La chiesa e il convento del Carmine a Lucera
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La chiesa e il convento del Carmine a Lucera
Massimiliano Monaco La chiesa e il convento del Carmine a Lucera di Massimiliano Monaco Sta per essere portato a compimento uno dei più impegnativi interventi di restauro eseguiti negli ultimi anni su edifici sacri della nostra provincia, quello della chiesa del Carmine di Lucera, da annoverare tra i principali esempi di arte sacra di Capitanata. La costruzione è una delle poche del sec. XVIII progettate ex novo e, insieme alla matrice di Rocchetta S. Antonio, l’unica chiesa a tre navate realizzata in Capitanata durante tutto il ‘7001. È altresì unica nel suo genere perché racchiude in eleganti forme tardobarocche abbondante materiale di fabbrica svevo e angioino (tra cui i preziosi blocchi granitici di color rosa, noti come ‘breccia corallina’). Per le singolari vicende che questo luogo di culto ha attraversato, inoltre, accanto al patrimonio d’arte settecentesco e ottocentesco proprio della chiesa carmelitana (raffinate decorazioni a stucco e a fresco, pergamo ligneo, pregevoli pale d’altare, fastosi altari policromi, acquasantiere e altri marmi), il Carmine nuovo di Lucera raccoglie fra le sue mura opere d’arte provenienti da altre tre chiese lucerine oggi scomparse: il Carmine vecchio (icona di S. Maria del Carmelo, tela della Madonna dei Miracoli), l’oratorio dell’Arciconfraternita della Morte, un tempo attiguo alla Cattedrale (altare con pala della Madonna della Misericordia) e l’antica parrocchia di S. Matteo Apostolo (statua della Madonna della Libera, fonte battesimale). La facciata dell’edificio (alta m. 19,20), realizzata in mattoni con profilature in pietra, è risolta in una sobria veste tardobarocca, meno accentuata nella zona inferiore e nelle due ali dell’attiguo convento, che richiamano forme tardorinascimentali. Essa è divisa in due ordini, raccordati da grandi volute, e arricchita da un’elegante cornice in stucco e arenaria. L’ordine inferiore (alto m. 11,11) è scandito da quattro lesene, che rendono più movimentato e slanciato l’intero prospetto. Lateralmente, tra le lesene, si inseriscono due specchiature dal profilo mistilineo. Al centro, in un ovale in pietra, è inserito un affresco recante l’immagine della Madonna del Carmelo. Per tutta la larghezza della facciata (m. 42,72) corre una zoccolatura in pietra alta circa un metro. Nella parte superiore (alta m. 5,64), evidenziata da un cornicione marcapiano, spiccano 1 La chiesa della Vergine Assunta di Rocchetta, progettata nel 1754 dall’architetto barlettano Giovanni Manganella e realizzata da Silvestro e Sabato Pollice di Agnone, anticipa di un decennio l’impianto della chiesa del Carmine a Vasto, attribuito, non senza controversie, al Vanvitelli. Cfr. N. TOMAIUOLI, Aspetti e problemi dell’architettura del ‘700 nella provincia di Foggia, «La Capitanata» - Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia, XXXI (1994), n.s., n. 2, p. 102. 163 La chiesa e il convento del Carmine a Lucera una grande finestra centrale elegantemente sagomata, in asse con il sobrio portale. Le due lesene inquadranti la finestra seguono il percorso di quelle dell’ordine inferiore, terminando in un accenno di capitello composito pseudo-ionico, risolto in un vaso ornato di motivi floreali. Su di un secondo cornicione si imposta il fastigio sommitale (m. 2,45), sul quale spiccano due volute laterali in arenaria ed un gioco di volute reggenti una conchiglia, che sostiene una croce in ferro battuto2. Il portale d’ingresso in pietra, di forma rettangolare, sormontato da un timpano curvo a rilievo dalle linee semplici, è collocato su tre gradini, che formano un piano di calpestio a base quadrata sopraelevato rispetto alla sede stradale. Un solido ed imponente campanile in mattoni (m. 14) svetta nella zona retrostante. Alla facciata della chiesa sono uniti i due corpi di fabbrica dell’ex-convento, a cui si accede da due portali ad arco sormontati da stemmi. Il portale originale, osservando la chiesa, è quello di destra, mentre quello di sinistra risale agli inizi del ‘900. Al suo interno la chiesa rispecchia un tipico impianto liturgico controriformistico: pianta rettangolare (lunghezza m. 34,50, larghezza m. 20,43) scandita da cappelle, più ampie che profonde (in media m. 8,85 x 3,85), dove sono alloggiati altari gentilizi di altissimo pregio (S. Teresa, B.V. Addolorata – con pala di Francesco De Mura –, B.V. della Misericordia, B.V. del Monte Carmelo, S. Raffaele, S. Gregorio e S. Luigi)3. Delle tre campate, divise tra loro con archi a tutto sesto che partono da ampi pilastri, la prima e la terza (alte m. 14,50) sono coperte da volte a botte con lunette, mentre quella centrale (alta m. 17,13) è coperta da una grande cupola su base quadrata. Le cappelle laterali sui due lati maggiori sono coperte da volte a vela, mentre quelle alle estremità da volte a botte lunettate. L’abside semicircolare, divisa dalla navata centrale da un arco a tutto sesto, si presenta coperta da una volta segnata da lunette, entro le quali si stagliano tre finestroni ciechi, elegantemente ornati in stucco. Nelle pareti laterali si aprono finestroni dal contorno mistilineo, che ricalcano nella forma quello inserito nella facciata, favorendo un’illuminazione ampia e diffusa. 2 La palla di pietra che reggeva la croce di ferro al vertice della chiesa cadde e si frantumò nel dicembre del 1900 per un fortissimo vento di tramontana (D. MORLACCO, Toponomastica di Lucera – Piazza del Carmine, «Il Centro», VI (1986), n. 6, p. 6). 3 Sugli altari della chiesa del Carmine di Lucera si cfr. C. DE LETTERIIS, Marmorari napoletani in Capitanata. Documenti inediti e proposte attributive, Foggia 2007, pp. 79-92 (Luigi Cimafonte) e pp. 125-140 (Michele Salemme); EAD. Altari, in M. MONACO (a cura di), La Chiesa del Carmine di Lucera. Guida storico-artistica, Lucera 2007, pp. 28-45; D. MORLACCO (a cura di), Itinerari epigrafici nelle chiese di Lucera, «Il Centro», XII (1992) n. 11, p. 11, n. 12, p. 9 e XIII (1993), n. 1, p. 11. Sull’altare dell’Addolorata, di patronato Scassa, e sulla pala del De Mura si cfr. M. PASCULLI FERRARA, Aggiunta pugliese a Francesco De Mura, «Napoli Nobilissima», XX (1981), pp. 49-67; EAD., Arte apoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo, Fasano 1983, p. 16; EAD., 1759: Francesco De Mura e Michele Salemme per la cappella Scassa a Lucera, «Atti del 4° Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria e Storia della Daunia» (San Severo, 17-19 dic. 1982), San Severo 1985, pp. 285-293, partic. pp. 286-289 e in Lucera nell’età rinascimentale e barocca, in AA.VV. (a cura di E. Antonacci Sanpaolo), Lucera. Topografia storica Archeologia Arte, Bari 1999, pp. 161-165; V. PUGLIESE, Dipinti e sculture in Capitanata, in AA.VV. (a cura di M. Pasculli Ferrara, V. Pugliese, N. Tomaiuoli), Foggia Capitale. La Festa delle Arti nel Settecento, Catalogo della mostra (Foggia, Palazzo Dogana, 31 ottobre - 31 dicembre 1998), Napoli 1998, pp. 198-199. 164 Massimiliano Monaco Ma veniamo alla singolare vicenda costruttiva del tempio. Del primo insediamento carmelitano a Lucera, sorto probabilmente sui ruderi di un precedente complesso basiliano4, non si conosce la data di costruzione «per esserne state brugiate, et disperse le scritture»5. La fondazione del convento di Santa Maria del Carmine di Lucera, tuttavia, può esser fatta risalire, con molta probabilità, al 14916, allorché i religiosi si stabilirono ad oriente della città, a circa mezzo miglio dalle mura, nella località Pozzo del Carmelo (Pozzo Reale o Regium Ager), a metà strada tra il centro urbano e i resti del Palazzo del Seggio, il sito dove Carlo I d’Angiò, nel 1269, dispose l’accampamento del suo esercito per l’assedio ai saraceni. L’ubicazione extra moenia era legata allo stile di vita eremitico e mendicante dell’Ordine religioso, caratterizzato anche dall’attività di coltivazione dei campi, che richiedeva la vicinanza del convento alle terre lavorate7. Dei primi secoli di permanenza fuori le mura dei Carmelitani di Lucera si hanno poche notizie: nel 1598 i Padri richiedono ed ottengono dal re di Napoli Filippo III una somma per arredare e decorare la chiesa8; nel 1573, data di probabile completamento del convento, questo diviene anche Casa di noviziato. Nel 1650, scampato alla soppressione innocenziana dei “conventini” (insieme a quello di Bovino e di Torremaggiore) il convento di Lucera ospita 12 religiosi (5 sacerdoti regolari, un chierico novizio, 4 conversi professi e un converso novizio) e possiede 7 case, 3 fosse granarie, 75 versure di terreno seminativo, 9 vigne e un orto, che dati in locazione, fruttano una cospicua rendita annuale. Su due lati del chiostro vi erano «refettorio, 4 La notizia si ricavava da un’iscrizione che era collocata sulla porta dell’antica chiesa (Ordo Carmelitan. in oreint. orum. religiosorum antiquis / Simus ab Alberto Patriarcha Hierosolimitano Sedis Ap. / in Terra Sancta legato ex istituto Divi Basilii / Reformat. Q postEa ab Honorio III medicatis loc. probat.) Cfr. Biblioteca Comunale di Lucera (d’ora in poi B.C.L.), Sez. Manoscritti, E. CAVALLI, Miscellanea n. 265, Memorie della Città di Lucera esistenti nell’anno 1801, p. 272; V. DI SABATO, La storia di Luceria Apulorum, Lucera 1983, p. 112. 5 Cfr. Archivio segreto Vaticano, Relationes della Congregazione sullo Stato dei Regolari, in G. CLEMENTE, La soppressione innocenziana dei conventi carmelitani in Capitanata nel XVII secolo, «La Capitanata», XXXV-XXXVIII, (2001), n. 6/9, p. 246. Rarissime le testimonianze visive dell’antico complesso carmelitano di Lucera; tra queste un disegno di E. CAPECELATRO (Archivio di Stato di Foggia, d’ora in poi A.S.F, Reintegra dei Tratturi, 1648), uno di R. DEL PREITE (B.C.L., Breve descrittione della città di Lucera di S. Maria, 1690), uno di G.B. PACICHELLI (Il Regno di Napoli in prospettiva, 1703) e, tra le carte dell’antica Dogana delle Pecore di Foggia, una mappa del piano terreno redatta nel 1762 (A.S.F., s. V, b. 123, f. 5794). 6 Il primo convento carmelitano in Capitanata fu costruito a Lucera attorno al 1300, (T. FIORENTINI, «Il Monte Carmelo», n. 20 (1934), pp. 134-135; V. DI SABATO, Storia ed arte nelle chiese e conventi di Lucera, Foggia 1971, p. 491) o, come sostengono altri, nell’anno 1491 (M. VENTIMIGLIA, Il Sacro Carmelo Italiano, Napoli 1779) ovvero nel 1594 (B.C.L., Sez. Manoscritti, E. CAVALLI, Pro Patria, 1890, p. 16v; G.B. GIFUNI, Lucera, Urbino 1937, p. 44) in località Pozzo del Carmelo, sulla via Porta Foggia, toponimo dovuto alla presenza nel vecchio convento di un noto pozzo di acqua dolce, molto utile per alleviare la sete dei cittadini. La tesi più accreditata sembra essere quella sostenuta dallo storico carmelitano Mariano Ventimiglia e confermata da Emanuele Boaga. 7 Nel 1649 i conventi carmelitani nel Regno di Napoli erano in tutto 149, di cui 77 sorti tra il 1570 e il 1650. Di questi ultimi 36 sorgevano nella provincia napoletana, alla quale apparteneva la Capitanata con ben 11 conventi. Cfr. G. CLEMENTE, op. cit. 8 B.C.L., Sez. Manoscritti, E. CAVALLI, Lucera Cristiana Cattolica Ecclesiastica, 1890, p. 16v. 165 La chiesa e il convento del Carmine a Lucera cucina, cellario, dispensa, camerone per la legna e stalla». Sopra due dormitori con 12 celle, un camerone e il coro. In totale la struttura aveva un perimetro di circa 160 metri (circa 60 canne)9. Nel 1663 il convento diventa Casa di studio e dal 1683 al 1696 è anche Studentato filosofico e teologico. Con grande solennità i religiosi celebravano la festa del 16 luglio, che faceva spopolare le campagne, chiudere le botteghe artigiane, cessare tutte le altre attività ed affluire numerosi i fedeli alla imponente processione. Nella primavera del 1674, «mentre era una grande siccità», per intercessione della Madonna del Carmelo si ottenne la grazia di una pioggia abbondante10. Il tempo e i terremoti, ultimo quello del 173111, avevano ridotto pressoché in rovina le strutture conventuali, e la distanza dal centro abitato aveva isolato i frati dalla vita cittadina. Cosicché, alla metà del XVIII secolo – per assolvere con maggior dignità ai loro compiti – i Frati decisero di abbandonare le vecchie strutture e di edificare una nuova chiesa con monastero in un luogo più comodo e più vicino ai fedeli12. Ottenuto il permesso di costruire il nuovo convento nel centro cittadino, intervennero in loro soccorso le illustri famiglie lucerine del Vecchio, che fin dall’anno 1600 possedeva un altare nella prima chiesa carmelitana13, Scassa, Lombardo e, più tardi, la distinta famiglia De Grazia. Il 13 marzo 1750 la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari emanava un decreto che autorizzava il nuovo insediamento conventuale, per dare inizio al quale la stessa Congregazione, con decreto del 4 febbraio 1752, autorizzava i frati a «poter pigliare ad annuo censo» fino a 3.000 ducati14. Su alcuni suoli ceduti dall’Università al Largo dei Prignano – una spianata incolta posta ai margini del centro storico, che in uno scorcio topografico della città del 1736, unitamente al Largo Marotta (oggi piazza G. Oberdan) è segnalato come Piazza delli stazzoni, per la presenza di umilissime dimore (stazzoni) e ovili (stazzi) –, i religiosi iniziarono ad acquistare e a permutare gli immobili vicini (1753), per un totale di sedici case: il 5 giugno 1753 acquistarono una casa con giardino murato e con pozzi, posta al Largo Pagano, per la somma di 880 9 Cfr. G. CLEMENTE, op. cit. B.C.L., FONDo Elementi per la Storia di Lucera, vol. VIII, doc. n. 39. 11 Il violento terremoto del 20 marzo 1731 arrecò danni ingenti al patrimonio edilizio di molti centri della Capitanata. La ricostruzione fu, tuttavia, immediata e tumultuosa, sostenuta da una ripresa economica senza precedenti e da un cospicuo incremento demografico. 12 P. DI CICCO, Il mosaico della medusa ed il Castello di Lucera nel ‘700, «Archivio Storico Pugliese», XXXV (1982, I-IV), p. 290. In atti ufficiali i Padri asserivano che l’antico convento andava abbandonato «per la distanza dal luogo, per l’aria bassa et inclemenza di essa e per altri giusti motivi» e che era necessario trasferirsi «in luogo più comodo per maggior bene del pubblico e decoro della religione». Cfr. SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI LUCERA (d’ora in poi A.S.L.), Fondo notarile, serie I, anno 1761, prot. n. 1968. 13 L’altare dei Del Vecchio era stato restaurato nell’anno 1700 (cfr. B.C.L., E. CAVALLI, Memorie della Città di Lucera, ms. cit., pp. 260-261; EAD., Lucera Cristiana Cattolica Ecclesiastica, ms. cit., pp. 16v-17r). 14 Il debito fu contratto con Niccolò Rotelli di Torremaggiore e con Francesco Maria Gagliardi, Capo ruota dell’Udienza provinciale di Lucera (cfr. G. PRIGNANO, Il Convento del Carmine, «il Foglietto» di Lucera del 21.9.1924). 10 166 Massimiliano Monaco ducati; successivamente «una casa palazziata con giardino murato, con pozzi, cisterna e quattro casette adiacenti» di proprietà dei fratelli d’Errico e Ciccarelli di Campobasso, «contiguo alla Casa Palaziata delli Signori Pagano, Candida, Valletta e Prignano»15. Divenuti unici proprietari del luogo destinato alla nuova costruzione, i Carmelitani iniziarono la seconda fase del loro programma, quella della progettazione e della costruzione del convento. Nonostante un divieto reale del 174516, chiesa e convento vennero costruiti a danno del castello cittadino (sec. XIII-XIV), un «cuerpo» sempre più «inutil» al Real Patrimonio. Il prelievo di materiale di fabbrica dalla fortezza svevo-angioina venne autorizzato dalla R. Segreteria di Stato, Guerra e Marina il 6 maggio 1752, avendo i frati fatto formale domanda al re (tramite il regio scultore statuario Giuseppe Canart, allora in Lucera per questioni afferenti al Duomo) di fare scavi, sia dentro che fuori del castello, così da procurarsi pietre ed altro materiale17. I frati accettarono le norme di regolamentazione delle operazioni di scavo sottoscritte il 16 gennaio 1753 dal loro Priore, fr. Filippo Rotelli, ex Padre Provinciale, ma non mantennero i patti poiché, non vigilati, e solo formalmente garantiti dal piano formulato dal Canart (che li autorizzava a prelevare il solo materiale ordinario «scavato o trovato per terra»), asportarono disinvoltamente anche altro materiale, come i preziosi blocchi granitici di color rosa (breccia corallina). Solo con dispaccio del 19 aprile 1755, il nuovo Preside di Capitanata, colonnello Domenico De Lettieri, si affrettava a recapitare al P. Eliseo Lipartiti, procuratore del convento dei Carmelitani, l’ordine di non effettuare più scavi e prelievi nel castello18. 15 A.S.L., Fondo notarile, serie I, notaio Monteleone Giovanni Domenico, anno 1753, prot. n. 1961, Conventus S.ta Maria Montis Carmeli, et Ludovici di Tullio Conventio. Non mancarono degli imprevisti: in cambio di due immobili del signor Pagano, ubicati sul terreno scelto per la costruzione, i Padri dovettero anche allargare la strada del palazzo dei Pagano ed elevare la facciata dello stesso, dove «eravi una finestra che guardava il mare dalla parte di levante»; in più si impegnarono a riedificare nella nuova chiesa la cappella privata dei Pagano che si trovava ancora nella chiesa fuori le mura (cfr. E. CAVALLI, Lucera Cristiana Cattolica Ecclesiastica, ms. cit., p. 27). 16 Un divieto di Carlo di Borbone del 22 agosto 1745 imponeva ai governanti della città di Lucera di custodire la fortezza onde evitare che vi fossero asportate pietre e altro materiale antico. Il documento, indirizzato all’Università lucerina il 27 agosto di quell’anno, seguiva al rigetto dell’istanza rivolta alla Regia Corte dall’Abate e dai monaci del Real Monastero di San Bartolomeo di Lucera affinché fosse loro consentito di «avvalersi» delle pietre del castello per «ristabilire» la loro chiesa e il loro monastero. 17 A.S.F., Dogana delle Pecore, s. V., f. 5806, fol. 123, Autorizzazione, rilasciata ai Carmelitani di Lucera, per poter prelevare materiale di fabbrica dalla fortezza di Lucera, Portici, 6 mayo 1752, riportata da P. DI CICCO, op. cit., pp. 305-306. 18 La richiesta di prelevare materiale di fabbrica dal castello, rimesso al sovrano tramite il Canart, prevedeva l’asportazione delle sole pietre già crollate «e che si potessero cavare dai luoghi rovinati del maniero»; ma i Carmelitani, sotto la guida di un capo mastro fabbricatore «loro religioso converso, e pratico in tal mestiere», non si limitarono a prelevare «il materiale ordinario scavato o trovato per terra», ma asportarono pietre levigate e altri marmi, staccandoli da porte, lustriere e finestre, con notevoli danni per le diverse strutture, profittando anche della mancata vigilanza, pur prevista dagli ordini regi, dei fucilieri di montagna. Le proteste dei «non degeneri lucerini» provocarono la legittima opposizione governativa, che con dispaccio del 19 aprile 1755 vietava di attingere altro materiale di costruzione dal castello (cfr. A.S.F., Dogana delle pecore, s. V, b. 23, f. 5806, foll. 11-12; P. DI CICCO, op. cit., pp. 292-293, 305-308). Il testo del dispaccio, nel suo tipico spagnolo cavalleresco, è riportato da V. MORELLI, Lucera in difesa del suo Castello nel 1766, «Puglia» - Rivista Storica Letteraria Economica della Regione, III (1926) n. 1, p. 38. 167 La chiesa e il convento del Carmine a Lucera Con atto notarile del 16 gennaio 1753 la progettazione e l’esecuzione del Carmine nuovo era intanto affidata a Ludovico di Tullio, originario di Pescopennataro, «Mastro Ingegnere esperto nelli disegni e fabbriche di chiese et altre opere grandi», in quegli stessi anni attivo in città anche nei lavori di costruzione di un altro edificio, molto probabilmente il nuovo monastero delle benedettine19. Nessun aspetto della programmazione dei lavori venne lasciata al caso. All’ingegnere venne concessa la facoltà di portare in città tutte le maestranze necessarie per la realizzazione della fabbrica (maestri, operai, scalpellini, discepoli), a condizione di «fornire i disegni» e di sovrintendere personalmente al completamento dell’edificio20. La collocazione spaziale della fabbrica carmelitana di Lucera rispecchiava la consuetudine architettonica, adottata dai principali Ordini religiosi del tempo, dell’occupazione di aree urbane e pubbliche vie attraverso l’acquisto, l’espropriazione e la demolizione di edifici preesistenti per fare “isola” e disporre di uno slargo che ponesse in risalto l’intero maestoso prospetto dell’edificio. Questo, tuttavia, non fu mai completato, «dovendosi ancora costruire sui capobraccia del convento, che gira attorno alla chiesa, le decorazioni che giusta il disegno, consistevano in quattro colossali statue di primitivi Santi dell’Ordine»21, anche perché, come vedremo, in quei locali i Carmelitani non rimasero più di un quarantennio. Stesse procedure acquisitive e analoga soluzione architettonica avevano seguito i procuratori del monastero benedettino di clausura femminile di S. Caterina, realizzato a Lucera tra il 1743 e il 1754 di fronte alla chiesa di S. Gaetano. I lavori di costruzione della chiesa del Carmine iniziarono nell’aprile del 1753. Nel 1755 avvenne il trasferimento dei frati nel nuovo, esteso convento, che accoglieva al piano terreno 13 officine (con cucina, dispensa, refettorio e magazzini) e ospitava al primo piano 15 ambienti (per dormitori, celle e sale di studio)22. Nel 1758 la fabbrica era a buon punto, anche se non ancora completata. In soli quattro anni, erano stati spesi circa 12.000 ducati23. Nel 1759 la navata di sinistra accoglieva i primi altari (Lombardo, Scassa, del Vecchio e Pagano). Nel 1759 venne collocato nella prima cappella sul lato sinistro della navata l’altare dedicato a Santa Teresa d’Avila, realizzato dal marmoraro napoletano Michele Salemme tra il 1767 ed il 1768 su commissione del nobile Francesco Saverio Lombardo, 19 A.S.L., Fondo notarile, notaio Monteleone, prot. 1961, cit., p. 1v, da cui risulta che il «M(ast)ro Ludovico stasse impiegato per servizio d’altri in altre opere costruende in questa Città» (p. 3r). 20 Ibid., p. 2v. Il citato atto notarile del 16 gennaio 1753 fra il priore del convento dei carmelitani di Lucera Filippo Rotelli e l’ingegnere e direttore dell’opera Ludovico di Tullio da Pescopennattaro, per il progetto del nuovo complesso conventuale del Carmine, è riportato da N. TOMAIUOLI, Architetti e ingegneri nella Capitanata del ‘700, «Atti del 5° Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria e Storia della Daunia» (San Severo, 9-11 dic. 1983), II vol., San Severo 1988, alle pp. 208-211. 21 E. CAVALLI, Lucera Cristiana Cattolica Ecclesiastica, ms. cit., pp. 27v-28r. 22 A.S.F., Pianta del piano superiore del Real Orfanotrofio di S. Carlo della Comune di Lucera, 1819; M. MONACO (a cura di), La Chiesa del Carmine di Lucera, cit., pp. 16-17. 23 G. TRINCUCCI, Ancora sulla cappella Scassa della chiesa del Carmine, «il Nuovo Foglietto», LXII (2005), n. 28/29 , p. 4. 168 Massimiliano Monaco come ricordano le armi gentilizie che campeggiano sulle specchiature dei pilastri, una scritta all’interno della porta metallica che chiude il tabernacolo, dove è riprodotto lo stemma dei Lombardo e sono incisi il nome (Franc. Saverio Lombardo) e l’anno (1768); una pietra tombale con iscrizione in latino, collocata sul pavimento (attualmente rimossa) e una lapide murale dalla quale si apprende che D. Vincenzo Lombardo, padre di D. Francesco Saverio e D. Domenico, volle dedicare l’altare a Santa Teresa d’Avila. L’altare è tutto in marmi policromi, che ricoprono anche la parete, e fu consacrato da Giuseppe Maria Foschi, «vigilantissimo» vescovo della città, che si impegnò affinché esso fosse arricchito dal sommo pontefice Clemente XIII di particolari indulgenze e privilegi. Con successivo pubblico istrumento rogato dal Notaio Domenico Mansueto il 23 dicembre 1759 e con altro del 14 marzo 1761, D. Francesco Saverio e i suoi fratelli D. Filippo Antonio e D. Domenico Lombardo assegnarono alla cappella una dote annua di 10 ducati. La pala d’altare rappresenta l’Apparizione della B.V. del Carmelo a S. Teresa ed è opera di Ermenegildo Costantini, «eccellente artista» di Scuola romana, che godette di grande notorietà per essere stato accolto alla corte di Stanislao Augusto di Polonia, dove lasciò tracce importanti del suo talento24. A giudizio dell’Accademia Romana di S. Luca, l’opera, fu pagata 200 fiorini d’oro25. Officiato per anni dai Lombardo, l’altare passò poi ai d’Amelj, di cui il Barone Giambattista fu l’ultimo rappresentante a Lucera. Sua è un’agile epigrafe funeraria murata in un pilastro laterale della cappella che ricorda come il 10 dicembre 1889 in quel sito vennero per suo interessamento e a sue spese traslate dall’oratorio del SS. Sacramento, fino ad allora addossato alla Cattedrale, le ossa di tre benemeriti vescovi di Lucera: Michele Marculli (1733-1759), Giuseppe Maria Foschi (1759-1776) e Giovanni Arcamone (1792-1793). Nell’ambito della scuola di Giacomo Bonavita andrebbe inserita una statua a mezzo busto di S. Teresa26, sottoposta ad uno sciagurato restauro negli anni 1999-2000 e ad un successivo intervento di restauro nel 2007, che si conserva nel Museo del Palazzo vescovile di Lucera. Al 1759 risale anche la cappella dell’Addolorata, la seconda a sinistra, di patronato 24 Ermenegildo Costantini (1731-1791), pittore neobarocco romano, allievo di Marco Benefial (Roma 1684-1764), si discosta dal maestro per un linguaggio pittorico di ascendenza barocca «che tendeva al grandioso e al decorativo» (M. COCCIA, in AA.VV., La pittura in Italia. Il Settecento, vol. II, p. 680). Eseguì molti affreschi a Roma, a Velletri (Cappella del Sacramento) e a Recanati (Galleria del Palazzo Antici). Tommaso Antici, soddisfatto del lavoro recanatese, propose il pittore ai canonici tifernati, che lo prescelsero tra molti concorrenti, ritenendolo degno di stare accanto ai prestigiosi pittori Ludovico Mazzanti e Marco Benefial. Dopo il terremoto del 1789, che fece temere anche della sua vita, tornò a Roma e continuò a lavorare. L’ultima sua opera è una copia parziale della Pala di San Nicola da Tolentino di Raffaello (gravemente danneggiata nel terremoto del 1789) datata 1791, attualmente nella Pinacoteca Comunale di Città di Castello. 25 F. S. LOMBARDI, Triduo in onore di S. Teresa che si celebra nella Cappella dedicata alla stessa Santa, posta nella chiesa nuova dei PP. Carmelitani della Regia Città di Lucera, Metropoli della Provincia di Capitanata, ROMa 1767. 26 M. PASCULLI FERRARA, Contributo per la scultura lignea in Capitanata e in area meridionale nei secoli XVII-XVIII, in AA.VV. (a cura di M.S. Calò Mariani), Contributi per la storia dell’arte in Capitanata, 1. La scultura, Galatina 1989, p. 62, n. 29. 169 La chiesa e il convento del Carmine a Lucera dei marchesi Scassa, che presenta un altare maestoso e di gran pregio, ammirabile per la possente e slanciata inquadratura architettonica, anch’esso realizzato, come risulta dalle lettere scolpite sul terzo gradino di sinistra, da Michele Salemme27. Ai lati si ammirano i due stemmi nobiliari della Famiglia e il sontuoso monumento sepolcrale del committente, il march. Onofrio Scassa (1703-1761), esponente di punta del Foro napoletano, il cui busto in marmo, attribuito al maestro Gaetano Salomone, fu scolpito in altorilievo nel 1761 ad iniziativa della Municipalità28. L’altare custodisce una tela di notevole interesse artistico raffigurante una palpitante Addolorata sorretta da due Angeli al cospetto della tomba di Gesù, altissima pagina pittorica per l’atmosfera di dolore in cui la scena si svolge. Di grande formato (cm. 350 x 200) e di pregevolissima fattura, la pala fu dipinta nel 1759 da Francesco De Mura (1696-1782), grande protagonista della pittura napoletana nella seconda metà del Settecento. Composizione, sentimento e forza espressiva rendono l’opera un autentico capolavoro. La scena acquista una particolare identità proprio inserita nella grande struttura di questa spettacolare composizione marmorea, risolta in un vero e proprio parato a lutto allestito sull’intera altezza della parete, nell’accordo di brecce scarlatte sapientemente accostate a inserti di verde antico. Il 1° novembre 1761 avvenne il trasferimento dal Carmine vecchio dell’immagine della Madonna del Carmelo29 e nel 1762 fu avviato il progetto di trasformazione dell’antico convento carmelitano, messo in vendita fin dal 1755. Dopo due diverse perizie di stima del valore (1762), nel 1764 i Padri firmarono l’atto di vendita del vecchio monastero al governo, che pensò di trasformarlo in caserma di cavalleria per sistemarvi cinque delle otto compagnie di stanza in Puglia. Per il recupero fu fatta proposta di utilizzare le pietre delle mura del castello, ma essa non venne approvata. Il compenso pattuito fu di 3.670 ducati e 18 grana, anche se da una lettera del vescovo di Lucera Giuseppe Foschi del 31 agosto 1767 si apprende che il diruto monastero dei PP. Carmelitani era in cessione al Regia Corte per 224 ducati30. Nel 1860 dell’antico 27 L’apposizione della firma da parte dell’artefice marmoraro potrebbe indicare l’orgogliosa rivendicazione della responsabilità ideativa, oltre che esecutiva, dell’opera, eseguita probabilmente su progetto di un architetto dall’oscura identità, per il quale ricevette dal compiaciuto committente, oltre al prezzo convenuto di ducati 200, altri 10 di mancia. 28 L’attribuzione allo scultore Salomone è di M. PASCULLI FERRARA (Lucera nell’età rinascimentale e barocca, cit., p. 141). L’iscrizione sottostante al mezzobusto, riferibile al canonico Mazzocchi, fu dettata nel 1758. Una versione dell’epigrafe del monumento sepolcrale è contenuta in un carteggio relativo alla famiglia Scassa custodito nella sezione manoscritti della B.C.L. (ms. 54-11-266), Iscrizione sotto la Statua fatta dallo Canonico Mazzocchi a lettere scritte a me dal P. dr. Rotella alla mia cappella dì 27:28 e 30 Agosto 1758, p. 256. 29 B.C.L., Elem. St. Luc., vol. VIII, doc. n. 39, Notizie sull’antico quadro della Madonna del Carmine, cit. 30 Nel 1762 l’ingegnere G. Battista Pinto era incaricato dal re di recarsi nella città di Lucera «per formare due separati quartieri di Cavalleria», dove, sulla scorta degli «apprezzi» del vecchio convento dei Padri Carmelitani eseguiti dall’ingegnere Gaetano Lupoli nel gennaio 1762, e dall’ingegnere Giovanni Mangarella il 6 febbraio dello stesso anno, redigeva un duplice progetto, «uno capace fosse per sei compagnie, comprese le due già situate nel vecchio convento de’ PP. Carmelitani; l’altro per quattro compagnie comprese le riferite due esistenti nel detto convento» (A.S.L., Fondo notarile, serie I, notaio Piccinni Benedetto, prott. nn. 3598-3599; A.S.F., Dogana delle Pecore, s. V, b. 123, f. 5794, cit.; P. DI CICCO, op. cit., p. 287; N. TOMAIUOLI, Aspetti e problemi dell’architettura del ‘700, cit. p. 75, 80). 170 Massimiliano Monaco complesso non rimanevano che alcuni ruderi; fino a qualche anno fa solo le «informi vestigia del pozzo»31. Nel 1785, concludeva scenograficamente lo spazio liturgico interno alla chiesa un sontuoso altare maggiore, dedicato alla Beata Vergine del Monte del Carmelo, apparato che dalle strette affinità con il più tardo altare maggiore della Chiesa matrice di Rocchetta S. Antonio, eseguito da Luigi Cimafonte, ne giustifica la sicura attribuzione ad un’esponente della bottega di questi marmorari, che vede attivi in quegli anni oltre al già menzionato Luigi, anche Aniello e Romualdo. L’attribuzione alla bottega dei Cimafonte appare fondata, del resto, anche sull’esame delle due acquasantiere disposte ai lati dell’ingresso della chiesa, il cui dossale appare assai vicino a quello delle acquasantiere dell’Assunta di Rocchetta, opere documentate di Luigi Cimafonte. Alle spalle dell’altare, in alto, è inserita in una cornice di marmo sormontata da una corona sostenuta da due angeli la tela della Vergine del Monte Carmelo col Bambino, icona di pregevole fattura bizantina, già venerata nell’antica chiesa del Carmelo. Una lapide apposta alla destra dell’altare celebra l’operato della famiglia De Grazia (Don Vincenzo Maria, canonico e poi decano della Real Basilica Cattedrale di Lucera, Don Michelangelo e la loro genitrice Donna Marianna Ciaramella), che nel 1818 ne assunse il patronato dalla famiglia Pagano e si impegnò nel restauro dell’altare (1835). Dall’altro lato, un quadro ricorda che la consacrazione dell’altare avvenne alla presenza del Card. Camillo Siciliani Di Rende, Amministratore apostolico di Lucera dal 1888 al 1893. Nel 1794 un inasprimento dei rapporti con la Corte reale, portò Ferdinando IV a firmare un decreto di espulsione dei Carmelitani dalla città di Lucera. Poco note le motivazioni del drastico provvedimento, da porre comunque in relazione alla politica del ministro Tanucci, «orientata in senso giurisdizionalista su pulsioni derivanti dalle condizioni economiche del regno, tanto da permettere che i beni delle confraternite fossero devoluti in toto alla pubblica istruzione, con l’istituzione dell’obbligo di otto classi già nel 1782»32. Dalle deliberazioni dell’Università e da alcune cronache locali si apprende, tuttavia, che la permanenza dei religiosi nel nuovo convento «non andava a genio ai cittadini …, tanto vero che essi pensarono di mandar via quei Padri, e dare al locale altra destinazione». In effetti i Frati «pare non rispondessero bene al loro ministero», o per lo meno non accontentassero i cittadini, che cercavano un luogo in cui insediare un Orfanotrofio per l’istruzione dei propri «Figli», così come un ‘real dispaccio’ del 1778 faceva obbligo di attivare presso tutti gli enti ecclesiastici della città, ma che probabilmente i Carmelitani di Lucera si ostinavano a non eseguire33. Difatti troviamo negli atti del Parlamento lucerino la deliberazione del 22 settembre 1793 con la quale, a seguito di regolare supplica a Sua Maestà, e previo assenso reale, un’assem31 P. DI CICCO, op. cit., p. 287. L. BERTOLDI LENOCI, L’associazionismo laicale confraternale e la politica borbonica (1741-1799), in: AA.VV., Foggia Capitale cit., p. 95. Fino ad oggi non è stato possibile rintracciare il decreto in parola. 33 Cfr. B.C.L., Elem. St. Luc., Real Dispaccio di Ferdinando IV (5.12.1778), vol. IX, n. I. 32 171 La chiesa e il convento del Carmine a Lucera blea cittadina decise l’espulsione dei Padri Carmelitani e la trasformazione del locale in un Istituto di educazione, di istruzione (per lettura, scrittura, aritmetica, grammatica) e di apprendimento delle arti, mestieri e manifatture34. Non è comunque da escludere che i rapporti tra Famiglia carmelitana di Lucera e governo di Napoli fossero rimasti irrimediabilmente compromessi a seguito dei gravi abusi commessi nelle procedure di asportazione del materiale di fabbrica dal castello cittadino. Con lo stesso decreto di soppressione il re provvedeva ad insediare nell’ex monastero un Istituto per l’accoglienza e il mantenimento delle orfane povere di Lucera, che dotò di tutti i beni mobili e immobili appartenuti al «Venerabile Convento dei PP. Carmelitani», con l’onere di culto per la festa di S. Teresa, giusto il legato dei Fratelli Lombardo. Tale dotazione (28 legati e una rendita complessiva netta di 1.555,4 once nel 1754; ridotta a 853,24 once nette nel 1808)35 fu assegnata a beneficio dell’«Azienda della Pubblica educazione» al fine di accogliere e mantenere le «orfane pericolanti»36 di età compresa tra i 12 e i 25 anni. La chiesa subì la sorte del fabbricato suddetto, rimanendo cioè in consegna dell’Opera Pia. Aperto nel 1804 sotto il titolo di Orfanotrofio San Carlo, l’Istituto accolse «le orfane nubili e le fanciulle di povere famiglie» e fu inizialmente amministrato dalla Commissione di Beneficenza, a cui subentrò il Consiglio degli Ospizi (poi Congregazione di Carità). Ma già nel 1805, «le ragazze che qui si trovano ritirate per essere educate nei doveri verso Dio, verso loro stesse e verso lo Stato; e per essere istruite in certe manifatture», o non lavorano affatto, o «non si occupano in altro lavorio che in quello della pasta sottile e grossolana, nel filare materia ordinarissima, e nel fare qualche piccola manifattura ordinaria di lino, che da tutte le donne di questa città comunemente si lavora»37. Passata la chiesa sotto la cura del clero secolare, nel 1816, nella terza cappella di destra, venne eretto a spese della famiglia Nocelli l’altare marmoreo dedicato a San Raffaele, di modesta entità, il cui paliotto ricalca quello dell’altare della famiglia 34 Nel Parlamento del 22 settembre 1793, i cittadini furono convocati per decidere circa l’espulsione dei Padri Carmelitani e la trasformazione del locale in un «Orfanotrofio per la istruzione dei figli del popolo nelle arti e mestieri e manifatture analoghe ai prodotti della Provincia». L’assemblea fu tanto numerosa che «non essendovi capienza sopra del Pubblico Palazzo del Consiglio, si stimò convocarla nel portone o cortile del medesimo». Il gran numero dei convenuti obbligò gli Eletti ad indire la votazione con formelle bianche e nere giacché non vi erano le pallette disponibili e con i ceci e fave poteva nascere confusione. La votazione ebbe per risultato 365 formelle bianche, affermative alla proposta, e solo 7 formelle nere. Dopo la votazione si presentarono spontaneamente altri cittadini che dichiararono di non essere intervenuti «per tanti ostacoli e pressioni dei Frati del Carmine», ed aggiunsero che con compiacenza si uniformavano alla deliberazione già espressa (cfr. G. PRIGNANO, Il convento dei Carmelitani e l’Orfanotrofio S. Carlo, in B.C.L., Ricordi nostalgici, 1930, pp. 87-89 e Il Convento del Carmine, cit.). 35 Cfr. A.S.L., Catasto Generale Onciario del 1754, Venerabile Convento di S. Maria del Carmine, pp. 649660 e Catasto Antico Provvisorio del 1806, Padri Carmelitani di Lucera. 36 Dal Cabreo della Congrega di Carità citato da G. PRIGNANO, Il Convento del Carmine, cit. 37 Lettera del 7.9.1805 del delegato della Regia Giurisdizione di Napoli, Sig. D. Michele Vecchione al Vescovo di Lucera, mons. Alfonso Maria Freda, in: ARCHIVIO STORICO DIOCESANO (d’ora in poi A.S.D.), Fondo della Curia vescovile di Lucera, Uff. Amm.vo, cart. “Parrocchia S. Matteo al Carmine”, Estratto degli Atti della S. Visita di Mons. A.M. Freda Vescovo di Lucera nell’anno 1805. 172 Massimiliano Monaco Lombardo e in cui spicca una pala avente come soggetto l’apparizione dell’Arcangelo Raffaele a Tobia, di autore ignoto. Sulla sommità dell’arco della cappella e ai lati dell’altare è riprodotto lo stemma della distinta famiglia Nocelli. Sulla sinistra, una lapide, apposta dal can. Gaetano, ricorda il luogo in cui riposa il suo «affettuosissimo» fratello Antonio (1738-1811), «uomo sobrio, integerrimo, piissimo», decano del Capitolo della Cattedrale lucerina, esaminatore sinodale e Vicario episcopale. Altre due lapidi marmoree, una murata poco lontano da questa, di forma ovale e con fregio, l’altra apposta a terra, davanti all’altare, con stemma nobiliare (oggi rimossa), ricordano l’anno della dedicazione dell’altare da parte di Gaetano Nocelli (1816), lo stesso in cui il canonico fece realizzare il vicino pulpito in legno. Non molti anni dopo, per volontà della nobildonna Rosa d’Amelj dei baroni di Binetto e Melendugno (1788-1873), consorte del march. Pasquale De Nicastri, sindaco di Lucera che nel 1837 morì di colera, venne eretto nella seconda cappella di destra un altare di schietto gusto neoclassico in onore di S. Gregorio Vescovo. Due lapidi rettangolari di uguali dimensioni, sormontate dagli stemmi di famiglia, fiancheggiano la nicchia che oggi ospita la statua-manichino della B.V. del Carmelo (sec. XVIIIXIX). Nell’epigrafe di sinistra la marchesa, motivando la propria iniziativa attraverso il richiamo a una personale devozione, nutrita fin dall’infanzia, verosimilmente legata a una pia tradizione di famiglia, dice che, conservato il diritto di patronato eresse, adornò e donò l’altare in onore del Santo Vescovo Gregorio. L’epigrafe di destra ricorda che la consacrazione dell’altare, «realizzato con molta cura con scelte pietre di marmo e adornato con la statua del sullodato Taumaturgo», avvenne il 25 ottobre 1839. Qualche anno dopo (21.1.1844), sotto il rettorato del can. D. Luigi Nocelli, a spese del Vescovo Giuseppe Maria Jannuzzi, avvenne la costruzione del coro (con organo e tribuna in legno), e lo spostamento dell’antico quadro della Vergine del Carmelo nell’attuale nicchia, inquadrata in una pregevole cornice di marmi policromi sormontata da due angeli38. «Per impellenti ragioni economiche», con regio decreto del 23 novembre 1873 l’amministrazione dell’Istituto San Carlo passò dalla Congregazione di Carità all’ente morale Orfanotrofi Riuniti, sotto il cui titolo i tre orfanotrofi cittadini (SS.ma Annunziata, S. Carlo e Pellegrino) furono unificati. Il 16 dicembre 1916, infine, con deliberazione della suddetta Congregazione, approvata dalla Commissione provinciale di Beneficenza il 13 gennaio 1917, l’Orfanotrofio S. Carlo cessò per sempre la sua attività, perché definitivamente assorbito dagli Orfanotrofi Riuniti di Lucera. Nel 1874 sulla facciata dell’ex monastero furono collocate due meridiane realizzate dall’ing. prof. Alfonso Boselli, preside-rettore del Real Collegio Carlo Antonio Broggia di Lucera (oggi Convitto Nazionale Ruggero Bonghi). Guardando il prospetto della chiesa, quella di sinistra è una meridiana solare, dove l’ora è determinata dall’angolazione della linea d’ombra, mentre quella di destra è una meridiana del tempo medio, dove, cioè, in una curva centrale a forma di otto allungato ricade l’ombra della 38 B.C.L., Elem. St. Luc., vol. VIII, doc. n. 39, cit., p. 1. 173 La chiesa e il convento del Carmine a Lucera punta dello stilo nei vari giorni dell’anno nel momento del mezzogiorno locale39. Nel 1890 la chiesa passava alla Reale Arciconfraternita di S. Maria della Misericordia sotto il titolo della Morte, composta da esponenti del patriziato locale e presente in Lucera fin dalla seconda metà del XVI secolo con lo scopo di dare cristiana sepoltura ai poveri e ai condannati a morte40. Con l’abbattimento dell’oratorio (risalente al 1603) dell’Arciconfraternita, conseguente alla demolizione delle quattro cappelle laterali al Duomo, con nota n. 2937/1889 del Ministero della Pubblica Istruzione Direzione Generale delle antichità e delle Belle Arti, fu riconosciuto il diritto di detta Arciconfraternita ad avere a disposizione un’altra chiesa. Con la demolizione della cappella di sua proprietà (1890), l’Arciconfraternita venne pertanto trasferita nella chiesa di S. Maria del Carmelo, il cui uso gratuito e «perpetuo» passò dalla Congregazione di Carità al Comune di Lucera (21.3.1889) e da questo all’Arciconfraternita (14.4.1889), che aveva ceduto alla Municipalità la proprietà del suo antico oratorio. Il passaggio fu sancito definitivamente con atto del notaio Francesco Paolo Baldassarre del 30.11.1890. A spese del Comune avvenne, intanto, il trasferimento dell’Arciconfraternita presso la chiesa del Carmine, dove furono trasportati e rimontati il coro dei Fratelli, le due campane41, il crocifisso processionale e, probabilmente, gli «stemmi di morte» collocati agli stipiti dell’altarino della cripta, che nel 1931 mons. Giuseppe Di Girolamo, nei decreti della sua seconda S. Visita pastorale (1929), ordinava di «abolire»42. Nell’ultima semicappella di sinistra, infine, fu rimontato l’altare marmoreo con la pala ornata di ricca cornice in marmo della Madonna della Misericordia, che prese il posto di un precedente altare in muratura – probabilmente quello della Famiglia del Vecchio – 39 Con lettera del 6 novembre 1872 il Comune di Lucera incaricava l’ing. Boselli di costruire tre meridiane: una solare, una a tempo medio, da installare sul prospetto della chiesa del Carmine, e una a tempo vero, da collocare sul campanile della Cattedrale, accanto all’orologio della città. Quest’ultima, protetta da un coperchio chiuso a chiave, dovette essere eliminata dopo qualche anno. La spesa occorsa per la costruzione ed il collocamento delle tre meridiane nei luoghi predetti fu di lire 300. Delle tre opere, la meridiana a tempo medio installata sulla facciata del Carmine fu considerata una costruzione «perfetta», «perché segnava in ogni giorno dell’anno il mezzodì, in modo che lo stesso tempo passi sempre da un mezzodì all’altro» (B.C.L., Registro delle Deliberazioni Comunali, anni 1872-74). 40 Su questa Arciconfraternita si veda M. MONACO, Pietà e nobiltà a Lucera in età moderna e contemporanea. La Congregazione di S. Maria della Misericordia sotto il titolo della Morte, in AA.VV. (a cura di G. Trincucci), Benignitas et Humanitas. Studi in onore di Mons. Francesco Zerrillo Vescovo di Lucera-Troia, Lucera 2007, pp. 183-198. 41 Nella cella campanaria della chiesa del Carmine vi sono quattro campane. Sulla prima (cm. 61 di diametro x cm. 57 di altezza), riportante l’emblema della confraternita, si legge l’iscrizione: IN HOC VINCE – R. ARCHICONFRATERNITAS MORTIS. Sulla seconda (cm. 48 di diametro x cm. 44 di altezza), la scritta: OPVS IACOBI DE CALDERARI MDVCI – LA CONFRATERNITA DELLA SANTISSIMA ANNCIADA. Sulla terza campana grande vi è l’iscrizione: DEIPARAE CARMELI AC D. ALOYSIO – ANNUENTE MORTIE SODALITATE AMPLORI FORMA D. GAIETANUS LASTARIA CURAVIT ANNO SACERDOTII XXV – DICAVITQUE – LUCERIAE 1923 – PREMIATA FONDERIA – P. MARINELLI E FIGLIO – AGNONE. Sulla quarta campana (cm. 32 di diametro x cm. 31 di altezza) vi è, infine, la scritta: AD 1815. Cfr. A. DE TROIA, Elenco della campane delle chiese di Lucera, in B.C.L., Elem. St. Luc., vol. VII, n. 16 (anni 1926-1928), pp. 74-79. 42 A.S.D., Fondo Cancelleria Vescovile, 2a Visita pastorale di Mons. Giuseppe Di Girolamo. Relazione dell’apertura e Decreti di S. Visita delle Chiese di Lucera, Chiesa del Carmine (maggio 1931), punto n. 11. 174 Massimiliano Monaco dedicato a S. Francesco da Paola, con tela seicentesca detta della Madonna dei Miracoli tra i Santi Nicola da Bari e Francesco da Paola. L’altare confraternale, la cui ideazione ed esecuzione va assegnata a Michele Salemme, che dovette realizzarlo negli anni Ottanta del XVIII secolo, presenta agli angoli cantonali gli inconfondibili emblemi del Sodalizio committente: il cranio, i femori incrociati e l’orazionale. La pala, di buona composizione, ha come soggetto la Vergine della Misericordia, di autore ignoto, databile alla seconda metà del XVIII secolo43. I restauri che interessarono la chiesa negli anni Sessanta del secolo scorso privarono la cappella in esame della balaustrata in marmi policromi che ne delimitava lo spazio, della quale non v’è più traccia. A spese del sacerdote prof. Gaetano Lastaria (come ricorda l’iscrizione incisa sulla lastra marmorea affissa sul pilastro della prima cappella di destra) nel 1921 venne restaurato il modesto altare dedicato a San Luigi Gonzaga, che nel 1960 fu interessato da un successivo intervento di restauro a spese del can. Vittorio Pecoriello (come ricorda un cenno epigrafico posto nel pavimento). L’opera, consacrata da mons. Giuseppe Di Girolamo il 25 aprile 1922, rivela la stridente presenza di inserti plastici settecenteschi: i cantonali e le volute capoaltare, provengono, infatti, dall’altare della Vergine della Misericordia. Il manichino articolabile raffigurante S. Luigi, ospitato nella nicchia, venne fatto realizzare a spese del canonico Luigi Nocelli. La cappella termina con la scalinata di accesso alla cripta della chiesa, risalente all’epoca di costruzione dell’edificio e già adibita a cappella funeraria. Nel 1924, dopo aver ospitato alcune classi di scuola elementare, l’ex convento divenne sede della Colonia Agricola “Luceria Nova” per gli orfani dei contadini caduti in guerra44. Ma, passata questa nei locali dell’ex convento della Pietà, dopo qualche anno vi si insediarono gli uffici della Conservatoria dei Registri Immobiliari, rimastivi fino al 1970. Dal 7 giugno al 7 luglio 1927 una controversia sorta tra i Priori di sette Confraternite lucerine e l’Ordinario diocesano circa un’asserita ingerenza della Curia vescovile di Lucera non solo nelle opere spirituali e di culto affidate alle confraternite, ma anche in campo civile, portava alla temporanea chiusura della chiesa. Il 19 luglio 1932 il Vescovo Di Girolamo avanzava istanza al Ministero dell’Interno per ottenere la cessione in uso della chiesa e di una congrua parte del fabbricato ex conventuale da adibirsi a rettoria. Pochi anni dopo, a seguito del riordinamento delle circoscrizioni parrocchiali, con decreto dello stesso Vescovo (13.5.1935) approvato dall’Amministrazione della Confraternita in data 13 ottobre 1935, la sede parrocchiale 43 Per il Regio Ispettore ai Monumenti F. SPEDALIERE (I dipinti e le chiese di Lucera, Portici 1914, p. 37), essa è tratta da qualche quadro del Solimena, «ma non della sua prima maniera, bensì dopo il rinnovamento del suo stile caratteristico e nuovo, avvicinandosi più alla maniera dei suoi coetanei». 44 «Così quel Convento destinato alla sterile ed infeconda vita monastica addivenne l’asilo benefico di povere donzelle, poscia scuola educatrice di cucito e ricamo, indi scuola normale; ed ora provvidenzialmente Colonia Agricola per gli Orfani di quei Contadini caduti in Guerra, verso i quali la Patria riconoscente sente l’alto dovere di provedere alla educazione dei figliuoli» (G. PRIGNANO, Il Convento del Carmine, cit.). 175 La chiesa e il convento del Carmine a Lucera di S. Matteo Apostolo45 fu trasferita dalla chiesa omonima alla più accogliente chiesa del Carmine. L’incorporazione avvenne dopo il regio decreto del 23 novembre 1936 di riconoscimento degli effetti civili dell’atto vescovile di trasferimento della sede parrocchiale, ed il verbale di consegna dell’Arciconfraternita di S. Maria della Misericordia al Parroco di San Matteo del 26 gennaio 1937. I rapporti tra la parrocchia ed il pio sodalizio vennero regolati secondo le norme stabilite nella convenzione del 15 luglio 1938. La parrocchia prese il nome di “San Matteo al Carmine”. A cura dell’arciprete Giuseppe Rossetti, nel 1960 la chiesa fu completamente restaurata a spese dei parrocchiani. Con atto della Soprintendenza regionale ai Monumenti n. 934 del 23 gennaio1984 all’intero complesso ex conventuale veniva riconosciuto notevole interesse storicoartistico ai sensi dell’art. 4 della legge 1.6.1939 n. 1089. In applicazione dell’art. 29 comma 4 della legge n. 222/1985 di revisione dei Patti Lateranensi, la proprietà della chiesa e dei locali annessi al pian terreno passava con decreto vescovile n. 16/1989 (in atti dal 22.2.1993), in proprietà alla Parrocchia San Matteo Apostolo ed Evangelista al Carmine. Dal dicembre 2003 al maggio 2005 l’edificio è stato interessato da notevoli lavori di consolidamento strutturale e di restauro esterno (coperture) ed interno (posa in opera di tiranti metallici di rinforzo e integrale rifacimento degli stucchi) grazie ai quali sono stati eliminati i danni provocati dalle scosse sismiche del 31 ottobre e del 1° novembre 2002 e si è giunti alla riapertura al culto della chiesa46. I lavori di restauro del campanile e della facciata, ripresi nel mese di agosto 2007, sono in via di ultimazione. 45 Chiesa parrocchiale sorta sulle rovine di antichi edifici romani che si ergevano sul monte Sacro, della quale si ha memoria a partire da un diploma di Roberto d’Angiò del 1330 (dal 1319 secondo E. CAVALLI, Lucera Cristiana Cattolica, ms. cit., p. 22v), ma che fu riedificata dall’arciprete Gaspare Scorcovilla tra il 1549 e il 1586. 46 Questo il testo dell’epigrafe murata a ricordo dei lavori sul primo pilastro a destra dell’ingresso: A maggior gloria di Dio / Questa monumentale chiesa /dedicata alla Vergine del Carmelo già dal 1754 / danneggiata dal sisma del 31 ottobre 2002 / riportata all’antico splendore negli anni 2004-2005 / per l’impegno di Sua Ecc.za Rev.ma / Mons. Francesco Zerrillo / Vescovo di Lucera-Troia / con il contributo delle pubbliche istituzioni / della Conferenza Episcopale Italiana / della Diocesi, della Parrocchia e del Comune di Lucera, / delle imprese locali e dei singoli benefattori / sotto la guida del compianto Don Vito Ciullo / e di Arturo Monaco e dell’arch. Antonio Cordella / consolidata dalla Ditta A. Resta di Bari / e restaurata dalla Ditta G. Balzano di Manfredonia / fu riaperta al culto il 4 maggio 2005 / Il Parroco Don Michele Tangi / il Comitato per la riapertura e i fedeli / posero. 176