UMBERTO ECO E I PARTITI LIQUIDI. LA VANITA` DI UNA ROSA

Transcript

UMBERTO ECO E I PARTITI LIQUIDI. LA VANITA` DI UNA ROSA
UMBERTO ECO E I PARTITI LIQUIDI. LA VANITA’
DI UNA ROSA SENZA NOME.
di Stefano Golfari.
Quando uscì, "Il nome della rosa" fece un effetto
strano su noi ventenni degli anni '80 del secolo
scorso. Eravamo tutti lanciati verso un futuro ottimista,
lucente, finalmente libero, post-moderno, leggero e
giocoso come un amore estivo, e Umberto Eco ci
richiamava indietro. Ma indietro indietro... Fino al più
cupo Medioevo. E poi quel titolo. Restava aperto, non
si chiudeva: "Il nome della rosa” ...c'era un senso
profondamente nascosto, o era solo un’altro dei giochi
linguistici con cui Eco sapeva, irridente, prendere in
giro proprio quella vecchia pretesa di un senso
“profondamente nascosto” delle cose? Le due cose
insieme, come ben sa chi quello strano romanzo di
ambientazione medioevale ha letto e capito nel
profondo. Posso tuttavia dubitare che ciò sia
veramente accaduto nella mente di tutti i 50 milioni di
lettori ad oggi totalizzati dal “Best seller”, anche
perché fin nel film che il regista Annaud realizzò con
lo stesso titolo, la spiegazione del “nome della rosa”
veniva semplificata fino ai confini della stupidità e del
luogo comune: divenendo, la rosa, la banale metafora
della donna amata da un giovane frate che, oramai
vecchio, quel ricordo frequenta ogni notte senza mai
averne conosciuto il nome. Tutto troppo scontato per
essere Eco. Di questo piccolo-grande tradimento
cinematografico me ne sono ricordato nei giorni della
morte di Umberto Eco, leggendo il saluto che Roberto
Saviano aveva indirizzato a Eco via Twitter, secondo il
vezzo “Social” della nostra vanitosa contemporaneità.
Lì si citava il finale del verso che spiega perché il
nome della rosa entra in gioco: "Nomina nuda
tenemus". Suona bene come saluto funebre. Ma svia.
Anche Saviano risultava, quindi, "lost in traslation":
"Stat rosa pristina nomine. Nomina nuda tenemus"
nella lettura in savianese (riportata da RAINEWS)
significherebbe qualcosa come: ”La rosa che era (ora)
esiste solo nel nome. Noi possediamo solo nudi
nomi.” Pare una poesia romantico-decadente. Troppo
sentimentale per essere Eco.
Perché "Il nome della rosa" ha a che fare - piaccia
o non piaccia ai nostri emotivi e frettolosi socialnetwork - con una questione difficile, molto
complessa, puntuta e pungente, nella quale la rosa in
questione è pochissimo romantica e invece molto
Logica, semiologica e filosofica. Certo può
emozionare fino all'orgasmo (metafisico) il pensiero
che nel profondo del XII secolo il monaco benedettino
Bernardo Cluniacense riuscisse a concepire quel
verso, che risuona di mistero e di silenzio: "Stat rosa
pristina nomine. Nomina nuda tenemus". No, non si fa
questione del tempo che passa, degli amori perduti o
degli amici che se ne vanno... Minima immoralia per
un monaco benedettino del XII secolo. Trattasi di
stabilire, invece, se la rosa primigenia (pristina), cioè
la rosa ideale, l'idea di rosa, l’Ideale tout court, ovvero
la Verità… esista. Meglio: se abbia esistenza reale,
fattuale, oppure no. L'attimo in cui Bernardino
Cluniacense decide: anche no, è un crocevia davvero
importante nella Storia del pensiero Occidentale.
Fondamentale. La genialità di Umberto Eco,
consistette nel mostrarci come le onde gravitazionali
di quella argomentazione medioevale arrivavano fino
al cuore della nostra contemporaneità, fino ai
fantastici anni '80 del secolo scorso nel quale il suo
libro veniva pubblicato, ma pure - e ancora di più - fino
ai nostri giorni, nel terzo millennio del world wide web
che dai conventi e dalle abbazie sembra così lontano.
Ma Eco aveva ragione: nei giorni nei quali moriva,
quella rosa, io l’ho ritrovata, non solo nel tweet di
Saviano, ma anche e soprattutto proprio nella cronaca
politica italiana. Prima di spiegarmi meglio, tuttavia,
almeno per le schiere di politici, giovani e vecchi, che
si ritengono da tempo affrancati dalla necessità di
rifarsi alla Storia del pensiero, forse è necessario
tornare - ancora - a Bernardo Cluniacense, alla rosa
che esiste oppure non esiste nella sua forma
"primigenia". Voi come ve la immaginate questa "rosa
ideale": rossa? bianca? con le spine? con le foglie?
C'è una rosa reale, fisica, che possa valere come
simbolo di tutte le rose? Per tutti? Il pensiero si
complica, e inizia a somigliare, appunto, alla "Disputa
sugli Universali" che vide protagonista, nel 1300, un
frate francescano che finirà accusato di eresia e
scomunicato dal Papato di Avignone: Guglielmo da
Occam. Nel libro e nel film l'arguto e disincantato
Guglielmo da Baskerville (che risolverà il giallo) gli
deve il nome, il cognome essendo poi un altro palese
gioco verbale che cita lo Sherlock Holmes di Doyle in
uno dei suoi romanzi più riusciti (Il mastino di
Baskerville). E’ per l’appunto questo gioco di nomi e
cognomi, questo prendersi gioco della sacralità della
Storia, dei suoi tempi e dei suoi ruoli (Sherlock
Holmes e Guglielmo da Occam sono un ben strano
connubio), è la pretesa libertà di combinare tutto in
tutto, in modi imprevisti, creativi, soggettivi e
desacralizzanti che ci fa capire da che parte sta Eco:
da qualche parte di molto post-moderno (Lyotard).
Ma ecco: la possibilità di essere “post” (e si potrebbe
vederci un giochino divertente con ciò che oggi “post”
significa on line, sui Social) partì, in nuce, in
quell’oscuro medioevo. Si aprì, solo dopo aver
stabilito che l'idea di rosa (e di qualsiasi altra cosa) sta
solo nella nostra testa: è il nome che le diamo. Perché
solo da quel punto in poi si può ammettere che nella
realtà l'uomo non incontra "la Verità" della rosa (la
cosa ideale, l'Ideale) ma invece e soltanto tanti tipi di
rosa differenti che non hanno nulla di "sacro", e quindi
nulla di intoccabile. Si apre a quel punto lo spiraglio
che pian piano si spalanca e infine illumina il percorso
che porta alla ricerca sperimentale, alla verità
empirica, alle meraviglie della scienza e della tecnica
e alla possibilità di giocare e di ridere, sempre e
comunque, di tutto. Attenzione però, esiste anche la
lettura opposta: quella della scomunica e della
condanna feroce di tutto questo cammino, considerato
colpevole della morte di Dio e del Relativismo
assoluto.
Roba grossa. Troppo grossa per questa breve
narrazione. Vi propongo allora un compromesso al
ribasso: e se invece di parlare di cose così alte e
difficili, parlassimo un po' della politica italiana di oggi?
Del PD di Renzi, ad esempio, e della Lega di Salvini?
Cioè: visto che oramai Dio è già morto, è morto pure
Marx e neanch'io mi sento benissimo... (come dice
l'arcinota battuta di Woody Allen), abbassiamo il tiro e
invece di mettere in questione gli "Universali",
mettiamo in questione i Partiti politici che abbiamo.
Ma per lo stesso motivo! Sarebbe a dire che proviamo
a porci la domanda: esiste oggi un Ideale di partito?
Oppure esistono solo nudi nomi? Abbassiamo ancora
il livello: se anche gli ideali sono da considerarsi roba
vecchia, rottamata... esiste almeno un "Collettivo"?
Ovvero: sono persone che si riconoscono in un grumo
di valori comuni quelli che fanno politica oggi in uno
stesso Partito? O Movimento che sia? C'è un collante
che li lega? Hanno gli stessi stili di vita? Le stesse
priorità? Le stesse abitudini? Gli stessi abiti? O sono
nudi? Nudi nomi? Mentre Umberto Eco lasciava il
Pianeta Terra, mentre Saviano lo salutava in
latinorum, la cronaca politica ci proponeva due fatti: il
premier Matteo Renzi che ricorreva al voto di fiducia
per blindare i suoi sulla Cirinnà senza Step-childadoption e il governatore Roberto Maroni che si
dichiarava "Tradito" dal suo uomo più fidato, Fabio
Rizzi, beccato con le mani nella marmellata del
business Sanità in Lombardia. Fiducia e Tradimento
sono due Categorie forti, della vita e della politica, che
ancora scatenano il richiamo ai "Valori, agli “Ideali".
Vanno benissimo per un test: dall'utilizzo comune che
se ne fa oggi in politica “Fiducia” e “Tradimento”...
come escono? Come qualcosa che mantiene un suo
Ideale meta-politico, un riferimento fisso comune al
“collettivo”, oppure come termini di scambio solo
pratico,
fattuale,
sperimentale,
soggettivo
e
contingente? Insomma è Valore o convenienza?
Vediamo: il “Voto di fiducia” sulla Legge Cirinnà è
stato utilizzato dal PD come strumento "compattatore"
del dissenso interno, che quindi - apprendiamo sussiste anche su questioni pre-politiche, valoriali,
come "La famiglia" "I figli" "Il Matrimonio", "I diritti
gay". Questioni che nessuno evidentemente aveva
chiarito e definito prima, all’interno di quel Partito, ben
sapendo che non sarebbero assolutamente possibile
convincere tutti i propri “amici e compagni" di una sola
verità collettiva. Ergo: non esiste un paradigma
valoriale per questi valori, nel Pd. E il Tradimento?
Nella vicenda Maroni scade a tradimento della fiducia
personale, individuale: è la fine di una bella amicizia.
Fabio Rizzi, dice il presidente della Lombardia Maroni,
lo ha “tradito”. Ma Roberto Maroni si è mai occupato
dell' habitat valoriale in cui Rizzi esercitava l'incarico
affidatogli? Dopo i pesantissimi scandali dell' era
Formigoni, il nuovo Governatore ha promosso una
rivoluzione etica, valoriale, o perlomeno di "approccio
collettivo" del mondo della Sanità Lombarda? Oppure
ha evitato azioni e giudizi troppo netti per evitare il
confronto sui Valori, cioè per evitare di litigare con gli
alleati di Forza Italia e NCD e anche con le diverse
correnti interne alla stessa Lega? Se la risposta giusta
è la seconda, Rizzi ,"rubando", tradiva il "Collettivo" o
si adeguava all'andazzo? Ma, sul senso che ha oggi
un Partito o Movimento che sia, potremmo riferirci
anche all’attuale segretario della Lega Nord, Salvini:
che senso ha celebrare a Milano il congresso delle
Destre estremiste europee e due settimane dopo
presentare come candidato sindaco di Milano
un tecno-manager europeista di tradizione laicoriformista e di radici democratico-socialiste come
Stefano Parisi? E Stefano Parisi che farà quando
dalla Lega di Salvini riceverà l’invito al prossimo
raduno milanese con la Le Pen e le Destre xenofobe
anti-europee? Non c’è problema? Non c’è
contraddizione? E’ la "Liquidità", bellezza? No. Non
per forza. Ci insegnavano a Scuola che, nella antica
Storia patria, a un cupo (ma denso, avvincente)
Medioevo segue uno straordinario Umanesimo, e poi
il Rinascimento di Leonardo e Michelangelo. La
Politica contemporanea ci insegna invece, purtroppo,
che dopo la morte delle Verità valoriali dei PartitiChiesa (DC, PCI, ma anche la Lega di Bossi) i nuovi
partiti liquidi semplicemente naufragano, senza mai
approdare in alcun luogo. Hanno paura della nuova
libertà, non definiscono nuove rotte, nuove scelte, non
hanno il coraggio di cercare e fondare nuove e
diverse scale di valori. Anzi fuggono come il demonio
ogni definizione di valore nuova, affinché non risulti
"divisiva". Ma il collante che non li divide, se vai a
guardare bene… non c’è. Litigano anche molto, sì. Ma
alla fine non affermano nulla, non si giocano nulla,
non corrono alcun rischio. L'essere liquido non è
divenuto acqua corrente, ma acqua e basta: si infila in
ogni forma ma non trasporta nulla. In quest’acqua
semplicemente ci si specchia: il valore è l’esser-ci,
l’essere lì, avere una casa, una casacca, un nome. E’
straordinario notare (io ho modo di testarlo ogni giorno
in tv) come nell’ era liquida della politica le
“appartenenze” esercitino ancora un fortissimo potere
di attrazione: essere “di sinistra”, di “destra” (o più
spesso “non-di-sinistra”) “della Lega”, sembra di per
sè una motivazione sufficiente a moltissime persone
per prendere posizione sulle cose. La contraddizione
sta nel fatto che il giudizio sui fatti non arriva loro dalla
radice ideale di appartenenza, no. Arriva dagli
atteggiamenti assunti via via, sui fatti di cronaca, dai
loro leader o mini-leader di riferimento. I quali (Renzi,
Salvini, Berlusconi, Vendola etc.) propriamente “fanno
riferimento”, ovvero sono la fonte autonoma del
giudizio sulle cose. Libri, dottrine, radici, pensatori e
politici del passato non contano più nulla: sono tutti
“rottamati”. I nuovi Leader non dipendendo più da
null’altro che se stessi. Qui nasce la nuova vanità che
diventa profluvio di dichiarazioni istantanee, le più
varie, sui Social network dove ognuno ritiene di dover
esser-ci, prima di dover Essere. Importanti forze, e
finanze, vengono indirizzate a questo compito: e la
cosa funziona! Il successo di Salvini, come prima di
Renzi si deve alle presenze in Tv e alla massa di
messaggi e messaggini che intervengono su tutto,
con quel fare informale ed amichevole che sposta il
“focus” direttamente sulla personalità del leader
medesimo: il suo entusiasmo o le sue antipatie,
l’atteggiamento, lo stile, il tipo di approccio sono ben
più importanti delle motivazioni di pensiero. La politica
liquida diventa lo specchio di Narciso. Due esempi,
tratti quasi a caso dai post su Facebook di Renzi e
Salvini a cui ho dato una scorsa in questa domenica
di marzo 2013:
Renzi:
“Avanti tutta, con la stessa fame del primo giorno.
Cercando di far tesoro degli errori commessi, certo,
ma continuando a mettercela tutta: perché l'Italia
merita tutto il nostro entusiasmo, tutta la nostra
passione, tutta la nostra fatica.”
Salvini:
“Chiedere sicurezza, ordine, pulizia e lavoro è
RAZZISMO?
Alla Merkel e a Renzi tremano le gambe...
Dai Amici, teniamo duro, il vento sta cambiando in
tutta Europa!”
Due politiche e due politici molto differenti, certo. Ma
identica è l’intenzionalità della comunicazione: quello
che viene trasmesso è l’invito all’identificazione, a
essere come loro, a pensarla come loro… senza un
vero perché. Renzi spiega la “fame” con la “passione”,
quindi non la spiega. Salvini si risponde sul
RAZZISMO con un punto interrogativo autoassolutorio
su termini talmente generici - sicurezza, ordine,
pulizia, lavoro - che tutto possono significare e il suo
contrario.
Tutto ciò, in fondo, è ancora il portato del
travisamento di quel verso medioevale : “Nomina
nuda tenemus” che giustamente Umberto Eco
sottolineò e rese celebre, che qui sembra
semplicemente interpretato come la libertà per
ciascuno di fare un po’ come gli pare, altro che
ricerca, altro che scienza. Ma anche senza andare
così lontano, pensiamo come ai nostri nonni e ai
nostri padri che vissero in un mondo di paradigmi
politici assoluti oggi rispondiamo come se la caduta di
quegli dei (1989) ci avesse via via resi piccole divinità
tutti quanti. Degni di essere venerati per un tweet, per
una battuta riuscita,
per la quota di consenso
certificata da un sondaggio o - più propriamente - per
la posizione di potere conquistata. Perché alla fine
dietro al gioco dei nudi nomi si nasconde il gioco del
potere: definire i Valori è divisivo, darsi un nome
(assumere una immagine) è attrattivo. Questo è il
punto. Per questo i nostri nuovi Leader “nominalisti”
produrranno, finché glielo lasceremo fare, Partiticontenitore dove c’è di tutto un po’. E’ un circolo, il
classico cane che si morde la coda. In cima alla scala
del potere il piccolo valore che occhieggia, l’ unica
meta, nascosta, banale, squisitamente elettorale, è…
l’autoreferenzialità. Basta, e ci basta, restare uniti
sotto un solo nome per essere chi siamo. E, infatti,
solo nudi nomi possediamo.
Stefano Golfari
13.3.2016