Stage Tiro Istin
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Stage Tiro Istin
Elementi costitutivi STAGE per Arcieri e Istruttori FIARC. per un modello didattico TECNICHE DI TIRO CON L’ARCO ell’insegnamento TRADIZIONALE del tiro con l’arco. a cura degli Istruttori Valter Marzorati, Marco Doni, Dario Liotta, Sergio Chiara Con la collaborazione di o LiottaRiccardo Bandini – Tessera Istruttore n°438 Sergio Chiara 04 Sole – Tessera Istruttore n° 343 Quando nasce l’arco tradizionale? L’arco tradizionale nasce con l’era moderna. Prima esisteva solo l’arco attrezzo da guerra e da caccia. Dopo essere stato abbandonato, almeno nell’occidente europeo verso la fine del ‘700 e l’inizio del ‘800 viene riscoperto come attrezzo per il tempo libero, per allenare destrezza e mira. Non si può ovviamente parlare ancora di sport in senso moderno. E’ ancora una pratica ristretta a poche elite sociali, ha probabilmente regole incerte. Contemporaneamente nella seconda metà del ’800 in America, nel nuovo continente, alcuni pionieri venuti in contatto con le culture dei nativi iniziano a cacciare con l’arco. Veriano Marchi che, oltre ad essere una bile mastro arcaio, sta ricostruendo una storia delle “origini” racconta: “William Comptom Nasce in Michigan il 28 Settembre 1863, muore nel 1938. In gioventù nei pressi di una tribù Sioux, nel Nebraska e da loro impara a costruire gli archi, le frecce e a cacciare con questi strumenti. A soli 14 anni diventa un abile cacciatore. prende con l’arco il suo primo cervo, un altro l’anno dopo e, negli anni successivi e con brevi intervalli cattura 20 cervi, quattro antilocapre, due elk e un bisonte. Il tutto entro un raggio di 150 Km. da casa e prima di compiere il suo 20.mo compleanno !!Nel 1894 si affiancò ad un costruttore di archi, F.S. Barnes che viveva in Oregon da cui imparò la costruzione del long bow in stile inglese ma anche come ottenere e trattare la materia prima: il legno di tasso. Alla morte del suo maestro, nel 1913, diventato ormai un abile “bowyer” lascia l’Oregon con mille stecche di tasso per fare altrettanti archi e si trasferisce in California.” William Compton, trasferitosi in California sente parlare di Ishi, questo ultimo indiano dell'età della pietra e, incuriosito, vuole conoscerlo. Si reca al museo di antropologia di San Francisco dove Ishi lavora come custode ed inevitabilmente incontra anche il dott. Saxton Pope già diventato amico e protettore dell'ultimo indiano Yahi. La passione in comune fece tutto il resto e in breve tempo Ishi, Pope e Compton diventarono amici inseparabili.Fino a quel momento Pope sapeva costruire solo archi indiani sulle informazioni di Ishi ma da Compton impara a realizzare il long bow in stile inglese che nelle sue mani diventa un attrezzo micidiale, testimone di memorabili cacciate e l’arco preferito per il resto della sua vita. 2 Accadde poi qualcosa di magico che fa pensare ad un dio speciale per gli arcieri. William Compton, nel 1915 aveva 52 anni e mentre partecipava ad una esposizione arcieristica a San Francisco, incontra e successivamente diventa mentore di un giovane di nome Art Young che gli manifesta il suo grande interesse per l’arco. Art Young, grazie a Compton e alla sua passione si aggrega facilmente ed il quartetto affiatato trascorre molto tempo a costruire archi, tirarci ed usarli a caccia. In questo periodo Pope e Young coniano per William il soprannome di “chief” (capo) per l’influenza indiana che ebbe da giovane. Purtroppo Ishi morì l'anno successivo di tubercolosi, nel 1916, ma gli altri tre continuarono a cacciare insieme sia la piccola che grande selvaggina. Mentre Pope e Young erano attratti dalla caccia a “big game” in territori lontani e anche all’estero, William si accontentava della selvaggina stanziale della California e dedicava molto del suo tempo all’insegnamento del tiro con l’arco formando validi arcieri che si affermavano nelle competizioni. Dopo la sua morte, all’età di 75 anni, per la grande influenza che aveva dato all’arcieria la NFAA (National Field Archery association) istituisce nel 1947 in suo onore la “Compton Medal of Honor “ conferita non solo a chi ha meriti agonistici ma anche per l'impegno devoluto al supporto e alla promozione dell’ arcieria. Ogni anno in America si organizza il “Compton Traditional Rendezvous” in 3 Michigan dove si incontrano centinaia di arcieri tradizionali. L’incredibile della storia è come questi personaggi si siano potuti incontrare in un’epoca dove la comunicazione era ridotta al minimo, la caccia con l'arco nel mondo "civile" non esisteva, come siano riusciti ad imparare gli uni dagli altri, tutto in una sequenza e con dei passaggi temporali che ad averli pensati non si sarebbe potuto fare di meglio. Per molti sarà solo casualità, a me piace pensare che c 'era un progetto ben preciso che doveva realizzarsi. Veriano Marchi Interessante il contributo di Veriano Marchi perché da alcune preziose informazioni: - Si incontrano, nell’attività di questi pionieri due scuole originali distanti geograficamente e culturalmente,quella dei nativi americani e quella del long bow inglese. Da queste nascerà per fasi successive sia l “american modern longbow”, costruito con l’utilizzo di fibre sintetiche, sia, coniugandosi con la cultura arcieristica orientale, il bowhunter-recurve che l’arco olimpico, nelle sue diverse versioni. - La rinascita dell’attività venatoria va di pari passo, almeno in America, con la rinascita dei tornei e delle competizioni, nulla ci fa pensare che agli albori dell’arcieria moderna ci fosse una distinzione o specializzazione delle attrezzature e delle due attività stesse. Parallelamente in Europa si sviluppano (fin dall’inizio del ’800) le competizioni arcieristiche, come testimonia l’articolo di Stefano Benini, che troverete tra gli allegati. Ciò che è importante sottolineare al fine del nostro ragionamento è da un lato la eterogeneità dei percorsi che portano alla nascita dell’arcieria moderna e dall’altro la prossimità tecnica e culturale tra il tiro di origine venatoria e il tiro da “competizione” alle sue origini, con una progressiva, ma successiva, specializzazione nelle tecniche e nei materiali. Osservando una serie di immagini dei primi maestri del tiro alla targa (1890/1920), noteremo due cose: l’ inizio, probabilmente progressivo, di una differenziazione tecnica nel gesto, ma solo un inizio abbozzato, probabilmente più figlio della distinzione tra tiro da gettata di origine belliche e quello più propriamente venatorio; attrezzature sostanzialmente simili a quelle che abbiamo visto nelle mani di Compton o nei filmati di Howard Hill. 4 5 In Italia è protagonista e testimone di questa fase pionieristica Giusi Pesenti. Nell’intervista realizzata, racconta come nel ’38, ancora ragazzino vinne in contatto con il suo primo arco portatogli dalla Somalia, allora colonia dello “impero”, da Locatelli, ufficiale del Regio Esercito e medagli d’oro di tiro alle Olimpiadi. Nata questa passione nel dopo guerra Pesenti entrerà in contatto con Fred Bear e confronterà le indicazioni sulla tecnica di utilizzo dell’arco, giuntegli dall’ Africa, insieme all’arco Somalo con quelle di Bear fortemente influenzate dalla storia e dalla cultura dei nativi americani, riscontrando moltissime analogie. In quegli stessi anni darà vita al ROVING Istintivo Venatorio, la prima manifestazione Europea di tiro di simulazione venatoria. Ormai l’arco tradizionale è nato in continuo processo di specializzazione delle varie tipologie d’arco rivolte ad attività simili ma diverse tra loro. Soprattutto il suo universo inizia a distinguersi dal neonato “arco tecnologico”(il compound di Allen, 1952) e dall’arco olimpico che a sua volta si specializza nel tiro di precisione alla targa con l’aquisizione di una serie di accessori. Insieme alla differenziazione degli archi nascono le manifestazioni sportive a loro dedicate ma soprattutto si specializzano tecniche di utilizzo diverse. La gestualità: E’ proprio Giusi Pesenti che all’ inizio dell’avventura del tiro con l’arco istintivo venatorio in Italia prova a codificare gli elementi fondamentali per una tecnica del tiro on l’arco: 1) Tenuta della freccia tra indice e medio – anulare. Punto di aggancio fisso alla guancia. 2) Si raccomanda vivamente per l’identificazione dello stile che fissando la cocca all’angolo della bocca (il termine del labbro è perpendicolare all’occhio direttore) indice e pollice si ancorino al condilo (mandibola). 3) Che il tempo per detto aggancio di concentrazione sia breve e mantenuto circa entro 3 secondi (un giusto libbraggio non ne concede di più). 4) Che l’attimo di intensa concentrazione sul centro del bersaglio avvenga con ambedue gli occhi, senza che questi si basino sul prolungamento della freccia (falso scopo). 5) Che in precedenza del tiro non venga puntata la freccia sul bersaglio, ad arco scarico. 6) Che, caricando l’arco inspirando dal basso, un braccio spinga mentre l’altro tiri simultaneamente l’arco. 7) Che l’arco venga mantenuto in posizione leggermente inclinata. 8) Che tutto il corpo, pure leggermente inclinato in avanti e sull’arco, 6 prenda viva parte al tiro. 9) Che la punta della freccia, ad arco teso, non fuoriesca più del necessario dalla finestra dello stesso. Si rammenti, in fine, che la maggiore soddisfazione del tiro, e inconsapevolmente dello sgancio, sono anche dovuti ad un relativo libbraggio dell’arco. Questo si legge nel manifesto del Roving Nazionale Istintivo Venatorio di Nese, la prima manifestazione in Europa nata, negli anni ’50, per la pratica di simulazione venatoria con gli archi tradizionali. Pochi elementi chiari, che descrivono una tecnica di tiro antica. La prima codificazione tecnica che ritroviamo, almeno nella cultura Arcieristica Occidentale risale al 1545, un periodo in cui l’arco ha già iniziato il suo declino come arma ma in cui ancora è viva la sua tradizione soprattutto in Inghilterra che dal 1100 al 1400 costruì sopra i suoi “longbow ” i suoi successi bellici. E’ il Toxophilus di Roger Ascham (vedi Allegato 2) a fornirci, nella forma, del tempo un breve trattato di cultura arcieristica, che fissa, cosa che a noi qui interessa, alcuni canoni tecnici: Posizione Il primo punto è, quando un uomo si accinge a tirare, l'assumere una posizione dei piedi ed un'impostazione tale da esser sia elegante a vedersi che efficace da usarsi, sistemando la figura e tutte le altre parti del corpo in tal postura e portamento che egli possa sia impegnar tutte le sue forze a suo miglior vantaggio (… ) Un piede non deve essere posto troppo lontano dall'altro, per evitare di trovarsi troppo in basso, il che è sconveniente, né tuttavia i piedi devono stare troppo vicini, onde evitare di starsene troppo diritti in piedi, poiché in tal modo un uomo né userà bene la sua forza, né tuttavia rimarrà stabile. Incocco L'incoccare bene è il punto più facile di tutto, ed in ciò non vi è scaltrezza, ma solo diligente attenzione nel sistemar la freccia né troppo alta e né troppo bassa, ma diritta e perpendicolare all'arco Trazione … Perciò il tender con calma ed in modo uniforme, vale a dire non oscillando la mano ora in alto e ora in basso, ma sempre allo stesso modo, finché si arriva al bordo o spalla della punta, è la cosa migliore sia per efficacia che per eleganza. Mantenimento Il mantenimento della trazione (al punto d'ancoraggio al volto, n.d.t.) non deve esser protratto a lungo, …. Rilascio … Per il rilascio pulito, devi fare attenzione a non strusciare contro qualsiasi cosa che tu abbia indosso... A colui che è in grado di tirare in modo corretto non manca 7 nient'altro che il tirare diritto e il mantener la distanza. Quindi sono già individuati alcuni elementi fondanti che ritroveremo nelle diverse gestualità che andremo ad analizzare. E’ bene sgombrare il campo da un possibile equivoco: Non è possibile affermare che esista un solo giusto modo per utilizzare l’arco tradizionale. Esistono degli elementi fondanti che combinati insieme tra loro, a seconda della morfologia del singolo individuo, danno vita a soluzione diverse. Noi qui cercheremo di destrutturare le variabili, gli elementi fondanti e come tra loro si combinano: Presa della corda - Tecnica di trazione - Punto di rilascio – Allineamento al bersaglio – Rilascio (o seconda trazione) - Dinamica del gesto. L’ultimo punto è forse il più complesso da spiegare ma vuole semplicemente significare che non possiamo pensare gli altri elementi o analizzarli se non li pensiamo in modo dinamico come un insieme in movimento nello spazio e nel tempo. La scomposizione che stiamo qui facendo a scopo analitico diventa fuorviante se non pensata come un insieme di forze ed equilibri in movimento. Presa della corda: Come abbiamo visto la presa della corda viene codificata fin dal 1500, per quel che ci è dato sapere in infradito, presa mediterranea. Questo ha una sua giustificazione funzionale, soprattutto pensando a archi senza punto di incocco o con punto d’incocco precario, come possiamo presumere fosse nell’antichità. Tutte le fonti e i testi che abbiamo analizzato, nonché le sperimentazioni e le esperienze maturate sottolineano l’ importanza di una presa “profonda” tra la prima e la seconda falange delle dita. Questo perché favorisce un aggancio della corda mantenendo i muscoli dell’avambraccio e il polso rilassati in modo da trasferire alla corda stessa le minor tensioni possibili. Tecnica di trazione Abbiamo analizzato tre diversi modelli: - a leveraggio verticale (Shultz/Hill) - spingi e tira (Coche) - ad arco alzato verso il bersaglio E’ bene precisare che sono solo tre modelli “teorici” in realtà quasi sempre ogni 8 arciere anche qui trova una sua forma espressiva. Spesso nella pratica di ognuno si mischiano elementi dell’uno e dell’altro. Il primo è forse quello più utilizzato dagli arcieri, permette l’uso di archi di forza consistente ottimizzando le risorse dell’arciere. L’arciere parte leggermente piegato in avanti con la freccia puntata verso terra. Alza il braccio dell’arco verso il bersaglio, già teso e contemporaneamente porta la corda al viso. Importante, come sempre non alzare, portare fuori allineamento la spalla dell’arco. Meglio avere sempre un’ultima tensione, spinta del braccio dell’arco verso il bersaglio, al momento dell’arrivo sulla direttrice di tiro dello stesso. Anche il secondo tipico della scuola di J.M Coche ha una ottimizzazione delle forze in gioco. L’arciere parte in una posizione raccolta con il braccio dell’arco raccolto, il gomito tocca il fianco, spinge l’arco verso il bersaglio, alzando progressivamente il braccio e portando l’altra mano, quella della corda verso il viso. Il braccio dell’arco piegato permette un’ apertura verso il bersaglio mantenendo le spalle già in linea verso lo stesso. Il terzo è un metodo improprio per l’uso dell’arco tradizionale, presuppone diverse attenzioni da parte dell’arciere, sia per non sforzare la colonna vertebrale, procurando torsioni, al lungo andare dannose, sia per riuscire ad utilizzare le risorse dell’arciere al meglio.L’arciere allinea la mano dell’arco e la freccia verso il bersaglio e poi apre l’arco portando la mano della corda al viso. Qualsiasi sia la tecnica adottata alcuni fondamentali debbono essere rispettati: - Un corretto allineamento scheletrico a fine trazione. - Un ottimale espansione sui piani. Cosa bisognerebbe evitare di fare: - Il brandeggio, sull’asse orizzontale del braccio dell’arco. Limitare le torsioni del polso dell’arco. Evitare le rotazione sulla colonna vertebrale. Evitare lo spostamento dell’anca, in apertura o in chiusura, al momento della trazione. Punto di rilascio 9 Il punto di rilascio è assolutamente soggettivo. E’ uno dei punti di equilibrio più delicati poicchè interagisce con diversi componenti del tiro. Interagisce direttamente con le tecniche di mira: se usi il gapshooting preferirai avere più presente nella visione periferica l’asta della freccia e la mano dell’arco, quindi porterai più in alto verso l’occhio il punto di rilascio. Mantenendo una posizione molto eretta e non inclinando leggermente la testa preferirai un punto di rilascio più avanzato frontalmente per poter mantenere l’asta della freccia sempre sotto l’occhio dominante. Il punto di rilascio varia anche in relazione alla morfologia e a come l’arciere effettua la “seconda trazione”, la tensione finale che si completa dopo il rilascio. Proviamo a costruire uno schema che ci aiuti nell’analisi: Il punto di rilascio può essere: sul piano verticale – alto (sopra l’angolo della bocca) – medio (cocca all’angolo della bocca) - basso (sotto l’angolo della bocca) sul piano orizzontale - frontale sulle labbra o difronte in caso di evidente sotto allungo. - medio all’angolo della bocca - arretrato indice e pollice uniti sotto l’arcata della mascella. Qualsiasi sia la soluzione scelta è importante che il punto del rilascio permetta: - Una corretto allineamento scheletrico - Una corretta espansione sui piani - Un allineamento sull’asse vericale dell’occhio dominante lungo l’asta della freccia. Allineamento al bersaglio L’allineamento al bersaglio è preliminare a qualsiasi altro ragionamento. Chi tira alla targa dispone innanzitutto i propri piedi nel corretto allineamento perpendicolare al bersaglio. Le situazioni di tiro nel bosco, di tiro in velocità o a sagome mobili o al volo richiedono all’arciere tradizionale una velocità di esecuzione e una adattabilità al terreno che richiedono un’ altra tecnica di allineamento ed equilibrio. Per noi sarà importante allineare correttamente le spalle, la spina dorsale e il bacino. Questo blocco costituirà per noi l’asse portante sul quale costruire il 10 nostro tiro. Il nostro corpo è snodato, dispone di una serie di cerniere che permettono d’uttilità d’orientamento. Caviglie e ginocchi dovranno rimanere morbide, seguire le asperità sempre variabili del terreno per permettere che l’anca si orienti perpendicolarmente al bersaglio e con lei le spalle. L’asse della colonna vertebrale, leggermente proiettato verso il bersaglio dovrà comunque mantenere la sua verticalità e centralità rispetto al bacino, sia per garantire la stabilità al momento della trazione e del tiro sia per l’utilizzo delle forze di trazione e di spinta ottimale. Rilascio o seconda trazione. Come ogni arciere sa il rilascio è il momento più delicato sia che si voglia farlo senza nessun momento di arresto, proseguendo la trazione oltre il punto di rilascio, sia che si preferisca “fermare” il gesto quell’attimo sufficiente a stabilizzare il corpo. La criticità del momento in realtà è data dai momenti che lo precedono: presa della corda, preparazione del tiro e trazione. Se si riesce ad arrivare sicuri attraverso queste fasi senza commettere errori macroscopici il rilascio avviene naturale. Come qualcuno ha già scritto “un buon tiro si prepara prima e dopo il mentre non dovrebbe esistere”. Cosa è importante fare: - Non variare mai il rilascio, cercare la massima costanza nel gesto - Effettuare sempre la seconda trazione: la corda scappa dalle dita perché noi continuiamo la trazione. - Non accompagnare mai la corda con la mano in uscita. - Mantenere sempre l’azione sul piano orizzontale. - Mantenere ferma la mano dell’arco verso il bersaglio. - Liberare la mente e rimanere concentrati sul punto del bersaglio d colpire. Introduciamo per la prima volta un concetto (liberare la mente) che non attiene più alla sfera della gestualità ma all’atteggiamento mentale dell’ arciere. Proprio perché il momento del rilascio, del “passaggio attraverso il cancello” come dice Paolo Bucci, è il momento cruciale essenziale ma anche il meno definibile e il più interconnesso aglia aspetti psicologici del tiro ma soprattutto perché deve risultare un atto in-volontario. Dinamica del gesto Tutti questi elementi si devono combinare in un tutt’uno dinamico fluido in cui 11 l’armonia e l’efficacia si combinano nello spazio e nel tempo. Lo spazio della nostra trazione e del rilascio fino al volo della freccia verso il bersaglio e il tempo che scandisce questa nostra azione. E’ difficile e può essere fuorviante considerare il singolo elemento al difuori dell’insieme. La respirazione Qualunque sia il metodo di respirazione scelto è importante coordinarla con le azioni di tiro. Fino a qualche decennio fa era di convinzione comune l’uso di una respirazione alta (riempire i polmoni) inspirando al momento della trazione. Noi proponiamo il metodo, reso noto nel nostro ambiente da J.M.Coche e che a nostro avviso presenta dei vantaggi: - Si prepara il tiro e la concentrazione con dei profondi respiri, al momento della trazione si espira, fino ad arrivare al punto di rilascio, attimo di apnea e rilascio espirando ancora l’”ultimo soffio”. La scansione in due tempi dell’azione serve, secondo Coche, a scandire il ritmo a obbligarci, con l’ultimo soffio, alla seconda trazione. In questo caso la respirazione sarà diaframmatica. L’ inspirazione si chiude con una pressione dei polmoni verso il diaframma. E’ un metodo di respirazione basso Di origine orientale. (Allegato 3) Tecniche di mira Non abbiamo dati certi sulle tecniche di mira utilizzate nell’antichità. Ascham fa più volte riferimento alla punta della freccia ma al tempo stesso parla di concentrazione sul bersaglio: “Il far caso alla punta della freccia prima del rilascio è il miglior ausilio che vi possa essere per mantenere il giusto alzo di tiro; la qualcosa tuttavia è d'intralcio al tirar in modo eccellente, perché un uomo non può tirare in modo perfettamente diritto se non guarda direttamente il bersaglio. “ Bisogna tener conto che Ascham scriveva in una società dove la cultura della collimazione e delle armi da fuoco era ancora poco diffusa, probabilmente dava poca importanza alla distinzione tra visione primaria e secondaria o periferica. La stessa cultura scientifica non era ancora così diffusa e non permeava la società come oggi. Oggi due tecniche sono nate e si sono affermate con l’uso degli archi 12 tradizionali, - incstintive shooting - gapshootig Fanno parte dello stesso mondo arcieristico, della stessa storia e hanno lo stesso ambito di utilizzo, il tiro venatorio, il tiro di simulazione venatoria o in senso più ampio il tiro di campagna. In cosa si assomigliano: Incstintive shooting Gapshooting 1) presa mediterranea 1) presa mediterranea 2) l’arciere affida al proprio allineamento corporeo, alle proprie capacità propriocettive il primo criterio di mira 2) l’arciere affida anche al proprio allineamento corporeo, alle proprie capacità propriocettive il primo criterio di mira 3) L’arciere necesiità: - perfetta costanza dell’allungo - ripetitività del gesto - gestione della visione periferica - educa i suoi automatismi per mantenere la concentrazione finale sul bersaglio. 3) L’arciere necesiità: - perfetta costanza dell’allungo - ripetitività del gesto - gestione della visione periferica - educa i suoi automatismi per mantenere la concentrazione finale sul bersaglio. In cosa si differenziano: Incstintive shooting 1) l’arciere immagina il volo della freccia e pone la sua freccia sulla parabola immaginata. 2) L’arciere educa i suoi automatismi a percepire il volo della freccia verso il bersaglio La visualizzazione e la percezione tridimensionale dello spazio sono essenziali Gapshooting 1) l’arciere con la vidsione periferica ha sempre presente la posizione della freccia rispetto al punto da colpire 2) L’arciere educa i suoi automatismi a conoscre il gap che separa la punta dalle sua freccia dal bersaglio da colpire La visualizzazione e la percezione tridimensionale dello spazio sono essenziali Le differenze sono sostanziali ma portano ad un risultato molto vicino. 13 Il gapper come il tiratore istintivo deve riuscire a mantenere al momento del tiro la concentrazione sul punto del bersaglio da colpire affidandosi ai suoi automatismi. E’ il percorso di costruzione degli stessi che si differenzia. E’ anche vero che molti di noi ricorrono anche incosciamente alle due tecniche a seconda delle situazioni di tiro… Tanto sono borderline una rispetto all’altra. Nella pratica e nell’allenamento di ognuno è fondamentale approfondire la conoscenza di se stessi e della propria tecnica. Come preparare il tiro: Non possiamo affrontare compiutamente, per questioni di spazio i temi legati al “mentale” dell’arciere però vorremmo dare delle indicazioni generali che fossero di ausilio e di crescita per tutti. Un buon tiro si prepara prima: - Cercando la posizione giusta, la stabilità e la giusta proiezione verso il bersaglio. Non si tratta di allineare i piedi, che come sappiamo spesso è per noi una azione meccanica quanto di sistemare il proprio corpo nello spazio con il giusto orientamento nello spazio verso il bersaglio e assumere un atteggiamento mentale di proiezione verso lo stesso. - Focalizzando il bersaglio, percependo lo spazio che lo circonda e lo separa da noi. - Allineandosi non solo con anche e spalle ma al momento della trazione prevedere che la trazione avvenga in linea con il bersaglio. Si esegue: - Visualizzando il volo della freccia verso il bersaglio, visualizzando la sua parabola. - Concentrandosi al momento della trazione sulla parte più piccola possibile da colpire. Si conclude solo quando la freccia è a bersaglio: - Seguendo, spingendo con lo sguardo, la freccia finche non ha raggiunto il bersaglio. 14 Allegato 1 Agli albori di uno sport moderno DI STEFANO BENINI Alcune osservazioni sui primi archi in legno per uso sportivo e sulla loro costruzione. Il tiro con l’arco nella sua dimensione sportiva e ludica nacque, potremmo presumere, quando il primo uomo scoccò una freccia per il puro piacere di farlo, senza quindi un preciso “scopo” utilitaristico, di caccia o di guerra che fosse. Vi sono accenni del “tiro al bersaglio” con l’arco nella stessa Bibbia, sarebbe quindi riduttivo affermare che il nostro sport nasce nell’Inghilterra vittoriana per poi trapiantarsi ed espandersi dagli Stati Uniti al resto del mondo. Tuttavia, da un punto di vista meramente federativo e formale, le cose sono andate proprio così, se non dal punto di vista strettamente olimpico della Fita, almeno sul piano del tiro di campagna di ispirazione venatoria, che ebbe nei fratelli Thompson prima e in Fred Bear e Hill dopo, i principali promotori. Non esistono testimonianze scritte Chi per primo in America entrò in possesso di un arco “sportivo” in legno di tasso, non ci è dato saperlo. Alcuni dei primi membri della compagnia United Bowmen di Filadelfia andarono a visitare l’Inghilterra ed è probabile che alcuni di loro siano tornati a casa con un arco inglese tra le mani, anche se non esistono testimonianze scritte a tale proposito negli annali del club. Tuttavia, per quanto strano possa sembrare, gli archi in tasso erano diventati una vera rarità persino in Inghilterra durante tutto il secondo quarto dell’ottocento: l’improvvisa esplosione di popolarità che lo sport conobbe nel 1825 deve aver provocato un vero saccheggio delle scorte del prezioso e raro legno, tale da richiedere il largo impiego di legni sostitutivi fino ai giorni del leggendario campione di tiro alla targa Horace Ford, autore tra l’altro del primo trattato sul tiro con l’arco moderno, intitolato “Archery, Its Theory and Practice” (1856). Correva l’anno 1829 quando il primo arco inglese “cadde” in mano agli United Bowmen di Filadelfia: si trattava di un longbow in lemonwood rinforzato sul dorso, opera del blasonato arcaio Waring. Nessun arciere di quella veneranda compagnia d’oltreoceano ebbe mai un arco in tasso fino a poco tempo prima della Guerra Civile tra Nord e Sud. Un certo Maxon, che scriveva sulla rivista arcieristica “Badminton” nel 1894, fu il primo dell’ambiente a citare il Taxus brevifolia (tasso americano) commentando la situazione costruttiva del tempo con queste parole: “La mancanza di esperti costruttori di archi ha fatto sì che fosse sinora meno rischioso procurarsi un arco inglese in tasso o in lancewood (Oxandra lanceolata) di buona qualità piuttosto che orientarsi su un attrezzo in legno nostrano e di costruzione americana. Il tasso della California consente di ottenere un’eccellente stecca da arco, ma esso finora è stato assai poco usato in quanto gli arcieri, che preferiscono il legno di tasso, generalmente prediligono le qualità di più densa crescita provenienti dall’Europa. Alcuni archi di eccellente fattura vennero costruiti con tasso americano a San Francisco e New York all’incirca tra il 1880 e il 1882 e, quando vengono rinforzati sul dorso con uno strato di Hickory, questi attrezzi non hanno nulla da invidiare a quelli in tasso spagnolo di assai maggior pregio e costo”. Il più costoso: un longbow in lamine di bambù 15 Tuttavia, nei cataloghi dei dettaglianti di materiale arcieristico di New York e Brooklyn di quegli anni, non troviamo nemmeno l’ombra di un accenno al tasso. In quel periodo l’arco più costoso ed apprezzato era un longbow in lamine di bambù incollate e congiunte al centro, che veniva venduto a “ben” venti dollari, mentre un “arco da uomo lungo sei piedi di prima qualità, in lancewood massello con puntali in corno o alluminio, completo di impugnatura rivestita e corda intrecciata” veniva quattro dollari e cinquanta. Altri archi da club, di simili caratteristiche ma di evidente superiorità qualitativa, venivano venduti a sette dollari, mentre un altro tipo di arco in lancewood rinforzato con hickory sul dorso e legature in seta per rinforzo ed estetica, veniva nove dollari. Il secondo in classifica, dopo il pregiato arco in bambù, era un longbow di snakewood massello (Piratinea guianasis), un legno originario della Guiana, che veniva venduto a quindici dollari. Il listino di un altro grosso commerciante del settore, Horsman’s, era più o meno uguale, ma la sua gamma di archi rinforzati sul dorso è più interessante per via dell’ampia varietà dei legni menzionati. Gli archi erano tutti rinforzati in lancewood, ma i bellies (le facce interne) includevano: hickory, amaranto, beefwood (Minusops globosa), rosewood e altri legni esotici come il pheasant. I prezzi andavano dai cinque ai nove dollari. Questo è anche il solo esempio a me noto nel quale la pratica usuale venne invertita e l’hickory usato sulla parte interna soggetta a compressione invece che su quella esterna per resistere alla trazione. Robert P. Elmer negli anni ’30-‘40 Robert P. Elmer, campione indiscusso di tiro alla targa tra gli anni ’30 e ’40, ci riferisce di aver visto un sacco di quei vecchi archi risalenti agli inizi del 1880 e di averne anche usati alcuni. “Si doveva essere assai prudenti - spiega Elmer poiché la colla di quei tempi cedeva all’improvviso a causa del clima eccessivamente secco. Erano attrezzi mediocri rispetto agli standard “moderni” (scriveva Elmer nel 1946) - ma erano magnificamente rifiniti ed eleganti esteticamente, poiché quei legni duri consentivano la costruzione di archi veramente sottili e snelli. I Belgi ancora usano archi di questo tipo”. Nessun legno può essere usato se non è passato attraverso il processo di stagionatura. La quantità di acqua normalmente presente nel legno fresco è enorme, ma la proporzione è maggiore in alcuni tipi di legno piuttosto che in altri. Anche un legno durissimo come il teak, che cresce per natura a fibra fitta e solo su pendii di montagne asciutte e con perfetto drenaggio, è troppo pesante per galleggiare quando è appena tagliato, il che implica un peso specifico superiore alle 63 libbre (28,5 kg) per piede cubico. Quando viene seccato abbastanza per essere messo in commercio pesa intorno ai 18 kg al piede; ciò sta ad indicare la perdita di ben un terzo della massa iniziale. Quindi la riduzione del contenuto acquoso del legno è “volgarmente” nota come stagionatura, ma questo importante processo non può essere spiegato in termini così elementari e semplicistici. È abbastanza vero che, durante la stagionatura, l’acqua in eccesso contenuta nei vasi fibrosi del legno evapora, tuttavia è anche vero che durante questo importante e lento fenomeno avvengono numerosi e complessi mutamenti sia chimici che istologici, che risultano evidenti solamente dagli effetti che essi producono ma che possono essere seguiti in dettaglio soltanto attraverso la perseverante ricerca di personale scientifico qualificato. Quando il legno esprime la massima forza La Treccani o la Britannica dicono che: “La rigidità del legno aumenta con 16 l’evaporazione dell’acqua solo fino a raggiungere il 3 o 4 percento di umidità residua nel legno stesso e in questo stato il legno può esprimere la massima forza ma non al di sotto di questa percentuale. Tuttavia, nella pratica comune, legno così secco non si trova mai: il legname, anche in condizioni climatiche calde e ventilate, continua a contenere almeno un 10 percento di umidità residua”. Un tale stato di “disidratazione” può essere velocemente ottenuto procedendo all’evaporazione del legno verde in appositi forni, ma l’effetto, come andremo ad analizzare, diventa disastrosamente debilitante per la struttura lignea. Purtroppo la logica moderna di lavoro è più vicina all’avidità che non alla saggezza: deve tradurre in termini monetari ogni attimo di tempo che passa, così che tutto il legname da opera reperibile oggigiorno è già stato inevitabilmente trattato in quel modo indegno, salvo poche, rarissime eccezioni relative a poetiche e pittoresche segherie di montagna, ormai in via di estinzione. Chiunque abbia eseguito anche soltanto qualche casereccio lavoro di carpenteria può aver notato la differenza di consistenza tra una tavola in legno moderna e una dello stesso legno stagionata in modo naturale qualche generazione addietro. Questa asserzione può essere scioccante per coloro che oggigiorno hanno intenzione di costruire “romantici” archi in legno, poiché implica il fatto che ogni nostalgico arcaio desideroso di far rivivere i magici attrezzi del passato dovrebbe anche tagliare e stagionare per conto proprio il prezioso materiale, con conseguente maggior “perdita” di tempo, mettendosi quindi in netto contrasto con la logica moderna. Il processo di essiccazione La struttura cellulare del legno è analoga per molti aspetti a quella della carne: proprio come della carne fresca e succulenta può essere modificata dal processo di essiccazione fino a diventare dura, rigida e resistente, quindi il legno diviene anch’esso duro e forte a seguito di un simile processo naturale. Tale processo, come abbiamo già accennato, non è il risultato di una semplice disidratazione. Le cellulose, le resine, i protéidi, gli albuminoidi, gli zuccheri, gli amidi, gli oli, i protoplasmi e le altre sostanze presenti nel legno sviluppano complicati e poco noti cambiamenti sia chimici che fisici al loro interno ed è qui che la moderna stagionatura artificiale fallisce il suo obiettivo: potrà anche drasticamente ridurre il contenuto acquoso in poco tempo, ma non potrà mai consentire alle altre complesse e delicate alterazioni di accadere. Il tempo prescritto per legge dal governo britannico per la stagionatura del legname in tempo di pace variava, alcuni decenni or sono, dai tre mesi per le essenze tenere sbozzate in travi quadrate dai quattro ai sei pollici di lato, fino ai ventisei mesi per i legni duri in travi di sezione dai due piedi in su. Mentre questi tempi potevano essere sufficienti per le necessità degli architetti, sono tuttavia inadeguati per quelle di un buon arcaio. Il legno di tasso, in Inghilterra, veniva stagionato nelle botteghe dei costruttori d’archi per circa cinque anni; a noi tutto ciò può apparire eccessivamente “conservatore”, soprattutto in considerazione del fatto che il costruttore inglese parte da una stecca di legno che non è molto dissimile da un arco sovradimensionato, eliminando poi le eccedenze un po’ per volta ogni anno. Tuttavia, nel nostro clima continentale più asciutto, tre anni di stagionatura sono più che sufficienti. Naturalmente sono stati costruiti molti archi con legni stagionati al di sotto dei tre anni e hanno funzionato ugualmente, ma sarebbero stati migliori e più duraturi se il loro legno fosse stato stagionato più a lungo. 17 Alburno e durame La fondamentale differenza tra l’alburno e il durame del legno è la stessa differenza che esiste tra la vita e la morte, infatti il durame (interno del tronco) non è nient’altro che alburno morto. Le cellule dell’alburno sono ancora piene di protoplasma vivente, mentre nelle cellule del durame il protoplasma è morto ed è stato rimpiazzato da tannino e resine. L’alburno contiene anche le fibre cave e i condotti attraverso i quali passa la linfa. Sono proprio gli zuccheri e gli amidi presenti in questa parte esterna del tronco a richiamare gli insetti e i batteri in cerca di cibo, ecco perché il durame del legno è più durevole ed immune da tali rischi se esposto agli agenti esterni: pochi esseri viventi vogliono mangiarselo. Quanto riportato dal dr. P. Elmer nel 1946 nel suo magistrale libro “Target Archery” contrasta, quindi, per quanto riguarda l’analisi sull’idoneità dei legnami, con quanto pubblicato più di recente da Ron Hardcastle nella peraltro pregevolissima opera “Traditional Bowyer Bible”, volume 1 (1992). Nella parte dedicata al taglio e alla stagionatura del legno per archi, Ron affronta la spinosa questione della stagionatura industriale a forno ed argomenta che, dopo tutto, anche il legname trattato in quel modo, dopo essere stato “lasciato in pace” per qualche mese, può riacquistare le sue caratteristiche a causa del naturale processo di reidratazione dovuto allo scambio igrometrico con l’umidità ambientale ed essere quindi usato dall’arcaio con la massima fiducia. Quelli stagionati artificialmente... Ron quindi ne fa unicamente un problema di eccessiva essiccazione delle fibre, dimostrando a mio avviso soverchia ingenuità e superficialità: come potrebbe infatti del legname chimicamente debilitato riacquistare una resilienza e robustezza che non gli abbiamo mai consentito di acquisire sin dall’inizio? Quei delicati processi fisici e chimici che si verificano soltanto in condizioni naturali ad opera del tempo, non sono potuti avvenire nel legno “seccato” in forno, non importa quanto lo lasciamo riposare o reidratare all’esterno. Certo, si possono costruire archi anche con legno industriale stagionato artificialmente, ma non saranno nemmeno che un pallido simulacro dei loro predecessori in legno fatto stagionare in cataste o nelle botteghe. Stefano Benini Da ARCOSOPHIA – Green Time ALLEGATO 2 Tecnica di tiro con il longbow, con l'aiuto del Toxophilus, scritto da Roger Ascham nel 1545 Il testo di Roger Ascham farà da guida a questa comunicazione che cercherò di rendere meno tecnica possibile. Nel book distribuito ai partecipanti al Raduno trovate sia indicazioni che ci provengono dai cronisti del passato, (Enguerrand di Monstrelet e Plutarco) sia studi e lavori più specifici sull'arco (Gad Rausing e, più modestamente, Dario D'Alù e Marco Dubini). La pratica mi ha insegnato che scoccare con precisione con archi in legno di potenza superiore alle 50 libbre costringe l'arciere ad usare la tecnica adatta, se 18 non vuole farsi male e se vuole colpire il bersaglio, anche a distanze superiori ai 100 metri. Se alla tecnica corretta si aggiunge l'esercizio (e questo a molti di noi, me compreso, manca per i soliti motivi di tempo) i risultati possono essere eccezionali. Va comunque ricordato ancora una volta che nostro scopo non è quello di vincere gare ma di fare ricostruzione storica (e insieme a questa trasmettere conoscenza e cultura) e quindi le tipologie e le abilità di tiro devono essere finalizzate a questo tipo di attività. I tiri a comando e i tiri a distanza, ma non solo questi tipi di tiro, devono diventare la nostra specialità e non dobbiamo mai smettere di addestrarci ad effettuarli con sicurezza e precisione. Sono tiri altamente spettacolari, che quasi nessun arciere storico sa fare. La storia, di nuovo, e l'esperienza sul campo ci dicono come fare. E' possibile, e noi possiamo farlo, trasmettere in questo modo ad un pubblico sempre più numeroso, la conoscenza della figura dell'arciere medievale che sia la storia che l'immaginario collettivo identificano come una delle figure chiave del periodo storico che tanto ci appassiona. PREFAZIONE (Stefano Benini 1999): Citato da molti, letto da pochi, conosciuto da nessuno di coloro che vivono in realtà geografiche non anglofone, Roger Ascham ha tuttavia lasciato un segno destinato a rimanere nei secoli indelebile: ogni volta che una freccia alata solca i sordi rumori di questa nostra avvelenata civiltà industriale, reca con sé qualcosa di questo lontano e ieratico poema, scritto con penne d'oca grigia quando la neve danzava nei turbini di vento. Il Toxophilus è un'opera sorprendentemente attuale, non solo sul piano tecnico dell'arte del tiro, ma anche per le analisi e i contenuti filosofici ed umanistici in essa esposti. Nel suo libro Ascham non spiega come costruirsi archi e frecce poiché, come dice lui stesso, teme di suscitare le ire delle corporazioni di arcai e frecciai che vedrebbero in tal manuale una minaccia al loro mestiere. Ascham venne alla luce nel 1515, all'epoca in cui l'arco iniziava a sentire seriamente la competizione della polvere da sparo; non tanto riguardo all'efficienza (fino ad allora non vi era questione sul fatto che l'arco fosse più potente come arma rispetto ai primi goffi archibugi), ma per la novità e il prestigio che faceva ottenere il dispiegamento in bella mostra delle nuove e terrificanti produzioni degli armaioli. Ma, fosse come si vuole, l'arco era, nel bene o nel male, nelle prime fasi del suo permanente e inesorabile declino quando Roger venne al mondo. Toxophilus deriva dal termine greco "Tòxon" (arco) e "philòs" (amante), quindi, "Colui che ama l'arco"; l'opera è scritta in forma di dialogo tra il Toxophilus e il Philologus (letteralmente colui che ama il discorso o la parola), che sarebbe l'interlocutore che serva ad Ascham per sviluppare il tema e che, secondo il costume dell'epoca, rappresenta un amante dell'apprendimento e della cultura, in questo caso la cultura arcieristica. Nella discussione il "Maestro" spiega all'allievo il suo amore per l'arco. Sia come svago che come pratica militare difensiva, ed espone le sue ragioni per tenere l'arco a tale scopo, invece delle armi da fuoco portatili, recentemente inventate e privilegiate. Nella seconda parte, che è il vero e proprio manuale e trattato tecnico, l'autore dà istruzioni pratiche sulle tecniche di tiro, il tutto sempre supportato e sostenuto da citazioni erudite. A TUTTI I GENTILUOMINI E "YEOMEN" D'INGHILTERRA (…) ho scritto questo piccolo trattato, nel quale, se non ho potuto soddisfare 19 qualcuno, confido che egli sia almeno benevolo verso questa mia opera, perché io sono (così suppongo) il primo ad aver scritto qualcosa su quest'argomento (…) ed anche perché, se avessi detto cose imprecise, sarei contento che chiunque potesse correggermi. Oppure, se avessi detto troppo poco, che qualcuno possa aggiungervi del suo. Il mio intento è per il profitto ed il diletto di ognuno, non vuole ferire o dispiacere ad alcuno, non mirando ad altro scopo che quello che la gioventù possa essere spronata al lavoro, l'onesto passatempo e a virtù e, per quanto è mio potere, sia allontanata dall'oziosità, dal gioco disonesto e dal vizio: perciò solo ho lavorato a questo libro, mostrando quanto adatto sia il tiro ad ogni tipo d'uomo, quale onesto passatempo esso sia per il corpo, la sua pratica non è di svilimento nemmeno per i grandi uomini, e né troppo costosa da sostenere per i poveri, non usandone in modo disonesto per sopraffare i più deboli, ma usando degli spazi aperti alla luce del giorno, come uomini dabbene, in grado di correggere con la loro saggezza le colpe di questo mondo imperfetto. Alcuni tiratori prendono in mano archi più forti di quel che sono in grado di padroneggiare. Questo fa sì che a volte essi tirino oltre il bersaglio, altre volte troppo di lato e persino feriscano qualcuno che sta a guardare. Altri che non hanno mai imparato a tirare, e né tuttavia conoscono le buone frecce e i buoni archi, si impegnano al loro meglio, ma costoro comunemente tirano spostati da un lato nel terreno, e gli arcieri esperti che li sfidano saranno sia contenti di questo, che sempre pronti ad approfittarne e scommettere con loro. Sarebbe meglio per questi starsene seduti tranquilli piuttosto che tirare. Vi sono altri, che hanno archi e frecce di qualità assai buona ed una buona conoscenza del tiro, ma sono stati addestrati così malamente da non riuscire a tirare né con eleganza e nemmeno con precisione. TOXOPHILUS, IL PRIMO LIBRO DELLA SCUOLA DEL TIRO. (…) del fatto che nessuno abbia in precedenza scritto alcun libro sul tiro, la colpa non deve essere data all'argomento e se ne valesse o no la pena di scriverne, ma agli uomini che furono negligenti al riguardo; questa fu la causa, così suppongo. Gli uomini che praticarono più assiduamente il tiro e che meglio lo conobbero, non furono degli eruditi; quelli che invece furono eruditi praticarono poco il tiro, ed ignorarono la natura dell'argomento. Perciò ben pochi uomini sarebbero stati capaci di scrivere su quest'argomento. Il poeta Claudio dice che la natura ci offre un primo esempio del tiro grazie al porcospino, il quale lancia i suoi aculei per colpire chiunque combatta con lui, per cui gli uomini in seguito impararono ad imitarlo, ed in ciò trovarono arco e frecce. Plinio riferisce questa seconda scoperta a Scitio, figlio di Giove. Migliori, più nobili e numerosi scrittori fanno risalire il tiro ad un più nobile inventore, come fanno Platone, Callimaco e Galeno: da Apollo. Tuttavia molto tempo prima di quei giorni noi leggiamo espressamente del tiro nella Bibbia, ed anche, se dobbiamo credere a Nicolas de Lyra, che Lamech uccise Caino con una freccia. Così il tiro, per necessità usato ai tempi di Adamo, per nobiltà riferito ad Apollo, non solo è lodato in tutte le lingue e gli scritti, ma anche tenuto in gran conto, nelle migliori nazioni in tempo di guerra per la difesa delle loro terre e da ogni sorta d'uomo in tempo di pace, sia per l'onestà che è ad esso congiunta, che per il profitto che ne deriva. (…) le peculiarità del tempo e le cure per la sopravvivenza di ciascuno, sono i motivi per i quali così pochi tirano, come puoi vedere in questa grande città 20 (Londra n.d.r.) dove, su mille uomini fisicamente abili, a ma la pena dieci praticano seriamente il tiro. L'artiglieria, oggigiorno, si suddivide in due tipi di arma: le bombarde e gli archi. Peter Nannius, uomo erudito di Lovanio, rileva alcune scomodità delle bombarde, come il costo altissimo, l'ingombranza che ne ostacola il trasporto e, se queste son grandi, la difficoltà di messa a livello, il pericolo per coloro che vi operano vicino, la facilità con cui chi si trova lontano riesce ad evitarne i proiettili e, se queste son piccole, lo scarso timore che incutono e lo scarso effetto. Ed inoltre tutte le condizioni atmosferiche avverse ed il vento, che ne ostacola non poco la funzionalità. Del tiro con l'arco egli non riesce a provare alcun svantaggio. I nostri arcieri d'Inghilterra, quando venivano al corpo a corpo, avevano sempre pronta, sia appesa alla schiena che nelle mani del loro compagno d'arme, una mazza ferrata o altra arma simile, per abbattere con quella il nemico. Gli scozzesi hanno un proverbio che essi son soliti ripetere nei loro discorsi e col quale riconoscono piena lode agli inglesi per il loro tirare: "Ogni arciere inglese porta ventiquattro scozzesi sotto la cintura". Nota di Stefano Benini: Il proverbio è riferito all'abitudine degli arcieri inglesi di portare il loro "mazzo" sheaf - di 24 frecce infilato sotto la cintura, ed al fatto che si vantassero spesso a ragione - che ad ogni freccia corrispondeva la vita di un nemico). Ascham, quando parla dell'arcieria di guerra la classifica sempre come "artiglieria", ed in effetti il modo in cui gli arcieri venivano impiegati sia per il "fuoco di sbarramento" che di "sfondamento", la pongono in questa categoria militare. Non scordiamo che ai tempi di Ascham erano ben freschi i ricordi delle gesta dei "longbowmen" della Guerra dei Cent'anni, dove i loro successi potevano a tutto diritto costituire l'archetipo e l'apoteosi dell'arco inteso come artiglieria. (…) tu vedi che il più forte degli uomini non esegue sempre il più forte dei tiri, la qual cosa prova che il tendere con forza non risiede tanto nella forza dell'uomo, quanto nella pratica del tiro. Un uomo forte ma non abituato al tiro, ha le braccia, il torace, le spalle e le altre parti del corpo con le quali dovrebbe tendere fortemente, l'una che ostacola e ferma l'altra, come accade ad una dozzina di robusti cavalli non avvezzi al carro, che si annullano e si ostacolano l'un l'altro. Un uomo forte, non uso al tiro, ironicamente può tendere e far volare in pezzi molti buoni archi, come dei cavalli selvaggi correndo d'impulso manderanno in pezzi molti robusti carri. E così gli uomini forti, senza la pratica, non posson far nulla nel tiro per nessuno scopo, né in guerra né in pace; ma se accade loro di tirare, scoccano tutt'al più una freccia o due, quando invece un uomo debole ma allenato al tiro, sarà di utilità per ogni tempo e scopo, e scoccherà dieci frecce mentre l'altro ne scocca quattro, e tenderà la corda fino al punto d'ancoraggio ogni volta, tirando col miglior profitto. Di nuovo, colui che non è avvezzo al tiro, sempre più tenendo l'arco in modo sbilenco e sbatacchiando al sua freccia, non guardando la corda al giusto tempo, mette il suo arco sempre in pericolo di spezzarsi, e allora farebbe meglio a starsene a casa. Inoltre egli tirerà assai poche frecce, e anche quelle in modo completamente sgraziato, alcune tese nemmeno alla metà, alcune troppo alte e altre troppo basse, né egli sarà capace di scoccare al momento giusto e 21 nemmeno di interrompere il tiro quando è necessario, ma dovrà per forza buttar fuori la freccia, e assai spesso con risultati cattivi. Filologo: Ti concedo, Toxofilo, che l'allenamento al tiro fa sì che un uomo tenda forti archi, per tirare al meglio del profitto e per aver cura della propria attrezzatura, che non è cosa trascurabile in guerra. Credo tuttavia che il tiro che abitualmente si pratica a casa, specialmente ai terrapieni con affissi i bersagli in carta, non sia affatto di giovamento per il tiro di potenza, che è il più utile in guerra. Perciò, suppongo, se gli uomini si abituassero ad andar sui campi, ed imparare ad eseguir tiri forti e potenti, senza curarsi affatto di qualsiasi bersaglio, essi ne avrebbero assai maggior giovamento Toxofilo: La maggior pratica fa sì che un uomo tiri sia forte che bene, che son le due cose che nel tiro ognuno desidera. Così, organizzar gare, riunire insieme gli arcieri, competere per veder chi tirerà meglio vincendo il torneo, incrementa meravigliosamente la pratica del tiro tra gli uomini.Perciò nel tiro, come in tutte le altre cose, non vi può esser né quantità e nemmeno qualità se queste tre cose - predisposizione, conoscenza e pratica - non stanno insieme. TOXOPHILUS, IL SECONDO LIBRO DELLA SCUOLA DEL TIRO. Fil: quali sono gli strumenti? Tox: il parabraccio, il guanto da tiro, la corda, l'arco e le frecce. Fil: cosa è comune a tutti gli uomini? Tox: le condizioni atmosferiche e il bersaglio, tuttavia il bersaglio è sempre subordinato alle condizioni atmosferiche. Fil: dove risiede il ben maneggiare gli strumenti? Tox: completamente all'interno dell'uomo stesso: alcune operazioni sono tipiche degli strumenti, alcune delle condizioni atmosferiche, alcune del bersaglio ed altre stanno dentro l'uomo stesso. Fil: quali operazioni son tipiche degli strumenti? Tox: la posizione, l'incocco, la trazione, il mantenimento, il rilascio, dai quali proviene il giusto tirare, il quale non appartiene né al vento e nemmeno alle condizioni atmosferiche, e nemmeno ancora al bersaglio poiché sotto la pioggia e senza alcun bersaglio un uomo potrebbe eseguire un tiro corretto. Fil: quali operazioni appartengono alle condizioni atmosferiche? Tox: la conoscenza del vento, a nostro favore, contro di noi, di lato, pienamente laterale, vento laterale di un quarto a favore, vento laterale di un quarto a sfavore e così via. Fil: quali operazioni appartengono al bersaglio? Tox: fare attenzione alla propria posizione, tirare con giusta parabola, tendere ogni volta allo stesso modo, sganciare sempre allo stesso modo, considerare la natura della visuale da colpire, sulle alture o negli avvallamenti, nelle aperte pianure e nei posti ventilati, e inoltre concentrarsi sul proprio bersaglio. Fil: e cosa è solamente all'interno dell'uomo stesso? Tox: il prestar buona attenzione, ed evitare ogni emotività. Il che spesse volte significa la riuscita o il fallimento di tutto. Toxofilo: l'imparar qualsiasi cosa, e specialmente l'eseguire manualmente qualcosa, deve essere fatto, se qualcuno vuole eccellervi, nella giovinezza. Colui che vuol raggiungere quest'alta perfezione nel tiro, di cui noi parliamo, deve necessariamente iniziare ad applicarvisi in gioventù, e l'aver trascurato tale cosa in Inghilterra ha fatto sì che vi fossero meno tiratori, e che quelli che son tiratori tirino peggio di come farebbero se fosse stato loro insegnato. Un uomo, usando dapprima archi deboli, ben al di sotto della sua forza, potrà 22 essere reso malleabile e pronto ad assimilare la giusta tecnica di tiro come qualsiasi bambino, e la pratica quotidiana del tiro lo manterrà nel corretto tirare e lo porterà infine anche ad un tiro forte. Il miglior tirare è sempre il tirare più elegante. Il giusto tirare deriva da queste cose: la posizione, l'incocco, la trazione, il mantenimento e il rilascio, i quali io passerò in rassegna brevemente. I difetti degli arcieri superano il numero degli arcieri stessi, e ciò a causa del praticare il tiro senza l'insegnamento. Tutti gli ostacoli che le cattive abitudini hanno radicato negli arcieri, non possono né esser velocemente estirpati e né tuttavia esser da me rapidamente riconosciuti, poiché essi sono innumerevoli. Posizione Il primo punto è, quando un uomo si accinge a tirare, l'assumere una posizione dei piedi ed un'impostazione tale da esser sia elegante a vedersi che efficace da usarsi, sistemando la figura e tutte le altre parti del corpo in tal postura e portamento che egli possa sia impegnar tutte le sue forze a suo miglior vantaggio, che eseguire il suo tiro e padroneggiarlo per il piacere e il diletto di chi osserva. Non ci si deve accingere a questo troppo velocemente, poiché ciò sarebbe avventato, né tuttavia attardarsi a ponderarvi troppo. Un piede non deve essere posto troppo lontano dall'altro, per evitare di trovarsi troppo in basso, il che è sconveniente, né tuttavia i piedi devono stare troppo vicini, onde evitare di starsene troppo diritti in piedi, poiché in tal modo un uomo né userà bene la sua forza, né tuttavia rimarrà stabile. Incocco L'incoccare bene è il punto più facile di tutto, ed in ciò non vi è scaltrezza, ma solo diligente attenzione nel sistemar la freccia né troppo alta e né troppo bassa, ma diritta e perpendicolare all'arco. Un incocco incostante fa sì che il tiratore perda parte del suo allungo. Ed oltre a questo, se la mano della freccia è in alto e la mano dell'arco in basso, o il contrario, l'arco è in pericolo di rompersi, e la freccia, se è sottile, sobbalzerà, mentre se è grossa zoppicherà faticosamente. Trazione Oggigiorno noi tendiamo la corda fino all'orecchio destro. Tendere all'orecchio è grandemente lodato, grazie a ciò si può tirare con maggior forza e a distanze maggiori. Nel tiro al bersaglio, la fretta e il tender rapidamente non è né sicuro né tuttavia elegante. Perciò il tender con calma ed in modo uniforme, vale a dire non oscillando la mano ora in alto e ora in basso, ma sempre allo stesso modo, finché si arriva al bordo o spalla della punta, è la cosa migliore sia per efficacia che per eleganza. Mantenimento Il mantenimento della trazione (al punto d'ancoraggio al volto, n.d.t.) non deve esser protratto a lungo, poiché ciò mette l'arco in pericolo ed inoltre rovina il rilascio; esso deve essere breve al punto che possa esser meglio percepito nella mente quando si verifica, piuttosto che visto ad occhio nudo quando si esegue. Rilascio Lo sgancio (scocco), deve essere molto simile. Così rapido e secco da esser privo di ogni intralcio; così dolce e gentile da far volar la freccia non come se fosse gettata fuori da una custodia. La via di mezzo tra questi due estremi, che è lo sgancio perfetto, non è così difficile da mettersi in pratica come lo è da descriversi in un insegnamento. Per il rilascio pulito, devi fare attenzione a non strusciare contro qualsiasi cosa che tu abbia indosso. Per la stessa ragione 23 l'Imperatore Leone ordinava a tutti i suoi arcieri in guerra di avere sia le teste tosate che le barbe rasate, nel caso che i capelli potessero coprir la visuale ed i peli delle loro barbe potessero ostacolare il tragitto della corda. A colui che è in grado di tirare in modo corretto non manca nient'altro che il tirare diritto e il mantener la distanza. Nota di Stefano Benini: E' mia convinzione che con tirar diritto e tenere la distanza Ascham avesse già allora magistralmente e sinteticamente codificato le due coordinate che, presupponendo una tecnica di tiro corretta e costante, sono gli unici due fattori che determinano il punto dove la freccia avrà il suo impatto: per ottenere il centro è necessario che il tiro sia perfettamente in linea con la mezzeria del bersaglio (tirare diritto), ma è altrettanto necessario che oltre a ciò l'arciere dia il "giusto alzo", ossia calcoli la giusta parabola da dare al tiro in relazione ad ogni distanza, che è la seconda coordinata vettoriale necessaria per ottenere il centro, senza la quale il tiro sarebbe o troppo alto o troppo basso, anche se centrale (tenere la distanza). (…) Il peggior nemico del tiro è il vento e la stagione, nei quali risiede la principale causa di ostacolo al vero mantener la distanza. La miglior qualità di un buon tiratore è il conoscer la natura dei venti: a favore e contro, ed in tal modo egli potrà tirare al suo bersaglio con maggior precisione. I buoni tiratori, quando non è possibile colpire il bersaglio, si impegneranno a colpirlo il più vicino possibile. Un buon arciere imparerà a conoscer la natura del vento, e con saggezza egli valuterà nella sua mente di quanto egli dovrà alterare il suo tiro, sia nell'alzo che nella centralità di esso. I saggi arcieri hanno sempre strumenti adatti alla loro forza, ed attendono il clima e la stagione che sian favorevoli alla loro attrezzatura. Perciò se il tempo è troppo brutto ed inadatto al tuo tirare, lascia stare per quel giorno ed attendi che la stagione migliori. Poiché è un folle colui che non va dove la necessità lo conduce. Del (falso) scopo di mira non posso dir bene ciò che dovrei dire. Poiché in uno strano modo esso elimina ogni occasione di gioco sleale, la qual cosa è tutto ciò che vi è di lodevole in questo; tuttavia, a mio parere, esso ostacola la conoscenza del tiro e rende gli uomini più negligenti, il che è deprecabile. Nota di Stefano Benini: L'asse ottico, che ad arco teso al punto d'ancoraggio al volto si trova al di sopra della freccia, rende possibile notarne la punta e collimarla con un punto di riferimento al di sotto del bersaglio, noto anche come falso scopo, o falso punto di mira. A riconferma dell'attualità del pensiero di Ascham egli non lo ammette che in casi eccezionali, e lo considera esattamente per ciò che è: una rinuncia alle proprie facoltà di percezione dello spazio e delle forze in gioco che, unite alla pratica, sono le sole in grado di produrre risultati perché frutto del nostro intero essere e non di banali e spesso ingannevoli sovrapposizioni ottiche. (…) Una volta che la tua freccia è a posto, allora devi impugnar il tuo arco esattamente nel mezzo, altrimenti oltre a perdere il tuo giusto allungo di trazione, metterai l'arco in pericolo di spezzarsi. L'incocco avviene appena dopo, ed è assai della medesima natura. (…) 24 Nota di Stefano Benini: Ascham non menziona mai, nemmeno una volta, il punto d'incocco. Potrebbe sembrare una lacuna, o una trascuratezza tecnica, ma se vi riflettiamo con attenzione ci dovremmo porre questa domanda: "in riferimento a che cosa avrebbero dovuto segnare il punto dove incoccare la freccia sulla corda dal momento che sull'arco non vi era nessuna impugnatura e nemmeno alcuna traccia del benché minimo appoggio per l'asta della freccia?" L'asta poggiava direttamente sulla mano, che a sua volta non aveva alcun riferimento sensibile su cui porsi ma solo un piccolo segno sul fianco dell'arco, che era anche il marchio del costruttore (vedi i reperti della nave inglese Mary Rose, ora al Museo di Portsmouth). Una mano serrata in prossimità di un approssimativo centro dell'arco è in effetti un appoggio troppo empirico per segnare un preciso punto d'incocco sulla corda. (…) Quindi tendi sempre allo stesso modo, sgancia sempre allo stesso modo, mantenendo la tua mano sempre alla stessa altezza per tenere la giusta parabola. Il far caso alla punta della freccia prima del rilascio è il miglior ausilio che vi possa essere per mantenere il giusto alzo di tiro; la qualcosa tuttavia è d'intralcio al tirar in modo eccellente, perché un uomo non può tirare in modo perfettamente diritto se non guarda direttamente il bersaglio. Ora, se tu fai caso diligentemente alle condizioni atmosferiche, mantieni la tua posizione in modo corretto, impugni e incocchi nel giusto mezzo, tendi e scocchi in modo uniforme e costante e mantieni la giusta parabola, non sbaglierai mai il tuo tiro in lunghezza. La principale ragione per la quale gli uomini non riescono a tirare diritto risiede nel fatto che essi guardano l'asta della freccia; e questo errore accade perché ad un uomo non viene insegnato a tirare fin da quand'è giovane. Tener gli occhi sempre sul proprio bersaglio è il solo modo per tirare diritto. L'eleganza è il solo giudice del miglior modo di guardare al bersaglio. L'occhio è la guida, il sovrano ed il soccorritore di tutte le altre parti. La mano, il piede e le altre membra, non osano far nulla senza l'occhio, come è evidente nella notte e negli oscuri anfratti. L'occhio è il vero linguaggio col quale l'intelligenza e la ragione parlano ad ogni parte del corpo, e l'intelligenza non fa in tempo a ricevere un'informazione dall'occhio, che ogni parte è pronta a seguirlo o addirittura prevenirne il comando. Il piede, la mano e tutto il resto fanno affidamento sull'occhio. Perciò un arciere può star certo, imparando a guardare al bersaglio fin da giovane, di tirare sempre diritto. Per imparare a smetterla di guardare all'asta, imparando a guardare al bersaglio, può esser usato questo metodo, che un buon tiratore una volta mi disse di aver praticato. Si esca con l'arco di notte e si tiri a due fonti di luce (torce o candele), ed ecco che in tal modo si sarà obbligati a guardar sempre al bersaglio e mai alla freccia: tale cosa, praticata una volta o due, farà si che uno smetta di guardar la freccia. Per quanto riguarda il tirar con la giusta parabola (su ogni distanza), son certo che i precetti che ti ho dato non ti inganneranno mai. Così che nulla verrà mai a mancare, sia del colpir sempre il bersaglio, oppure del giungervi molto vicino, salvo che l'errore risieda solamente nell'intimo di te stesso, il che può accadere 25 in due modi. O nell'aver poco ardire o coraggio, oppure nell'esser soggetto tu stesso ad esser troppo guidato dalle passioni. Se la mente d'un uomo gli viene a mancare, il corpo, che è governato dalla mente, non potrà mai fare il suo dovere. Se non fosse per la mancanza di coraggio, gli uomini potrebbero eseguire molti più virtuosismi di quanti ne compiono. Tutte le passioni, e in special modo la collera, feriscono sia la mente che il corpo. La mente è cieca in tal maniera, e se la mente è cieca non può governare il corpo nel modo giusto. Il corpo, di sangue e di ossa come si suol dire, viene sviato dal suo giusto corso e ragion della collera. Per cui un uomo diviene privo della sua giusta forza e non può perciò ben tirare. Riferimenti bibliografici: 1. Ascham Roger, Toxophilus. La scuola del tiro, Greentime Spa, 1999 2. Bartlett Clive, Embleton Gerry, English longbowman 1330-1515, Osprey Military, Warrior Series n. 11, 1995 3. Hansard George Agar, The Book of Archery, Henry G. Bohn, London 1841 4. Hardy Robert, Longbow, storia civile e militare dei lunghi archi, Palutan Editrice, 1992 5. Morse Edward S., Ancient and moder methods of arrow-release, Bulletin of the Essex Institute, vol XVI. Oct-Dec. 1885 6. Rausing Gad, The bow, some notes on its origin and development, Lund 1967, Berlingska Boktryckeriet San Secondo Parmense (PR), 18 aprile 2004. 26 ALLEGATO 3 Note sulla respirazione diaframmatica: Una buona respirazione, che si avvale dell'utilizzo consapevole del diaframma, favorisce l'aumento della capacità polmonare, genera un miglioramento posturale, l'aumento dell'afflusso sanguigno, l'eliminazione delle tossine e porta ad un miglioramento delle funzionalità degli organi interni interessati alla digestione. Inoltre, una respirazione lunga e profonda è particolarmente efficace in situazioni di stress ed ansia. Nel Tai Chi la respirazione si basa proprio sull'attività del diaframma, muscolo a forma di cupola posizionato tra la cavità toracica e quella addominale. Espandendo e richiamando le fasce addominali si favorisce il movimento del diaframma che, scendendo e risalendo, sviluppa un'efficace azione respiratoria in sinergia con i polmoni. E' fondamentale che la respirazione segua il proprio ritmo naturale. Ciò premesso bisogna tener conto che mentre alcune posizioni sono di facile apprendimento ed è quindi semplice eseguirle applicando una respirazione lunga e profonda, altre posizioni più complesse richiedono una buona dose di coordinazione. Va da sé che, durante e le prime fasi di apprendimento delle posizioni più impegnative, sia necessario concentrare la propria attenzione sul controllo dei movimenti, piuttosto che sul respiro. In un secondo tempo, quando la posizione è stata acquisita e fatta propria, è possibile sviluppare maggior attenzione al ritmo del respiro. Per capire come respirare durante l'esecuzione delle posizioni di Tai Chi ci si può rifare al loro significato originario in relazione alle applicazioni marziali. Conoscendo il significato delle tecniche eseguite (parate, spinte, leve, ecc.) si può facilmente associare la respirazione rispettando i canoni fondamentali. In genere quando si inspira si è in difesa, l'ossigeno riempie la cassa toracica e crea una camera d'aria che protegge gli organi vitali ammortizzando eventuali colpi ricevuti. In fase di espirazione si portano invece le tecniche di contrattacco. Praticare a coppie le tecniche marziali, anche a velocità rallentata, favorisce lo sviluppo consapevole del proprio respiro. Da un punto di vista salutistico la respirazione, basata sul movimento del diaframma, favorisce la concentrazione nel nostro centro (Tan Tien) dell'energia acquisita durante l'atto dell'inspirazione. Qui essa viene trasformata e reindirizzata, durante l'espirazione, nel resto del corpo. Nelle tecniche di difesa personale, invece, l'intenzione (Yi) può guidare parte dell'energia verso l'esterno. Infatti, da un punto di vista marziale, le fasi della respirazione sono normalmente caratterizzabili in questo modo: l’inspirazione protegge e ci carica di energia, l’espirazione accompagna le tecniche di contrattacco in cui parte dell'energia è destinata al concretizzarsi dell’azione. 27