comune di bettona - La Tramontana
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COMUNE DI BETTONA PROVINCIA DI PERUGIA a.. Piazza Cavour, 14- 06084 Bettona (PG) Tel. 075/988571 fax 075/9869115 PROGETTO DI RISTRUTTURAZIONE PER L’ADEGUAMENTO, LA RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA E TERRITORIALE DELL’IMPIANTO CONSORTILE CODEP DI BETTONA STORIA Il Comune di Bettona, tra le sue vocazioni economiche, da sempre è caratterizzato da un’elevata percentuale di allevamenti suinicoli, sino ad arrivare a rappresentare circa un quinto della produzione nazionale. Tale caratteristica, oltre ad essere un beneficio economico, ha determinato negli anni, grossi disagi alla popolazione, a causa dei male odori e delle esalazioni provenienti dagli allevamenti; non solo, l’utilizzazione agronomica, un tempo incontrollata, degli effluenti di allevamento, spesso ha determinato disagi di carattere igienico-sanitario. Nei primi anni ‘80, gli allevatori di Bettona, hanno realizzato un impianto di trattamento, al fine di convogliarci gli effluenti di allevamento e gestire un impianto centralizzato di raccolta, trattamento, stoccaggio e utilizzazione agronomica dei reflui provenienti dagli allevamenti bettonesi al fine di trovare una soluzione efficace al problema dell’ inquinamento ambientale legato all’attività zootecnica. • Nel 1982 iniziano i lavori finanziati dai soci allevatori. • Nel 1984 l’impianto viene ceduto, a titolo gratuito, al Comune di Bettona, che con l’ausilio di finanziamenti pubblici, ne ultima i lavori. • Nel 1993 viene stipulata una convenzione tra la Codep e il Comune, per regolare la gestione dell’impianto, la cui scadenza è stata prevista per il 2023. • Sempre nello stesso anno, usufruendo dei benefici previsti dalla Legge Regionale n 10, sul Risparmio Energetico, viene realizzato un impianto di cogenerazione per la produzione di energia elettrica, anche in questo caso i lavori sono stati sovvenzionati dagli allevatori associati. • Dal 1997 al 2002 (PTTA 94/96 Regione Umbria) si realizzano ulteriori lavori di ampliamento e di ammodernamento, per consentire l’ingresso di altre aziende dello stesso settore appartenenti a comuni limitrofi (Bastia Umbra e Cannara). • Il finanziamento avviene sempre, sia con fondi pubblici che con quelli del consorzio. • Da allora la struttura non ha subito modifiche se non quelle relative all’ordinaria manutenzione. Caratteristiche principali dell’ampliamento dell’impianto, attraverso lavori effettuati dal 1997 al 2002, anno del loro collaudo, erano: 1) costruzione di un nuovo e più capace digestore primario 2) realizzazione delle condotte sotterranee di adduzione all’impianto 3) realizzazione di un anello di condotte, parallelo a quello già esistente costruito dall’Esau Umbria, capace di servire un comprensorio irriguo di circa 1100 ha, che avrebbe permesso la miscelazione del refluo trattato, all’acqua sollevata dal fiume Chiascio I principi indicati nel progetto PTFA 94/96 della Regione Umbria, erano basati su calcoli tecnicoagronomici che, in base alle colture presenti nel comprensorio fertirriguo, raggiunte dalle condotte sopra elencate, dovevano consentire un saldo pari a zero tra produzione annua di effluenti di allevamento e loro utilizzazione agronomica nel comprensorio stesso. Non risulta che questo processo sia mai entrato in finzione, né che i terreni sui quali veniva effettuata la fertirrigazione, fossero mai stati nelle disponibilità degli allora gestori dell’impianto di cui trattasi, venendo meno il principio secondo il quale la produzione di effluenti di circa 80.000 capi suini dovesse essere smaltita in almeno 1100 ha. Nel 2006, con appositi provvedimenti, la Regione Umbria ha ridotto sensibilmente le quantità di azoto da scaricare nei terreni attraverso l’utilizzazione agronomica, determinando l’aggravamento di una situazione già carente a causa degli errori progettuali del PTTA 1994/1996 della Regione Umbria. La crisi ha avuto il suo apice quando nel settembre 2007, l’invaso di stoccaggio dell’impianto di trattamento, ha raggiunto il suo massimo livello, evidenziando ancora di più le carenze progettuali sopra elencate. STATO ATTUALE Prontamente l’Amministrazione Comunale di Bettona ha fronteggiato la situazione emettendo un ordinanza contingibile ed urgente, reiterata poi nel marzo 2008, che ha ordinato il dimezzamento immediato dei capi suini ed il divieto di reinstallo negli allevamenti collegati all’impianto di depurazione. E’stato quindi scongiurato il pericolo di inquinamento attraverso l’imposizione di provvedimenti restrittivi a carico degli allevatori che hanno notevolmente ridotto il carico di effluenti inviati all’impianto; da settembre 2007, l’impianto ha lavorato per la metà delle sue potenzialità (40.000 capi anziché 80.000). Successivamente, la Giunta Comunale di Bettona, ha autorizzato il gestore dell’impianto a lavorare solo in misura proporzionale alle sue potenzialità di smaltimeuto, che per la prima volta sono state documentate attraverso atti probatori, quali la predisposizione obbligatoria del PUA (piano di utilizzazione agronomica) e la certificazione, attraverso scritture private, della reale disponibilità dei terreni. La riapertura, seppur parziale, dell’attività di allevamento, è stata autorizzata recependo i pareti dell’Asl 2 e dell’Arpa Umbria. Vi è da segnalare che il “caso” Bettona, ha destato, finalmente, le attenzioni degli organi di controllo competenti, che quasi quotidianamente monitorano il territorio. Oltre ad essere ridimensionato entro i limiti compatibili per la tutela dell’ambiente, presso l’impianto sono in corso importanti lavori di adeguamento, iniziati nel luglio 2008, per i quali gli allevatori hanno già speso circa 2 milioni di euro. Questi lavori consistono: • costruzione di un impianto capace di abbattere notevolmente l’azoto, limitando quindi il campo di impiego agronomico del refluo a soli 250/300 ha; • rifacimento del digestore primario, collaudato appena 6 anni fa, che presenta carenze qualitative dei materiali, che ne hanno provocato il mal funzionamento e quindi la scarsa produzione di biogas, capace di mettere in funzione l’impianto di cogenerazione elettrica, fonte di copertura delle spese di gestione dell’impianto. Da segnalare che, per effetto di un’epidemia di malattia vescicolare suina, dal mese di novembre 2008, è bloccata ogni movimentazione di bestiame; questo blocco ha determinato problemi economici per gli allevatori, nonché una presenza negli allevamenti di capi eccessivamente grassi, oltre la normale durata del ciclo di allevamento. L’ Amministrazione comunale che prima ha emanato l’ordinanza del 2007 per la riduzione del 50% dei capi, poi ha concertato un piano urbanistico che ha determinato, grazie a vari incentivi, la dismissione di più della metà degli allevamenti e la delocalizzazione di quelli più prossimi ai centri abitati. C’è da parte degli operatori del settore, la volontà di valorizzare il prodotto puntando alla qualità con la certificazione degli alimenti (cereali no OGM e provenienti da colture biologiche), la creazione di spacci aziendali dove si potranno commercializzare prodotti di altissima qualità a prezzi concorrenziali: la creazione quindi di una Filiera Corta. FUTURO Il progetto è molto più ambizioso e intende creare un ciclo chiuso e virtuoso nella produzione di agroenergia: 1. Ammodernamento tecnico dell’impianto esistente finalizzato all’adozione di processi anaerobici tecnicamente aggiornati aventi come obiettivi: • automazione e autocontrollo dell’intero impianto; • aumento della produzione di CH4 (metano); • produzione di H2 (idrogeno) in miscela di biogas del 10-15%; • utilizzazione di varie tipologie di biomasse oltre quelle di origine zootecnica; • utilizzo della frazione organica derivante dalla raccolta differenziata dei RSU; 2. Adeguamento dell’intero impianto ai requisiti richiesti in ambito di compatibilità ambientale, con particolare riferimento a: • protezione dei corsi d’acqua naturali; • protezione delle falde; • contenimento ed eliminazione delle emissioni osmogeniche; 3. Produzione di fertilizzanti di nuova generazione con possibilità di utilizzo anche dei fanghi attualmente presenti nella laguna di stoccaggio. 4. Istituzione di un centro nazionale per lo sviluppo di tecnologie mature per la produzione di energia pulita come idrogeno, celle a combustibile, pre-trattamenti di masse ligno-cellulosiche in acqua sub e super critica. Questo impianto potrebbe quindi collocarsi all’avanguardia a livello europeo e potrebbe produrre un quantitativo di energia pari o addirittura superire a 20 milioni KW annui. Ma il condizionale è d’obbligo. Perché a complicare l’opera di risanamento sono sopraggiunti una serie di problemi. - il deterioramento del digestore primario, attivato solo nel 2002. E’ inspiegabile un danno del genere per una struttura di poco più di sei anni, a meno che, qualcuno vi abbia lucrato, usando materiali di pessima qualità. - lo scoppio della Malattia Vescicolare, nell’ottobre del 2008, che ha comportato l’abbattimento di oltre 8 mila capi suini e il divieto di vendita e reinstallo di animali. Questo stato di totale incertezza potrebbe portare ad un non corretto funzionamento del depuratore, alla conseguente non produzione di biogas, il cui ricavo medio mensile è di circa 120 mila euro, al mancato contributo dei soci, che vengono da cinque anni di problemi. Il gestore dell’impianto, non dimentichiamolo, si regge con il contributo dei soci, degli utenti e dalle entrate derivanti dalla vendita di energia. Si potrebbe arrivare quindi al blocco dei lavori. - CONTENUTI TECNICO/SCIENTIFICI CARATTERIZZANTI IL PROGETTO Dl RISTRUTTURAZIONE PER L’ADEGUAMENTO E LA RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA E TERRITORIALE DELL’IMPIANTO ESISTENTE (Prof. A. Poletti dell’Università di Perugia) PREMESSA GENERALE E MOTIVAZIONI TECNICHE DELL’INTERVENTO I PROBLEMI AMBIENTALI RILEVANTI E GLI OBIETTIVI PRIMARI L’adeguamento degli allevamenti alla “direttiva nitrati” è diventato da tempo un problema rilevante della zootecnia italiana La soluzione non è facile, perché non è ipotizzabile un riequilibrio del rapporto tra l’azoto prodotto e la superficie agricola utilizzabile disponibile, solo con l’utilizzo agronomico dei reflui zootecnici. A complicare l’approccio agronomico della gestione dei reflui zootecnici si aggiungono i vincoli che i PUA pongono sui terreni assoggettali allo spandimento e il divieto di distribuzione dei liquami nelle aree vulnerabili in particolari mesi dell’anno. Se si prende in considerazione la drammatica situazione esistente nelle aree a maggiore vocazione zootecuica, il carico zootecnico per ettaro risulta, nella gran maggioranza dei casi nettamente eccedente. Il problema si aggrava allorché si desideri perseguire la strada virtuosa, indirizzata ad una maggiore e razionale redditività aziendale, facendo investimenti nell’ambito delle tanto e a ragione invocate, energie rinnovabili. In questo caso, come avviene già da un ventennio in altri paesi, non solo in Europa, ma in tutto il mondo, la soluzione tecnica che si è dimostrata unica e ineguagliabile, è la digestione anaerobica con produzione di biogas. Questo tipo di processo, è dimostrato essere l’unico a chiudere il ciclo termodinamico naturale sole-terra-vegetale-carne-terra con la massima resa e minima spesa energetica. Ulteriori vantaggi apportati al ciclo anaerobico possono derivare dall’utilizzo integrato di vari substrati. Particolarmente efficiente si è dimostrata l’integrazione dei liquami zootecnici con le biomasse agricole e con altri materiali di scarto delle attività agro-industriali e della lavorazione delle carni. Appare evidente come, in tale contesto, non sia possibile normativamente ricorrere allo spandimento dei reflui sui terreni, ma che si debba necessariamente considerare l’adozione di tecniche di abbattimento dell’azoto senza dover mettere in atto dolorose alternative di riduzione del carico di substrato che limitano la produzione di energia I reflui zootecnici e la gestione degli impianti destinati al loro trattamento, hanno da sempre rappresentato un problema ambientale di grande criticità. Nei distretti zootecnici a vocazione suinicola (es. nella piccola Umbria comprensori di Bettona, Bastia Umbra e Marsciano in provincia di Perugia, con, all’epoca, complessivamente circa 150.000 capi allevati) il problema fu affrontato, primi in Europa oltre 20 anni or sono, realizzando due grandi impianti di digestione anaerobica consortili che, se da un lato, consentirono di ottenere un consistente abbattimento del carico organico, con redditizia produzione di biogas, oggi non risolvono, anzi complicano, il problema dell’eliminazione dell’azoto e dei nutrienti in genere, tanto da rendere molto difficile e costoso il raggiungimento degli standard di qualità attualmente in vigore per il recapito finale del refluo in acque superficiali e per la pratica della fertirrigazione. Inoltre, per gli standard dell’epoca, non venivano presi in preminente considerazione gli aspetti osmogenici conseguenti la diffusione dei cattivi odori, in particolare quelli provenienti dalle lagune di stoccaggio dei reflui trattati. Con il passare degli anni, l’avanzamento dell’urbanizzazione sui territori limitrofi a questi impianti, ha determinato problemi di conflittualità, in merito ai quali i temi della compatibilità e della sostenibilità ambientale hanno poco a che vedere con le possibilità tecniche oggi disponibili. In grande sintesi, si può affermare che qualunque proposta tecnica d’intervento su questi grandi impianti anaerobici, nella specie quello situato nel Comune di Bettona affidati in gestione a CODEP, deve essere necessariamente orientata al raggiungimento dei seguenti obiettivi primari: 1. Individuazione e adozione di processi e tecnologie avanzate nel campo dei trattamenti anaerobici ed aerobici, con conseguenti opportuni adeguamenti impiantistici, in grado di garantire il raggiungimento dei punti seguenti: a. Eliminazione, o, più propriamente, massima mitigazione degli impatti olfattivi b. Eliminazione degli inpatti sulle matrici ambientali suolo e acque c. Massima produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, per compensare i maggiori oneri derivanti dal raggiungimento degli obiettivi di cui ai punti precedenti d. Produzione di alcune tipologie di fertilizzanti collocabili sul mercato dei fertilizzanti di pregio, utilizzando anche il co-compostaggio, in vasche chiuse e con irrilevanti emissioni osmogeniche, dei fanghi anaerobici, struvite (MAP) e matrici ligno-cellulosiche selezionate, provenienti dalle operazioni di potatura di olivi e vigneti. A tale scopo possono essere vantaggiosamente utilizzate alcune vasche a sviluppo longitudinale già esistenti come pure la struttura esistente sulla proprietà CODEP a suo tempo realizzata con contributi ministeriali quale stazione sperimentale di compostaggio e mai appieno utilizzata 2. Istituzione di un centro altamente qualificato per la ricerca sperimentale e l’innovazione, nel settore della biogasificazione e delle energie rinnovabili da essa derivabili, per lo sviluppo di tecnologie innovative sul bio-idiogeno, sulle celle a combustibile, sullo stoccaggio sicuro di metano sotto forma di sali idrati, nonché sulla processistica anaerobica e aerobica avanzata, ricerche finanziabili anche con fondi europei. Va subito detto che molte aziende a livello internazionale, sarebbero ben disposte ad impiantare ricerche presso un complesso impiantistico tecnologicamente avanzato e professionalmente adeguato, come quello che il progetto di ristrutturazione intende raggiungere. Una tale iniziativa contribuirebbe in modo significativo a colmare il grande ritardo che si regista su questo tema in Italia rispetto ad altri paesi. I CRITERI ISPIRATORI E LE MOTIVAZIONI TECNICHE ALLA BASE DELL’INTERVENTO Da quanto sopra esposto il problema centrale che oggi incontrano le attività zootecniche e gli impianti di biogasificazione in generale (anche quelli che non utilizzano deiezioni) è quello della riduzione dell’azoto dai reflui e dai fanghi da conferire sui terreni secondo norma. Le soluzioni al problema della rimozione dell’ azoto ammoniacale, oggi tecnicamente disponibili (resine a scambio ionico e/o osmosi inversa, stripping alcalino, trattamenti aerobici nitro-denitro) possono essere applicate, non senza problemi di costi d’installazione, di gestione, energetici, di manutenzione e di impatto ambientale, soltanto a reflui con un non eccessivo carico azotato (generalmente non oltre 1000 mg4 di azoto ammoniacale). Daremo qui di seguito un breve cenno a queste tecniche di deammonificazione. Lo scambio ionico, come anche le tecnologie a membrana, a parte i costi di gestione non sopportabili per la risoluzione di un problema riguardante un settore con un prodotto “povero”, diversamente a quanto invece potrebbe verificarsi per una industria che produce prodotti con elevato valore aggiunto, non sono assolutamente utilizzabili a causa delle elevate quantità di solidi che generalmente questi liquami contengono. Se mai possono essere utilmente impiegate nella fase finale di tutto il ciclo di trattamento per lo scarico in acque superficiali. Lo stripping alcalino, ben noto ai proponenti di questo progetto per avere progettato e realizzato nei primi anni ‘90 (anche con il patrocinio dell’ENEA) un bell’impianto a Scurcola Marsicana, per l’eliminazione di ammonio dai reflui anaerobici suinicoli (portata di circa 600 mc/die), con ottimi risultati di abbattimento (mediamente oltre il 96%) ma con gravi inconvenienti tecnici ed economici quali: 1) consumi elettrici elevati, 2) enorme produzione di fanghi alcalini dovuti alle ingenti quantità di calce necessarie per raggiungere il valore di pH 10,5 -11 (minimo utile per realizzare buone rese di stripping), 3) conseguenti costi e problemi di smaltimento, 4) abbassamento delle rese e fermi impianto per basse temperature (anche con rischio di ghiaccio) nei periodi invernali, nonostante abbondante coibentazione e, non ultimo, 5) il grave problema delle schiume, che richiede l’impiego di costosi prodotti antischiuma, dato che è proibito l’impiego del gasolio. Un processo più economico e abbastanza diffuso, derivato dai trattamenti dei reflui civili, potrebbe essere il classico trattamento biologico nitro-denitro (N/D) nelle sue svariate configurazioni e tipologie reattoristiche (SBR, D/N/D, ecc) Purtroppo per carichi azotati oltre 500-600 mg/l, specialmente nei periodi invernali, esso risulta piuttosto difficoltoso a causa dell’inibizione dell’attività deidrogenasica e del rallentamento delle cinetiche di ossidazione. Inoltre, nella fase anossica di denitrificazione, sono necessari cospicui dosaggi di carbonio organico prontamente assimilabile (generalmente metanolo o prodotti ricchi di carboidrati semplici), aumentando in tal modo sensibilmente il costo del processo e spesso non risolvendo appieno l’abbattimento del COD entro i limiti previsti per lo scarico in acque superficiali. L’inefficacia e le difficoltà tecniche di conduzione dei processi biologici N/D, a causa di tenori di azoto ammoniacale in ingresso elevatissimi (oltre 1500-2000 ppm), rende indispensabile il ricorso all’integrazione ottimizzata di diverse tecnologie di trattamento. La ormai decennale esperienza maturata concretamente dai proponenti, sui possibili processi di post-trattamento di reflui con elevati contenuti di ammonio, ha condotto alla messa a punto di un processo (denominato SERMAP) che permette, sotto specifiche condizioni chimiche e chimicofisiche, l’abbattimento dell’azoto ammoniacale sia da reflui zootecnici grezzi suinicoli e/o bovini, sia dagli effluenti dopo trattamento anaerobico. Questo tipo di processo permette di produrre con ottime rese, allo stesso tempo, un prezioso fertilizzante ternario costituito da struvite, che è la forma cristallina del fosfato ammonio magnesiaco esaidrato (MAP) (magnesio, azoto e fosforo), contenente anche microelementi e sostanza organica derivante dal liquame stesso, riducendo la concentrazione dell’ammonio nei reflui liquidi fino a valori che permettono tecnicamente l’immediato raggiungimento dei limiti normativi o, se necessario, l’adozione di recenti trattamenti biologici N/D efficaci ed energeticamente molto convenienti quali il processo OLAND (Oxigen Limited Nitrification Denitrification), evitando i sopra citati problemi d’inibizione della flora microbica nitrificante e riducendo sensibilmente i costi energetici per l’ossigenazione e della soda necessaria per mantenere i giusti valori dell’alcalinità durante la stessa fase aerobica nitrificante. Il processo è modulabile in relazione all’abbattimento dei nutrienti (anche il fosforo viene abbattuto) che si desidera raggiungere, basato su diversi fattori quali: concentrazione iniziale di azoto presente nel refluo, volume di refluo giornaliero da trattare, quantità di fertilizzante che si desidera ottenere, disponibilità di terreno per la fertirrigazione, disponibilità e costi dei reagenti. Il prodotto che si ottiene presenta caratteristiche di notevole interesse: • bassissima volatizzazione dell’azoto, inizia a perderlo oltre i 70°C • bassa solubilizzazione dei suoi costituenti anionici e cationici (fertilizzante a bassa cessione) • presenza di sei molecole d’acqua di cristallizzazione che non vengono a rappresentare una componente antieconomica del prodotto, ma che invece contribuiscono alla microsolubilizzazione dei nutrienti indotta dagli enzimi emessi dagli apparati radicali e al mantenimento di una adeguata disponibilità idrica. Questo aspetto conferisce al MAP la proprietà, ormai da molti anni riconosciuta, di essere utilizzato secondo biodisponibilità e biorichiesta. La filosofia che sottende al processo di deammonificazione attraverso precipitazione di struvite e che la distingue da altre possibili, è indirizzata ai seguenti obiettivi: 1. evitare la perdita di azoto e di altri elementi come fosforo, magnesio calcio, potassio e oligoelementi minerali, tutti da considerare preziosi ai fini agronomici; 2. ottemperare alla direttiva europea in via di recepimento dai paesi membri sulla eliminazione e il contenimento delle emissioni di composti azotati in atmosfera (particolarmente di ammoniaca e ossidi di azoto) quali causa primaria delle piogge acide; 3. contribuire appezzabilmente al contenimento dei cattivi odori riducendo la diffusione di ammoniaca, di idrogeno solforato e acidi volatili, in quanto il processo produce la salificazione dell’ammonio e degli acidi volatili; 4. superare le limitazioni di superficie di terreno disponibile e necessario per effettuare lo spandimento imposti dalle Regioni per le zone designate quali “vulnerabili”; ciò è reso possibile abbassando il carico azotato (ma anche quello fosfatico) nei reflui tal quali come pure nelle acque reflue dopo separazione dalla frazione solida; 5. risparmiare quantità elevate di energia da destinare alla riduzione del carico azotato; 6. risparmiare sull’adeguamento strutturale dell’impianto. E’ infatti possibile realizzare impianti per la produzione di struvite, utilizzando infrastrutture spesso già presenti nelle aziende (vasche, silos, serbatoi, pompe, rotovagli, nastropresse, ecc...). e quindi con investimenti accettabili. 7. rendere attuabile e stabile la nitrificazione, consentendo di realizzare il processo di denitrificazione senza impiego di metanolo o di altro carbonio organico, in quanto il processo MAP elimina l’azoto, ma preserva buona parte del carico carbonioso, rendendolo disponibile per la successiva fase di denitrificazione; 8. soddisfare l’attuale impostazione economica/ambientale dell’ “upgrading thinking”, cioè di mettere a punto tecnologie in grado di valorizzare gli scarti e/o i rifiuti e chiudere in modo termodinamicamente corretto i cicli produttivi, in particolare quelli agronomici, connessi con l’attività zootecnica (“sole-mangimi- carne-terra”); 9. rendere l’intero processo di trattamento dei reflui zootecnici suinicoli e bovini provenienti dalle attività di allevamento, maggiormente eco-sostenibjì. consentendo la realizzazione di una utile fase iniziale neghentropica(*) di concentrazione degli inquinanti e, contemporaneamente, offrire la possibilità di esportare convenientemente il materiale, “molecolarmente compattato” e “nobilitato”, al di fuori della zona di esistenza dell’impianto che lo ha prodotto (fase positentropica), ed evitare pertanto il rischio di pesanti accumuli a lungo termine sullo stesso territorio; 10. introdurre e diffondere nel mercato dei fertilizzanti l’impiego di un prodotto pregiaato a lento rilascio, eliminando il rischio d’inquinamento delle falde e la conservazione dei nutrienti residui nel tempo, secondo la richiesta ad esaurimento da parte degli apparati radicali (biodisponibilità); 11. consentire, abbassando il contenuto di N-ammoniacale nel refluo trattato, la pratica della fertirrigazione anche nelle situazioni in cui la disponibilità di terreno utilizzabile sia insufficiente per raggiungere il quantitativo di N/Ha. anno previsto dalla Legge n. 152. In molti paesi, soprattutto Canada, Australia, Giappone, UK., Cina e, in misura minore in Germania e Olanda, già esiste un mercato della struvite, prevalentemente dedicato a culture pregiate, biologiche, specialmente nel settore vivaistico e dei fertilizzanti cosiddetti di boutique. Il costo di investimento, per un impianto ex-novo con torre di cristallizzazione può variare a seconda delle portate e dell’abbattimento richiesto, da 200 a 300 mila euro. Per reflui con concentrazioni di ammonio - elevate (oltre 1000-1100 mg/l ) il costo può essere superiore e deve essere valutato con prove tecniche preliminari. I costi di gestione, variabili a seconda delle percentuali di abbattimento che si desidera ottenere, variano tra 6 e 10€/mc di refluo trattato. Il costo del trattamento è ampiamente compensato dal valore del MAP che attualmente presenta un prezzo di mercato in alcuni paesi (Giappone, USA, Canada, Gran Bretagna) di circa 900 -1.000 $/tonnellata (*)Considerando come “inquinanti” i componenti del refluo anaerobico (in particolare l’ammonio e il fosforo) quando in esso sono presenti oltre il limite di accettabilità, la possibilità di “concentrarli” in un prodotto fertilizzante (in questo caso la struvite) consente di evitare 1) la loro dispersione casuale e incontrollata nell’ambiente, come invece avviene praticando la fertirrigazione incontrollata o disperdendo i liquami, 2) la possibilità di accumulo nello stesso luogo o territorio (concentrazione) in quanto trovandosi sotto forma di fertilizzante può essere conferito, con profitto, laddove vi sia necessità, anche fuori del territorio ove il refluo ha avuto origine, facilitando al contempo e rendendo possibili i piani di concimazione. E’ rilevante il fatto che, in un recente convegno a Mantova il Ministro Luca Zaia ha parlato espressamente di solfato ammonico e struvite di origine zootecnica come concimi minerali e loro possibile commercializzazione !!! Inoltre la recentissima introduzione del processo, denominato SERMAPREC® (SerecoMAP Recovery), consente di ridurre i costi di abbattimento dell’azoto in quanto riesce a decomporre la stessa struvite ottenuta con il processo precedente e quindi riutilizzare, con cicli successivi, il fosfato e il magnesio per la produzione di nuova struvite. Nell’attuale messa a punto del processo, il “riciclo” può essere effettuato quattro-cinque volte vantaggiosamente raggiungendo un risparmio minimo netto sui costi energetici e dei reagenti di oltre il 50%. Anche in questo caso il costo e la convenienza dell’investimento deve essere valutato in relazione alla dimensione dell’impianto di produzione della struvite. PIANO OPERATIVO Gli obiettivi primari da raggiungere sono i seguenti, posti in ordine di priorità logica e procedurale e con le relative modalità d’indagine e d’intervento tecnico: 1. Definizione degli impatti e delle incompatibifità ambientali quali elementi guida per la progettazione degli adeguamenti e dei potenziamenti previsti Metodologie impiegate a priori (come guida alla progettazione e alle scelte tecnologiche) a. Indagine sulle caratteristiche meteoclimatiche del territorio ove sorge l’impianto finalizzata alla redazione di un modello della dispersione aerea b. Analisi dei flussi di materiali conferibili attuali e ipotizzabili in futuro (Material Flow Analysis) (durata prevista max 2 mesi) Metodologie impiegate a posteriori (come verifica delle scelte tecnologiche adottate) (durata prevista max i mese) c. Valutazione della capacità di carico ambientale (carryng capacity) conseguente alle linee progettuali adottate d. Verifica e modellazione dei dispositivi di difesa e mitigazione degli impatti 2. Impianto di digestione anaerobica a. Materiali previsti ed ammissibili da conferire ai reattori i. Reflui zootecnici di qualunque natura (suini, bovini, avicoli) ii. Reflui da attività olearia (acque di vegetazione e sanse da processo a due e/o tre fasi) iii. Reflui e scarti di mattatoio (sangue, rumine, grassi) iv. Suini morti previa triturazione e sanificazione termica o chimica v. Biomasse vegetali quali mais, sorgo, ecc. vi. Residui dalle aziende enologiche vii. Frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FOU) viii. Conferimento programmato di rifiuti provenienti dal ritiro di alimenti scaduti e sconfezionati (codici macrofamiglie da 020000 a 020700, 190000, 190500, 200000, 200100) b. Stazioni e operazioni unitarie strettamente connesse alla biogasificazione i. Stazione di pretrattamento integrato meccanico-chimico-termico dei materiali in arrivo secondo esigenza, finalizzata alla compatibilizzazione dei vari substrati, all’aumento di produzione di biogas ed idrogeno da matrici vegetali, necessaria anche per la igienizzazione di matrici camee, con aumento delle rese minime in metano dal 10% al 30% e considerevole riduzione dei tempi di digestione. Tale stazione risulta necessaria per una più veloce e completa idrolisi dei materiali di cui al punto precedente in particolare per la FORSU (opera da realizzare) ii. N. 2 digestori di Prima Fase (idrolitica, acidogenica e idrogenogenica) di cui uno con possibilità di lavorare nel campo termofilo (45-55 °C) (opere esistenti da bonificare, aggiornare e potenziare] iii. N. 1 digestore di Seconda Fase (metanogenica) (opera esistente da bonificare, aggiornare e potenziare) iv. Stazione di centrifugazione del o dei reflui anaerobici con produzione di matrici solide (fanghi) e liquide, da destinare ai trattamenti successivi (opera esistente) v. Quadro di controllo, gestione e ottimizzazione del processo in tempo reale tramite rete neurale in auto-apprendimento, con possibilità di telecontrollo remoto vi. Stazione trattamento di deidrosolforazione del biogas con refluo alcalino proveniente dall’impianto SERMAP (v. oltre) 3. Stazione di post-trattamento del refluo anaerobico per l’abbattimento dell’azoto e del fosforo con produzione di fertilizzanti di pregio e ad elevata sostenibiità ambientale a. Sezione di abbattimento dell’azoto e del fosforo con processo SERMAP con produzione di struvite denominata MAP (fosfato ammonio magnesiaco esaidrato) (opera da realizzare, ad eccezione delle vasche esistenti e riutilizzabili) i. Silos di stoccaggio del prodotto magnesiaco ii. Stoccaggio acido fosforico iii. Reattore a semi-batch, ricavabile da vasche esistenti ed in esubero iv. Quadro di controllo, gestione e ottimizzazione del processo in tempo reale tramite rete neurale in auto-apprendimento, con possibilità di telecontrollo remoto v. Unità di cristallizzazione a torre verticale b. Sezione di recupero e riciclo dell’noto e del fosforo con processo SERMAPREC (strettamente connessa con la stazione di cui al punto a.) per il recupero ciclico delle componenti Magnesio e Fosfato da riutilizzare per la produzione di nuova struvite con il processo SERMAP di cui al punto 3.a. [opera da realizzare) E’ prevista la possibilità di utilizzare tale stazione anche come pretrattamento deammonificante dei reflui liquidi in ingresso alle prime fasi anaerobiche, con notevoli aumenti delle rese di metano ed idrogeno e scongiurando l’effetto tossico sull’anaerobia imputabile ad elevate concentrazioni di ammoniaca. Tale tipo di trattamento, effettuato prima dell’invio alle fasi anaerobiche, risulta irrinunciabile quando si debbono utilizzare particolari substrati ricchi in azoto, o quando, nei periodi invernali, i processi aerobici di rifinitura dell’abbattimento azoto risultano particolarmente lenti e non consentono di raggiungere con certezza i limiti prestabiliti. 4. Stazione di post-trattamento biologico di rifinitura del refluo deammonificato proveniente dalla sezione di abbattimento dell’azoto e del fosforo con processo SERMAP Adozione di un processo biologico per l’abbattimento dell’azoto e il raggiungimento di tutti i limiti previsti dalla normativa per lo scarico in acque superficiali, basato sull’impiego di una reattoristica del tipo SBR (Sequential Batch Reactor ovvero Reattore a cariche sequenziali) ove verrà implementato un recente e collaudatissimo processo OLAND (Oxigen Limited Autotrophic Nitrification-Denitriflcation), ulteriormente supportato con la tecnologia SWIM-BED. Con questa combinazione di processi è possibile raggiungere straordinari risultati di depurazione multiparametrica dei reflui con riduzioni dei consumi energetici ben oltre il 50% dei metodi nitro/denitro tradizionali, anche condotti in SBR, e senza ricorrere alla somministrazione di carbonio organico facilmente assimilabile che spesso contribuisce al peggioramento delle caratteristiche finali del refluo stesso. (opera esistente, da aggiornare e adattare al processo) 5. Stazione di filtrazione fmale con filtro a letto misto autopulente, di notevole pregio tecnologica, particolarmente utile prima d’inviare il refluo centrifugato in laguna o qualora si rendesse necessario l’impiego di sistemi di rifinitura a membrana (opera esistente da riattivare) 6. Stazione pre-trattamento materiali ligno-cellulosici e compostaggio Da realizzare nella struttura già esistente limitrofa all’attuale sede dell’impianto CODEP, con eventuale integrazione o adeguamento dell’ impianto di triturazione, per il trattamento dei residui di potatura di olivi e vigneti. (in gran parte esistente, da ampliare e adattare al processo previsto) 7. Ristrutturazione della laguna. La laguna di stoccaggio, a causa di una eccessiva sedimentazione dei solidi, non è più adeguata allo stoccaggio dei reflui depurati, al fine di utilizzarli nei periodi più indicati per la pratica della fertirrigazione; inoltre non è divisa in stadi separati. Necessità di bonifica totale, di rifacimento del fondo e delle pareti attraverso il posizionamento di apposito telo impermeabilizzato e va divisa con un setto centrale. Va comunque prevista, ed è fondamentale, la costruzione o di un altro invaso di stoccaggio per almeno 50.000 mc. 8. Sezione di ricerca e sviluppo Un complesso impiantistico tecnicamente “attrezzato” come quello che dovrà uscire dal progetto di adeguamento in cui saranno operanti processi moderni, aggiornati e consolidati a livello internazionale, rappresenta di per sè un valore, non soltanto economico ma anche per il conseguimento di conoscenza tecnologica (non di base) finalizzata allo sviluppo di know-how sul tema delle energie rinnovabili e del loro sfruttamento. Presso l’attuale impianto CODEP sono già presenti, alcuni impianti pilota di valore non trascurabile, utilizzati in passato per eseguire prove di trattamento del refluo anaerobico con le tecnologie e la processistica emergente e che non sono stati appieno valorizzati. Tali impianti, proprio per la loro funzione di sperimentazione hanno le caratteristiche di facile e molteplice adattabilità e vanno considerati come un vero e proprio valore economico. Verranno qui di seguito presentate, evitando in questa sede approfonditi dettagli tecnici, le proposte e le iniziative in ordine di precedenza attuativa. In una fase più avanzata del progetto verranno presentate e quantificate le possibili ricadute economiche conseguibili, sia in termini di know-how cedibili, di risparmi energetici e di compatibilità ambientale, inerenti ai temi presentati in questa sezione e utilizzabili nell’ambito dello stesso complesso impiantistico CODEP (secondo una attualissima strategia della moderna ecologia industriale cosiddetta del “continous improvement”). 1. Laboratorio per le analisi chimiche e biologiche di routine (esistente, da aggiornare) 2. Impiego di metodi innovativi per il recupero e valorizzazione energetica dell’ammoniaca gassosa proveniente specificatamente dal processo SERMAPREC®, quale vettore energetico privo di emissioni. Infatti contenendo il 17% di idrogeno può essere direttamente utilizzata in motori a combustione o in celle a combustibile, emettendo soltanto azoto molecolare e acqua. Messa a punto di un impianto a livello dimostrativo. Sono già interessate allo sviluppo del progetto società a livello internazionale. (da realizzare) 3. Sviluppo di un processo innovativo e realizzazione del prototipo su piccola scala, per lo stoccaggio di metano c idrogcno senza impiego di alte pressioni con vantaggi energetici e di sicurezza. L’interesse di tale processo risiede nella eliminazione dei gasometri di stoccaggio del biogas (a campana o a pallone) con risparmi sugli investimenti, miglioramento della sicurezza (i gas che si trovano nei loro idrati non sono esplosivi, possibilità di trasporto a distanza eliminando costose condotte. Applicazione e specifico adattamento del dispositivo ai processi di digestione anaerobica con produzione di biogas e idrogeno. (da realizzare) 4. Impianto pilota di digestione anaerobica a singola fase del tipo continuamente miscelato, facilmente trasformabile in reattore a doppia fase, particolarmente indicato per lo studio di varie tipologie di substrati e loro miscele, sul quale può essere fin d’ora prevista l’implementazione di processi estremamente interessanti quali: MPP (Microbia1 Proximity Process) che permette, in opportune condizioni, di ottenere elevate produzioni di biogas senza l’agitazione e quindi con grande risparmio energetico (esistente, da riattivare con introduzioni di alcune modifiche) 5. Impianto pilota di digestione anaerobica, con reattore a geometria conica (SERBIOCONE), del tipo a letto fluido o fluidizzato, già predisposto e utilizzabile anche per trattamenti aerobici di nitrificazione e denitrificazione su letto zeolitico. Tale tipologia di processo risulta molto interessante per il trattamento di reflui provenienti da piccoli impianti zootecnici e per lo studio di processi UASB (Up-flow Anaerobic Sludge Blanket) di nuova generazione. (esistente, da riattivare con piccole modifiche) 6. Reattore verticale, da utilizzare per la messa a punto di processi di pulizia spinta del biogas o per processi UASB di tipo ibrido. (esistente, da verificarne lo stato funzionale da riattivare con introduzione di modifiche) 7. Pilotino di reattore gas-lift, per lo studio, la parametrizzazione fluidodinamica e lo sviluppo di processi di deammonificazione in presenza di supporti inerti fluidizzabili (esistente, da riattivare con introduzione di piccole modifiche) ASPETTO GIURIDICO (Avv. M. Frenguelli) BENEFICI ECONOMICI E SOCIALI 1) Miglioramento della qualità della vita 2) Aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili 3) Maggior tutela del territorio 4) Abbattimento costi di produzione zootecnica 5) Abbattimento costi per la raccolta e smaltimento dei RSU 6) Creazione di un polo di avanguardia per lo sviluppo delle tecnologie per la produzione di “energia pulita” CONCLUSIONI