INDAGINI SUI PARAMENTI MURARI ESTERNI DEL DUOMO DI PISA

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INDAGINI SUI PARAMENTI MURARI ESTERNI DEL DUOMO DI PISA
INDAGINI SUI PARAMENTI MURARI
ESTERNI DEL DUOMO DI PISA: RAPPORTO
PRELIMINARE
di
P. FABIANI, A. MENNUCCI, C. NENCI
I saggi raccolti nella recente monografia sul Duomo di
Pisa, curata da Adriano Peroni, forniscono un quadro estremamente completo delle vicende architettoniche e degli
apparati decorativi dell’edificio dall’epoca della sua fondazione fino ad oggi (Il Duomo di Pisa 1995). I risultati ivi
raggiunti nella definizione delle principali fasi costruttive
hanno resa necessaria, tuttavia, la formulazione di un progetto di indagini specialistiche sulle strutture murarie, le
cui linee principali sono illustrate da Roberto Parenti in un
suo contributo pubblicato di recente (FABIANI-MENNUCCI
PARENTI 1997).
Come punto di partenza per tali nuove ricerche sono
state scelte le pareti esterne del corpo delle navate dal momento che su di esse stata accertata la presenza di una cesura che indubbiamente indicativa di un prolungamento dell’edificio originario verso ovest. L’attendibilità di tale allungamento risulta dimostrata, infatti, oltre che dai resti delle
fondazioni della facciata primitiva, tuttora ispezionabili all’interno di pozzetti presenti nel pavimento della navata
centrale e della navatella esterna nord in prossimità delle
terze colonne da ovest, anche dal cambiamento del tipo di
materiali e/o dell’apparecchio murario visibili su entrambi
gli alzati in corrispondenza della quinta arcata inferiore a
partire dalla facciata attuale, nonché dalle differenze formali riscontrabili nella decorazione degli elementi architettonici e delle tarsie delle relative porzioni parietali. Le indagini mineralogico-petrografiche, stratigrafiche e sulle tecniche di lavorazione dei materiali lapidei in corso su entrambi i prospetti permetteranno, dunque, di precisare meglio le caratteristiche e i processi costruttivi di due differenti cantieri: quello buschetiano a cui, secondo quanto emerge dall’analisi condotta da Peroni sul monumento, si deve
la realizzazione dell’intero corpo orientale, compresi la cupola e i transetti, e di quella parte del corpo delle navate
situata ad est della suddetta cesura, e quello rainaldiano al
quale attribuibile il prolungamento e l’attuale facciata. Sulla base dell’analisi delle murature dell’edificio buschetiano
e del suo apparato ornamentale, Peroni ha ipotizzato infatti
una successione di fasi di cantiere, cronologicamente collocabili tra il 1064, anno della fondazione come risulta dall’epigrafe sulla facciata attuale, e gli anni immediatamente
successivi al 1110, data dell’ultima attestazione dell’architetto, che vedono, dopo il tracciamento planimetrico e la
realizzazione delle relative fondazioni , il procedere del
cantiere sia secondo l’asse longitudinale, ossia dalla primitiva facciata verso est e poi dalla tribuna maggiore verso
ovest, che secondo quello ad esso ortogonale, ovvero dall’abside del transetto meridionale verso nord. Tale sistema
può aver consentito, infatti, la progressiva collocazione delle
colonne interne e, di conseguenza, la costruzione di quei
diaframmi sui quali doveva impostarsi la grande cupola. Le
notevoli differenze formali riscontrate soprattutto nei capitelli, nelle cornici e nelle tarsie del prolungamento e della
facciata hanno indotto lo studioso a ritenere, concordemente con quanto sostenuto in altre parti del volume da coloro
che si sono occupati della facciata e della decorazione architettonica dell’esterno, che tale aggiunta sia stata compiuta ad una certa distanza di tempo dall’interruzione, provocata probabilmente dalla morte di Buscheto, del precedente cantiere. L’inizio dei lavori di ampliamento progettati da Rainaldo, celebrato anch’egli in un’epigrafe della facciata, potrebbe collocarsi pertanto intorno agli anni quaranta del XII secolo, mentre per la loro conclusione un sicuro
termine di riferimento costituito dalla data 1180 documentata sui perduti battenti bronzei realizzati da Bonanno per
la porta maggiore della facciata.
I risultati preliminari delle indagini sui fianchi sud e
nord, che qui presentiamo, riguardano l’individuazione dei
litotipi, il rilevamento delle tracce di lavorazione e la definizione di alcune unità stratigrafiche dell’ordine inferiore.
All’interno di queste ultime sono stati identificati inoltre
gli spolia di età romana e altomedievale, le iscrizioni, alcuni interventi di sostituzione dei conci e delle membrature
architettoniche, nonché le tracce relative alla presenza di
strutture e di elementi decorativi non più esistenti.
I LITOTIPI
Le metodologie utilizzate per le analisi sono strettamente
di carattere geologico-petrografico. Data l’origine sedimentaria di gran parte delle rocce indagate sono state utilizzate
principalmente le metodologie della geologia stratigrafica
(individuazione delle strutture sedimentarie, caratterizzazione delle microfacies in sezione sottile e determinazione
dei fossili per le datazioni). Le strutture sedimentarie osservate sui conci e le microfacies di 25 campioni prelevati dai
fianchi del Duomo sono state confrontate con le strutture
sedimentarie osservate nei siti indicati nel testo come possibili zone di provenienza, e con le microfacies di 40 campioni in questi siti prelevati.
Le analisi hanno permesso di individuare quattro litotipi maggiori.
Marmo di San Giuliano – Calcari metamorfici (marmi) di
varie tonalità dal bianco al grigio medio con vene dolomitiche giallastre. In sezione sottile presentano tessitura
cristalloblastica con cristalli di calcite di dimensioni comprese tra 0,010 e 0,040 mm. Costante e caratteristica la presenza di dolomite, in cristalli di dimensioni maggiori, sia
concentrata in vene che diffusa nella massa calcitica. La
formazione di riferimento e quella dei “Calcari Ceroidi”
(RAU-TONGIORGI 1974), mentre la cava di provenienza probabilmente quella situata a sud del paese di San Giuliano
Terme (PI), come ipotizzato da FRANZINI 1993.
Calcari a Rhaetavicula contorta – Calcari di colore grigio
scuro, grigio chiaro all’alterazione superficiale, con saltuarie intercalazioni marnose di colore giallastro. Presentano
strutture sedimentarie (intensa bioturbazione, laminazioni
di tipo stromatolitico, accumuli bioclastici in corpi
canalizzati, croste arrossate ad andamento ondulato) e
microfacies (wackestones bioturbati con ostracodi, oogoni
di Caracee, coproliti di crostacei e packstones-wackestones
con ooidi ferruginosi, resti organici diagenizzati e
Frondicularie primitive) tipiche del Trias superiore (Retico) in ambiente deposizionale di laguna-piana tidale. La formazione di riferimento quella dei “Calcari a Rhaetavicula
contorta Auctt.”, che caratterizza le serie stratigrafiche di
tipo toscano e umbro-marchigiano al Retico, con caratteristiche pressoché costanti dal Golfo di La Spezia all’Umbria. La zona di provenienza probabilmente individuabile
alla base Monti Pisani (Caprona) o dei Monti d’Oltre Serchio (Avane).
Calcari Palombini – Calcari di colore grigio plumbeo, bruno-giallastri o più raramente grigio chiaro-biancastri per
alterazione superficiale. Presentano un fitto mosaico di sottili fratture spaziate di pochi mm mineralizzate in calcite.
In sezione sottile si tratta di Wackestones biomicritici contenenti radiolari, spicole di spugna, rari foraminiferi planctonici e piccoli frammenti calcitici non determinabili. Molti
campioni presentano un abbondante contenuto in quarzo e
sempre abbondante la pirite, responsabile dell’ingiallimento
superficiale. I preparati per l’osservazione del Nannoplancton calcareo hanno rivelato la presenza di associazioni del
Cretaceo inferiore. Questo litotipo riferibile alla formazio-
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ne delle “Argille a Palombini Auctt.”, ben conosciuta in tutto
l’Appennino centro-settentrionale come copertura sedimentaria dei complessi ofiolitici nelle serie stratigrafiche di tipo
Ligure interno. Il materiale proviene probabilmente da affioramenti sulla zona costiera a sud di Livorno.
Calcari Selciferi – Calcari di colore grigio scuro, grigio chiari
per alterazione superficiale, con abbondante selce nera in
liste e noduli. Conservano sui conci strutture sedimentarie
(varie parti della sequenza di Bouma) indicative di deposizione tramite correnti di torbida. La microfacies più ricorrente data da Wackestones biomicritici contenenti abbondanti radiolari e spicole di spugna Appartengono alla formazione dei “Calcari selciferi della Val di Lima” (BOCCALETTI et Al. 1969), definita in precedenza “Calcari grigio
scuri con selce nera” da GIANNINI-NARDI 1965; si tratta di
calcari di mare profondo (bacinale) deposti tramite meccanismi di tipo torbiditico (vedi FAZZUOLI 1980), contenenti
risedimenti provenienti da aree di piattaforma carbonatica.
Provengono verosimilmente dalle cave situate alla base di
Monte Bastione nei pressi di Vecchiano (PI).
Il Marmo di San Giuliano ed i Calcari a Rhaetavicula
contorta sono sicuramente i litotipi più abbondanti; essi
caratterizzano quasi per intero la cinque arcate occidentali
(prolungamento della facciata) e le porzioni superiori (mediamente dal primo ordine di finestre alla sommità) di entrambi i fianchi. La loro alternanza conferisce la tipica dicromia chiaro-scuro alla Cattedrale (nonché agli altri monumenti della Piazza dei Miracoli e probabilmente a molti
altri edifici religiosi medioevali pisani). I Calcari selciferi
ed i Calcari palombini sono invece usati massicciamente
soltanto nella parte bassa delle 10 arcate orientali (dai transetti al prolungamento della facciata). L’ingiallimento superficiale dei Calcari palombini conferisce a questa parte
dell’opera un aspetto quasi “rugginoso” che risalta cromaticamente rispetto al resto della costruzione.
Parallelamente sono stati individuati alcuni litotipi presenti in quantità decisamente minori quali Marmi apuani di
diverse qualità e cromatismi (interpretabili probabilmente
come reimpieghi o sostituzioni posteriori), Calcari nodulari
rossi appartenenti alla formazione del “Rosso Ammonitico
Auctt.” e Serpentiniti verdi appartenenti ai complessi ofiolitici delle serie stratigrafiche di tipo ligure interno. I calcari rossi e le serpentiniti verdi sono frequentemente associati
ai Marmi di San Giuliano e ai Calcari a Rhaetavicula contorta nelle decorazioni e nelle tarsie.
LA LETTURA STRATIGRAFICA
Anche focalizzando l’attenzione soltanto su di una porzione del fianco meridionale della Cattedrale e limitandoci
a proporre le osservazioni effettuate su quella parte che
possibile indagare da terra, risulta comunque possibile proporre una serie di dati che sembrano trovare riscontri anche
sul lato nord del corpo centrale e sui transetti.
In una recente comunicazione (FABIANI-MENNUCCI-PARENTI 1997) era già stata evidenziata la corrispondenza fra
uso dei materiali da costruzione e attrezzatura degli scalpellini ma, quello che più ci preme analizzare, in questa
sede, ciò che si riesce a comprendere circa il divenire del
cantiere ed alla reale portata di alcuni degli interventi di
restauro.
Su tutto il tratto interessato dalla lettura stratigrafica,
ad eccezione del prolungamento verso la facciata, si nota
una partizione in quattro fasce principali; le due inferiori,
entrambe caratterizzate da superfici lavorate con attrezzi a
punta e rispettivamente costituite da calcari palombini (USM
1-7) e da calcare selcifero (USM 8-14), risultano, in base
alla cronologia relativa, le porzioni più antiche. Se si esclude la differenza dei materiali da costruzione tutti i parametri osservati per la caratterizzazione delle tecniche costrut-
tive (apparecchiatura, posa in opera, spessore dei giunti e
dei letti di posa, lavorazione degli elementi e finitura delle
superfici), tenderebbero a far ritenere le due fasce frutto di
un’unica attività costruttiva in cui sarebbe da far rientrare
anche la USM 35, realizzata ancora con calcari palombini,
individuabile, nella specchiata più prossima al prolungamento del fianco verso la facciata, al di sopra della zona
realizzata con il calcare selcifero.
Un mutamento evidente delle tecniche adottate all’interno del cantiere della Cattedrale si ha con la realizzazione
della fascia soprastante (USM 58, 36-38, 40-42) (Fig. 6).
Ai nuovi materiali impiegati, il calcare a rhaetavicula contorta ed il marmo di San Giuliano concentrato, quest’ultimo, nella definizione di un filare intermedio evidenziato
dal tratteggio, corrisponde una maggiore cura nella squadratura dei pezzi ed una finitura più accurata che, dopo la
definizione di un nastrino perimetrale, asporta la bugna
aggettante con una martellina dentata impiegata già con
notevole perizia.
È probabilmente questo il momento in cui si procedette
alla messa in opera delle lesene secondo una pratica ancora
non del tutto chiara; se la non corrispondenza dei filari delle specchiate di muratura delle due fasce lavorate con attrezzi a punta, al di la delle paraste, ci porta ad ipotizzare
una predisposizione per la loro realizzazione fin dalle prime attività di cantiere, la modalità di inserimento delle USM
102 e 103 (si veda quanto detto in MENNUCCI 1997) mostrano la contemporaneità di questa azione costruttiva con la
realizzazione delle due porzioni più alte del fianco.
Nonostante queste osservazioni non ancora possibile
proporre certezze assolute per la soluzione di questo problema; il reimpiego di materiale classico (USM 137, 138)
ed alcune soluzioni tecniche, come l’utilizzo del marmo di
Carrara spesso associato a tracce di attrezzi a lama piana
analoghe a quelle che si rilevano sulle superfici dell’abside, non consentono di esaurire l’argomento alla luce delle
conoscenze attuali.
Analogamente a quanto osservato per le due fasce inferiori, anche la separazione delle due superiori non appare
come risultato di un trapasso netto ma risulta, invece, evidenziata da una diversa organizzazione dei materiali da
costruzione; la dicromia derivante dall’alternanza di filari
in marmo di San Giuliano e di calcare a rhaetavicula contorta, appena accennata nella parte sottostante, trova ampio
sviluppo nel tratto in cui si aprono le monofore ed i rombi
gradonati.
In alcuni casi, anzi, la corrispondenza delle tecniche
costruttive pone non poche difficoltà nell’individuazione
di un limite stratigrafico evidente fra le due parti (si vedano
i rapporti intercorrenti fra le USM 41 e 71).
Un altro aspetto di non secondaria importanza quello
relativo ai restauri; sostituzioni, integrazioni e nuova lavorazione di alcuni tratti dei paramenti hanno interessato, nel
tempo, in maniera talvolta anche consistente, le superfici della
cattedrale. Il nodo relativo all’individuazione di tali interventi
si presenta non privo di problemi sia per la perizia delle
maestranze che per la volontà di non rendere immediatamente riconoscibili le manomissioni e la loro portata.
Grazie soprattutto alle tracce lasciate dagli utensili degli scalpellini possibile, comunque, evidenziare alcune aree
sicuramente interessate da operazioni di manutenzione. La
sostituzione delle gradule, ad esempio, attestata anche da
alcune testimonianze fotografiche (si veda il paragrafo successivo al punto 3), chiaramente rilevabile anche dall’indagine condotta a diretto contatto con il “dato materiale”; la
superiore (USM 96, 75, 78, 81, 84, 87, 90, 93), realizzata in
calcare selcifero, presenta tracce di gradina non riscontrabili in nessun’altra parte del monumento ad esclusione del
paramento a contatto con questa (USM 95, 74, 77, 80, 83,
86, 89, 92), l’inferiore (USM 123), costituita da marmo di
San Giuliano e da marmo di Carrara, risulta rifinita con una
bocciarda. L’uso congiunto dei due attrezzi osservabile
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Fig 1 – Marmo di San Giuliano. Sezione sottile petrografica. Calcare
metamorfico a tessitura cristalloblastica, con cristalli di dolomite
dispersi nella massa calcitica. 12, 8X (dia originale); NX.
Fig. 2 – Calcari a Rhaetavicula contorta. Sezione sottile
petrografica. Packstone biomicritico con resti organici non
determinabili e Frondicolaria sp. 12, 8X (dia originale); NP.
Fig. 3 – Calcari Palombini. Sezione sottile petrografica. Calcare
micritico finemente ricristallizato con abbondante quarzo. 32X
(dia originale); NX.
Fig. 4 – Calcari Selciferi. Sezione sottile petrografica. Wackestone
biomicritico con Radiolari e spicole di spuna. 12, 8X (dia
originale); NP.
Fig. 5 – Fianco sud. Particolare. Lettura stratigrafica della porzione inferiore.
invece sulle basi delle lesene (USM 106, 108, 110, 116,
118, 120, 122), prolungate al momento della riduzione del
numero dei gradini della scalinata che circonda la Cattedrale.
Tracce di bocciarda, anche riferibili ad attrezzi diversi,
grazie alle differenziazioni della dentatura, sono inoltre ri-
conoscibili su innumerevoli porzioni dell’edificio, sia limitate a superfici di pochi centimetri quadrati o a singoli conci che a vaste porzioni di muratura.
Un problema più complesso legato, infine, all’uso della martellina dentata impiegata, a quanto sembra, anche dai
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restauratori, pur con tecniche e dentature in parte diverse
da quelle adottate dai costruttori medievali. Il paramento
della quinta arcata del fianco sud, partendo dalla facciata,
da cui fu asportato, prima del 1833 (si veda il paragrafo
successivo al punto 8), un blocco con iscrizione, risulta fortemente rilavorato; dunque probabile che, in seguito all’integrazione del vuoto venutosi a creare sia stata nuovamente
“martellinata” anche la rimanente superficie come parrebbero dimostrare anche alcune foto (Il Duomo di Pisa 1995,
fig. 30 p. 45 e figg. 120a, b, c, d, e, pp. 169-173) in cui la
specchiata in questione risalta, rispetto alle altre, per una
maggiore bianchezza.
Per ciò che concerne l’attrezzatura impiegata dai restauratori, comunque, il paramento dell’ultima arcata verso est
del transetto meridionale può fornire interessanti indicazioni;
su alcuni dei conci che compongono questo tratto sono riconoscibili tracce recenti, non ancora interessate dalle alterazioni superficiali, relative ad uno strumento a lama piana
impiegato in maniera piuttosto grossolana, ad una martellina dentata e ad una bocciarda. L’impressione che si ricava
che dopo aver sperimentato vari utensili si sia proceduto ad
una nuova finitura di parte della superficie con l’attrezzo
che meglio rispondeva alle esigenze contingenti: la martellina dentata.
SPOLIA, ISCRIZIONI, SOSTITUZIONI
Dagli elementi di reimpiego, dalle iscrizioni e da alcune tracce di strutture presenti nell’ordine inferiore dei prospetti esterni sud e nord del corpo delle navate possibile
trarre alcune informazioni utili per l’identificazione, la caratterizzazione e la determinazione cronologica delle unità
stratigrafiche. L’attuale distribuzione degli spolia e le notizie relative ai pezzi rimossi in passato permettono, infatti,
sia di valutare l’incidenza di tali elementi nelle diverse fasi
di cantiere, sia di delimitare quelle zone del paramento sicuramente interessate da restauri. Parimenti, le iscrizioni
forniscono non soltanto informazioni riguardo a tal genere
di interventi, ma anche, nei casi in cui sia stato possibile
identificare storicamente il personaggio ricordato, appigli
cronologici per le unità stratigrafiche. Un contributo simile
fornito, inoltre, per il fianco sud, da alcune tracce relative
probabilmente alla copertura di un chiostro, la cui esistenza
attestata da documenti (Il Duomo di Pisa 1995; BANTI
1996). Spolia, iscrizioni, tracce di strutture e di elementi
decorativi mobili risultano così distribuiti:
Fianco sud
1. Iscrizione molto consunta di difficile lettura incisa su due
blocchi del basamento del pilastro d’angolo.
2. Iscrizione incisa, intorno al 1310, su tre conci del pilastro
angolare a ricordo di alcune opere commissionate dall’Operaio Burgundio di Tado.
3. Lastra marmorea con iscrizione di Burgundio di Tado risalente al 1300, che commemora la realizzazione intorno al Duomo di un ampio basamento su cinque gradini e la collocazione
di una cornice figurata, le cosiddette “gradule”, ad ornamento
della parte inferiore dei muri perimetrali. Quest’ultima, la cui
altezza doveva aggirarsi intorno ai 60 cm, fu rimossa tra il
1857 e il 1859 nel corso dei lavori progettati dall’Ing. Pietro
Bellini per l’abbassamento del basamento. In occasione di tali
lavori lungo il fianco meridionale fu regolarizzato il livello
delle basi delle lesene, per cui alcune lesene furono allungate
inserendovi nuovi conci, furono sostituite alcune basi e fu posta in opera una nuova zoccolatura. Testimoni della situazione
precedente sono un dagherrotipo databile al 1846, circa, della
collezione di John Ruskin ed un rilievo della parte basamentale eseguito da George Rohault de Fleury nel 1859 (Il Duomo
di Pisa 1995, I, figg. 29, 120a). Quest’ultimo, in particolare,
Fig. 6 – Fianco sud. Particolare della zona di passaggio fra i
paramenti lavorati con attrezzi a punta e quelli rifiniti con una
martellina dentata.
fornisce precise indicazioni sui differenti livelli originari delle
basi.
4. Serie di ganci metallici, presenti lungo tutto il perimetro del
Duomo, ai quali veniva appesa la cosiddetta “cintola” nel giorno
dell’Assunta. Si trattava di un lungo nastro di seta rossa su cui
erano applicate decorazioni in argento e gemme. Il prezioso
oggetto, al quale forse appartengono alcune placchette in argento smaltato conservate nel Museo, risulta attestato per la
prima volta nel 1313, ma non rimase integro per molto tempo;
già nel Quattrocento, infatti, la sua lunghezza doveva essere
notevolmente ridotta.
5. Copia dell’iscrizione celebrativa del pergamo di Giovanni
Pisano e del suo committente, Burgundio di Tado, eseguita su
un concio delle medesime dimensioni di quello su cui incisa
l’epigrafe originale. Quest’ultima, gravemente danneggiata da
un colpo di artiglieria nel 1944, fu trasportata in Camposanto
nel 1963.
6. Iscrizione sepolcrale di un personaggio di nome Stantio risalente probabilmente alla seconda metà del sec. XII.
7. Frammenti marmorei altomedievali reimpiegati come basi
d’imposta della ghiera della finestra.
8. Blocco di marmo (USM 137) con frammento di iscrizione
romana sul lato orientale della lesena. Dal paramento dell’arcata attigua (la 5° a partire dalla facciata) e dalla medesima
lesena, probabilmente, furono tolti prima del 1833 un frammento di fregio in marmo (ora al Museo) e un blocco di granito grigio con iscrizione (attualmente in Camposanto) di epoca
romana. Al posto di quest’ultimo furono allora inseriti alcuni
conci di differenti dimensioni, mentre nella zona del fregio
furono effettuate più consistenti sostituzioni (USM 97). Nell’inventario del Camposanto, compilato da Carlo Lasinio nel
1833, si ricorda, infatti, che quando fu rimosso il frammento
«fu fatto un grande sbrano di marmi per accomodare piccola
fissura».
9. Blocco di marmo con frammento di iscrizione romana (USM
138).
10. Mensole (USM 133, 135) e incavi per l’alloggiamento
dell’orditura lignea del tetto del chiostro visibili lungo i lati
minori delle lesene. L’esistenza di un chiostro dei canonici attestata da documenti del 1100 e del 1133.
11. Serie di lettere incise sulla scozia della base marmorea (USM
122), di difficile interpretazione. Un sepoltuario redatto all’epoca della rimozione delle “gradule” testimonia che tale iscrizione e quelle presenti su alcune basi limitrofe e sul basamento
dell’ultima arcata verso il transetto furono allora “rifatte a imitazione delle primitive” su nuovi elementi marmorei.
12. Iscrizione sepolcrale incisa in parte sulla bozza inferiore
della lesena e in parte sulla scozia della relativa base. Quest’ultima risulta sostituita in occasione dei suddetti lavori al
basamento del Duomo. Le prime due righe dell’iscrizione, pro-
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Fig. 7 – Fianco sud. Fotogrammetria con indicazione degli spolia, iscrizioni e sostituzioni.
babilmente originali, si riferiscono ad un personaggio, Guido
di Ungarello, della nobile famiglia pisana da San Casciano,
morto dopo il maggio del 1125, mentre nella riga novicia ricordato un altro personaggio, forse appartenente alla medesima famiglia, di nome Riccardo.
13. Iscrizione sepolcrale, estesa su tre conci del paramento
dell’arcata, relativa alla famiglia dei conti della Gherardesca, i
quali a partire dall’ultimo quarto del XII secolo assunsero il
titolo di Conti di Settimo. Con tale titolo sono infatti qui ricordati.
14. Iscrizione sepolcrale incisa sulla scozia della base della
lesena. Anche in questo caso l’iscrizione risulta ripetuta su una
base moderna al momento della sistemazione del basamento.
Il personaggio da essa ricordato, Transmundo di Leone, può
forse essere identificato con un testimone che compare in alcuni atti di compravendita degli anni 1116-1136.
15. Blocco di marmo probabilmente pertinente ad un’architrave romano.
16. Gola rovescia con frammento di fregio del II sec. d.C. reimpiegata come architrave della porta.
17. Iscrizione sepolcrale, presente sul basamento dell’arcata,
relativa ad un personaggio di nome Melio. Nel suddetto
sepoltuario essa menzionata tra quelle nuovamente incise nel
corso dei lavori di restauro eseguiti alla metà dell’Ottocento
ma, per tipo di incisione e per i caratteri epigrafici, sembra
essere originale e databile agli ultimi decenni del XII secolo.
Un Riccardus quondam Melii, forse figlio del defunto, risulta
a capo dell’Opera del Duomo nel 1125.
Fianco Nord
18. Piccolo animale alato, con una croce sulla testa, inciso nella parte inferiore della lesena. Al di sopra di esso sono visibili
due piccole lettere capitali, B e C, di difficile interpretazione.
19. Blocco di marmo, con iscrizione romana sul lato orientale
della lesena, pertinente ad una base di statua. Dell’epigrafe
visibile solo la parte destra, mentre la sinistra inserita all’interno del muro. Quest’ultima fu messa in luce, tuttavia, nel
1932 rimuovendo alcune bozze del paramento. In tale occasione fu rinvenuta anche, all’interno della muratura, una cassetta di legno contenente alcune ossa ed un documento cartaceo del 1604 che attestava la loro provenienza da un sarcofago
in pietra di un certo C. Saturio. Tale sarcofago, infatti, era stato
allora rimosso dalla sua collocazione originaria, all’interno della
chiesa in corrispondenza della lesena esterna, e trasportato in
Camposanto (Archivio Soprint. Pisa, G 28/1).
20. Frammento di ara o di piedistallo romano in marmo con
iscrizione sul lato orientale della lesena.
21. Frammento di pilastro in marmo di età augustea.
22. Frammento di architrave in marmo del II sec. d.C.
23. Iscrizione sepolcrale incisa su un concio della lesena. L’epigrafe, che riporta il nome del defunto in forma abbreviata,
Ba(m)bo, si riferisce probabilmente ad Ildebrando di Bambone,
console a Pisa negli anni 1164, 1169, 1180 e 1188. È questo
l’unico caso in cui possibile collegare l’iscrizione ad uno dei
sarcofagi antichi conservati in Camposanto poiché sul suo coperchio compare il medesimo nome.
CONCLUSIONI
Se ancora non ci possibile fornire risposte definitive
circa gli interrogativi fondamentali che costituiscono i presupposti della ricerca, la reale portata, le tecniche costruttive in uso ed i processi di edificazione attuati dai due differenti
cantieri, quello di Buscheto e quello di Rainaldo, i primi risultati delle indagini ancora in corso consentono, comunque, di
mettere a fuoco alcuni problemi e di aggiustare gli “strumenti” in nostro possesso al fine di migliorare la qualità delle
osservazioni effettuate a diretto contatto con il Duomo.
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Fig. 8 – Fianco nord. Particolare con indicazione degli spolia, iscrizioni e sostituzioni.
Un primo interrogativo riguarda l’introduzione dell’attrezzo a lama dentata; ci chiediamo, infatti, se la comparsa
delle sue tracce, associata anche ad un mutamento nella scelta dei materiali lapidei, attesti una scansione delle attività
costruttive, differenziata dalle soluzioni adottate sulle porzioni inferiori e prossima alle scelte che avrebbero condotto al prolungamento dei fianchi ed alla realizzazione della
facciata, o se, piuttosto, non si debba ipotizzare una sorta di
sperimentazione di tecniche innovative già sul cantiere
buschetiano, destinate a sostituire quelle che, fino ad allora, avevano costituito il sapere delle maestranze di area pisana. A conferma di questa seconda ipotesi sono da citare i
paramenti della porzione inferiore del fianco settentrionale, nei tratti di passaggio fra le porzioni realizzate in calcari
palombini-calcare selcifero a quelle in calcare a rhaetavicula-marmo di San Giuliano in cui, di frequente, l’impiego dei diversi materiali e dei due attrezzi risulta contemporaneo. Se non vorremo interpretare tale situazione come
derivante dal riutilizzo di elementi lapidei già finiti e pronti
all’uso, potremo cominciare ad ipotizzare l’attestazione di
una evoluzione tecnica in pieno svolgimento.
L’individuazione degli spolia e dei pezzi di sostituzione, confrontata con quanto ci consentito di evincere dalle
fonti, permetterà, inoltre, di caratterizzare con certezza le
modalità e le tecniche del restauro oltre che di chiarire i
rapporti che intercorrono fra le lastre del rivestimento esterno
dell’abside, alcuni degli elementi costituenti le lesene ed i
vari reimpieghi provenienti da edifici di età classica su cui
si incontrano tracce di strumenti a lama piana. Ancora oggi,
infatti, non chiaro se attrezzi di questo tipo facessero parte
del bagaglio culturale degli antichi maestri di pietra o se,
piuttosto, non si tratti di interventi di rilavorazione effettuati dagli scalpellini medievali.
La completa definizione di queste problematiche sarà
dunque possibile soltanto dopo che, estendendo le indagini
anche alle altre parti del monumento e, possibilmente, anche agli altri edifici presenti sulla piazza, saranno state verificate le ipotesi già formulate in proposito da Peroni, anche in relazione a quanto ipotizzato da Boeck (BOECK 1981;
BOECK 1988).
BIBLIOGRAFIA
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