redazionale_low_cost_society_130706 - KMSenpai
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Low Cost Society Nel loro recentissimo saggio La fine del ceto medio e la nascita della società low cost, Massimo Gaggi ed Edoardo Narduzzi dipingono il tramonto della tradizionale classe media, composta dal consumatore borghese, “l’idealtipo del consumatore di ultima istanza, quello pronto a comprare qualsiasi prodotto l’offerta sia in grado di proporgli” per appagare i suoi desideri e per realizzarsi sul piano dell’identità di classe. L’avvento della Rivoluzione Industriale dà vita alla classe operaia da un lato, ma anche ad una classe di mezzo - impiegati, insegnanti, liberi professionisti e burocrati -che, “nelle mani della grande industria, diventa anche un vero e proprio blocco di domanda aggregata: l’ideale per programmare una produzione di massa poco diversificata, ma comunque capace di soddisfare quelle ambizioni di miglioramento costante di vita che hanno sempre contraddistinto la classe media”. E’ questa classe, con la sua voglia di fare e di affermarsi, che permette la realizzazione del miracolo economico del Dopoguerra e la produzione di massa di beni di largo consumo: dall’automobile agli elettrodomestici, dai prodotti di toeletta, ai vestiti e ai generi alimentari. Il connubio con l’industria era perfetto: “l’industria concepiva nuovi prodotti capaci di soddisfare bisogni a volte reali, a volte soltanto latenti, e li proponeva alla voracità della classe media. Una relazione apparentemente inossidabile: da una parte la classe media, risparmiando, metteva a disposizione gran parte del capitale necessario all’industria materiale per potere ampliare l’offerta; dall’altra, consumando a piene mani tutto quello che poteva, appagava i suoi desideri e si realizzava sul piano dell’identità di classe”. Ma le fondamenta sulle quali poggiava questa classe di mezzo si sono disintegrate. La globalizzazione e le tecnologie informatiche hanno capovolto le regole economiche tradizionali ed hanno inaugurato un fenomeno di inarrestabile “orizzontalizzazione” a tutti i livelli, come la definisce Thomas Friedman nel suo bestseller The World is Flat, appiattendo, destrutturando, semplificando ciò che fino a pochi anni fa era inimmaginabile, nonché geograficamente e concettualmente inaccessibile. La convergenza della globalizzazione e della divulgazione di Internet hanno creato una nuova realtà che permette forme di collaborazione del tutto innovative, in termini di lavoro e di scambio di informazioni, in tempo reale, senza limiti geografici e, sempre più, senza limiti di lingua. Basti pensare che i motori di ricerca di Google sono oggi disponibili in 100 lingue diverse, e che solo metà delle ricerche effettuate su Google avviene in inglese. In Cina, sono 100 milioni gli utilizzatori di Internet, aumentati del 18% in 6 mesi, e ben 360 milioni gli utilizzatori di telefoni cellulari. In India nel 2005 erano 50.6 milioni gli utilizzatori di Internet (aumentati del 50% in un anno), e si stima che in due anni potrebbero raddoppiare. Lo straordinario spostamento degli equilibri a favore dei Paesi cosiddetti emergenti, che fino a poco fa erano tradizionalmente considerati vasti bacini di inesauribile mano d’opera a basso costo per beni da consumare in Occidente, è uno dei maggiori catalizzatori di questa rivoluzione economica, produttiva e sociale. Clyde Prestowitz stima che saranno 3 miliardi i nuovi capitalisti russi, cinesi e indiani a partecipare a pieno titolo nell’economia mondiale. Gaggi e Narduzzi riportano uno studio secondo il quale tra dieci anni, per la prima volta nella storia, l’80% dei consumatori di livello medio vivrà al di fuori dell’Occidente. La quotazione in borsa nell’agosto del 1995 di Netscape, all’epoca una piccolissima società con sede nella sperduta località di Mountain View, in California, e la conseguente pressoché immediata disponibilità sul mercato dell’omonimo browser, il primo che rese possibile il surfing su Internet al grande pubblico, fu un evento che, secondo Friedman, “cambiò il corso della storia”. Una settimana dopo, Microsoft lanciò Windows 95, il primo software che conteneva al suo interno un supporto per collegarsi ad Internet, rendendo così l’accesso al World Wide Web disponibile a chiunque avesse un PC, e favorendo una connettività a livello globale, che, tutto d’un tratto, spalancava una immensa finestra sul mondo, annientando barriere geografiche e gerarchiche esistenti da sempre, e permettendo una diffusione di conoscenze senza precedenti. Internet è il vero “equilizzatore”, come lo ha definito Sergei Brin, co-fondatore di Google, perché permette a chiunque, ovunque, di avere accesso alle stesse informazioni, senza alcuna discriminazione. La democratizzazione dell’informazione e il passaggio da una società prevalentemente verticale ad una marcatamente orizzontale, provoca effetti imprevisti che, a macchia d’olio, si ripercuotono in tutte le sfere della società, fino a condizionare il ruolo e la forma dello Stato. Il maggiore effetto di questi grandi stravolgimenti è un “multiple identity disorder”, come lo definisce Friedman, dovuto alla nuova identità che, quasi senza preavviso, è calata sui diversi soggetti, stravolgendo il loro ruolo e le loro relazioni con gli altri. Primo tra tutti è il nuovo ruolo assunto dall‘individuo. Il nuovo contesto ha spazzato via il ceto medio tradizionale a favore dell’emergere di quella che Gaggi e Narduzzi definiscono la società low cost: un “magma sociale, un universo umano flessibile, decontrattualizzato, desideroso di allargare al massimo le possibilità di consumo. Un universo sottoideologizzato, deciso a procurasi beni e servizi presso il fornitore mondiale che offre le condizioni più convenienti, che pretende una minore intermediazione da parte delle istituzioni tradizionali, religiosamente aperto, integrato in tempo reale con tutti i canali di comunicazione o di interazione e sempre meno baricentrato sulle tradizionali agenzie di socializzazione, a cominciare proprio dalla famiglia”. Il nuovo individuo è anzitutto empowered, ed esercita la sua nuova identità a tutto campo, con l’entusiasmo di chi ha appena assunto controllo del proprio destino. Descriveremo qui il ruolo dell’individuo nelle relazioni economiche, ed in particolare il nuovo ruolo assunto dal consumatore nei confronti delle aziende produttrici. Sempre più informato e capace di interagire e coalizzarsi in tempo reale con chi la pensa in modo simile, il consumatore oggi è più efficiente, sofisticato, esigente. E’ conscio di esercitare un potere che gli era stato negato in precedenza, e capisce che nessuno potrà toglierglielo in futuro. Nelle sue relazioni con le aziende, il nuovo consumatore è, per usare un’espressione dell’Economist, “incoronato” come nuovo sovrano indiscusso: sono le aziende che devono ingegnarsi e darsi da fare per agganciare i clienti, non più il contrario. Basti pensare alla rivoluzione provocata da Internet nell’acquisto di biglietti aerei, per giunta low cost. Annientando il ruolo intermediario dell’agenzia di viaggi, il consumatore, seduto comodamente al proprio PC, può valutare le numerose offerte disponibili, scegliere la più vantaggiosa, che spesso risulta essere pari a una manciata di euro. L’Economist stima che nel 2004 negli Stati Uniti l’acquisto di biglietti aerei on-line ha creato un business pari a 50 miliardi dollari, con un incremento del 25% rispetto all’anno precedente. L’impresa che non offre il migliore servizio viene scartata senza esitazioni, senza preannuncio, e senza tante storie. Nonostante che solo una persona su quattro sembra effettivamente fare shopping su Internet, il vero potere che deriva dal Web è quello di acquisire conoscenze che permettono di esercitare pressioni e selezionare i migliori offerenti. La Ford valuta che l’80% dei propri clienti entra in una concessionaria di macchine sapendo esattamente quale modello intende comprare, con quali optionals, e quale prezzo intende pagare. Il colosso informatico Dell valuta che una variazione di prezzo dei propri prodotti sul sito Internet della società provoca un cambiamento nei consumi “nel giro di un minuto”. Inevitabilmente, sono le aziende che sanno adattarsi al nuovo contesto competitivo che ne potranno cogliere le opportunità. Aziende quali Ryanair, Skype, Ikea, Wal Mart, e il gruppo Easy (fondato dieci anni fa dal 28enne Stelios Haji-Ioannou con easyJet, cha ha recentemente allargato la sua gamma di offerte a easyHotels e easyCruises) per menzionarne solo qualcuna, interpretano la nuova identità comportamentale della low cost society, offrendo prodotti e servizi con eccellenti rapporti di qualità\prezzo . Ma il nuovo consumatore esige di più: il prezzo vantaggioso non è più sufficiente. Il nuovo consumatore chiede all’azienda una nuova forma di collaborazione che gli permetta di essere un partner, un co-adiutore dei prodotti e servizi che più gli interessano, e di personalizzarli all’interno di un modello produttivo prestabilito. A sua volta, questo modello richiede all’azienda uno straordinario sforzo di innovazione e flessibilità. Nel loro ormai famosissimo saggio “Blue ocean strategy”, W. Chan Kim e Renée Mauborgne suggeriscono alle aziende di ribaltare la loro percezione del mercato tradizionale, secondo la quale esse cercavano spazi redditizi all’interno di mercati esistenti, e lottavano contro concorrenti già conosciuti. La nuova realtà richiede alle aziende di inventare spazi completamente nuovi (i cosiddetti blue oceans) per soddisfare le esigenze di consumatori attenti alla spesa ma allo stesso tempo esigenti e sofisticati, assetati di novità e cambiamento, e desiderosi di essere propositivi. Tra le aziende che sono riuscite ad interpretare la voglia di interazione dei consumatori, ricopre un ruolo di primo piano la Starbucks, società diretta da Howard Schultz, che nel 1983, dopo un viaggio a Milano, ebbe l’idea di creare una catena di caffè all’italiana, dove i clienti potessero chiacchierare mentre sorseggiavano caffè e cappuccini. Quattro anni dopo, con un prestito di 3,8 milioni di dollari (Schultz ammette che all’epoca non aveva “un soldo”), acquistò una microscopica società già esistente e la lanciò. Oggi la Starbucks, il cui titolo in borsa è aumentato del 6,400% da quando è stata quotata in borsa nel 1992, opera in 37 paesi, con 10.500 punti vendita (nella sola in Cina ne ha 200; il Signor Schultz prevede che il mercato cinese diventerà la sua seconda fonte di guadagno dopo quello degli Stati Uniti) ed offre 55,000 diversi tipi di bevande a base di caffè, a seconda dei gusti e delle richieste geografiche dei clienti. Il segreto del successo di Starbucks è la capacità di ascoltare le richieste dei clienti e di applicarle in tempo pressoché reale. Insomma, sono i clienti che aiutano a definire e personalizzare il prodotto. Esprimono i loro desideri al personale all’interno del punto vendita, che li rimanda alla casa madre, che li tramuta in offerta. L’esempio delle bevande con aggiunta di latte di soia, e che oggi rappresentano l’8% delle vendite della società, è lampante. “Non ci sarebbe mai venuto in mente di offrire così tante varietà con il latte di soia; è venuto in mente ai clienti,” racconta Schultz. La società ha semplicemente collaborato con loro. Un altro caso di grande successo è il produttore di giocattoli danese Lego. Nel 1998 lanciò Lego Mindstorms, un kit per l’assemblaggio di un robot, e scoprì che il prodotto piaceva molto non solo a ragazzi ma anche ad adulti che, per hobby, si divertivano a migliorarne le prestazioni tecniche. Entro tre settimane dalla sua uscita, questi entusiastici consumatori, che nel frattempo si erano aggregati via Internet per scambiarsi informazioni sul prodotto, lo avevano reverse-engineered e ne avevano riprogrammato i sensori, migliorandone notevolmente le prestazioni. Mandarono i loro suggerimenti alla società, che inizialmente li volle citare in giudizio. Ma, molto più saggiamente, la Lego creò un sito Web che invitava i consumatori a co-disegnare questo ed altri prodotti insieme alla società, fornendo consigli e suggerimenti. In occasione del lancio della seconda generazione di Mindstorms, la società andò oltre: contattò quattro disegnatori di software in tutto il mondo, e li invitò a contribuire allo sviluppo del prodotto, insieme ai tecnici della società. Il lavoro durò 11 mesi e si svolse prevalentemente via email. L’unica ricompensa offerta dalla società ai collaboratori “esterni” fu qualche scatola di giochi Lego. Inoltre, quei collaboratori dovettero provvedere loro stessi al costo del biglietto aereo per raggiungere la Danimarca in occasione di una manciata di riunioni. Ma, come dice Steve Hassenplug, uno dei quattro collaboratori, che vive a Lafayette, in Indiana: “Eravamo tutti della stessa opinione: la società vuole davvero avere la nostra opinione e ci ricompensa con alcuni prodotti? Cosa possiamo volere di più?” L’interesse della Lego nell’aprire al consumatore in maniera così eclatante non era, naturalmente, solo diretto alla creazione di un prodotto migliore, ma mirava a rafforzare un legame di fiducia reciproca tra l’azienda e i suoi clienti. In effetti, quello della Lego è un caso di eccellenza dell’open sourcing, le piattaforme digitali che permettono lo scambio, l’aggiornamento e l’interpretazione di conoscenze, e che Friedman definisce “una delle più interessanti e controverse nuove forme di collaborazione sviluppatesi recentemente. All’interno della logica dell’open sourcing, i blogs, cioè le piattaforme digitali dove individui interessati allo stesso argomento –dalla politica all’influenza aviaria- si scambiano informazioni, opinioni, link e quanto altro, hanno assunto un ruolo di primaria importanza. Si stima che esistano circa 20 milioni di blogs e che questo numero sia raddoppiato ogni 5 mesi negli ultimi tre anni. Nel vasto universo dei blogs, cresce il numero di quelli organizzati da consumatori desiderosi di scambiare opinioni e idee con altri consumatori di simili prodotti e servizi. Molto spesso, sono gli stessi dipendenti di un’azienda che creano blogs per discutere, in maniera aperta ed informale, i pro e i contro del loro datore di lavoro. Come fanno notare Gaggi e Narduzzi, questa tendenza può “apparire distruttiva per le imprese”, ma è diventata “una scelta di sopravvivenza competitiva”. Nonostante sia naturale la tentazione di chiudersi a riccio di fronte ad un fiume apparentemente inesauribile di commenti, molto spesso critici, le aziende più innovative sono quelle che decidono di trarre vantaggio dall’opportunità offerta loro dai blogs per dar vita a nuove forme di collaborazione con i propri clienti e dipendenti. L’IBM è stata una delle prima aziende a cogliere questa occasione, permettendo ai propri 320,000 dipendenti di creare un blog aziendale, e ponendo come unica condizione il rispetto di 11 linee guida, peraltro redatte dagli stessi dipendenti (e riviste dall’ufficio di comunicazione della società). Le linee guida includono la necessità di fornire il proprio nome e posizione, di non divulgare informazioni confidenziali e di attenersi a discutere di quello che si conosce. Questa decisione non è stata facile per l’IBM: la scelta era tra autorizzare i propri dipendenti (e chiunque altro) a discutere della società in maniera trasparente da un lato, oppure essere comunque oggetto di critiche da parte di dipendenti (e consumatori) liberi di esprimere le proprie opinioni in blog non autorizzati dall’altro. Per l’IBM, aprirsi al blog è stato un po’ come quando, negli anni ’90, essa dovette decidere se permettere ai propri dipendenti di navigare su Internet dalle loro postazioni di lavoro. Con il senno di poi, quella decisione è stata premiante: “Avere dei dipendenti ben informati ha permesso alla società di cambiare con i tempi”. Il nuovo consumatore, così sofisticato ed esigente, che sta ridisegnando lo scenario delle relazioni economiche –e non solo quelle- è inevitabilmente diventato una fonte di grattacapi per chi è tradizionalmente preposto a comunicare con esso e a condizionarne le scelte di acquisto. Agenzie pubblicitarie, società di relazioni pubbliche e di marketing stanno rivoluzionando il modo in cui esse approcciano i clienti. “Per la prima volta nella storia, il consumatore è il capo indiscusso. Questo è straordinariamente terrificante e spaventoso, perché tutto quello che facevamo e pensavamo, non funzionerà più”, dice Kevin Roberts, Amministratore delegato di Saatchi & Saatchi. Da cinquanta anni i consumatori danno segnali di insofferenza nei riguardi della pubblicità tradizionale, che li costringe ad assorbire passivamente i messaggi prodotti da agenzie che, per la maggior parte, poco si sono adeguate ai cambiamenti in atto nel mondo “orizzontalizzato”. Il risultato è che, sempre più, i consumatori evitano i messaggi pubblicitari. Con l’avvento dei digital video recorders (vdr), che permettono di eliminare la pubblicità dai film che si desidera registrare, il 92% degli utilizzatori di vdr in America cancella i messaggi pubblicitari. Un recente studio dell’agenzia Yankelovich, guru della pubblicità in America, spiega che il consumatore di oggi richiede una comunicazione “interattiva e personale”. Anche in questo caso, l’empowerment del consumatore attraverso Internet e i canali media nontradizionali crea una sfida per le agenzie pubblicitarie, da sempre abituate a trasmettere i loro messaggi attraverso la televisione. Si stima che in America l’utilizzatore medio spenda circa 10 ore al giorno utilizzando Internet, email, e i telefoni cellulari. Fujio Nishida, direttore marketing della divisione elettronica della Sony, spiega che: “Fino a poco tempo fa, potevamo essere quasi sicuri che il 90% dei nostri consumatori era seduto davanti alla televisione in qualche momento, tra le 8 e le 10 di sera. Ora è tutto cambiato. Forse il 70% guarda la televisione, ma allo stesso tempo stà anche usando Internet”. In questo contesto, la maggiore innovazione nel campo pubblicitario è l’utilizzo dei blog. Budget, la società che affitta automobili, ha intrapreso questa strada. “Non potremo mai spendere più della Hertz per la nostra pubblicità”, racconta Scott Deaver, Vice Presidente di Cendant Rental Group, proprietaria di Budget, “ma possiamo sicuramente essere più astuti nel modo in cui investiamo i nostri soldi, creando messaggi pubblicitari che coinvolgono attivamente il consumatore”. Con questa filosofia, Budget ha creato una campagna pubblicitaria mirata ai blog e mirata ai suoi consumatori giovani ed intraprendenti. La campagna si basava sulla creazione di un blog che pubblicizzava una caccia al tesoro, ripartita su 16 città americane, con premi in contanti per 160,000 dollari. A detta di Deaver, la campagna, costata appena 20,000 dollari, è stata un successo. Forse uno dei maggiori e più duraturi effetti che il nuovo consumatore sarà in grado di apportare nelle relazioni economiche, dove la trasparenza diventa un sine qua non del mondo “orizzontalizzato”, sarà l’esigenza che le aziende produttrici non si limitino ad offrire prodotti e servizi con un eccellente rapporto di qualità\prezzo, e che lo coinvolgano attivamente e lo intrattengano nella personalizzazione di offerte sempre più ammiccanti, ma che esse operino in maniera etica, e che esercitino un sempre maggiore ruolo di corporate citizenship. Un esempio a questo riguardo è la lenta, ma inesorabile trasformazione del colosso americano WalMart, la società di distribuzione più grande al mondo, fondata dal leggendario Sam Walton, nelle remote montagne dell’Arkansas. Campionessa di efficienza e di snellezza, Wal-Mart è tra le più ricche società al mondo. Ma è anche oggetto di crescenti critiche da parte di dipendenti sottopagati, sfruttati ed umiliati, e da parte di consumatori che esigono che la società adotti un comportamento commensurato al potere che detiene. In un’intervista rilasciata a Thomas Friedman, Lee Scott, Amministratore delegato della società, ha ammesso che il cambiamento è inevitabile: “Quello che ritengo di dover fare è di instituzionalizzare all’interno dell’azienda il senso di responsabilità nei confronti della società allargata … Il mondo è cambiato, e noi non ce ne siamo accorti. Noi pensavamo che le buone intenzioni, i buoni negozi, i prezzi concorrenziali avrebbero permesso alla gente di perdonarci quelle cose che non sapevamo fare bene. Ma avevamo torto. Non non siamo quello che dovremmo essere. Dobbiamo assolutamente migliorare.”