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Carmen Carter I bambini di Hamlin (The Children of Hamlin, 1988) Traduzione di Gabriella Cordone e Alberto Lisiero INDICE Capitolo I......................................................................................................2 Capitolo II.................................................................................................. 12 Capitolo III................................................................................................. 22 Capitolo IV................................................................................................. 33 Capitolo V...................................................................................................45 Capitolo VI................................................................................................. 55 Capitolo VII................................................................................................65 Capitolo VIII.............................................................................................. 78 Capitolo IX................................................................................................. 88 Capitolo X.................................................................................................. 98 Capitolo XI............................................................................................... 109 Capitolo XII..............................................................................................121 Capitolo XIII............................................................................................ 133 Capitolo XIV.............................................................................................142 Capitolo XV..............................................................................................153 Capitolo XVI............................................................................................ 163 Capitolo XVII...........................................................................................174 Capitolo XVIII......................................................................................... 186 I. Quello di «giorno» è un concetto nato su pianeti che ruotano prigionieri intorno al loro sole. Nello spazio profondo, lontano dalla luce e dal calore delle stelle fiammeggianti, la notte perpetua ha il suo dominio... – Capitano, cosa fa ancora alzato a quest'ora? Le parole bucarono la fragile bolla di pensieri che stava trasportando Jean-Luc Picard attraverso lo spazio e lo costrinsero ad uscire da quel vuoto per rientrare nel guscio protettivo rappresentato dallo scafo della nave. Il suo sguardo mise a fuoco il vetro cristallino del largo oblò che rifletteva la sua immagine: occhi scuri e penetranti incorniciati da un viso scarno i cui lineamenti forti erano evidenziati dalla fronte alta e stempiata e dai capelli grigi tagliati cortissimi; le dita delle mani, poggiate sul vetro dell'oblò, erano irrigidite dal freddo e sembrava che il loro calore fosse stato risucchiato dallo spazio. Infine allontanò i palmi dalla gelida superficie e si girò verso la donna che era entrata nella sala d'osservazione. – Potrei farle la stessa domanda, Dottoressa Crusher – ribatté. Beverly Crusher si avvicinò all'oblò e sbirciò fuori, continuando a sentire su di sé lo sguardo del capitano. – Fa parte del mio lavoro – sottolineò, sbadigliando e aggiustandosi i lunghi capelli rossi un po' spettinati. – Sono un dottore, e noi medici siamo sempre svegli anche quando tutti gli altri... o quasi... dormono. Qual è la sua scusa, insonnia o doveri di capitano? – Filosofia – spiegò Picard, conciso, ma l'emozione astratta e quasi mistica che lo aveva pervaso se ne era andata e non provava più il desiderio di ridestarla adesso che c'era la dottoressa. – Era grave il paziente per cui è stata chiamata in infermeria? – Non abbastanza da dover fare rapporto al capitano, se è questo quello che intende – replicò la dottoressa, poi rabbrividì e si strinse maggiormente addosso la giacca blu che le avvolgeva il corpo slanciato. Picard si allontanò dall'aria fredda che circondava l'oblò e uscì dalla sala; Beverly Crusher lo seguì nel corridoio, percorrendo con passi lunghi e aggraziati il passaggio vuoto e silenzioso, rischiarato dalla luce soffice che emanava dal soffitto. – In ogni caso – commentò il capitano, – sono sempre preoccupato per la salute del mio equipaggio. 2 – Allora le farà piacere sapere che il primogenito del Tenente T'sala sta riposando tranquillo dopo aver passato un brutto momento a causa di una colica. – Ah, una colica – ripeté Picard, sforzandosi di apparire quanto più preoccupato possibile. – Non pensavo che i bambini vulcaniani soffrissero di coliche. – Ecco... per la precisione le condizioni di Surell coinvolgevano l'apparato circolatorio, piuttosto che quello digerente, comunque il risultato è un bambino che piange ad alto volume per ore, come per una colica. Ma non è di questo che di solito si preoccupa un capitano, vero? – concluse la dottoressa con un sorriso, lanciandogli una rapida occhiata. – Forse no – concesse lui, rispondendo al suo sorriso. Anche nella luce soffusa del corridoio aveva percepito un bagliore di divertimento negli occhi di lei... quegli occhi così azzurri. Si schiarì la voce con un colpo di tosse e cambiò argomento. – Come stanno i nostri nuovi passeggeri? Si sono adattati alla vita a bordo dell'Enterprise? – I Coloni di Oregon? – sospirò la dottoressa. – Naturalmente, la Flotta Stellare ha certificato che tutta la popolazione emigrante è in perfetta salute, ed è più che normale aspettarsi che si verifichino degli adattamenti psicologici di fronte ad un ambiente così diverso come quello di una nave stellare... – Qual è il problema, Dottoressa Crusher? – la interruppe il capitano. – Non ci sono ancora problemi – rispose lei, – ma secondo Troi uno dei giovani Coloni sembra insolitamente affascinato dalla tecnologia di bordo, ed è stato severamente rimproverato dalla comunità per aver esplorato la nave. – Capisco – mormorò Picard, riflettendo sulle implicazioni della cosa. – Povero ragazzo... so che gli Oregoniani sono piuttosto sospettosi nei confronti della tecnologia moderna, ma sono convinto che non sia una cosa seria. Ancora un giorno e saranno sul loro nuovo pianeta, al sicuro dall'influenza corruttrice della... Si arrestò improvvisamente nel corridoio, senza finire di dar corpo alla sua previsione. – Cosa c'è? – chiese la dottoressa. – Riesce a sentirlo? – controbatté Picard, bilanciando il proprio peso su entrambi i piedi e cercando di cogliere gli impercettibili movimenti del ponte. – L'Enterprise ha cambiato rotta... e ha aumentato la velocità di curvatura – aggiunse, portando di scatto la mano destra al simbolo 3 argenteo attaccato all'uniforme in modo da attivare la comunicazione con l'interfono della nave. – Picard a plancia... – Parla Riker, capitano. Abbiamo ricevuto un segnale di soccorso con priorità uno da una nave stellare federale. Qualcuno li sta attaccando. – Di chi si tratta? – domandò Picard. – I Ferengi? – Non si sa. Il segnale è automatico e probabilmente proviene da una boa d'emergenza. Stiamo ancora cercando di contattare la nave che l'ha lanciato. – Molto bene, Numero Uno. Arrivo subito – concluse Picard, poi interruppe il contatto e si avviò con passo rapido lungo il corridoio. – Buona notte, capitano – gli gridò dietro la Crusher. – Oh, già – si scusò Picard, e si fermò per lanciarsi un'occhiata alle spalle. – Non mi aspetti – avvertì la dottoressa, senza modificare la propria andatura tranquilla. – L'Enterprise è un paziente suo, non mio! Picard accennò un saluto con la mano e riprese a camminare, mentre il dovere cancellava dalla sua mente tutti i pensieri riguardanti Beverly Crusher. Wesley Crusher stava attraversando di soppiatto e senza far rumore l'area giorno dell'alloggio quando lo squillare di una chiamata d'emergenza medica buttò giù dal letto sua madre; rientrato velocemente nella sua stanza, ascoltò il suono ovattato della conversazione con T'sala a cui facevano da sottofondo le grida di un bambino vulcaniano troppo piccolo per poter controllare il dolore, e pochi minuti più tardi sentì sua madre lasciare l'alloggio. Dopo aver contato fino a trenta, si azzardò a sbirciare fuori della cabina per vedere se lei era ancora nelle vicinanze e appurò con sollievo che se n'era andata. Il suo cuore continuò però a battere all'impazzata mentre usciva nel corridoio e si dirigeva al turboascensore: sapeva di sentirsi abbastanza grande da poter gestire a proprio piacimento il tempo libero senza doverne rendere conto a sua madre, ma forse lei non sarebbe stata d'accordo e quindi la cosa migliore da fare era evitare che scoprisse che aveva appena lasciato l'alloggio. Anche se la nave era tranquilla a quell'ora della notte c'erano comunque ancora persone che andavano da una sezione all'altra, ma nonostante la sua giovane età nessuno fece caso a lui, sia perché era alto quanto la maggior parte degli adulti sia perché indossava l'uniforme da cadetto che indicava 4 esplicitamente la sua appartenenza all'equipaggio regolare della nave; la sua reputazione di studente zelante e coccolato da tutti faceva inoltre sì che ogni sospetto residuo venisse fugato. Dnnys lo stava aspettando nel luogo prestabilito, una sala di ricreazione vuota sul Ponte 21. – Pensavo che non saresti venuto – commentò. – Ho avuto un contrattempo che mi ha costretto a tardare – spiegò Wesley. – Già, anch'io sono stato sul punto di essere scoperto – replicò l'altro ragazzo, con un sorrisetto comprensivo, – ma dopo l'ultima strigliata che mi ha dato Tomas, nessuno immagina che osi ancora lasciare gli alloggi dei passeggeri. Da dove cominciamo, Signor Crusher? – chiese quindi, mettendosi scherzosamente sull'attenti. – Dalla sezione ingegneria – rispose Wesley, che aveva elaborato nei particolari il loro tour mentre era a letto a contare i minuti che mancavano all'appuntamento. – Posso introdurti in alcune aree non vietate, ma dovrai comportarti più che bene, perché ti noteranno tutti. – Mi noteranno? – fece eco Dnnys, sgranando gli occhi in un'espressione di finta innocenza, e abbassò lo sguardo sul suo tradizionale vestito da Colono con i pantaloni in cotone grezzo blu chiaro e il pullover di lana lavorato a quadrotti rossi e neri. – Avrei potuto portarti qualche vestito per cambiarti, ma non credo avrebbe fatto molta differenza – aggiunse Wesley, indicando gli arruffati capelli castani del giovane Colono. – Avresti bisogno anche di un buon taglio. – Possiamo visitare la plancia? – chiese Dnnys, accantonando con una scrollata di spalle la questione del proprio aspetto esteriore. – Assolutamente no – rispose Wesley, con enfasi. – Il capitano l'ha vietata a tutti i ragazzi. Prima che fossi nominato facente-funzioni di guardiamarina se l'è presa anche con me, soltanto perché avevo dato un'occhiata rimanendo nel turboascensore. – Fece una pausa, poi aggiunse: – Non volevo dare l'impressione di vantarmi... di essere un guardiamarina, intendo. – Non l'hai fatto – lo rassicurò Dnnys. – Non molto, per lo meno. Se potessi lavorare nel centro di controllo di una nave stellare, io sarei più vanitoso di un pavone. Avanti, muoviamoci – incitò quindi, oltrepassando la porta della sala ricreazione. – Non passerà molto tempo prima che si accorgano della mia assenza. 5 – Sei sicuro di volerlo fare? – domandò Wesley, indugiando a seguirlo. – Potresti ritrovarti in un mare di guai. – Oh, io sono sempre nei guai per una cosa o per l'altra – sospirò Dnnys. – Ormai ci sono abituato. Dal momento che Dnnys non mostrava di voler rinunciare, Wesley si strinse nelle spalle e lo precedette verso il perimetro esterno della sezione ingegneria. I membri dell'equipaggio addetti al turno di notte non ebbero difficoltà a far entrare il Guardiamarina Crusher e rivolsero soltanto un'occhiata distratta al suo compagno prima di tornare al lavoro. – Il pozzo centrale è più interessante – si scusò Wesley, nell'attraversare la stanza squadrata e spaziosa dove si trovavano i pannelli di controllo dei sistemi. – Forse, ma anche questo è molto eccitante per me – ribatté Dnnys, poi indicò uno dei pannelli e chiese: – Cosa fa questo? Diligentemente, Wesley cominciò a descrivere la funzione del pannello, mentre il costante e sommesso mormorio del vicino miscelatore materia/antimateria faceva da sottofondo alla sua voce, e Dnnys lo ascoltò annuendo, con lo sguardo reso un po' vitreo dallo sforzo di cercare di assorbire un intero mondo di informazioni per lui aliene quanto lo sarebbe stata l'agricoltura per Wesley. Poi un improvviso rumore che non gli era familiare gli strappò un sussulto e lo indusse a spostare lo sguardo da un lato all'altro della stanza. – Cos'è stato? – domandò. – Abbiamo aumentato la velocità di curvatura – esclamò Wesley, stupito dal repentino spostamento di ritmo e di potenza che aveva percepito nelle vibrazioni del ponte. Si allontanò dal monitor per chiederne il perché, ma vide che il tecnico di turno si trovava adesso in un'altra area. Avrebbe dovuto scoprirlo da solo. La plancia che costituiva il centro nevralgico dell'Enterprise era una sala molto spaziosa con un soffitto a volta e pareti tondeggianti che aggiungevano una dimensione estetica alla sua struttura funzionale. Le poltrone delle varie postazioni erano imbottite, il pavimento ricoperto di moquette: caldi colori pastello dominavano l'atmosfera, e una luce diffusa rivelava i lucidi e neri pannelli di controllo i cui display avevano colori accesi e brillanti. William Riker, primo ufficiale della U.S.S. Enterprise, era in piedi al centro della plancia, il corpo muscoloso teso sotto l'uniforme e gli occhi 6 fissi sul grande schermo visore che occupava l'intera parete frontale della sala circolare. – Avanti così – ordinò all'ufficiale timoniere. Mentre parlava sentì il passo pesante di Worf nell'area sopraelevata alle sue spalle, e per un momento fu sul punto di chiedergli di nuovo che cosa registrassero i sensori a lungo raggio, ma poi si trattenne perché la domanda sarebbe stata ripetitiva e inutile: per il momento aveva già fatto tutto quello che poteva. La sua reazione alla richiesta di soccorso era stata automatica e immediata: una veloce verifica del messaggio e una rapida successione di ordini che avevano portato la nave stellare ad aumentare la velocità mettendosi su una nuova rotta. Poi aveva deciso di contattare il capitano, ma mentre stava allungando la mano per premere il pulsante dell'interfono la voce di Picard era risuonata in plancia, pretendendo una spiegazione, e pur non avendo dubbi sull'adeguatezza degli ordini che aveva dato né sul fatto che fosse necessario agire immediatamente, Riker rimpiangeva di non essere riuscito a contattare subito Picard. Un primo ufficiale che usurpava l'autorità del capitano, anche quando si supponeva che il capitano in questione fosse immerso in un sonno profondo, doveva rendere conto delle sue azioni senza che gli venisse chiesto di farlo. Il sibilo delle porte del turboascensore venne seguito immediatamente dal suono della voce inconfondibile del Capitano Picard. – Rapporto sulla situazione, Numero Uno – ordinò in tono secco e penetrante mentre scendeva verso il livello di comando della plancia, e Riker si affrettò a replicare con il discorso che si era preparato in attesa del suo arrivo. – La U.S.S. Ferrel, una nave stellare di classe Constellation, sta lanciando un segnale di soccorso automatico – esordì, poi trasse un profondo respiro e continuò: – Ho ordinato un cambiamento di rotta immediato per raggiungere le coordinate della sorgente del segnale e ho aumentato la velocità a curvatura sei. – Sì, l'ho notato – commentò seccamente Picard. Riker sostenne senza scomporsi il suo sguardo ferreo... anche se la sua statura superava di parecchi centimetri quella del capitano, in qualche modo gli occhi di Picard sembravano sempre trovarsi all'altezza dei suoi. – Molto bene, Numero Uno. L'impercettibile sospiro che sollevò il torace di Riker fu l'unico segno esteriore del sollievo che lui provava: si sentiva ancora un po' a disagio 7 con il suo nuovo capitano, anche se Picard manteneva sempre nettamente separati il suo ego e le preoccupazioni del comando. Rilassando un poco la propria posizione rigida ed eretta, Riker finì il rapporto. – Tempo stimato di incontro con la Ferrel ventidue minuti. – Sicurezza, passare in condizione di Allarme Giallo – ordinò Picard, – e informare la Base Stellare Dieci del nostro cambiamento di rotta. Mentre in plancia si attivava la costante pulsazione delle luci di allarme, il capitano si lasciò cadere sulla poltrona di comando e si assestò l'uniforme con un gesto secco. – Si sieda, Will. Adesso non possiamo far altro che aspettare. Riker si trovò ad invidiare la calma del capitano e a chiedersi se il suo atteggiamento rilassato fosse genuino o soltanto una posa... ma forse la differenza non era rilevante; sedendosi a sua volta, cercò di concentrarsi per riuscire ad emulare all'apparenza, se non nella sostanza, l'esempio di Picard. Natasha Yar balzò in piedi al secondo lampo delle luci d'allarme e al terzo i suoi occhi azzurri si erano già aperti e la sua mente era completamente sveglia; a tentoni, cercò nel buio il comunicatore. – Capo della Sicurezza a plancia – chiamò nel momento stesso in cui le sue dita raggiunsero il freddo metallo del distintivo. La risposta impiegò cinque interi secondi ad arrivare e lei li utilizzò per indossare l'uniforme... un Allarme Giallo significava che c'era il tempo per vestirsi appropriatamente, ma non per farsi una doccia. Si passò le dita tra i corti capelli biondi e decise che non era necessario spazzolarli ulteriormente. – Qui plancia, tenente. Yar analizzò la tensione nella voce di Riker e da essa giudicò accuratamente la gravità dell'allarme: la nave non era in pericolo... non ancora. – Sto arrivando – avvertì, e lasciò di corsa l'alloggio senza neppure soffermarsi ad accendere le luci per uscire perché aveva imparato a memoria la pianta della sua cabina proprio in previsione di tali emergenze. Arrivò in plancia con qualche secondo di ritardo rispetto al suo miglior tempo, ma né Riker né il capitano la rimproverarono quando si precipitò fuori dal turboascensore; presa posizione alla consolle tattica, abbracciò con uno sguardo l'attività che ferveva nella parte alta e al livello inferiore della plancia, poi studiò l'immagine sul visore principale: su di esso non 8 c'era niente di interessante, perciò rivolse la sua attenzione al segnale di soccorso che si ripeteva sul pannello di comunicazione. – Nessuna risposta alle chiamate – disse Worf, al suo fianco. – Perché non mi hai avvertita appena hai ricevuto la trasmissione? – sibilò Yar. – Ero occupato – rispose Worf. – Avrei dovuto essere qui per avviare l'Allarme Giallo. Per evitare di attirare l'attenzione del capitano, Yar fu costretta a parlare in tono sommesso e questo indebolì l'efficacia della sua sfuriata... anche se di certo il Klingon non sarebbe rimasto impressionato neppure se gli avesse inveito contro con quanto fiato aveva in gola: per lui le tempeste emotive della razza umana erano poco più che una pioggerella estiva. Improvvisamente, l'attenzione di Yar fu attratta da qualcosa che le impedì di insistere sull'argomento: le letture dei sensori erano cambiate e il tracciato arancione che indicava una sorgente fluttuante di energia era molto tenue, ma inconfondibile. Nell'uscire di corsa dalla sua cabina Geordi La Forge inciampò in un paio di piedi che bloccavano il passaggio, ma un braccio si protese di scatto a frenare l'inevitabile caduta. – Che stai facendo qui? – chiese. – Ti stavo aspettando – rispose Data, aiutandolo senza sforzo a rialzarsi e avviandosi al suo fianco. Insieme s'incamminarono in fretta lungo il corridoio, due figure in netto contrasto l'una con l'altra: il Tenente La Forge era più basso e robusto del compagno, e la sua pelle scurissima metteva ancor più in risalto l'innaturale pallore del Tenente Comandante Data, i cui occhi dorati erano brillanti quanto il lucido metallo del visore che copriva quelli di Geordi. – Allora, cosa sta succedendo? – ansimò Geordi, balzando tra le porte del turboascensore che si stavano aprendo. – Siamo in Allarme Giallo – spiegò Data, dopo aver specificato la loro destinazione al turboelevatore; al contrario di quello affannato di La Forge, il suo respiro era estremamente tranquillo. – Sì, ma perché siamo in Allarme Giallo? – insistette La Forge. I componenti positronici che davano all'androide la sua forza e la sua resistenza erano anche i responsabili di alcune sue difficoltà di comprensione del linguaggio umano. Ben sapendo come sarebbe finita la conversazione, Geordi stette pazientemente al gioco: dopo tutto, si era 9 addossato in via informale il compito di educare Data e c'era sempre tempo per una lezione veloce. – Presumibilmente siamo coinvolti in una situazione che richiede un aumento nello stato di vigilanza che... – cominciò l'androide. – Basterà che tu dica: «Non lo so, Geordi» – lo interruppe il tenente. – Non lo so, Geordi – ripeté Data, poi indugiò a riflettere sullo scambio verbale e aggiunse: – Capisco. Sono stato di nuovo troppo letterale. – Esatto, Data. – La prossima volta cercherò di esserlo di meno. – È quello che dici sempre – sospirò Geordi, mentre la cabina si fermava. Yar accolse il loro arrivo in plancia con un cenno del capo. – Ufficiali del ponte di comando al completo, capitano. Con movimenti resi precisi dall'abitudine, La Forge e Data diedero il cambio agli ufficiali del turno di notte eseguendo la manovra alla perfezione: un paio di mani si levò dai controlli e un altro paio ne prese il posto. Deanna Troi percepì l'ansia della situazione prima ancora di sentire l'allarme. Emergendo dal sonno, la sua mente cominciò a risalire i livelli di coscienza ma aspettò pigramente una chiamata dalla plancia per arrivare al livello di lucidità. Quando la chiamata non giunse, Troi fece l'ultimo sforzo e si svegliò completamente. – Troi a plancia. – Lei non è di turno, consigliere. I suoi servizi non saranno necessari per il momento. La risposta di Riker avrebbe dovuto essere un sollievo per lei ma le causò invece una sensazione di fastidio: Riker la conosceva troppo bene e riusciva ad anticipare i suoi pensieri. – Se posso essere d'aiuto... – Il Capitano Picard apprezza la sua offerta; la chiameremo se la situazione cambierà. – Non voglio nessun favore – replicò lei, ma soltanto a se stessa. Dopo un istante di riflessione fu costretta ad ammettere che la sua irritazione era dovuta al fatto di essere stata svegliata da un sonno profondo e che di certo Will Riker non ne aveva nessuna colpa. Decise quindi di prenderlo in parola: dal momento che per ora il consigliere di 10 bordo non era necessario in plancia, si sarebbe concessa il tempo di una doccia prima di vestirsi. Guardando il proprio riflesso nello specchio della cabina, aggrottò la fronte con espressione sconsolata nel vedere la massa disordinata di capelli neri che le incorniciava il capo: le persone come Tasha Yar potevano certo rispondere alle emergenze nel giro di pochi secondi, ma lei preferiva sfruttare i minuti in più per rimettersi in ordine. La tranquilla e sonnolenta atmosfera della sezione ingegneria si trasformò in un brulicare di attività quando gli ufficiali precedentemente fuori servizio si precipitarono nella sala macchine per raggiungere le loro postazioni. Wesley e Dnnys si scambiarono un'occhiata di pura gioia compiacendosi della loro fortuna. – Adesso devi tornare in plancia? – chiese il giovane Colono. L'eccitazione del momento e forse anche la mancanza di sonno, fecero sì che Wesley trovasse ragionevole la domanda e, senza pensarci, aprì un canale di comunicazione con la plancia. – Parla il Guardiamarina Crusher... – cominciò, ma non finì la frase. – Torna a letto, giovanotto! – esclamò la voce del Capitano Picard. I due ragazzi lasciarono a precipizio la sala macchine. Mentre l'Enterprise si avvicinava sempre di più alla U.S.S. Ferrel, Picard si costrinse a rimanere immobile per evitare che qualsiasi movimento fisico potesse distrarre la sua attenzione dai rapporti degli ufficiali di plancia. – Capitano – avvertì Yar, – i sensori registrano un'emissione d'energia proprio sulle coordinate da cui è partita la richiesta di soccorso. Lo schema è insolito, ma deve essere una sorgente potente se la possiamo intercettare da così lontano. – Alzare gli scudi – ordinò Picard. – Incontro previsto fra tre punto quattro minuti – annunciò Data. – Pronti a passare a velocità di impulso – scandì La Forge, tenendo la mano ben ferma sul pannello di controllo del timone. – Velocità di impulso – ordinò Picard, sempre immobile sulla sua poltrona. Le dita del pilota sfiorarono la consolle con la massima delicatezza: vibrando in maniera impercettibile i motori della nave decelerarono a potenza d'impulso e l'universo si contrasse. Sul visore, il tenue scintillare tremolante delle lontane stelle si frantumò 11 in una pioggia di luci sullo sfondo nero, poi al centro di quell'immagine statica un movimento improvviso oscurò ogni chiarore quando due vascelli attraversarono lo spazio, uniti in una letale danza di guerra nell'abbraccio di una luminosa nebbia bluastra. – Allarme Rosso – scandì Picard, protendendosi in avanti. L'attesa era terminata. II. Andrew Deelor calcolò che la U.S.S. Ferrel avrebbe resistito per altri sei minuti, poi il soffitto della plancia sarebbe crollato, schiacciando lui, Ruthe e l'equipaggio... il che significava che la sua vita sarebbe durata appena altri cinque minuti e una manciata di spiacevoli secondi. La sensazione della morte imminente gli occupava però soltanto un angolo della mente, perché la sua attenzione era concentrata sull'immagine della traslucida nebbia bluastra che ondeggiava e tremolava sul visore principale: la nave stellare era intrappolata nella morsa di una matrice energetica che di minuto in minuto si contraeva come una mano, stringendo sempre di più e accartocciando lo scafo della sezione a disco tra le sue dita. L'astronave rabbrividì e il visore della plancia si oscurò. In quell'ultima ora i sensori di bordo si erano guastati uno dopo l'altro finché Deelor aveva potuto raccogliere informazioni solo attraverso lo schermo visore, e durante quel tempo lui aveva sussurrato la descrizione di tutto ciò che appariva sullo schermo in un registratore vocale abbastanza piccolo da stare nel palmo di una mano, annotando ogni minima apparizione della nave aliena, ogni dettaglio della sua struttura, ogni supposizione sulle sue tattiche. Adesso però, senza il visore, ogni possibilità di sapere ciò che succedeva all'esterno era stata eliminata. Deelor spostò quindi la sua attenzione all'interno della Ferrel e dalla posizione centrale della sua poltrona di comando lasciò vagare lo sguardo per la plancia, descrivendo l'abbassamento rapido della temperatura e l'offuscarsi delle luci d'emergenza mentre le riserve di energia della nave venivano incanalate negli scudi di difesa in un ultimo e inutile tentativo di resistere alla pressione del campo di forze alieno. Descrisse anche i lucenti frammenti di vernice bianca che fluttuavano nell'aria come neve e l'esplosione del pannello di metallo sottostante l'inoperativa postazione delle comunicazioni che spedì il Tenente Morrissey contro la balaustra con 12 tanta violenza da farlo ripiegare su se stesso. Il tenente si accasciò in ginocchio, sputando un fiotto di sangue sul pavimento del ponte, e il Dottor Lewin gli fu subito accanto con il suo medikit... un gesto che Deelor giudicò inutile e che non venne quindi da lui incluso nella registrazione del rapporto: se ci fossero state delle onorificenze postume sarebbero state basate solo sul diario del capitano. Gli stridii dei pannelli di metallo schiacciati dalla pressione andarono aumentando di intensità, rischiando di rendere inudibili i suoi commenti, perciò Deelor si premette contro la bocca il microfono incorporato nel registratore, ma scoprì che la sua voce era diventata troppo rauca per poter sovrastare il rumore di fondo. Fece allora scattare una copertura di protezione sul registratore vocale prima di riporlo in una delle tasche interne della giacca, nella speranza che la registrazione sopravvivesse all'attacco e venisse ritrovata; in questo modo chiunque avrebbe preso il suo posto, avrebbe trovato la dettagliata descrizione del prezzo pagato per quel fallimento. Il suo fallimento. Deelor rimpiangeva quell'inevitabile epitaffio più della morte che lo attendeva. Si girò verso la donna seduta accanto a lui e vide che Ruthe era raggomitolata su se stessa, con le gambe piegate sotto il mento e il mantello grigio stretto attorno al corpo; aveva nascosto il viso nella stoffa grezza e ciocche di capelli neri le ricadevano sulle ginocchia. – Stiamo per morire – le sussurrò, accostandole le labbra all'orecchio, perché non era certo che la donna se ne fosse ancora resa conto. – Mi dispiace. Ruthe sollevò lo sguardo su di lui: il suo volto appariva estremamente pallido, ma del resto quello era il colore naturale della sua carnagione. – Ho freddo – ribatté, – e odio avere freddo. – Sì, lo so. Intorno a loro ogni attività cessò all'improvviso e questo fece scattare un allarme nella mente di Deelor. L'equipaggio si era immobilizzato, ignorando i gemiti e gli stridii della sezione a disco che si fletteva sotto la pressione come se tentasse di respirare, e tutti gli ufficiali erano rivolti verso il retro della plancia dove si trovavano il capitano e il suo primo ufficiale. I due uomini erano uno accanto all'altro davanti alla consolle tattica con le spalle rivolte alla plancia, impedendo così agli altri di vedere cosa stavano facendo, ma Deelor comprese immediatamente quali fossero le loro intenzioni, così come comprese anche perché non dovevano attuarle. 13 Urlò a Manin di fermarsi, ma la sua voce non riuscì a superare l'onnipervasivo rumore del metallo che si stava disintegrando, perciò si affrettò ad alzarsi dalla poltrona... e la superficie del ponte ebbe un'impennata che lo fece cadere in ginocchio. Non sarebbe mai riuscito ad arrivare in tempo, perciò affondò una mano nelle pieghe della giacca e rovistò nella tasca interna, spostando di lato il familiare cilindro del registratore vocale e chiudendo infine le dita intorno all'impugnatura smussata di un phaser. Sparò contro entrambi gli uomini, ma il tremore dello scafo gli fece sbagliare mira: D'Amelio cadde sotto l'impatto del raggio di stordimento mentre il Capitano Manin venne solo sfiorato e si girò di scatto in preda ad un confuso stupore che si mutò in rabbia quando si accorse dell'arma nella mano di Deelor. – Uccidetelo! – gridò, sapendo che nessuno sarebbe riuscito a sentirlo ma che i movimenti delle sue labbra sarebbero stati visti con chiarezza... e l'ordine venne immediatamente eseguito. Andrew Deelor non vide mai chi aveva sparato. Tre secoli di conoscenza tecnologica e gli sforzi combinati delle migliori menti della Federazione Unita dei Pianeti erano culminati nella realizzazione della nave stellare di classe Galaxy conosciuta con il nome di Enterprise. I metalli e le leghe più fini, i polimeri più forti, la tecnologia computerizzata più nuova erano stati abilmente usati per progettare una nave destinata a viaggiare nei più lontani recessi della galassia, guidata da un equipaggio composto da ufficiali e scienziati del più alto calibro, che si dedicavano all'inesauribile esplorazione di quel nuovo seducente territorio che li aspettava. Qualche volta però l'esplorazione portava a risultati letali. Con gli scudi alzati e le armi pronte, l'Enterprise uscì dalla velocità di curvatura in un abbagliante stridio di luce e si avvicinò al luogo della battaglia. – Signor Data, cosa ne pensa di quell'aura blu? – domandò il capitano, studiando le sagome della U.S.S. Ferrel e del suo attaccante circondate dalla nuvola. – Blu? A me sembra un caos di colori – esclamò Geordi. Il commento di Geordi ricordò a Picard quanto il visore che sostituiva i suoi occhi ciechi rendesse diverso il modo di vedere del timoniere: l'apparecchio visivo gli permetteva infatti di coprire l'intero spettro elettromagnetico e non soltanto la porzione di luce visibile. 14 – È un qualche tipo di campo di energia fluttuante – comunicò Data, mentre i computer della nave trasmettevano le letture alla sua consolle. – Lo scopo è sconosciuto, ma gli effetti sembrano avere una portata limitata – aggiunse. – Capitano, non riesco ancora a ricevere nessuna delle due navi, perché tutti i canali di comunicazione sono inerti – annunciò Yar. – Forse la Ferrel si trova nell'impossibilità di rispondere – ipotizzò Data. – I suoi sistemi di controllo sembrano inoperanti o a malapena funzionanti. – Signor La Forge, rotta diretta per intercettare l'attaccante – ordinò Picard in tono conciso, dopo aver riflettuto solo pochi secondi per decidere le azioni da intraprendere nei confronti del vascello alieno. L'esploratore che era in lui era eccitato al pensiero di un possibile primo contatto, ma come ufficiale della Flotta il suo primo dovere era di sicuro quello di aiutare la parte perdente nella battaglia. – Prepararsi a far fuoco con i phaser al mio ordine. Forse avere un altro bersaglio a cui badare li farà desistere dall'attaccare la Ferrel – aggiunse. Dalla postazione di poppa, Tasha Yar rivolse un cenno a Worf, immobile alla consolle tattica, e i due ufficiali si divisero le responsabilità della difesa e dell'assalto con brevi gesti telegrafici. Una tensione crescente si impadronì di Picard, che alla fine si decise a dare l'ordine. – Fuoco con i phaser. Il Tenente Worf allargò le mani sulla superficie della consolle delle armi in modo che ogni contrazione delle dita attivasse i phaser, sparando raffiche dalla parte inferiore dell'Enterprise. Molti degli impulsi phaser si dispersero senza danno nello spazio, ma due raggi colpirono direttamente il bersaglio. L'effetto fu immediato: la densa nebbia blu che avvolgeva le due navi svanì, rivelando i risultati del conflitto. La larga sezione a disco della nave di classe Constellation era distorta e la sua sagoma contorta e piegata, e molto vicino alla Ferrel vi era un grappolo di sfere traslucide di colore arancione che sembrava illeso. Entrambe le navi impegnate in battaglia avevano le stesse dimensioni, ma apparivano minuscole in confronto con l'Enterprise. – Apra le frequenze di chiamata, Tenente Yar – ordinò Picard, alzandosi dalla poltrona di comando, poi si rivolse agli alieni e aggiunse: – Parla Jean-Luc Picard, capitano della U.S.S. Enterprise. Identificatevi. Si dispose quindi ad attendere con pazienza mentre i secondi passavano, 15 e di lì a poco Riker gli si accostò senza fare rumore nel silenzio ininterrotto. – Nessuna risposta – sospirò infine Yar. – Nessuna risposta verbale, ma stanno reagendo – la corresse Data, vedendo per primo il movimento del grappolo di sfere. La massa irregolare della nave aliena non aveva una struttura tale da permettere di distinguerne le due estremità, ma l'intero gruppo di sfere aveva ovviamente cominciato a girare con lentezza attorno ad un proprio asse interno. Quando la parte posteriore della nave divenne visibile, una macchia di un profondo color porpora apparve in mezzo all'arancione, poi la rotazione accelerò, facendo scomparire la strana bolla colorata soltanto per lasciarla riapparire subito dopo. Continuando a girare, la nave cominciò a dirigersi verso l'Enterprise. Picard segnalò di ritentare il contatto radio. – Vascello alieno, se non risponderete il vostro avvicinamento sarà considerato un'azione ostile. Il grappolo non diminuì la velocità. – Avrei preferito concludere questo conflitto in modo non violento – ammise Picard al suo primo ufficiale, – ma sembra che questa forma di vita non condivida il mio punto di vista. E allora così sia. Abbassando la mano, segnalò al Tenente Worf di sparare un'altra salva con i phaser. Una cascata di raggi distruttivi colpì la nave in avvicinamento facendo crepitare e scoppiettare la superficie delle sfere, ma l'effetto durò soltanto il brevissimo istante in cui il raggio colpì e non appena il bagliore del phaser si dissolse, la superficie delle sfere si rivelò ancora intatta. Worf scaricò un'altra bordata, ma il risultato fu lo stesso. – Manovre evasive – ordinò Picard con voce secca. Le dita di Geordi La Forge saettarono sulla consolle e l'Enterprise deviò dalla sua rotta. – Ci stanno raggiungendo, signore. – Continuare a sparare con i phaser. Per tutto il tempo della durata dello scambio di fuoco, Data scandì il rapido diminuire della distanza che separava le due navi. – Dieci chilometri... cinque chilometri... un chilometro... – La sua cantilena si interruppe per un istante, poi l'androide aggiunse: – Un chilometro. – Troppo vicina per lanciare un siluro fotonico... a questa distanza 16 l'esplosione potrebbe danneggiare l'Enterprise oltre che il bersaglio – avvertì Yar. – Se ci allontaniamo ancora, la Ferrel diverrà vulnerabile ad un altro attacco – rifletté amaramente Picard, studiando la nave aliena, consapevole che il tempo per un'azione diversiva si stava esaurendo in fretta. All'improvviso successe: avendo finalmente raggiunto un qualche parametro sconosciuto, la sfera purpurea si allontanò dal grappolo principale che continuava a girare. – Sta venendo dritta verso di noi. Prepararsi all'impatto – avvertì Data. Un'esplosione di luce violetta ferì gli occhi degli ufficiali ma non si udì nessun suono, solo un leggero tremolio percepibile sulle consolle e sul pavimento. Sul visore principale si formarono rivoli di un pallido colore blu. – Il campo di energia copre l'intera superficie della sezione a disco – riferì Data, fornendo le informazioni che gli davano i sensori. – È una rete – esclamò Geordi, e Picard capì che stava descrivendo ciò che lui vedeva del campo di forze. – Una matrice creata da filamenti carichi; riesco a distinguere i vari flussi. Inoltre c'è un sottile raggio di corrente ancora connesso alla nave madre. – Gli scudi tengono senza sforzo – garantì Yar, studiando la sua consolle tattica con attenzione. – L'energia sviluppata dalla rete non è molta. – Allora perché la Ferrel è stata danneggiata così gravemente? – ribatté Picard, accigliandosi. Un basso ronzio si aggiunse alla vibrazione. – Il campo si sta contraendo e la pressione sulle strutture dello scafo sta aumentando – annunciò Data, poi effettuò un rapido calcolo mentale e aggiunse: – Supponendo che la contrazione proceda ad un ritmo costante, possiamo resistere per due virgola sei giorni prima che le riserve di energia della nave si esauriscano. In quel momento, senza gli scudi, diverremo soggetti a danni strutturali. Riker si avvicinò alla consolle dei sistemi di controllo ambientale posta nella parte posteriore del ponte ed esaminò i rapporti che provenivano da ogni sezione della nave. – Capitano – riferì quindi a Picard, – per il momento tutte le postazioni indicano corto circuiti di poca importanza ai sistemi elettrici vicini allo scafo esterno. Nessun danno significativo. – I nostri passeggeri sono però piuttosto scossi: da quando è iniziato l'Allarme Rosso ho registrato sulla mia consolle delle comunicazioni una 17 dozzina di chiamate dagli alloggi dei Coloni – annunciò il Tenente Yar. – Contatti il Consigliere Troi – suggerì Riker, – e le chieda di calmarli un po'. Forse saremo costretti a rimanere qui per qualche tempo. – Ma non per due giorni – precisò Picard, sedendosi di nuovo sulla poltrona di comando, – e nemmeno per due ore se possiamo evitarlo. Ci deve essere un modo per penetrare le loro difese. Appoggiandosi alla balaustra della parte posteriore della plancia, Riker studiò l'insolita struttura della nave aliena attraverso la nebbiolina blu che ne velava l'immagine sul visore. – Quelle sfere sembrano solo dei palloncini – osservò. – Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è un ago per farli scoppiare. – Analogia interessante, Numero Uno. Proviamoci, allora – esclamò il capitano, con aria di approvazione. Worf riprogrammò con impazienza la consolle delle armi seguendo le specifiche di Riker: la dispersione di fuoco dei phaser fu ridotta al minimo raccomandato dalle regole della Flotta Stellare e poi ristretta ulteriormente con un po' di lavoro extra e l'aggiunta di qualche modifica creativa dei parametri di controllo. Quando Riker si ritenne soddisfatto, Worf attivò i phaser per un colpo di prova. Nonostante l'intensità ridotta, il sottilissimo raggio penetrò nel bersaglio e una delle sfere sulla parte più esterna del grappolo esplose, liberando un globulo di materia viscosa, mentre i brandelli del guscio esterno della bolla rimanevano attaccati flaccidamente al grappolo. – Bel colpo, Worf – si complimentò Geordi. – Provi ancora. Se necessario, distruggeremo quel vascello pezzo per pezzo – ordinò Picard, determinato a continuare l'assalto finché la sua nave fosse stata fuori pericolo. La seconda esplosione fu però l'ultima. – Il campo di energia si sta dissipando – annunciò Data, mentre il visore principale si schiariva, – e il nemico si sta allontanando. – Raggio traente, Tenente Worf – reagì immediatamente Picard. – Facciamogli assaggiare un po' della loro stessa medicina. Sospettava che il Klingon avrebbe preferito sparare finché il nemico non fosse stato annientato, ma l'ordine venne obbedito senza commenti. – Li teniamo, capitano – rombò Worf, non appena le bolle in movimento furono bloccate, – ma stanno succhiando la nostra energia a un ritmo incredibile. Picard cercò ancora una volta di stabilire un contatto radio. 18 – Vi ordino di arrendervi e consegnare il vascello – ingiunse. Non si aspettava una risposta e non ne arrivò nessuna, ma come già in precedenza la nave aliena cominciò a muoversi. Le sfere si contrassero e la loro massa cambiò, mutando le connessioni interne: una singola bolla venne espulsa dal grappolo e un'altra la seguì, poi un'altra ancora. L'angolo del raggio traente della nave stellare si allargò per coprire il cambiamento di forma e le luci della plancia tremolarono quando l'energia venne incanalata nella consolle di Worf... poi gli indicatori di sovraccarico si accesero sui pannelli degli strumenti mentre le bolle si disponevano in una lunga fila. Con la fronte aggrottata in un'espressione colma di rabbia e di frustrazione, Riker raggiunse il capitano sulla parte bassa della plancia. – Con questo ritmo saremo costretti a ricorrere alle nostre riserve d'energia di emergenza, e anche così non credo che potremo trattenerli a lungo. – Questo nemico conosce certamente molti trucchi... – commentò Picard, senza riuscire a nascondere l'ammirazione, poi notò la sorpresa che si era dipinta sul volto di Riker e aggiunse: – Non ci si deve vergognare nel riconoscere le qualità di un nemico, Numero Uno. – La vergogna deriva soltanto dalla sconfitta, pensò al tempo stesso fra sé, chiedendosi che effetto avrebbe avuto un altro attacco phaser sui tentativi di fuga della nave. In quel momento Data richiamò la sua attenzione. – Capitano, i sensori mostrano che lo scafo principale della Ferrel è seriamente danneggiato: il rivestimento che mantiene l'atmosfera si sta indebolendo rapidamente nei punti sottoposti a stress e la rottura completa è imminente. Con un cenno della mano il capitano fece segno a Worf di troncare il raggio traente. – Yar, tutta l'energia alle postazioni del teletrasporto – ordinò con la voce carica di urgenza. – Cominciare l'immediato trasferimento dell'equipaggio della Ferrel con procedura di coordinate estese. Portate a bordo qualsiasi cosa si muova... e fate in fretta. Tornando a fissare l'immagine sul visore, Picard osservò la nave aliena allontanarsi sempre più velocemente, come una collana di perle sfuggita al suo possessore. Il vecchio Ziedorf era sordo e stava continuando a dormire nonostante la 19 confusione, ma gli altri Coloni si erano svegliati in quegli strani letti e si erano ritrovati in mezzo alle luci e ai suoni di un incubo. Le urla e le grida delle madri e degli zii che stringevano fra le braccia i propri bambini assonnati sovrastavano le calme istruzioni date dal computer della nave, ma del resto i Coloni non avrebbero comunque dato ascolto a quella voce senza corpo, soprattutto perché chiedeva loro di rimanere all'interno delle cabine. Uomini e donne si riversarono fuori degli alloggi passeggeri e riempirono i corridoi, gridando in preda alla confusione. Un uomo che aveva imparato qualcosa in merito a come funzionavano le attrezzature della nave abbassò il volume dell'altoparlante dell'interfono per ascoltare meglio chi gli stava vicino e nessuno rispose alle sollecitazioni della voce dell'ufficiale della Sicurezza che adesso era ridotta ad un debole sussurro. I bambini, che avevano percepito la corrente di eccitazione della folla, si liberarono da ogni presa costrittiva e si allontanarono, impazienti di correre a giocare a quell'ora insolita; altri, che avevano una personalità meno temprata, reagirono alle parole di paura aggiungendo i loro lamenti al clamore generale. Dnnys si fece largo con difficoltà tra gli adulti che lo afferravano continuamente per un braccio o per le spalle pretendendo una spiegazione dello strano comportamento della nave: ai loro occhi la sua famigerata familiarità con l'Enterprise lo rendeva l'unico in grado di addossarsi la responsabilità di gestire quella situazione. Dato che però lui era soltanto un ragazzo nessuno ascoltava veramente le sue risposte, soprattutto quando diceva loro di ritornare in fretta nelle proprie cabine. Un'ennesima mano lo afferrò e Dnnys si divincolò, ma si fermò non appena vide chi aveva tentato di fermarlo e si portò al fianco della cugina, notando che i suoi capelli erano troppo ricci per tradire i segni di un risveglio improvviso, rivelato invece dal fatto che l'orlo della sua camicia da lavoro blu penzolava fuori dai jeans. – Non sono riuscita ad entrare nella stanza di tua madre – avvertì Mry. – Naturalmente lei se n'è stata tranquilla come doveva, ma quando non è uscita dalla cabina tutti gli altri sono entrati per vedere perché. Dei centoventi Coloni, quasi cinquanta avevano affollato il suo alloggio, mentre il resto era rimasto a vagare senza meta nei corridoi. – Anche tu avresti dovuto restare tranquilla – la rimproverò Dnnys. – Tomas mi ha fatta uscire. Ha detto che dovevamo proteggere sia nostra madre sia la tua, visto che era sola – replicò Mry, poi si accigliò di colpo e 20 proseguì: – Gli ho ricordato che c'eri tu con Patrisha, ma vedo che avevo torto. Dnnys ignorò il rimprovero: sapeva che sua cugina non avrebbe parlato a nessuno della sua assenza. – Wesley ha detto che l'Allarme Giallo non significa niente di serio, e che dovremmo... Il consiglio datogli dal giovane guardiamarina non fu mai udito: le luci gialle intermittenti divennero rosse, e i Coloni alzarono il tono di voce tanto da coprire il suono degli allarmi. Un urlo penetrante fece accorrere altre persone a ingrossare il gruppo che già stava sbirciando freneticamente dagli oblò allineati sulla parete esterna, e coloro che potevano vedere ciò che succedeva ne fornirono una descrizione affrettata e confusa che si diffuse di bocca in bocca fra la folla, diventando sempre meno comprensibile ad ogni passaggio. Una singola astronave danneggiata si trasformò nel relitto di una nave appestata, in un cimitero di navi fantasma alla deriva nello spazio o in una flotta di navi pirata in procinto di attaccare, a seconda della persona a cui si chiedeva. Quando infine la cascata di fuoco blu si riversò sulla superficie trasparente degli oblò, la folla che vi si era pigiata contro per vedere si ritrasse violentemente, trascinando Mry e Dnnys una lontano dall'altro nel fuggi fuggi generale degli altri Coloni, finalmente convinti che fosse più saggio rimanere nei propri alloggi. Per chiunque fosse abbastanza sensibile da percepirlo, il panico che proveniva dalla sezione passeggeri dell'astronave era come una nebbia densa e contagiosa, tanto che nell'avvicinarsi agli alloggi dei Coloni il Consigliere Troi dovette lottare contro la sua empatia istintiva e reprimere il desiderio di correre a rifugiarsi al sicuro nella propria cabina; cercò invece di percepire una mente che le fosse familiare, e non appena ne ebbe individuata una si diresse verso di essa. Dnnys era solo nel corridoio, con il viso premuto contro il vetro vibrante, e Troi si affrettò a raggiungerlo e a tirarlo indietro. – Allontanati da lì – avvertì. – Non fa male, sento solo una specie di solletico – replicò Dnnys, e per dimostrarlo posò una mano sul pannello ronzante. – Da dove viene tutta quella luce blu? – chiese poi. – Non sappiamo che cosa sia e potrebbe essere pericolosa – lo rimproverò Troi, aggirando la domanda... Dnnys era soltanto un ragazzo e 21 come tutti i ragazzi stava subendo il fascino dell'ignoto. Un Colono adulto avrebbe dovuto occuparsi di lui, ma tutti gli adulti sembrava fossero rintanati nelle loro cabine in preda al terrore. Riflettendo, si disse che forse adesso la paura li avrebbe indotti a parlare con lei, accantonando quell'atteggiamento riservato con cui avevano fino a quel momento respinto tutti i suoi tentativi di metterli a loro agio a bordo. Il risultato di quel comportamento era che lei ne conosceva pochissimi per nome e sapeva assai poco anche dei loro usi e costumi. – Devo parlare con il capo della tua comunità – decise. – Non abbiamo nessun capo – replicò Dnnys, ridendo della richiesta per lui assurda. – Ma quando siete giunti a bordo io ho parlato con una donna che sembrava detenere il comando – insistette Troi, che non aveva chiesto il titolo ufficiale della donna per rispetto nei confronti della reticenza dimostrata dai Coloni sulle questioni di carattere personale ma che aveva avvertito l'indiscutibile aria di autorità che emanava dalla sua persona. – Si chiama Patrisha. – Oh, intendi dire mia madre – esclamò Dnnys, mentre il sorriso gli spariva di colpo dalle labbra. – Lei però non è il nostro capo... nessuno è tenuto ad obbedirle. Troi percepì che il ragazzo si era messo sulla difensiva e con cautela cercò di spiegarsi usando una definizione meno intrisa di componenti emotive. – Mi dispiace, non intendevo offenderti. Volevo solo dire che mi è sembrato che la gente ascoltasse ciò che tua madre diceva. – Allora è diverso... la gente ascolta sempre mia madre – dichiarò Dnnys con orgoglio e indicò una porta posta alla fine del corridoio. – Entra pure, c'è un sacco di gente da lei adesso. Troi raggiunse l'ingresso della cabina ma prima di entrare sentì una fitta di delusione provenire dalla mente di Dnnys che la indusse a girarsi per dare un'occhiata verso l'estremità opposta del corridoio, dove si trovava ancora il ragazzo. La luce blu era sparita dall'oblò. III. Il Capitano Manin si fece largo tra i detriti di quella che una volta era 22 stata la plancia della U.S.S. Ferrel. Sentiva i gemiti e i colpi secchi di tosse dei suoi ufficiali morenti, ma non poteva vederli attraverso il fumo e le vorticanti nuvole di polvere in sospensione. Mancava ormai meno di un minuto al termine della sua carriera di capitano, ma quei pochi secondi sembravano protrarsi davanti a lui come se fossero stati eterni: aveva cercato di risparmiare a tutti il dolore di una distruzione lenta e prolungata, ma Deelor glielo aveva impedito. Manin si costrinse ad accantonare la rabbia che lo divorava perché non poteva sprecare il poco tempo che gli rimaneva. Cercò a tentoni un altro appiglio a cui afferrarsi e la sua mano sfiorò un corpo la cui pelle era ormai fredda. Con le dita esplorò il contorno della figura riversa fino a incontrare la sagoma allungata di un'antenna, e dal momento che in plancia era stato presente un solo Andoriano questo non lasciava dubbi sull'identità dell'ufficiale morto; augurando al pilota di raggiungere serenamente la vita ultraterrena verso cui era diretto... quale che potesse essere... Manin si allontanò dalla consolle del timone per cercare di raggiungere la poltrona di comando, deciso a incontrare la morte seduto su di essa. Fece ancora un passo e il suo stivale urtò qualcosa di soffice che reagì con un calcio. – Via di qui! Non voglio compagnia – sbraitò Ruthe, subito interrotta da un accesso di tosse. In una simile situazione l'irritazione manifestata dalla donna era ridicola, e Manin era ancora abbastanza lucido da poter apprezzare l'umorismo della situazione. La risata gli fece salire alle labbra una boccata di sangue che gli scivolò lungo il mento; nell'asciugarlo distrattamente, il capitano rifletté che se la traduttrice era lì, allora il corpo di Deelor non doveva essere lontano. – Una morte con il phaser è pulita, Deelor – mormorò in tono gelido. – Lei se l'è cavata troppo facilmente. Le stelle divennero sfocate e cambiarono posizione sul visore quando Data allargò l'immagine della U.S.S. Ferrel in modo che occupasse tutto lo schermo. Fianco a fianco sulla plancia, Picard e il suo primo ufficiale stavano osservando gli spasmi di morte dell'altra nave, consapevoli che la matrice d'energia era stata eliminata troppo tardi e che la distruzione finale della Farrel era ormai imminente. Riker si rigirò sulla poltroncina, a disagio, vedendo lo scafo di metallo che si contraeva e rabbrividiva mentre le strutture interne di supporto crollavano su loro stesse. 23 – Merde! – imprecò il capitano, infrangendo per primo il silenzio. – Non ce la faremo mai in tempo. Ci vorranno almeno venti minuti per teletrasportare l'intero... – Sta esplodendo – annunciò La Forge, dal timone. Uno sbuffo di vapore bianco venne espulso con violenza dal ventre della sezione a disco e si disperse in un attimo nel vuoto dello spazio mescolandosi ai detriti interni che, avvolti nel ghiaccio dell'acqua cristallizzata, roteavano luccicando intorno allo scafo della nave. – Worf, lanci tutte le navette di cui disponiamo – ordinò Picard, consapevole che un tale tentativo sarebbe stato inutile, ma anche del fatto che era suo dovere provare. – Data, focalizzi i sensori attorno alla Ferrel. Potrebbero esserci dei sopravvissuti tra i detriti. – Non è necessario, capitano... il capo teletrasporto riferisce che l'intero equipaggio è a bordo – annunciò Tasha Yar, poi si interruppe, sorpresa dal conto, e infine concluse: – Tutti e trenta. Il significato delle parole del tenente fu come un pugno nello stomaco per Picard: di un equipaggio composto da centinaia di persone erano rimaste solo trenta vite. Nove anni prima aveva perduto la Stargazer e conosceva perciò il dolore che derivava dal vedere distrutta la propria nave, ma allora l'equipaggio era stato messo interamente in salvo. Si girò verso Riker e negli occhi del primo ufficiale notò lo stesso sguardo allarmato che sapeva essere affiorato nei suoi: chiunque accettava la responsabilità del comando si rendeva conto che esisteva sempre la possibilità che le cose potessero andare male fino a quel punto, ma Picard non aveva intenzione di indugiare a riflettere su quel disastro perché sapeva che se lo avesse fatto la paura si sarebbe potuta trasformare in terrore paralizzante. – Numero Uno – ordinò, consapevole che quell'incarico avrebbe liberato Riker dal suo ruolo di osservatore impotente, – controlli le sale teletrasporto. Trovi tra i sopravvissuti il capitano o l'ufficiale più anziano e me lo porti qui immediatamente. – Subito, capitano – rispose il primo ufficiale, dirigendosi velocemente verso il turboascensore. La missione di soccorso era ben lungi dall'essere terminata, ma Picard sapeva che ormai il picco della crisi era superato. Durante la battaglia la sua attenzione era stata focalizzata sul susseguirsi degli eventi e la sua mente aveva filtrato ed escluso tutte le distrazioni, ma adesso che non lo stava più facendo il ritmico staccato dell'Allarme Rosso diventava sempre 24 più irritante man mano che passavano i secondi, ricordandogli che c'era un conflitto irrisolto ancora in sospeso. – Tenente Yar, di quanto si è allontanato l'aggressore? – Secondo i miei dati la nave aliena è sparita, capitano, oltrepassando la portata dei raggi sensori. – Ma Tasha, non può aver già lasciato il settore in così poco tempo – protestò La Forge, dalla consolle del timone. – La matrice ha causato la formazione di una nuvola ionizzata di energia residua, e anche se si sta rapidamente decomponendo potrebbe aver influenzato i sensori – notò con interesse Data. – Cosa ha scoperto sulla matrice energetica che ci hanno scagliato addosso? – domandò Picard. Quella prima trappola era stata elusa senza troppa difficoltà, ma la prossima avrebbe potuto essere più difficile da evitare e lui aveva la spiacevole sensazione che ci sarebbe stato un altro incontro. – Il campo non opera come un dispositivo traente standard, ma tenendo conto della struttura insolita della nave aliena, non è irragionevole presumere che l'avversario possieda una tecnologia di base molto più avanzata della nostra, o comunque radicalmente diversa. – Una trappola per topi molto efficiente – rifletté Picard. – No, signore, un raggio traente molto efficiente. Picard preferì non rispondere al commento e represse un sorriso nel sentire il sospiro esasperato di Geordi, mentre Data assumeva un'espressione di corrucciata perplessità di fronte alla sottile critica ma sembrava incapace di individuare l'offesa che l'aveva causata. – Yar, disattivi l'Allarme Rosso – ordinò Picard; voleva approfittare di quella pausa anche se l'assenza della nave aliena si fosse rivelata la calma prima della tempesta. Il capo della Sicurezza sfiorò con gentilezza la superficie della consolle e le luci rosse si spensero, ma la sua espressione rimase preoccupata. Il capitano si alzò per parlare all'equipaggio. – Grazie a tutti per il vostro contributo. Vista la possibilità di un altro attacco, sono certo che rimarrete vigili come sempre, nonostante il nostro status di cessato allarme – disse. Sapeva che se fossero stati nuovamente attaccati, lui non avrebbe avuto la minima idea di come costruire una difesa efficiente, e pur permettendo agli ufficiali di plancia tutta la libertà di discutere, si rendeva conto che c'era un limite alle loro speculazioni. A questo punto aveva bisogno di fatti, non di teorie. 25 Deanna Troi osservò con attenzione gli impassibili Coloni di Oregon raccolti nella sala. Il loro clamoroso vociare era cessato non appena lei aveva oltrepassato la porta e il suo ingresso aveva modificato lo spettro emotivo degli occupanti della stanza: l'agitazione stava cedendo il posto al sospetto. – Sono il Consigliere Troi – si presentò sorridendo, nel disperato tentativo di rallentare il crescente risentimento. – Dalla plancia mi hanno riferito che siete stati allarmati da... – Guerrafondai! – gridò una voce, e diversi dei Coloni che erano in piedi si fecero da parte per lasciar avanzare un uomo robusto che portava una corta barba e che pur somigliando agli altri Coloni presenti appariva assai più pomposo. – Il combattimento deve smettere immediatamente, lo pretendo. – Non siamo in guerra – protestò Troi. – Si tratta solo di... – Bugiarda! – urlò una donna a fianco dell'uomo, molto magra e più vecchia di lui; nonostante la differenza di statura e di età era però chiaro che i due erano parenti. – Le vostre stesse macchine ci hanno rivelato l'infamia delle vostre azioni. Ascolta! Nel silenzio che seguì l'ordine imperioso della donna, tutti poterono sentire la voce atona del computer che impartiva le istruzioni d'emergenza. – Al momento siamo impegnati in combattimento contro un agente ostile. Per favore rimanete nelle vostre cabine finché il segnale dell'Allarme Rosso non sarà cessato. Troi prese mentalmente nota del fatto che bisognava rivedere con Data il sistema di interfaccia passeggeri del computer, visto che l'insistenza dell'androide per l'accuratezza non sembrava rappresentare necessariamente i migliori interessi dei passeggeri. Di sicuro frasi più diplomatiche e meno informative avrebbero diminuito le loro paure. – Il messaggio è soltanto una precauzione – spiegò. – Abbiamo incontrato un vascello sconosciuto e l'impossibilità di comunicare con loro ha causato un'incomprensione che presto verrà risolta. Con suo grande sollievo e quasi al suo comando, il segnale dell'Allarme Rosso si spense e le parole successive pronunciate dal computer furono più rassicuranti. – L'Allarme Rosso è cessato. Potete riprendere le vostre normali attività. Un'altra Colona si fece largo fra la folla e Troi la riconobbe come la 26 madre di Dnnys. I suoi lineamenti, troppo duri perché la si potesse definire graziosa e al tempo stesso troppo notevoli per renderla scialba, erano incorniciati da capelli striati di grigio e raccolti in un'unica treccia che le scendeva fino alla vita; anni di duro lavoro avevano indurito le sue mani e irrobustito la sua figura, ma il portamento era quello di una donna sicura di sé. – Grazie per la sua visita, Consigliere Troi. Quelle parole implicavano un esplicito commiato e anche se non percepiva nessuna animosità personale da parte della donna, Troi avvertì che l'ostilità degli altri Coloni non era diminuita; consapevole che il protrarsi della sua presenza avrebbe potuto soltanto agitare ulteriormente i passeggeri, il consigliere si affrettò ad andarsene. – Non avremmo mai dovuto lasciare Grzydc! – brontolò Tomas non appena l'intrusa se ne fu andata, tirandosi furiosamente i ciuffi della barba. – Non avevamo nessuna possibilità di rimanere – gli ricordò Patrisha pur sapendo che Tomas non aveva interesse nel discutere il loro esodo dal pianeta: troppe persone in quella stanza sapevano che proprio i suoi continui disaccordi con il governo di Grzydc avevano contribuito a rendere intollerabile l'attrito tra i Coloni e il loro mondo adottivo. – Qualcuno deve parlare con il capitano riguardo a questo oltraggio. Dobbiamo fargli conoscere la nostra posizione! – insistette Tomas, e la sua enfatica frase fu accolta con un mormorio di approvazione da diversi altri Coloni. Un osservatore esterno avrebbe potuto facilmente pensare che Tomas si stesse offrendo volontario per quel compito, ma Patrisha sapeva che non era così: nel momento in cui l'intero gruppo avesse raggiunto un accordo, lei sarebbe stata la delegata scelta. Naturalmente poteva rifiutarsi, ma a suo modo anche lei era prevedibile quanto gli altri Coloni: piuttosto che lasciare che Tomas causasse l'ostilità di un'altra autorità, avrebbe accettato sulle proprie spalle il peso di quella responsabilità. Andrew Deelor rimase disteso sulla schiena a guardare quel cielo senza forma per un tempo che gli parve infinito prima di trovare le forze necessarie per girare la testa. – Il paradiso è una sala teletrasporto – mormorò. – Davvero bizzarro. – Parla più forte: non ti sento. Con un grande sforzo Deelor si voltò nell'altra direzione e nel vedere la 27 figura indistinta di Ruthe che sedeva a gambe incrociate accanto a lui, cercò di collocarla nel suo nuovo mondo. – E tu adesso sei un angelo – aggiunse, pensando che la donna sarebbe stata un angelo bellissimo anche se severo, con gli zigomi alti e il viso angoloso che enfatizzava i grandi occhi scuri. – Di cosa stai parlando? – chiese Ruthe, con durezza. – Dovrei essere morto, ma questo posto assomiglia molto ad una sala teletrasporto – rifletté Deelor. La sala in questione sembrava girargli intorno vorticosamente, ma aveva il sospetto che quel movimento fosse generato soltanto dal senso di vertigine che l'attanagliava... chiuse gli occhi e dopo un po' il pavimento sotto di lui cessò di sobbalzare con violenza. – Ho sentito qualcuno dire che siamo a bordo di una nave chiamata Enterprise – aggiunse la donna. – Ah, questo spiega tutto – sussurrò di rimando Deelor, poi dovette perdere conoscenza per qualche tempo perché quando riaprì gli occhi si rese conto che la vista gli si era schiarita e che adesso riusciva a vedere le figure accalcate degli altri sopravvissuti; una voce sconosciuta attirò poi la sua attenzione sull'ufficiale della Flotta Stellare che era in piedi accanto al Dottor Lewin. – Sto cercando l'ufficiale comandante della Ferrel – annunciò lo sconosciuto, facendosi da parte mentre Lewin sovrintendeva al trasporto di una barella attraverso la porta della sala teletrasporto. – Non si tratta di te? – chiese Ruthe a Deelor, sovrastando la risposta del dottore, ma per fortuna si espresse come sempre in tono sommesso e l'ufficiale non la sentì. – Non eri tu il responsabile? – insistette. – Non è questo il momento di dirlo. Li informerò più tardi, quando mi sentirò meglio – sussurrò di rimando Deelor, lottando contro un'ondata di nausea che costituiva l'effetto collaterale tipico degli anticoagulanti. In un momento imprecisato qualcuno doveva avergli somministrato dei medicinali, e lui sapeva che avrebbe dovuto invece avere la mente limpida per spiegare la presenza della Ferrel in quella regione di spazio e stabilire la sua autorità sull'Enterprise. – Il Capitano Manin è stato portato in infermeria. Picard ascoltò con tacito sollievo il rapporto fornito all'interfono da Riker: non c'era nessuna ragione logica per sperare di trovare vivo un ufficiale superiore, visto che dell'intero equipaggio di una nave stellare di classe Constellation erano rimasti solo trenta superstiti. 28 – Si presenti da me non appena gli avrà parlato – replicò. Pur desiderando condurre lui stesso l'interrogatorio, sapeva di non poter lasciare la plancia dopo un attacco come quello che si era appena verificato e attese con impazienza il ritorno del suo primo ufficiale, mascherando le proprie emozioni dietro la sua consueta facciata di studiata calma. Dieci minuti più tardi Riker uscì dal turboascensore e si girò per incitare un altro uomo con indosso una polverosa uniforme della Flotta a farsi avanti; lo sconosciuto era alto e allampanato, con una massa spettinata di capelli brizzolati. – Il Capitano Manin è in sala operatoria – spiegò Riker. – Questo è il Primo Ufficiale D'Amelio. – Benvenuto a bordo dell'Enterprise – salutò il capitano, avvicinandosi ai due uomini. Le sue parole fecero affiorare un sorriso sul volto di D'Amelio, ma passarono alcuni secondi prima che lui notasse la mano tesa del capitano. Muovendosi con estrema lentezza, l'ufficiale la strinse debolmente e rimase immobile finché Riker non lo prese con gentilezza per un braccio e lo pilotò verso l'adiacente saletta tattica. Il capitano li seguì e attese che le porte si fossero chiuse prima di dar voce ai propri dubbi. – Numero Uno, quest'uomo è sotto shock. Dovrebbe essere in infermeria. Riker fece sedere il primo ufficiale della Farrel su una delle sedie di fronte alla scrivania del capitano. – È già stato curato e sono sicuro che la Dottoressa Crusher lo avrebbe dimesso se glielo avessi chiesto, ma non volevo disturbarla. – In altre parole, è meglio che parliamo in fretta, prima che scopra che se n'è andato – tradusse Picard, sedendosi di fronte a loro. La riunione che seguì fu tutt'altro che facile. D'Amelio parve incapace e a volte addirittura riluttante a rispondere a qualsiasi domanda sulla nave aliena che aveva attaccato la Ferrel, e le poche risposte che diede non fecero altro che sollevare nuovi interrogativi. Picard trasse infine un profondo respiro per tenere sotto controllo la sfumatura tagliente che gli si era insinuata nella voce. – Signor D'Amelio, lei continua a sostenere che la Ferrel era dotata di un equipaggio ridotto all'osso e questa è davvero una buona notizia: avevamo pensato che le vostre perdite fossero state molte di più. Comunque sono sicuro che capirà la nostra confusione... quarantasei persone sono un equipaggio insolitamente ridotto per una nave stellare. 29 – Quarantasei uomini erano tutti quelli che ci servivano. – Che vi servivano per che cosa? – chiese Riker. Come in precedenza, D'Amelio non rispose e lasciò invece vagare con espressione vacua lo sguardo per la stanza mentre Picard e Riker si scambiavano occhiate di frustrazione e di crescente scetticismo; si era formato uno schema prevedibile: qualunque domanda riguardasse la missione della nave provocava una perdita d'attenzione, e pur non avendo bisogno delle abilità empatiche di Deanna Troi per rendersi conto che D'Amelio stava nascondendo delle informazioni, Picard decise che forse il consigliere avrebbe dovuto unirsi alla conversazione se le reazioni dell'uomo non fossero cambiate. Il trillo di una comunicazione in arrivo gli impedì di denunciare apertamente l'evasività di D'Amelio. – Crusher a capitano. – Non si preoccupi, Dottoressa Crusher, ci stiamo prendendo cura noi del Signor D'Amelio – rispose Picard, che si aspettava la chiamata, studiando al tempo stesso con insoddisfazione il profilo di D'Amelio. – Però abbiamo bisogno di fargli ancora qualche dom... – Capitano – lo interruppe la dottoressa, – uno dei superstiti della Ferrel è stato ferito dal colpo di un phaser a mano. Tutti e tre gli uomini nella stanza accolsero con sorpresa quella notizia. – Ne è sicura? – domandò Picard. – Forse il contatto con il campo di forze alieno... – No, non è stato il campo di forze. Lo schema di distruzione cellulare è quello caratteristico delle ustioni da phaser. Tutti gli altri soffrono di shock, di esposizione al vuoto, di impatto con detriti mentre quell'uomo è l'unico portato a bordo con ferite di questo tipo. Qualcuno gli ha sparato. Picard si rivolse di nuovo al primo ufficiale della Ferrel, questa volta senza mascherare la sua irritazione. – Signor D'Amelio, che cosa diavolo è successo su quella nave? – Non so niente al riguardo – ribatté D'Amelio, uscendo a stento dallo stato di sogno in cui era scivolato e voltandosi verso Picard e Riker. – Onestamente, non so niente! La plancia stava crollando... non avevamo più molto tempo e non avevamo più nessuna speranza di essere salvati, o almeno così credevamo. Il Capitano Manin e io stavamo per avviare la sequenza di autodistruzione. – Ma non ci siete riusciti – commentò Picard. – No. Stavo per confermare la mia identificazione di grado quando sono 30 svenuto – spiegò D'Amelio, scuotendo la testa come se volesse schiarirsi le idee. – Che cosa sta facendo quell'uomo fuori dall'infermeria? – domandò Crusher attraverso l'interfono, e soltanto allora il capitano si rese conto che lei stava ancora ascoltando – Fatelo tornare subito... La voce della dottoressa si interruppe bruscamente, nonostante il collegamento fosse rimasto aperto: Picard sentì uno schianto, seguito dal debole suono di urla in sottofondo, poi di nuovo la voce di Crusher. – Fermo! Capitano Manin, le sue azioni non sono giustificabili... Sicurezza in infermeria. Nel sentire quelle parole Picard e Riker lasciarono a precipizio la saletta. Se per sua natura l'infermeria non era fatta per essere un'arena adatta a scontri violenti, i contendenti che si stavano affrontando in essa erano ancora meno convincenti. La Dottoressa Crusher aveva trascinato il Capitano Manin lontano dal paziente che questi voleva assalire, ma era più preoccupata dal danno che l'uomo stava facendo a se stesso nel cercare di divincolarsi e di riprendere la lotta, che del danno che avrebbe procurato all'avversario. La sua forza era incredibile nonostante le gravi ferite, e poteva essere dettata solo da un'ira considerevole, tanto forte da dominare le debolezze del suo corpo. – Dannazione a te, Deelor! Hai distrutto la mia nave e il mio equipaggio! – urlò Manin, lottando per liberarsi dalla dottoressa. Crusher gettò da sopra la spalla un'occhiata in direzione dell'oggetto dell'accusa e osservò le condizioni dell'altro uomo, che si era accasciato contro una parete con il viso coperto di sudore. Manin aveva sferrato diversi pugni contro il petto di Deelor in un punto dove pelle e muscoli erano gravemente ustionati, ma dal momento che sul bendaggio protettivo non si scorgevano tracce visibili di emorragia la dottoressa attribuì il pallore di Deelor ad un intensificarsi del dolore piuttosto che ad una nuova perdita di sangue. Le porte dell'infermeria si aprirono di scatto e il capo della Sicurezza Yar si affrettò a varcarne la soglia con Riker e il Capitano Picard alle calcagna; alla vista dell'uomo che stava lottando con la dottoressa, Yar tirò fuori il suo phaser. – No! – esclamò Crusher, muovendosi in modo da bloccare la linea di tiro. – È ferito gravemente, e perfino una scarica paralizzante potrebbe ucciderlo. 31 Approfittando di quel momento di distrazione della dottoressa, il Capitano Manin si lanciò ancora contro Deelor ma Picard si interpose tra i due uomini alzando al tempo stesso un braccio per bloccare un pugno... che però non arrivò mai. Manin si arrestò barcollando dopo aver mosso appena un passo e si accasciò, sorretto da Picard che lo adagiò gentilmente sul pavimento. – Stia fermo o riuscirà solo a farsi del male – consigliò, ma il suono della sua voce riuscì solo ad aumentare l'agitazione dell'uomo. – Non è stata colpa mia – annaspò Manin, respirando affannosamente. – Io ho eseguito gli ordini che la Flotta mi ha impartito. – Zitto! Le ordino di stare zitto – avvertì Deelor. Beverly Crusher si inginocchiò vicino a Picard ed esaminò l'uomo che questi stava sorreggendo fra le braccia. – Mi aiuti a metterlo sotto la sonda medica – disse. I due si affrettarono a deporre il corpo ormai inerte sul lettino dell'apparecchiatura diagnostica, ma anche senza il suo ausilio la dottoressa aveva già notato che Manin si andava indebolendo di secondo in secondo e la serie frenetica di ticchettii elettronici emessa dal pannello che si era chiuso sopra il petto del ferito servì soltanto a confermare la sua diagnosi. – Sta cominciando di nuovo l'emorragia interna – esclamò Crusher, chiamando alcuni assistenti. Il danno ai tessuti era esteso e passava dal fegato, alla milza, ai reni. – Fattore coagulante – ordinò, e non appena un'infermiera le posò una siringa sul palmo ne iniettò il contenuto nella vena del collo di Manin. L'iniezione non fu però sufficiente ad arrestare l'emorragia e una seconda dose ebbe soltanto l'effetto di addensare appena il sangue, che continuò a riempire la cavità toracica. Non era possibile somministrare una terza dose perché un'iniezione addizionale avrebbe coagulato l'intero sistema circolatorio. Indifferente agli sforzi di Crusher, il capitano della Ferrel afferrò il braccio di Picard, che si chinò su di lui in risposta alla tacita richiesta di quella debole stretta. – Il totale controllo della missione... a un dannato burocrate – sibilò il capitano, ansimando. – Stai zitto, Manin! – urlò Deelor, abbandonando a fatica il sostegno della parete e zoppicando in direzione del tavolo. Il Tenente Yar aveva però ancora il phaser in pugno e non appena glielo puntò contro Deelor si fermò, barcollando. 32 – Sta violando la sicurezza della Flotta Stellare – continuò. Beverly Crusher sapeva che il suo paziente era troppo debole per sopportare un'operazione chirurgica: nonostante questo sarebbe stata disposta a tentare comunque, se non fosse stato per il fatto che gli organi vitali dell'uomo erano ridotti in poltiglia e non c'era più niente su cui operare. Di conseguenza, gli somministrò invece un medicinale per calmare il dolore. La voce di Manin si era ridotta ad un sussurro che costrinse Picard ad avvicinarsi ancora per cercare di sentire, ma gli giunse con chiarezza una parola soltanto. – Hamlin? – ripeté. – Cosa c'entra Hamlin? Manin però non rispose e la sua mano abbandonò la presa sul braccio di Picard. Ignorando il grido di avvertimento di Yar, Deelor si avvicinò al lettino su cui giaceva il ferito. – Imbecille! – urlò. – Farò in modo che ti tolgano per sempre i gradi di capitano. – Non può sentirla – mormorò la Dottoressa Crusher, spegnendo l'unità medica che sovrastava il corpo immobile. – È morto. IV. Diario del capitano, supplemento: gli eventi che circondano la distruzione della U.S.S. Ferrel sono ancora avvolti nel mistero. Abbiamo teletrasportato a bordo trenta persone da una nave che avrebbe dovuto trasportarne centinaia, e nessuna di queste trenta è disposta a dirci perché la loro nave è stata attaccata. La sala riunioni della plancia era stata progettata per mettere a proprio agio coloro che la usavano: poltroncine imbottite circondavano un tavolo ovale dalle proporzioni generose e i larghi oblò che seguivano la curva dello scafo erano allineati sulla parete esterna in modo da mostrare lo splendido panorama offerto dalla miriade di stelle scintillanti. Intorno al tavolo potevano trovare tranquillamente posto una dozzina di persone senza che nessuno si sentisse limitato nei movimenti, ma adesso nella sala ne erano presenti soltanto quattro. – Consigliere, si sente bene? – domandò Picard, notando il modo in cui Troi si era lasciata cadere pesantemente nel confortevole abbraccio della 33 larga poltrona, chiudendo gli occhi. La Betazoide risollevò le palpebre con un tremolio delle ciglia scure. – Sono un po' stanca – ammise con riluttanza. – I contatti con i Coloni e con i superstiti della Ferrel mi hanno prosciugata. – E non ci hanno dato risultati – aggiunse Riker, mentre con Data aggirava il tavolo. – Tutti si comportano come se i nemici fossimo noi. Quando il primo ufficiale passò dietro la poltroncina dov'era seduta Troi, Picard la vide irrigidirsi e questo confermò il suo sospetto che la Betazoide fosse insolitamente sensibile agli umori di Riker: la forza delle attuali frustrazioni del primo ufficiale doveva esercitare una pressione terribile sulle difese emotive della donna. – Cominciamo la riunione – suggerì Picard, allontanandosi da Troi per sedersi a capotavola e rendendosi conto che la sua stessa impazienza stava con ogni probabilità aggiungendo turbolenza all'ambiente emotivo che circondava la donna. – Non riesco a capire cosa stia succedendo – commentò con irritazione Riker, nel prendere posto a sua volta. – Secondo il loro primo ufficiale, Deelor era un consulente assegnato alla Ferrel per aumentare la velocità delle operazioni e delle procedure di manutenzione, ma in base agli archivi del personale della Flotta non era un membro dell'equipaggio e non figura neppure nella lista delle persone presenti a bordo. – Ho richiesto al computer un controllo completo riguardo alla sua identità – confermò Data, – e non ho avuto nessun risultato. Non esiste un Andrew Deelor nella Flotta Stellare e neppure tra la popolazione civile della Federazione in questo settore. – E l'equipaggio della Ferrel non vuole dire chi abbia tentato di ucciderlo o perché lo abbia fatto. Sembra che tutti stessero guardando in un'altra direzione quando gli hanno sparato – esclamò Riker, con evidente disgusto. – Deanna, perché non dici al capitano quello che hai percepito? Troi esitò, cercando di trasformare in parole le impressioni che aveva avvertito. – Sono riuscita a captare un incredibile caos di emozioni in conflitto tra loro: dolore per la morte del loro capitano, rabbia... quasi ira alla menzione del nome di Deelor, e sempre un enorme bisogno di segretezza. Se anche sanno qualcosa, non lo ammetteranno a meno di costringerli con la forza. – Questa non è un'inquisizione – puntualizzò Picard, con un cenno ammonitore della mano. – Tuttavia non posso permettere che l'incidente rimanga irrisolto: devo sapere che cosa è successo alla Ferrel, se non altro 34 per proteggere l'Enterprise! – Aggrottò la fronte di fronte all'improvvisa immagine della sua nave contorta e distrutta, del suo equipaggio e dei passeggeri che fluttuavano tra i relitti, poi la respinse con decisione e chiese: – Cosa sapete dell'altro civile... mi riferisco alla donna. – Si chiama Ruthe – rispose Riker, con un sospiro carico di esasperazione. – Non vuole dirci il suo cognome e non risponde a nessun'altra domanda. Ripete in continuazione «chiedetelo a Deelor». – Il quale non si sente abbastanza in forze per rispondere – commentò Picard; non appena era stata annunciata la morte di Manin, Deelor si era infatti abbandonato ad uno svenimento molto comodo ma assai poco convincente. – Le sue ferite sono abbastanza reali, ma il tempismo ha un che di familiare: sta recitando la parte del debole – continuò in tono grave, – proprio come D'Amelio faceva finta di essere sotto shock. Ma perché? Che cosa stanno nascondendo? Un messaggio del Tenente Yar proveniente dall'interfono interruppe temporaneamente la riunione. – La Colona Patrisha ha chiamato di nuovo la plancia: insiste nel voler parlare personalmente con lei, capitano – comunicò la voce del tenente, resa più dura dall'irritazione. – Le dica... – cominciò Picard, ma poi rifletté rapidamente e si trattenne dal completare la frase. – Le dica che è tutto sotto controllo e che la incontrerò non appena i miei doveri me lo permetteranno – concluse, interrompendo il collegamento con uno scatto secco del dito. – I passeggeri, come i bambini, dovrebbero poter essere visti ma non sentiti – dichiarò, senza rivolgersi a nessuno in particolare, poi accantonò il pensiero dei Coloni di Oregon e ritornò al mistero della Ferrel: – Hamlin! Per me ha un solo significato... il massacro di Hamlin. All'epoca ero soltanto un bambino, ma ricordo bene quell'incidente. – Ho letto i resoconti storici all'Accademia – spiegò Riker, accorgendosi dello sguardo interrogativo di Troi. – Hamlin era una colonia di minatori posta lungo la frontiera della Federazione. Cinquant'anni fa i suoi abitanti riferirono un primo incontro con una nuova razza aliena, ma subito dopo le comunicazioni si interruppero improvvisamente e la successiva nave di rifornimento che raggiunse il pianeta scoprì che tutti i Coloni erano stati uccisi. – Non tutti, solo gli adulti – lo corresse Data. – I bambini della colonia erano scomparsi, presumibilmente anch'essi erano morti. – Alcuni dissero che erano stati mangiati – mormorò Picard in tono 35 cupo, come se stesse rievocando con quelle parole una frase da lungo tempo dimenticata. – Domanda: mangiati, come dire consumati? Usati come fonte di cibo? Immediatamente Picard si pentì di aver fatto quel commento e cercò di evitarne l'approfondimento. – Sì, o almeno questa possibilità venne data nelle versioni dei fatti che miravano a creare maggiore sensazione – si affrettò a spiegare, poi si rivolse a Riker e proseguì: – Gli alieni che hanno attaccato la Ferrel potrebbero essere gli stessi responsabili del massacro di Hamlin? Data però non si lasciò distrarre dalla nuova linea della discussione. – Forse l'equipaggio mancante della nave stellare è stato anch'esso mangiato – insistette. – Anche se la consumazione di parecchie centinaia di corpi dovrebbe presupporre una fame piuttosto considerevole. Un'altra chiamata del Tenente Yar salvò il capitano dal dover rispondere. – Non saranno ancora i Coloni, vero? – domandò Picard. – No, signore. Sto ricevendo una trasmissione dalla Base Stellare Dieci di Zendi. – Se la sono presa comoda per risponderci, signore – osservò Riker, appoggiandosi allo schienale reclinabile della poltroncina e incrociando le braccia sul petto. – Il tempo che una comunicazione impiega a raggiungerli è soltanto di poche ore, non di un giorno intero. – Anche se sono in ritardo, almeno avremo qualche risposta dall'Ammiraglio Zagráth – dichiarò Picard. – Passi la trasmissione qui, tenente. – Le consiglio di ricevere il messaggio nel suo ufficio, signore. La trasmissione è cifrata, Codice 47... riservato a lei soltanto. – Il messaggio durava solo tre minuti, ma lui è là dentro ormai da ore – protestò Yar, appoggiandosi alla ringhiera di poppa e fissando la parete che separava la plancia dalla saletta tattica del capitano. – Dieci minuti e dodici secondi – puntualizzò Data, facendo ruotare la consolle operazioni in modo da mettersi di fronte agli altri ufficiali di plancia. – Non è un tempo eccessivamente lungo per analizzare una trasmissione segreta... o almeno non lo è per un Umano. – Io direi che venti minuti sono un tempo eccessivo – dichiarò Geordi, quando l'attesa continuò a protrarsi. – Dopo tutto, nell'arco di venti minuti quante volte si può ascoltare un messaggio che ne dura tre? – Sei punto sei, sei, sei, sei... 36 – Data – chiamò Yar, interrompendo il calcolo dell'androide. – C'è stata qualche attività del terminale del computer del capitano? – Non secondo i miei... – cominciò l'androide. – Adesso basta, Data – intervenne Riker, scuotendo la testa con decisione. – Stiamo sfiorando l'invasione di privacy, e del resto sapremo presto cosa sta succedendo. Passarono altri dieci minuti, poi il primo ufficiale si rivolse a Troi. – Non hai detto molto sull'assenza del capitano. Non sei curiosa? – Questa è una domanda tendenziosa e tu lo sai – rispose la donna, in tono pungente. – Dov'è andata a finire la tua preoccupazione per la sua privacy? Geordi e Data si girarono entrambi dalle loro postazioni per fissare in silenzio il consigliere e nel lanciare un'occhiata verso l'alto Deanna si accorse che anche Yar e Worf la stavano guardando. – Se proprio volete saperlo – sospirò, – percepisco in lui una grande rabbia e sento che sta cercando di ritrovare il controllo. Qualsiasi ulteriore spiegazione fu interrotta dal rumore della porta della sala tattica che si apriva e si richiudeva. Con il viso teso in un'espressione che mascherava ogni emozione, Picard raggiunse con passo rigido la parte anteriore della plancia dove si fermò sull'attenti con le spalle rivolte al visore, emettendo un secco colpo di tosse come per richiamare all'ordine una classe indisciplinata. – Secondo le istruzioni ricevute dal Comando della Flotta Stellare – scandì con voce piatta e priva di inflessioni, rivolto ad un punto imprecisato al centro della stanza, – non ci saranno ulteriori discussioni tra i membri dell'equipaggio riguardo agli eventi di cui siamo stati testimoni dopo la richiesta di soccorso della Ferrel. Tutte le registrazioni dei diari di bordo e i dati dei sensori che riguardano la U.S.S. Ferrel e il suo attaccante verranno posti sotto sigillo. Confido che ognuno di voi seguirà queste istruzioni alla lettera. Il trillo di una chiamata in arrivo infranse il silenzio carico di disagio che seguì l'annuncio del capitano, poi Yar bloccò il penetrante suono sfiorando velocemente la sua consolle comunicazioni. – Sono i Coloni di Oregon, capitano. – Informi la Colona Patrisha che la vedrò immediatamente – affermò Picard in tono piano. Aveva già raggiunto le porte del turboascensore quando si voltò – Data, a lei il comando. Numero Uno, ho bisogno della sua assistenza. 37 Riker non fece domande mentre la cabina scendeva ponte dopo ponte attraverso il centro della sezione a disco; con lo sguardo fisso di fronte a sé, mantenne una posizione marziale degna dell'apparenza severa del capitano. – Fermo! – ordinò improvvisamente Picard, interrompendo la corsa del turboascensore. Una luce d'allarme segnalò che si trovavano tra due ponti – Come primo ufficiale, lei ha il diritto di conoscere almeno una parte del contenuto della trasmissione. – Ufficiosamente, presumo – mormorò Riker, guardandosi intorno nel piccolo compartimento. – Questo mi sembra un luogo poco ortodosso per una riunione. La linea tesa della bocca di Picard si curvò appena in un accenno di sorriso. – Sembra che il misterioso Andrew Deelor esista davvero e che la sua posizione sia anche piuttosto importante. L'Ammiraglio Zagráth lo ha definito un ambasciatore diplomatico – spiegò, con un secco colpo di tosse che tradiva il suo scetticismo. – È possibile che lo sia, ma è più probabile che appartenga ai Servizi di Sicurezza della Flotta. – Questo potrebbe spiegare perché la Ferrel aveva un equipaggio così ridotto. Massima segretezza, massimi rischi. – Sì, ma probabilmente noi non sapremo mai che cosa stavano facendo qui. L'intero incidente della Ferrel è stato nascosto dietro un velo di segretezza... nell'interesse della sicurezza della Federazione – concluse Picard, facendo ripartire l'ascensore. Quella semplice frase fece scattare le proteste di Riker. – Ma, capitano, questa è la più alta classificazione di sicurezza in uso. – Proprio così. Le porte del turboascensore si aprirono mettendo fine alla discussione. Quando sentì suonare il campanello della porta, Patrisha trasse un profondo respiro e si portò sulla soglia dell'alloggio passeggeri. – Avanti – invitò e le porte si aprirono da sole. Che stupido spreco di energia, pensò, mettendo poi da parte il suo disprezzo per accogliere i due uomini che stavano entrando. – Grazie per essere venuto, capitano – disse al più anziano dei visitatori. Non era mai stata presentata a Picard, e non aveva ancora capito come distinguere i gradi che decoravano i colletti delle uniformi della Flotta, ma aveva imparato a riconoscere l'atteggiamento di un comandante: gli ufficiali di quel tipo camminavano con una grazia e 38 un'arroganza caratteristiche, e quell'uomo era molto più altezzoso degli altri che aveva visto a bordo della nave stellare. Si rivolse poi all'altro uomo, che le era già familiare. – Ben ritrovato, Signor Riker. – Dopo un tempo troppo lungo, Colona Patrisha. Il sorriso dell'uomo più giovane era molto più caloroso di quello del suo compagno, e Riker le aveva risposto nell'idioma dei Coloni, quindi Patrisha avrebbe preferito continuare la conversazione con lui... ma sapeva che quella gente aveva modi diversi e che le sue rigide gerarchie dovevano essere onorate. – Ho saputo che il nostro allarme vi ha disturbato – osservò il capitano. – L'intera comunità è piuttosto preoccupata dagli eventi recenti... e lo dico a nome di molti – confermò Patrisha. Il capitano aveva affrontato il nocciolo del discorso molto bruscamente, ma del resto anche lei non aveva alcun desiderio di prolungare l'incontro. – Sì, così mi è stato detto – annuì Picard, scoccando una rapida occhiata in direzione dell'altra stanza dell'alloggio. Patrisha arrossì per quell'asciutto commento, consapevole che il capitano aveva sentito il furtivo fruscio di corpi in movimento e di voci sussurranti che proveniva dall'altra parte della parete e si rendeva certamente conto che alcuni ascoltatori si nascondevano appena fuori del suo campo visivo. Per coprire il proprio imbarazzo si rifugiò nell'enunciazione di uno dei principi dei Coloni: – Capitano Picard, noi siamo gente pacifica. – Sono spiacente se il nostro recente incontro ha messo in agitazione qualcuno di voi. Per favore assicuri la sua gente che non siamo mai stati in pericolo e che la nave che ci ha attaccati ha lasciato questo settore – la rassicurò Picard, senza che però ci fosse alcun tono di scusa nella sua voce. – Il punto è un altro, capitano: noi non abbiamo intenzione di prendere parte ad azioni militari di sorta. – Capisco bene la vostra preoccupazione. Comunque è compito dell'Enterprise assistere le navi in difficoltà e questa particolare situazione richiedeva una dimostrazione di forza, deplorevole certo, ma necessaria. Riprenderemo il viaggio verso New Oregon presto, molto presto. – Ma perché questo continuo ritardo? – insistette Patrisha. Se doveva difendere la comunità... e certamente nessuno degli altri Coloni aveva la volontà di confrontarsi con il capitano... allora doveva porre le necessarie domande. Fu Riker a risponderle. – Stiamo assistendo l'equipaggio della nave danneggiata per la 39 necessaria manutenzione in modo che possa raggiungere la Base Stellare Dieci. Dal modo in cui Picard stava spostando di continuo il proprio peso da un piede ad un altro, Patrisha si accorse che la sua pazienza si stava assottigliando e pensò che in questo il capitano assomigliava a Dnnys, pronto a lasciare a precipizio una stanza appena un minimo di cortesia fosse stata soddisfatta. In ogni caso, non riuscì a farsi venire in mente nessun'altra domanda e pose quindi fine alla conversazione. – Non voglio trattenerla dal suo lavoro più del necessario. Questa era la tradizionale forma di congedo dei Coloni, ma Picard rimase immobile, come se si fosse improvvisamente reso conto del suo comportamento palesemente impaziente, e riuscì a esibire un sorriso sincero prima di andarsene. – Chiamate pure il Consigliere Troi se avete bisogno di qualsiasi ulteriore assistenza. – Lo farò con piacere – garantì cortesemente Patrisha, accompagnando i due uomini alla soglia, poi tirò uno stanco sospiro di sollievo non appena la porta della cabina si fu richiusa e gli stranieri furono tornati al posto che spettava loro: fuori dall'alloggio. Pochi secondi dopo un'altra porta si aprì dietro di lei. – Si sono lasciati dietro la puzza della loro tecnologia – esclamò Dolora, annusando rumorosamente l'aria nell'attraversare la stanza. – Oh, per favore – gemette Patrisha, ma fu soffocata dal chiacchiericcio delle voci che si avvicinavano a mano a mano che altri Coloni venivano fuori dai loro nascondigli e si affollavano nell'area del soggiorno. – Sei stata anche troppo accomodante – tuonò Tomas, con la consueta veemenza. – Non possono trattenerci qui contro la nostra volontà. – Al contrario. Non abbiamo scelta al riguardo, anche se il Capitano Picard è stato abbastanza diplomatico da non farlo notare – ribatté Patrisha, rendendosi conto che soltanto Tomas riusciva a farla arrabbiare tanto da portarla a difendere degli stranieri. – È un oltraggio, e il governo di Grzydc deve essere informato del trattamento che viene inflitto ai suoi cittadini – dichiarò Dolora, agitando un dito in direzione del corridoio. – Loro non ci hanno mai trattati meglio – brontolò un'altra donna. – Gli stranieri non conoscono il significato del rispetto – gridò un uomo, dalla parte opposta della stanza. – Non possiamo aspettarci decenza da nessuno di loro. 40 Cercare di far ragionare i Coloni con argomenti razionali le avrebbe solo fatto perdere la voce, perciò Patrisha si gettò sul divano e chiuse la sua mente ai resoconti dei torti veri o presunti che i suoi compagni stavano facendo. Quella stessa situazione si era ripetuta con minime variazioni da quando un anno prima erano partiti per il loro viaggio verso New Oregon, e il guaio era che sebbene quelle proteste stessero diventando un'abitudine questo non diminuiva affatto la noia che le derivava dal sentirle. – I Coloni hanno accettato il ritardo con molta più calma di quanto credevo – fece notare Picard a Riker, allontanandosi dagli alloggi dei passeggeri. Il primo ufficiale non si era lamentato, ma le voci delle tempeste d'umore dei colonizzatori avevano raggiunto il capitano attraverso altri canali. – Quella particolare Colona ha preso bene la notizia – puntualizzò a malincuore il primo ufficiale, camminando lungo il corridoio, – e comunque ormai si devono essere rassegnati ai ritardi. Il gruppo ha aspettato per quasi un mese alla Base Stellare prima che noi fossimo incaricati di trasportarlo per il resto del viaggio. Il loro mondo d'origine ha usato la sua influenza diplomatica per far salire la comunità a bordo dell'Enterprise. – Non credevo che Grzydc avesse qualche influenza – commentò il capitano entrando nel turboascensore. – Secondo Wesley – precisò Riker, dopo aver ordinato alla cabina di dirigersi verso la plancia, – il governo di Grzydc ha in effetti pagato di tasca propria il nuovo territorio dei Coloni. – Le aree terraformate sono molto costose – rifletté Picard. – Sono sorpreso che un pianeta così povero di risorse come Grzydc sia stato propenso ad aiutare un gruppo di cittadini naturalizzati. – Potrebbe essere parso un prezzo accettabile pur di allontanarli dal pianeta – replicò Riker, con una risata priva di allegria. L'ascensore rallentò fino a fermarsi e Picard e il suo primo ufficiale entrarono in plancia nel mezzo di un confronto piuttosto rovente tra il Capo della Sicurezza Yar e Andrew Deelor. All'ingresso del capitano Yar smise di gridare e scattò sull'attenti, mentre Deelor infilò i pugni serrati nelle tasche della sua giacca medica di colore azzurro; accanto a lui, ancora avvolta nel suo mantello, la donna conosciuta soltanto con il nome di Ruthe non appariva per nulla scossa dall'agitazione. – Qual è il problema? – chiese Picard, rivolgendosi al Tenente Yar ma 41 mantenendo la sua attenzione su Deelor: i dettagli relativi al suo aspetto fisico si erano affievoliti nella sua memoria dopo il loro primo breve incontro in infermeria perché l'ambasciatore aveva un viso poco originale, né bello, né brutto e facilmente dimenticabile, ed era di media altezza e di media corporatura... in fondo un uomo per niente particolare. – L'Ambasciatore Deelor non vuole lasciare la plancia come richiesto – spiegò Yar, usando il titolo dell'uomo con un tono tale da rendere palesi i sospetti che aveva sulla sua autenticità. – Ero sul punto di chiamare una squadra di Sicurezza per farlo accompagnare al suo alloggio. – Ha agito correttamente, Tenente Yar – annuì Picard, poi si rivolse a Deelor e alla sua compagna e aggiunse: – I passeggeri non sono ammessi in plancia senza mio permesso esplicito. – Io non sono un comune passeggero – puntualizzò Deelor. – Evidentemente no – convenne Picard, con un sorriso che però non gli si rifletteva negli occhi. – Si è ripreso molto bene dalle sue ferite, ambasciatore. – La Dottoressa Crusher è un medico molto abile e mi sento decisamente meglio – ammise Deelor, sfilando le mani dalle tasche della giacca e abbandonando le braccia lungo i fianchi, senza però riuscire ad attenuare la tensione nelle spalle. – Bene. Allora potrà rispondere ad alcune delle mie domande – decise Picard, e invitò i due civili a percorrere la rampa della plancia che portava all'ingresso del suo ufficio; quando però lui e Riker si avviarono per seguirli nella stanza, Deelor scosse il capo di fronte alla presenza del primo ufficiale. – Meglio se parliamo da soli, capitano – ordinò, senza neppure pretendere di far sembrare che si trattasse di una richiesta. – Come desidera, ambasciatore – acconsentì Picard, e segnalò a Riker di obbedire. Apparentemente ignara della tensione presente nella stanza, Ruthe stava intanto fissando affascinata i pesci racchiusi nell'acquario inserito nella parete; Riker la aggirò con passo deciso per andarsene, e non appena la porta si fu chiusa alle sue spalle Picard oltrepassò gli ospiti per andare a occupare il posto che gli spettava... in piedi dietro la scrivania con la schiena rivolta all'oblò e le dita posate con leggerezza sulla superficie levigata del tavolo da lavoro. – L'Ammiraglio Zagráth è stato molto chiaro nel ribadire che devo evitare qualsiasi domanda in merito all'attacco contro la U.S.S. Ferrel, ma 42 vorrei sapere se questo significa che dovrò anche sospendere ogni indagine sull'aggressione da lei subita... – Non ho subito nessuna aggressione, capitano – affermò Deelor. – Le mie ferite sono state il risultato di un incidente. – Sono contento di sentirlo. In questo caso lei sarà perfettamente al sicuro a bordo della Ferrel durante il viaggio di ritorno alla Base Stellare Dieci di Zendi. Naturalmente si tratterà di una sistemazione un po' primitiva vista la presenza di circa trenta persone accalcate nell'area dei servizi della sezione Ingegneria, ma il viaggio durerà solo otto o nove settimane. Un sorriso ironico incurvò appena gli angoli della bocca di Deelor. – Touché, capitano... facciamola finita con questo duello verbale, visto che ormai lei sa già troppo, anche se non abbastanza. L'ambasciatore accostò una sedia alla scrivania e si sedette, appoggiandosi all'indietro e inclinando lo schienale con un'angolazione che gli permettesse di stare comodo; in risposta a quel gesto, Picard prese posto sulla sua poltrona ma mantenne un atteggiamento eretto e non si lasciò ingannare dalla pretesa informalità dell'altro. – Non ho nessuna intenzione di ritornare sulla Ferrel – ammise intanto Deelor. – Come lei ha giustamente sottolineato, il viaggio sarà poco confortevole e piuttosto noioso, e il malumore può degenerare facilmente sotto lo stress del confinamento. – L'equipaggio della Ferrel la odia. Perché? – Perché avevo il comando della missione e un'autorità superiore a quella del loro capitano... e perché ho sottovalutato la forza del nostro avversario: come probabilmente ha intuito, gli alieni che ci hanno attaccati sono anche i responsabili di uno sfortunato incidente verificatosi sul pianeta Hamlin. – Il massacro di Hamlin – mormorò Picard, con la voce atona, consapevole che quelle parole evocavano ancora in lui un senso di shock. – Trecento persone uccise senza ragione. Una tale strage di solito viene considerata qualcosa di più che un «incidente». – Vedo che non ho bisogno di spiegarle tutti i dettagli – affermò Deelor, inarcando le sopracciglia. – Che cosa sa di questi alieni? – Loro si autodefiniscono i Choraii. – Choraii – ripeté lentamente Picard: così adesso il nemico aveva un nome. – Quindi il vostro non è stato un incontro fortuito. 43 – Oh, non lo è stato affatto. Ci sono voluti mesi di contatti radio per programmare l'incontro tra la Ferrel e una nave Choraii. – Deelor fece una pausa, incerto, e quando riprese la spiegazione il suo atteggiamento si fece meno arrogante. – Ero preparato ad un'azione ostile dei Choraii, che avrebbero certamente voluto mettere alla prova le nostre difese. Era essenziale che la Ferrel mostrasse una forza militare uguale alla loro, abbastanza decisa da guadagnarsi rispetto ma non così potente da spaventarli. – Cosa è andato male? – domandò Picard. – Ho sbagliato i miei calcoli, aspettando troppo a lungo. I Choraii hanno interpretato l'attesa come una debolezza e si sono avvicinati per finirci. La loro rete è stata una sorpresa e le nostre riserve d'energia non sono state capaci di resistere alla pressione del campo per più di poche ore. Una lezione dura ma preziosa e la prossima volta, con l'Enterprise, avrò successo. – Non con la mia nave! – esclamò Picard, calando con violenza il palmo aperto della mano sulla scrivania. – Ho l'autorità di prendere il comando... o forse l'ammiraglio non glielo ha detto? – ritorse Deelor, con rinnovata arroganza. Facendo appello a trent'anni di disciplina da ufficiale di Flotta, Picard soffocò l'impulso di coprire la distanza che lo separava da Deelor con un balzo per insegnare fisicamente all'ambasciatore qual era il suo posto. – Sì, mi ha informato anche di questo – dichiarò infine. Quella particolare porzione della trasmissione aveva acceso in lui un'ira che gli bruciava ancora dentro. – E quale sarebbe, se posso chiederlo, lo scopo del contatto con i Choraii? Quella capitolazione di fronte alla sua autorità fece affiorare una traccia di compiacimento sul viso di Deelor, e Picard sentì la propria mascella che si serrava per reazione... se soltanto avesse potuto cancellare quel sorriso. – I Choraii sono alla ricerca di un assortimento di metalli: zinco, oro, platino, piombo. Evidentemente non hanno la capacità di raffinare i minerali che trovano sugli asteroidi. Se torna a loro vantaggio, uccidono per ottenere ciò di cui hanno bisogno, mentre la mia missione è quella di persuaderli a firmare invece con noi un trattato di scambi commerciali. – Un trattato! – esclamò Picard, indignato. – E che cosa dovremmo scambiare? Cos'hanno loro che potrebbe anche lontanamente interessarci? – I bambini di Hamlin – rispose Ruthe, facendosi avanti. 44 V. La U.S.S. Ferrel era sospesa nello spazio e il soffice bagliore delle sue quattro lunghe gondole a curvatura inondava la sagoma distorta della sezione principale punteggiata da file di oblò scuri e senza vita. Affiancato dal suo primo ufficiale e dal consigliere della nave, Picard studiò la scena seduto sulla comoda e sicura poltrona di comando della plancia dell'Enterprise. – Ne è sicuro, Numero Uno? – domandò in tono dubbioso, mentre esaminava nuovamente l'immagine sullo schermo visore. – Sembra incredibile anche a me – ammise Riker, scrollando le spalle, – ma Logan giura che i motori della Ferrel possono resistere a piena velocità d'impulso per il tempo necessario a raggiungere la Base Stellare Dieci. – Allungando una mano tracciò la linea del danno e aggiunse: – Il campo di forza era avvolto attorno allo scafo principale e ha schiacciato la sezione a disco su se stessa, ma le gondole non hanno subito danni. Le nostre squadre di manutenzione hanno sigillato i passaggi diretti alla sezione danneggiata e hanno concentrato i loro sforzi per riattivare i servizi essenziali della nave nelle aree rimanenti. Non ci sono né gravità né sintetizzatori di cibo, niente comodità insomma, ma l'equipaggio potrà sopravvivere. – Non è proprio la mia idea di un bel modo di viaggiare! – mormorò Geordi tra i denti, ma il capitano sentì il suo commento. – Sono d'accordo, Signor La Forge, e adesso che hanno visto cosa li aspetta forse gli uomini dell'equipaggio della Ferrel cambieranno opinione. Tenente Yar, apra un canale audio con la nave. Nonostante l'Ingegnere Logan avesse fatto del suo meglio per ripararla, la sezione comunicazioni dello scafo principale era troppo danneggiata per fornire un contatto visivo. – Canale aperto, capitano. – Siete ancora del parere di intraprendere questo viaggio, Signor D'Amelio? – Il Capitano Manin ritornerà a casa con la sua nave. Non vogliamo fare diversamente – replicò la voce del primo ufficiale, fluttuando dagli altoparlanti. – Sono decisi a rimanere sulla loro nave, ma non solo per onorare il loro capitano – sussurrò il Consigliere Troi, protendendosi verso Picard. – Sono 45 impazienti di troncare ogni rapporto con l'Ambasciatore Deelor. Picard comprendeva fin troppo bene quel sentimento. – Come preferisce, comandante. La Ferrel è libera di andare e vi auguro buona fortuna per il vostro viaggio. Una scarica di statica rese innaturale e aspra la risata di risposta. – Non sprechi la fortuna con noi, Capitano Picard. Lei ne avrà molto più bisogno. La U.S.S. Ferrel partì senza ulteriori indugi: i suoi motori si accesero con un improvviso brivido che scosse la struttura distorta, poi la nave cominciò a spostarsi con estrema lentezza sul visore. Picard osservò con un crescente senso di disagio l'immagine oltrepassare i limiti dello schermo, tormentato dal dubbio che quella sua sensazione non fosse causata dal pensiero delle condizioni disastrate della Ferrel bensì dalla consapevolezza di un pericolo imminente per la propria nave... le parole di commiato di D'Amelio gli risuonavano ancora nella mente come una sirena d'allarme. In più di un'occasione l'Enterprise si era dimostrata capace di agire come una vera nave da combattimento, ma la sua missione di base era pacifica. A differenza delle navi che Picard aveva comandato in precedenza questa trasportava famiglie e ci erano volute settimane perché lui si abituasse a veder girare bambini nei corridoi: essi erano il simbolo più evidente dell'espansione della popolazione e la loro presenza lo disturbava perché gli ricordava infatti costantemente che la natura delle sue responsabilità era stata alterata totalmente, e questo lo rendeva nervoso. Con una nave come la Stargazer, Picard non avrebbe esitato un attimo a tentare di salvare i prigionieri di Hamlin, ma con l'Enterprise era diverso. Quali erano i suoi doveri, adesso? Poteva permettersi di rischiare un migliaio di vite per quei bambini da lungo tempo dimenticati? Il fatto che più lo turbava era però il timore che forse ormai l'autorità di prendere tali decisioni non spettasse più al capitano dell'Enterprise. – Capitano – chiamò Data, dal timone. – Ho calcolato la traiettoria della nave Choraii secondo le letture dei nostri sensori ed ho già inserito la rotta. L'androide rimase quindi in attesa di ulteriori ordini, e se anche provò sorpresa per l'esitazione di Picard, non lo diede a vedere. – Avanti a curvatura quattro, Signor La Forge – ordinò infine il capitano, dopo aver aspettato in modo che la decisione fosse veramente sua e non dell'ambasciatore. Sapeva che il risultato era identico, ma al tempo stesso era sottilmente diverso. – Signor Riker – continuò quindi, rivolto alla sua 46 destra, – riunisca gli ufficiali di plancia sul ponte d'osservazione. Tenente Yar, informi l'Ambasciatore Deelor che siamo pronti per cominciare la riunione. L'alloggio riservato ai visitatori era spazioso e persino lussuoso in confronto al piccolo alloggio a bordo della Ferrel, ma l'ambasciatore era troppo preoccupato per accorgersene, e a Ruthe non importava affatto. Deelor studiò il proprio riflesso nello specchio dell'area da letto e con pignoleria finì di sistemarsi l'uniforme nera, notando con piacere che la pelle sintetica che ricopriva le bruciature era troppo sottile per vedersi sotto la stoffa; non era un uomo vanitoso, ma sapeva che ogni piccola imperfezione della sua immagine autoritaria poteva indebolire la sua posizione. Soddisfatto del proprio aspetto, spostò infine l'attenzione sul riflesso della donna che si trovava alle sue spalle. – Anche tu avresti bisogno di abiti nuovi. – No – rifiutò Ruthe, e si appallottolò sul letto, avvolgendosi nel mantello. Il suo mantello era stato pulito, ma la stoffa era lisa e l'originale colore scuro era sbiadito fino a trasformarsi in un grigio ineguale. Deelor la conosceva abbastanza bene da sapere che non era il caso di insistere e ritornò invece su un argomento precedente. – Lascia parlare me durante la riunione. Il viso di lei fece capolino da sotto una piega del mantello. – È quello che faccio sempre... almeno nella maggior parte dei casi. – Sì, ma sono le volte in cui non lo fai a preoccuparmi. Picard non è uno stupido e approfitterà di ogni nostro minimo sbaglio. È molto importante che... – Si interruppe e si avvicinò a Ruthe, che si era raggomitolata in una palla senza forma, sedendole accanto sul bordo del letto e accertandosi che lo ascoltasse prima di continuare. – È molto importante, per il nostro bene, che lui non sappia più di quanto io voglio fargli sapere. – Allora perché andiamo a parlargli? – domandò lei, con la voce soffocata dalla stoffa. – Non lo farei se potessi evitarlo – ammise Deelor, poi la tirò gentilmente per il gomito. – Andiamo. Ci stanno aspettando. Dalla sua posizione vicino alla porta, Picard osservò l'afflusso degli ufficiali di plancia nella sala riunioni. Il Tenente Worf fu il primo ad entrare e, oltrepassando il capitano, scelse una poltrona con il muro alle 47 spalle; dopo il Klingon giunsero Data e Geordi... l'androide prese il controllo della consolle d'accesso al computer e Geordi si sedette accanto a lui. – È in anticipo – notò Picard, quando la Dottoressa Crusher oltrepassò la porta. – Succede. – Legga questo mentre aspettiamo che la riunione abbia inizio – suggerì il capitano, porgendole un rapporto medico su Hamlin fornito da Deelor. La dottoressa accettò il plico e lo portò con sé al tavolo. Dopo qualche momento, arrivò il secondo gruppo e la Dottoressa Crusher sollevò gli occhi dalle pagine in tempo per vedere suo figlio entrare con Tasha Yar e Deanna Troi; istintivamente sollevò il braccio per far cenno a Wesley di venire a sedersi accanto a lei, ma si fermò in tempo a metà del gesto e per coprire il movimento finse di grattarsi la punta del naso, particolare che non sfuggì all'attenzione divertita di Picard. – Dov'è l'ambasciatore? – domandò Riker, entrando nella sala in perfetto orario. – E Ruthe? – Già, viaggiano sempre in coppia – rifletté Picard. – Chi sarà mai quella donna? Un'assistente, un'attaché, un'aiutante? – Quelli erano tutti termini talmente intercambiabili da avere poco senso, ma senza i quali non si poteva spiegare la presenza di Ruthe. – Un'amante? – azzardò Riker. – Hanno rifiutato la proposta di alloggi separati. – Per quel che ne sappiamo, potrebbe essere sua moglie – replicò Picard, scrollando le spalle, e proprio mentre pronunciava quella frase le porte si aprirono, rivelando Deelor e Ruthe fermi sulla soglia... nel vederli, Picard si chiese quanto avessero sentito dello scambio di battute. – La presenza di tutta questa gente è inaccettabile, capitano – esclamò Deelor, non appena vide il numero di persone raggruppato nella sala. – Specialmente quella del ragazzo. – Non intendo mandare il mio equipaggio incontro a questa o ad altre missioni senza che tutti gli ufficiali di plancia siano completamente al corrente della situazione. E tra gli ufficiali è incluso il Guardiamarina Crusher. Ho la massima fiducia nella loro discrezione – replicò Picard, andando ad occupare il proprio posto all'estremità del tavolo. Deelor espresse la sua insoddisfazione aggrottando la fronte, ma non aggiunse altro e si sedette su una delle sedie vuote accanto al capitano; con la coda dell'occhio Picard vide Ruthe rifiutare l'offerta di Riker di sedersi 48 accanto a lui: la donna restò in piedi sul fondo della sala, scivolando nell'ombra. – Allora, possiamo cominciare – ordinò Deelor, come se gli ufficiali lo avessero fatto attendere. Picard rivolse un cenno a Data, che attivò il display del computer al centro del tavolo: una nave a bolle in miniatura si materializzò, sospesa appena al di sopra della superficie levigata. – Quindici anni fa – cominciò Deelor, senza preamboli, – un mercante Ferengi incontrò una nave Choraii ridotta piuttosto male che andava alla deriva nello spazio. La loro riserva di zinco si era esaurita, immobilizzando la nave. I Ferengi, pensando ad eventuali futuri profitti, scambiarono qualche chilo di quel metallo con l'unica merce di qualche pregio che i Choraii potevano offrire: cinque Umani prigionieri. In seguito i Ferengi offrirono quegli uomini alla Federazione, e vollero essere pagati una considerevole cifra per ognuno di loro... fu così che venimmo finalmente a sapere che fine avevano fatto i bambini di Hamlin: sono stati a bordo delle navi Choraii per oltre quarant'anni. La voce senza inflessioni dell'uomo non riuscì ad eliminare il senso d'orrore che permeava quella storia. – Cinque sopravvissuti – osservò Picard. – Ma dai rapporti dell'epoca risultò che i bambini dispersi della colonia ammontavano a quarantadue. Quanti altri ne sono stati recuperati da allora? – Altri otto. Il Tenente Worf emise un brontolio molto basso, mentre gli altri membri dell'equipaggio lasciarono trapelare la loro rabbia in maniera meno diretta, agitandosi appena sulla sedia e scambiandosi occhiate cupe. – Dovete capire le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare – proseguì Deelor. – I Choraii non hanno altra dimora che le loro navi, e sebbene viaggino in gruppi sparsi ogni vascello è autonomo e non forma con gli altri nessuna entità politica globale. Inoltre sono nomadi e percorrono vaste aree di spazio inesplorato facendo così perdere le loro tracce per anni, e anche dopo che abbiamo appreso della loro ricomparsa in questo settore ci sono voluti mesi per scoprire la loro esatta posizione e settimane di contatti radio per convincerli a stabilire un incontro per scambiare qualche chilo di piombo in cambio dei loro prigionieri. – Ma con questo ritmo ci vorranno altri quarant'anni per recuperare il resto dei bambini – lo interruppe Yar. – Non sono più dei bambini, ormai. Visto il tempo che è passato dal 49 momento del loro rapimento, anche il più giovane deve avere almeno l'età del Capitano Picard – precisò Data. Un sorriso fece capolino sul viso della Dottoressa Crusher, e Picard si chiese se fosse divertita per l'infallibile istinto che portava Data a commettere le sue immancabili gaffe, o per il modo in cui lui aveva reagito alla frase poco lusinghiera. Tamburellando pensierosa sui fogli del rapporto, Crusher ampliò il commento dell'androide. – In base alle registrazioni mediche della colonia di Hamlin adesso i prigionieri più anziani dovrebbero avere poco più di sessant'anni... questo sempre ammesso che siano ancora vivi dopo cinquant'anni di prigionia in chissà quali condizioni. Una voce dal fondo della stanza attirò l'attenzione dei presenti. – I Choraii li hanno trattati bene. – Per sua stessa natura, la prigionia è una barbarie! – ribatté Picard, reagendo con considerevole forza al commento di Ruthe. – Sì, certo, questo è vero – si affrettò ad intervenire Deelor, – ma non dobbiamo dimenticare di contenere la nostra naturale ostilità durante la prossima fase di negoziati o rischieremo di rompere il tenue legame diplomatico esistente. E se così accadesse i prigionieri ancora nelle loro mani sarebbero persi per sempre. Picard aveva stupito persino se stesso per l'intensità della propria reazione, ma notò che le sue emozioni erano condivise dai suoi uomini: il massacro di Hamlin costituiva ancora un argomento di discussione doloroso per gli ufficiali della Flotta, e il capitano non era un'eccezione. Rendendosene conto, si sforzò quindi di fornire un esempio di maggiore distacco. – Abbiamo capito, Ambasciatore Deelor. Il mio equipaggio e io non abbiamo intenzione di mettere a repentaglio il risultato di questa missione, quindi potrà contare sulla nostra piena collaborazione durante il contatto con i Choraii. – Grazie, capitano – disse ancora Ruthe. Picard le rivolse una seconda e più attenta occhiata: fino a quel momento la donna era stata messa in ombra dalla forte personalità di Deelor, ma le sue reazioni dimostravano come anche lei fosse coinvolta profondamente nella missione. – Avrei dovuto presentarvi la Traduttrice Ruthe all'inizio di questa riunione. Sarà lei a condurre tutte le comunicazioni dirette con i Choraii – 50 si scusò Deelor, alzandosi di scatto. – Quindi, capitano, se lei e il suo equipaggio baderete alla baracca, quest'avventura procederà nel miglior modo possibile e senza incidenti. Con quelle parole lasciò la sala di osservazione e Ruthe lo seguì senza altri commenti. La subitanea partenza dell'ambasciatore e della traduttrice fece scattare un'altra ondata di nervosismo tra gli ufficiali riuniti, e nel percepire la loro tensione repressa Picard si preparò all'inevitabile esplosione di emozioni. – Non posso credere che stiamo per entrare in affari con gli alieni che hanno massacrato i minatori di Hamlin! – esclamò Yar. Persino Geordi non riuscì a reprimere la sua rabbia. – E quelli là trarranno persino un profitto da quell'attacco – rincarò. – Non ho mai sentito niente di più sbagliato! – La vendetta è forse la risposta giusta? – chiese il capitano, e fu contento di vedere il Tenente Yar frenare la sua rabbia, mentre gli altri membri dell'equipaggio si soffermavano a loro volta a riflettere sull'effettivo significato della missione. – Riavere i bambini è più importante – convenne infine il capo della Sicurezza, con un pesante sospiro. – Ho ancora alcune domande che vorrei porre, capitano – intervenne Data, la cui calma faceva a pugni con la tensione dell'equipaggio umano. – Ne ho anch'io, Data, ma sembra che l'Ambasciatore Deelor non sia ancora pronto a risponderci – annuì Picard, poi si alzò per parlare a tutti e continuò: – Sappiamo che i Choraii sono capaci di distruggere una nave stellare di classe Constellation e che sono quasi riusciti a mettere fuori combattimento l'Enterprise. La nostra prima priorità sarà quindi quella di creare una difesa efficace in previsione del prossimo incontro, anche se per il momento dovrete basare i vostri sforzi in tal senso soltanto sulle poche informazioni di cui disponiamo. La riunione era finita. Gli ufficiali si separarono in piccoli gruppetti e si diressero nuovamente alle loro postazioni. Il Capitano Picard uscì dalla sala riunioni con la vaga intenzione di ritornare nel suo alloggio ma si ritrovò invece a camminare accanto a Beverly Crusher. Non prese neppure in considerazione l'ipotesi che questa potesse non essere una coincidenza perché dopotutto la dottoressa aveva quasi la sua età, ed era quindi naturale che di tanto in tanto lui si trovasse a cercarne la compagnia. I corridoi della nave erano piuttosto affollati, perciò lungo il tragitto il 51 capitano e la dottoressa parlarono solo di argomenti generali riguardanti la nave; una volta raggiunta la relativa privacy dell'ufficio medico, Picard affrontò però di nuovo l'argomento del massacro di Hamlin con una rivelazione personale. – Incubi? – esclamò la dottoressa. – Oh, sì. Durarono per anni – confermò Picard – Avevo un'immaginazione piuttosto fervida e mi fu facile costruire immagini crude della morte violenta dei bambini scomparsi. Aggiungi a tutto questo un vicino prepotente che minacciava di spedirmi su Hamlin, dove mostri affamati non aspettavano altro che di ingurgitare ragazzini noiosi... dopo tutto, avevo solo cinque anni ed ero abbastanza credulone – concluse, accettando con una sfumatura d'imbarazzo la divertita reazione di Crusher. La dottoressa si sedette sull'orlo della scrivania, lasciando cadere accanto a sé i fogli del rapporto medico relativo ad Hamlin. – E nonostante quelle paure ti sei avventurato nello spazio – osservò. Imitando la posizione informale di lei, Picard si appoggiò allo stipite dell'ingresso e ripercorse con il pensiero gli anni passati. – Nonostante o forse a causa di quelle paure. Mi stancai di essere spaventato, e anche di essere un ragazzo, e scelsi di affrontare i miei incubi. – Se ci pensi, è davvero ironico: quei bambini non furono uccisi, ma il fatto che tu pensavi fossero morti ti dà adesso la possibilità di salvarli. – Non li salverò io – ribatté Picard, riassumendo una posizione più rigida. – Questa volta non farò altro che badare alla baracca: il mio compito è solo quello di far arrivare il carretto delle merci al posto giusto. Un mercante Ferengi sarebbe più utile, perché almeno potrebbe convincere i Choraii a concludere qualche affare redditizio. – Pochi chili di piombo sono un prezzo piuttosto basso da pagare. Quel metallo è praticamente senza valore, e anche tossico per gli esseri umani. Potremmo tranquillamente fare a meno di cento volte questa quantità. – Sì, e se cinquant'anni fa i Choraii si fossero presi la briga di chiedere ciò di cui avevano bisogno, i coloni di Hamlin sarebbero ancora vivi. Più di cento persone uccise, massacrate come animali... non definirei il piombo un metallo senza valore, Dottoressa Crusher, dal momento che un prezzo enorme è stato pagato con il sangue. L'umore leggero di poco prima era svanito completamente. Imbarazzata, Crusher riprese in mano i fogli che aveva lasciato cadere. – Non ho avuto l'occasione di dirlo alla riunione, ma i dati medici forniti 52 da Deelor sono poco più che una documentazione storica: non ci sono indicazioni su chi sia stato restituito, o sulle sue condizioni fisiche al momento del salvataggio. Se dobbiamo portare dei sopravvissuti a bordo ho bisogno di tutte le informazioni recenti disponibili. – Una richiesta legittima – concordò Picard, – ma non credo che sarà così semplice. Ricevere risposte dall'Ambasciatore Deelor è come riuscire ad aprire un'ostrica di Aldebaran: il risultato non vale lo sforzo. – Se vuole il successo di questa missione dovrà rendersi conto che stiamo solo cercando di aiutarlo a riuscire. – Sì – sospirò Picard. – Questo dovrebbe essere ovvio. Forse è solo un burocrate dalla mente chiusa che si aggrappa ossessivamente al potere che gli deriva dal controllo dell'accesso a segreti di stato. – Fece un rapido confronto mentale fra quella sua valutazione e il poco che aveva visto del modo di agire di Deelor e la scoperta che le due cose non combaciavano affatto lo indusse ad aggiungere: – O questo, oppure ha qualche cosa da nascondere. Nella privacy del loro alloggio, con Ruthe addormentata nella stanza accanto, Deelor decise di esaminare l'Enterprise tramite computer. Il suo rango di ambasciatore gli garantì il pieno accesso alle specifiche ingegneristiche della nave, ma quando richiese i dati del personale, il computer sollevò qualche difficoltà a cui Deelor rispose con un codice di cinque cifre che eliminò l'opposizione e cancellò ogni traccia della sua intrusione. Jean-Luc Picard fu il suo primo bersaglio: Deelor sfogliò le registrazioni dei precedenti incarichi del capitano, ma la lista dei meriti divenne ad un certo punto noiosa e lo indusse a saltare subito a informazioni più recenti. Per riuscire ad avere accesso ai Diari del capitano dovette usare un codice di sette cifre ma ne valse la pena perché lo studio delle registrazioni gli rivelò lo stile di Picard e gli diede qualche indizio su come il capitano avrebbe potuto reagire all'attuale situazione. Picard era un ufficiale navigato, ma in fondo Deelor non si aspettava qualcosa di diverso dal capitano di un vascello di classe Galaxy. Dedicò meno tempo al Primo Ufficiale William Riker e al Tenente Comandante Data, ma effettuò comunque un esame accurato dei loro file, rimandando poi ad un momento successivo la conoscenza con gli altri membri dell'equipaggio. Ruthe non si svegliò quando Deelor afferrò la piccola cassetta posta sul 53 comodino accanto al letto: quella scatola era l'unica cosa che aveva preso dalla Ferrel prima di andarsene ed era impaziente di liberarsi del suo contenuto perché detestava essere vincolato dal possesso di qualsiasi tipo di oggetto. Il computer gli disse che Riker e Data stavano lavorando insieme nella sezione scientifica e si offrì cortesemente di indicargli la direzione, ma Deelor rifiutò l'informazione. Cercare di arrivare da solo al laboratorio scientifico risultò essere un'ottima prova per scoprire quanto aveva memorizzato dei piani della nave, come dimostrò il fatto che raggiunse la sua destinazione senza un errore. Sulla Ferrel aveva percorso la stessa distanza al buio per arrivare in plancia, un tragitto che aveva salvato la vita a lui e a Ruthe, e la necessità di ripetere tale impresa avrebbe potuto presentarsi di nuovo se i Choraii avessero vinto anche il prossimo round. Deelor notò la sorpresa che si dipinse sul viso dei due ufficiali quando lui entrò nella stanza e la loro reazione gli fece piacere: la prevedibilità era noiosa... e pericolosa. – Signor Riker, affido questo alla sua responsabilità – esordì, posando la cassetta su un tavolo del laboratorio: l'impatto con la superficie ne tradì il peso. Sfilò quindi il registratore vocale dalla tasca della giacca e lo lanciò a Data, che ebbe un tempo di reazione eccellente. – E questo è per lei, Signor Data. Riker esaminò la scatola con attenzione prima di aprirla e Deelor gli assegnò qualche punto in più per la cautela. – Piombo! – esclamò il primo ufficiale, contando i lingotti contenuti all'interno. – Circa sette chili. – Ne ho portati un po' più del necessario nel caso che i Choraii alzino il prezzo dei prigionieri. – Perché così poco? Anche il metallo puro è piuttosto economico – chiese Riker. – Non mi hanno mai chiesto più di quanto avevano bisogno – rispose Deelor. – Dopo aver seminato la distruzione su Hamlin, i Choraii hanno preso soltanto circa nove chili di metallo. – E noi gliene regaleremo ancora. – Niente regali, siamo qui per eseguire un baratto. Riker aggrottò la fronte con disgusto, ma Data si mostrò soltanto molto curioso. – Dato che i Choraii sono ovviamente molto avanzati tecnologicamente, come mai non hanno sviluppato delle tecniche proprie di raffinazione? Gli asteroidi sono una fonte abbondante dei metalli che cercano. 54 – Sembra che le navi con capacità di estrazione del minerale si siano ritirate dal gruppo centrale a causa di un qualche tipo di disputa politica – spiegò Deelor. – La struttura sociale dei Choraii è piuttosto complicata e sappiamo ben poco di come funzioni esattamente. – Si affrettò quindi a impartire le necessarie istruzioni prima che Data potesse ancora fargli perdere tempo, perché aveva doveri più pressanti che soddisfare le curiosità dell'androide. – Signor Riker, porti la scatola in un luogo sicuro vicino alla sala teletrasporto in modo da poter prendere i lingotti senza perdere tempo. – E con questo cosa devo fare? – domandò Data, sollevando il piccolo strumento che aveva afferrato. – Quel registratore vocale contiene la registrazione delle letture che i sensori della Ferrel hanno eseguito sui Choraii. Le esamini e ne tragga tutte le informazioni che possano spiegare la loro insolita tecnologia delle armi. Mi aspetto un rapporto completo appena possibile. – Il Capitano Picard è al corrente di questi incarichi? – domandò Riker, irrigidendosi. – È libero di informarlo – ribatté Deelor, compiendo la seconda uscita improvvisa della giornata. VI. Quel ragazzo ha bisogno di uno zio – dichiarò Dolora, piegando un'altra camicia e mettendola dentro il baule aperto posato sul pavimento dell'alloggio. – Be', non ne ha uno – rispose Patrisha, immersa in una poltrona imbottita, guardando l'altra donna lavorare. Se le circostanze fossero state diverse avrebbe senza dubbio apprezzato maggiormente la permanenza a bordo dell'Enterprise: i principi dei Coloni non avevano niente contro i mobili di lusso e gli spazi ariosi, anche se la comunità raramente poteva permettersi tali amenità. Ma una settimana di viaggio dividendo l'alloggio con sua zia aveva reso insopportabile la traversata, anche se la sistemazione era risultata comoda e confortevole. – Un altro esempio della sconsideratezza che mia madre ha dimostrato nel morire giovane. Dolora arricciò le labbra sottili: a volte il senso dell'umorismo di Patrisha le appariva davvero distorto. – Tomas potrebbe fargli da zio, se solo glielo chiedessi. 55 – Tomas tenta già di addossarsi il ruolo di mio fratello senza che io gliel'abbia richiesto. – È tuo cugino. – È solo... – cominciò Patrisha, poi ingoiò la risposta. Tomas era un asino cocciuto, ma era anche il figlio di Dolora e aveva sviluppato la sua natura insopportabile senza malizia. – È gentile a interessarsi al nostro benessere, ma posso occuparmi di Dnnys da sola. Dolora tastò con gesti agitati il contenuto del baule, incerta se tirare fuori tutto e ricominciare daccapo. – Essere figlia unica ti ha reso molto ostinata. – Grazie a Dio – ritorse Patrisha... la bestemmia le sfuggì dalle labbra prima che potesse fermarla. – Mi spiace, Zia Dolo – si affrettò a scusarsi, usando senza alcuna vergogna l'affettuoso diminutivo che ormai non veniva pronunciato da tempo. – È solo che le notizie portate da Dnnys mi hanno messa sottosopra. Sulle guance della zia permaneva ancora un po' di rossore, ma la donna accettò le scuse. – Credi davvero a quello che ha detto il ragazzo? – Oh, sì – confermò Patrisha. – Lui è più che sicuro che la nave abbia cambiato direzione, allontanandosi dalla rotta per New Oregon. – Il che conferma che Dnnys non ha ancora imparato la lezione – sbuffò Dolora. – Va ancora in giro a curiosare da tutte le parti allontanandosi dalla comunità. Ecco che quell'argomento affiorava di nuovo nella discussione. Come sempre, Patrisha prese le parti di suo figlio, avendo cura di legare la sua difesa a quella dei migliori interessi dei Coloni. – Abbiamo bisogno della sua conoscenza dell'Enterprise per proteggere noi stessi e il nostro carico. Gli aspetti pratici della situazione non potevano essere negati, neppure da qualcuno irrazionale quanto Dolora, ma la donna trovò facilmente un altro bersaglio per le sue critiche. – Se fosse una femmina mi sentirei molto meglio, perché i ragazzi sono così suscettibili alle false attrazioni di un ambiente non vivente. – Se fosse una ragazza, allora Krn non avrebbe un fratello – puntualizzò Patrisha. – A proposito di Krn – cominciò Dolora con un'espressione che non prometteva nulla di buono, ormai del tutto dimentica del baule da riempire. La discussione tra le due donne si sarebbe di certo protratta per un altro 56 round se in quel momento non fosse arrivato Dnnys. Patrisha tentò di rimandare il ragazzo fuori dalla stanza con uno sguardo d'avvertimento, ma fu lui a salvare entrambi da un diretto attacco da parte di Dolora. – Il Capitano Picard è qui, mamma, e vuole vederti. Patrisha si alzò dalla poltrona e Dolora si affrettò ad annunciare che aveva lasciato la sua camicetta più bella nell'altra stanza, allontanandosi subito per andare a prenderla; Patrisha la conosceva abbastanza bene da sapere che non sarebbe tornata fin quando il capitano fosse rimasto lì. – Ben ritrovata, Colona Patrisha – salutò l'ufficiale entrando. Il suo portamento denotava la stessa sicurezza di sé che lei aveva notato durante il loro primo incontro, ma adesso l'impazienza era scomparsa. – È passato un tempo troppo lungo, Capitano Picard – replicò Patrisha; poi decise di arrivare subito al punto, anche se non era abitudine dei Coloni, ma lo fece ricorrendo ai metodi tipici che la sua gente usava per non rivelare la fonte delle sue informazioni. – Nella nostra comunità si è sparsa una voce piuttosto fastidiosa. Alcuni di noi ritengono che l'Enterprise non stia più viaggiando alla volta di New Oregon. – Tu sei diventato buon amico di Wesley Crusher, vero? – domandò Picard, guardando il figlio di Patrisha in un modo studiato apposta per incutere terrore nel cuore di qualsiasi ragazzo. – Non me lo ha detto lui, se è questo che vuole insinuare – rispose Dnnys, corrucciato. – Forse sono solo un Colono, ma sono abbastanza intelligente da capire quando una nave cambia completamente rotta. Devo solo guardare fuori dagli oblò per notarlo. – Già, è vero – ammise Picard, poi tornò a rivolgersi a Patrisha. – Suo figlio merita un encomio per la sua capacità d'osservazione. – Allora è vero che non siamo più diretti a New Oregon – affermò la donna, senza lasciarsi distrarre dal complimento. – La deviazione sarà minima – precisò Picard. – La Base Stellare Dieci ci ha ordinato di incontrarci con un'altra nave che si trova nel settore per caricare alcune merci di scambio. Come vede l'Enterprise ha molte funzioni: nave passeggeri, nave mercantile, e vascello di soccorso. La litania servì a ricordare a Patrisha le esigenze imposte dalla presenza della comunità. Il capitano del loro ultimo trasporto era stato molto meno riservato: quattro mesi di viaggio con i Coloni avevano fatto perdere del tutto la pazienza a Bucher, che alla fine aveva scaricato l'intera comunità sulla più vicina base stellare della Federazione e non aveva voluto sentire preghiere di alcun genere che potessero convincerlo a riportarla a bordo 57 della Forox. Il ricordo della vergogna di quell'abbandono indebolì la risolutezza di Patrisha. – Grazie per essersi preso la briga di venire a spiegarcelo. – Non c'è di che. I capitani ci sono per questo – replicò con cortesia Picard. – Stava dicendo la verità? – domandò Patrisha a suo figlio, dopo che Picard se ne fu andato e prima che Dolora potesse riapparire. – Non lo so – confessò Dnnys, cupo, – e Wesley non mi vuole dire che cosa sta succedendo. Chini ai due lati del Tenente Yar, Riker e Data erano intenti a leggere i dati dei sensori sul suo monitor. – Ci siamo! Direzione trentaquattro punto dodici – esclamò infine Yar, trionfante. – I residui possono essere seguiti piuttosto facilmente adesso che abbiamo determinato il profilo degli elementi – annuì Data, dando la conferma al primo ufficiale. Picard uscì dal turboascensore e vide il gruppo di ufficiali. – Cos'è tutta questa eccitazione? – La caccia è cominciata, signore! – annunciò Data, con grande entusiasmo. – Abbiamo trovato una traccia di sangue. – Sangue? Sulla mia nave? – Data stava parlando metaforicamente, capitano – spiegò Riker, sorridendo della confusione di Picard. – Abbiamo determinato un modo per seguire la nave dei Choraii. – Eccellente – si compiacque Picard, dirigendosi verso la sua poltrona. – In realtà, l'uso della parola sangue non era propriamente metaforico – continuò Data, avvicinandoglisi. – Un esame dei frammenti raccolti sul campo di battaglia dimostra che la nave dei Choraii è costruita con uno straordinario miscuglio di materia inorganica e organica. Distruggendo diverse delle sue sfere abbiamo in realtà ferito la nave e adesso i nostri sensori sono stati calibrati per registrare la particolare combinazione degli elementi rilasciati dalla ferita. Intanto Riker era sceso dalla rampa all'altro lato della plancia, raggiungendo il capitano nello spazio di comando. – Abbiamo collegato i dati direttamente alla consolle di navigazione. Invece di calcolare una traiettoria dritta che potrebbe farci perdere le tracce, Geordi seguirà i dati registrati. 58 – Io sono pronto – dichiarò La Forge, flettendo le dita in modo teatrale. – Quando volete possiamo andare. Governare senza il controllo di un computer o una rotta prestabilita era il sogno di tutti i piloti... tutto il resto erano noiosi riempitivi in attesa dell'occasione successiva in cui fosse possibile di nuovo riprendere direttamente in mano il timone. – Procedere a curvatura sei – ordinò il capitano. – Cosa c'è che non va? – domandò Beverly Crusher, quando suo figlio la raggiunse in infermeria. – Ti senti male? – Sto bene – protestò lui, ma la dottoressa gli poggiò comunque una mano sulla fronte. – Niente febbre. Allora perché hai l'aspetto di uno che ha appena perso il suo migliore amico? – Perché è proprio quello che è successo. La dottoressa allontanò la mano dal viso di suo figlio e lo abbracciò. Wesley non si divincolò neppure. – Dnnys sa che sta succedendo qualcosa di strano e vuole sapere cos'è. La sua non è soltanto curiosità... è anche preoccupato per la sua famiglia, ma io non posso dirgli niente a causa delle disposizioni di sicurezza sulla faccenda di Hamlin. Sua madre sospirò... sarebbe stato più facile curare una semplice febbre! – Wesley, se vuoi sul serio intraprendere la carriera nella Flotta Stellare – replicò, prevenendo con un cenno l'immediata protesta del figlio, – allora dovrai trovare un equilibrio tra il tuo dovere e la tua vita privata, perché non sempre potranno andare d'accordo. Nei pochi mesi passati a bordo dell'Enterprise, la Dottoressa Crusher aveva visto Wesley maturare sia fisicamente sia mentalmente, ma il ragazzo era ancora troppo giovane per capire quanto potevano essere dolorosi i due impegni; d'altro canto non gli sarebbe piaciuto sentirselo spiegare da sua madre, perciò Beverly rimase in silenzio. – Ho fatto un giuramento – confermò Wesley, molto seriamente, – e devo mantenerlo, nonostante quello che sta succedendo. La gente spesso notava come Wesley assomigliasse a lei, ma in quel momento Crusher vide che il ragazzo ricordava molto suo padre, e il confronto le fece provare in ugual misura orgoglio e paura: la devozione di suo marito per la Flotta Stellare era stata una parte troppo importante della sua personalità perché lei potesse rammaricarsene, eppure la rattristava 59 ancora molto pensare alla sua morte precoce. Allungò una mano per arruffare i capelli di Wesley ma questa volta lui si sottrasse alla carezza, il che voleva dire che stava già molto meglio. Dando un'occhiata attraverso la vetrata dietro le spalle del ragazzo, la dottoressa notò Andrew Deelor che entrava in infermeria. – Parlando di giuramenti – sospirò, mentre l'ambasciatore si avvicinava, – è tempo che mi concentri sul mio giuramento di Ippocrate. Ho una visita adesso, quindi fuori da qui, Guardiamarina Crusher, e subito se non vuoi che faccia qualche test anche su di te – concluse, rincuorata nel vedere Wesley che si allontanava in fretta con un bel sorriso sulle labbra: il ragazzo era troppo temprato per tenere il muso molto a lungo. Mettendo da parte le preoccupazioni della sua vita privata, la dottoressa spostò l'attenzione sul paziente in attesa: Deelor era stato dimesso dall'infermeria pochi giorni prima, ma la gravità della ferita da phaser imponeva una scaletta di visite giornaliere. – Eccellente. La bruciatura è quasi guarita – notò la dottoressa non appena Deelor si tolse la sua uniforme, rivelando la pelle sintetica che ricopriva la ferita. Il materiale artificiale era stato quasi del tutto assorbito dalla crescita delle cellule. Alzata la consolle del lettino diagnostico, invitò Deelor a sdraiarsi e ben presto i risultati dello strumento confermarono la sua prognosi iniziale. – Il suo corpo ha una capacità di recupero notevole – continuò, osservando con più attenzione le letture dello scanner; mise quindi a fuoco un'immagine appena sotto lo strato epiteliale e con un lieve tocco ai controlli della sonda ingrandì l'area. – Direi che lei è stato fortunato, considerando il numero di ferite che sembra aver riportato in passato. Riesco a vedere cicatrici profonde vicino al cuore e al fegato – elencò, spostando ancora la sonda, – ferite da taglio ormai rimarginate al polmone sinistro e numerose linee che indicano la frattura delle costole. Finito il controllo, spinse il pannello della sonda verso l'alto allontanandolo dal petto dell'uomo. – Non avevo idea che il servizio diplomatico fosse così pericoloso – concluse. – Sono portato per gli incidenti – fu l'unica risposta di Deelor, mentre scendeva dal lettino. – Come ad esempio capitare proprio in mezzo ad una raffica phaser? Deelor si rimise con calma i vestiti: rivestirsi non gli provocava più 60 dolore, ma gli rimaneva ancora un po' di rigidezza nei movimenti. – Perché sui suoi documenti medici non sono elencate quelle ferite? – insistette la Dottoressa Crusher. – Non ci sono? – domandò lui, alzando le sopracciglia. La finta sorpresa era davvero ben recitata, ma la dottoressa non si fece abbindolare. – Forse lei non è solo distratto, ma anche maldestro. Sto ancora aspettando le registrazioni mediche dei sopravvissuti di Hamlin. – Tutto a tempo debito, Dottoressa Crusher – ribatté Deelor, chiudendosi l'uniforme come se stesse nascondendo qualcosa di segreto. – Tutto a tempo debito. Grazie alla gravità artificiale e agli smorzatori inerziali, le migliaia di persone a bordo dell'Enterprise vivevano nell'illusione che la nave volasse sempre in maniera lineare: camminando serenamente nei lunghi corridoi, seduti nelle sale da pranzo o addormentati profondamente nelle proprie cabine, tutti potevano ignorare l'effetto delle brusche curve e degli ondeggiamenti che Geordi La Forge imprimeva alla nave nel seguire le tracce delle particelle rilasciate dalla nave Choraii. Nonostante tutto però, gli oblò rivelavano la rotta zigzagante dell'Enterprise, e la gente imparò in fretta ad evitare di guardare quel cosmo che faceva girare la testa. In plancia, il continuo alzarsi e abbassarsi delle stelle mostrate dal grande visore era difficile da evitare, e più di un membro dell'equipaggio era già finito in infermeria mentre il resto si sforzava di mantenere gli occhi fissi sulla propria consolle. La cosa si presentava difficile per il Capitano Picard, visto che in quel momento Data gli stava facendo rapporto stando in piedi proprio di fronte allo schermo visore principale. Più di una volta lo sguardo del capitano si distolse involontariamente dal viso di Data e si posò sulle stelle che vorticavano dietro di lui, provocando una tenue sensazione di nausea che Picard cercò di reprimere il più a lungo possibile, con l'unico effetto di farla intensificare. – Basta così! Andiamo nella sala tattica – decise infine Picard, fermandosi prima di deglutire involontariamente, consapevole di non aver neppure sentito le ultime frasi del rapporto di Data. – Buona idea, signore – annuì Riker. – Will, lei è pallido quanto Data – osservò il capitano, entrando nella tranquilla sicurezza dell'ufficio privato. Riker sorrise debolmente e si sedette dopo aver spostato la sedia in 61 modo che l'unico oblò della stanza rimanesse alle sue spalle. L'androide non sembrava invece afflitto dalla dissonanza tra la visione del movimento e il fatto che l'orecchio interno insistesse nel dire che il mondo intorno a loro era stabile, e continuò il suo rapporto senza perdere il filo. – Sfortunatamente, molti dei nostri sensori sono rimasti danneggiati dagli effetti distruttivi della rete energetica. L'Ambasciatore Deelor ci ha fornito le registrazioni dell'incontro fra la nave aliena e la Ferrel, ma anche le letture di quegli strumenti erano state influenzate. Picard aggrottò la fronte pensando alle implicazioni. – Questo significa che non possiamo costruire una difesa efficiente contro l'armamento dei Choraii? – No, signore – lo corresse Data. – Il compito è difficile ma non impossibile. Avendo tempo a sufficienza per lo studio, possiamo giungere ad una soluzione, ma non posso specificare quanto ce ne vorrà per ottenere dei risultati – concluse, anticipando la domanda del capitano. – Più presto facciamo meglio è, Signor Data – sospirò Picard. – Preferirei incontrare i Choraii avendo un po' più di vantaggio dell'ultima volta. – Capisco. – Data posò un piccolo cilindro metallico sulla scrivania e dopo una breve esitazione aggiunse: – Interessante. Questo particolare registratore vocale è realizzato con una tecnologia avanzata, molto diversa da quella usata generalmente dal personale della Flotta. In realtà si potrebbe considerare utile in certe operazioni di raccolta d'informazioni. – Questa è una sua opinione o un fatto, Signor Data? – domandò Riker. – Una mia opinione, signore – ammise Data, – ma nel mio caso, le due cose spesso coincidono. – Allora non condivida questa opinione con altri, amico mio, altrimenti si potrebbe ritrovare a camminare sulle sabbie mobili. – Oh, capisco – annuì Data, dopo aver dato un'occhiata veloce e piena di sorpresa al ponte sotto i propri piedi. – Lei ha usato una metafora che indica pericolo. Forse questo potrebbe spiegare alcune interruzioni nella registrazione: censura di sicurezza. Devo evitare di parlare anche di questo? – Può dirlo a noi – precisò Picard, sporgendosi in avanti, ormai così concentrato su quel mistero da essere del tutto dimentico del proprio disagio fisico di poco prima. – I dati nel registratore vocale si riferiscono all'ultima parte dell'incontro, 62 dopo che la nave Choraii aveva catturato la Ferrel nella sua matrice d'energia. Molte annotazioni precedenti sono state cancellate dalla registrazione, ma sono riuscito a recuperare alcuni bytes d'informazione. – E che cosa ha scoperto? – Una dettagliata descrizione dello stato energetico della nave prima che venisse rinchiusa nella rete Choraii. Sembra che le riserve della Ferrel fossero insolitamente basse, e questo ha fatto sì che la nave risultasse molto vulnerabile al campo di contrazione. – Data, la registrazione indica perché l'energia della Ferrel è stata prosciugata? – chiese il capitano. – No, signore. Se esisteva, quell'informazione è stata del tutto cancellata. – Sembra che all'ambasciatore piaccia giocare all'agente segreto – mormorò Picard, e mentre si massaggiava pensosamente il mento gli venne in mente l'ultimo avvertimento di D'Amelio. Non sprechi la fortuna con noi, Capitano Picard. Lei ne avrà molto più bisogno. Il pericolo era rappresentato dai Choraii... o da Andrew Deelor? Il rumore dei passi di Wesley echeggiava lungo lo stretto corridoio di manutenzione alle sue spalle e si perdeva nel buio che lo precedeva. Per quanto il ragazzo continuasse a camminare, davanti a lui c'era sempre un'ombra irraggiungibile perché ogni dieci passi una luce d'emergenza si accendeva al suo avvicinarsi e un'altra si spegneva alle sue spalle. Il suo passo accelerò mentre la sua immaginazione ricreava vecchie storie dell'orrore che parlavano di forme mostruose nate dall'ombra. Un sibilo improvviso gli strappò un grido di paura, ma la parte razionale della sua mente riconobbe il suono delle porte che si aprivano. Ridacchiando di quel terrore autoindotto, Wesley si affrettò ad attraversare la porta e a inoltrarsi nella cavernosa stanza al di là di essa: da quando Dnnys gliel'aveva mostrata, quella scorciatoia per arrivare alla stiva di carico era divenuta la sua strada preferita. Prima dell'arrivo dei Coloni, Wesley non aveva mai esplorato la sezione delle stive dell'Enterprise, preferendo di gran lunga scoprire la tecnologia complessa dei motori a curvatura o dei sistemi di controllo della plancia, ma quando aveva sentito per caso uno degli ingegneri parlare del sistema di stasi portato a bordo dai Coloni la curiosità lo aveva obbligato a dare un'occhiata. L'incontro casuale con il giovane Colono responsabile dell'equipaggiamento si era poi trasformato in una sincera amicizia. Wesley sospirò pensando che forse adesso quell'amicizia poteva essere 63 finita. Si fece strada tra le pile di contenitori sfaccettati, contando automaticamente quante volte svoltava a destra e quante a sinistra, e prima ancora di raggiungere l'ultima svolta cominciò a sentire lo scorrere del liquido criogenico che circolava nelle tubazioni. – Dnnys? – chiamò. Sapeva che di solito il Colono era in giro durante il periodo giornaliero della nave, e la stiva di carico era il luogo dove passava più tempo possibile in quanto era l'unica area al di fuori degli alloggi passeggeri dove gli fosse permesso di andare. Una testa arruffata spuntò da dietro la struttura ad alveare delle camere di stasi e si nascose di nuovo dietro di essa. Wesley aveva temuto questo confronto e ora che le sue paure venivano confermate dal silenzioso rifiuto si arrestò, incerto sul da farsi. – Allora, muoviti! – chiamò Dnnys, con la voce ovattata dal banco d'equipaggiamento. – Era ora che tu arrivassi. Ho un problema. – Avresti potuto chiamarmi – ribatté Wesley, mettendosi a carponi per entrare nella nicchia di controllo. Lo spazio era grande appena a sufficienza perché i due potessero stare fianco a fianco. Dnnys ignorò la sua risposta e diede qualche colpetto ad un indicatore finché gli aghi tornarono a posto. – C'è qualcosa che non va. Tutte le letture sono normali, ma qualcosa non va! Wesley accettò la dichiarazione dell'amico senza sorprendersi. Il macchinario di stasi era piuttosto antiquato, quasi un relitto che soltanto un pianeta povero come Grzydc poteva considerare utile e per assicurarne il funzionamento era necessaria una manutenzione giornaliera. Con l'aiuto delle conoscenze teoriche di Wesley e grazie alla propria familiarità con i meccanismi coinvolti, Dnnys riuscì alla fine a trovare la fonte del problema. Disteso sulla schiena si costrinse in uno spazio fatto per tecnici alieni evidentemente molto più piccoli e allungò una mano dentro i circuiti della scatola di controllo tirando fuori un chip metallico annerito. – Si è proprio fuso – esclamò Wesley, esaminando il circuito dalla forma quadrata. – Deve essere andato in corto quando siamo stati presi nella rete energetica. – I meccanismi di autocontrollo dei computer dell'Enterprise avevano segnalato molti guasti del genere sulla nave, ma quel macchinario di stasi era troppo vecchio per avere un sistema di controllo danni abbastanza sofisticato. Passò a Dnnys un chip sostitutivo e osservò le indicazioni dei pannelli che improvvisamente scivolarono su nuovi livelli. Una sezione piuttosto incoerente di uno dei pannelli attirò subito 64 l'attenzione dei due ragazzi, che fissarono il cronometro mentre i numeri salivano inesorabilmente uno alla volta. – È cominciato il ciclo di travaso – gridò Dnnys, – ad appena pochi giorni dal riempimento iniziale! Il ragazzo si contorse per uscire dalla nicchia e premette il viso contro l'oblò della camera di stasi più vicina. Una luce rossa soffusa illuminava a malapena la forma dell'embrione che galleggiava all'interno e che era cresciuto dall'ultima ispezione. Dnnys si spostò alla camera successiva e ispezionò l'immagine al di là del vetro colorato di rosso. Un minuscolo zoccolo animale si mosse. – Non puoi fermare ancora una volta il ciclo? – domandò Wesley. – Sì, ma la percentuale delle morti sarebbe enorme – rispose Dnnys. – Wes, devo saperlo: c'è qualche possibilità di raggiungere New Oregon prima del travaso? Wesley scosse il capo. Non poteva spiegare la causa della deviazione, ma il ritardo del viaggio sarebbe stato piuttosto evidente anche ai Coloni, di lì a poco. – Bene – sospirò il Colono. – Tra poco sarete pieni di maiali e di pecore, per non parlare dei cani e delle galline. Spero che il capitano ami gli animali. – Credo che sia meglio chiamare la plancia – replicò Wesley, pensando che con un po' di fortuna sarebbe riuscito a spiegare il problema al Comandante Riker prima di doverne informare il capitano. VII. – Il bestiame sarà espulso nello spazio? – domandò Patrisha sgomenta. – Assolutamente no. Non abbiamo nessuna intenzione di far del male ai vostri animali – rispose Riker, facendo di tutto per convincerla che una soluzione così drastica era fuori discussione. – Ma allora dove li metteremo? Picard aveva fatto la stessa domanda con molta più forza e con l'aggiunta di un'imprecazione, ma da buon primo ufficiale Riker aveva preparato la risposta prima ancora che il capitano o la Colona venissero a conoscenza del problema sviluppatosi nella stiva di carico. – I ponti ologrammi della nave possono essere programmati per simulare pascoli e terre agricole, inclusi recinti e fattorie. Wesley Crusher sta già 65 lavorando per completare le istruzioni al computer. Il capitano aveva insistito su quell'incarico, intendendo dare una specie di punizione al messaggero per aver portato le cattive notizie, ma il guardiamarina non aspettava altro che di avere la possibilità di alterare i parametri di una simulazione: con Dnnys come consulente per conoscere le necessità dei Coloni, il compito assomigliava più a un gioco che a un lavoro. Il viso di Patrisha era però ancora teso per l'ansia. – Un ponte ologrammi. Oh, cielo. – C'è qualcosa che non va? – chiese Riker. Dnnys aveva accettato la soluzione con sollievo, ma sua madre sembrava ancora più preoccupata di prima. – È l'unico modo e lo capisco, mi creda – mormorò la Colona, – ma i ponti ologrammi sono... – si interruppe stringendosi nelle spalle. – Opere del diavolo? – suggerì Riker, con un'irriverenza che avrebbe voluto evitare. – Non siamo superstiziosi, Signor Riker – ribatté Patrisha, palesemente infastidita, ma per fortuna non offesa. – Noi Coloni cerchiamo di evitare la tecnologia non necessaria, per diminuire la nostra dipendenza dalle macchine. – Eppure le vostre credenze vi permettono di usare le camere di stasi – le fece notare Riker. Di tutti i Coloni, questa donna sembrava la meno propensa ad offendersi, ma forse la presenza di Troi sarebbe stata utile in quell'occasione, per avvertirlo nel caso si spingesse troppo oltre. – Solo a causa della nostra grave necessità – rispose lei. – Non avevamo altra scelta. Nonostante l'urgenza, molti Coloni si erano opposti all'uso di un metodo così insolito per trasportare gli animali e il guasto alla stasi ha dato nuova forza alle loro argomentazioni, che erano già molto persuasive. Riker capì che le difese di Patrisha si erano attenuate, come se la donna fosse troppo stanca per mantenere ancora le distanze. Per la prima volta, lo invitò a sedersi sul divano della stanza e si asserragliò a sua volta su una sedia, sempre tesa ma molto meno sulla difensiva. – Siamo viaggiatori, comandante. Ziedorf, il più anziano tra noi, è nato su Titano quasi duecento anni fa. Mia madre e mia zia sono nate su Yonada, e io sono nata durante il viaggio che ci portò su Grzydc. Ogni pianeta veniva da noi considerato un posto perfetto, e così abbiamo permesso al luogo di cambiarci, modificando i nostri nomi per adeguarli al linguaggio locale e adattandoci alle abitudini che incontravamo, ma ogni 66 cambiamento è stato molto superficiale. Restiamo prima di tutto Coloni di Oregon e quando le nostre differenze emergono siamo costretti ad andarcene. Con ogni trasloco su un nuovo pianeta la nostra comunità e le cose che possediamo si sono ridotte. – E New Oregon potrebbe diventare una nuova casa. – E l'ultima tappa, spero – confermò Patrisha, sorridendo tristemente, – anche se mia madre aveva detto lo stesso di Grzydc. – Si riscosse e continuò più bruscamente: – Mia figlia Krn ci sta aspettando sul nostro pianeta terraformato, organizzando gli ultimi dettagli per il nostro trasferimento. Lo abbiamo battezzato come il nostro luogo d'origine, una regione della Terra chiamata Oregon da cui trecento anni fa partirono quasi un migliaio di persone. Noi siamo tutto ciò che rimane di quel gruppo e gli embrioni degli animali sono quasi tutto ciò che ci resta di ciò che possedevamo. – Capisco, Colona Patrisha – la rassicurò Riker, alzandosi per congedarsi. – L'Enterprise porterà voi e i vostri animali in salvo su New Oregon – promise prima di andarsene, ma si sentì sollevato per il fatto che Patrisha evitò di chiedergli quando questo sarebbe successo. – Che periodo dell'anno vuoi? – domandò Wesley, mentre il computer emetteva un costante segnale interrogativo e restava in attesa di nuove informazioni. – Primavera! – esclamò subito Dnnys, pieno d'entusiasmo. L'anno di Grzydc era estremamente lungo e lui aveva avuto l'esperienza di quella stagione di crescita soltanto quattro volte nella vita. Non sapeva come fosse una primavera terrestre ma era certo che sarebbe stata migliore di quella di Grzydc, come del resto era risultato essere tutto ciò che lui aveva incontrato da quando aveva lasciato quel pianeta. – Ci metterò anche qualche dettaglio aggiuntivo – continuò Wesley, inserendo una serie di numeri nel programma del ponte ologrammi. – Il Comandante Riker afferma che se si ha il tempo di eseguire un buon lavoro, allora ci si deve sforzare per renderlo un ottimo lavoro. – Sembra proprio quello che dice Dolora – sospirò Dnnys, – ma in un certo senso non mi dà fastidio se lo dice il Signor Riker. Lui mi piace. – Piace anche a me – replicò Wesley, sollevando per un momento le dita dalla tastiera, – e qualche volta mi chiedo se... Lasciò però la frase in sospeso e riprese a lavorare. – Vai avanti – lo incitò Dnnys. 67 – Ecco, è soltanto che ero molto piccolo quando mio padre morì. Io cerco di ricordarmi com'era, ma è difficile – confessò. Ed era ugualmente difficile parlarne a sua madre: probabilmente lei avrebbe capito, ma sapere che i ricordi che Wesley aveva di suo padre stavano svanendo, l'avrebbe resa triste. – Quindi qualche volta mi chiedo se fosse un po' come il Signor Riker. – Non avere un padre è probabilmente come non avere uno zio – ipotizzò il giovane Colono, – tranne per il fatto che a te manca una persona vissuta davvero, mentre io penso a qualcuno che non c'è mai stato. Dnnys non aveva mai rivelato questa sua fantasia a nessuno, ma il suo amico avrebbe capito il desiderio che l'aveva generata. Il programma di simulazione per un momento fu dimenticato. – E così anche a te manca qualcuno? – Non molto spesso, in realtà – ribatté Dnnys, scrollando le spalle. Qualche volta passavano settimane senza che lui sentisse la necessità di pensare a uno zio, mentre altre volte il senso di vuoto lo portava a cercare la compagnia di Tomas, che non gli piaceva per niente, ma che almeno era fatto di carne ed ossa e non di semplice immaginazione. – E poi io mi trovo bene con mia madre. Non è così per mia sorella Krn: lei e la mamma litigano sempre, e credo che questa sia una delle ragioni per cui Krn si è offerta volontaria per andare su New Oregon prima della comunità. Wesley cercò di immaginarsi una sorella dai capelli rossi che gridava arrabbiata contro la propria madre, ma l'idea gli fece venire da ridere. – Non si vogliono bene? – Certo che si vogliono bene. In realtà si amano molto – confermò Dnnys, pensando che lui notava il fatto più facilmente delle interessate. – Tomas dice che sono fatte della stessa stoffa. – Della stessa stoffa? – ripeté una profonda voce maschile... Riker era entrato nella stanza proprio mentre Dnnys stava finendo di parlare. – State costruendo una fattoria o una sartoria? I ragazzi scoppiarono a ridere, poi invitarono con entusiasmo il primo ufficiale a vedere cosa avevano fatto con il computer mentre i pensieri di padri e di zii lasciavano il posto alle necessità del progetto sul ponte ologrammi. Di solito Picard rimaneva al livello delle poltrone di comando della plancia, ma a mano a mano che la ricerca dei Choraii si protraeva notò che Tasha Yar stava fissando la propria consolle con aria sempre più 68 corrucciata, e quando quell'espressione si intensificò senza che il tenente ne esponesse la causa il capitano si diresse verso la parte posteriore della plancia: il suo capo della Sicurezza di solito parlava senza problemi di ciò che le passava per la mente, ma a volte gli sforzi che la ragazza faceva per disciplinare il suo temperamento impulsivo si spingevano troppo oltre. Yar possedeva un ottimo intuito, che non doveva essere soffocato sotto il peso della cautela. – Ha trovato qualcosa, tenente? – le chiese con studiata casualità. La domanda la prese in contropiede. – Sissignore – esclamò d'impulso, poi si corresse: – Voglio dire... forse. Picard osservò la griglia di ricerca sulla consolle e rilevò che tutto appariva normale. – Un'intuizione? Yar si sentì improvvisamente a disagio per l'imprecisione che questo sottintendeva. – Probabilmente è soltanto una distorsione laterale, capitano. Queste coordinate non sono sull'attuale traiettoria di Geordi – spiegò, indicando con un dito una minuscola onda sul perimetro del campo sondato. – Signor Data, cosa ne pensa di questa distorsione? Anche l'interpretazione di Data riguardo al disturbo fu ugualmente indecisa. – Se è la nave dei Choraii, ci troviamo molto fuori rotta. – Di quale rotta parlate? – domandò ironicamente Geordi. I suoi occhi, coperti dal visore, erano fissi sul segnale del computer che tracciava il percorso sulla consolle di navigazione. – Questi tipi viaggiano seguendo dei cerchi, non delle linee rette. La loro nave potrebbe finire dovunque. Picard ponderò rapidamente su ciò che avevano detto i suoi ufficiali, ma anche se quell'esame dei fatti fu effettuato logicamente la sua decisione finale si basò poi più sull'istinto che sulla logica. Al contrario del Tenente Yar, Picard aveva da tempo superato la paura di fidarsi delle proprie intuizioni. – Signor La Forge, inserisca una rotta diretta verso il disturbo segnalato dai sensori. – Subito capitano – assentì il pilota, e sullo schermo principale le stelle vorticanti smisero finalmente di muoversi con un ultimo giro di valzer. – La navigazione con il computer ha i suoi vantaggi – fece notare Picard al Tenente Worf. Worf annuì solennemente, poi emise uno strano suono gorgogliante che 69 ricordò a Picard come il Klingon avesse rifiutato l'offerta della Dottoressa Crusher di farsi fare un'iniezione contro la nausea mentre tutti gli altri avevano accettato volentieri... e a giudicare dai suoni provenienti dal corpo del tenente, i Klingon erano soggetti alla nausea quanto gli Umani, anche se erano molto meno disposti ad ammettere il loro disagio. Soddisfatto del fatto che i problemi alle consolle di poppa fossero stati risolti, Picard tornò alla sua postazione di comando. Utilizzando il comunicatore modellato come il simbolo della Flotta che portava sul petto, effettuò una rapida serie di chiamate per convocare Riker e Troi in plancia. Era intenzionato a contattare anche l'Ambasciatore Deelor, ma soltanto dopo aver riunito tutti gli ufficiali superiori: aveva promesso di collaborare totalmente durante questa missione, e Deelor avrebbe avuto la sua collaborazione, ma non poteva certo aspettarsi cieca obbedienza. A partire da questo momento, Picard voleva un preciso resoconto dei movimenti dell'ambasciatore. Andrew Deelor aveva il sonno leggero, quindi la chiamata dalla plancia lo portò immediatamente in uno stato di estrema allerta e nella sua voce non rimase alcuna traccia di sonnolenza quando parlò con Picard. Lo scambio di battute fu breve e Deelor si alzò dal letto appena il contatto si interruppe. Da quando l'Enterprise aveva captato le tracce della nave Choraii aveva preso l'abitudine di andare a letto completamente vestito, pronto in qualsiasi momento a raggiungere la plancia. – Ruthe? – chiamò accendendo le luci della cabina. Sbatté per un attimo le palpebre in reazione all'improvvisa illuminazione poi cercò il mantello grigio della traduttrice, certo che lei si trovasse sotto di esso. La notte precedente Ruthe aveva tolto tutti i cuscini dal suo letto e aveva dormito sul pavimento, ma stanotte la trovò appallottolata su una sedia nell'angolo più remoto dell'alloggio. Sapendo che Ruthe odiava i suoni violenti, la scosse per svegliarla e le bisbigliò le notizie nell'orecchio: la traduttrice allungò il proprio corpo stiracchiandosi come un gatto e fu pronta a lasciare la cabina. Avevano molto in comune, loro due: entrambi viaggiavano leggeri. I corridoi della nave erano quieti e quasi deserti... le poche persone che vi incontrarono giravano da sole... mentre per contrasto la plancia risultò così piena di voci e di movimento che Deelor sentì la tensione impadronirsi di Ruthe non appena sbucò dal turboascensore. – La nave fluttua dentro e fuori dalla portata dei sensori – spiegò Picard, 70 quando Deelor e Ruthe lo raggiunsero al centro della plancia. – Non riusciamo ad avvicinarci abbastanza per avere un vero e proprio rilevamento. – Non provateci neppure – ordinò Deelor, poi fece cenno al Primo Ufficiale Riker di spostarsi e si sedette al suo posto a fianco del capitano. – I Choraii non reagiscono ad un inseguimento diretto. – E a che cosa reagiscono? – chiese Picard, con una traccia di sarcasmo nella voce. – A questo – rispose Ruthe, tirando fuori da sotto il mantello le mani in cui teneva tre sezioni di un tubo di legno scolpito con un motivo intricato. Con movimenti fluidi derivanti dalla pratica unì le parti facendole diventare un'unica cosa, poi si sedette a gambe incrociate ai piedi di Deelor e si portò lo strumento musicale alla bocca, mettendosi nella stessa posizione di un suonatore di flauto. Le note che uscirono avevano però un timbro più basso di quelle di un flauto e ricordavano maggiormente il suono di un oboe o di un fagotto, anche se non ne avevano il suono stridulo. – Cominciate a trasmettere adesso – ordinò Deelor, notando la riluttanza del Tenente Yar a rispondere al suo ordine. La donna aspettò finché Picard non ebbe annuito per indicare il proprio assenso, poi aprì un canale di trasmissione. Il momento in cui Picard sarebbe stato costretto a cedere la sua autorità era vicino... ma non era ancora arrivato. L'innalzamento e l'abbassamento delle note del flauto riportarono l'attenzione di Deelor su Ruthe. La melodia era semplice, poco più di una scala suonata molte volte di seguito con minime variazioni di tempo e di ritmo, ma comunque ossessiva. Ogni fraseggio finiva con la medesima nota, si posava su essa esitando e se ne allontanava, per poi ritornarvi di nuovo. – Si bemolle – commentò Riker, dopo aver ascoltato qualche minuto. – A intervalli di ottave, ma sempre Si bemolle. – Questo è un nome come un altro da dare alla nave Choraii – rispose Deelor. Ormai giunta alla fine del suo saluto, Ruthe sostenne la nota della tonalità finché il fiato le si spense in gola e infine lasciò cadere lo strumento in grembo, disponendosi ad attendere. La trasmissione di risposta fu molto più complicata. Tre flauti separati, che forse erano voci, si intrecciarono incrociandosi sulla tonalità del Si bemolle, sostenuta da un quarto suonatore. Dopo aver ascoltato per 71 qualche tempo, Ruthe cominciò di nuovo a suonare, amalgamando la sua parte con quella degli altri. Lo scambio durò diversi minuti, poi ad una ad una le voci si spensero, lasciando Ruthe a suonare di nuovo il suo assolo. Con gli occhi chiusi per non vedere la gente intorno a sé, la traduttrice stava ancora suonando quando Yar annunciò che la nave Choraii era uscita dal raggio dei sensori. Deelor toccò leggermente la spalla di Ruthe, che si interruppe bruscamente, come se si fosse svegliata da uno stato di trance. – Devono terminare una canzone prima di potersi incontrare con noi – mormorò, – ma sono d'accordo per un altro rendez-vous. – Nonostante la ferita inferta al loro vascello? – domandò Picard. – Credevo che sarebbe stata necessaria un'opera di convincimento molto più prolungata prima di arrivare a mettersi d'accordo per un altro contatto. – Oh, quello – replicò Ruthe, accantonando il precedente scontro con una scrollata di spalle. – Non ci sono stati feriti, e la nave è stata curata. – Dove e quando dobbiamo incontrarci? Ruthe esitò, poi riprese il flauto e suonò nuovamente alcune battute dello scambio, cercando di tradurre le note in concetti umani. – Fra venti delle vostre ore – rispose infine. – La scelta del posto è stata mia e ho proposto di incontrarci alle coordinate otto cinque punto dodici. – Possiamo raggiungere il luogo prescelto nel tempo previsto viaggiando a curvatura sei – calcolò Data, dopo aver inserito le coordinate nella sua consolle. – Ma perché là? Il luogo non ha alcun significato. – Mi piaceva il suo suono. – Qualche volta – commentò Riker, sorridendo della costernazione dell'androide, – il modo in cui il pacchetto viene presentato è più importante del contenuto, Data. – Non riesco a comprendere... – Più tardi, Signor Data – intervenne con fermezza il capitano. – Adesso che il rendez-vous è stato stabilito, la sezione a disco della nave può essere staccata e lasciata indietro. Incontreremo i Choraii soltanto con la sezione da battaglia. – Non se ne parla nemmeno – affermò Deelor – La nave resta intera. – Non posso coinvolgere i passeggeri nel conflitto che ci si può presentare – ribatté Picard, irrigidendosi nel sentir annullare il proprio ordine. – Saranno molto più al sicuro protetti dall'armamento più pesante della sezione da battaglia piuttosto che da soli. I Choraii sono difficili da prevedere: potrebbero invertire la rotta e allora la sezione a disco sarebbe 72 una facile preda per loro. – Capisco. La popolazione rischia in entrambi i casi – sospirò Picard. – Proprio così – confermò Deelor, e dal momento che non aveva nessun desiderio di continuare a discutere l'argomento, si alzò e fece segno a Ruthe di allontanarsi dalla plancia con lui, lanciando un ultimo ordine quando era già nel turboascensore: – Può procedere al punto di incontro, Capitano Picard. – L'ambasciatore dovrebbe imparare le buone maniere – brontolò Picard dopo che il turboascensore ebbe allontanato Deelor dalla plancia. Diede quindi istruzioni al timoniere perché inserisse le coordinate indicate da Ruthe, anche se nutriva ancora molti dubbi: non essendo portato per la musica non si era lasciato affascinare come Riker dalla performance di Ruthe e aveva invece ascoltato con crescente disagio quella che in fin dei conti era stata una trasmissione inintelligibile. – Dobbiamo crederle sulla parola in merito a quanto è intercorso tra loro – commentò, rivolto al primo ufficiale, – e anche se io non ho ragione di non credere alle sue affermazioni... – S'interruppe, alzando le braccia con aria frustrata, poi concluse: – È solo che non mi fido di lei o di Deelor. Guardò quindi in direzione di Troi per sollecitare un parere, ma il consigliere aveva ben poco da offrire. – Ruthe pensa soltanto alla sua musica e Deelor, come sempre, scherma molto accuratamente le proprie emozioni. Sa che io sono per metà Betazoide, e il suo potere di concentrazione diventa fortissimo quando io sono nei paraggi. – Ho registrato l'intera trasmissione, signore – interloquì Data, sapendo che era il suo turno di fornire un'opinione al capitano. – Teoricamente, i computer linguistici possono sviluppare una traduzione, ma il discorso fatto dai Choraii appare molto intricato, più emozionale che basato su forme grammaticali. Avrò bisogno di ulteriori informazioni per accelerare il processo di traduzione e aumentarne l'accuratezza. Picard tornò a rivolgersi al suo primo ufficiale. – Lei è un musicista, Numero Uno. L'ho sentita suonare. – È solo un hobby, non sono un professionista... e poi conosco bene soltanto il jazz – si schermì Riker. – Professionista o no, lei è l'unica persona che possegga sia l'accesso di sicurezza alla faccenda che un'affinità per la natura musicale del linguaggio dei Choraii – Il capitano pensò ancora agli interessi che 73 impegnavano il primo ufficiale durante le ore di riposo e annuì, persuaso della propria scelta. – Sì, sono sicuro che lei potrà convincere la Traduttrice Ruthe a discutere del suo lavoro. – Ma capitano... – Non è poi molto diversa dall'Eletta Beata di Angel One... e se ben ricordo il suo discorso allora fece scaturire in lei un po' di clemenza per l'equipaggio della Odin. Secondo alcune fonti ufficiose pareva che il genere di persuasione usato da Riker si fosse basato anche su abilità diverse dalla sua parlantina, e Picard si sentì propenso a credere a quella versione dei fatti quando notò che la punta delle orecchie di Riker si era arroventata. – Ci proverò, signore. Nonostante il disagio del primo ufficiale, Picard percepì una certa anticipazione per il suo nuovo incarico e si affrettò a dargli un consiglio. – Faccia in modo che Deelor non sia nei paraggi quando le parlerà: quell'uomo mi sembra un tipo propenso alle scenate di gelosia. Il diversivo fu facilmente organizzato. La Dottoressa Crusher fu tutt'altro che soddisfatta della decisione di usare gli esami medici di Deelor come paravento per le attività di Riker, ma sottoposta a pressione acconsentì infine a fissare un controllo per l'ambasciatore; indurre Ruthe a lasciare l'alloggio risultò più difficile che distrarre l'ambasciatore. Passarono diversi minuti prima che lei rispondesse all'insistente pressione di Riker sul pulsante del campanello e l'offerta di farle fare un giro della nave generò soltanto uno sguardo vuoto; visto che lei non lo aveva invitato ad andarsene, Riker tentò allora con un approccio più diretto. – Sono rimasto affascinato dal suo modo di suonare il flauto, in plancia. Potrebbe suonare ancora per me? – Qui? – chiese lei, un po' sorpresa. Riker prese la palla al balzo e mostrò di interpretare la sua risposta come un assenso, suggerendo però di andare in una delle vicine sale di ricreazione, sicuramente un luogo più idoneo a un concerto. Un po' meno sorpresa, Ruthe lo seguì in una grande area aperta, piena di sedie imbottite e di piante lussureggianti. La sala era vuota, il che evidentemente le fece piacere perché la sua iniziale resistenza scomparve. Oltrepassato Riker, si mise a sedere su una sedia di fronte ad un largo oblò e la vista dello spazio dovette colpirla piacevolmente, perché d'un tratto sorrise. 74 Quell'ambiente così tranquillo era in realtà tale solo in apparenza: le guardie di sicurezza del Tenente Yar erano presenti in tutti i corridoi laterali che portavano a quella sezione, e avevano rigide istruzioni di tenere lontani dalla sala ricreativa tutti i membri dell'equipaggio non in servizio. Lo sforzo per separare Ruthe da Andrew Deelor era stato accuratamente organizzato per approfittare del poco tempo a disposizione. Riker azzardò infine la sua mossa d'apertura, preparata sulla base di un rapido ripasso dei file musicali contenuti nell'archivio del computer. – Da quel poco che ho sentito, la musica del messaggio dei Choraii mi ricorda la musica terrestre del Medioevo. Le canzoni del mondo occidentale avevano anch'esse molte voci, che non erano però unite tra loro né dalla melodia, né dal ritmo... ognuna aveva una parte a sé stante. Sorpresa dal commento, Ruthe distolse lo sguardo dalle stelle per fissarlo su di lui. – Sì, lo sviluppo polifonico è simile, anche se i modi armonici dei Choraii sono più vicini alle scale sviluppate nel ventesimo secolo da Schönberg. – Quindi lei è una musicista professionista? – chiese Riker, rendendosi conto che quell'affermazione era la più lunga che le avesse sentito proferire in pubblico. Il suo intento era stato quello di farla parlare ancora, ma la domanda ebbe l'effetto contrario. – Ho studiato storia della musica – rispose Ruthe concisa, poi piombò nel silenzio e tornò a guardare l'oblò. – Il benvenuto che ha suonato – riprese Riker, canticchiando alcune misure della melodia che aveva sentito in plancia, – era una sua composizione? O i Choraii hanno delle melodie standard con cui chiamano un'altra nave? – Le note sono sempre le stesse ma il ritmo è libero – rispose lei, tirando fuori i pezzi del suo flauto. – La canzone cambia ogni volta che la canto. Riker guardò Ruthe che metteva insieme il suo flauto e ancora una volta fu colpito da quanto fosse bella. Una parte della sua mente era concentrata sulla musica che suonava, mentre l'altra si deliziò ad osservare la linea netta del profilo di lei mentre soffiava nel flauto e le dita delicate che ondeggiavano sui fori dello strumento. Ruthe non smise di suonare quando Data entrò nella sala e andò a sedersi, anche se la melodia rallentò un po'. Dal momento che l'androide sembrava più interessato ai rapporti che aveva portato con sé che alla musica, Ruthe tornò a suonare con il ritmo iniziale, ma Riker sapeva che il 75 registratore vocale nascosto nel palmo della mano di Data stava registrando ogni nota della canzone. Poi anche Deanna Troi entrò nella sala, e Riker temette che la presenza del consigliere potesse disturbare Ruthe, ma la traduttrice era ormai troppo presa dalla propria musica per essere infastidita da uno spettatore in più. Sfortunatamente, lui non riuscì a sopprimere la sua irritazione per il crescente affollamento. – Forse in un ambiente più intimo avresti potuto concentrarti meglio – gli sussurrò Deanna, sfruttando la copertura offerta dalla musica. Un Si bemolle sostenuto segnalò la fine della canzone di Ruthe. – È molto bella, anche se non ne capisco il significato – mormorò Riker. – D'altronde sono sicuro che i Choraii trovano il nostro linguaggio altrettanto misterioso. – Per nulla. I Choraii hanno imparato dai bambini lo Standard della Federazione e in effetti lo parlano piuttosto fluentemente – lo corresse Ruthe, scuotendo il capo. – Tuttavia è un modo così brutto e maldestro per comunicare che preferiscono non usarlo. Quella era una notizia davvero utile e valeva la pena riferirla a Picard, ma purtroppo fu anche l'ultima informazione che Riker riuscì a raccogliere dalla traduttrice. – Will... – avvertì Troi, percependo l'avvicinarsi dell'Ambasciatore Deelor, che si trovava soltanto a pochi metri da lì. – Mi stavo chiedendo dov'eri andata – commentò questi, rivolgendosi solo a Ruthe. – Mi stavo annoiando in cabina. – Non succederà più – le assicurò Deelor. – I miei viaggi in infermeria sono terminati – aggiunse poi, all'indirizzo del primo ufficiale. Segnalò quindi a Ruthe di raggiungerlo e lei si alzò dalla sedia, mettendosi al suo fianco e seguendolo fuori dalla sala. Riker fissò la coppia che se ne andava con espressione accigliata: Ruthe non gli aveva detto una parola di commiato né lo aveva degnato di uno sguardo. – Non mi piace come Deelor la comanda. – A lei sembra non importare, quindi perché dovresti preoccuparti tu? – commentò Troi. Riker si girò per risponderle, ma si trattenne dal farlo quando vide Data ancora seduto: l'androide aveva abbandonato il suo precedente atteggiamento neutro e li stava osservando con palese curiosità. 76 – Data, è tempo di tornare in plancia – dichiarò Riker. Data aggrottò la fronte, cercando nei suoi banchi di memoria qualche appuntamento dimenticato. – Non ho nessun particolare evento a cui partecipare in questo momento – replicò, studiando l'espressione di Riker con maggiore attenzione. – Lei vuole che me ne vada? – Sì, Data – confermò Troi, con fermezza. – La mia comprensione delle interazioni umane aumenterebbe se avessi più opportunità di osservarle direttamente, e la vostra discussione si preannuncia piuttosto interessante – replicò l'androide senza accennare a muoversi. – Vorremmo un po' di privacy – insistette Riker. – Ma è proprio questa privacy che ostacola i miei tentativi di comprendere la difficoltà di una relazione interpersonale. – Arrivederci, Data – concluse Riker, seguendo con lo sguardo l'androide mentre questi si alzava con riluttanza e lasciava lentamente la sala. Non conoscendo i limiti esatti dell'udito di Data, attese che questi si fosse allontanato da qualche tempo prima di aggiungere: – Deanna, se non ti conoscessi, penserei che sei gelosa. – Non ho il diritto di essere gelosa. Esserci lasciati ha fatto sì che non restassero dubbi riguardo a questo aspetto della nostra relazione. – E poi non hai neppure nessuna ragione per essere gelosa. – Lo so, Will – ammise lei con un sospiro. – Riesco a percepire un tuo leggero interesse per Ruthe, una certa ammirazione per la sua bellezza, ma nessuna seria attrazione. Invece da parte di Ruthe... La vanità di Riker si scontrò all'improvviso con la preoccupazione per le emozioni di Ruthe. – Non mi dirai che è innamorata di me? – No, non lo è. In effetti, non sento alcun interesse nei tuoi confronti – rispose Deanna, con maggiore sicurezza di quanto volesse, poi sorrise nel notare il barlume di delusione che aveva attraversato il viso di Riker e cercò di lenire il suo orgoglio ferito, esponendo al tempo stesso i propri pensieri turbati. – Ed è proprio di questo che si tratta: sento che lei non si interessa a nulla che non sia la sua musica. È vuota, Will, priva di qualsiasi emozione. 77 VIII. Dieci Coloni, uomini e donne, erano accalcati in un capannello serrato sulla porta aperta del ponte ologrammi, appena al di là della quale si vedevano colline dolci ricoperte di alberi dalle fronde ombrose agitate da una brezza leggera. Edifici di legno dipinti di rosso erano allineati lungo la parete più lontana dello scafo della nave, ma le immagini dei pascoli proiettate sulla superficie piatta creavano una vista di prati e di campi che si perdeva fino al lontano orizzonte. Il Colono Leonard si avvicinò di più all'entrata e annusò l'aria fresca e satura di odore di caprifoglio, inspirando profondamente per assaporare quel profumo così familiare. – L'inizio della primavera, proprio il momento della semina – commentò. Alcuni fra i Coloni più timidi lo guardarono attentamente, ma Leonard non mostrò in alcun modo di aver subito danni da quel contatto e a poco a poco anche gli altri gli si affiancarono. – Non ho mai visto così tanto verde in tutti gli anni che abbiamo passato su Grzydc – sospirò Charla. – Sembra proprio Yonada. Tomas sbuffò sonoramente e si ritrasse. – È solo una finzione di bassa lega, un'illusione – bofonchiò, tirandosi la barba con irritazione. – Dopo tre mesi nello spazio, a me va bene anche un'illusione. Non sarà certo peggio della realtà – esclamò Mry. Fu lei la prima a passare dal ponte in duro metallo alla terra che cedeva leggera sotto i piedi, ma Leonard immediatamente la seguì. L'attrazione esercitata dall'aria fresca e dal tepore del sole era troppo forte perché gli altri potessero resistere a lungo e alla spicciolata cominciarono tutti ad oltrepassare la porta finché Tomas rimase da solo. – Vergognatevi – urlò loro dietro. – L'ho detto prima e lo ripeto adesso: preferirei entrare nelle fauci aperte di un drago piuttosto che mettere piede in una simulazione olografica. In passato avete applaudito i miei principi etici – continuò, alzando ancora la voce perché i suoi compagni lo sentissero mentre si allontanavano, – ma è evidente che i vostri principi non possono resistere alla tentazione. – Vieni Tomas – replicò l'anziana Myra, che si era attardata ed era ancora vicino all'entrata. – Puoi disapprovare tutto questo anche venendo dentro. 78 – Posso vedere benissimo anche restando qui – dichiarò Tomas, senza muoversi di un passo, poi infilò i pollici nella cintura per fermare il tremito delle mani e socchiuse gli occhi nel vedere sua sorella e Leonard che ridevano e si rotolavano nell'erba del prato. – Mry è una donna molto bella – commentò Myra, con una risatina secca, – ed è abbastanza cresciuta per avere bambini. – Forse sì – confermò lui, – ma io avrò voce in capitolo sulla scelta dell'uomo con cui li avrà. Serrando i denti, si decise infine a muoversi; non appena ebbe oltrepassato l'entrata le due porte si chiusero con un soffice sibilo e poi svanirono, rendendo l'illusione completa: adesso Tomas si trovava in mezzo ad un campo di erba mossa dal vento e sopra di lui faceva volta un cielo azzurro privo di nuvole dove splendeva un sole giallo il cui calore lo indusse a sbottonarsi i primi bottoni della camicia di flanella. Il giovane Stvn si lasciò cadere in ginocchio e infilò le dita nel terreno, smuovendo una zolla di terra e sbriciolando il fertile terriccio fra le mani, mentre poco lontano il Vecchio Steven strappava un ciuffo d'erba e prendeva a masticarne la radice. – Non è un suolo adatto per piantarci il granturco, ma un acro di grano ci crescerebbe bene. – Solo gli animali verranno portati qui, non i semi – sottolineò Tomas, fissando i due uomini con occhi roventi. – Ma è sempre uno spreco lasciare incolta della terra così buona – sospirò il giovane Stvn, scambiando un'occhiata d'approvazione con suo zio. – Ci vorranno decenni di duro lavoro per trasformare New Oregon in un mondo bello come questo. Tomas spostò quindi il proprio sguardo rabbioso su Dnnys e Wesley, che erano usciti di corsa dal granaio e stavano attraversando la verde pianura per dare il benvenuto agli adulti. – Un altro corto circuito e le nostre pecore brucheranno un ponte di metallo – brontolò, non appena i due ragazzi furono a portata di voce. – Io penso che abbiano fatto un ottimo lavoro – ribatté Mry. Due ali sbatterono sfiorandole le guance e poi si allontanarono danzando. – Guardate, una farfalla arancione! Non ne ho mai vista una viva prima d'ora. Chi ha pensato a un dettaglio così piacevole? – Ehm, è stata un'idea mia – ammise Wesley. – E così tu sei un artista oltre che un ingegnere – commentò la ragazza, togliendogli un ciuffo di paglia dai capelli. 79 – Cosa c'è che non va? – chiese Dnnys, assestando una gomitata nelle costole all'amico. – Stai diventando tutto rosso! – Il sole è troppo caldo – rispose Wesley, e quando Mry gli sorrise arrossì ancora. – Meglio che vada a ricontrollare il codice di costruzione. – Vorrei che vivere in una fattoria fosse divertente come scrivere il programma per costruirne una – sospirò Dnnys. – In quel caso non mi dispiacerebbe... Sua cugina si affrettò a posargli una mano sulle labbra. – Silenzio, Dnnys, o ti sentiranno – lo avvertì, guardando nervosamente verso gli altri Coloni. Myra stava avanzando verso di loro con passo zoppicante e con un cipiglio preoccupato. – Non perdiamo tempo. Voglio vedere i pollai. – Non c'è ragione di vedere altre cose – dichiarò Tomas disperatamente. Myra accantonò con un gesto la sua protesta come se fosse stata un cattivo odore. – Questa è una fattoria e una fattoria significa lavoro. I più giovani sono stati a oziare per troppo tempo e si sono dimenticati il valore del duro lavoro. Rinfrescherò loro la memoria. Su insistenza di Myra, l'intero gruppo si diresse verso gli edifici e Tomas si incamminò accanto alla sorella in modo da usare la propria corporatura robusta per nasconderla agli occhi di Leonard, ormai dimentico di qualsiasi obiezione sull'uso della simulazione. Tutti i preparativi per l'incontro con la Si Bemolle erano stati eseguiti, ma il momento in cui Deelor avrebbe preso il comando della plancia non era ancora venuto. Sospesi nell'inevitabile quiete che precedeva l'azione, lui e Ruthe non potevano far altro che attendere. Deelor era seduto immobile come un gatto acquattato, i muscoli pronti a scattare; non si era mosso dalla sedia per oltre un'ora, ma la sua mente andava e veniva senza posa, viaggiando nell'immutabile passato e scandagliando il troppo imprevedibile futuro. Ruthe invece, allungata sul letto dell'alloggio e intenta ad ascoltare un brano dolce scelto dall'archivio del computer... un assolo di violoncello... era palesemente felice nel suo presente. – Tu piaci a Riker – esordì Deelor, ad un certo punto. – Davvero? – si stupì lei guardandolo pigramente, persa nella musica. Deelor si chiese se i Choraii avrebbero ammirato un po' di più gli Umani 80 se avessero potuto ascoltare quella suite di Bach o un concerto di Mozart. – Come puoi saperlo? – chiese lei. – Per il modo in cui ti guarda. – Devo fare qualcosa al riguardo? – No. No, se non vuoi. Intanto la sarabanda stava cedendo il posto alla gavotta nel passaggio che Ruthe preferiva della suite in Re maggiore, e Deelor conosceva i suoi gusti abbastanza bene da rimanere in silenzio finché il passaggio non fu terminato, riprendendo a parlare soltanto all'inizio della giga. – Crede che noi due siamo amanti. – Chi? – domandò lei. – Riker. – Oh, lui – commentò Ruthe, poi si accigliò improvvisamente e domandò: – È per questo che mi ha chiesto di suonare per lui? Perché gli piaccio? – In parte. Comunque probabilmente aveva l'ordine di sapere di più sui Choraii. Ruthe si appallottolò, un segno sicuro che quelle ultime parole l'avevano turbata. – Che cosa gli hai detto? – chiese Deelor, cercando di proiettare soltanto una curiosità casuale: se Ruthe avesse avvertito la minima tensione in quella domanda, avrebbe probabilmente smesso di parlare del tutto. – Non mi ricordo. Forse non si ricordava davvero, visto che tanto il passato quanto il futuro le interessavano ben poco. Deelor si alzò dalla sedia e con un veloce tocco ai controlli della stanza, interruppe la musica. Ruthe si sollevò a sedere di botto e Deelor seppe di avere adesso tutta la sua attenzione. – Ruthe, conosci la mia posizione. Se il capitano e il suo equipaggio scoprono il tuo accordo con i Choraii io non sarò in grado di coprirti. Stai agendo senza l'approvazione ufficiale e per il tuo stesso bene dovrai stare molto attenta con Riker e gli altri. – Non mi piace, comunque. – Nemmeno a me – rise Deelor. – Ma mi piaci tu – aggiunse con un sospiro, e nel notare lo sguardo subito diffidente di lei concluse: – E non mi aspetto che tu faccia niente al riguardo. Con un leggero tocco alla consolle operazioni, Data fece apparire sullo 81 schermo principale della plancia una rappresentazione grafica della rete energetica dei Choraii, poi toccò di nuovo la consolle e la disordinata ragnatela bluastra cominciò a brillare. – Questa è soltanto una teoria – spiegò con cautela l'androide ai due ufficiali seduti sulle poltrone di comando. – Sì, capisco – annuì Picard e scrutò con gli occhi socchiusi l'improvvisa lucentezza dell'immagine apparsa sul visore, massaggiandosi l'arco del naso con espressione pensosa. – Continui per favore. – La rete dei Choraii è costituita da filamenti flessibili di energia. Credo che sia possibile catturare uno di quei filamenti e, piegandolo, creare un'area debole che può essere perforata da una sonda costruita appositamente. – A che scopo? – chiese Riker, studiando lo schema del piano di Data che era apparso sul visore, dove una sequenza animata portò la sonda in contatto con la rete. – Per attingere alla fonte di energia della rete – spiegò Data, mentre le linee blu perdevano la loro luminosità. – Potremmo disperdere l'energia nello spazio, o usarla noi stessi. In entrambi i casi, il campo così indebolito sarà inefficace contro i nostri scudi. – Sembra rischioso – commentò Riker, accigliandosi. – Cosa succederà se perderemo il controllo della corrente? – Esistono trentaquattro probabilità su cento che si verifichi un'esplosione da sovraccarico – replicò Data. – Come ho detto, il modello è solo teorico, e potrebbe richiedere qualche modifica durante l'operazione reale. Picard considerò il pericolo di provare tale difesa nel mezzo di una battaglia. – Speriamo che non si arrivi a tanto, Signor Data – commentò. – Mancano solo quattro ore all'incontro, quindi non abbiamo molte opzioni – gli ricordò Riker, accasciandosi contro lo schienale della poltrona perché era ormai troppo stanco per mantenere la consueta posizione eretta... gli ufficiali di plancia stavano lavorando da diversi turni senza una sosta. – Dovremmo fare affidamento sulla diplomazia di Andrew Deelor e probabilmente l'ambasciatore possiede molte tattiche che non si abbassa a spiegare ai subordinati – replicò in tono amaro il capitano, poi scrutò con maggiore attenzione il suo primo ufficiale e aggiunse: – Potremmo però impiegare il tempo che ci rimane riposandoci un po'... incluso lei, Numero 82 Uno. Riker si affrettò a correggere l'atteggiamento accasciato che l'aveva tradito. – Soltanto a condizione che lei lasci a sua volta la plancia, capitano – disse, e senza permettere a Picard di ribattere continuò: – Se glielo chiedesse, sono sicuro che anche l'ufficiale medico capo insisterebbe. Un tenue sorriso illuminò il viso di Picard: a quanto pareva neppure lui era in grado di nascondere la propria fatica. – Non c'è motivo di disturbare la Dottoressa Crusher. Andrò a letto come un bravo bambino – garantì, alzandosi dalla poltrona, poi si rivolse all'unico ufficiale presente in plancia che non aveva bisogno di riposo. – Comandante Data, a lei il comando. Una volta raggiunto il proprio alloggio, Picard non riuscì però ad addormentarsi e rimase immobile sul letto, con gli occhi chiusi, a riflettere... Andrew Deelor avrebbe presto preteso il comando dell'Enterprise, e l'Ammiraglio Zagráth era stato molto chiaro: quando Deelor avesse avanzato la sua richiesta, lui avrebbe dovuto sottostarvi. – Non sprechi la fortuna con noi, Capitano Picard. Lei ne avrà molto più bisogno. L'avvertimento di D'Amelio gli risuonò di nuovo nell'orecchio e Picard sentì il peso del corpo morente di Phil Manin tra le sue braccia: il capitano della Ferrel aveva seguito gli ordini dell'ambasciatore ed era vissuto abbastanza per pentirsene. A che punto l'obbedienza all'autorità diventava indubbia stupidità? Passarono le ore. Quando Data lo chiamò in plancia Picard non era ancora riuscito a dare una risposta a quelle domande e si alzò dal letto sentendosi più stanco di quando si era disteso. Il Tenente Worf aveva stoicamente sopportato l'offensiva insistenza del Capitano Picard perché riposasse, e poi aveva marciato obbediente verso il suo alloggio. Come Klingon, Worf eseguiva gli ordini alla lettera, ma come Klingon si sentiva anche libero di violarne lo spirito se questi ordini non si adattavano a lui: rimase quindi nel suo alloggio per quasi due minuti, e poi tornò in plancia. – Gli Umani dormono troppo – spiegò a Data. – Offusca i riflessi. Non avendo bisogno di quei periodi di inattività, Data non era quindi in grado di giudicare la validità dell'affermazione di Worf, ma volle 83 aggiungere una sua osservazione. – Sembra però che trovino il sonno un processo piacevole. – Questa è un'altra ragione per evitarlo. Worf si rimise al lavoro sul problema che l'aveva ossessionato da giorni: la capacità della Si Bemolle di sovraccaricare il raggio traente. Sebbene non potessero sfuggirgli, le sfere dei Choraii potevano muoversi all'interno del raggio e quindi eludevano qualsiasi contromisura. Modificando la forma della nave in una lunga fila avevano aumentato la richiesta d'energia alle riserve dell'Enterprise e le simulazioni al computer indicavano che anche una forma ad anello avrebbe avuto lo stesso effetto. Ogni configurazione espandeva il raggio traente che finiva per richiedere più energia di quella assegnata. – Il fatto è che non si sono liberati dal raggio traente, ma ci hanno costretti a disinserirlo perché l'energia necessaria a mantenerlo era diventata troppo alta – spiegò Worf, mostrando a Data i risultati. – Forse la Ferrel aveva cercato di trattenerli più a lungo – teorizzò l'androide, – il che potrebbe spiegare perché la nave stellare era diventata così vulnerabile alla matrice d'energia. – Secondo i computer, abbiamo bisogno di più energia. – Sarebbe certamente la soluzione più diretta – convenne Data, – così come anche più potenza ai phaser avrebbe potuto fermarli. – Il Comandante Riker ha trovato un modo per danneggiare la Si Bemolle con meno potenza, restringendo il raggio dei phaser – rifletté Worf, accigliandosi nel pensare alla parte della teoria di Data che l'androide aveva preferito passare sotto silenzio. – In altre parole, le soluzioni consuete non funzionano con i Choraii. Tornò alla postazione scientifica vedendo le cose da una nuova prospettiva: i computer stavano cercando risposte basate su parametri standard, ma cambiando i parametri del raggio traente forse poteva escogitare nuove soluzioni. Un'ora dopo, Worf trovò la sua risposta. – Teoricamente, potrebbe funzionare – considerò Data, guardando la nuova simulazione grafica. Worf aveva diviso il raggio traente in quattro raggi distinti, ognuno agganciato ad una singola sfera. Senza dipendere dalla forma generale che le sfere costruivano, i raggi mantenevano l'aggancio sui bersagli individuali e il consumo di energia totale non era più alto di quello di un singolo raggio traente. – Questa volta non potranno allontanarsi – dichiarò Worf, e quella 84 certezza lo fece sentire più riposato, molto più che se avesse dormito. La Dottoressa Crusher sentì il suono dei passi che entravano nel suo ufficio, ma non alzò gli occhi dallo schermo del computer. – Sono occupata adesso, torni più tardi. L'ombra che si proiettò sulla scrivania però non accennò a muoversi. – L'infermiera mi aveva avvertito che lei avrebbe potuto accogliermi così. Al suono della voce ironica di Deelor la dottoressa alzò la testa di scatto. – Come ufficiale medico capo della nave ho la responsabilità di prepararmi per l'arrivo dei sopravvissuti di Hamlin, ma senza una guida posso soltanto approntare un'organizzazione molto generica. Di certo mi aspetto un disorientamento emotivo, e probabilmente i prigionieri soffriranno anche di carenze vitaminiche. Al di là di questo c'è poi un assortimento di malattie che vanno dai semplici disturbi gastrici alle diverse forme di paralisi – spiegò, battendo un colpetto sullo schermo che fino a poco prima aveva assorbito la sua attenzione, poi continuò: – Se la nave dei Choraii manca di gravità, i prigionieri potrebbero non avere sviluppato le ossa ma soltanto una soffice cartilagine che si piegherebbe sotto il peso dei loro corpi. E questo solo per cominciare... – Oh, la smetta di preoccuparsi – le rispose pigramente Deelor, posando una cassetta-dati sulla scrivania. – Ho io una cura per i malanni del dottore. Queste registrazioni mediche daranno una risposta alla maggior parte delle sue domande riguardo ai prigionieri. – Era ora! – Non c'è di che, dottoressa – ridacchiò Deelor, notando che il suo buon umore non aveva fatto altro che irritarla ancora di più. – Ah, Dottoressa Crusher, riguardo alle registrazioni, sono sicuro che non c'è bisogno di ricordarle che questo è materiale segretissimo – concluse, e anche se il tono rimase leggero le sue parole suonarono sufficientemente serie. – Ne sono perfettamente consapevole, ambasciatore – confermò lei facendo scivolare la registrazione nel computer e cominciando a leggere. Quando Picard rientrò in plancia, il suo primo ufficiale aveva già assunto il comando, e Data era tornato alla sua postazione al timone. Riker salutò il capitano con un tono insolitamente grave. – L'Ambasciatore Deelor vuole vederla. – Gli dica di venire nella sala tattica – replicò Picard, che si era aspettato 85 una cosa del genere. – E già là, signore. Picard entrò nel suo ufficio e vide che Deelor era in piedi accanto all'oblò, intento a scrutare lo spazio. – Non si vuole sedere? – gli domandò in tono secco, indicando la sedia del capitano al di là della scrivania. Deelor si allontanò dall'oblò. – La scrivania è sua, capitano, ma la plancia è mia. Assumo il pieno comando della nave da questo momento. – Ha il controllo della missione, ambasciatore, ma non dell'Enterprise – replicò Picard. Deelor si accigliò, ma non si dimostrò sorpreso. – L'Ammiraglio Zagráth... – Non è qui adesso – gli ricordò Picard, con la voce atona. – La mia responsabilità principale è verso il mio equipaggio, e non ne metterò il destino nelle sue mani. – Anche se questo le facesse correre il rischio di una corte marziale? – Per una corte marziale sarebbe necessario discutere in pubblico la situazione dei Choraii e dei loro prigionieri di Hamlin. E dovremmo discutere della U.S.S. Ferrel. – Molto astuto – si complimentò Deelor. – Phil Manin non è riuscito a chiamare il mio bluff. Però ci sono molti modi di perdere il comando, Capitano Picard... ad esempio essere promossi ad un lavoro senza futuro su un pianeta retrogrado. – Sempre meglio che perdere questa nave. Lei ha distrutto la Ferrel, e non distruggerà l'Enterprise. – La sua preoccupazione è ammirevole, ma mal riposta – dichiarò l'ambasciatore, sempre più accigliato. – Ho avuto a che fare con i Choraii prima di lei e sono in grado di prendere decisioni più ponderate. – Allora mi dica ciò che sa. – Lei è un uomo testardo – sospirò Deelor. – Non si lasci ingannare dal fatto che offusco la sua autorità. Nonostante ciò che pensa, le mie azioni non sono dettate dal capriccio o dall'ignoranza – ribadì, sfiorando il vetro dell'acquario a muro e guardando il pesce all'interno che tentava di mordere il riflesso del suo dito. Quando tornò a rivolgersi a Picard, le sue labbra erano piegate in un sorriso rammaricato. – Mantenga pure il controllo della sua nave, capitano. Non possiamo permetterci di lottare tra noi o i Choraii ne approfitteranno subito. Se però l'Enterprise ha qualche 86 valore per lei, ascolti tutti i consigli che le darò. Picard avvertì le prime fitte di dubbiosità: Deelor era intelligente e falso, e si stava mostrando inaspettatamente generoso nella sconfitta. I due uomini lasciarono insieme la sala tattica e tornarono in plancia. Picard notò lo sguardo interrogativo del suo primo ufficiale, ma non disse nulla che potesse mitigare la curiosità di Riker su quello che era successo: mantenendo la sua espressione del tutto indecifrabile, si sedette sulla consueta poltrona al centro della postazione di comando, e Deelor prese il posto alla sua sinistra. Allora, e solo allora, Picard incontrò lo sguardo del primo ufficiale. – Possiamo procedere con l'approccio, Numero Uno. – Velocità di impulso, Signor La Forge – ordinò Riker, mentre la nave si avvicinava alle coordinate dell'incontro. – Rallentiamo a velocità di impulso ora. – Letture dei sensori, Signor Data? – chiese quindi il primo ufficiale. – Ancora nessun segno dei Choraii. – Fermare i motori. Il luogo scelto da Ruthe era stato raggiunto e l'Enterprise rimase immobile nello spazio vuoto. – Allora, ambasciatore? – domandò Picard in tono tagliente. – Siamo qui, nel luogo stabilito e al momento stabilito. Dove sono i Choraii? – Aveva messo in pericolo la sua carriera per quest'incontro, e se la Si Bemolle non si fosse fatta vedere il suo gesto avrebbe avuto lo stesso effetto di una doccia fredda. – Abbia pazienza, capitano, sono certo che arriveranno... come verrà anche Ruthe – replicò Deelor, lanciandosi uno sguardo alle spalle con espressione accigliata. – In realtà, siamo un po' in anticipo – fece notare Data, – e precisamente di un minuto e quindici secondi. – Data – scattò Picard, troppo teso per tollerare l'eccessiva letteralità dell'androide, – se non ci sono navi entro il raggio dei sensori, significa che i Choraii arriveranno in ritardo... sempre ammesso che vengano. – Capitano! – esclamò Yar. – I sensori a lungo raggio hanno registrato un oggetto in questo momento: è appena giunto a portata... no, ha già superato di parecchio la soglia massima dei sensori e si avvicina a velocità sostenuta... incredibilmente sostenuta! – Alzare gli scudi – ordinò Picard, irrigidendosi. – Guardate là! – gridò Geordi, indicando lo schermo principale. 87 Pochi secondi prima non c'era nessuna immagine, e adesso un minuscolo punto stava diventando sempre più grande: vorticando su se stessa, la Si Bemolle stava puntando verso l'Enterprise. – Ci sono addosso – avvertì Yar, mentre il grappolo di bolle fra il rosso e l'arancione riempiva lo schermo. La sirena dell'Allarme Giallo si attivò automaticamente protestando per quell'approssimarsi subitaneo. – Manovra evasiva – ordinò Picard, traendo un profondo respiro. – No! Non ci stanno attaccando – intervenne Deelor. – Come può esserne sicuro? – domandò Picard, trattenendosi però dal dare un altro ordine. Un attimo prima della collisione, la nave dei Choraii si fermò, con le sfere che tremolavano e rabbrividivano per l'improvvisa decelerazione. – Ventidue secondi di anticipo: la loro puntualità è impressionante – affermò Data. – Lo è anche la loro velocità – commentò Picard, inarcando un sopracciglio. Adesso capiva perché la Flotta Stellare avesse scelto un agente segreto per quella missione diplomatica. IX. Diario del capitano: il mio senso del dovere mi ha spesso portato a intraprendere compiti spiacevoli, eppure questa volta trovo l'incarico particolarmente disgustoso. Stiamo barattando merci in cambio di vite umane, stiamo pagando per la restituzione di persone che non avrebbero mai dovuto essere catturate. È dunque questo il meglio che la diplomazia ci può offrire? Ruthe si presentò nella parte poppiera della plancia in maniera altrettanto improvvisa quanto lo era stato l'approccio della nave Choraii sul visore e diede il benvenuto alla Si Bemolle facendo scaturire una fluente melodia dal suo flauto: suonando e camminando allo stesso tempo, scese dalla parte sopraelevata del ponte fino al centro della plancia senza mai distogliere lo sguardo dall'immagine sullo schermo visore. – Possiamo avere un contatto visivo con l'interno? – domandò Picard a Deelor, mentre la canzone veniva trasmessa all'altra nave. – No – replicò questi, scuotendo il capo. – Sembra che non abbiano l'equivalente della nostra tecnologia video, anche se il loro sistema audio è altamente sviluppato. 88 – Qualche commento, consigliere? – chiese quindi Picard, preferendo controllare un'altra fonte di informazioni. Deanna Troi svuotò la mente dei propri pensieri, filtrò le emozioni familiari dei compagni che la circondavano e studiò ciò che rimaneva. – Sento una presenza molto forte che oscura gli esseri individuali all'interno del vascello. È come se la nave stessa fosse un essere vivente, o forse un'estensione dei suoi abitanti. Ruthe terminò la sua musica e l'equipaggio Choraii rispose all'unisono restituendo il saluto. Quattro voci si unirono ad una ad una in una scala prima ascendente e poi discendente. L'Ambasciatore Deelor attese con pazienza che quelle presentazioni preliminari fossero completate, poi ordinò a Ruthe di confermare le condizioni stabilite per il precedente scambio; la donna tradusse le sue parole in una nuova forma melodica e attese. Picard udì alcune note dissonanti nella risposta dei Choraii, anche se non riuscì a capirne il significato... e l'espressione preoccupata apparsa sul viso di Riker indicava che anche lui aveva percepito il cambio di chiave. – Cos'è successo? – I Choraii vogliono più piombo. Cinque chili e mezzo, invece degli iniziali quattro – spiegò Ruthe, e guardò Deelor per ricevere le prossime istruzioni. – Niente da fare. Comunica che i termini sono stati stabiliti. Quattro chili in tutto e ricorda loro che il primo pagamento è già stato fatto. Mentre Ruthe procedeva alla traduzione dello Standard Federale di Deelor nel linguaggio dei Choraii, Picard si chiese se quel laborioso processo fosse una concessione fatta ai Choraii o piuttosto un tentativo di nascondere parti del negoziato all'equipaggio dell'Enterprise. Nonostante il suo atteggiamento nei confronti di Deelor fosse cambiato nell'ultima ora, e lui si sentisse adesso più incline a fidarsi dell'ambasciatore, non c'era infatti ancora alcun modo per confermare l'accuratezza delle traduzioni di Ruthe. Picard sapeva che Data stava facendo progressi con il computer linguistico, ma i risultati finora ottenuti non erano sufficienti per seguire quel complesso scambio di mercanzia. La dissonanza nella trasmissione della Si Bemolle aumentò. Ruthe ascoltò e alla fine scosse il capo. – I Choraii dicono che questa è una nuova nave, perciò vogliono un nuovo contratto. – Sono d'accordo – annuì enfaticamente Deelor. – Un chilo e mezzo per 89 il prigioniero, visto che l'Enterprise è una nave più forte della Ferrel e li ha già sconfitti in battaglia... sempre che non preferiscano combattere ancora e fissare il nuovo prezzo al termine dello scontro. Picard si schiarì la gola ma non si oppose alla sfida lanciata da Deelor perché aveva acconsentito a lasciare che fosse lui a gestire quella parte della missione; il suo disagio non passò però inosservato. – I Choraii rispettano chi tratta senza mostrare debolezze – gli spiegò Deelor, in disparte. – Inoltre meno metallo riceveranno e prima saranno pronti a barattare altri prigionieri. Intanto Ruthe doveva essere riuscita a comunicare agli alieni la determinazione di Deelor. – Accettano il prezzo originale – annunciò infatti, a conclusione di un'altra canzone, – e sono pronti a discutere le procedure di scambio. – Il prigioniero dovrà essere consegnato per primo. Fino a quel momento la traduttrice si era limitata a ripetere le frasi di Deelor senza commenti, ma questa volta azzardò un'opinione. – Si aspetteranno una garanzia. – Nessuna garanzia – ribatté lui, con fermezza. – Se la sono giocata con le loro azioni contro la Ferrel. Dovranno accettare le mie condizioni o non se ne farà niente. Scrollando le spalle, Ruthe si portò il flauto alle labbra e ne trasse uno staccato di note discordi. – Rilassatevi – consigliò Deelor al capitano e a Riker, appoggiandosi allo schienale della poltrona. – Questa volta ci vorrà un po' più di tempo. – Cosa è successo con la Ferrel? – domandò Picard a bassa voce. Si aspettava che l'ambasciatore eludesse la domanda, ma con sua sorpresa ricevette una risposta pronta e diretta. – Abbiamo teletrasportato metà del piombo richiesto a titolo di garanzia, e la Si Bemolle si è allontanata più veloce di un lampo – spiegò Deelor, accigliandosi nel ripensare al risultato di quell'azione. – A quel punto avete tentato di trattenerla con un raggio traente, esaurendo le vostre riserve di energia – suggerì Data, – o almeno questa è la teoria che ho formulato basandomi sui dati disponibili. È corretta? Deelor rimase in silenzio per un minuto, rimuginando sulla congettura del timoniere, mentre la musica di Ruthe galleggiava nell'aria intorno a loro. – Sì – ammise infine. – Quando ci hanno colpiti con la matrice energetica eravamo ormai troppo deboli per liberarci o anche solo per 90 attivare i phaser. La canzone della traduttrice terminò e lei abbassò il flauto. – Sono molto irritati per le tue condizioni. – I Choraii hanno chiuso il loro canale di comunicazione – annunciò Yar, controllando la sua consolle. – Ma non si stanno allontanando – rifletté Deelor, pensoso. – Aspetteremo. – Dannazione! – esclamò Beverly Crusher, quando ebbe finito di leggere il rapporto su Hamlin. – E ancora dannazione! Recuperò la cassetta-dati, eliminando tutti i documenti segreti dal computer medico, e pensò a quello che aveva appena letto: gli sviluppi avrebbero dovuto apparire ovvi ad un dottore ed era furente con se stessa per non aver saputo spingere lo sguardo abbastanza avanti da arrivare da sola alle dovute conclusioni... invece la sua preoccupazione si era limitata alle sole condizioni mediche dei bambini di Hamlin. Ancora quel nome sbagliato! Data aveva sottolineato che non erano più bambini, ma l'immagine continuava a persistere. Ancora intenta ad assorbire le implicazioni delle nuove informazioni, Crusher si diresse in plancia; aveva sentito il brivido che aveva percorso la nave quando l'Enterprise era uscita dalla curvatura e sapeva che questo significava che i negoziati per riavere i prigionieri della Si Bemolle dovevano essere iniziati. Si era aspettata di trovare la plancia pervasa di musica e non immersa in un fragile silenzio che attirò sul suo ingresso l'attenzione dell'intero equipaggio; in preda ad un imbarazzo che non le era abituale, percorse la breve distanza che separava il turboascensore dalle poltrone di comando. Dal momento che tutti i posti erano occupati, fu costretta a rimanere in piedi accanto a Ruthe, e questo la fece sentire ancora più in vista. – Ha finito il lavoro, dottoressa? – chiese Deelor. – Sì – rispose lei, infilando con violenza le mani nelle tasche della sua giacca medica per reprimere l'impulso ad abbassare la voce mentre aggiungeva: – Una lettura molto interessante. Fortunatamente, l'attenzione del capitano era concentrata sul visore e lui era troppo distratto per analizzare il significato di quel commento, che la dottoressa non era peraltro impaziente di chiarire di fronte a tanta gente. Anche lei si unì quindi al vigile silenzio. – È in arrivo una trasmissione dai Choraii – annunciò infine Yar, e passò 91 il messaggio sugli altoparlanti. La dissonanza nella loro musica era adesso in sordina, ma lo era anche la melodia. – Sono d'accordo – tradusse Ruthe, dopo aver ascoltato con attenzione i cantanti Choraii, – ma la decisione non è stata unanime. Suggerisco di procedere velocemente, prima che la loro discordanza aumenti. – In quel momento un'altra voce la interruppe con uno stridente assolo e un istante più tardi lei aggiunse: – Uno di loro ci avverte che se l'Enterprise cercherà di fuggire, ci saranno immediate rappresaglie. – È ovvio – sorrise Deelor, segnalando a Ruthe di utilizzare di nuovo il flauto. – Riferisci che ci sentiremmo disonorati se loro non reagissero. La traduttrice trasmise quell'emozione con un brano vivace e quasi impudente a cui tutti e quattro i Choraii fecero eco nella loro risposta. – Li hai divertiti e gli è piaciuto. Stai attento, o vorranno mercanteggiare per avere te. – Non potrebbero mai pagare il mio prezzo – ribatté Deelor, alzandosi in piedi di scatto. – Signor Riker, può preparare il piombo per la spedizione mentre Ruthe si teletrasporta sulla nave Choraii. – È realmente necessario un contatto diretto? – domandò Picard, allarmato. – La densa struttura organica della Si Bemolle rende molto difficile ottenere una esatta lettura di vita organica – intervenne Data, risparmiando all'ambasciatore il fastidio di dover rispondere. – I miei sensori non sono capaci di determinare le coordinate per il teletrasporto del prigioniero umano. – La mia squadra di ricognizione è a sua disposizione, ambasciatore – propose Riker, alzandosi in piedi. – Possiamo teletrasportarci con... – Voi statene fuori – esplose Ruthe. – Non voglio il vostro aiuto. – La ringrazio per l'offerta, Signor Riker – si affrettò ad interloquire Deelor, – ma temo che la vostra squadra non sia addestrata per l'esplorazione di una nave Choraii. L'interno non è pericoloso – proseguì, rivolto al capitano, – ma si deve respirare la materia liquida che costituisce l'atmosfera della nave, e d'altro canto indossare qualsiasi tuta di protezione che coprisse il vostro fisico sarebbe considerato dai Choraii un grave insulto e un segno di inganno. Notando che Picard appariva ancora dubbioso, la Dottoressa Crusher si unì alla discussione. – Secondo le registrazioni mediche, il fluido è ricco di ossigeno e quindi respirabile... non si potrebbe affogare neppure se i polmoni ne fossero 92 pieni... ma l'esperienza sarebbe uno shock per una specie che respira aria, come noi. – Comunque, capitano – interloquì Deelor, – vorrei che ci fosse una squadra di riserva in caso di guai. Permette al Signor Riker e al Tenente Yar di accompagnare Ruthe nella sala teletrasporto? – Certamente – acconsentì Picard con un sorriso ironico, e in tono tanto sommesso che soltanto Crusher lo sentì aggiunse: – Di solito non si preoccupa di chiedere. – Naturalmente servirà anche la Dottoressa Crusher – continuò Deelor, con un accenno d'inchino, – per fornire le migliori cure mediche. – Muoviamoci, i Choraii stanno aspettando – esclamò Ruthe, e si avviò con impazienza verso il turboascensore. Beverly Crusher la seguì con riluttanza, pensando che non aveva ancora avuto l'opportunità di discutere i rapporti medici relativi ad Hamlin con il Capitano Picard... ma del resto non tutto di ciò che aveva letto poteva essergli riferito. La preparazione di Ruthe per salire sulla nave Choraii fu semplice: consegnò il flauto al Tenente Yar e lasciò cadere sui gradini della piattaforma del teletrasporto il mantello grigio che indossava sempre: sotto di esso portava un emblema-comunicatore appeso al collo con una catenella... e niente altro. Salita sulla piattaforma circolare, attese senza scomporsi il proprio trasferimento mentre Riker stabiliva un codice di comunicazione, sforzandosi di imitare l'indifferenza di lei senza riuscirci del tutto. – Un trillo significa che vuole ritornare immediatamente sull'Enterprise, mentre se sentiremo due segnali la nostra squadra verrà a darle man forte sulla Si Bemolle. – Non sarà necessario – replicò Ruthe, calma. – Evitiamo ulteriori ritardi, Signor Riker. Il primo ufficiale si allontanò dalla piattaforma e rivolse un cenno a Tasha Yar. Come capo della Sicurezza la giovane tenente supervisionava tutte le procedure che avevano ripercussioni sulle difese della nave, e azionare il teletrasporto significava abbassare per qualche momento gli scudi dell'Enterprise, cosa che Yar aveva imparato a fare limitando al minimo la finestra di vulnerabilità. Non appena il tenente attivò i controlli del teletrasporto, un gemito acuto riempì la stanza e Ruthe scomparve in uno sfarfallio di luce. 93 Ora che la prima fase dello scambio era cominciata, Riker e Yar prepararono immediatamente la seconda: la Dottoressa Crusher osservò i due ufficiali sollevare lingotti di piombo da una piccola scatola e ammassarli ordinatamente sulla piattaforma vicino all'area lasciata libera da Ruthe. – Il pagamento è pronto – annunciò infine Riker, appoggiando sulla pila l'ultimo lingotto. – Sì – mormorò Crusher, con espressione preoccupata. – Ma chi stiamo comprando? Il ritmo lento del rituale di saluto dei Choraii aveva preparato l'equipaggio dell'Enterprise ad un'altra attesa prolungata durante il contatto, ma quella consapevolezza non servì comunque ad attenuarne la tensione. La conversazione in plancia divenne sempre più saltuaria fino a interrompersi del tutto mentre due ore scorrevano lente senza che la traduttrice trasmettesse alcun segnale. Riker fu il primo a chiedersi il perché del ritardo. – Suggerisco di teletrasportarci a bordo per cercarla – propose, contattando la plancia attraverso l'interfono. – Assolutamente no – replicò Deelor. – Ruthe è già stata a bordo di navi Choraii in precedenza... sa cosa sta facendo. Attenderemo il suo segnale. – Potrebbe essere nei guai. – Sono io al comando della missione, Signor Riker – esclamò l'ambasciatore, abbandonando ogni parvenza di cortesia, e interruppe il contatto toccando bruscamente l'emblema appuntato sul petto. – La sua preoccupazione è naturale – sottolineò Picard, prendendo le difese del suo primo ufficiale. – Queste cose richiedono tempo – dichiarò Deelor, fissando l'immagine della Si Bemolle sul visore. – Non possiamo mettere fretta ai Choraii. – Evidentemente no – convenne Picard, massaggiandosi la nuca, consapevole che quell'attesa aveva logorato i nervi di tutti, anche i suoi. – Consigliere Troi? Deanna scosse la testa con frustrazione. – Non sento alcun pericolo, ma le impressioni che percepisco sulla nave sono ancora molto offuscate. Del resto, non sono mai riuscita a recepire le emozioni di Ruthe neanche da vicino. – Signor Data, che cosa può determinare mediante il comunicatore della traduttrice? 94 – Sembra che stia esplorando la nave. Ho tracciato il suo percorso attraverso la maggior parte delle sfere del grappolo. – E il prigioniero di Hamlin? – Anche lui è presente – confermò Data, aggrottando la fronte. – Comunque, le correnti e i mulinelli dell'atmosfera disturbano le letture dei sensori, tanto che sto registrando strani echi nelle letture di certi segni di vita. – Può compensare? – domandò Picard. – La complessità del problema costituisce una vera e propria sfida, ma tenterò di ricalibrare gli strumenti in modo da tenere conto della viscosità e delle densità. Se il mio logaritmo di controllo viene aumentato di... – Grazie, Signor Data. Non è necessaria una spiegazione dettagliata. – Sissignore – sospirò l'androide, e continuò il suo lavoro in silenzio. Alla fine della terza ora, il Tenente Yar registrò un singolo segnale dal comunicatore di Ruthe. – Dobbiamo teletrasportare una o due persone? – chiese Riker. – Non sono in grado di stabilirlo – rispose Yar. – Le letture della zona sono molto disturbate. – Inserì quindi le coordinate di provenienza nei comandi del sistema e approntò un raggio ampio che potesse agganciare Ruthe e un suo eventuale compagno. Mentre il lampo dell'energia del teletrasporto riempiva la stanza, la Dottoressa Crusher allungò automaticamente la mano verso il medi-kit che portava alla cintura. Il corpo di Ruthe tremolò sulla piattaforma e si solidificò: la sua pelle nuda luccicava per l'umidità e un fiotto di liquido le uscì dal naso quando esalò dai polmoni l'atmosfera dei Choraii. Tra le braccia aveva un bambino. Soltanto una persona era preparata a quella vista. La Dottoressa Crusher raggiunse immediatamente i due e sottrasse il bambino alla stretta indifferente della traduttrice, poi premette con gentile fermezza il palmo della mano contro il petto del piccolo, sotto la cassa toracica. Il bambino sputò tossendo il fluido che gli riempiva i polmoni e trasse annaspando la sua prima boccata d'aria, scoppiando a piangere pochi secondi più tardi. – È meglio avvertire il capitano – consigliò Crusher a Riker, quindi avvolse il bambino piangente in una coperta e si affrettò a raggiungere l'infermeria. – Un bambino? – tuonò Picard, quando Riker ebbe completato il suo 95 rapporto dall'interfono, poi si rivolse a Deelor, ancora seduto al suo fianco. – Era al corrente di questo fatto, ambasciatore? – Non in questo caso – negò Deelor, abbassando la voce, – ma abbiamo recuperato altri discendenti del gruppo originale di Hamlin. – Un fatto che si è dimenticato di comunicarci durante la riunione – sottolineò Picard, senza accennare a parlare più sommessamente. – E questo aumenta la complessità dell'intera faccenda. Il massacro di Hamlin è ancora un episodio che tocca corde sensibili nella Federazione, anche dopo cinquant'anni, e il fatto che gli Umani prigionieri dei Choraii stiano aumentando di numero può soltanto infiammare ulteriormente gli animi. – Ne sono perfettamente consapevole, capitano, ma questo non è certo il posto o il momento per discutere della cosa – gli fece notare Deelor, scrutandosi intorno con nervosismo. – Proprio per le ragioni che ha appena esposto, speravo che quest'aspetto del progetto Hamlin restasse ristretto ad un limitato numero di persone. – Io mi fido della discrezione del mio equipaggio – scattò Picard. – ma non posso assolutamente dire altrettanto per... – Capitano – chiamò Troi, che aveva occupato il posto di Riker, obbligando Picard a distogliere l'attenzione da Deelor. – Col suo permesso, vorrei offrire la mia assistenza alla Dottoressa Crusher. Non sono stata di molto aiuto nei rapporti con i Choraii, ma sono certa di poter dare una mano con il prigioniero. Picard acconsentì alla richiesta del consigliere con un breve cenno della testa e Troi lasciò la poltrona per dirigersi al turboascensore di prua; quando le porte si aprirono, si mise da parte per lasciar passare Ruthe. – Come sta il bambino? – le chiese con ansia. – Piuttosto bene, suppongo – riferì la traduttrice con una scrollata di spalle, prima che Troi fosse condotta via dal turboascensore, poi raggiunse il centro della plancia con passo tranquillo. I suoi capelli erano ancora bagnati per l'immersione nell'atmosfera della nave Choraii, e minuscoli rivoli di fluido le scendevano lungo il collo, scurendo le spalle del mantello. Teneva con attenzione il flauto di legno lontano dai vestiti bagnati. – Perché non ci ha detto del bambino? – domandò Picard. – Lo scambio prevedeva la restituzione di un prigioniero... l'età non era un fattore rilevante – replicò Ruthe, sedendosi sulla poltrona lasciata libera da Troi. – Il piombo è già stato teletrasportato? I Choraii vorranno sentire una canzone di addio. 96 – Il Tenente Yar teletrasporterà il materiale appena l'ambasciatore ci ordinerà di farlo – rispose Picard, scuotendo il capo. – Noi abbiamo aspettato pazientemente i comodi dei Choraii, quindi ora saranno loro ad aspettare finché non avremo controllato la condizione della merce – sentenziò Deelor, appoggiandosi allo schienale e allungando le gambe sul ponte incrociandole all'altezza delle caviglie. – E cosa faremo se il bambino risulterà danneggiato? Lo restituiremo? – domandò in tono aspro Picard. – No, ma potrei pretendere una riduzione del prezzo. – Il suo umorismo è offensivo. – Non stavo cercando di essere divertente – precisò Deelor. – Sto solo vedendo la situazione dal punto di vista dei Choraii. Dovrebbe imparare ad essere più obiettivo anche lei, capitano. Picard strinse i denti e lasciò passare diversi secondi prima di attivare il suo comunicatore. – Picard a Crusher. Per favore vorrei un rapporto sul bambino di Hamlin. – Maschio, approssimativamente due anni d'età. I suoi polmoni stanno sopportando bene la transizione ad un'atmosfera di ossigeno – rispose la dottoressa, alla cui voce faceva da sottofondo un pianto lamentoso. – I risultati dei miei esami non sono ancora completi, ma sembra che il bambino sia in condizioni fisiche eccellenti. È stato trattato molto bene. – È ovvio che è stato trattato bene – commentò Ruthe, dopo che la Crusher ebbe concluso la sua valutazione. – Gli Umani hanno molto valore per i Choraii. – Valore? Come schiavi? – domandò Picard. – Gli Umani non vengono mai utilizzati per il lavoro fisico – lo corresse Ruthe, scuotendo il capo. – Essi... hanno una funzione simbolica. Il regalo di un bambino da una nave ad un'altra cementa i legami di amicizia all'interno del grappolo. Perché il legame venga onorato, il bambino deve venire trattato con gentilezza e considerazione. – La distinzione fra un animale domestico coccolato e uno schiavo è molto labile – osservò Picard, con voce nuovamente tesa. – Entrambe le cose sono parimenti umilianti. – Vogliamo rimandare ad un'altra occasione il dibattito sull'aspetto etico della questione? – suggerì Deelor, con un profondo sospiro, poi incrociò le braccia sul petto e sfiorò con un dito il comunicatore di metallo. – Deelor a sala teletrasporto. Procedete allo scambio. Le tre persone sedute sulle poltrone di comando fissarono l'immagine 97 della nave Choraii sullo schermo principale e attesero che l'affare giungesse a conclusione in un assoluto silenzio infranto soltanto dal ronzio che proveniva dalla consolle operativa di Data, le cui mani si muovevano sul pannello con velocità e senza un istante di pausa. – Riker a capitano. Il piombo è stato consegnato. Ad un cenno dell'ambasciatore, Ruthe prese il flauto e intonò una melodia libera e senza costruzione mentre la Si Bemolle cominciava ad allontanarsi lentamente sulle note di quel canto d'addio. Deelor osservò con occhi socchiusi la nave che se ne andava e bloccò con un cenno imperioso Picard quando questi accennò a muoversi, sussurrando: – Ascolti. Il capitano si alzò dalla poltrona di comando e raggiunse la consolle del timone per impartire l'ordine a bassa voce. – Signor Data, inserisca la rotta per New Oregon. Data usò una mano per immettere le coordinate di rotta, mentre con l'altra continuò a manovrare i sensori per registrare i dati della nave Choraii che si allontanava. – Signor La Forge, si prepari ad entrare in curvatura. – Capitano, aspetti – intervenne improvvisamente Data, alzando lo sguardo dalla sua consolle. – Le letture dei miei sensori non erano errate dopo tutto. C'è un segnale debole ma inconfondibile che indica la presenza di un altro Umano a bordo della nave Choraii. X. Il Capitano Picard stava passeggiando nervosamente per il ponte della sala d'osservazione, girando intorno al tavolo delle conferenze e alle tre persone che vi erano sedute intorno. – Data ha tracciato il suo percorso attraverso ogni sfera della Si Bemolle – esclamò infine, fermandosi di fronte a Ruthe. – Lei sapeva che c'era un altro Umano a bordo. – Sì – ammise la donna, sulla difensiva. – Lui però non conta perché è troppo vecchio per essere riportato indietro. – E chi è lei per poter formulare tale giudizio? – ritorse Picard, poi spostò la propria attenzione su Deelor, che sedeva accanto alla traduttrice, e aggiunse: – O forse la decisione è stata sua? – Non ne sapevo niente – negò Deelor. – La politica della Federazione è 98 molto chiara in proposito: tutti i superstiti di Hamlin devono essere recuperati. – Ho parlato con Jason – interloquì Ruthe. – Gli ho chiesto se voleva venire con me e il bambino, ma il pensiero di lasciare i Choraii lo spaventava. È stato con loro per troppo tempo per desiderare un'altra vita. Picard si fermò di colpo e si sedette al tavolo. – È ovvio, e avrei dovuto rendermene conto... è naturale per i prigionieri essere confusi dalla nostra apparizione, ma si potrebbe aiutare quell'uomo a riabituarsi al suo ambiente natale. Non possiamo abbandonarlo solo perché ha paura. Ruthe scosse il capo, per nulla persuasa dalle sue argomentazioni. – Digli che cosa è successo – chiese a Deelor. – Fa' in modo che capiscano. L'ambasciatore non replicò e fissò invece la lucida superficie del tavolo come se sperasse di scorgere in essa una risposta che però non trovò. – Per favore – lo implorò Ruthe, sempre più ansiosa a causa del suo silenzio. L'ambasciatore sussultò nel sentire quelle due semplici parole che Ruthe usava di rado e alzò la testa, rivolgendosi però esclusivamente a Picard. – La politica ufficiale della Federazione impone il recupero di tutti i sopravvissuti di Hamlin. – No! – urlò Ruthe, mentre il risentimento alterava il suo viso solitamente privo di ogni emozione. – È uno spreco... Jason morirebbe, muoiono tutti. – È vero questo? – chiese Picard. Di nuovo Deelor non rispose, e fu la Dottoressa Crusher a dare una risposta alla domanda del capitano. – Dei cinque prigionieri di Hamlin comprati dai Ferengi, tutti e tre gli adulti sono morti. Solo i due bambini sono sopravvissuti. – Capisco – mormorò Picard, pronunciando la parola come se contenesse una sorta di minaccia, turbato tanto dalla conoscenza dell'evento in sé quanto dal fatto che la dottoressa ne fosse al corrente. – Come mai non ne sono stato informato prima? – Mi dispiace, ma ho ricevuto i documenti al riguardo solo poche ore fa... Picard accantonò quelle scuse con un cenno della mano perché sapeva bene di chi fosse la colpa: «Divide et impera» sembrava essere una delle massime preferite da Deelor. – Continui, dottoressa. 99 – La causa esatta della morte è diversa per ogni caso, ma lo stress emotivo è stato senz'altro un fattore determinante nel deterioramento del fisico: uno è morto per un attacco cardiaco, il secondo di polmonite e il terzo... – concluse Crusher con un profondo sospiro... – Il terzo si è suicidato. – Alla luce dei fatti, quindi quali sono le sue raccomandazioni mediche? – domandò Picard chiedendosi se la decisione sulle azioni future sarebbe spettata o meno a lui... dal momento dell'annuncio di Data in plancia Deelor aveva infatti abbandonato ogni pretesa di autorità. – Quell'uomo vivrebbe se lo portassimo con noi? – Non posso prevedere quale sarà il risultato basandomi soltanto su tre casi – protestò la dottoressa. – È un campione troppo ristretto per trarne qualsiasi conclusione valida. Inoltre non c'è modo di sapere quale influenza abbiano avuto i Ferengi sulle loro condizioni finali. – Ferengi o Umani, non capite che è lo stesso? Questo posto è troppo differente da una nave Choraii. Lasciatelo stare – insistette Ruthe. – Non possiamo – replicò Deelor, in tono quieto. – La decisione è già stata presa a livelli più alti. Non abbiamo altra scelta che trattare per il loro ultimo prigioniero. – Io non tradurrò niente – affermò Ruthe, testardamente. – Ma i Choraii possono parlare lo Standard Federale – sottolineò Picard, cogliendo di sorpresa sia Ruthe che Deelor. – Ruthe ha detto al mio primo ufficiale che hanno imparato il nostro linguaggio dai bambini. – Sì, è vero – confermò Deelor, con un riluttante cenno del capo. – Comunque la nostra forma di linguaggio tende a ostacolare le comunicazioni perché l'asprezza dei suoni mette i Choraii sulla difensiva. – Non abbiamo altra scelta che provare – replicò Picard, e quando Deelor non lo contraddisse tentò ancora una volta di smuovere Ruthe, aggiungendo: – Sicuramente lo capisce anche lei, vero? – No, non lo capisco... e non vi aiuterò – ribatté la donna, e con quell'ultima protesta lasciò di corsa la stanza. I suoni non viaggiano attraverso il vuoto dello spazio, ma gli istinti forgiati da un'evoluzione avvenuta sulla superficie di un pianeta sono difficili da estinguere; di conseguenza, mentre l'Enterprise tallonava la Si Bemolle, i membri dell'equipaggio della plancia assunsero inconsciamente l'atteggiamento del predatore che sta braccando la sua preda, parlando solo se necessario e muovendosi con passi silenziosi sul pavimento coperto di 100 moquette. Persino i motori, ridotti a velocità di impulso, avevano un suono più sommesso mentre la grande nave adeguava la propria velocità al lento procedere del vascello Choraii che intonava la sua canzone privata fatta di sogni alieni. Data aveva stabilito che c'era una relazione tra l'andamento a spirale della nave e le note del suo linguaggio, ma il significato di quella relazione era ancora al di là della sua comprensione; forse Ruthe avrebbe potuto decifrarlo, ma la traduttrice non era più tornata in plancia. – Rapporto sulla situazione, Numero Uno – domandò il capitano, attraversando senza far rumore il centro della plancia e parlando a bassa voce per adattarsi all'ambiente soffuso. – La Si Bemolle si sta muovendo con lentezza – rispose Riker, con voce ugualmente bassa. – Ci stiamo mantenendo appena entro il raggio dei sensori in modo che la nostra presenza non sia registrata. – Ruthe si rifiuta di aiutarci a richiamarli indietro, quindi dovremmo chiamarli noi – rifletté Picard, evitando qualsiasi commento su quel rifiuto di collaborare da parte della donna. – Per farlo potrebbe essere necessario un trucco... e credo che Data possa fornirci ciò che serve – suggerì Riker, guardando in direzione dell'androide che annuì. – Ruthe ha suonato per me una versione del saluto nella sala ricreazione e Data è riuscito a registrarla con il registratore vocale dell'ambasciatore. Dal momento che i Choraii non hanno mai sentito questa canzone in precedenza, forse penseranno che sia lei in persona a suonare. – Eccellente – esclamò Picard. Data si allontanò dalla postazione operativa per consegnare il registratore vocale al Tenente Yar e per istruirla sul suo funzionamento. – Il saluto è pronto. Potremo cominciare la trasmissione non appena saremo entro il raggio di comunicazione. – Lei è un uomo molto persuasivo, Signor Riker – osservò Deelor, sedendosi vicino al comandante. – Tutte le donne giovani cadono ai suoi piedi vittime del suo fascino untuoso, oppure succede solo a quelle troppo fiduciose, come Ruthe? Riker serrò la mascella, ma non rispose. – Avviciniamoci alla Si Bemolle, Signor La Forge. Manteniamo velocità di impulso, ma voglio che siate pronti ad aumentare la curvatura al mio ordine – avvertì Picard. – Abbiamo raggiunto la distanza di comunicazione. Cominciamo a trasmettere il saluto di Ruthe – annunciò il Tenente Yar. 101 La Si Bemolle rispose alla melodia del flauto volando verso l'Enterprise con una rotta irregolare; il grappolo di bolle divenne sempre più largo sul visore e come in precedenza le voci Choraii risposero con una loro melodia, poi zittirono aspettando che Ruthe spiegasse perché erano stati chiamati di nuovo. – Ambasciatore, vuole parlare lei ai Choraii o lo faccio io? – volle sapere Picard. Deelor si riprese dalla specie di trance in cui era caduto fissando il visore... i suoi modi agitati erano scomparsi. – Parlerò io con loro. Mentre la consueta animazione tornava ad affiorargli sul volto, l'ambasciatore si alzò, trasse un profondo respiro e rispose ai Choraii con una singola nota sostenuta: il Si bemolle che dava il nome alla nave. Nell'ascoltarlo, Picard pensò che la sua voce tenorile era incredibilmente buona. – Chi sei? – chiese la voce tremolante di un singolo Choraii, filtrata attraverso l'atmosfera liquida della nave aliena, pronunciando quelle parole sulla base di una cadenza melodica che saliva e scendeva di tono e che ebbe sugli Umani che la sentivano l'effetto dell'affascinante richiamo di una sirena. – Io sono Deelor – si presentò l'ambasciatore, mantenendo soffice il tono di voce per attenuare la durezza della lingua in cui si esprimeva. – Dov'è l'altra? Perché non canta per noi? – È stanca e ha bisogno di riposo. Il mio discorso non è certo piacevole come le sue canzoni, ma volete ascoltarmi lo stesso? – Che cosa vuoi? – intervenne una seconda voce Choraii, sostituendosi alla prima. – Lo scambio ci ha fatto piacere. Vogliamo trattare di nuovo e darvi dell'altro piombo – spiegò Deelor. – Ma non possiamo pagarvelo. – Invece potete... – cominciò Deelor, si interruppe per un istante, e infine concluse: – Potete pagarcelo con l'altro Umano. Un discorde miscuglio di note scaturì attraverso il canale di trasmissione. Tutti e quattro i Choraii unirono la loro voce in un caos di suoni finché uno di loro non riconquistò il controllo della conversazione. – Niente scambio. Picard riconobbe la voce del quarto cantante, che si era opposto anche allo scambio del primo prigioniero. 102 – Vi offriamo qualunque metallo possa servirvi – insistette Deelor, adottando i modi persuasivi di un mercante. – Jason ci è stato regalato. Non è in vendita. – Ma il bambino lo era – sottolineò Deelor. – Perché non aveva ancora ricevuto un nome. Jason è diverso: ci piace troppo per rinunciare a lui. – Se volete bene a Jason, ce lo dovete restituire: dovrebbe poter vivere tra la sua gente. – Andatevene, selvaggi! – urlarono i Choraii, e quando Deelor cercò di rispondere glielo impedirono soffocando la sua voce con un grido congiunto: – Le tue note sono brutte. Non canteremo più con te. – Hanno interrotto il collegamento – annunciò il Tenente Yar. – Si allontanano a curvatura uno – aggiunse Data. L'ambasciatore guardò Picard per verificare le sue reazioni. – Se cerchiamo di fermarli, la sua nave potrebbe trovarsi in pericolo. – Sì, lo so – annuì il capitano, – ma abbiamo preparato qualche nuovo trucco per trattare con i Choraii. – Allora faccia tutto il possibile – acconsentì Deelor, lasciando il comando della nave a Picard come aveva promesso. – Io non interferirò. Di nuovo comandata da Picard, l'Enterprise si gettò all'inseguimento della nave aliena. Colti di sorpresa dall'improvvisa accelerazione del loro nemico, i Choraii cercarono di controbattere aumentando a loro volta la velocità, ma non riuscirono a farlo abbastanza in fretta da evitare i raggi traenti che si attaccarono a quattro delle loro bolle. – Raggi traenti agganciati – annunciò il Tenente Worf. La nave Choraii fu scossa da un brivido e si fermò, mentre una depressione si formava al centro del grappolo diventando sempre più profonda fino a trasformarsi in un anello, che prese ad allargarsi e ad assottigliarsi lungo i fianchi finché rimase soltanto una linea di sfere a delineare il cerchio. I quattro raggi traenti ruotarono all'unisono con le sfere in movimento, e rimasero saldamente aggrappati al rispettivo bersaglio individuale anche quando l'anello tornò velocemente a trasformarsi in un'altra struttura: due sfere si staccarono una dall'altra e si allontanarono, formando la lunga fila che aveva sovraccaricato il precedente raggio traente. – Come previsto non c'è aumento nel consumo d'energia – confermò Worf, soddisfatto che il suo modello teorico si fosse trasformato in un modello reale. 103 Picard segnalò a Yar di aprire una frequenza di chiamata con la nave aliena. – Parla il Capitano Jean-Luc Picard. Ripetiamo la nostra precedente richiesta: lasciateci trasportare Jason sull'Enterprise. Le bolle si raggrupparono nuovamente e si divisero ancora in modo da comporre una serie di forme geometriche... ma nessuna di quelle varianti fu in grado di scuotere la presa del raggio traente di Worf. Come ultima risorsa, una delle sfere intrappolate si staccò completamente dalle altre trascinando con sé il raggio, ma a Worf bastarono pochi secondi per cambiarne la direzione e agganciarlo ad un'altra sfera del grappolo. La manovra non si ripeté più. Le bolle si raggrupparono in una massa compatta, ma quando il Tenente Yar provò di nuovo a contattarla via radio, la Si Bemolle rimase silenziosa e immobile. – Non si arrendono facilmente – sospirò Riker. – Proveranno qualcos'altro, forse la matrice d'energia. – I nostri phaser li hanno scoraggiati dal tentare quella particolare tattica – replicò Picard, scuotendo il capo. – Ricordi inoltre che hanno già perso quattro sfere, una perdita che riduce la grandezza della loro nave. – E quindi il loro status – aggiunse Deelor. – Ogni nave comincia come un grappolo di tre o quattro bolle, e ne vengono aggiunte altre a mano a mano che l'equipaggio matura. Per quanto ne sappiamo, quelle bolle crescono letteralmente e quindi una nave più grande incute rispetto perché più anziana. – Cosa facciamo adesso? – domandò Riker – Come facciamo a... Il ponte della plancia subì un violento scossone che sballottò di qua e di là l'equipaggio, poi l'Allarme Giallo cominciò a suonare e Picard percepì il crescente lamento dei motori mentre gli indicatori di sovraccarico si accendevano su tutta la consolle di Worf. – Rapporto da tutte le postazioni! – gridò, afferrando i braccioli della poltrona per tenersi saldo. – Cosa sta succedendo? Geordi La Forge fu il primo a scoprire la causa di quel fenomeno. – La Si Bemolle sta cercando di liberarsi dal raggio traente usando i motori di curvatura. – Data, per quanto tempo possiamo trattenerli? – chiese Picard; intanto la plancia era tornata in piano, ma stava ancora vibrando per lo sforzo assordante dei motori che tentavano di mantenere la posizione della nave. – Impossibile dirlo: il tempo dipende dalla massima velocità che 104 possono raggiungere, che non è stata ancora misurata. – Fattore di curvatura nove punto nove – comunicò Deelor, poi sorrise ironicamente e aggiunse: – A proposito, questa è un'informazione segretissima. Data reclinò la testa da un lato con espressione astratta nel completare la necessaria equazione. – In questo caso le nostre riserve di energia si esauriranno tra quattordici punto sei minuti – decretò infine. Picard si alzò in piedi, cercando di tenersi in equilibrio nonostante il rollio del ponte. – Yar, si tenga pronta a far fuoco sui Choraii. – La potenza dei phaser è ridotta al quaranta per cento, capitano – avvertì il tenente. – Se deviamo l'energia ai phaser le nostre riserve si esauriranno in cinque punto due minuti – riferì Data, rielaborando rapidamente le cifre a sua disposizione. – Capitano, guardi! – esclamò Riker, indicando il visore principale: un globo violetto era apparso nel mezzo delle sfere arancioni della nave Choraii. – Dannazione! – imprecò Picard. – Vogliono colpirci con tutte le armi di cui dispongono. – Cosa facciamo ora, signore? – chiese Riker, voltandosi con aspettativa verso il capitano. – Worf, mantenga i raggi traenti – ordinò Picard, pensando alle possibili alternative. Poteva usare il neutralizzatore del campo d'energia inventato da Data, ma la sonda modificata non era mai stata sperimentata e se quella tattica fosse fallita la sua nave avrebbe potuto restare distrutta. Emesso un profondo sospiro, si servì del proprio comunicatore per trasmettere un secondo ordine: – A tutte le sezioni, prepararsi per una brusca accelerazione. Sala macchine, togliete potenza a... Improvvisamente ci fu un terribile picco di accelerazione in avanti: i Choraii si stavano allontanando, trascinandosi dietro la nave stellare Federale. Gli smorzatori inerziali assorbirono parte dello shock, ma non riuscirono ad eliminare il forte sobbalzo e Picard fu sbattuto sulla sua poltrona con una forza che gli mozzò il fiato in gola. Sul visore, le stelle si trasformarono in scie luminose. – Curvatura due – comunicò Data, che era riuscito a restare al timone grazie alla sua forte presa, anche se la stretta delle sue dita aveva 105 ammaccato il bordo del pannello operazioni. – Curvatura cinque – scandì un momento più tardi. Picard cercò di nuovo di parlare e riuscì ad emettere un rauco sussurro. – Rapporto danni. – Solo danni minori – replicò Riker, vagliando le informazioni a mano a mano che arrivavano in plancia. – Tutti i sistemi essenziali sono completamente operativi. – Curvatura nove – continuò Data. – Capitano, le armi sono di nuovo a piena potenza – informò Yar, concisa. – Infermeria a plancia – infuriò dall'interfono la voce della Dottoressa Crusher. – Cosa diavolo sta succedendo? Un preavviso di due secondi non è precisamente la mia idea di avvertimento. Sto ricevendo chiamate di soccorso da tutti i ponti. – Non adesso, Dottoressa Crusher – rispose Picard, che aveva finalmente ripreso a respirare liberamente, e chiuse la comunicazione con l'infermeria: il rapporto sui feriti avrebbe dovuto attendere un momento più tranquillo. – Tenente Yar, agganci i phaser su qualche bolla esterna, ma stia lontana da qualunque sfera con segni di vita. – Curvatura nove punto sette – avvertì Data. – Phaser agganciati e pronti – confermò Yar, dopo aver selezionato a caso una delle sfere vuote. – Fuoco! – esclamò Picard. Proprio come in precedenza, il bersaglio esplose al primo colpo e la sua atmosfera interna si riversò fuori dal guscio frantumato, mentre globuli di liquido si allontanavano nel vuoto dello spazio. Picard trattenne il respiro, attendendo la reazione del nemico. All'inizio non ci furono cambiamenti. Poi il ponte vacillò. – I Choraii stanno riducendo la velocità a curvatura otto – annunciò Data. – Curvatura sei. – Stanno rinunciando – esclamò Riker, con un sorriso d'ammirazione. – Ero certo che li avrebbe battuti. Anche il capitano sorrise, cercando di nascondere il proprio sollievo per il risultato della lotta mentre il conto di Data continuava di pari passo con il rallentare delle pulsazioni di Picard. – Selvaggi, basta così! Prendetevi Jason, ma smettetela di sparare! Il messaggio arrivò dalla Si Bemolle non appena questa si fu fermata del tutto. 106 – D'accordo – rispose l'ambasciatore, prima che Picard potesse replicare, riprendendo il controllo della missione ora che la nave aveva terminato la lotta. Deelor si girò quindi verso la parte poppiera della plancia e aggiunse: – Tenente Yar, si prepari a salire a bordo della nave Choraii. – Da sola? – chiese Yar, spalancando gli occhi. – Non ho nessuna intenzione di andare a bordo di persona, tenente – rispose Deelor, fissando il visore principale con evidente disagio. – I Choraii accettano di essere tenuti d'occhio durante uno scambio e io posso osservare meglio le loro azioni dalla plancia. – Chiedo il permesso di accompagnarla... – cominciò Riker, pronto a intervenire in difesa del membro della sua squadra di ricognizione. – Negato, comandante – rispose Deelor, in tono piatto. – Questa non è un'invasione, e se Ruthe riusciva a portare a termine le transazioni da sola, sono sicuro che il Tenente Yar non sarà da meno. Il capo della Sicurezza reagì proprio come Picard sapeva avrebbe reagito e come anche Deelor aveva previsto. – Salirò a bordo, signore. Se dovesse esserci qualche problema, segnalerò di mandare un rimpiazzo. – Signor Riker, Signor Data, accompagnate il tenente alla sala teletrasporto – ordinò il capitano, fornendo a Yar la sola protezione possibile. Mentre la cabina del turboascensore scendeva, Data descrisse nei dettagli la curiosa composizione dell'ambiente della nave Choraii, e Yar ascoltò con calma quei termini clinici che nulla potevano fare per combattere il suo terrore di andare sott'acqua. La sua tranquillità fu messa a dura prova appena raggiunsero la sala teletrasporto: la Dottoressa Crusher li stava aspettando e i consigli che le diede toccarono direttamente le sue paure. – Non lottare contro l'istinto che ti spinge a respirare. Esala quanta più aria puoi fuori dai polmoni e poi inala. – Il trasferimento avverrà a poche sfere da Jason – la rassicurò Data, prendendo il controllo della consolle del teletrasporto. – Questo le darà il tempo di adattarsi all'ambiente. – Andiamo, allora – tagliò corto Yar, salendo sulla piattaforma. Non voleva perdere tempo a rimuginare su quello che l'aspettava. Si materializzò nel calmo mare dell'atmosfera Choraii, e nonostante le istruzioni di Crusher trattenne immediatamente il respiro, lottando 107 istintivamente per trattenere l'aria nei polmoni. Fluttuando sul posto con piccoli movimenti delle mani e dei piedi, si concentrò quindi per orientarsi nell'ambiente alieno. Era sospesa in una sfera di circa dieci metri di diametro, una musica faceva eco tutt'attorno a lei e una luce rossiccia si irradiava dalle pareti, filtrando attraverso il liquido chiaro fino a raggiungere il centro del globo. Non riuscì a vedere nessuna apertura. Sapeva di poter trattenere il respiro ancora per qualche minuto, forse abbastanza a lungo per trovare una strada attraverso le sfere adiacenti e persino riportare il prigioniero sull'Enterprise. Questo se tutto fosse andato bene, altrimenti avrebbe dovuto comunque respirare, ed era quindi forse meglio farlo adesso, prima che la sua paura crescesse troppo e glielo impedisse. Velocemente espirò una fila di bolle d'aria, poi inalò. La sua mente fu oscurata momentaneamente dal panico mentre i polmoni le si riempivano di un liquido diluito e tiepido, ma contro tutte le sue aspettative non soffocò. Respirò ancora una volta, profondamente, e scoprì che il liquido le scorreva fuori e dentro il naso, più denso dell'aria ma altrettanto respirabile. Un vago profumo di cannella lo pervadeva. Con una bracciata a stile farfalla, si portò vicino al minuscolo cerchio che segnava l'intersezione tra due sfere. La membrana opaca era liscia e fredda al tocco. Yar premette il palmo della mano contro la membrana e sentì che la superficie cedeva un po', ma anche premendo più forte non riuscì a passare. Ricordandosi che Riker aveva fatto esplodere l'esterno delle sfere con un raggio molto concentrato, congiunse le mani come se volesse tuffarsi e questa volta passò facilmente: un bel colpo di piedi la spedì completamente dall'altra parte. La sfera era vuota, ma quella successiva non lo era. C'era un uomo, sospeso con gli occhi chiusi e rapito dall'ascolto della ninna nanna dei Choraii che riverberava nella stanza. L'ingresso di Yar smosse il liquido interno e una corrente toccò la pelle nuda di Jason, avvisandolo della sua presenza. Yar si era aspettata che nel vedere una sconosciuta l'uomo sarebbe fuggito, invece nuotò verso di lei con curiosità e fiducia. Era difficile determinare la sua età: era pasciuto, con il viso liscio e senza rughe di un bambino, ma i suoi capelli scuri erano già segnati d'argento. Quando la raggiunse, Yar dette il segnale all'Enterprise. L'abbraccio del liquido tiepido cedette il posto al morso aspro dell'aria e il suo corpo fu trascinato al suolo, di nuovo oppresso dal peso della gravità. Non era preparata per lo shock della transizione e una luce bianca 108 le accecò gli occhi. Cercando di respirare, cadde in ginocchio sulla piattaforma del teletrasporto e tossì convulsamente mentre il fluido e l'aria le si mischiavano nei polmoni. Dopo pochi secondi, svenne. XI. La chiamata della Dottoressa Crusher mise in allarme l'intero dipartimento medico: seguendo le sue istruzioni affrettate, un gruppo di paramedici e di infermiere si preparò a ricevere i nuovi pazienti provenienti dalla sala teletrasporto. Data fu il primo ad arrivare, attraversando di corsa le porte dell'infermeria con il corpo inerte di Tasha Yar fra le braccia. Il tenente era caduto in avanti dalla piattaforma del teletrasporto finendo direttamente tra le sue braccia, e lui aveva preferito trasportarlo personalmente piuttosto che attendere l'arrivo di una barella. – Per di qua – avvertì un paramedico in attesa, indicando un lettino vuoto su cui l'androide adagiò la donna. – Un incidente di nuoto? – chiese un'infermiera, notando l'uniforme completamente bagnata e i suoi capelli appiccicati alla testa. – Le letture si avvicinano alla normalità e non c'è acqua nei polmoni – proseguì poi, troppo impegnata a controllare una lettura diagnostica per accorgersi che Data non le aveva risposto. – Tathwell, voglio un'analisi chimica di quel liquido – ansimò Crusher, raggiungendoli. Poteva sentire l'odore della cannella che pervadeva ancora la pelle e i vestiti di Yar e sapeva che quando Ruthe e il bambino erano tornati sull'Enterprise l'atmosfera dei Choraii non aveva avuto quest'odore. Riker fu l'ultimo ad entrare in infermeria e a consegnare il suo fardello ai medici. Sebbene Data si fosse offerto di portare sia Yar che Jason, Riker aveva rifiutato e lo sforzo di mantenere l'andatura dell'androide lo aveva sfinito. – Se ha bisogno di iperventilazione, vada a farla da un'altra parte – ingiunse la dottoressa, spingendo di lato il primo ufficiale per poter vedere i risultati delle letture su Jason. – Non posso occuparmi di più di un paziente alla volta. Troppo affannato per replicare, Riker lasciò che fosse Data ad informarsi delle condizioni di Yar e Jason. – Sono stabili – replicò lei. Come il bambino prigioniero, anche Jason 109 era caduto in uno stato confusionale appena teletrasportato a bordo, e l'unico rimedio che aveva trovato Crusher era stato quello di somministrargli un sedativo; quando aveva poi trovato il tempo di rivolgere la sua attenzione a Yar, lei era già svenuta. – Il capitano si aspetta di conoscere la prognosi per il loro recupero – avvertì Riker, nuovamente in grado di parlare anche se ancora ansante dopo la fatica del trasporto di Jason. – Più tardi – ribadì bruscamente Crusher. – Dopo che avrò avuto l'occasione di esaminarli con maggiore attenzione. – Era troppo preoccupata a tenere sotto controllo i due pazienti per dare a Riker altra attenzione, e allontanò lui e Data dalla mente non appena uscirono dall'infermeria. – Dottoressa Crusher! – chiamò l'Infermiera Tathwell, quando i segni vitali di Yar indicarono che la ragazza stava riprendendo conoscenza. Il tenente si svegliò con un respiro strangolato, come se stesse lottando per respirare. – Tasha – chiamò Crusher, afferrando la donna per le spalle. – Sei di nuovo sull'Enterprise. La dottoressa non lasciò la presa e alla fine Yar cessò di lottare e i suoi occhi si misero a fuoco, anche se le pupille erano ancora dilatate. – Devo aver sognato... mi sembrava di annegare – spiegò Yar, con voce tremante. – È solo che non sei abituata a respirare un'atmosfera liquida – la rassicurò Crusher con un sorriso, allontanandole un ricciolo di capelli umidi dalla fronte. La ragazza respirava ancora affannosamente, ma le luci colorate del pannello diagnostico si erano stabilizzate e le sue condizioni fisiche erano buone anche se il recupero emotivo sarebbe durato un po' di più. – E lui? – chiese il tenente, indicando con la testa Jason, che era disteso su un tavolo diagnostico. – Sta bene? – Resterà privo di sensi finché dureranno gli effetti del sedativo – spiegò la dottoressa, facendo segno a due infermieri di portare Jason in un altro reparto per tenerlo continuamente sotto controllo, poi si voltò sentendo scattare un meccanismo metallico. Yar aveva alzato la copertura del lettino diagnostico e si stava alzando. – E tu dove credi di andare? – Sto bene adesso – insistette il tenente, aggrappandosi all'orlo del lettino per non cadere. – Devo tornare al mio posto. Crusher vide il pallore della donna lasciare il posto a un rossore 110 imbarazzato al pensiero che sarebbe potuta svenire e pensò che Yar sarebbe rimasta ancor più mortificata se avesse saputo che era stato Data a trasportarla in infermeria. – Sei stata sospesa dai tuoi doveri, Tasha, e voglio tenerti sotto osservazione medica per almeno ventiquattr'ore. – Ma sono stata svenuta solo pochi minuti. Conoscendo il temperamento testardo di Yar, la dottoressa non perse tempo con la persuasione gentile. – Tasha, se non torni subito a letto, sarò costretta a darti un sedativo! La minaccia mancava certo di stile, ma raggiunse il risultato sperato, dato che la Dottoressa Crusher non aveva intenzione di lasciar andare l'ufficiale finché tutti i possibili effetti deleteri dell'esposizione all'ambiente Choraii non fossero svaniti... e finché non fosse riuscita a spiegare l'aroma di cannella. – Il Tenente Yar è svenuto? – Sembra che avesse qualche difficoltà di respirazione, signore – confermò Data, con l'ovvia intenzione di rassicurare il capitano e di dirgli che il tentativo di salvataggio aveva avuto successo, ma la sua descrizione di ciò che era accaduto nella sala teletrasporto ebbe soltanto l'effetto di aumentare l'ansia di Picard. L'Ambasciatore Deelor, comunque, parve soddisfatto che sia il tenente sia il prigioniero fossero in infermeria. – Tenente Worf, apra un canale con la Si Bemolle – ordinò, tamburellando impazientemente con le dita mentre il Klingon guardava verso Picard per una conferma dell'ordine. – Ladri! – accusarono le voci dei Choraii, unite come una sola. – Non è stato uno scambio. – Be', vediamo se riesco a ricreare un po' dell'accordo che c'era in precedenza – sussurrò Deelor a Picard, alzando poi la voce per rispondere all'accusa dei Choraii. – Il piombo in più è sempre vostro. Ve lo offriamo in pagamento di ciò che abbiamo preso. – Tenetevi il vostro metallo, vogliamo solo che ci lasciate andare! Picard sentì la disarmonia delle loro voci e capì che il tentativo dell'ambasciatore era stato inutile. – Se tratteniamo ancora la loro nave i Choraii potrebbero riprendere a combattere – avvertì. – Molto bene – si arrese Deelor, dopo una breve pausa. 111 – Lasciateli. Un impassibile Tenente Worf tolse potenza ai raggi traenti e non appena i quattro cordoni ombelicali energetici si ritrassero, la Si Bemolle si allontanò alla massima velocità. L'intero equipaggio osservò affascinato il grappolo di bolle che rimpiccioliva sempre più fino a scomparire del tutto alla vista. – Stanno oltrepassando il limite dei sensori a lungo raggio... – annunciò Worf. – Sono scomparsi. Il confronto con i Choraii era finito improvvisamente com'era cominciato: l'Enterprise aveva vinto. Il Capitano Picard rifletté brevemente sul trionfo della propria nave, poi riportò la sua attenzione sulle necessità del presente spostando lo sguardo sull'ambasciatore. – Sono soltanto un passeggero, adesso – affermò Deelor, in risposta alla sua tacita domanda. – Può lasciarmi alla Base Stellare Dieci con Ruthe e con i sopravvissuti di Hamlin. – Dovrà aspettare finché non avremo portato i Coloni sul loro nuovo mondo. I nostri passeggeri hanno avuto anche troppa pazienza – lo corresse Picard, aspettandosi una protesta, ma Deelor si limitò a scrollare le spalle... quell'uomo aveva una incredibile abilità per capire su quali argomenti poteva fargli cambiare idea e su quali invece non valeva la pena neppure tentare. – Timoniere – ordinò quindi Picard, – inserire la rotta per New Oregon. Curvatura quattro. Data aveva però anticipato l'ordine, approntando le necessarie coordinate. – Rotta inserita, signore – confermò. Picard si rilassò sulla poltrona di comando, pensando che qualche giorno di calma sarebbe stato il benvenuto dopo i recenti tormenti. – Attivazione – ordinò. Geordi fece partire la nave, poi controllò una cifra sulla sua consolle. – Data, non può essere! – esclamò, girandosi subito dopo verso Picard: – Il tempo stimato di arrivo a New Oregon è di trentasei giorni. – Cosa?! – esplose il capitano, alzandosi di scatto dalla poltrona. – Signor Data, esigo una spiegazione. – Per l'esattezza trentasei giorni, cinque ore e dodici minuti – precisò Data, stupito dell'agitazione dei suoi compagni d'equipaggio, e spiegò: – La nave Choraii ci ha trascinato fuori rotta quando era agganciata ai raggi traenti. 112 – Sì, ma più di un mese? Il punto d'incontro originale si trovava soltanto a un giorno e mezzo di distanza da New Oregon! – protestò il capitano. – La Si Bemolle ha raggiunto una velocità massima di nove punto nove per parecchi secondi – confermò Data. – Posso mostrarle l'esatta relazione distanza/accelerazione... – Non sarà necessario, Signor Data – commentò il capitano sospirando al pensiero del prolungato contatto con l'Ambasciatore Deelor e con il centinaio di Coloni. – Signor La Forge, aumenti la velocità a curvatura sei. – Dodici giorni, dieci ore... – scandì Data, ricalcolando diligentemente il loro tempo di arrivo – Ho capito – tagliò corto Picard, interrompendolo. Il suo umore non era per niente migliorato sentendo la nuova scadenza d'arrivo, specialmente perché i Coloni avrebbero domandato una spiegazione del ritardo, e decise che questa volta sarebbe stato Riker a fornirla: uno dei privilegi del grado era quello di poter delegare a qualcun altro i compiti spiacevoli. Nessuno dei Coloni era rimasto ferito quando l'Enterprise era stata trascinata a gran velocità dalla nave Choraii. Allettati da ciò che i loro compagni avevano riferito in merito ai campi agricoli olografici, tutti i membri della comunità si erano assiepati sul ponte ologrammi per dare personalmente un'occhiata a quella meraviglia simulata e molti di essi stavano ancora esplorando i pascoli quando furono gettati sull'erba dall'improvviso sobbalzare del terreno sotto i loro piedi. Alcuni fra gli esploratori più intrepidi avevano raggiunto il gruppo di edifici in legno, ma lo spesso strato di fieno secco che ne copriva il pavimento aveva attutito anche in quel caso la caduta; fra tutti il meno fortunato fu Tomas, che venne colpito con violenza alla nuca dall'ondeggiare di una porta e perse conoscenza per un po' di tempo. – Tomas, figlio mio, povero ragazzo mio – gemette Dolora, chinandosi sulla sagoma massiccia distesa sul pavimento, poi fissò con ansia la donna che stava controllando il polso del figlio mentre intorno a loro si radunava un gruppetto di Coloni in attesa di sentire la prognosi di Charla. – Non riesco neppure a trovare il bernoccolo – ridacchiò la donna. Un istante più tardi le palpebre di Tomas ebbero un tremito e lui aprì gli occhi, emettendo un gemito nell'incontrare lo sguardo della madre. – Oh, non muoverti! – esclamò Dolora, quando lui si sollevò a sedere. – Così aggraverai soltanto le tue condizioni, figlio – aggiunse, trattenendolo 113 per le braccia nel tentativo di non farlo alzare, ma Tomas si divincolò e si rialzò in piedi. – Per favore, madre – ringhiò, con le labbra serrate, cercando invano di non incontrare lo sguardo degli altri Coloni che gli si erano assiepati intorno. – Non sono un bambino. – Fortunatamente no. Sei un uomo cresciuto e hai la testa dura – confermò Patrisha. Tomas ignorò la frecciata, ma si tolse i fili di paglia dai vestiti con esagerato vigore e si infilò un angolo della camicia sotto la cintura con gesti esasperati; nel frattempo i presenti si allontanarono alla spicciolata e quando risollevò lo sguardo Tomas non ebbe difficoltà a scorgere Dnnys e Wesley. – I terremoti sono un dettaglio davvero piacevole – esclamò, imitando il modo con cui la sorella si era stupita poco prima. – Chi ci ha pensato? – Non era nel programma – protestò Wesley, – ma è possibile che ci sia un baco da qualche parte – aggiunse senza troppa convinzione. Aveva infatti il sospetto di sapere quale fosse stata la vera causa dell'improvviso movimento, ma preferì prendersi la responsabilità dell'accaduto piuttosto che attirare l'attenzione dei Coloni su un'altra azione di combattimento della nave stellare, ritenendo giustamente che un errore nel programma avrebbe avuto minori probabilità di destare le loro ire. – E quali altre sorprese ha in serbo per noi, Guardiamarina Crusher? – insistette Tomas, cominciando ad attirare di nuovo l'attenzione degli sconcertati Coloni. – Incendi della fattoria? Uragani? O forse un'inondazione di proporzioni bibliche? – Tomas! – esclamò sua madre. – Ora stai esagerando. – Mi dispiace moltissimo, madre – si scusò Tomas, arrossendo d'imbarazzo. – Dev'essere stato il colpo in testa – aggiunse, facendosi strada fuori del granaio. Approfittando della distrazione causata dall'intervento di Dolora, Wesley e Dnnys si affrettarono a salire la ripida scala che portava al fienile... da quella vertiginosa altezza le preoccupazioni degli adulti continuavano ad essere sconcertanti, ma sembravano molto meno importanti. – Cosa è successo? Perché si stava scusando? – chiese Wesley. Dnnys mormorò una risposta inintelligibile salendo sulle balle tenute insieme da grosse corde e avanzando tra la paglia libera sciolta; la polvere sollevata dagli stivali pizzicò loro il naso, facendoli starnutire, ma quando raggiunsero i portoni del fienile e li spalancarono poterono infine respirare 114 a pieni polmoni l'aria fresca dell'esterno. – Allora, dimmi – insistette Wesley, dopo che entrambi si furono seduti facendo dondolare le gambe nel vuoto sotto il sole del pomeriggio che gettava lunghe ombre sull'aia sottostante. – Noi non parliamo di queste cose. – Di quali cose? – volle sapere Wesley, e con sua grande sorpresa vide l'amico arrossire violentemente. – Sai, di cose religiose – sussurrò Dnnys, dopo aver tratto un lungo sospiro. – Oh... – commentò soltanto Wesley, badando a non mostrare alcun segno di derisione: l'abitudine a trattare con un ampio assortimento di culture diverse gli aveva insegnato a rispettare un'altrettanto ampia varietà di tabù, e quella proibizione non era certo più strana di altre. Cambiò quindi l'argomento della conversazione per risparmiare all'amico altro imbarazzo. – Quando avrà inizio il travaso? Dnnys si ficcò in bocca un filo di paglia e si protese in avanti, puntellandosi sui gomiti. – Domani mattina – dichiarò gravemente, come se stesse annunciando una sentenza di morte. Wesley comprese: una volta che gli animali fossero stati liberati nel ponte ologrammi, Dnnys avrebbe perso qualunque scusa per lavorare nella stiva di carico, il che significava perdere l'opportunità di avere un alibi per andarsene in giro indisturbato per l'Enterprise. – Ascolta, se c'è qualcosa che posso fare... – Una cosa c'è – sospirò Dnnys. – Devo chiederti un favore. Un favore enorme. Wesley attese una spiegazione, ma Dnnys parve riluttante a continuare. – Che cosa, Dnnys? Sai che ti aiuterò. – Ho in mente un piano, ma deve restare un segreto – spiegò il Colono, asciugandosi una goccia di sudore che gli si era formata sulla fronte. Wesley ascoltò attentamente le parole dell'amico, e mentre le ascoltava la sua espressione si fece sempre più accigliata. La camera di isolamento medico era stata progettata con cura perché servisse a molte diverse funzioni. Se un paziente era contagioso, i sigilli dell'impianto di circolazione dell'aria imprigionavano gli agenti contaminanti all'interno, mentre se qualcuno era immuno-depresso lo 115 stesso sistema bloccava all'esterno i virus e i batteri. Le luci rosse a bassa intensità erano riposanti per occhi indeboliti dalla febbre o dalla fatica, mentre i soffici cuscini e la gravità minore erano adatti in special modo per pazienti affetti da ustioni gravi negli ultimi stadi della guarigione. Quella camera era anche ciò che di più simile all'ambiente della nave Choraii la Dottoressa Crusher fosse riuscita a preparare con un così scarso preavviso. Un sensore diagnostico controllava il paziente sdraiato all'interno, fornendo una costante valutazione delle sue condizioni fisiche e degli effetti dell'ultima iniezione di sedativo, ma il pannello non poteva dirle quello che in realtà voleva sapere. Studiò la figura addormentata dell'uomo conosciuto come Jason, cercando le risposte alle domande sollevate dalla morte degli altri prigionieri adulti. La pelle delle ginocchia e dei gomiti era ancora escoriata per la caduta in sala teletrasporto dove, appena rimaterializzato, il suo corpo aveva perso il supporto del liquido interno dell'atmosfera Choraii. Adesso il viso di lui era rilassato nel sonno, ma Beverly non poté fare a meno di sovrimporre ad esso nella sua mente l'immagine che aveva visto nella sala teletrasporto quando lo aveva guardato negli occhi e vi aveva scorto solo un enorme terrore. Jason era stato gettato senza preavviso in un mondo completamente diverso, e le sue grida di paura erano state soffocate in gola dall'improvviso e inaspettato fiotto d'aria che gli aveva invaso i polmoni. Se quell'uomo era stato uno degli originali bambini di Hamlin, le memorie di quella lontana giovinezza non l'avevano aiutato durante la transizione... persino Tasha, che era stata sulla nave Choraii solo per pochi minuti, aveva subito lo shock del rientro. Forse il salvataggio era giunto troppo tardi per quest'uomo? Sarebbe morto come gli altri? La Dottoressa Crusher posò una mano sul vetro di separazione e questo si scurì, garantendo a Jason un po' di privacy entro i confini della stanza; pur sapendo che il paziente sarebbe rimasto incosciente ancora per alcune ore, Crusher uscì poi dalla stanza attenta a non fare alcun rumore, quasi avesse paura di svegliarlo. Nella stanza accanto, una seconda unità d'isolamento conteneva un'altra forma addormentata, ma il bambino era immerso in un profondo sonno naturale. La sua pelle dorata e i capelli neri e riccioluti contrastavano fortemente con il pallore di Jason. – Finalmente ha pianto tanto da sfinirsi – esordì Troi, che stava tenendo 116 d'occhio il piccolo, poi notò la brusca occhiata lanciata dalla dottoressa agli indicatori dei livelli di zucchero nel sangue e decise di dare una spiegazione: – Era troppo agitato per mangiare, ma quando si sveglierà avrà fame e sono certa che più tardi riuscirò a farlo cedere alla tentazione del cibo. Crusher annuì automaticamente, ma poi scosse il capo. – Non è così semplice, Deanna – replicò, ripensando ai dati medici su Hamlin che avevano eliminato ogni dubbio su quell'aspetto del recupero. – È stato cresciuto in un ambiente liquido e sarà necessaria una riabilitazione completa per insegnargli a muoversi nel nostro mondo. – Ciò significa che avrà bisogno di essere seguito costantemente – osservò Troi. – Come pensi di spiegare la sua presenza al tuo staff? – Una buona domanda! – rispose lei. Pochissime persone avevano visto Crusher portare in tutta fretta il bambino nella camera d'isolamento e Troi si era assunta la responsabilità di accudirlo quando la dottoressa era stata chiamata ad altri compiti, ma la sua presenza non avrebbe potuto essere tenuta nascosta ancora per molto e l'apparizione improvvisa e senza spiegazioni di un bambino di due anni, sconosciuto allo staff medico, avrebbe generato una montagna di domande. – E già che ci siamo, come spiegheremo Jason? – Sopravvissuti di un naufragio – suggerì Troi. – Non è proprio originale, ma non è molto lontano dalla verità. – Potrebbe andar bene, suppongo – sospirò la dottoressa. – Dobbiamo soltanto essere sicure che il resto dell'equipaggio di plancia racconti la stessa cosa. Niente attirerebbe più attenzione di resoconti contrastanti sul come sono giunti qui. Tornerò più tardi, per discutere su cosa possiamo fare quando si sveglierà – concluse, avviandosi verso la porta della stanza. – Beverly – la richiamò Deanna, quando era già sulla soglia. – Non possiamo continuare a chiamarlo «lui» o «il bambino»... ha bisogno di un nome. – Che ne dici di Mosè? – propose Crusher, e uscì dalla stanza per continuare il suo giro. Mentre percorreva il corridoio, l'ufficiale medico capo accantonò per il momento le necessità dei prigionieri di Hamlin e focalizzò invece la sua attenzione sugli altri pazienti. L'infermeria era riempita al limite delle sue capacità, e questo significava lavorare per tutta la notte. L'avvertimento dato dal Capitano Picard subito prima che l'Enterprise fosse trascinata fuori rotta dai Choraii aveva dato un preavviso troppo 117 breve perché tutte le mille persone presenti a bordo si potessero preparare all'improvvisa accelerazione: alcuni non avevano neppure sentito l'allarme ed erano stati scagliati a terra senza preavviso, mentre altri erano stati semplicemente un po' troppo lenti a reagire. La gravità delle ferite riportate dipendeva da quale parte del corpo aveva urtato contro l'oggetto solido più vicino; quanti avevano riportato fratture e lacerazioni avevano raggiunto subito l'infermeria su barelle antigravità trascinate da compagni d'equipaggio o da paramedici che si trovavano nelle vicinanze, e durante le ore successive un flusso di persone in continuo aumento si era presentato in infermeria sulle proprie gambe, alla ricerca di sollievo da escoriazioni e slogature. – Duncan se la sta cavando bene – riferì l'infermiera di turno nell'area dei casi gravi, poi richiamò sullo schermo del computer lo schema dei nervi che si stavano rigenerando e Crusher fu sollevata nel vedere che la spina dorsale dell'astronomo era stata solo incrinata anziché fratturata dal telescopio che gli si era abbattuto sulla schiena. – E Butterfield? – domandò quindi. Il ferito più grave dell'intero equipaggio era un botanico che era andato a sbattere con la testa contro una caudifera in vaso... e se mai avesse ripreso conoscenza Butterfield sarebbe stato il primo a ridere dell'ironia di essere stato attaccato da una delle sue stesse piante. La dottoressa Crusher aveva medicato il cranio fratturato, ma soltanto il tempo avrebbe detto se il cervello del botanico avrebbe funzionato ancora con lo stesso acume di prima. – Nessun cambiamento – sospirò Doswell, stringendosi nelle spalle. Sapendo che il recupero non dipendeva più dalle cure mediche e che ormai lei non poteva fare più niente, la Dottoressa Crusher reagì con rabbia alla propria impotenza... e trovò un bersaglio per quella rabbia ad attenderla nel suo ufficio. – Capitano, ho l'infermeria piena di feriti e a causa delle dannate restrizioni di sicurezza di Deelor quelle persone non sanno neppure perché sono rimaste ferite. Questa battaglia non li riguardava, ma sono loro a pagare il prezzo più alto. Quelle aspre parole fecero eco ai pensieri di Picard, intensificando il suo senso di colpa: era lui il solo responsabile della presenza di tutti quei feriti in infermeria. – Questi sono passeggeri e non avrebbero mai dovuto essere trascinati in una situazione che lei sapeva essere pericolosa! – continuò Crusher, in 118 tono amaro. – Avrebbe dovuto separare la nave. In effetti, il primo istinto di Picard era stato quello di ordinare il distaccamento della sezione motori dalla sezione a disco, ma il ragionamento di Deelor lo aveva distolto dall'intraprendere quest'azione... oppure non era stato semplicemente capace di combattere abbastanza per difendere la sua decisione di comando? Cosa sarebbe successo se la sezione a disco fosse rimasta indietro? Al suo ritorno l'equipaggio della sezione da battaglia avrebbe trovato tutti in ottima salute oppure avrebbe scoperto che i passeggeri erano stati massacrati dai vagabondi Choraii? – Ho preferito non farlo – ribatté, secco. – Vada a dirlo ai miei pazienti! – Mi assumo ogni responsabilità per le mie azioni. – Lei è ancora in grado di farlo perché può ragionare, ma non è così per Butterfield e Duncan! – incalzò Crusher. Si pentì di quelle parole nel momento esatto in cui le pronunciò, ma Picard non le diede il tempo di ritirare quello che aveva detto. – Il suo compito è quello di correggere i miei errori di giudizio – replicò con asprezza. – Sia grata di potersi lavare questo sangue dalle mani. – Mi dispiace, Jean-Luc... non avrei mai dovuto dirlo. È stato ingiusto da parte mia. – Non si deve mai chiedere scusa per aver detto la verità, Dottoressa Crusher – esclamò Picard, rifiutando di accettare un'assoluzione per i suoi peccati, e se ne andò dall'ufficio prima che lei potesse parlare di nuovo. Uno dopo l'altro gli ufficiali superiori si erano allontanati verso altre parti della nave e alla fine Geordi La Forge si era trovato ad essere il solo responsabile della plancia. Come sempre, anche in quel momento di relativa tranquillità barattare il suo posto al timone con la poltrona del capitano lo portò inevitabilmente a sognare il comando. Avendo osservato il modo in cui Picard aveva condotto l'azione contro i Choraii, il tenente si chiese ora come avrebbe reagito lui in una simile situazione d'emergenza... pur sapendo che non avrebbe avuto molto presto l'opportunità di scoprirlo. – Geordi? La Forge sobbalzò nel sentire il proprio nome e alzò lo sguardo per vedere chi lo avesse chiamato. – Oh, salve Wesley! – esclamò. Non aveva notato l'ingresso del ragazzo in plancia e si sentì sollevato per il fatto che fosse stato un semplice guardiamarina e non uno degli ufficiali superiori a sorprenderlo perso nei 119 propri pensieri. – Puoi usare una delle postazioni vuote... – Non sono qui per lavorare – replicò Wesley, scuotendo il capo. – Ho un favore da chiederti. – Avanti, spara! – lo incitò Geordi, percependo l'urgenza nascosta dietro l'espressione seria del guardiamarina. – In realtà non si tratta di una cosa che riguarda la nave – spiegò Wesley, in tono di scusa. – Un mio amico ha bisogno di alcune informazioni. – Che tipo di informazioni? Wesley lanciò un'occhiata alle proprie spalle, poi si abbassò e sussurrò qualcosa nell'orecchio di Geordi... che comprese l'identità dell'amico di Wesley non appena ebbe sentito la natura della richiesta. – Probabilmente la persona più indicata a cui chiedere le informazioni è Logan – suggerì. – Oh... La reazione poco entusiastica del ragazzo strappò una risata a Geordi. – Ehi, so che il nostro capo ingegnere non è uno dei tuoi più accaniti ammiratori, ma scommetto che risponderà alle tue domande... dopo tutto per una volta questo gli darà l'occasione di essere lui a dare a te delle risposte. – Già, credo di sì – mormorò Wesley, accennando ad andarsene. – Senti Wes, dì a Dnnys... voglio dire al tuo amico, che gli auguro buona fortuna. – Grazie, Geordi – rispose il guardiamarina salendo la rampa che portava alla sezione di poppa della plancia. – Avrà bisogno di tutta la fortuna possibile. Riker si stava dirigendo verso il suo alloggio quando una melodia tormentosa gli fece cambiare rotta e lo spinse ad addentrarsi nel labirinto di corridoi alla ricerca della fonte della musica. Nel girare un angolo sentì il suono farsi più forte, ma alla svolta successiva esso diminuì di nuovo fino a diventare un sussurro; tornato sui suoi passi, Riker scoprì infine che le soffici note del flauto provenivano dall'accesso a un condotto di manutenzione inserito nel soffitto. Rimase in ascolto per alcuni momenti, lasciando che la triste melodia si riversasse su di lui come una pioggia di lacrime, poi afferrò un piolo all'ingresso del tubo e si arrampicò nel condotto sovrastante, tanto stretto che le spalle gli urtarono contro le pareti strette e curve, continuando a salire piolo dopo piolo finché raggiunse una camera di manutenzione posta tra due ponti. 120 Ruthe era seduta a gambe incrociate sulla sporgenza metallica che circondava l'apertura come la chiusa di una diga e la sua musica si spense nel silenzio allorché Riker uscì dal condotto e le si sedette vicino; Ruthe lasciò cadere il flauto in grembo, ma non sembrò contrariata dall'intrusione. – Sei ferita – notò lui, guardando con preoccupazione la linea di sangue rappreso che le segnava una guancia, poi spostò una ciocca di capelli e scoprì anche un livido purpureo sulla fronte. – Angoli taglienti e duro metallo, ecco di cosa sono fatte le navi – commentò lei, respingendo la sua mano. Picard aveva descritto a Riker lo scontro con la traduttrice e il rifiuto di lei a fornire aiuto nel salvataggio. – Abbiamo portato a bordo Jason... pensavo che dovessi saperlo. La Dottoressa Crusher farà tutto ciò che può per... – Ha mentito – dichiarò bruscamente Ruthe. Riker stava per chiederle di chi stesse parlando, ma poi si rese conto che poteva trattarsi di una persona soltanto e la lasciò continuare. – Sapeva quello che stavo facendo in ogni minuto. Proprio ciò che il capitano aveva sospettato. – Allora perché Deelor continua a negarlo? – volle sapere Riker. Ruthe non rispose e divise invece il suo strumento nelle tre parti che lo componevano, riponendo poi i pezzi in tasche separate del mantello, ognuno al proprio posto. – Sa anche altre cose – aggiunse poi. – Cose pericolose che non vi dice. – Vorresti dirle tu a me? – domandò Riker. Lei alzò la testa di scatto e studiò il viso di Riker come se lo stesse vedendo per la prima volta. – Ti ho già detto alcune cose. Adesso tocca a lui. Spinto Riker da parte scese quindi con rapida agilità i pioli del condotto di manutenzione, e anche se si affrettò a seguirla quando atterrò sul ponte sottostante il primo ufficiale dovette constatare che era scomparsa. XII. Un numero incalcolabile di stelle brillava al di là degli oblò della sala d'osservazione, ma la loro luce non gettava alcun calore sui tre uomini all'interno. 121 – Lei sapeva che c'era ancora un adulto a bordo della Si Bemolle ed era pronto a lasciarlo ai Choraii. Perché? – domandò il Capitano Picard. – Ruthe ha agito di sua iniziativa, capitano – replicò Deelor, manifestando una convinzione maggiore di quella mostrata ore prima nella stessa stanza. – Non ne sapevo niente... Deliberatamente Picard finse di perdere la pazienza e calò con violenza il pugno sul piano del tavolo. – Sono stanco di questi giochi volti a suo esclusivo vantaggio, Ambasciatore Deelor... o Agente Deelor, o chiunque lei sia. Basta con le risposte evasive, basta con le informazioni date a pezzi e bocconi. Ora voglio sapere la verità su cosa ci fa lei qui. L'espressione d'innocenza si era gelata sul viso di Deelor, che si passò una mano sulla faccia come per cancellarla definitivamente, rivelando sotto quella maschera un aspetto teso e stanco. – Sì, sapevo di Jason e sapevo che Ruthe aveva in mente di lasciarlo là – ammise, affondando maggiormente nella poltrona come se avesse bisogno del suo abbraccio per continuare. – Ho acconsentito a non interferire con la sua decisione perché sapevo che se l'avessimo portato qui a bordo probabilmente sarebbe morto. Ci sono stati altri scambi, e di alcuni di essi nemmeno Ruthe è a conoscenza. In tutto la Federazione ha recuperato dodici degli originali prigionieri di Hamlin. – E sono tutti morti? – domandò Riker. – Non tutti – sospirò Deelor, – ma quelli che sono riusciti a sopravvivere si sono ritirati in uno stato catatonico. Solo i bambini più giovani sembrano capaci di adattarsi ad una vita al di fuori delle navi Choraii. Picard ripensò ai feriti in infermeria e la sua amarezza aumentò. – Perché non mi ha detto tutto questo prima di portare Jason a bordo? – Perché avrebbe potuto decidere di lasciare Jason con i Choraii – dichiarò Deelor, confermando i timori del capitano, – ed essendo un uomo scrupoloso, avrebbe registrato la sua decisione nel diario di bordo. Io ho meno scrupoli ed ero disposto a lasciar andare Jason, ma soltanto a patto che nessuno lo venisse a sapere. Ci sono troppi ufficiali nelle alte sfere che pretendono il recupero di tutti i prigionieri di Hamlin. Pur non condividendo i principi etici dell'ambasciatore, Picard dovette ammettere che se non altro adesso Deelor era sincero. – Perché il loro ritorno è così importante? – Ogni ammiraglio darebbe una risposta differente. Alcuni credono, forse basandosi su voci sbagliate, che i sopravvissuti possano essere 122 recuperati oppure che dar loro una misera vita nel nostro mondo sia sempre meglio che lasciarli agli alieni che hanno ucciso i loro genitori. Altri vogliono il ritorno degli adulti per cercare di avere l'opportunità di venire a conoscenza di informazioni utili. Vedete, i bambini non possono dirci come funzionano i motori a curvatura dei Choraii. – No! – esclamò Picard, accantonando con un gesto di disprezzo la spiegazione di Deelor. – Non posso credere che Zagráth sacrificherebbe delle vite pur di acquisire queste informazioni! – Non la giudichi troppo aspramente – replicò Deelor, poi si morse un labbro per reprimere le parole che stava per dire e scrutò Picard e Riker tamburellando nervosamente con le dita sul tavolo... il primo sintomo di tensione che avesse dimostrato fino a quel momento. Infine smise di tamburellare e riprese il racconto: – I Romulani stanno cercando di scoprire il segreto dei loro motori, e forse ci riusciranno presto. Almeno uno dei loro incrociatori da battaglia, il Defender, è andato distrutto in uno scontro con i Choraii. Secondo alcune voci ci potrebbero essere stati altri scontri ma non ne conosciamo i risultati – continuò, rendendosi conto di avere adesso l'assoluta attenzione dei due ufficiali. – La mia missione originale era quella di scoprire come avevano fatto i Choraii a sconfiggere il Defender. – Lasciando distruggere loro la Ferrel – ipotizzò Riker, cogliendo la palla al balzo. – Se necessario. – Lei è un bastardo dal sangue freddo – osservò il capitano. – Guardi al di là del suo naso, Picard! – esclamò Deelor. – Cosa crede che succederebbe se i Romulani scoprissero come funzionano i motori dei Choraii? Potrebbero attraversare la Zona Neutrale e giungere al cuore della Federazione gettando la distruzione su interi mondi. Io ho camminato in mezzo al carnaio che si lasciano dietro! Riesce a immaginare cosa sarebbe successo agli avamposti di frontiera se i Romulani avessero posseduto una tecnologia di volo superiore? – L'Enterprise era stata mandata là per mantenere un equilibrio di forze – rifletté Picard, riappoggiandosi allo schienale della poltrona, – e si trattava di un equilibrio molto precario. – Sì, lo so, c'ero anch'io. Soltanto che ero dall'altra parte della barricata... è stato così che ho appreso il destino del Defender. Per fortuna sono riuscito a riattraversare la Zona Neutrale prima di morire dissanguato. Ancora una volta Picard dovette rivedere la sua opinione su Deelor per 123 tener conto di un'altra sfaccettatura della personalità di quell'uomo, che possedeva senza dubbio un notevole coraggio fisico. Il capitano continuò ad ascoltare il suo resoconto con crescente rispetto. – Nell'interesse della sicurezza della Federazione. Questa non è una frase che si può usare alla leggera perché significa che una dozzina di prigionieri, o l'equipaggio di una nave stellare possono essere sacrificati per salvare milioni di vite. Il Capitano Manin ha dimenticato questa parte dell'equazione quando ha cercato di autodistruggere la Ferrel. Voleva una morte pulita per i suoi uomini e voleva vendetta contro i Choraii. Ho dovuto fermarlo. Pezzo dopo pezzo il puzzle stava prendendo forma nella mente di Picard. – Ecco perché qualcuno le ha sparato. – Come lei ha fatto notare più volte in diverse occasioni, i sentimenti della gente nei confronti del massacro di Hamlin sono ancora molto forti... troppo forti, forse. L'odio violento porta spesso ad affrettate reazioni militari, mentre gli interessi della Federazione si servono meglio attraverso i lenti progressi della diplomazia. Dal momento che lo scambio di prigionieri umani tra navi Choraii serve a rinforzare i loro legami, noi speriamo che i nostri scambi commerciali che coinvolgono i bambini porteranno a simili legami tra i Choraii e la Federazione, e potranno alla fine determinare lo scambio di conoscenze tecnologiche. – Le mie azioni certamente non hanno migliorato questi rapporti – ammise Picard, con uno stanco sospiro. – Nella Federazione stessa ci sono diversi modi di concepire la situazione Choraii, e questo ha certo determinato l'insorgere di una situazione senza via d'uscita. Alcuni ufficiali rivogliono gli adulti prigionieri, mentre altri vogliono mantenere relazioni cordiali – spiegò Deelor, scrollando filosoficamente le spalle. – La Si Bemolle è solo una delle navi dell'ammasso locale, e nemmeno una tra le più importanti. Ricomincerò daccapo con un'altra. – Avremmo risparmiato un sacco di guai se ci avesse detto tutto questo all'inizio. – Non dovrei dirglielo neppure adesso – rispose Deelor, rivelando ai due ufficiali un'altra faccia di se stesso che li fece davvero rabbrividire. – E se ciò di cui vi ho parlato dovesse uscire da questa stanza, sarete entrambi uomini morti. Provvederò personalmente. 124 Quando tornò nel suo alloggio, Deelor fu sorpreso di trovare Ruthe confortevolmente appallottolata su un basso divano, rapita dall'ascolto di un concerto di violini di Vivaldi. La donna alzò per un momento lo sguardo quando lui entrò, poi si immerse di nuovo nella contemplazione della musica, ma il suo silenzio non servì a Deelor per determinare il suo umore perché di solito i saluti di Ruthe erano sporadici e indifferenti. Come aveva imparato nel corso della loro collaborazione, Ruthe sarebbe rimasta remota e impersonale finché non avesse avuto bisogno del suo aiuto o finché lui non l'avesse interpellata. Deelor si era aspettato che il litigio avrebbe cambiato in qualche modo la tenue relazione esistente tra loro, ma forse Ruthe aveva già relegato l'accaduto nel passato... o forse il fatto che lei l'avesse tradito aveva pareggiato ai suoi occhi le cose fra loro. Sedutosi su una poltrona, Deelor lasciò che il contrappunto dei violini e delle viole lavasse via la tensione nata durante il confronto con gli ufficiali della nave. Se Ruthe non nutriva nessun risentimento, neppure lui ne avrebbe avuti. Picard era rimasto nella sala d'osservazione dopo che gli altri due uomini se n'erano andati. La vista che si stendeva oltre la grande superficie degli oblò non lo annoiava mai perché lo schema delle stelle lontane era sempre differente, sempre mutevole. Quegli sfuggenti fari celesti di solito lo sfidavano e lo ispiravano con la loro bellezza, ma in quel momento la loro vista gli sembrava cupa e fredda. Sentì le porte della sala che si aprivano e pensò per un attimo che Riker fosse tornato, ma i passi che gli si stavano avvicinando erano troppo leggeri per appartenere al suo primo ufficiale. Picard vide poi il riflesso di Beverly Crusher che si muoveva sul vetro dell'oblò, arrestandosi con lei quando la donna si fermò a qualche centimetro da lui e seguì la direzione del suo sguardo nello spazio. Rimasero uno accanto all'altra in silenzio per diversi minuti prima che lei si decidesse a parlare. – Se si guardano le stelle troppo a lungo si comincia a sentirsi come un dio... o a credere di essere capace di agire come tale: onnisciente, onnipotente, infallibile. Picard non rispose. – I capitani e i dottori sono entrambi portati a questa sindrome. Ci aspettiamo di risolvere tutti i problemi e di curare tutte le malattie, e poi ci sentiamo in colpa perché falliamo in imprese impossibili. O incolpiamo altri. 125 – Questa è una predica, Dottoressa Crusher? – chiese Picard, girandosi infine verso di lei. – Qualcosa del genere. Sono più abile a predicare che a porgere scuse – spiegò lei, con lo sguardo ancora fisso sulla scena esterna alla nave. – Non ho bisogno né dell'una né dell'altra cosa. – Ma ha diritto a entrambe – sospirò Crusher, poi si girò in modo da incontrare lo sguardo del capitano. – Ha diritto a delle scuse per quello che le ho detto prima in infermeria e ad una predica per avermi ascoltata quando ero troppo agitata per dire qualcosa di sensato. Picard si rilassò un poco, perdendo la sua postura rigida. – Neppure io ero di buon umore – commentò con ironia, – e lei non ha detto niente che non mi fossi già ripetuto centinaia di volte. – Il che prova che entrambi abbiamo bisogno di una vacanza. Picard sorrise e il nervosismo tra i due si dissolse per essere sostituito da un'altra, più familiare tensione. Crusher si allontanò di un passo e Picard guardò ancora le stelle chiedendosi come avesse potuto scambiare la loro brillantezza per desolazione. – Come va il Tenente Yar? – Sta distruggendo l'infermeria – sospirò Crusher. – La dimetterò presto, a meno che non la strangoli prima. – E Jason? – È sotto sedativi – spiegò, secca, la dottoressa. – Ho stabilito la sua identità sulla base dei vecchi dati di Hamlin. Il profilo del suo DNA coincide con quello di Jason Reardon; aveva tre anni al tempo del rapimento, e quindi non era molto più vecchio del bambino che abbiamo recuperato noi. – Sono parenti? – No – rispose lei. – Comunque ho usato i marcatori genetici per rintracciare gli antenati del bambino. Suo padre era uno degli originali prigionieri, ma sua madre apparentemente è nata in prigionia. Siamo di fronte al risultato dell'unione tra due bambini giunti all'età adulta fra i Choraii. – Un prigioniero della terza generazione – specificò il capitano, inarcando le sopracciglia con espressione allarmata. – Sì, e probabilmente non è l'unico. Sono certamente tutti in buona salute, quindi la popolazione umana potrebbe essere in continua crescita. Forse i prigionieri si stanno spargendo per tutte le navi Choraii. Come riusciremo a recuperarli? 126 – È questa la giusta domanda da porsi? – chiese il capitano, ricordandosi della rivelazione di Andrew Deelor sull'alta mortalità dei prigionieri salvati. – Non sono pronta ad affrontare il problema – lo interruppe Crusher, sollevando una mano per fermarlo. – Oh, Jean-Luc, se avesse visto Jason quando è stato portato a bordo... quegli occhi pieni di terrore... – S'interruppe, poi si scosse per ritrovare il controllo e concluse: – Devo tornare in infermeria. Il sedativo di Jason avrà quasi terminato il suo effetto. Uscirono dalla sala d'osservazione insieme ma si divisero appena superata la soglia e Picard era già a metà del corridoio opposto quando la dottoressa si girò per richiamarlo. – A proposito, capitano, il Professor Butterfield ha richiesto un'insalata di caudifera per pranzo. Come i suoi compagni umani, anche a Data era stato assegnato un alloggio tutto suo, però l'androide passava molto più tempo nell'alloggio di Geordi o nella biblioteca di bordo perché entrambi i posti saziavano l'unica fame che sentisse: la curiosità. Data infatti era libero dalle necessità di un corpo umano, ma si deliziava nella ricerca della conoscenza e acquisiva fatti e notizie con la stessa passione che accompagna l'esperienza di alcune persone quando queste incontrano una nuova prelibatezza culinaria. Dal momento che Geordi era ancora al comando in plancia, Data scelse di passare il resto del suo periodo fuori servizio seguendo la sua ultima linea di ricerca: aveva già memorizzato vari testi che spiegavano il bisogno fisiologico del sonno tra le forme di vita organiche, ma alcuni aspetti psicologici ancora gli sfuggivano. Entrando in biblioteca, comunque, fu distratto da un'insolita attività in un angolo della sala. – Oh, salve, Data – sospirò Wesley, quando l'androide lo raggiunse al terminale di stampa. Il ragazzo cercò di raggruppare i libri rilegati che coprivano il tavolo, ma Data aveva già preso in mano uno dei volumi. Personalmente trovava che il formato stampato fosse poco pratico e facesse perdere tempo, ma la sua frequentazione degli Umani gli aveva fatto capire che quel mezzo possedeva per loro un certo fascino. – Molto interessante – commentò, ispezionando il titolo sul dorso. – Principi ingegneristici di base. Lo hai consultato per scopi d'archivio? Hai già imparato queste cose. – Sto facendo un favore ad un amico – spiegò Wesley, rimuovendo 127 l'ultimo volume appena rilegato dalla stampante. – E... Data, apprezzerei molto se tenessi la cosa per te. Data si accigliò perché la frase gli era poco familiare. – Vuoi che anch'io prenda una copia? – No, intendo... – Wesley inspirò profondamente... – Ecco, non dire a nessuno quello che sto facendo. Vedi è una specie di... – Un segreto? – chiese Data. – Sì – rispose Wesley. – Segreto – recitò con entusiasmo l'androide, sorridendo. – Un'operazione clandestina, una impresa condotta sottobanco, un... – Mi spiace, Data, ma faccio tardi a lezione – lo interruppe Wesley; con un sorriso di scuse raccolse tutti i libri e si affrettò verso l'uscita. Data rimase immobile immerso nei suoi pensieri, ponderando la mistica dei segreti: adesso che ne aveva uno da mantenere, non sapeva esattamente cosa farne. Ogni volta che Riker si incontrava con la Colona Patrisha, la donna lo accoglieva con cortesia sempre maggiore. In questa occasione, quando si presentò nel suo alloggio gli offrì del tè e lui lo accettò: entrambi assaporarono l'amara tisana di erbe in un tranquillo silenzio prima di passare agli affari. Augurandosi che la cordialità di Patrisha resistesse anche a quella prova, Riker mise da parte la sua tazza ormai vuota e affrontò l'argomento di cui era venuto a parlare. – Ho delle buone notizie: siamo di nuovo in rotta per New Oregon. – Arriveremo in tempo per il travaso? – domandò Patrisha. – No, temo di no – confessò Riker con franchezza, poi si lanciò nell'esposizione della bugia che aveva preparato. – I nostri motori a curvatura devono essere sottoposti ad una manutenzione di routine e questo ci rallenterà un po' – spiegò. Fortunatamente Logan non avrebbe avuto occasione di entrare in contatto con i Coloni: il capo ingegnere non avrebbe certo apprezzato quelle malignità sul suo dipartimento. – Di quanto sarà questo ritardo? – Solo di un paio di settimane – sospirò il primo ufficiale, cercando di mitigare la risposta con un sorriso, ma si rese subito conto che il suo sforzo non sarebbe stato necessario: Patrisha infatti accettò la notizia senza commenti. Riker si domandò allora se la sua calma fosse influenzata dalla decisione di Dolora di trasferirsi a tempo pieno nella fattoria del ponte 128 ologrammi e quel pensiero gli riportò in mente il secondo problema da risolvere. – A proposito del travaso... il modo più semplice di muovere le vostre camere di stasi sul ponte ologrammi è quello di usare il teletrasporto. – La mia gente non sarà mai d'accordo – ribadì immediatamente Patrisha, inarcando le sopracciglia di fronte a quella proposta eretica. – Il teletrasporto va sicuramente contro il credo dei Coloni. – Temevo che fosse così – sospirò ancora il primo ufficiale, ricordando che l'intera comunità e le loro cose erano state portate sull'Enterprise con le navette, in un via vai durato per cinque ore... quando invece ne sarebbe bastata una con il teletrasporto. Le navette avevano fatto la spola avanti e indietro tra la base stellare e gli hangar con i Coloni che andavano e venivano in un rumoroso miscuglio di bagagli perduti e di famiglie separate... una scena che il primo ufficiale voleva evitare di rivedere. – L'alternativa è smantellare il macchinario in modo da trasportare a mano le celle di stasi. – Il che significa che l'intero progetto finirebbe in un disastro per gli animali – concluse Patrisha, di sua iniziativa. Evidentemente anche lei ricordava il disordinato arrivo a bordo bene quanto Riker. – Non sta a me dirlo – obiettò il primo ufficiale, incerto sul da farsi, non sapendo fino a che punto avrebbe potuto insistere. – E neppure a me – gli fece eco Patrisha, posando la sua tazza sul tavolo. – Queste cose vengono decise dall'intera comunità. Ed entrambi sapevano cosa avrebbe deciso la comunità. Almeno aveva provato, pensò Riker mentre si alzava in piedi per andarsene, e si disse che forse i Coloni avrebbero potuto essere persuasi a permettere ai membri dell'equipaggio della nave di assisterli durante il processo di nascita... anche se c'era da domandarsi quanti uomini sarebbero stati necessari per controbilanciare l'inefficienza dei Coloni. – Naturalmente, se lei non lo chiede, non potranno rifiutare – puntualizzò inaspettatamente Patrisha, alzandosi dalla poltrona. – Come dice, prego? La donna non riuscì a incontrare il suo sguardo, ma fece in modo di chiarire bene la propria posizione mentre si dirigevano alla porta. – Se l'equipaggiamento di stasi fosse messo in posizione entro domattina, sarebbe troppo tardi perché chiunque possa sollevare obiezioni sui metodi usati... e magari nessuno si chiederà come è stato portato al suo posto. 129 – Grazie per il tè, Colona Patrisha – esclamò Riker, con un ampio sorriso, – e per il consiglio. – Per favore non ne parli neppure... con nessuno – concluse fermamente Patrisha. – Non posso sopportare di stare ancora a letto – esplose Tasha Yar, entrando come un uragano nell'ufficio della dottoressa. – Potrei essere in plancia a fare qualcosa di utile! Siamo nel mezzo di una missione segretissima e il mio confino sta interferendo con i più basilari doveri di sicurezza. E inoltre mi sento bene! – affermò alla fine, piantando i pugni sulla scrivania di Crusher. – Sono contenta di saperlo, Tasha – sospirò Beverly Crusher, appoggiandosi allo schienale per mettere una maggiore distanza tra se stessa e il tenente, – ma ho voluto trattenerti qui finché non mi restituivano questo – spiegò, esibendo una registrazione: era il risultato delle analisi di laboratorio che la dottoressa aveva trovato sulla scrivania appena tornata in infermeria. Aveva richiesto il test come precauzione di routine, ma i risultati erano stati una spiacevole sorpresa. – Che cosa ricordi dell'atmosfera della nave Choraii? – È stato come affogare – rabbrividì Yar. – I primi momenti sono stati i peggiori, ma dopo respirare non è risultato difficile come credevo. Anzi il liquido era piuttosto piacevole... aveva l'odore e quasi il sapore della cannella. Un odore che era l'indizio chiave di tutta la faccenda. – Ho fatto analizzare un campione del liquido, ed è risultato intriso di una droga, un narcotico. – Questo significa che devo rimanere ancora in infermeria? – chiese Yar, la cui preoccupazione era una soltanto. – Sì! – confermò Crusher con enfasi. Quell'insistenza era ammirevole in un capo della Sicurezza, ma non in un paziente. Uscì quindi dall'ufficio ma il tenente la seguì nel corridoio. – Non posso dimetterti finché non sarò sicura che il tuo sistema ha metabolizzato ogni traccia della droga... e anche allora non sapremo quali saranno gli effetti a lungo termine. – Ma io mi sento bene! – protestò Yar. – Tasha, dicesti così anche dopo una partita di Parisses Squares con Worf. Ho visto il tuo corpo chiazzarsi di nero e di blu senza che tu ammettessi il minimo dolore. – Non è un confronto giusto. 130 – Basta! – esclamò Crusher, fermandosi bruscamente per fronteggiare Tasha. – Ancora una parola e chiamerò una delle tue squadre di Sicurezza perché ti riporti in corsia. Un grido d'angoscia proveniente dalla stanza di fronte pose bruscamente fine alla loro discussione. Entrambe le donne si precipitarono lungo il passaggio ed entrarono di corsa nell'area d'isolamento. – Tasha, prenditi cura di Troi – ordinò la Dottoressa Crusher, comprendendo al volo la situazione, poi si diresse direttamente nella camera. Jason era sveglio e i suoi lamenti si mischiavano ai singhiozzi di Troi. La dottoressa fece rientrare la copertura isolante in modo da poter raggiungere Jason direttamente: l'uomo era raggomitolato in un angolo dell'unità e si dondolava avanti e indietro in preda ad una forte agitazione. Anche se i suoi occhi erano aperti, lo sguardo era fisso e non sembrò notare l'avvicinarsi di Crusher. – Jason – mormorò la dottoressa, protendendosi per toccarlo. L'uomo urlò al contatto e il suo corpo si appallottolò in posizione fetale con la testa nascosta tra le ginocchia, le braccia e le gambe in preda ad un tremito incontrollato. – No – urlò Troi. – Non avvicinarti maggiormente! – Nonostante il confortante abbraccio di Tasha, anche il consigliere stava tremando e il suo viso era lo specchio del terrore emotivo di Jason. – La tua presenza non fa altro che spaventarlo di più. – Cosa posso fare per rassicurarlo? – Non lo so. Niente. Lascialo stare – pianse Troi. Jason si era ritratto in una posizione ancora più serrata e le sue urla erano diventate un fastidioso canto ritmico. – Dannazione! – imprecò Crusher, prendendo una siringa dal suo medikit. Jason rabbrividì al tocco del freddo metallo contro la pelle, ma non ebbe altra reazione. Pochi secondi dopo, quando il sedativo fece effetto e lui scivolò nel silenzio, accasciandosi dove si trovava, Crusher lo adagiò su un fianco e gli districò gentilmente gli arti in modo da fargli assumere una posizione più comoda, ben sapendo che sarebbe rimasto incosciente per almeno altre sei ore. La dottoressa riattivò poi il pannello di controllo della camera e lo scudo si riformò attorno alla forma addormentata, nascondendola alla vista. Il pannello diagnostico indicava che il corpo di Jason era in salute, anche se non si poteva dire lo stesso per la sua mente, ma le sue intense reazioni 131 emotive avrebbero avuto alla fine un effetto depressivo. Modificando la regolazione della siringa, Crusher rivolse la sua attenzione al consigliere. – No – protestò Troi, senza riuscire però a impedire che la dose di medicamento le venisse iniettata nel corpo. – Davvero, adesso sto bene. – Dicono tutti così – mormorò Beverly Crusher. – Questo dovrebbe calmarti finché non avrai raggiunto il tuo alloggio. – Ma non posso lasciare Mosè. Sta cominciando a riconoscermi! – si oppose il consigliere, decisa a rimanere in infermeria tanto quanto Yar lo era nell'insistere per andarsene. – Allora ti terrò compagnia – si offrì volontario il Tenente Yar. – Pensavo che non vedessi l'ora di andartene da qui – le ricordò Crusher, fissandola con incredulità. – Odio veder piangere Troi – ammise Yar, stringendosi nelle spalle con aria contrita. – Grazie per l'offerta – rise Deanna, asciugandosi l'ultima lacrima, – ma come te la cavi con i bambini? – Non so da che parte cominciare, ma forse mi farà bene – ammise il tenente, poi fece una pausa e aggiunse: – Almeno se non dovrò affrontare troppe funzioni biologiche poco gradevoli. – Oh, fate come volete – si arrese Crusher, esasperata da entrambe. Troi stava rapidamente ritrovando il suo equilibrio emotivo, ma adesso era il turno della dottoressa di fronteggiare la propria reazione al risveglio di Jason. Una volta nella privacy del suo ufficio, la Dottoressa Crusher non riuscì più a ignorare la crescente disperazione che la opprimeva. Si sedette alla scrivania e richiamò in successione alcuni documenti dal computer senza però recepirne affatto il contenuto perché la sua mente continuava a tornare a pensare al prigioniero di Hamlin, alla ricerca di un modo per aiutare Jason ad adattarsi; la situazione era però molto diversa da quelle con cui aveva avuto a che fare in passato, e questa volta aveva bisogno di aiuto. Portando la mano al petto, toccò lievemente il comunicatore. – Stavo aspettando una sua chiamata – rispose Andrew Deelor, – e penso anche di sapere che cosa vuole. – Sarebbe disposto a chiederglielo? – Sì, glielo chiederò. Ma non posso garantire che l'aiuterà – replicò lui con riluttanza, e chiuse il contatto. Come io non posso garantire la vita di Jason, ammise Crusher per la prima volta. 132 XIII. Tenendosi in disparte rispetto agli altri Coloni, Patrisha stava osservando gli uomini e le donne della comunità raccolti in semicerchio attorno alla facciata del granaio, intenti a mormorare tra di loro e a battere i piedi per tenerli caldi nella fredda aria mattutina mentre guardavano con aspettativa la costruzione di legno immersa nella luce dell'alba. Il palcoscenico era ormai pronto per la rappresentazione. Il silenzio scese sul gruppo non appena Dnnys e Wesley si fecero largo tra la folla e si diressero verso il granaio, consapevoli che ogni loro movimento veniva osservato e controllato; scambiandosi un sorriso nervoso, i ragazzi aprirono le grandi porte togliendo il fermo di legno e subito i Coloni si spinsero in avanti, allungando il collo per scorgere l'equipaggiamento criogeno immagazzinato all'interno. A parte alcuni mormorii di disprezzo per la complicatezza della macchina, non ci furono altri commenti. Patrisha provò quasi vergogna per il fatto che la presenza del macchinario di stasi sul ponte ologrammi fosse accettata senza tante domande: nessuno, neppure Tomas, si chiese il perché dell'assenza di tracce sul terreno dell'aia... ma in fondo, un buon Colono non ne sapeva abbastanza della tecnologia del teletrasporto da cercare i segni del suo uso. Patrisha era grata che Riker avesse eseguito la sua magia durante la notte e avesse evitato di presentarsi lì quella mattina. Perché un estraneo avrebbe certo riso di persone che si lasciavano abbindolare così facilmente... e tuttavia era stata proprio lei a causare quella situazione ridicola dando il suggerimento giusto all'ufficiale della Flotta. Allorché Dnnys avviò la prima fase del processo di travaso distaccando una singola cella dalla struttura ad alveare, Wesley emerse dal retro del macchinario svolgendo le spire di un tubo fine e flessibile e ne porse l'estremità al giovane Colono; muovendosi con la sicurezza generata da molta pratica, Dnnys attaccò agilmente l'aggancio al buco di drenaggio della cella, poi fece scattare un interruttore e una pompa d'aspirazione si animò con una serie di gorgoglii e rutti. – Dnnys non è mai stato così veloce nello svolgere i suoi compiti di fattoria – notò Tomas, avvicinandosi a Patrisha. – È cresciuto da quando abbiamo lasciato Grzydc – affermò lei, 133 chiedendosi quando il fragile e magro corpo del bambino si fosse mutato in quello solido e muscoloso di un ragazzo. – Inoltre dovresti essere contento che qualcuno possa fare questo lavoro – concluse. Patrisha aveva già difeso in passato la decisione di suo figlio di assumersi la responsabilità della manutenzione dell'antiquato equipaggiamento durante il lungo viaggio verso New Oregon, risparmiando così alla comunità l'onere insostenibile di assumere un tecnico qualificato, ma adesso che poteva vedere di persona la familiarità con cui il ragazzo lavorava all'equipaggiamento di stasi desiderò che essa non fosse altrettanto evidente per gli altri Coloni. Lei e Tomas guardarono Wesley ripetere la stessa azione con altre celle, voltandosi spesso verso Dnnys per le istruzioni... non c'era dubbio che a capo dell'operazione ci fosse il giovane Colono e non il guardiamarina della nave stellare. Poi un altro osservatore si unì a loro. – È figlio tuo in tutto – commentò Dolora, ma Patrisha non commise l'errore di scambiare quella frase per un complimento. Un ronzio acuto segnalò che la prima cella si era svuotata del fluido di conservazione e la tensione si impadronì del gruppo di uomini e di donne, che cominciarono a mormorare tra loro aspettando di conoscere le condizioni del contenuto. Dnnys aprì lo sportello e infilò le mani all'interno tirando fuori un coniglietto rosa appena nato, e poi un altro... – Sono vivi – annunciò con orgoglio, non appena i piccoli fagottini carnosi cominciarono a dimenarsi e a stridere. – La nascita più dannata che io abbia mai visto – dichiarò il Vecchio Steven, e sputò per terrà per sottolinearlo. Patrisha vide Dolora serrare le labbra, segno che aveva sentito sicuramente l'imprecazione, ma del resto il Vecchio Steven era l'unico Colono che osasse bestemmiare in presenza di Dolora... i due non stavano più insieme, ma lui era il padre dei suoi figli e quella connessione sentimentale apparentemente garantiva una certa immunità alle sue azioni. – Ehi, guardate qui! – esclamò Wesley, con grande eccitazione. Aveva aperto un'altra cella contenente una cucciolata di cagnolini dagli occhi ancora chiusi, e quando ne sollevò uno bianco e nero, questo cominciò ad annusargli il palmo della mano in cerca di latte. – Mettiamoci al lavoro prima che il ragazzo li ammazzi tutti – esclamò Myra, togliendogli il cucciolo dalle mani e passando l'animale a Charla. Patrisha venne avanti per prendere l'altro mentre i Coloni, incitati 134 all'azione dalla parlantina della donna, cominciavano a portare via gli animali appena gli addetti ai congegni di stasi li avevano liberati. I cagnolini furono seguiti da una schiera di maialini, da una nidiata di pulcini e da uova di anatra pronte a schiudersi. Essendo privi di madre, tutti i nuovi nati avrebbero dovuto essere nutriti a mano e accuditi continuamente, il che significava che dopo dieci mesi di ozio forzato i Coloni si sarebbero dovuti rimettere al lavoro... un lavoro duro che sarebbe durato per il resto della loro vita. – E dopodomani cominceremo il travaso per i cavalli! – spiegò Wesley, poi si accorse che anche se lo stava guardando negli occhi mentre parlava, sua madre non mostrava però nessuna reazione. – Mamma, tu non mi stai ascoltando. – Davvero?! – sospirò la Dottoressa Crusher. – No, credo di no – ammise, riponendo con un altro sospiro il taccuino elettronico. – E non sei neanche venuta a vedere la fattoria di Oregon. Io andrò là dopo le lezioni... vuoi venire con me? – domandò passando il peso di un grosso pacco da un braccio all'altro. – Mi dispiace, Wesley. So che hai lavorato duramente al progetto sul ponte ologrammi e vorrei davvero vederlo, ma... – Ma stai lavorando troppo anche tu. Hai l'aspetto piuttosto stanco – commentò Wesley senza risentimento. Pochi mesi prima non lo avrebbe notato. – Non ho dormito molto ultimamente – ammise lei... e in effetti Wesley non riusciva affatto a ricordare l'ultima volta che aveva visto sua madre nel loro alloggio. – Ma non appena le cose si calmeranno un po', verrò a vedere la fattoria. – I prigionieri non stanno troppo bene, vero? – Meglio che ti affretti o farai tardi alla lezione di fisica – avvertì Beverly Crusher, senza rispondere alla domanda. – Astronomia – la corresse Wesley, accennando a uscire dall'ufficio, ma poi si fermò sulla porta e cominciò, esitando: – Mamma, se un amico ti chiedesse un favore che potrebbe metterlo nei guai con la sua famiglia... – Come dici, Wesley? – Niente, niente – rispose lui. – Ciao mamma. La Dottoressa Crusher lo salutò distrattamente con un cenno, poi riprese in mano il taccuino elettronico che sembrava farsi sempre più pesante con 135 il passare del tempo e controllò i suoi doveri, vagliando una lista di pazienti da visitare. Molti avevano lasciato il letto quella mattina, ma lei non vedeva l'ora di dimettere un particolare paziente. – Tornatene in plancia. I tuoi ultimi esami dimostrano che stai bene – ordinò. – Io te l'ho detto dall'inizio – ribadì il Tenente Yar saltando giù dal letto. – Non ho mai risentito degli effetti della droga. – A parte lo svenimento iniziale – puntualizzò Crusher. Fortunatamente l'esposizione di Yar al narcotico era durata solo pochi minuti. Se soltanto Jason avesse potuto riprendersi altrettanto facilmente, ma aveva passato gli ultimi cinquant'anni a bordo della nave e a meno di riportarlo ai Choraii... una parvenza di soluzione cominciò a prendere forma nella sua mente. – La droga ha influenzato i tuoi ricordi della nave? – Oh, no. Non credo che dimenticherò molto presto quell'esperienza! – replicò il tenente. La dottoressa fu piacevolmente colpita da quella risposta, ma Yar era troppo presa dall'entusiasmo per le dimissioni dall'infermeria per notarlo o per chiedersi il perché. – A proposito di Troi... – So che è stanca. Ho già scelto qualcun altro che l'aiuti con il bambino – annunciò Crusher. Troppi dettagli stavano interrompendo i suoi pensieri, ma la partenza di Yar avrebbe ridotto considerevolmente l'interferenza. – Tasha, cerca di stare fuori dai guai... non voglio vederti di nuovo in giro per l'infermeria per parecchio tempo. – Non preoccuparti, non intendo tornarci – la rassicurò Yar, affrettandosi alla porta. La Dottoressa Crusher rimase immobile, trasformando l'idea che le frullava nella mente in un concetto più solido. La sua mossa successiva fu quella di consultare Data, che le rispose attraverso l'interfono e ascoltò pazientemente mentre lei gli descriveva le sue esigenze. – Sì, tecnicamente il progetto è fattibile – confermò l'androide, dopo attenta considerazione. – Ho accesso alla maggior parte delle informazioni pertinenti – concluse, spiegando di cos'altro avrebbe avuto bisogno. – Tasha potrebbe dirti alcune di quelle cose – rifletté Crusher, – ma Ruthe sa tutto di sicuro. Sempre che sia d'accordo e ci voglia aiutare, aggiunse fra sé. – Vuole che cominci adesso? – Non ancora, Data. Ti farò sapere io quando – lo trattenne Crusher. Stava infatti ancora aspettando la risposta di Deelor alla sua prima 136 proposta: se avesse rifiutato quella, Ruthe non avrebbe mai accettato la seconda. Lisa Iovino trovò il Consigliere Troi individuando il punto di provenienza del pianto del bambino che aveva in cura. La donna e il bambino erano nel cubicolo del dietologo, da cui l'infermiera di turno era sparita in cerca di un ambiente più tranquillo, e Troi era troppo presa da ciò che stava facendo per accorgersi dell'arrivo di Iovino, che ebbe così l'opportunità di osservarla per alcuni minuti. Deanna era seduta al tavolo del sintetizzatore alimentare con il bambino che le si dibatteva in grembo: un grande assortimento di piatti era accatastato davanti a loro, e il contenuto della maggior parte di essi era stato appena toccato; le porzioni mancanti erano sparse sul viso e sul petto di Troi. – Ecco, prova questo – cercò di persuadere con dolcezza, tenendo pronto un cucchiaio pieno di purè di patate; quando il bambino aprì la bocca per urlare Troi vi infilò dentro il cucchiaio con un tempismo perfetto. Dopo un attimo di silenzio il bambino sputò il boccone, aggiungendo un nuovo ingrediente sull'uniforme sporca di lei, poi riprese a piangere. Anche Troi era vicina alle lacrime. – Sono il suo sostituto... la Dottoressa Crusher mi ha detto che aveva bisogno di una pausa – annunciò Lisa, entrando nella stanza, anche se dopo aver visto il consigliere la sua opinione personale era che la pausa avrebbe dovuto aver luogo da tempo. Le urla laceranti del bambino erano echeggiate nel reparto medico per ore. – Ma non è abituato a vedere estranei – ribatté stancamente Troi; i bambini erano molto diretti nel trasmettere le proprie emozioni, e schermarsi dall'infelicità del piccolo l'aveva prosciugata di ogni energia. – Temo che si spaventerà se me ne vado. – Certamente non riuscirà a urlare più forte, chiunque sia con lui – esclamò Iovino, e si protese per toglierle il bambino piangente dalle braccia. Il trasferimento sorprese Mosè quanto bastava per indurlo a tacere per un momento: smise di piangere per il tempo necessario a studiare la sua nuova balia, poi proruppe in un sospetto piagnucolio e si attaccò saldamente alla coperta verde che lo avvolgeva, ormai ricoperta dalla stessa sostanza appiccicaticcia che gli copriva il viso bagnato di lacrime. – Non hai molta fame, vero? – chiese Iovino al bambino. 137 – Al contrario, è affamato. Nel sentire il suono della voce del consigliere il bambino si voltò verso Troi: sebbene non avesse smesso di singhiozzare, Mosè stava infatti ascoltando attentamente la conversazione tra le due donne, ma Troi si chiese se capiva veramente le loro parole. Il suono delle voci umane che parlavano in un'atmosfera liquida era probabilmente molto diverso da ciò che lui stava sentendo adesso. – È solo che non è abituato al nostro cibo – continuò, rimpiangendo che negli scambi con i Choraii non fossero stati inclusi anche i loro cibi più comuni perché poteva percepire il senso di frustrazione che il bambino provava nel trovarsi di fronte a gusti e consistenze sconosciuti. – Ho provato minestre, budini, gelati, creme di frutta e verdure. – Alla fine mangerà. I bambini non muoiono mai di fame se c'è qualcosa di commestibile a portata di mano – affermò Iovino. I capelli soffici e castani della donna e la sua pelle color pesca e crema davano un'impressione di dolcezza e di innocenza, ma Troi si accorse che la risposta pratica dell'infermiera era un indicatore più accurato della sua personalità. – Questo è un bambino speciale – ribatté il consigliere, poi esitò incerta, non sapendo quanto poteva dire senza infrangere le restrizioni di sicurezza. – È cresciuto in modo insolito. – Sì, lo so – annuì Iovino. Aveva letto una versione ovviamente ridotta di una registrazione sui misteriosi sopravvissuti al naufragio. La cartella clinica del bambino non era molto dettagliata e certamente non corrispondeva ai consueti standard di precisione della Dottoressa Crusher, il che significava che molte domande sarebbero rimaste senza risposta. – Basta che lo lasci a me. Nonostante il suo esaurimento sia fisico che mentale, Troi era un po' riluttante ad affidare Mosè nelle mani di qualcun'altro finché non si rese conto che il bambino aveva smesso di piangere. Abbassò allora i suoi scudi empatici e percepì la sorpresa di lui, anche se non seppe stabilire che cosa nella nuova venuta avesse stimolato quella curiosità. – Sembra che tu abbia dell'ascendente con i bambini. – Temo proprio che sia così – sospirò Iovino. Mosè la osservò con lo sguardo fisso ed ebbe un singulto. Automaticamente la giovane infermiera gli dette una leggera pacca sulla schiena per attenuare gli spasimi del singhiozzo. – Vengo da una famiglia molto numerosa... molto molto numerosa – spiegò, scuotendo la testa al ricordo della sua casa natale. I 138 vasti continenti di LonGiland erano stati popolati in soli pochi secoli dai suoi prolifici colonizzatori. – Il matrimonio in età precoce è radicato nella tradizione, e perciò per tutta la vita ho dovuto prendermi cura di fratelli e sorelle minori, senza contare i nipoti. – Ma sei entrata nella Flotta Stellare invece di seguire quella tradizione. Capisco quanto possa essere stata difficile quella decisione perché anch'io ho rotto con le tradizioni della mia gente – commentò pensierosamente Troi. – Non me ne sono liberata del tutto – ridacchiò Iovino, cullando Mosè che si era addormentato tra le sue braccia. – Tutti quanti in infermeria continuano a lodare i miei modi con i bambini e se non sto attenta finirò di certo in pediatria! La discussione era cominciata in un'altra area dell'infermeria, ma la Dottoressa Crusher notò le occhiate affrettatamente distolte del suo staff e si rese conto che stava per perdere il proprio autocontrollo. Forse l'ambasciatore era insolitamente esasperante o la mancanza di sonno stava influenzando il suo equilibrio emotivo... Crusher preferì incolpare Deelor e lo guidò nel suo ufficio privato. – Non posso mantenerlo sotto sedativi finché non raggiungiamo la Base Stellare Dieci – ribadì. – Gli ho già dato più dosi di quante avrei voluto. – Provi con dosi più leggere – suggerì Deelor. – Dannazione, non ho bisogno di consigli medici... – replicò la dottoressa, anche se era proprio ciò che aveva chiesto. Respirò profondamente e riprese a parlare con più calma. – Ho cercato di ridurre il dosaggio, ma rimanere in uno stato parzialmente addormentato non fa altro che aumentare la confusione di Jason. Mi sta sfuggendo. – A volte succede. – Non ai miei pazienti! – Non posso aiutarla – affermò Deelor, scrollando le spalle. – Ma Ruthe può. – Gliel'ho chiesto, e ha rifiutato. – Allora glielo chieda ancora! – esclamò Crusher, smettendo di sforzarsi per contenere la propria rabbia. – No! – ribatté Deelor, alzando a sua volta la voce nel rispondere. – Di certo si rende conto di ciò che implica la sua richiesta? – Io sto cercando di salvare la vita di Jason. Le loro urla avevano coperto un suono di passi che si avvicinavano. Il 139 Capitano Picard entrò nella stanza e si fermò, in attesa di una spiegazione del loro comportamento; quando questa non arrivò, affrontò l'argomento che l'aveva portato in infermeria. – Ho ricevuto il suo rapporto medico riguardo all'atmosfera Choraii. Di che natura è quella droga? – L'analisi chimica indica che è un narcotico piuttosto blando – rispose Crusher, distrattamente, con un'espressione accigliata che era diretta a Deelor. – Potrebbe aver contribuito allo svenimento del Tenente Yar dopo il ritorno dalla Si Bemolle, ma visto che non mostrava segni di effetti collaterali prolungati l'ho dimessa. Comunque sto ancora cercando di determinare se Jason e il bambino soffrono di astinenza. I miei test su una possibile dipendenza chimica non sono conclusivi. – E lei crede che Ruthe possa avere qualche informazione? – insistette Picard, dimostrando così di aver sentito buona parte della loro conversazione, abbastanza da immaginare l'argomento del litigio. – Solo che lei non mi vuol dare neppure l'opportunità di farle delle domande – annuì Crusher. – Ambasciatore, lei è l'unico che abbia una qualche influenza su di lei – lo sfidò Picard. – Io? – esclamò Deelor, con irriverenza. – La conosco da tanto tempo, ma non dovete confondere questo con l'influenza. Ruthe fa soltanto quello che vuole lei. – Dal suo tono Crusher sospettò che Deelor ammirasse questo lato della personalità della traduttrice. – Mi rendo conto che Ruthe si era opposta al trasferimento – persistette il capitano, – ma certamente non vorrà lasciare che Jason soffra per i nostri errori. – Ruthe non vuole avere niente a che fare con i prigionieri. – Perché? – domandò Picard. – Non posso rispondervi – dichiarò Deelor. – Non importa... glielo chiederò personalmente – replicò rabbioso Picard, muovendosi verso la porta dell'ufficio, ma Deelor gli bloccò la strada. – Mi sta ordinando di non farlo, ambasciatore? – No – mormorò Deelor, alla fine, e si trasse da parte. Immersi in un silenzio pieno di disagio, lui e Crusher rimasero ad aspettare il ritorno del capitano. La richiesta di Picard di entrare fu soddisfatta, ma dal momento che Ruthe non era nella stanza principale dell'alloggio fu costretto a cercarla, e 140 nell'attraversare la stanza notò come fosse priva di effetti personali: sapeva che Deelor e Ruthe avevano perso tutte le loro cose nella distruzione della U.S.S. Ferrel, ma era evidente che non avevano fatto uso dei sintetizzatori della nave per rimpiazzarle. Deelor almeno si era procurato un abito nuovo, ma la traduttrice era rimasta avvolta nel grigio mantello ormai liso. Picard trovò Ruthe nella stanza da letto. – La Dottoressa Crusher vorrebbe porle qualche domanda riguardo alle condizioni di Jason. – Non ha più niente a che fare con me, ormai. Ve l'avevo detto di non portarlo a bordo – rispose lei, sedendosi sul letto singolo della stanza e raccogliendo le ginocchia sotto il mento. Anche se la sua posa non era affatto seducente, Picard avrebbe comunque preferito condurre la conversazione nell'area di soggiorno dell'alloggio perché l'informalità dell'ambiente implicava un certo grado di intimità che lui trovava poco confortevole. – E la morte di Jason proverebbe che aveva ragione. Il suo orgoglio vale la vita di un uomo? – Il mio lavoro è tradurre, niente di più. I prigionieri di Hamlin non mi interessano. – Non può semplicemente negare le sue responsabilità perché sono inopportune o spiacevoli – cominciò Picard, ma si accorse subito che non riusciva a far breccia in lei con quella tattica. Ruthe stava tormentando le coperte del letto disfatto e il suo iniziale atteggiamento sulla difensiva si era trasformato in nervosismo. – Lei ha detto che i Choraii davano valore alla vita umana, eppure hanno fatto del male a Jason. L'accusa gli procurò l'attenzione immediata di Ruthe. – Perché dice questo? – La Dottoressa Crusher ha trovato nell'atmosfera Choraii tracce di una sostanza chimica sconosciuta, una droga, che lo ha contaminato e che ha forse danneggiato anche il bambino. In queste circostanze non rimpiango affatto la decisione di portarli entrambi a bordo e raccomanderò fermamente alla Flotta Stellare di fare tutti gli sforzi possibili per recuperare ogni altro prigioniero adulto rintracciabile. Ruthe snodò il proprio corpo dalla posizione raccolta fino ad alzarsi in piedi sul letto e fissò il capitano con occhi così roventi che per un attimo Picard pensò che lo volesse attaccare; invece la donna si limitò a balzare sul pavimento. – Mi faccia vedere questa droga – disse, avvolgendosi il mantello 141 attorno al corpo, e seguì Picard fuori dall'alloggio. Quando arrivarono in infermeria, Beverly Crusher assunse subito i modi neutri di un medico professionista, ma non prima che Picard riuscisse a cogliere una traccia di sollievo nei suoi occhi; il capitano notò anche la sorpresa di Deelor... e una sfumatura di irritazione di fronte al successo del capitano. Ruthe ripeté la richiesta di vedere la droga e Crusher le porse una provetta in cui erano contenuti pochi millilitri di un liquido color ambra. – Ho notato quest'odore quando il Tenente Yar è tornato dalla nave Choraii – spiegò. Ruthe stappò la provetta e ne annusò il contenuto. – Cannella... – mormorò, rimanendo immobile con la provetta tra le mani finché Deelor non la chiamò per nome. – Ruthe? – Me n'ero dimenticata – sospirò lei, con lo sguardo ancora fisso su qualcosa che nessun altro poteva vedere; poi il tocco della mano di Deelor sul suo braccio la riportò al presente nella stanza in cui si trovava e lei rimise nuovamente il tappo alla provetta, sigillando l'aroma all'interno. – Ha già incontrato questa droga in precedenza? – domandò Picard. – Anni fa – ammise Ruthe, – quando ero ancora una bambina. – Ma com'è possibile? – Io sono nata su una nave Choraii – spiegò la traduttrice, facendo scivolare la provetta nel proprio mantello. XIV. – Di solito non lo dice a nessuno, e ovviamente io non potevo rivelare il suo segreto – spiegò Deelor, entrando insieme a Picard nella saletta tattica. Con un'occhiata significativa in direzione dell'uscita del suo ufficio medico, la Dottoressa Crusher aveva infatti reso più che chiara la sua intenzione di parlare con Ruthe senza le distrazioni causate da un gruppo di spettatori. – Sì, posso capirlo – annuì Picard. – Le sorprese di questa missione sembra che non finiscano mai – sospirò poi, sedendosi al proprio posto dietro la scrivania e girando la poltrona verso Deelor, che stava ammirando l'acquario. – Quando è stata salvata? – Nel corso del primo scambio, quindici anni fa – rispose Deelor, 142 decidendo che era inutile tenere segreti i dettagli, adesso che si era scoperta l'origine di Ruthe. – Era uno dei cinque prigionieri acquistati dai Ferengi – aggiunse, sedendosi a sua volta e distogliendo lo sguardo dai pesci nell'acquario per posarlo sulle stelle visibili dall'oblò alle spalle di Picard. – E tutti e tre gli adulti morirono – ricordò questi. – Non mi sorprende che Ruthe si sia rifiutata di aiutarci a portare Jason sull'Enterprise. Che ne è stato dell'altro bambino? – È vivo e sta bene. Era una bambina più giovane di Ruthe e si è adattata in fretta alla vita tra gli uomini – spiegò l'ambasciatore; evitò però di sottolineare che secondo i documenti che la riguardavano per Ruthe la transizione era stata più difficile, in quanto questo non era affare di Picard. – Non posso fare a meno di ammirare il suo coraggio: questa missione dev'essere un doloroso ricordo della sua prigionia – dichiarò il capitano. – Si è offerta volontaria per il lavoro. Con il suo aiuto la Federazione ha recuperato cinque discendenti di Hamlin negli ultimi anni – ribatté Deelor, pur sospettando che diversi prigionieri fossero sfuggiti al recupero prima che lui venisse a conoscenza della riluttanza di Ruthe a trattare per gli adulti. – Suppongo che la possibilità di salvare altri sopravvissuti di Hamlin le renda più facile sopportare il disagio – commentò Picard. – Sì, dev'essere così – annuì Deelor. Almeno questo era quello che aveva pensato all'inizio. In realtà, una volta che gli scambi erano stati completati Ruthe non aveva mai chiesto come stavano i bambini. Quel pensiero gli fece ricordare una cosa che voleva chiedere: – Com'è riuscito a persuaderla a venire in infermeria? – Psicologia inversa – mormorò Picard, spiegando la strategia che aveva usato e concludendo: – Così, la sola possibilità che le è rimasta di confutare la mia decisione di salvare altri adulti è stata quella di venire in infermeria per provarmi che i Choraii non li maltrattano affatto. – Già, è ovvio. Molto astuto, capitano – si complimentò Deelor. Dal momento che durante tutta la sua carriera aveva manipolato la gente in quel modo, spesso avendo come posta in gioco la sua stessa vita e il successo della sua missione, sapeva che un trucco così semplice avrebbe dovuto essergli palese... quindi perché non ci aveva pensato lui? Una volta posta la domanda, sfiorò quasi subito la risposta ma si ritrasse immediatamente da essa: lui viaggiava sempre da solo, e non aveva bisogno di complicazioni. 143 La Dottoressa Crusher non aveva mai parlato a Ruthe da sola e osservandola adesso, senza l'interferenza della forte personalità di Andrew Deelor, notò che le maniere riservate della donna si erano fatte ancora più accentuate: la sua mancanza di espressione sarebbe passata inosservata in un Vulcaniano, ma in un Umano tale comportamento generava uno strano senso di turbamento. Per la prima volta, la dottoressa vide Ruthe non più soltanto come una semplice passeggera ma anche come una paziente. – La droga è innocua – affermò Ruthe, restituendo la provetta con l'aroma di cannella. – I Choraii stavano probabilmente cercando di aiutare Jason durante il trasferimento: senza l'influenza della droga lui sarebbe stato più diffidente all'approccio del Tenente Yar. La dottoressa non si lasciò convincere per niente da quell'interpretazione dello scopo della droga. – Probabilmente è stato così, ma la droga lo ha reso più agitato una volta teletrasportato a bordo. – Reagiscono tutti violentemente all'inizio, anche i più giovani – ribadì Ruthe, inclinando la testa per ascoltare i deboli pianti di un bambino, che si potevano sentire attraverso le pareti dell'infermeria. – Quello che piange è l'altro? – Sì – sospirò Crusher. Il tocco magico di Iovino non poteva sostituire il cibo, e il bambino non aveva ancora mangiato. – La cannella lo calmerebbe. – Ha bisogno di cibo, non di droga! – esclamò la dottoressa, lottando per non mostrarle la rabbia che provava perché non poteva rischiare di inimicarsi la traduttrice proprio adesso; invece, sfruttò quell'argomento per dirigere la discussione sul passato di Ruthe. – Che cosa ha mangiato lei appena lasciata la nave Choraii? – Non mi ricordo – rispose la donna, scrollando le spalle con indifferenza. Crusher si era aspettata quella continua resistenza, perché anche senza avere il suo profilo psicologico nelle registrazioni mediche avrebbe comunque dedotto che la freddezza emotiva di Ruthe serviva come uno scudo che la proteggeva da un passato doloroso. Eppure le speranze di salvare Jason erano riposte in Ruthe e in quei ricordi che lei avrebbe volentieri dimenticato. – Ho un piano per curare Jason, ma ho bisogno del suo aiuto. – Ho già risposto alle domande sulla cannella e questo è tutto quello che 144 avevo promesso di fare – ribatté Ruthe, girandole le spalle. – Voglio ricreare l'interno di una nave Choraii su un ponte ologrammi – continuò con calma Crusher. – Se potesse tornare in un ambiente familiare, forse Jason si sentirebbe indotto ad abbandonare l'isolamento emotivo in cui si è rifugiato – spiegò, osservando Ruthe per cercare di dedurne la reazione dal suo atteggiamento, ma la donna era già difficile da interpretare guardandola in viso e di spalle era addirittura indecifrabile. Cercando di non esercitare ulteriore pressione, Crusher continuò la spiegazione: – Le registrazioni dei sensori sono sufficienti perché Data determini le caratteristiche generali della struttura di una bolla e la composizione dell'atmosfera. Il Tenente Yar può fornirci qualche idea del suo interno ma non nei dettagli, e lei è l'unica persona che può confermarci l'autenticità dell'effetto finale. – Quel bambino fa molto rumore. Non le viene mai a noia tutto quel piangere? – chiese Ruthe. – Sì, certo – confermò Crusher, ricordandosi di non forzarla, di lasciare che fosse lei a decidere di aiutarli. – Provate con l'uva – suggerì Ruthe, tornando a girarsi verso di lei, – o con qualsiasi cosa tonda con un centro morbido. Il cibo Choraii è sempre racchiuso in bolle – concluse, e lasciò l'infermeria senza aggiungere altro a quell'ultimo consiglio. La Dottoressa Crusher attivò il comunicatore. – Data, sono pronta per cominciare il progetto sul ponte ologrammi – comunicò. Ruthe non aveva detto di no, e questo era un fatto abbastanza promettente da permettere di dare avvio al lavoro. Con le sue dimensioni squadrate delimitate da pareti spoglie e da un pavimento nudo, ad una prima occhiata la stanza appariva semplice, ma quell'apparenza era ingannevole perché il ponte ologrammi era uno degli apparati tecnologici più sofisticati presenti a bordo dell'Enterprise. Questo particolare ponte ologrammi era più piccolo di quello che conteneva la fattoria dei Coloni di Oregon e l'illusione che creava era limitata al centro della stanza, dove si trovava una singola bolla trasparente e tremolante la cui superficie curva si appiattiva nel punto di contatto con il ponte; la scivolosa superficie esterna della bolla brillava sotto la luce ambientale diffusa usata per illuminare i primi stadi del progetto. All'interno della sfera, Tasha Yar nuotava nell'acqua con bracciate pigre, mentre i capelli biondi le fluttuavano intorno alla testa come un'aureola; ad 145 un cenno del tenente la simulazione scomparve e lei cadde sul pavimento con un tonfo. – Data! – gridò, rialzandosi dalla posizione accucciata che aveva usato per assorbire la caduta e allontanandosi una ciocca di capelli dagli occhi. L'androide alzò lo sguardo dal pannello di controllo posto all'ingresso della stanza e aggrottò la fronte in un'espressione sorpresa: aveva percepito l'irritazione della voce di Yar, ma gli fu necessario un momento per capire la ragione che aveva generato quell'emozione e per intuire che era necessaria una scusa. – Mi dispiace. Il campo gravitazionale è legato agli altri parametri del programma. Prima della fine sarà necessario aggiungere un'apertura d'ingresso, ma finora mi sono concentrato sull'interno del vascello Choraii. Comunque, posso sempre usare un po' di tempo per... – Non preoccuparti! – tagliò corto Yar, accennando distrattamente a togliersi l'acqua dall'uniforme, e fermandosi quando si rese conto che la stoffa era asciutta: non appena Data aveva sospeso il programma, infatti, tutto il liquido era stato eliminato insieme al guscio esterno. – In ogni caso sento che il programma è migliorato. – Puoi essere più precisa? – chiese lui. – La temperatura mi sembra giusta, e anche la densità del liquido. Credo... – Tasha si concentrò per ricatturare le sensazioni fisiche della sua breve visita alla nave Choraii, scoprendo che quei ricordi che aveva ritenuto essere indelebili sfumavano invece un po' di più ad ogni esposizione della proiezione olografica. – Però c'è ancora qualcosa che non va – continuò, sollevando una mano per bloccare Data che aveva accennato a parlare. – Lo so, devo essere più precisa – disse da sola, e quando l'androide annuì provò a spiegarsi: – La spinta di galleggiabilità è ancora sbagliata. – In che senso? – domandò Data. La Dottoressa Crusher gli aveva fornito campioni dell'atmosfera interna, pochi millilitri prelevati dai vestiti di Yar, ma le proprietà della sostanza erano difficili da determinare da una quantità così piccola; aumentando la massa del liquido cambiavano le sue qualità e quella variazione così affascinante dal punto di vista teorico era invece frustrante quando si tentava di duplicarne gli effetti. – Non te lo so dire. Ho la sensazione che sia sbagliata! – dichiarò Yar e si affrettò ad aggiungere altri dettagli prima che lui potesse indagare più a fondo: – E le pareti sono troppo rigide. – Ah! Questo particolare logaritmo è molto interessante – esclamò Data, 146 modificando i parametri del programma per la costruzione della bolla. – I Choraii dimostrano di avere una incredibile capacità di controllare la tensione superficiale. – Possiamo provare aggiungendo il colore? – domandò Yar. – Forse questo la farebbe sembrare più vera. Data annuì e inserì un'altra serie di numeri nella sequenza di controllo. La struttura generale della nave Choraii era ormai stabilita, ma quei dettagli subliminali giocavano un ruolo ugualmente importante per stabilire l'appropriata credibilità. Sfortunatamente, le imprecisioni umane allungavano ulteriormente il già lungo processo di programmazione. Se fosse stato Data a teletrasportarsi a bordo della Si Bemolle al posto del tenente, il progetto avrebbe già potuto essere completato. L'androide lanciò il programma ancora una volta. – Ehi! – gridò Yar, quando venne lanciata in aria senza preavviso dal campo gravitazionale a bassa intensità e una bolla traslucida di color arancione si formò intorno a lei. Al suo ingresso sul ponte ologrammi dei Coloni, Wesley Crusher trovò i prati rischiarati dal sole ancora umidi per la pioggia del mattino e il cielo solcato da un tenue arcobaleno; quel panorama idilliaco era completato dalle greggi bianche che pascolavano sul ricco tappeto di umida erba grassa e da un puledro dalle lunghe zampe che galoppava intorno a un gruppo di vitelli che brucavano tranquilli. Camminando fra i cespugli di fiori selvatici, Wesley si domandò quando sarebbero cresciuti i funghi e se qualcuno li avrebbe notati. – Il tempo è proprio bello – commentò il Vecchio Steven, allorché Wesley passò dal frutteto; l'uomo era seduto su un tronco caduto e stava sbucciando accuratamente una mela con il suo coltello tascabile. – Veramente bello, sì – rispose il ragazzo, senza riuscire a capire se il Vecchio Steven avesse inteso fargli un complimento o se la sua fosse stata una semplice osservazione; in ogni caso sarebbe stato poco educato sottolineare il proprio merito, perciò proseguì oltre senza aggiungere altro. Wesley visitava spesso la fattoria e, nonostante la sua uniforme della Flotta, era riuscito ad amalgamarsi bene con la comunità dei Coloni. Aveva imparato a imitare l'andatura decisa che Dnnys aveva quando si recava al lavoro e a tenere per sé le proprie opinioni, proprio come un buon Colono, e alla fine anche il più ostile degli Oregoniani si era abituato alla sua presenza; la maggior parte si accontentava di ignorarlo mentre altri, come 147 il Vecchio Steven e Mry, lo salutavano con aperta amicizia. – Dnnys è nel fienile – gli comunicò Mry, quando Wesley entrò nel granaio. La ragazza era responsabile della nutrizione dei conigli ed era impegnata a preparare la bottiglia con il latte per il loro prossimo pasto. Raccolto uno dei giovani animali, Wesley accarezzò le lunghe orecchie e si meravigliò della morbidezza della pelliccia. – Le pecore servono per la lana e le mucche per il latte, ma cosa ci fate con i conigli? – chiese. – Li mangiamo! – rispose Mry. – Li mangiate? – ripeté Wesley, guardando il piccolo fagottino color marrone. – È ovvio. Perché sei così sorpreso? – domandò lei, tendendo la mano per riprendere l'animale. – Non lo so. È solo che pensavo che foste vegetariani... – mormorò Wesley, restituendo il coniglio con un po' di rimorso. – Sono graziosi a quest'età – annuì la Colona, mentre il coniglio cominciava a succhiare il latte dalla bottiglia, – ma sono anche gustosi. E la pelliccia è calda. – Attenzione! – gridò una voce dall'alto, ma l'avvertimento non arrivò abbastanza in tempo perché Wesley potesse evitare la paglia lasciata cadere dal forcone. Dnnys si sporse sull'orlo del fienile e sorrise nel vedere l'amico che emergeva tossendo da sotto la paglia. – Vieni quassù, che è più sicuro. Wesley si arrampicò velocemente sulla scala. Da vicino riuscì a scorgere la tensione che si nascondeva dietro il sorriso del giovane Colono. – Come me la sono cavata? – sussurrò Dnnys, piantando il forcone in un mucchio di erba secca e smuovendola per coprire le loro voci. – Ho controllato le risposte alle domande stamattina. Sei passato, ma di pochissimo. Dnnys si accigliò per un momento, poi emise un sospiro rassegnato. – Se solo avessi più tempo per studiare, credo che potrei fare di meglio. – Io so che ci riusciresti. Hai afferrato velocemente i concetti matematici e hai fatto parecchia esperienza durante il viaggio. Tutto quello che ti serve è un po' di pratica! – esclamò Wesley, togliendo il forcone dalle mani di Dnnys e gettando un po' di paglia oltre l'orlo. – Muoviti ora... non posso fare il tuo lavoro per più di un'ora! Dnnys si precipitò sul retro del fienile e tirò fuori un libro da sotto una tavola del pavimento. Le pagine si aprirono proprio in mezzo al libro e il 148 ragazzo cominciò a leggere, socchiudendo gli occhi per distinguere le parole nella debole luce che entrava nel granaio. Iovino staccò l'ultimo acino verde dal raspo ormai vuoto, denudato come gli altri numerosi rametti sparsi sul tavolo. – Uva? – domandò, scandendo chiaramente la parola. Mosè annuì con vigore e si sporse per afferrare la frutta. Strappando il cibo dalle mani della donna si premette il chicco contro le labbra serrate e succhiò: l'acino entrò in bocca con uno schiocco e il bambino tese le mani per averne ancora. – Adesso basta con l'uva – annunciò Iovino. Mosè non aveva mangiato altro quel giorno, ma certo era un bell'inizio per qualcuno che non toccava cibo solido da tempo e lui aveva persino cominciato a riconoscere il suono della parola. Restava adesso un'altra grossa difficoltà da superare: il bambino si rifiutava di bere liquidi. Forse sulla nave dov'era nato il cibo forniva acqua a sufficienza, ma sull'Enterprise la disidratazione faceva sentire i suoi effetti. Iovino aveva un piano per cambiare la situazione. Esagerando al massimo tutti i suoi movimenti, per mostrare bene le azioni che faceva e attirare l'attenzione del bambino, si protese a prendere un bicchiere d'acqua sul tavolo. Dall'orlo spuntava una cannuccia dai colori vivaci e Iovino la avvicinò alla bocca succhiando rumorosamente finché le guance non furono gonfie di liquido. Accostando il volto a quello del bambino, Iovino schizzò l'acqua proprio sulla faccia di Mosè che si vide colare all'improvviso il liquido dalla fronte e dalle guance, giù fino al mento. Il piccolo rise deliziato dal trucchetto. – Ti è piaciuto? Vuoi che lo faccia di nuovo? – gli domandò. Mosè non reagì alle parole, ma quando lei alzò di nuovo il bicchiere trillò entusiasta. Iovino ripeté la sequenza diverse volte e poi porse la cannuccia al bambino. Non ebbe bisogno di incitarlo perché lui cominciasse ad usarla, il che aggiungeva una nota interessante alla sua cartella. Mosè si riempì le guance con l'acqua proprio come aveva fatto lei e con una tecnica ancora migliore della sua le spruzzò sul naso un getto di liquido. – Molto bene! – rise la dottoressa. – Adesso tocca di nuovo a me – esclamò quindi, continuando il gioco finché entrambi non furono completamente inzuppati d'acqua. A quel punto riempì nuovamente il bicchiere e offrì a Mosè la cannuccia, ma questa volta gli tappò con le mani la bocca prima che potesse schizzarle l'acqua, usando i pollici per 149 tenere sigillate le labbra mentre gli indici premevano contro le guance per forzare l'acqua ad andare giù in gola. Mosè non rise, ma prima che potesse cominciare a piangere Iovino gli offrì la possibilità di giocare anche a lei lo stesso scherzo, ingoiando il liquido non appena le minuscole dita del bambino le premettero goffamente sul viso. – Non è stato divertente? Mosè evidentemente fu d'accordo, perché succhiò ancora dalla cannuccia e si riempì le guance come un criceto, senza però schizzare fuori l'acqua e aspettando che la giovane dottoressa facesse la sua parte in quel nuovo gioco. La Dottoressa Crusher lesse al capitano alcune parti del rapporto di Iovino, ma per rispetto verso la dignità dell'internista non gli mostrò la registrazione visiva: le immagini del bambino che sputacchiava deliziato l'acqua sul viso di Lisa le avevano fornito una pausa comica davvero necessaria, ma era meglio che la scena rimanesse privata. – Una ragazza piena di risorse – annuì Picard. Anche se la descrizione della battaglia con l'acqua gli aveva strappato un sorriso, era però turbato dall'aspetto del viso di Beverly Crusher... la fatica accentuava i suoi zigomi alti e aveva privato di ogni traccia di colore la sua pelle chiara. – È una delle dottoresse migliori – confermò Crusher, ignara di essere sottoposta all'attento esame del capitano. – Il bambino sta facendo rapidi progressi sotto la sua cura e potrebbe essere in grado di camminare per quando raggiungeremo la Base Stellare Dieci. Naturalmente aiuta molto il fatto che sia ancora piccolo: i bambini hanno un'abilità straordinaria di adattarsi ai nuovi ambienti. Quindici anni prima la traduttrice era passata attraverso la stessa riabilitazione e Picard tentò di calcolare la differenza di tempo, senza però riuscire a stabilire la sua età attuale. – Quanti anni aveva Ruthe quando è stata salvata? – Dai risultati dei suoi primi esami medici risulta che avesse circa dieci anni, ma la stima potrebbe essere sbagliata di diversi anni. Non abbiamo praticamente nessuna informazione sugli effetti dell'ambiente Choraii sullo sviluppo nei primi anni d'età. – Dieci anni... – rifletté Picard. – Deve essere stato incredibile imparare a respirare, camminare, parlare e bere acqua a quell'età... per la prima volta. – Ed è terribile doverlo fare a cinquant'anni! – sospirò Crusher, 150 pensando che le sue aspettative per Jason erano assai modeste, in quanto si augurava soltanto di tenerlo in vita. Il progetto sul ponte ologrammi era sembrato promettente all'inizio, ma i ricordi di Yar erano limitati e Data sembrava sempre più cauto in merito alla possibilità di creare una simulazione convincente. – Beverly, stai zoppicando! – esclamò Picard, osservando la dottoressa attraversare la stanza per dirigersi alla sua scrivania. – Non l'avevo notato – mormorò lei, che solo adesso si rendeva conto della dolorosa pulsazione alla gamba destra. Il fatto non la preoccupò, visto che aveva sempre sentito dolori intermittenti da quando si era ferita alla gamba, due settimane prima. – Credevo che la ferita fosse guarita – insistette Picard. La lacerazione era stata profonda e la perdita di sangue notevole, quasi fatale. In effetti Picard non aveva mai ammesso con se stesso il fatto che Beverly Crusher sarebbe potuta morire sul pianeta Minos. – È già guarita, ma ultimamente sono stata troppo in piedi. – Non sei stata tu a mettermi in guardia dal sentirmi invincibile? – In questo momento non mi sento invincibile, ma distrutta! – rise debolmente Crusher. – Allora va' un po' a dormire, come facciamo tutti – le consigliò, trattenendosi dal dirle apertamente quanto apparisse affaticata. La Dottoressa Crusher era però troppo preoccupata per seguire il consiglio. Si voltò verso di lui e per un attimo lasciò cadere tutta la sua compostezza professionale, come se si fosse tolta un'armatura troppo pesante da sopportare. – Jean-Luc, se non riusciamo a creare una nave Choraii olografica, non so proprio cos'altro posso fare per Jason. La sua voce tradì una paura che Picard non aveva mai percepito prima, nemmeno quando la sua stessa vita era stata in pericolo nelle caverne di Minos, e adesso come allora non seppe cosa risponderle. La simulazione si dissolse e liberò Yar. La giovane tenente aveva ormai imparato ad anticipare la caduta e atterrò in piedi senza perdere l'equilibrio. Le gambe le dolevano per i ripetuti impatti e il lucido pavimento del ponte era segnato dai suoi stivali, ma era troppo orgogliosa per chiedere a Data di aggiungere l'ingresso alla bolla prima del previsto, soprattutto perché era proprio la sua memoria imprecisa ad ostacolare i loro progressi. 151 L'androide la guardò in attesa di un commento. – Non lo so più! – gridò Yar, allargando le braccia in un gesto disperato. – Più caldo, più freddo, più pressione, meno pressione. Data, abbiamo provato in troppi modi diversi e adesso sono confusa. – All'inizio la sua mente le aveva presentato una fresca e chiara immagine della nave Choraii, che adesso però non era più affidabile. Appena provava a raggiungerla, la visione sfumava come un miraggio nel deserto. – Forse ora dovremmo lavorare sull'indice della viscosità – suggerì Data. – Hai detto che era quasi perfetto. – Quando l'ho detto? – brontolò Yar. – Data, non ha più senso andare avanti! – esclamò poi, girando le spalle all'androide per nascondere il proprio viso bruciante. Data possedeva infinita pazienza, e avrebbe continuato fin quando fosse stato necessario, ma riusciva comunque a percepire la futilità dei loro sforzi. – La Dottoressa Crusher non sarà soddisfatta – mormorò. Le emozioni umane lo avevano spesso lasciato perplesso, ma nel caso della Dottoressa Crusher era riuscito a registrare il fatto che lei faceva molto affidamento su quel progetto e che lo riteneva urgente. Richiamò ancora una volta l'immagine olografica e la studiò criticamente: nonostante l'interno non fosse ancora perfetto, l'esterno della bolla Choraii corrispondeva alle registrazioni visive. – Forse sarà sufficiente così per la cura. – Forse... – sospirò Yar. Cercò ancora una volta di richiamare alla memoria qualcosa che non fosse stato cancellato dalle prove dell'esperimento, ma riuscì solo a percepire l'ulteriore allontanamento di quella realtà: la sua breve esperienza si era dimostrata troppo fragile per resistere al duro uso che ne aveva fatto. Data si rassegnò a ritenere terminato il progetto e si preparò a salvare il modello più recente quando lo sguardo sorpreso apparso sul viso di Yar lo avvertì della presenza di una terza persona. Nessuno dei due aveva sentito l'avvicinarsi di Ruthe: la traduttrice era apparsa all'ingresso del ponte ologrammi come se si fosse materializzata dall'aria stessa e rimaneva ora silenziosa e immobile, ipnotizzata dalla sfera traslucida color arancione. Lentamente, come trascinata contro la sua volontà, fece un passo verso la sfera, poi un altro, fino ad attraversare la stanza e ad essere abbastanza vicina all'immagine da poterla toccare. Protese quindi una mano per sfiorare la superficie della bolla e quando le sue dita ne incontrarono la resistenza si ritrasse come se si fosse bruciata. 152 – Posso entrarci? – chiese a Yar. XV. Ruthe stava galleggiando libera nel caldo oceano racchiuso nel grappolo Choraii. La sfera più interna era tanto larga che il suo diametro misurava diverse volte la lunghezza del suo corpo, ed era limitata su tutti i lati dagli ovali appiattiti che segnavano i punti di contatto con le sfere che la circondavano. Con bracciate pigre Ruthe nuotò fino alla superficie sfaccettata, puntò i piedi e si diede una spinta, distorcendo il materiale flessibile. Il rimbalzo della parete la lanciò attraverso la sfera fino alla parete opposta dove congiunse le dita per farsi strada attraverso la membrana d'ingresso a quella successiva. Passò dall'altra parte e sentì lo schiocco della membrana che si chiudeva alle sue spalle. Spingendo con la pianta dei piedi contro la superficie più vicina, si diede un'altra spinta e in quel modo proseguì lungo la successione di sfere. La sua corsa attraverso il grappolo di bolle era cominciata per la pura gioia di farlo, al tempo di una musica vivace che si propagava vibrando nel liquido circostante e scivolava sulla sua pelle. Mentre rotolava e rimbalzava con facilità e calma un suono più basso e rimbombante cominciò però a soffocare la danza, la paura si impadronì di lei e il gioco divenne una caccia in cui il suo ruolo era quello della preda. A mano a mano che nuotava in avanti le sfere del grappolo divennero più piccole e lei vi si gettò dentro sempre più velocemente, ma la caccia continuò senza sosta... una spinta e un passaggio, una spinta e un passaggio finché vide la luce rifratta delle stelle che brillavano al di là dello strato più esterno della nave Choraii. Il suono schioccante dei passaggi dietro di lei divenne sempre più forte mentre i suoi inseguitori si avvicinavano, poi una corrente la investì, trasportando un odore sconosciuto, un odore che sapeva di pericolo. Il terrore prese il posto della ragione e Ruthe nuotò attraverso l'ultima parete, urlando quando fu colpita dal gelido alito del vuoto dello spazio e tutto il liquido le venne risucchiato fuori dai polmoni... Deelor attraversò a precipizio l'alloggio, guidato dal suono delle urla di Ruthe fino all'angolo dove lei si era addormentata. Stringendola a sé per cercare di calmarla la chiamò diverse volte finché lei non smise di lottare contro il suo abbraccio e le urla lasciarono il posto a un pianto sommesso, 153 poi continuò ad accarezzarle i capelli e a mormorare parole rassicuranti, sentendo a poco a poco che la tensione svaniva dai suoi muscoli. Nelle prime ore del mattino, quando lei scivolò in un sonno agitato, Deelor si decise infine a tornare al proprio letto. – Non guardate giù – avvertì Yar, accompagnando gli altri al ponte ologrammi. Automaticamente Beverly Crusher controllò i propri piedi e si ritrovò a camminare su un pozzo senza fondo, ad anni luce dalle stelle che brillavano sotto di lei; lottando contro un senso di vertigine, la dottoressa alzò gli occhi e si concentrò sulla sfera arancione di fronte a lei. Data aveva suggerito di piazzare la bolla Choraii in un ambiente cosmico e Crusher aveva acconsentito pensando che questo avrebbe aggiunto un po' di realismo alla rappresentazione, ma adesso trovava il risultato stupefacente e disorientante. – Sei stata avvertita – commentò Deanna, con un sorriso comprensivo. – Ricordate di non cercare di non respirare – catechizzò Yar, senza preoccuparsi di nascondere l'evidente soddisfazione che le dava l'opportunità di ripetere alla dottoressa il consiglio che questa le aveva impartito in precedenza. – Inalate il liquido perché non vi succederà assolutamente niente. – Grazie, Tasha – annuì Crusher seccamente. Cercò di ricordare a se stessa che quella era solo una simulazione olografica e non una vera nave Choraii, ma il saperlo non le fu di grande aiuto quando si trattò di oltrepassare l'ingresso di quell'ambiente alieno: il suo corpo si rifiutò di accettare gli ordini provenienti dalla mente e lottò per non respirare, ballonzolando con gentilezza nel liquido. Con bracciate esperte la dottoressa si portò al fianco di Jason, che Yar aveva teletrasportato direttamente dall'infermeria al centro della simulazione. L'uomo stava ancora galleggiando in posizione fetale, ma era leggermente meno appallottolato di prima. Crusher afferrò la sonda medica che portava assicurata al fianco e cominciò l'ispezione. Un ampio sondaggio del corpo di lui mostrò che il suo metabolismo aveva completamente eliminato l'ultima traccia di sedativi e l'attività cerebrale indicava che Jason era conscio della presenza della dottoressa... il che costituiva un netto miglioramento delle sue condizioni. Crusher nuotò quindi verso l'uscita, ma prima di lasciare la bolla si forzò di inalare una veloce boccata dell'atmosfera, sentendo i polmoni che le si 154 riempivano di liquido, dandole una insolita sensazione di peso e di pressione. Il rispetto che aveva di Yar aumentò di gran lunga: il capo della Sicurezza aveva del fegato. – Sta funzionando – annunciò Crusher uscendo. Raccolti i capelli li strizzò per liberarli dei rimasugli dell'interno acquoso, facendo scorrere rivoli di liquido sull'uniforme e sul pavimento invisibile del ponte. – Ne sta venendo fuori. – Sì – annuì Troi, ma con minore entusiasmo: le emozioni che aveva percepito fin da quando Jason si era svegliato non erano affatto rassicuranti. Patrisha aveva ancora il libro di testo tra le mani quando Dnnys entrò nella stanza. – È mio – affermò lui con voce tesa. – Mi spiace, Dnnys, non intendevo curiosare – si scusò sua madre, posando il volume sul comò dell'alloggio, vicino ai vestiti che aveva tolto dai cassetti. – Stavo mettendo nella valigia le tue cose in previsione dell'arrivo a New Oregon. Tu sei stato così impegnato ultimamente... – aggiunse, facendo scorrere le dita sul titolo del libro... – E adesso ho capito perché. – Non mi dispiace – dichiarò il ragazzo, abbassando lo sguardo. – Qualunque sia la punizione non sono affatto dispiaciuto. – No, e non mi aspetto che tu lo sia. Se Tomas non è ancora riuscito a inculcarti un minimo di buon senso nella testa, vuol dire che non c'è nessuna speranza – sospirò Patrisha. Suo figlio rialzò la testa di scatto e nei suoi occhi balenò un lampo di rabbia. – Se tu non credi nelle loro stupide regole, perché dovrei crederci io? – È così palese? – domandò Patrisha, sentendosi stringere la gola dalla paura. – Forse non per gli altri, ma per me sì. – E questo libro... cosa ci guadagnerai leggendolo? – Una licenza di meccanico – dichiarò Dnnys, – e un passaggio lontano da New Oregon sulla prima nave che avrà bisogno di una mano in più. Jason era visibile dall'esterno della bolla Choraii, ma soltanto come una forma pallida e spettrale che galleggiava di qua e di là. Aveva gli occhi chiusi e non reagiva alla presenza delle tre persone che lo sorvegliavano 155 parlando di lui a bassa voce. Sebbene le braccia e le gambe fossero ora distese, i suoi movimenti erano limitati e apatici. – Data potrebbe replicare lo schema della bolla in modo da creare un grappolo? – domandò Beverly Crusher, con un'espressione accigliata che tradiva la sua preoccupazione. – La struttura potrebbe avvicinarsi ancora di più all'originale... – Non lo aiuterebbe – affermò Troi. – La costruzione della sfera non è fondamentale. Jason sta cercando qualcosa che noi non possiamo dargli – concluse, focalizzando ancora una volta con trepidazione le proprie emozioni per sondare ciò che sentiva Jason. Cercò le parole per descrivere il suo ardente desiderio e il senso di abbandono, ma la voce le morì in gola e le lacrime le spuntarono sotto le palpebre. – Sta attendendo di sentire i Choraii – mormorò in tono quieto Ruthe, che si teneva da parte rispetto alle altre due donne. – Anche se sa che se ne sono andati. – Vorrebbe suonare per lui? Forse la sua musica lo può aiutare – suggerì Crusher. La traduttrice restò immobile per un momento, prima di replicare. – Quando ero piccola e ancora nuotavo con mia madre nelle acque della nostra nave-casa, lei mi raccontava la storia di Hamlin, di come un bambino sentì la canzone dei Choraii e rise e batté le mani con gioia al glorioso suono della loro musica, sebbene tutto intorno a lui si stesse trasformando in polvere e fuoco. E i Choraii salvarono quel bambino, e tutti gli altri bambini, così che potessero ascoltare le loro melodie per il resto della vita. – Orribile! – gridò Troi. – Lo crede davvero? – domandò Ruthe, in tono sommesso. – Ruthe... la prego, ci aiuti a salvare Jason – implorò Crusher, lottando con il nodo che le si era formato in gola. La donna però scosse il capo. – Non capite. Il debole soffio del mio flauto non può reggere il confronto con la musica dei cantori. Inoltre tutto ciò che mi sento di suonare sono canzoni tristi! – concluse voltandosi e uscendo dal ponte ologrammi. – Dannazione a lei! – esclamò con rabbia la dottoressa. – Beverly – ammonì Deanna, stringendole con gentilezza un braccio, – questa situazione sta coinvolgendo anche Ruthe. Quando è salita a bordo per la prima volta, aveva isolato se stessa da tutte le emozioni, mentre 156 adesso la stiamo forzando a rivivere il suo passato attraverso Jason e il bambino. Posso percepire numerose emozioni che stanno prendendo vita in lei e dobbiamo stare molto attente a quello che le chiediamo di fare. – Ecco, per me non ha senso – dichiarò Riker, mentre percorreva con Data uno dei corridoi che portavano alla plancia. – Come si può avere una religione e non poterne parlare? – Alcune culture vietano di discutere di sesso eppure riescono a riprodursi – precisò Data senza voler essere divertente, ma il primo ufficiale scoppiò a ridere lo stesso. L'androide scosse il capo: – Chissà perché non ha mai questa reazione quando racconto le barzellette. – Perché le tue barzellette non sono divertenti – esclamò Riker, continuando a ridere. – Dovrò studiare di più questo argomento – ammise Data. – Non sono sicuro che tu possa sviluppare un senso dell'umorismo studiando – controbatté Riker, poi notò la forma familiare di una donna che camminava davanti a loro e accelerò il passo per raggiungerla. – Deve essere un talento spontaneo. – Come dormire? – domandò Data, adattando automaticamente la sua andatura a quella del primo ufficiale. – Anche quello è un concetto difficile e per adesso non sono riuscito a comprendere il fascino della mancanza di coscienza. Riker però non lo stava più ascoltando. – Deanna – chiamò, ma dovette ripetere il richiamo altre due volte prima che lei si girasse. – Cosa c'è che non va? – le domandò in tono penetrante, non appena la vide in volto. – Sono solo stanca – ammise il consigliere, sollevando una mano per asciugare l'umidità sulla guancia. – E ho anche pianto. – Deanna... – Sto bene, Will. È solo che ho passato troppe ore con il prigioniero di Hamlin. È così solo, così disperato. Per quanto consapevole degli sguardi degli ufficiali di passaggio e della curiosità palese di Data, Riker non se la sentì comunque di abbandonare Troi. – Ti accompagno al tuo alloggio. – Grazie, Will – annuì Troi, poi si affrettò ad aggiungere: – Però preferisco stare un po' sola adesso. Queste sono soltanto emozioni di qualcun altro ma finché non eliminerò la loro influenza... sarò vulnerabile 157 – concluse, accelerando il passo e infilandosi in un turboascensore con due passeggeri. – Deanna! Le porte si chiusero. – Anche la produzione delle lacrime mi ha fatto venire in mente diverse domande – esclamò Data. – Forse questa potrebbe essere una buona occas... – Non adesso, Data – lo zittì Riker riprendendo a camminare. – Forse non è una buona occasione – accettò Data, aggiungendo un'altra domanda alla lista di perplessità sul comportamento umano. – Presumo che tu ne abbia abbastanza – esclamò la Dottoressa Iovino, allontanando il bicchiere da Mosè e asciugandosi l'acqua dall'uniforme. Non era ancora riuscita a convincerlo di quanto fosse divertente smettere di giocare con l'acqua durante i pasti. – No! – urlò il bambino con enfasi. – Ero certa che l'avresti detto – sospirò lei. Continuava a parlargli e sembrava che la comprensione del piccolo migliorasse rapidamente, come se avesse già posseduto la conoscenza del linguaggio ma fosse stato lento a cominciare a parlare. In quel momento il suo vocabolario era composto da una sola parola. – Nel caso ti interessi, i tuoi progressi comportamentali sono come da manuale. – No! – Proprio quello che dico io! Ecco perché il tuo sviluppo è arrivato allo «stadio del sì e del no». Giusto? – domandò e rispose alla domanda unendosi all'inevitabile risposta del bambino: – No! Mosè ridacchiò deliziato dal coro delle loro due voci. Un'ombra si stagliò sul pavimento; quando alzò lo sguardo per vedere chi era entrato nella stanza Iovino riconobbe la donna come una dei superstiti della U.S.S. Ferrel e sospettò che Ruthe fosse in qualche modo collegata all'inesplicabile apparizione del bambino in infermeria... sembrava che anche lei fosse una bambina timida. Ignorando la presenza di Ruthe, continuò a parlare con Mosè. – Guarda che cos'ho – disse, mostrando un pezzo di cioccolato. Mosè aveva cominciato a mangiare cibo solido e questo era uno dei suoi preferiti. – Ne vuoi un po'? – No! – dichiarò lui allegramente. La dottoressa nascose il cioccolato dietro la schiena e aspettò la sua 158 reazione. Quando il bambino cominciò a lamentarsi lei parlò scandendo le parole. – Ma hai detto che non lo vuoi. Nonostante si fosse imbronciato, Mosè stava ascoltando ancora attentamente quello che gli stava dicendo. – Ne vuoi un po'? – continuò Iovino, ripetendo l'invito. – Sì? Il labbro inferiore del piccolo smise di tremare. – Ssssì... – proferì con un sibilo esagerato, poi afferrò la cioccolata dalle mani di lei e sorrise di nuovo. – Sembra felice – mormorò Ruthe, con un accenno di sorpresa nella voce. – È ben disposto. Mosè si adatterà bene dovunque andrà – dichiarò la dottoressa, accigliandosi poi per il commento che aveva appena fatto: era stata così preoccupata per la salute di Mosè che fino a quel momento non aveva in realtà pensato al suo futuro. Improvvisamente sentì la curiosità di sapere che cosa sarebbe successo a quello strano bambino. – Mi chiedo se siano tutti così – commentò Ruthe. – Tutti chi? – domandò Iovino, sorpresa a sua volta. – Gli altri bambini. Ho cercato di non pensarci, ma forse anche loro sono felici. La donna se ne andò improvvisamente com'era venuta, lasciando Iovino da sola a riflettere su quella stuzzicante informazione. Pensierosamente la dottoressa osservò Mosè masticare gli ultimi pezzi del dolce: il piccolo mangiava sempre a piccoli bocconi e il suo viso rimaneva notevolmente pulito per un bambino così piccolo, ma in fondo a lui non piaceva affatto essere sporco... bagnato sì, però. – Pensa, Mosè, altri bambini come te! – Ssssì! – esclamò lui, con grande convinzione. Jason scivolò via dalla vita in fretta e senza far rumore, galleggiando in pace per un intero minuto prima che una squadra medica raggiungesse il ponte ologrammi e distruggesse l'illusione della sfera Choraii. Un gruppo di persone, con Beverly Crusher al centro, si raccolse attorno all'uomo disteso sulla superficie del compartimento disadorno, e le nude pareti echeggiarono per le voci che si alzarono insieme all'aspro rumore meccanico dell'equipaggiamento di rianimazione d'emergenza attivato diverse volte. Ruthe osservò i dottori che lottavano per riportare in vita il corpo pallido e immobile, ma sapeva che i loro sforzi erano vani: Jason era riuscito a 159 fuggire. La Dottoressa Crusher era accasciata sulla scrivania, con la testa nascosta tra le braccia, ma Picard notò che la sua schiena era troppo tesa perché lei stesse dormendo e si addentrò di un altro passo nell'ufficio, chiamandola. – Beverly? Lei si raddrizzò, ma non disse una parola. – Non è la prima volta che perde un paziente... – mormorò lui. – Pazienti feriti, sì – rispose infine la dottoressa. – Quelli con ferite troppo gravi per essere risanate o con malattie incurabili. So che quelle morti sono inevitabili. Ma Jason stava bene e io non sono riuscita a mantenerlo in vita. – È stata mia la decisione di portarlo a bordo. – Non sto incolpando lei... non incolpo neppure me stessa. Al momento è sembrata la cosa migliore da fare, sebbene Ruthe sapesse che non lo era. Avremmo dovuto lasciarlo dov'era. – Prigioniero? – esclamò Picard. Provava ancora orrore per la situazione dei bambini di Hamlin e non riusciva a scrollarselo di dosso. – Per lui questa era una prigionia – puntualizzò Crusher indicando con un gesto lo scafo della nave. – Jean-Luc, Jason si è suicidato. Non l'ha fatto danneggiando il proprio corpo, ma semplicemente decidendo di morire. Picard ascoltò il tremore nella sua voce con sempre maggior preoccupazione e fu colpito ancora dal suo pallore. – È troppo stanca per discuterne. – Non riesco a dormire – rispose lei bruscamente, alzandosi dalla scrivania. – Ho del lavoro da fare. – Non riporterà in vita Jason passeggiando nervosamente per l'infermeria. – Ho altri pazienti da curare. – Non si fida del suo staff, Dottoressa Crusher? – Ma certo che mi fido... – Allora qual è il problema? – In realtà penso di essere troppo stanca per dormire. Picard conosceva bene quella sensazione: oltrepassato un certo punto, l'esaurimento si nutriva di se stesso e la mente pensava senza più accorgersi della necessità di riposare del corpo. 160 – Un sedativo potrebbe aiutarla. – Non può praticare la medicina senza autorizzazione – lo avvisò lei, dirigendosi verso l'uscita dell'ufficio, – così come io non posso dare ordini in plancia. Picard lasciò che lo oltrepassasse e uscisse nell'anticamera, poi la seguì. Crusher non andò molto lontano che un'altra dottoressa le bloccò la strada. – Cosa c'è Iovino? – le domandò, con impazienza. – Ho una domanda a proposito di Mosè. Picard aspettò finché la giovane internista fu al fianco di Crusher, poi la chiamò. – Beverly... Non appena lei si voltò, Iovino tirò fuori con ammirevole rapidità e leggerezza una siringa ipodermica e la posizionò contro il braccio dell'ufficiale medico capo. Crusher si ritrasse al suono del sibilo, ma non abbastanza in fretta da evitare che il contenuto venisse iniettato nel suo sistema. – Cosa diavolo sta facendo, Iovino? – Esegue i miei ordini – spiegò Picard, avvicinandosi. Aveva sperato di evitare questa tattica a sorpresa, ma vista l'ostinazione di Crusher, sembrava non ci fossero molte alternative. Fortunatamente la Dottoressa Iovino aveva subito accettato di eseguire la manovra. – Dannazione, nessuno dà ordini al mio staff medico eccetto me – tempestò Crusher, e quando Picard non si lasciò smuovere dalla sua furia si voltò verso Iovino. – Retranina? – Dieci cc. – Dovrei farle rapporto per questo. – Basta che non mi sputi – commentò l'internista senza rimorso. – Sono stanca di farmi sputacchiare addosso. Crusher ebbe un giramento di testa, segno che il sedativo stava già facendo effetto. – Cinque cc sarebbero stati sufficienti... – sottolineò, con un sospiro d'esasperazione. – Sapevo di dover fare l'iniezione attraverso la giacca – ribatté Iovino, scrollando le spalle. – Già, certo... – sospirò Crusher, con la testa improvvisamente diventata pesantissima. – Avanti. La accompagno fino al suo alloggio – dichiarò Picard, afferrandola fermamente per il gomito. 161 L'equipaggio del turno di notte in plancia era ridotto. Data era al timone mentre il Tenente Worf controllava il ponte di poppa. Altro personale di supporto era a disposizione, ma il Klingon non chiamò nessun assistente. Effettuò un altro controllo alla consolle comunicazioni, il terzo fino a quel momento, e riferì i risultati con un'espressione impassibile. – Nessuna risposta. – Dannazione! – esclamò Riker, sporgendosi in avanti sulla poltrona del capitano. – Data? – Siamo entro il raggio di contatto, signore – annunciò Data, passando dalla sua posizione alla consolle operazioni. – La mancanza di trasmissioni radio indica che qualcosa non va. Il primo ufficiale esaminò ad una ad una le possibili ragioni del silenzio di New Oregon. – Guasti alle apparecchiature, interferenza di una tempesta ionica... – Ho già tenuto conto della possibilità e ho eseguito il necessario sondaggio sensorio: i livelli di ionizzazione sono normali – interruppe Data. – Confusione delle frequenze... – continuò Riker. – Sto controllando tutte le bande di comunicazione – avvertì Worf, mentre le sue grosse mani toccavano con delicatezza la superficie della consolle. – Nessuna trasmissione da quel settore, su nessuna frequenza. – Quindi rimane soltanto l'ipotesi di un guasto all'equipaggiamento sulla superficie del pianeta, oppure... – Lasciò la frase in sospeso. – Ulteriori congetture sarebbero altamente speculative – precisò Data. – Lo so, ma dobbiamo aspettarci il peggio finché non sapremo cos'è successo in realtà: la procedura standard è chiara al riguardo. Qual è il tempo stimato di arrivo? – Quindici ore, ventitré minuti... – Data fece una pausa, poi continuò in fretta: – E cinque secondi. Riker era troppo impegnato a pensare per interrompere Data. In quindici ore potevano succedere una quantità di cose. – Aumentare la velocità a curvatura sette – ordinò. – Curvatura sette – confermò Data, e la nave rispose con un brivido quasi impercettibile. Per quanto lieve, il capitano avrebbe comunque avvertito l'accelerazione e questa volta Riker toccò il comunicatore prima che Picard potesse chiamare per chiedere una spiegazione. 162 – Capitano, è richiesta la sua presenza in plancia. XVI. La Dottoressa Crusher fu l'ultimo tra gli ufficiali superiori ad essere convocato; massaggiandosi gli occhi arrossati dal sonno cercò di capire il senso della scena che la plancia le stava offrendo. L'equipaggio era al completo: Worf e Yar, chini sulla consolle tattica, erano troppo presi per accorgersi dell'arrivo della dottoressa e stavano lavorando con la concentrazione tipica di uno stato d'allerta. Con crescente disagio, Crusher si diresse in basso verso le poltrone di comando, dove il capitano stava discutendo animatamente con Riker e con Andrew Deelor, notando che sia Geordi che Data si trovavano alle postazioni di prua. Al suo arrivo Picard alzò lo sguardo e interruppe la conversazione con gli altri due: aveva atteso fino all'ultimo minuto per chiamare la dottoressa in modo da permetterle di riposarsi il più possibile, ma adesso era venuto il momento di informarla di cosa era successo in quanto lei era l'unico ufficiale medico opportunamente autorizzato che potesse eseguire il lavoro che li aspettava. Crusher studiò l'immagine offerta dallo schermo visore principale, su cui si stagliava un pianeta marroncino striato di bande color verde pallido. – New Oregon? – domandò. – Siamo arrivati in anticipo. – Sì – confermò Picard. – C'è stato un problema. – Un problema? Che tipo di problema? – Riteniamo che la colonia sia stata attaccata. Il tono senza inflessioni della voce di Picard avrebbe dovuto avvertire Crusher di ciò che sarebbe seguito, ma la sua mente rifiutò di accettarne le implicazioni. – Perché sono stata chiamata in plancia? Avrei dovuto essere mandata giù sul pianeta con una squadra medica. Riker aprì la bocca per replicare, ma il capitano lo zittì sollevando appena la mano: Picard preferiva dare di persona le brutte notizie. – È troppo tardi per qualunque intervento medico, Dottoressa Crusher. – Non ci sono sopravvissuti? – esclamò lei, sconvolta, e si lasciò cadere su una delle tre poltrone mentre un'ondata di fatica si impadroniva del suo spirito e del suo corpo. L'infermeria era pronta da tempo per il controllo medico dei tecnici federali della colonia, oltre venti ingegneri, meccanici e 163 tecnici specializzati nel terraformare pianeti. – Sono tutti morti? Picard stroncò sul nascere qualunque falsa speranza. – Non ci sono segni di vita sulla superficie del pianeta. Anche la vegetazione sta morendo. Nel momento in cui Geordi La Forge aveva portato l'Enterprise in orbita attorno a New Oregon, i sensori avevano confermato che la necessità di intervenire con urgenza era ormai passata e che le bande radio avrebbero continuato ad essere silenziose. – Come? Perché? – domandò Crusher... poi trovò da sola una risposta nella presenza di Andrew Deelor. – I Choraii. – Forse – replicò Picard. – Data ha registrato una leggera traccia di particelle organiche nella zona esterna del sistema solare. La prova è ancora circostanziale, ma l'indizio suggerisce parecchie cose. Non sapremo niente di certo finché la squadra di ricognizione non avrà controllato la superficie. – Ho stabilito le coordinate di teletrasporto sia per la stazione di terraformazione che per l'avamposto dei Coloni... o per ciò che ne è rimasto – informò Data, volgendo le spalle alla propria consolle. – Ho scelto un luogo libero dal considerevole mucchio di detriti per far materializzare la squadra – aggiunse, indicando un sinistro punto rosso sul suo schermo sensore. – Le condizioni meteorologiche saranno piuttosto avverse, visto che i campi di controllo atmosferici non funzionano più. – Due squadre, una per ogni luogo – ordinò Picard in tono secco, pensando che la lezione più dura che aveva imparato una volta raggiunto il comando era stata quella di accettare che la squadra di ricognizione sostituisse la sua presenza e di imparare a usarla come i suoi occhi, orecchie e mani. Riker avrebbe certamente citato la sicurezza come ragione principale per tenere il capitano in plancia, ma Picard aveva imparato a rendersi conto che di solito poteva fare meglio il suo lavoro a distanza, basandosi alternativamente sulle risorse della nave o della squadra in missione. – Data, Yar, controllate l'insediamento dei Coloni – ordinò Riker, formando in fretta il primo gruppo. Mentre gli ufficiali chiamati abbandonavano le loro postazioni, lasciando La Forge e Worf da soli agli estremi opposti della plancia, il primo ufficiale indicò Deelor e Crusher. – Noi ci occuperemo invece della stazione di controllo. La devastazione maggiore è stata là. 164 Crusher si sforzò di alzarsi dalla poltrona, attingendo a riserve d'energia ormai quasi esaurite. – Io dovrei salvare delle vite, ma ultimamente non ho fatto altro che registrare morti! – commentò, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Non appena si materializzò su un pianoro largo e piatto, la squadra di ricognizione di Riker si trovò esposta ad una pioggia sferzante e gelida e sovrastata da nuvole di un viola profondo che nascondevano il sole e trasformavano il primo pomeriggio in una tarda serata; sotto i piedi si stendeva un fitto tappeto di piante che stavano marcendo sotto la pioggia nel suolo impregnato d'acqua. Il primo ufficiale sondò l'orizzonte alla ricerca di segni di abitazioni. – Da quella parte – esclamò Deelor, indicando un punto distante diverse dozzine di metri. Riker abbassò lo sguardo: le stazioni di terraformazione venivano costruite secondo criteri di utilità piuttosto che di estetica, ma adesso quelle strutture mancavano di entrambe le qualità: le tubazioni tozze e le volte a bolla del centro operazioni erano state fatte a pezzi e appiattite. Guidando la squadra al luogo dell'attacco, Riker si fece strada attraverso l'acqua ristagnante che copriva il terreno, ma nonostante la sua cautela inciampò in una delle macerie nascoste dal fango; abbassandosi tirò fuori un detrito di metallo contorto la cui funzione originale era ormai irriconoscibile... il che non si poteva dire per le chiazze bruciacchiate che ne segnavano la superficie e che risultarono evidenti quando la pioggia lavò via la fanghiglia che ricopriva il rottame. Senza parlare, Riker porse l'oggetto a Deelor, che lo esaminò con grande interesse. – Lo strato esterno è completamente carbonizzato – osservò, grattando con l'unghia del pollice il pezzo di metallo fino a rivelare una linea brillante. – Io andrò a cercare i corpi – comunicò Crusher, allontanandosi lentamente. Stava scrutando con attenzione i materiali da costruzione bruciati sparsi dovunque quando un improvviso segnale del tricorder la indusse a dare un'occhiata ravvicinata al mucchio scuro che le bloccava il passo. – Ho trovato qualcosa, comandante. – Quello sarebbe un corpo? – domandò Riker, rispondendo alla sua chiamata, poi impallidì e deglutì convulsamente. La dottoressa annuì, protendendo il tricorder. 165 – Elevati livelli di calcio indicano che ci sono ossa all'interno – confermò, accennando con lo strumento al perimetro esterno della stazione distrutta. – Registro diversi cadaveri laggiù, sotto i detriti e la cenere. Anche quelli sono bruciati. – Il fuoco dev'essere stato molto intenso per causare tanta distruzione – commentò Riker. – Non è stato il fuoco – controbatté Deelor, dando un calcio ad un pezzo di metallo vicino al corpo. – I segni della pressione d'impatto sono inconfondibili. Il colpo violentissimo di un campo di forze ha schiacciato questa zona, ed è stato poi seguito da un bagno d'acido. – Come può esserne sicuro? – domandò Riker. – Ho visto registrazioni di simili schemi di distruzione su un altro pianeta. Siamo di fronte ad un'altra Hamlin. Data controllò il canale aperto con il comunicatore di Riker e confrontò la descrizione di Deelor della stazione di terraformazione con le rovine scure dell'insediamento agricolo: dovunque tavole di legno giacevano in mucchi disordinati a marcire sotto la pioggia battente che aveva trasformato i campi coltivati in mari di fango. – I Choraii sono stati anche qui – riferì a Picard. – Rimane molto poco delle strutture in legno e ancora meno della gente che viveva all'interno. – Sono entrata nella Flotta Stellare per contribuire a porre fine al verificarsi di cose come queste – commentò Yar, osservando la distruzione con la bocca serrata in una linea sottile. – Questa volta siamo arrivati troppo tardi. La sala riunioni era di nuovo completamente piena. Il Capitano Picard confrontò mentalmente questa riunione con quella occorsa circa due settimane prima e annotò le differenze: Wesley Crusher, che di solito preferiva sedersi lontano dalla madre, si era diretto al suo fianco in cerca di conforto; il Consigliere Troi, scossa dalla notizia della distruzione della colonia, mostrava meno palesemente i suoi bisogni e tuttavia era seduta vicino a Riker... una vicinanza che significava probabilmente poco per molti degli occupanti della sala, ma di cui il capitano riconobbe il significato. – Dov'è Ruthe? – chiese Picard all'ambasciatore. – Non ho avuto il tempo di avvertirla dell'attacco – spiegò Deelor, poi aggiunse velocemente: – In ogni caso non avrebbe avuto nessuna 166 informazione significativa da dare. Picard accantonò quel ragionamento e colpì più vicino alla verità. – Non può evitare a lungo di dirglielo. Lo verrà a sapere prima o poi. – Meglio che sia poi – mormorò l'ambasciatore, a disagio. – Vogliamo procedere con la riunione? I primi minuti vennero impiegati per riesaminare le osservazioni delle squadre di ricognizione, e mentre Data forniva con la consueta precisione un riassunto degli schemi comuni del danno strutturale subito da entrambi gli insediamenti, Picard si domandò quali emozioni... se ce n'erano... fossero nascoste dietro quell'esposizione obiettiva. Non dubitava che l'androide fosse capace di provare emozioni, ma riteneva anche che Data, come un bambino, non riuscisse a mettere in relazione il disastro verificatosi sul pianeta con gli eventi della propria vita, un processo di associazione che forse non sarebbe potuto cominciare finché Data non avesse vissuto qualche personale tragedia. La Dottoressa Crusher si mostrò ugualmente professionale nella sua presentazione dei risultati delle autopsie, ma per tutto il tempo si tenne aggrappata con la mano libera al braccio del figlio. Crusher illustrò le prove che definivano come le bruciature fossero state causate dall'acido, e Deelor chiarificò ulteriormente l'attacco dei Choraii, basandosi anche sulla sua conoscenza del massacro di Hamlin. – Dev'essere stata una grande nave, molto più grande della Si Bemolle, perché solo le navi Choraii più anziane riescono a sopravvivere all'ingresso in un'atmosfera planetaria. Non conosciamo ancora le esatte leggi dinamiche coinvolte, ma evidentemente le sfere si comprimono sotto la pressione atmosferica finché i componenti non organici dello scafo si concentrano formando uno scudo esterno metallico. – Mentre le navi più giovani, con bolle più piccole, sarebbero compresse al punto da schiacciare l'equipaggio all'interno – dedusse Data. – O mancherebbero di sufficienti componenti metalliche per completare lo scafo. – Ma perché l'attacco? – chiese Riker, in tono amaro. – Hamlin era una colonia mineraria, ma New Oregon è... era solo un insediamento agricolo. Che metalli si aspettavano di trovare i Choraii? – Non lo sapremo mai – esclamò Deelor, aggrottando le sopracciglia scure. – Potrebbero essere stati a corto di rifornimenti e aver agito sulla spinta della disperazione. O forse si è trattato soltanto di curiosità, considerato che i loro ultimi passaggi in questo sistema solare erano 167 avvenuti prima del processo di terraformazione. I cambiamenti della superficie del pianeta potrebbero aver attratto la loro attenzione. – E l'attacco gratuito? – domandò Picard. – Come si giustifica? – Non li sto difendendo, capitano – sottolineò Deelor, irrigidendosi. – Ma la Federazione continuerà a sviluppare relazioni diplomatiche con i Choraii? Un coro di proteste si levò dal resto degli ufficiali presenti mentre questi assimilavano le implicazioni a lungo termine dell'attacco a New Oregon. – Impossibile – dichiarò Yar, sovrastando gli altri. – Prima Hamlin, adesso New Oregon. Io ho visto cos'hanno fatto all'insediamento dei Coloni. I Choraii sono dei macellai! – Quanto costa la diplomazia, Ambasciatore Deelor? – aggiunse Picard, in tono ancora ingannevolmente sommesso. – E quanto sarebbe costato conoscere il segreto dei motori a curvatura alieni? – Non spetta a noi decidere – ribatté con fermezza Deelor. – È compito degli ammiragli della Flotta soppesare le considerazioni etiche di fronte alle necessità della difesa. Finché non cambieranno politica, io eseguirò i loro ordini... il che significa che per ora l'incidente di New Oregon dovrà essere trattato come qualunque altro incontro Choraii e che quindi tutte le informazioni relative saranno rese top secret. – Non può mantenerlo segreto! – esclamò Riker. – Il Controllo di Terraformazione deve sapere che la sua squadra è stata sterminata. Inoltre c'erano anche dei Coloni laggiù... non può più tenere all'oscuro i nostri passeggeri su quelle morti. – Sì, troppe persone a bordo di questa nave conoscono i risultati registrati dalle squadre di ricognizione – ammise Deelor, accigliandosi. – Non abbiamo altra scelta che comunicare ai Coloni l'attacco, ma per adesso l'identità degli attaccanti deve rimanere sconosciuta. Picard si risentì della facilità con cui Deelor aveva accantonato il più difficile di tutti i doveri: annunciare la morte di qualcuno. Come capitano, Picard si addossava tradizionalmente quella responsabilità ma la aborriva più di tutte le altre associate al suo grado. Fissò Beverly Crusher dall'altra parte del tavolo, studiandone il profilo e pensando al suo viso come gli era apparso anni prima quando aveva saputo della morte di suo marito. Picard le aveva portato la notizia di persona e il suo arrivo improvviso, senza Jack al fianco, era stato sufficiente per avvertire Beverly di ciò che era successo. Lo shock le aveva offuscato lo sguardo ancor prima che Picard cominciasse a parlare e probabilmente lei 168 non aveva registrato le parole, anche se lui se le ricordava fin troppo bene... Il capitano si sforzò di accantonare quei pensieri morbosi, ma ormai la sua concentrazione si era infranta e per lui i commenti finali di Deelor furono soltanto un po' di rumore in più da sopportare. Troi fu la prima ad avvicinarglisi alla fine della riunione. – Capitano, vorrei accompagnarla a fare visita ai Coloni. Picard annuì brevemente, comprendendo che il consigliere aveva percepito il suo turbamento interiore. Troi costituiva un aiuto preziosissimo per giudicare la salute emotiva del suo equipaggio, ma il capitano si trovava sempre a disagio quando quegli stessi poteri empatici venivano usati su di lui... una reazione che la Betazoide probabilmente non mancò di percepire. – Capitano Picard? – Sì, Signor Crusher? – chiese Picard, voltandosi verso il giovane guardiamarina... un altro ricordo della morte di Jack. – Cosa c'è? – Pensavo che lei dovesse sapere che uno dei colonizzatori di New Oregon era la figlia della Colona Patrisha. – Grazie, guardiamarina – annuì il capitano. Il ragazzo aveva ragione: l'informazione era importante, e non faceva altro che rendere il suo compito ancora più difficile. Nell'oltrepassare la soglia del loro alloggio Deelor pensò che se non altro sapeva sempre dove trovare Ruthe, dal momento che non aveva più lasciato la stanza dalla morte di Jason. – Sei stato via molto tempo – protestò la donna, alzando lo sguardo dal pavimento dove si era appallottolata per un sonnellino. – Mi dispiace – replicò Deelor, incerto se lei avesse parlato per accusarlo o solo per fare un'osservazione. Di solito era indifferente ai suoi movimenti. – Sono sceso su New Oregon – aggiunse quindi, e le spiegò il perché. – Quando è successo? – gli chiese lei, appena ebbe terminato la breve descrizione dell'attacco. – Quasi una settimana fa... o almeno questa è la stima che ha fatto la Dottoressa Crusher dopo aver studiato la condizione dei corpi. La stima di Data è leggermente diversa: lui crede che l'attacco sia accaduto almeno quattro giorni fa, ma non ipotizza nessun periodo più lungo. 169 Ruthe si stiracchiò pigramente e i suoi piedi nudi fecero capolino da sotto il mantello. – Allora potrebbero essere ancora nei dintorni. Proveremo a contattarli? – Non con l'Enterprise. Il Capitano Picard non accetterebbe mai il suggerimento. Forse potremo ottenere un'altra astronave una volta raggiunta la Base Stellare Dieci. – I Choraii se ne saranno andati per allora – ribatté Ruthe, in tono sprezzante. – Le loro saranno anche rotte circolari, ma le seguono molto velocemente. Non chiese altro, ma in fondo le discussioni di Deelor con Ruthe non duravano mai molto, perché lei perdeva subito ogni interesse. Passò più di un'ora di silenzio prima che la donna facesse il suo ultimo commento sull'incidente di New Oregon. – La nave doveva essere molto grande. Nel sentire quell'osservazione, Deelor fu assalito dal timore che Ruthe condividesse i suoi stessi sospetti. – È sola – comunicò Troi al capitano, quando si arrestarono nel corridoio di fronte all'alloggio della Colona Patrisha. Picard sollevò la mano per suonare alla porta, poi esitò. – Forse sarebbe meglio che ci fossero altri Coloni con lei allorché le darò la notizia. Il consigliere analizzò quel poco che sapeva della donna: sebbene i loro incontri fossero stati brevi e sporadici, si sentiva infatti sicura di aver compreso pienamente la sua forte personalità. – No. In realtà penso che preferisca essere sola in un momento simile. Non si trova sempre a suo agio con i membri della sua comunità e in effetti il senso d'isolamento di Patrisha dagli altri Coloni è cresciuto nel corso di questo viaggio. – Molto bene, consigliere. Sono sicuro che lei sa meglio di me ciò che è opportuno fare – replicò Picard, che si sentiva come un pesce fuor d'acqua in quella situazione e faceva quindi molto affidamento sul giudizio di Troi. Del resto, era anche suo interesse che non ci fossero ulteriori ritardi, perché sapeva che se avesse atteso ancora più a lungo avrebbe cominciato a preoccuparsi che il suo aspetto non fosse adeguatamente compassato o che potesse invece apparire troppo severo. Tratto un profondo respiro, attivò il campanello della porta. Ottenuto il permesso, Picard e Troi entrarono nell'alloggio che era stato 170 svuotato di tutti gli effetti personali e dove le valige erano allineate con ordine nella parte centrale del soggiorno. – Perché non ci avete permesso di scendere? Cos'è successo? – domandò subito Patrisha. – La colonia su New Oregon è stata distrutta – mormorò Picard, sapendo che quella notizia non avrebbe potuto esser addolcita da nessun preambolo; risparmiando a Patrisha i dettagli sull'attacco Choraii, la informò poi che sua figlia era morta ma non le disse che i suoi ultimi secondi di vita dovevano essere stati pervasi da un dolore lancinante e che del suo corpo non rimaneva niente di riconoscibile. – La nostra squadra di ricognizione ha confermato che non ci sono sopravvissuti – spiegò Troi gentilmente. – Ci dispiace molto – aggiunse Picard, comprendendo che non c'era altro da dire. Da quel momento in avanti, tutto si svolse come sempre accadeva in quelle occasioni: le sue parole furono accolte con un'iniziale incredulità e poi accettate con crescente angoscia. Alcune persone si mettevano immediatamente a piangere, ma Patrisha apparteneva alla categoria di coloro che restavano quieti... il dolore e lo strazio sarebbero venuti dopo che i due ufficiali se ne fossero andati. Troi aveva ragione, quella donna non avrebbe desiderato compagnia. – Capitano – chiese infine Patrisha, dopo un'imbarazzante pausa di silenzio, – cosa sarebbe successo se non fossimo arrivati in ritardo? Durante gli anni, Picard si era abituato a evitare quel tipo di inutili speculazioni ma poiché comprendeva la preoccupazione che aveva generato la domanda rispose con il rispetto dovuto. – Tutta la vostra comunità sarebbe stata spazzata via. Un centinaio di colonizzatori disarmati, o anche duecento, non avrebbero potuto cambiare affatto il risultato in nessun modo – mormorò, sapendo che quelle parole erano di ben poco conforto... ma era tutto quello che aveva da offrire. – Non vedevo Krn da quasi due anni... – cominciò Patrisha, con il volto svuotato di ogni espressione. – Due anni da quando lei e il suo compagno si sono offerti volontari per il viaggio esplorativo. Krn e io litigavamo così spesso che sono stata davvero felice di vederla andar via. Picard scambiò un'occhiata con Troi, ma dal momento che non sembrava esserci un modo gentile di interrompere la donna e andarsene, il consigliere gli segnalò di rimanere semplicemente ad ascoltare per il momento. Picard non desiderava farlo ma si costrinse a sopportarlo... dopo tutto, il suo disagio non era nulla a paragone del dolore di Patrisha. 171 – E Dvd cercava sempre di rimettere le cose a posto tra noi due... non era proprio un tipico Colono, era un argentiere, un artista... Argento. Quell'unica parola catturò l'attenzione di Picard e sovrastò tutte le altre che seguirono. Avvertì poi la catena di reazioni sorprese da Troi quando il consigliere percepì il picco di allarme che lo aveva pervaso, e riuscì subito dopo a notare a sua volta il collegamento: metallo raffinato, in piccole quantità ma sufficientemente puro per servire alle necessità dei Choraii. Il capitano fu così distratto dalla scoperta del motivo dell'attacco degli alieni che per poco non gli sfuggì il significato di ciò che Patrisha aggiunse subito dopo. – Era un uomo gentile e così attaccato alla loro figlia che lei lo chiamava zio. – C'era una bambina? – domandò Picard, in tono tagliente. – Sì, la mia nipotina Emily. Avrebbe compiuto quattro anni poco dopo il nostro arrivo – confermò Patrisha... poi l'intensità della domanda del capitano penetrò il suo stato di shock e la indusse a chiedere: – Perché è così importante? Picard però non poteva risponderle, non ancora... e forse non avrebbe mai potuto farlo. Mentre il resto del gruppo prendeva posto a sedere Ruthe continuò a passeggiare avanti e indietro davanti ai grandi oblò del ponte d'osservazione. Guidati dall'abitudine l'Ambasciatore Deelor e il Capitano Picard si diressero entrambi verso la poltrona a capo tavola, ma quando la raggiunsero il diplomatico la lasciò libera con un sorriso ironico e si sedette invece accanto alla Dottoressa Crusher; Riker e Data, appena rientrati da una seconda ricognizione sulla superficie distrutta di New Oregon, furono gli ultimi a sedersi e a quel punto Ruthe smise di passeggiare ma rimase in piedi. – Non abbiamo prove che la bambina sia ancora viva – esordì Picard, affrontando la sua preoccupazione maggiore in fase di apertura della discussione. – Non abbiamo trovato il suo corpo – puntualizzò Riker, più ottimista del suo capitano. – Il che non significa che non sia stata uccisa – avvertì Beverly Crusher, aggrottando la fronte. – Aveva solo quattro anni, il suo corpo potrebbe essere stato completamente distrutto dall'acido o ridotto così male che non riusciamo ad identificarne i resti come umani. 172 – Non ucciderebbero mai un bambino – protestò Ruthe, con grande convinzione. – Vorrei poterle credere – esclamò Picard. – Ma i Choraii hanno massacrato l'intera comunità di New Oregon proprio come hanno massacrato i minatori di Hamlin. Hanno confermato di essere degli assassini spietati, quindi perché dovrebbero avere scrupoli ad uccidere un bambino? – Voi non capite – ribatté la traduttrice. – I Choraii considerano gli Umani adulti come animali selvatici intrattabili e pericolosi... e se gli animali sono in possesso di qualcosa di valore allora è necessario eliminarli, e ucciderli è la via più facile. Invece vale la pena salvare i bambini umani perché possono essere ingentiliti. Picard accolse quella spiegazione con una smorfia. – Un comportamento biasimevole, ma che questa volta giocherà a nostro vantaggio. Dobbiamo supporre che la bambina dei Coloni sia stata portata a bordo di una nave Choraii. Qual è la linea politica da seguire in una situazione come questa? – domandò, fissando negli occhi Andrew Deelor. – Siamo al di là del reame della politica – ammise Deelor, scrollando le spalle. – L'immaginazione degli ammiragli della Flotta non si è estesa alla possibilità di un ulteriore rapimento, quindi la decisione su come agire spetterà a noi. – Io dico di inseguirli – esclamo subito Riker. – Adesso, fin tanto che Data può ancora registrare le particelle organiche che lasciano. – Ma una volta che li avremo trovati, che cosa faremo? – obiettò Data, più cauto. – La nave che ha attaccato New Oregon era molto più grande della Si Bemolle. Come li forzeremo a restituirci la bambina? – Non li forzeremo – si intromise Ruthe, avvicinandosi al tavolo. – Useremo la persuasione. – Si rivolse quindi a Picard con la voce che fremeva dall'urgenza e le mani che serravano con forza la spalliera di una poltrona imbottita. – Quando troveremo i Choraii, io li convincerò a restituirci la bambina. – Ma se non dovesse riuscirci – interloquì ancora Data, continuando ad interpretare il ruolo dell'avvocato del diavolo, – l'Enterprise potrebbe trovarsi coinvolta in una battaglia che non sarebbe in grado di vincere... e tutto per recuperare una bambina che potrebbe giacere morta fra le rovine di New Oregon. – Ma se fosse viva, Data? – domandò Crusher. – Io sarò ossessionata dall'incertezza del destino di Emily finché non avremo chiarito quale esso 173 sia, in un modo o nell'altro. Dobbiamo esserne sicuri. – L'hanno presa i Choraii! – esclamò Ruthe, con veemenza. – E ormai è con loro da più di una settimana, in un mondo alieno che non è la sua casa. Dobbiamo inseguire la nave e recuperarla. – Sono d'accordo – convenne Riker, picchiando un pugno sulla superficie del tavolo. – Inoltre abbiamo una buona possibilità di vincere un'eventuale battaglia con loro. Data e Worf stanno ancora raffinando le loro contromisure contro la tecnologia Choraii. Picard sospettava che il contatto diretto con la distruzione di New Oregon fosse la causa dell'ardente desiderio di Riker di inseguire gli assalitori, unita alla naturale esuberanza del giovane ufficiale... entrambe motivazioni meritevoli se mantenute nella giusta prospettiva. – Qual è la sua opinione, ambasciatore? – domandò, perplesso per il fatto che l'uomo non avesse ancora espresso il suo punto di vista. Deelor stava fissando Ruthe, attratto dall'intensità della sua supplica, ma la domanda del capitano lo riscosse dai suoi pensieri. – Confido pienamente che Ruthe possa negoziare con i Choraii. L'incontro potrebbe essere pacifico. – Le possibilità di uno scontro violento ci sono comunque – commentò Picard, alzando una mano per impedire a Data di replicare e poi abbassandola in un gesto conclusivo. Aveva seguito intensamente il dibattito, ascoltando tutti i commenti che potevano influenzare la decisione presa ore prima nell'alloggio della Colona Patrisha, ma non aveva cambiato idea. – Numero Uno, ordini all'equipaggio di plancia di approntare la separazione della nave. Inseguiremo la nave Choraii con la sezione da battaglia. – Sissignore – rispose Riker con entusiasmo, pronto a buttarsi nell'azione appena il capitano avesse dichiarato chiusa la riunione. Picard osservò l'esultanza di Ruthe per quella decisione: il suo sorriso duro e poco naturale durò appena pochi secondi, ma nei suoi occhi ardeva un bagliore intenso ed eccitato. XVII. – Prepararsi a iniziare la sequenza di separazione. L'avvertimento di Picard risuonò in tutti gli angoli dell'Enterprise. – Procedere. 174 Con quella semplice parola, i grandi ganci che univano il modulo di comando principale a forma di disco allo scafo che ospitava la sezione ingegneria vennero staccati, scindendo l'unità strutturale della nave stellare. Le due sezioni si allontanarono con facilità mentre gli agganci di metallo si ritraevano nei loro alloggiamenti, poi la spinta delle sue due gondole a curvatura allontanò la sezione da battaglia dalla sezione a disco con un ampio arco e la portò fuori dall'orbita di New Oregon. Riker seguì sul visore della plancia il volo sempre più rapido della sezione ingegneria che si allontanava, poi si adagiò con un sospiro sulla poltrona del capitano. – Vorrei poter essere andata anch'io con loro – mormorò Troi, dalla sua posizione a fianco di lui. – Qualcuno doveva rimanere con la nave... e con i Coloni – le ricordò il primo ufficiale, scrollandosi di dosso il suo disappunto. – I Choraii potrebbero sempre fare marcia indietro e mettere in pericolo la sezione a disco. – Ma sei preoccupato per il capitano e gli altri. Vorresti condividere gli stessi loro rischi. – Sì – ammise Riker. – Ma se Ruthe farà bene il suo lavoro, non si troveranno in pericolo. Il Capitano Picard esaminò il ponte da battaglia dal posto di comando. Qui la poltrona del capitano era una specie di trono sopraelevato largo e solido, e lui sedeva su di essa con portamento eretto... soltanto la fronte leggermente accigliata tradiva il suo sforzo inconscio per adattarsi al diverso ambiente circostante. Il ponte da battaglia somigliava alla plancia di comando della sezione a disco, ma non ne aveva le linee aggraziate: la necessità aveva imposto di ridurre lo spazio della stanza, e la distanza tra le compatte consolle era minore; il visore principale era più piccolo, la rampa che saliva alla parte poppiera del ponte era stata sostituita con un alto gradino, e anche se i dati forniti dagli strumenti erano visibili sulla parete di fondo tutte le altre pareti erano lisce e uniformi. Gli ufficiali di plancia avevano subito occupato le consuete posizioni, ma non c'erano accomodamenti previsti per i passeggeri: non avendo più un posto accanto al capitano Andrew Deelor si spostò di lato e si appoggiò alla balaustra del ponte, mentre Ruthe preferì sedersi a gambe incrociate sul pavimento e Beverly Crusher si adattò sulla poltrona vacante di una 175 delle consolle ausiliarie. – I sensori registrano il sicuro passaggio dei Choraii – annunciò Data, dal timone. – Le coordinate di navigazione sono state stabilite. – Procedere alla massima velocità di curvatura, Signor La Forge – ordinò il capitano. – Sissignore – rispose il pilota, e pose l'Enterprise su una rotta d'intercettazione con la nave aliena. In meno di un'ora fu però costretto a rallentare a velocità di impulso. – I sensori stanno perdendo la traccia – riferì Yar, dalla consolle tattica. Picard accolse l'informazione con un secco cenno del capo. – Grazie, tenente – aggiunse poi di proposito, scrollandosi di dosso l'influenza degli sterili confini del ponte da battaglia. – Signor Data? Solo l'androide appariva immune all'effetto di quell'ambiente opprimente e come al solito replicò con entusiasmo e prolissità. – Le navi Choraii perdono in continuazione una scia di particelle organiche morte, proprio come gli esseri umani perdono le cellule invecchiate della pelle. Purtroppo, con lo scorrere del tempo, la concentrazione dei residui si riduce perché l'inerzia delle particelle sospese le trasporta in differenti direzioni e... – Siamo quindi arrivati troppo tardi per tracciare la rotta della nave che ha lasciato New Oregon – esclamò Picard, saltando alle conclusioni del discorso di Data. – Non possiamo tornare indietro adesso. Deve esserci un modo per inseguire i Choraii – protestò Yar. – Li troveremo – convenne Picard, esprimendosi con una calma studiata che ebbe l'effetto di mitigare le maniere calde di Yar senza riprenderla apertamente. – Signor La Forge, riesce a registrare qualche schema nella rotta della nave? – Certamente! – esclamò Geordi. I suoi occhi artificiali seguirono sul pannello di navigazione il sentiero curvilineo che stava già sfumando alla sua estremità. – I movimenti sono però molto complessi e dubito di riuscire ad andare lontano senza input dai sensori. Ruthe si alzò in piedi di scatto e si avvicinò alla consolle del timone; curiosando da dietro le spalle del pilota diede un'occhiata al pannello della consolle, studiandolo per un momento, poi scosse il capo. – Se solo potessi sentire dove sono stati. – A questo si può facilmente provvedere – annuì con soddisfazione Data. – Ho stabilito un approssimativo equivalente musicale delle coordinate di 176 viaggio – spiegò attingendo al suo pannello operazioni per richiamare una registrazione dal computer linguistico. – Sfortunatamente il ritmo è ricostruito in maniera arbitraria e manca delle variazioni libere di una canzone Choraii. – Se c'è una melodia, io la troverò – dichiarò Ruthe. Con gli occhi chiusi e trattenendo il fiato ascoltò per due volte il suono del viaggio della nave stellare da New Oregon alla loro posizione attuale. – È una canzone di viaggio – dichiarò infine, riaprendo gli occhi. – L'hai già sentita? – domandò Deelor. – È una melodia popolare cantata da molte delle navi del gruppo locale – spiegò Ruthe. – Non dobbiamo più seguire la traccia: posso suonare io il resto della canzone e mostrarvi dove finirà. La traduttrice estrasse dal mantello le sezioni del suo flauto e ricostruì lo strumento in tutta la sua lunghezza. Posando le labbra sull'imboccatura, soffiò delicatamente e richiamò le stesse note che aveva suonato il computer, trasformando però la rigidezza meccanica dell'interpretazione in una linea musicale fluida. Ruthe continuò la canzone oltre il punto in cui il computer si era fermato, portando a conclusione la melodia, e mentre l'ultima nota moriva lentamente abbassò il suo flauto. – Stanno andando là. – Inverto il processo di traduzione – riferì Data, poi controllò il risultato fornito dal computer linguistico e aggiunse: – Le coordinate della destinazione finale sono state calcolate. – Rotta diretta per quelle coordinate, curvatura otto – ordinò Picard. Con un sorriso soddisfatto Ruthe si sedette di nuovo sul pavimento del ponte con il flauto in grembo, del tutto immobile a parte il gesto quasi inconsapevole delle sue dita che continuavano a sfiorare i fori come se lei stesse cantando a se stessa. Wesley Crusher cadde pesantemente sul duro terreno polveroso del cortile del granaio ma riuscì ad assorbire la caduta con un braccio, come gli aveva insegnato Tasha, sollevando automaticamente l'altro braccio per proteggersi il torace dai colpi che seguirono il placcaggio. Dnnys era un lottatore maldestro, facile da bloccare, e Wesley avrebbe potuto scrollarselo di dosso con facilità, ma preferì concentrarsi invece sull'autodifesa. – Dimmelo! – urlò Dnnys, accecato dalla rabbia, senza accorgersi che i suoi colpi non andavano mai a segno. – Perché il capitano ha chiesto di Emily? 177 – Smettila di colpirmi e te lo spiegherò! – ritorse Wesley, bloccando un altro pugno. Dnnys si ritrasse. – Mi spiace... – balbettò, mentre la sua rabbia svaniva, – ma è mia nipote e tu sai quello che significa per me, come per ogni zio dei Coloni. – È per questo che penso che tu debba essere informato – confermò Wesley, sedendosi e togliendosi la polvere e la paglia attaccati alla divisa nel tentativo di guadagnare tempo per cercare di trovare una risposta che ricadesse nei limiti impostigli dal giuramento di sicurezza prestato. – C'è la possibilità che Emily sia ancora viva. Potrebbe essere stata portata via dal pianeta. – Vuoi dire che i predatori l'hanno catturata? – chiese Dnnys, e il suo viso arrossato si tinse di un pallore mortale. – Sì – annuì Wesley, arrivando pericolosamente vicino a infrangere il giuramento di sicurezza. – La tratteranno con cura, ma riprenderla sarà piuttosto difficile – concluse, tastandosi con cautela un punto della guancia che gli faceva male e chiedendosi se il graffio sarebbe guarito prima del ritorno di sua madre. Pensare che in quel momento lei si trovava sul ponte da battaglia gli riusciva ancora più doloroso dei graffi... non aveva infatti mai dato troppo peso ai pericoli finché loro due erano rimasti insieme sulla nave, ma attendere il suo ritorno lo riempiva di preoccupazione. Era questo ciò che sua madre aveva provato quando Jack Crusher era a bordo della Stargazer? – Quando lo sapremo? – incalzò Dnnys, afferrando l'amico per le spalle e scrollandolo con forza. – Non te lo posso dire perché non lo so io stesso – affermò Wesley, divincolandosi e balzando in piedi. – Vieni, devo finire i tuoi lavori prima del tramonto – concluse. Voleva pensare a qualcosa che non fosse il ricordo di come si era concluso l'ultimo viaggio di suo padre. L'Enterprise aveva raggiunto un settore di spazio del tutto simile agli altri che si trovavano nel raggio di diversi anni luce. Andrew Deelor pensò che non sembrava differente in quel momento, ma che se i Choraii avessero seguito le loro solite abitudini la situazione sarebbe potuta cambiare da un momento all'altro. – Il posto è questo – annunciò Geordi. – Ho controllato due volte le coordinate di navigazione. – I sensori non registrano nessuna traccia di particelle organiche. O 178 queste coordinate sono sbagliate, oppure i Choraii non sono ancora arrivati – riferì Data. – Siamo nel luogo giusto e loro arriveranno – affermò Ruthe senza alzarsi dal pavimento. – La canzone è piuttosto lunga. – Non così lunga – esclamò il Tenente Yar. – Ricevo una trasmissione radio molto debole. Amplifico al massimo la ricezione – annunciò, trasferendo sugli amplificatori del ponte da battaglia un suono vibrante. L'equipaggio interruppe qualsiasi movimento, ipnotizzato da ciò che sentiva: il coro gorgheggiante era molto più profondo di quello dei cantanti della Si Bemolle: possedeva l'ampia risonanza di un organo di cattedrale e una gamma di voci che si alzavano e si abbassavano in complesse armonie. Deelor attese di vedere quale sarebbe stata la reazione di Ruthe, ma lei non sembrò manifestarne nessuna... forse era indifferente alla natura del suono oppure sapeva già cosa aspettarsi. – Non sono singole note, sembra più un accordo – osservò con sorpresa Picard, mentre ascoltava la musica ondeggiante. – Un accordo in Re Maggiore, per essere precisi – notò Deelor, poi si avvicinò alla poltrona del capitano e aggiunse: – Siamo nei guai. Quel quieto annuncio attirò l'attenzione di Picard che si dimenticò della canzone Choraii. – Si spieghi. – La tonalità indica l'età di una nave e inoltre ascolti il numero di voci... – suggerì. – Ci sono solo cinque diversi toni, ma sospetto che molte delle parti siano raddoppiate o addirittura triplicate. Una stima prudenziale indica almeno undici cantanti, e questo significa che la nave è molto vecchia e molto potente. Non avrà difficoltà a tenere testa all'Enterprise. La canzone di risposta di Ruthe lo colse di sorpresa. Era salita sulla parte poppiera del ponte e suonava da essa come da un palcoscenico: le veloci note che uscivano dal suo flauto avevano una tonalità più alta dell'accordo in Re Maggiore dei Choraii e si univano alla linea melodica degli alieni intessendovi un intricato contrappunto. – Capitano, devo trasmettere la sua risposta? – domandò Yar, abbassando il crescente volume della trasmissione Choraii. – Qualcosa non va, ambasciatore? – volle sapere Picard, esitando. – Come? – si scosse Deelor rendendosi conto che si era accigliato ascoltando Ruthe. – No, non c'è niente che non va. Il capitano fece un cenno d'assenso al Tenente Yar e Ruthe continuò a suonare mentre il ritmo delle canzoni intrecciate aumentava. 179 – L'hanno sentita – esclamò Deelor, e il cuore cominciò a battergli velocemente, come per cercare di tenere il passo del pulsare della musica. – Eccoli che arrivano – annunciò Geordi, dalla consolle del timone. Il suo visore sensibile all'energia aveva registrato il minuscolo bagliore del vascello in avvicinamento apparso sullo schermo del ponte da battaglia, ma nel tempo che il suo avvertimento impiegò ad attirare l'attenzione degli altri ufficiali, le dimensioni dell'immagine della nave Choraii si erano triplicate. Deelor trattenne il respiro: anche senza alcun punto di riferimento nello spazio, poteva percepire quanto fosse enorme quella nave. Se la Si Bemolle era stata composta da quasi due dozzine di bolle pigiate una contro l'altra, la Re Maggiore era un guazzabuglio di più di cento sfere. Una lunga scia di grosse bolle formava la massa centrale, mentre altre più piccole erano infilate nelle fessure e punteggiavano qua e là gli orli più esterni. Deelor non aveva mai fronteggiato una nave così complessa prima di allora. – Ridurre l'ingrandimento – ordinò Picard, quando la Re Maggiore occupò tutto lo schermo e ne oltrepassò i limiti. – E così questi sono i razziatori di New Oregon – commentò poi, accigliandosi. Il grappolo in avvicinamento rotolò nello spazio e quando uno degli altri suoi lati divenne visibile Deelor notò che diverse sfere purpuree erano collocate nello strato esterno. – Capitano... – cominciò. – Sì, le ho viste – confermò Picard, conciso. – Data, prepari la sua sonda neutralizzante nel caso capitassimo dentro un'altra rete energetica. – Gli sforzi per neutralizzarla sarebbero inefficaci – ribatté Data, e ridusse ancora l'ingrandimento della nave Choraii visto che questa minacciava di oltrepassare di nuovo i limiti dello schermo visore. – La rete attinge energia dalla nave madre e la Re Maggiore può fornire molta più energia di quanta ne possa eliminare la sonda. – Questo significa anche che la loro rete ci schiaccerà molto più velocemente. – Capitano, avremo sempre la possibilità di distruggere le sfere con i nostri phaser – aggiunse Worf. – Sì – confermò Data, – ma i miei calcoli indicano che esiste una percentuale del settantotto per cento che la presente situazione finisca nella distruzione reciproca. – Basta parlare di battaglia – esclamò Deelor, con impazienza. – Questo 180 rimarrà un incontro pacifico. – Fino ad ora le intenzioni pacifiche sono state solo e soltanto le nostre – puntualizzò Picard, con amarezza. – I Choraii predano e distruggono e noi li paghiamo per ciò che loro hanno saccheggiato. Il volo della Re Maggiore si interruppe improvvisamente e le brillanti sfere arancioni tremarono per le forti correnti create nel liquido all'interno. – Ambasciatore... – cominciò Picard, ma Deelor gli fece cenno di non parlare. – Ascolti... stanno cantando il saluto – avvertì, quando la canzone di viaggio terminò e Ruthe continuò a suonare con i Choraii, trovando nuove melodie da intrecciare nella loro canzone. – Lo scambio ha un suono amichevole – osservò in tono sommesso Picard, cambiando posizione sulla poltrona e sporgendosi verso di lui. – Sì, è vero – confermò Deelor, notando che anche il capitano era in grado di percepire la gaiezza dell'incontro. – Una volta che Ruthe avrà stabilito le nostre nuove intenzioni, potremo... – si interruppe. – Cos'è successo? – Ruthe ha cominciato una terza melodia – spiegò l'ambasciatore. La traduttrice non lo aveva guardato una sola volta per sapere ciò che doveva fare, eppure in apparenza stava già andando oltre i preliminari di rito... ma in quale direzione? Deelor cercò di capire il senso dello scambio musicale con i Choraii, di sbrogliare la mescolanza degli acuti del flauto e dei bassi delle rombanti voci d'organo, ma le scale musicali usate gli erano sconosciute e la comprensione impossibile. – Hanno la bambina? – chiese la Dottoressa Crusher, avvicinandoglisi. – Sì... credo di sì – rispose Deelor, più incerto di quanto desse a vedere. Aveva perso la traccia della linea melodica e poteva afferrare solo poche frasi significative qua e là. – Come faremo a riaverla? – domandò Picard ad alta voce, proprio nell'istante in cui la canzone si interrompeva improvvisamente, lasciando soltanto un mormorio basso proveniente dalla Re Maggiore. – Sono stati già presi accordi per la restituzione della bambina – rispose la traduttrice, smontando con gesti secchi le sezioni del suo strumento e riponendo i pezzi nel mantello. – Emily è stata trovata mentre stavano saccheggiando New Oregon in cerca di argento. Non è un regalo di legame, e per questo sono disposti a lasciarla andare in cambio del giusto prezzo. Deelor sentì le mani che cominciavano a sudare e se le asciugò sull'uniforme. 181 – Qual è il prezzo? – volle sapere. – Un chilo e mezzo di oro più qualche decina di grammi di zinco e di platino. Mi teletrasporterò a bordo mentre preparate i metalli – replicò Ruthe, scendendo dalla parte poppiera del ponte. Deelor era troppo scosso per replicare: si era fidato di Ruthe rischiando la propria vita molte volte, e l'avrebbe fatto anche adesso, eppure la conosceva abbastanza bene per sentire che in quello che gli aveva detto c'era una bugia. Una bugia detta per quale scopo? Picard si alzò dalla poltrona per affrontare l'interprete. – Non mi piace questa transazione: hanno acconsentito troppo facilmente. – Preferisce forse combattere contro i Choraii? – domandò Ruthe, alzando un sopracciglio. – Non sono certa che potreste vincere. Un intero minuto scivolò via in silenzio prima che il capitano parlasse di nuovo. – Tenente Yar, Dottoressa Crusher, accompagnate Ruthe alla sala teletrasporto – ordinò, facendosi da parte per far passare la traduttrice. Deelor la seguì con lo sguardo finché le porte del turboascensore non la nascosero alla sua vista. – Mi fido del giudizio di Ruthe... sa quello che sta facendo – asserì, domandandosi però subito dopo se non avesse avuto troppa fretta di difenderla e non avesse così tradito il suo crescente disagio. Picard si sedette di nuovo, con i piedi fermamente poggiati alla piattaforma e le mani serrate intorno ai braccioli, focalizzando la sua attenzione sul visore. – Forse lei si fida di Ruthe, ma io non mi fido dei Choraii. Ancora una volta Tasha Yar provò un senso di disagio nell'aprire una finestra nella copertura degli scudi per i secondi critici necessari a Ruthe per teletrasportarsi sulla nave Choraii. La sua tensione si allentò leggermente quando i deflettori si riattivarono, ma non riuscì a rilassarsi, e sapeva che non avrebbe potuto finché l'enorme vascello fosse rimasto così vicino all'Enterprise. – Odio questo momento – ammise, appoggiandosi alla consolle. – L'ultima volta abbiamo aspettato quasi tre ore prima di ricevere il segnale di contatto da Ruthe. – Se la nuotata rituale attraverso la Si Bemolle è durata ore, quanto durerà sulla Re Maggiore! – sospirò Crusher. 182 – Giorni, forse settimane... – Il capo della Sicurezza fu interrotto da un suono acuto che lo fece tornare ai controlli. – Il segnale! – annunciò, affrettandosi ad invertire la procedura che aveva spedito Ruthe sulla nave appena pochi minuti prima. – È troppo presto! Deve essere successo qualcosa! – esclamò Crusher, precipitandosi verso la piattaforma del teletrasporto mentre la luce brillante del raggio riempiva di nuovo la stanza. Non appena la luminosità accecante svanì, la dottoressa trovò una bambina in piedi sulla piattaforma. Solo la bambina, che aveva al collo la catenella con il comunicatore di Ruthe. – Toglila da là – gridò Yar, e ampliò in fretta il raggio di ricezione attorno alle coordinate. Ogni secondo in più che avesse impiegato per sistemare i controlli avrebbe aumentato il rischio per la nave stellare. Crusher tolse la bambina dalla piattaforma, stringendola a sé in un forte abbraccio pervaso dalla gioia di aver recuperato almeno una vita dalla devastazione di New Oregon. Il viso che faceva capolino da sotto le trecce marroni completamente bagnate rassomigliava moltissimo a quello di Dnnys. – Emily! – Mi stavo divertendo – esclamò allegramente la bambina, non appena la dottoressa allentò l'abbraccio. Emily aveva effettuato la transizione dal liquido all'aria senza bisogno di aiuto. – Potrò tornare presto a giocare? – No, tesoro. Ritornerai a casa – ribatté Crusher, cercando di sorridere e chiedendosi se tutti i bambini di Hamlin si fossero mostrati così indifferenti alla morte dei loro genitori. – Viene anche quella signora gentile? Ruthe. La dottoressa guardò verso la parte opposta della stanza: le mani di Yar erano posate sui controlli del teletrasporto, ma non si muovevano più. – Tasha, dov'è Ruthe? – Non riesco a localizzarla – comunicò il capo della Sicurezza, con il viso impenetrabile e lo sguardo distolto. – Gli scudi sono alzati. – L'intera nave viene registrata come forma di vita – rombò Worf, sul piccolo ponte da battaglia. – Le letture dei sensori sono disturbate e non posso localizzare l'esatta posizione di Ruthe all'interno – spiegò, poi controllò un'altra sezione della consolle tattica e aggiunse: – Ancora nessuna risposta sulle frequenze di chiamata. 183 – Cosa può essere successo lassù? – mormorò Picard. Aveva dubitato delle buone intenzioni dei Choraii fin dall'inizio, ma non doveva lasciare che i sospetti avessero la meglio sulla sua capacità di giudizio perché fraintendere le motivazioni degli alieni poteva coinvolgere entrambe le navi in un inutile combattimento. – Non è strano che i Choraii abbiano restituito la bambina senza ricevere prima il pagamento? – Ma è possibile, suppongo. Probabilmente come asserzione di estrema arroganza. Un altro pensiero assalì Picard, aumentandone la preoccupazione. – Non è possibile che Ruthe abbia preso la bambina senza che i Choraii lo abbiano scoperto?! – No – affermò Deelor, con fermezza – Non è così stupida. – Non possiamo sapere che cosa è successo lassù, a meno che non facciano una mossa ostile... – Capitano – interruppe Data. – La Re Maggiore si sta allontanando. – Massima velocità, inseguiamola! – ordinò Picard, diffondendo poi un annuncio a tutta la nave: – Tutte le postazioni, prepararsi al combattimento. L'Enterprise balzò in avanti, mettendosi alle costole delle bolle Choraii, e la distanza tra le due navi cominciò a diminuire, anche se lentamente. – Ambasciatore, non possiamo forzare Ruthe a ritornare, non senza metterla in grave pericolo – avvertì Picard. – Basta che lei attiri la loro attenzione e mi dia un po' di tempo, capitano – annuì Deelor, pallido in viso ma composto. – Va bene – assentì Picard, quindi trasse un profondo respiro e impartì i suoi ordini: – Worf, agganci un raggio traente appena i Choraii saranno a portata. Le grandi mani di Worf restarono sospese sulla consolle tattica come dei predatori e poi si tuffarono sui controlli, stabilendo il contatto. Un tremito diffuso percorse i ponti dell'astronave quando una mezza dozzina di raggi traenti afferrò le sfere della Re Maggiore, le luci bianche del ponte da battaglia si spensero e furono sostituite dalle rosse luci d'emergenza. Sul visore principale, la nave Choraii fu scossa da un brivido e si fermò lentamente. – Umani, lasciateci andare! – rombarono le voci profonde e accusatrici, simili a un coro di dèi greci infuriati. – State ancora trattenendo una di noi a bordo della vostra nave – gridò Deelor, ma la sua voce tenorile risultò debole al confronto. – 184 Restituitecela. – Vuoi dire colei-che-si-era-perduta? Siamo stati costretti a lasciarvela molti anni fa, ma adesso è tornata. – Che sia dannata! – imprecò Deelor, tra i denti. Picard fece segno a Worf di interrompere la comunicazione e il silenzio scese sul ponte da battaglia. – Ambasciatore, cosa vogliono dire parlando di «colei-che-si-eraperduta»? – chiese. – È successo ciò che sospettavo. Nel gruppo locale ci sono solo poche navi abbastanza grandi da atterrare su un pianeta, ma ero sicuro che Ruthe mi avrebbe avvertito... – cominciò, poi lasciò a mezzo la frase con aria turbata. – Avvertito di che cosa? – lo incitò Picard. – La Re Maggiore è la sua nave-casa, è dove Ruthe è nata e cresciuta – spiegò Deelor, passandosi le dita tra i capelli fino a trasformarli in una massa arruffata. – Lo deve aver capito non appena ha sentito la sua canzone, ma non me l'ha detto. – Perché? – Perché non l'avrei mai lasciata andare a bordo. – Deelor fece un gesto con la mano a Worf e alzò la voce per riprendere il dialogo con i Choraii. – Vi daremo tutto il metallo che volete, ma lasciate che Ruthe torni qui. – No, selvaggi! Questa è la sua casa. Lei ha accettato di restare se vi davamo in cambio la piccola. Alzandosi dalla poltroncina del capitano, Picard pose al servizio dell'ambasciatore la sua voce profonda. – Non accetteremo il suo sacrificio. – Ma non è un sacrificio, capitano – gli rispose la voce di Ruthe, le cui parole vibrarono distorte dal liquido che le riempiva i polmoni. – Sono qui per mia scelta. – Non ti credo! – esclamò Deelor. – Ti sei accordata per riavere la bambina, e questo è il prezzo. – Un piccolo prezzo – rise lei attraverso l'acqua, gorgogliando. – Un prezzo inaccettabile – ribatté Picard, con rabbia. – I Choraii hanno portato la morte a troppe persone, senza pensarci due volte, e senza un rimorso. Come potremo abbandonarla e lasciarla vivere con loro? – Ma io posso fermare i massacri. Io canterò loro le vostre canzoni! Le canzoni di Mozart e di Beethoven e di tutti gli altri. Dimostrerò ai Choraii che anche le bestie sanno creare musica e una volta che si renderanno 185 conto del vostro valore, impareranno a chiedere ciò di cui hanno bisogno. – Quest'azione è troppo drastica, troppo definitiva. Ci sono altri modi per... – Ancora non capite. Io ho sempre desiderato tornare qui, alla mia vera casa. Per riuscire a trovare questa nave ho tradito molti della mia razza... ma soltanto i bambini perché sono giovani e possono dimenticare. Io ero troppo vecchia per dimenticare e troppo giovane per morire di ricordi. – Sta dicendo la verità? – domandò Picard all'uomo che stava immobile davanti a lui. – È possibile che questo sia ciò che Ruthe desidera veramente? – Sì – mormorò Deelor, con voce roca. – Dannazione a lei, sì. – Liberateci, selvaggi – cantò di nuovo la voce di Ruthe, più insistente. – Abbiamo molte canzoni da cantare. – Tenente Worf, lasci andare i Choraii – ordinò Picard a bassa voce. Il Klingon obbedì, svincolando la Re Maggiore dalla presa del raggio traente, e subito le luci intense e i suoni metallici del ponte da battaglia, in precedenza soffocati dalla mancanza d'energia, ritrovarono tutta la loro intensità. – Non si stanno allontanando – osservò La Forge, guardando il vascello alieno e avvicinando le mani ai controlli del timone. Il suono di un mormorio profondo riverberò attraverso la frequenza di comunicazione con la Re Maggiore, e le voci risonanti dei Choraii fluttuarono in una canzone simile ad una nenia, riempiendo il ponte con la loro musica mentre un alto soprano faceva eco alla melodia triste. Il suono oppressivo fece nascere una certa apprensione nel capitano. – Cosa succede? Deelor non rispose e fu invece Data a voltarsi dalla consolle del timone. – Credo che sia il loro modo di dire addio. XVIII. Il suolo di New Oregon era ancora inzuppato per la lunga pioggia, ma l'acqua ristagnante era finalmente stata drenata dalla parte alta del terreno anche se l'odore persistente della vegetazione che stava marcendo mascherava ancora il profumo più dolce dei germogli. Zolle di un verde brillante sparse qua e là promettevano il ritorno di erba e cespugli, che sarebbero cresciuti velocemente nutrendosi del decadimento della prima 186 generazione, i venti violenti che avevano spazzato la superficie si erano adesso ridotti a brezze leggere e un sole di mezza estate brillava alto nel limpido cielo azzurro. I tecnici della nave stellare avevano lavorato per riattivare i controlli meteorologici del pianeta, mentre i Coloni si erano rimessi al lavoro con le loro pale d'acciaio, anche se non per piantare nuovi semi di grano... adesso una dozzina di tombe marcavano come cicatrici la loro nuova terra. La mattina del settimo giorno sul pianeta, Patrisha portò un ramoscello di verdi foglie primaverili sulla tomba di Krn, in attesa dei fiori che sarebbero presto sbocciati. Quel vecchio rituale risaliva all'inizio della loro comunità... e le era familiare visto che aveva passato la giovinezza a visitare la tomba di sua madre. Forse quando l'erba fosse cresciuta sulla terra ancora fresca, il suo acuto dolore si sarebbe attenuato, e lei sarebbe andata là per abitudine e non perché ne aveva bisogno. Patrisha alzò lo sguardo sentendo un suono di passi pesanti. Gli stivali di suo cugino erano ricoperti di fango e le sue mani non più abituate al lavoro erano rosse e gonfie, eppure Tomas aveva ritrovato nell'ultima settimana un po' della sua dignità: sebbene fosse un uomo seccante era anche un Colono, e quello era il suo posto. – Stavo cercando Dnnys, ma ho sentito che è andato lassù – esclamò Tomas, puntando un dito accusatore dritto verso il cielo. – Con il teletrasporto! – Incolpa me se devi incolpare qualcuno, perché gli ho dato io il permesso. – replicò Patrisha, notando che le foglie del ramoscello sulla tomba di Krn stavano già appassendo al sole. – È andato a dire addio al suo amico. – Il ragazzo è stato troppo tempo a bordo di quella nave – sentenziò Tomas, più con rassegnazione che con rancore. – Credimi sulla parola, non si piegherà alle nostre usanze, non più. Presto non sognerà altro che di lasciare la comunità. – Non gli chiederò di restare – affermò Patrisha, in tono quieto. Lei stessa aveva perso la fede molti anni prima, ma era successo troppo tardi perché si potesse forgiare una vita altrove... il suo posto era qui su New Oregon, con la figlia di Krn, perché non aveva altro posto dove andare. L'ultimo incontro tra Wesley e Dnnys fu pieno di disagio per molte ragioni. Dnnys non aveva mai avuto esperienza del trasporto molecolare, e aveva 187 sempre riso alle storie dei Coloni che raccontavano di corpi deformati dai guasti all'equipaggiamento, ma il terrore lo aveva sopraffatto lo stesso all'ultimo minuto, quando il raggio l'aveva catturato. Il ragazzo si materializzò sulla piattaforma del teletrasporto pallido e con le gambe tremanti, certo che sia Wesley, sia l'operatore alla consolle avessero notato la sua codardia. Da parte sua, Wesley si sentiva in colpa senza ragione per avere la fortuna di vivere a bordo di una nave stellare. Aveva cercato di condividere i suoi vantaggi con Dnnys, ma quando vide l'espressione cupa sul viso dell'amico si chiese se il Colono non sarebbe stato più felice conoscendo meno la vita che stava lasciando. Dopo un momento di silenzio pieno di disagio, Dnnys scese dalla piattaforma. – Questi non mi serviranno più – mormorò in tono brusco, ficcando fra le mani di Wesley i volumi d'ingegneria che gli ingombravano le braccia, poi si accigliò per nascondere le lacrime che gli velavano gli occhi e si sforzò di dare una spiegazione delle sue azioni: – Per tutta la vita io ho vissuto senza uno zio e non posso lasciare che anche Emily faccia la stessa fine. – Supponevo che avessi deciso di restare – mormorò Wesley, a cui non importava affatto la restituzione dei regali; avvicinatosi al tavolo adiacente la consolle operativa, scambiò i libri del Colono con un'altra pila già pronta, aggiungendo: – Perciò ti ho portato questi. Dnnys accettò i libri senza vero interesse. – Che cosa sono? – chiese in tono apatico. Gli sembrava che non ci fosse alcuna utilità nel leggere qualcosa fornito da Wesley, perché la vita da Colono gli avrebbe lasciato poco tempo per sognare. – Le specifiche tecniche della stazione di terraformazione – spiegò Wesley, contento di vedere l'improvviso stupore con cui l'amico stava ora fissando i nuovi libri che aveva in mano. – Un equipaggio di riserva sta già arrivando per ricostruire il centro di controllo, ma gli ingegneri di terraformazione sono pochi e quindi la stazione non avrà personale a sufficienza. – E chiunque possa dare una mano... – cominciò Dnnys, con un accenno di sorriso. – ... sarà il benvenuto – terminò Wesley, rispondendo al suo sorriso. Non rimaneva altro tempo per parlare. – Stiamo per lasciare l'orbita – annunciò l'operatore del teletrasporto. – 188 Ora deve andare. Dnnys salì di nuovo sulla piattaforma, stringendo al petto i suoi libri; mentre il sibilo del teletrasporto si alzava di tono, gli venne in mente un'ultima, urgente domanda. – Quanto durerà lo stadio finale del processo di terraformazione? – Una vita intera – gli gridò Wesley. Poi il suo amico scomparve. I vascelli che navigavano per mare dovevano uscire dal porto seguendo i capricci della marea, ma l'Enterprise poteva lasciare New Oregon quando lo avesse deciso il capitano e Picard scelse di abbandonare l'orbita allorché le luci interne della nave si abbassassero a simulare il tramonto del sole. – Attivazione – ordinò, appoggiandosi ai contorni imbottiti della sua poltrona di comando. Vista l'ora tarda, altri capitani avrebbero potuto delegare questo compito al loro primo ufficiale, ma nessuna partenza era di routine per Picard che era sempre presente quando la sua astronave lasciava l'orbita di un pianeta. Scelse quindi di restare in plancia ancora per qualche minuto, assaporando la promessa di un'avventura che si apriva davanti a loro come ad ogni nuovo inizio, e si trovò così ad ascoltare la discussione scherzosa nata tra il Consigliere Troi e Will Riker, che si stavano scambiando una serie di frecciatine amichevoli. – Un convegno non è un evento mondano – spiegò Troi. – L'incontro serve per importanti scopi professionali. – Già, come ad esempio scoprire quanti psicologi ci stanno in un teletrasporto? – ribatté Riker. Il suo commento fece scattare una risata soffocata sulla parte poppiera della plancia, da dove Tasha stava ascoltando la conversazione. – Deanna, ti ho visto fare le valige per il viaggio e alcuni dei vestiti che hai scelto... – Zitta Tasha! – esclamò Troi, in tono brusco. Picard scambiò un sorriso con il primo ufficiale, stando bene attento a dare le spalle al consigliere... sfortunatamente per lui, però, Troi percepì lo stesso il suo divertimento. – Se vuole scusarmi, capitano – disse, con studiata cortesia, – devo fare altri preparativi per il mio viaggio. Il sorrisetto di Riker svanì leggermente quando il consigliere si alzò per andarsene. – Deanna stavo solo scherzando. 189 Lei si voltò e Picard si chiese quale rappresaglia si nascondesse dietro il suo sorriso innocente. – Se la memoria non m'inganna, tu hai avuto esperienza diretta nel determinare quanti ufficiali ci stanno in una navetta – ribatté, uscendo dalla plancia e lasciando che l'attenzione rimanesse focalizzata su Riker. Picard non riuscì a resistere alla tentazione di punzecchiare Riker e alzò un sopracciglio in maniera interrogativa, osservando il suo primo ufficiale contorcersi sulla poltroncina. – È stato un esperimento per le procedure di evacuazione d'emergenza – spiegò Riker, riuscendo a mantenere il viso composto, ma non poté evitare che le sue orecchie si colorassero di rosso. – Il risultato è dodici. Data si voltò dalla sua consolle operazioni per guardarlo in faccia. – Se l'obiettivo dell'esercitazione era determinare la densità massima di passeggeri, allora anche il modello più piccolo di navetta può contenere molto più di dodici persone. – Sì, ma in quel momento eravamo riusciti a trovare solo dodici primi ufficiali in licenza su Mardi Gras e abbiamo dovuto riempire gli spazi vuoti con alcuni locali. – Era su Mardi Gras? – chiese Picard, ripensando alle sue esperienze di licenza su quel particolare pianeta. – È certo che Data sia abbastanza cresciuto per sentire il resto della storia? – Signore? – fece l'androide, piuttosto confuso dal commento del capitano, e la risata di Geordi ebbe soltanto l'effetto di aumentare la sua perplessità. Il sorriso di Riker si allungò fino a toccargli le orecchie. – Ecco, Data ha espresso curiosità per le relazioni interpersonali umane, capitano. In che altro modo potrà imparare? – Allora prego, Numero Uno, continui pure – incitò Picard. – E non è un invito... è un ordine! Come ufficiale medico capo, Crusher era responsabile per la scelta del personale dell'infermeria ed era orgogliosa di essere riuscita a mettere insieme il personale migliore per l'Enterprise. Essere assegnati ad una nuova nave era spesso considerato un premio, molto ambito soprattutto dai dottori e dagli infermieri della Flotta Stellare, e per questo il ricambio era piuttosto basso nel suo dipartimento. Nonostante questo, la nervosa internista che era di fronte alla sua scrivania stava chiedendo un trasferimento. 190 – Come hai saputo degli altri bambini? – chiese Crusher, con la voce intrisa di disappunto: la partenza di Lisa Iovino dall'infermeria, infatti, avrebbe rappresentato una vera perdita. – Non ha importanza... non ha davvero importanza. – Posso raggiungerli? – insistette Iovino, per niente sicura sul luogo dove stava chiedendo di essere mandata. Tutto ciò che le importava era che ci fossero i bambini. – Sì – sospirò Crusher, ammettendo con se stessa che i bambini di Hamlin avevano molto bisogno dell'internista mentre l'equipaggio della nave stellare poteva farne a meno. – Sono certa di poter organizzare il tuo trasferimento nel posto appropriato e le autorità della Base Stellare Dieci ti diranno dove sarà la tua destinazione finale – confermò. L'Ambasciatore Deelor le doveva almeno quello. – Grazie, Dottoressa Crusher – esclamò Iovino, un po' disorientata dalla velocità con cui la sua vita si stava allontanando dalla rotta prestabilita. – Non ho mai pensato di occuparmi professionalmente di bambini, ma questi sono... – Lisa! – L'urlo proveniente dalla corsia medica fu seguito da un terribile schianto. – Lisa? – Stava dormendo! – si giustificò l'internista, oltrepassando di corsa la porta. – Gli ho insegnato a camminare, ma adesso sta imparando ad arrampicarsi! Sorridendo ancora per le distruttive esplorazioni del turbolento Mosè, la Dottoressa Crusher uscì dall'infermeria per una visita attesa da tempo. Suo figlio, che non era più un bambino ma neppure un adulto, la incontrò all'ingresso del ponte ologrammi; oltre le porte, lei poté scorgere un cielo al tramonto striato di magenta e di blu, ma la luce rimasta era comunque sufficiente per una passeggiata sulle colline ondulate. – Quando c'erano gli animali era ancora più bello – spiegò Wesley, mentre lui e sua madre si avvicinavano al primo steccato. La fattoria aveva ora l'aspetto di una città fantasma, come se uno stregone avesse fatto un incantesimo addormentando l'intera valle. Beverly respirò profondamente e inalò l'aria dolce mentre vecchi ricordi, messi da parte dalla sua vita con Jack e dalla carriera nella Flotta, presero vita. – Oh, riesco a immaginare com'era. In fondo sono nata su una colonia agricola. Suo figlio aprì un cancello di legno e dopo che entrambi lo ebbero 191 oltrepassato lui indugiò a richiuderlo, anche se nessuna pecora poteva scappare. In piedi nel mezzo del recinto principale ormai vuoto, Wesley le indicò il luogo dove stavano i maiali e la stia dei conigli. Il gocciolare della pompa dell'acqua risuonò forte appena lui smise di parlare. Massaggiandosi soprappensiero un callo cresciuto sulla mano per aver dovuto pompare l'acqua ai cavalli, Wesley cercò di capire il senso di tutte quelle fatiche. – Non vedo perché i Coloni abbiano scelto di vivere in questo modo. Lo scopo della tecnologia è di risparmiare alle persone la necessità del duro lavoro e di dar loro il tempo di fare altre cose. – Sì, credo di sì – mormorò Crusher. – Ma io posso capire la loro riluttanza a usare macchinari complicati. La gente del mio pianeta natale avrebbe sofferto molto meno se non fosse dipesa così tanto dalla tecnologia. Quando l'equipaggiamento essenziale si guastò, si trovarono impotenti e i superstiti furono costretti a imparare da soli i vecchi metodi, senza maestri – spiegò. La devastazione su Arvedda III era avvenuta prima che lei nascesse, ma sua nonna le aveva tramandato i ricordi di quegli anni terribili. – Non ci avevo mai pensato – mormorò Wesley. Passeggiarono in silenzio finché, facendo il giro completo del ponte ologrammi, giunsero di nuovo all'ingresso. Dopo un'ultima occhiata ai campi ormai scuri, Wesley disattivò il programma. Picard attraversò l'ingresso della sala d'osservazione e poi si fermò nel vedere una figura che si stagliava in controluce davanti ai grandi oblò. La sagoma della persona gli era familiare: – Alzata a tarda notte, Dottoressa Crusher... di nuovo una chiamata per il primogenito di T'sala? – No, stavo soltanto rimuginando – replicò la donna, sorridendo, quando Picard le si avvicinò. – Attento, il mio umore potrebbe essere contagioso. – Rischierò. – Stavo pensando a Ruthe – cominciò Crusher. – È vissuta tra gli Umani per gli ultimi quindici anni... Jean-Luc, e se per lei fosse troppo tardi per tornare alla vita con i Choraii? Picard sentì i muscoli della nuca e delle spalle che gli si contraevano sotto il peso della domanda. – Allora non avrà nessun posto dove andare – replicò; la tristezza di quell'affermazione lo sovrastò per un momento, poi scosse la testa e si 192 corresse: – No, non è esatto. Dovrà imparare a vivere in entrambi i mondi. – Questo è quello che stiamo facendo noi qui a bordo dell'Enterprise – sottolineò la dottoressa, estendendo il concetto più di quanto fosse stata intenzione di Picard. – Abbiamo lasciato le nostre case e scelto di diventare vagabondi, come i Choraii. – Però siamo un po' meno sanguinari – puntualizzò lui, in tono secco. – Comunque sono d'accordo sulla similitudine – annuì poi. Il confronto lo aiutò anche a mettere a tacere l'ultimo dei dubbi che la partenza di Ruthe aveva sollevato in lui. – Hai finito di rimuginare, Beverly? – Sì, certo. – Bene. Allora ti divertirà sentire una delle avventure del nostro primo ufficiale – continuò Picard. La storia avrebbe certamente fatto il giro della nave entro il giorno successivo e il capitano voleva avere l'occasione di raccontarla di persona, almeno una volta. Andrew Deelor non aveva dormito, ma attese fino alle prime ore del mattino per mettere da parte la coperta e alzarsi dal letto. Anche se non aveva fame preferì andare a cercare del cibo piuttosto che restare ancora là. Raccolto il mantello sdrucito che gli aveva fatto da coperta, si diresse verso la porta dell'alloggio. Mentre attraversava la suite riservata ai passeggeri si accorse che Ruthe non aveva lasciato nessuna impronta al suo interno. Le sue uniche proprietà erano state il mantello e il flauto che aveva lasciato cadere sul pavimento della sala teletrasporto, e lui aveva regalato il flauto alla piccola dei Coloni: i bambini rapiti dalle navi Choraii sviluppavano un eccezionale talento musicale, e forse anche il poco tempo passato con loro avrebbe avuto qualche effetto su Emily. Adesso tutto ciò che gli rimaneva di Ruthe era il liso indumento che teneva tra le mani con una traccia di aroma di cannella ancora intrisa nelle sue fibre. Deelor infilò il mantello grigio nel condotto dei rifiuti e lasciò l'alloggio con le mani vuote: viaggiava leggero e il peso del mantello di Ruthe era più di quanto potesse sopportare. 193