puttino indicato per
ornamento nel mezzo. Carta azzurra stile, senza biacca»277. L’altro
disegno da lui indicato era collocato a pagina 37 del Volume E e
veniva definito «testa dell’autore di quella al f. 26, profilo proveniente da simile di Leonardo»278 e poi ancora come «profilo di vecchio in carta ora nerastra alquanto più oscura fatta come le antecedenti e formata alquanto di penna»279, e infine era stato copiato
dal Bossi280 cosicché non permangono dubbi sull’identificazione
con il disegno F 263 inf. n. 85.
V’è nella Bibl. Ambrosiana un Libro, dove vi sono raccolte varie
Pitture, disegni, schizzi, ed abbozzi impastati sopra carte; cioè di
Rafael d’Urbino, di Michelagnolo, di Carlo da Crema, di Andrea
Mantegna, del Gobbo scultore milanese, di Federico Zuccaro,
del Lumacchino, del Bologna, di Stiaro Cremonese, di Girardo
Cibo, del Lojaro Pittor Cremonese, di Giovanni Battista Clerici,
di Fede Gallizia, di Polidoro da Caravaggio, di Federico Barozzi,
di Francesco Parmigiano, di Procaccino da Cremona, di Lelio da
Novillara, di Domenico Campagnola, di Lionardo da Vinci, del
Cavalier Ardovino, del Giorgione, di Alberto Durero, di Bernardino Luino, di Bramante, del Bordonone, di Pietro Perugino, di
Baccio Bandinelli, di Perino del Vago.
vedi alla pag. 6 del Clerici veduta, collina case alla pag. 7 spelonca,
alla pag. 12 Castel di Milano al tempo dei Duchi Sforzeschi p.
24 Ritratto di Messer d. Artu Maestro di Camera del Re Francesco I in Bologna fatto dal Vinci. p. 22 un uomo morto del Parmigiano. p. 24 il ratto di Ganimede dello stesso p. 31 volto
bellissimo di capelli ben fatti del Vinci. p. 31 Il sagrificio d’Isacco
in rame bellissimo p. 34 una volpe bellissima. p. 36 un grottesco
assai bello del Durero. p. 32 r un Cavallo di Bramante. p. 44 di
Pietro Perugino un Cristo morto colle 4 Marie bellissimo. p. 46
Ercole che stringe il gigante Anteo, ed una tigre, forse del Clerici.
p. 48 un bellissimo presepio, un eremita in luogo deserto. p. 49
un Cristo morto in acquarella tratteggiato, ed un eremita di Rafael d’Urbino. p. 56 Merlino Cocalio del Vinci. p. 63 un ritratto
del Vinci assai bello. p. 68 due bambinotti di Bernardo Luino. p.
74 e 92 due fanciulli di Andrea Mantegna. p. 75 un’anitra che
vola. p. 79 un Ercole dell’antico | p. 85 una donna in bella positura. p. 86 un abbozzo del Giudizio universale di Carlo da
Crema. p. 88 un bambinotto di Fede Galizia. p. 89 il ritratto del
Re Ferdinando il Savio 1472 .. die 26 8bris del Bologna. p. 94
effigie di Rafael d’Urbino presa dal Vaticano. p. 75 del Vinci
una figura nuda in piedi in lapis rosso. p. 74 una mezza figura
274 La presenza di modelli plastici di Leonardo che i suoi allievi utilizzavano per
277
fare pratica di disegno ben si coniugherebbe con il proliferare di tipi fisiognomici
simili riscontrabili fra i disegni dei leonardeschi. Il Kwakkelstein ha più volte sottolineato la dipendenza dei disegni leonardeschi da modelli plastici; da ultimo
va segnalato il suo contributo che bene si integra con l’argomento della riflessione
bossiana qui esposta: M. W. KWAKKELSTEIN, The use of sculptural models by the
Master of the Pala Sforzesca, in «Raccolta Vinciana», XXX (2003), pp. 147-178.
275 Il parallelo proposto dal Bossi tra i due disegni vinciani e la tipologia di
volto utilizzata dal Maestro della Pala Sforzesca molto probabilmente coglie nel
segno tant’è vero che anche recentemente un confronto analogo è stato proposto
dal Kwakkelstein (2003, pp. 161-162). Lo studioso però prende come termine
di paragone il profilo con le regole di proporzione disegnato da Leonardo sul
Manoscritto A, f. 63r, dell’Institut de France.
276 BAMi, Bossi, S.P. 6/13 sez. B n. 1fasc. i, f. 149.
278
APPENDICE DOCUMENTARIA
1.
Como, Biblioteca Comunale, ms. A-III- 9 1) z.
Felice Monti, Descrizione del Libro di disegni.
BAMi, Bossi, S.P. 6/13 sez. B n. 1fasc. i, f. 161.
BAMi, Bossi, S.P. 6/13 sez. B n. 1fasc. i, f. 149.
279 BAMi, Bossi, S.P. 6/13 sez. B n. 1fasc. i, f. 161.
280 BAMi, Bossi, S.P. 6/13 sez. H, fasc. 5 «Aggiunte fondo G. Bossi», f. 573; la
pagina contiene lo schizzo a penna replica esatta del disegno BAMi, F 263 inf.,
n. 85 accompagnato dall’iscrizione «p. 37 del V. E Bibl. Ambrosiana»; poco
sotto è un altro schizzo, senza iscrizione accompagnatoria, che tuttavia va identificato come replica esatta del volto nel disegno BAMi, F 263 inf., n. 75.
Referenze fotografiche
1-3: Civico Archivio fotografico, Milano; 4-8, 15: Giulio Bora, Milano; 9-14,
17: Archivio Alinari, Firenze; 16: Raccolta Vinciana, Milano.
Il Libro di disegni della Biblioteca Ambrosiana
di Bramante a penna. p. 73 dall’antico una figura in atto di dolore ed un’altra appresso. p. 10 di Polidoro da Caravaggio un
monte schizzato in lapis rosso. p. 11 due paesi in chiaroscuro in
acquarella. p. 33 d’Alberto Duro due cani veltri in lapis rosso. p.
67 di Bernardo Luino due mezzi nudi, uno in lapis rosso, l’altro
in lapis nero d’Inghilterra p. 80 un Cristo morto con altri in
ischizzo del Mantegna.
Memoria
Né il Sormani, né il Santagostino fanno menzione d’una degnissima pittura di Lionardo da Vinci fuori della Chiesa delle Grazie
sulla Porta maggiore, ma ora dicesi non esister più, cioè l’effigie
della B. V. con accanto Ludovico Sforza, e Beatrice Estense sua
moglie in atto di adorazione. Io non mi ricordo più appresso qual
autore abbia trovato questa memoria, né quella che siegue cioè,
che l’Incoronazione del Tiziano alle Grazie formava la tavola d’altare della Cappella di S. Corona.
Altra memoria. appresso il Vasari
Bernardino da Trevio milanese ingegnere e architettore del
Duomo, e disegnatore grandissimo il quale da Leonardo da Vinci
fu tenuto maestro raro ancora che la sua maniera fosse crudetta
e alquanto secca nella pittura. Vedesi di costui in testa del Chiostro delle Grazie una Risurrezione di Cristo con alcuni scorti bellissimi. Ed in San Francesco una Cappella affresco dello stesso,
dentrovi la morte di S. Pietro, e di S. Paolo. costui dipinse in Milano molte altre opere, e nel Contado. Vasari T. 2 p. 28
2.
Como, Biblioteca Comunale, ms. A-3-IX 1) a, f. 23.
Antongioseffo Della Torre di Rezzonico, Descrizione del Libro
di disegni.
In una rarissima collezione dove sono raccolti i disegni dei più
famosi restitutori dell’arte fra li quali si trovano Raffaello d’Urbino, Michel Angelo Buonarota, Andrea Mantegna, il Gobbo
scultore Milanese, Leonardo da Vinci, Alberto Durer, Pietro Perugino ed altri evvi al foglio 22. la faccia in profilo di Arturo
Gouffier Signore di Boisì sotto la quale sta scritto:
Ritratto di Mr. d’Artus Mastro di Camera del Re Francesco Primo
in Bologna nella giunta con Papa Leone X quale negandoli l’unione
colle sue armi per esser impegnato col Re di Napoli per molti anni lo
compiacque di fargli subito il fratello Cardinale
Oltre l’esservi scritto d’antico carattere appartenere a Leonardo, è
così finito, e luccicante che si conosce fatto colla penna d’argento
tanto familiare, e raccomandata da esso agli suoi discepoli. Evvene
un altro dello stesso Arturo in matita rossa più compiuto, ma
quello che si ammira in questo luogo toccato colle poche splendenti linee nere, e così bello, e chiaro che nulla si può desiderare
dippiù. Arturo Gouffier detto Signore di Boisì era Conte d’Estampes e Caravas e signore d’altre terre morì nel 1519. Era fratello del
Signore di Bonnivet; li Gôuffiers erano originarij del Borbonnese
(Gaillard tom VIII pag. 156). | (f. 22b) Si vedono pure due testine
d’angioletti nello stesso libro che disegnò per l’altare della Con-
cezione, la di cui famosa tavola si ammirava in S. Francesco. Altre
teste di caricature, ma senza nome di autore, si può conghietturare
che sieno sue vedi pag. 52 e seguenti. A lui viene attribuito un
vago disegno di un tempio ad acquarello verde pieno di graziosa
maestà pag. 54 e si conosce quanta fosse la sua perizia in questa
bellissima facciata degna d’ammirarsi anche in Roma. Sopra ogni
cosa fanno stupire le due teste di San Pietro e di Giuda sotto le
quali sta scritto in lettera antica essere di Leonardo da Vinci. Il celebre Signor Prefetto Oltrocchi vi ha giustissimamente dichiarato
essere queste le espresse nel Cenacolo delle Grazie nella celebre
pittura di Leonardo. Nessuno ne può dubitare. Il carattere del
Santo Apostolo, e quello dell’infame traditore vi sono esposti di
una maniera da far stordire. Già si è notato come nella grande
opera stanno vicini il Principe, e l’abbominio dell’Apostolato. Le
teste sono disegnate con matita rossa, e nello stesso foglio evvi di
Leonardo una pietà fatta ad acquarello verde ved. pag. 70 e il disegno della famosa Pietà che dipinse nel convento delle Grazie di
Milano. Questo tesoro al volersi aggrandire una porta perì miserabilmente, come ho imparato dal P. Maestro Monti eruditissimo
Religioso, ed ornamento dell’accennata Casa. Alla pag. 54 vi sono
abbozzi di cavalli, ed alla 55 parti anatomiche del corpo umano,
alla 60 varie cose, e fra queste un figlio con un gatto alla gola e
due bellissime teste in matita rossa il tutto di mano di Leonardo.
| (f. 23b) Questo codice in figura di grande in quanto è stato donato dal Card. Federigo Borromeo alla sua cara nascente biblioteca. Viene attribuito come appartenente al solo Leonardo dal
Richardson, e si dice consistere in teste iperboliche su l’uno stile
grottesco, che gli italiani chiamano caricature. Essevi per altro un
bellissimo disegno del ritratto di Arturo Gauffier Signor di Boissì
Gran Maestro di Francia, e favorito di Francesco I. Aggiunge che
suo padre ne possedeva altresì uno eccellente e che il Cavalier Lutti
di Roma ne aveva due altri presi però in un aspetto differente (tom
II pag. 38). Il libro non è stato bene esaminato dal Richardson,
mentre egli è come da me si è descritto col tenere il codice avanti
agli occhi. Circa i differenti pensieri sugli ritratti del Gran Maestro
di Francia, possono tutti questi appartenere a Leonardo, il quale
era curiosissimo di scegliere poi l’attitudine più confacente al soggetto. Si deve perdonare allo scrittore inglese che la biblioteca Ambrogiana (o come volgarmente si dice Ambrosiana) sia da esso detta
di Sant’Ambrogio. La quale però presso di noi è diversa, essendo
questa posta nel Monastero Imperiale che porta il nome del Santo
Arcivescovo, ed anch’essa rispettabilissima, e degna d’essere consultata dai letterati
3.
Como, Biblioteca Comunale, ms A 3 IX 1) d, f. 4.
Antongioseffo Della Torre di Rezzonico, riferimento a un disegno
nel Libro di disegni.
[...] Un altra insigne opera del Vinci si ammirava sopra la porta
laterale, che nella chiesa conduce al vicino chiostro. Questa al
riferire del P. Gattico fu inavvedutamente distrutta l’anno 1603
117
Arte Lombarda | SILVIO MARA
per alzare, ed ampliare la porticella (mss cap. 42) oh che barbarie! Dice il P. Gattico che rappresentava l’immagine del Salvatore. Io suppongo che fosse Gesù morto in grembo alla Vergine
Madre, che dagli artisti chiamasi ordinamente la Pietà. Non è
però totalmente perita, esistendone il disegno di mano di Leonardo in una rarissima collezione della Biblioteca Ambrogiana,
appartenente ai più famosi maestri; e della quale si parla dopo
i codici di Leonardo; si veda al foglio 70 dell’indicato volume.
[...]
4.
BAMi, Bossi, ms. S.P. 6/13 sez. B, f.156-157.
Giuseppe Bossi, Appunti sul Libro di disegni.
Nel volume della caricatura
Disegni importanti rari etc...
p. 7 a tergo e 8 e 8 a tergo n. 6 caricature a penna tratte da simili
di Leonardo e fatte da M. Fede Galizia
p.12 a tergo paese a penna di Alberto Duro
13 a tergo testa di Scuola di Leonardo
15 a tergo figura panneggiata del Bramantino bella
21 altre due caricature della Galizia dietro Leonardo
21 a tergo altre due
22 ritratto di M.r Artus di Lionardo o di suo imitatore non
avendo i tratti nella solita direzione
E testa di faccia in lapis rosso come la mia pubblicata dal Gerli
23 Madonna e putto (Gerli tav. 19) di Leonardo, ma dubbio
assai
26 a tergo tre nudetti tratti forse da bassirilievi Antichi. Pajono
del Luino o d’altri scuolari di Leonardo
27 a tergo due disegni certamente di scuola leonardesca e l’uno
dei due che è a penna par suo
29 paese d’Alberto. Sotto vi è scritto moglie d’Alberto
31 giovinetto: soli contorni con pochi tratti (Gerli tav. 21) non
è di Leonardo. Artus in lapis rosso e posto di faccia (tav. 32) bello
ma dubbio forse di F. Melzi
34 testa di leone di B. Luino. A tergo bella testina di scuola di
Leonardo: dell’autore del quadro di S. Ambrogio ad nemus
35 36 37 varie cose del Luino
38 a tergo cavalli attribuiti a Bramante
39 leonardeschi varj ridenti pubblicati belli. A tergo antico attri-
118
buito a Bramante
40 a tergo del Gobbo una porta
42 e ib. a tergo varj antichi
44 Cristo deposto o pietà di scuola lombarda attribuita a P. Perugino. A tergo due belle teste
47 a tergo stupendo cavallo di Leonardo
49 Cristo forse di Raffaele
50 caricatura leonardesca par di Luino
51 due teste leonardesche di sua scuola
52 caricatura di Leonardo a p. segnata a penna. Due altre copiate
o mirate. A tergo due simili
53 due leonardesche una delle quali par di lui. È in lapis rosso. A
tergo due caricature cattive
54 tempio in prospettiva attribuito a Leonardo
55 cavalli in lapis rosso, pajon di Leonardo sieguono varie caricature imitate
56 etc. gambe imitate da Leonardo. Caricatura leonardesca imitata a tergo idem
58 n.8 caricature imitate ed esagerate
59 ib. A tergo id. con alcuna migliore
60 e 61 ventuno disegnetti di Leonardo
62 testa in lapis rosso che può esser sua e par uno studio di Giuda
ma in atto opposto a quel della Cena
63 bel profilo copiato da Leonardo forse di C. da Sesto come par
provare l’orecchio
64 n. 6 pezzetti di Leonardo
65 a tergo e 66 disegni di Bern. Zenale da Trevio
67 due torsi attribuiti a B. Luino
69 bello a penna di Bramantino con una lite di cavalli degno di
Leonardo. Ivi una piccola Pietà del Gobbo. A tergo putto del
Luino
70 testa di Giuda e S. Pietro attribuita a Leonardo forse di Marco.
Altra pietà del Gobbo attribuita a Leonardo
72 donna sedente con un putto del Luino pubblicata dal Mantelli
76 tre disegnini di cavalli leonardeschi da me copiati
78 a tergo due Luini uno bellissimo rappresentante donna che si
addormenta
81 alcuni del Gobbo. A tergo altro dello stesso
82 bella testa. A tergo S. Girolamo di A. Duro
85 una Lucrezia che par del Luino
87 due pezzettini di Leonardo
90 a tergo bellissimo profilo forse di Leonardo e due cavallini da
me segnati