Indice - Chiesa Cattolica Italiana

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Notiziario – Ufficio Nazionale per l’Educazione, la Scuola e l’Università
n. 1 – Gennaio 2007 – Anno XXXII
AIMC, DISAL
E
UCIIM
in collaborazione con
l’Ufficio Nazionale della CEI per l’educazione, la scuola e l’università
CONVEGNO NAZIONALE
PER
DIRIGENTI SCOLASTICI
Dirigenza scolastica:
nuove responsabilità ed alleanze educative
Chianciano (SI), 26-28 ottobre 2006
GIOVEDÌ 26 OTTOBRE 2006
Presentazione
A cura di AIMC, DiSAL, UCIIM. . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
6
Introduzione
Roberto Pelegatta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
7
Comunità scolastiche e sfide educative
Diego Coletti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11
Le emergenze educative interpellano la scuola
Antonio Mazzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 17
Le problematiche dei sistemi formativi negli scenari
internazionali
Giovanni Biondi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 22
VENERDÌ 27 OTTOBRE 2006
La funzione direttiva nella scuola:
problemi e prospettive
Cesare Scurati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 36
LAVORI DI GRUPPO
Gruppo 1 e 2: Formazione e reclutamento
Sintesi a cura di Luigi Boscolo e Graziano Biraghi. . . . pag. 52
Gruppo 3: Valutazione del Dirigente scolastico
Sintesi a cura di Caterina Manco. . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 57
1
INDICE
Gruppo 4: Valutazione del Dirigente scolastico
Sintesi a cura di Giuliana Colombo . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 59
Gruppo 5: Progettualità di scuola
Sintesi a cura di Anna Maria Bianchi . . . . . . . . . . . . . . pag. 60
Gruppo 6: Progettualità di scuola
Sintesi a cura di Giovanni Villarossa. . . . . . . . . . . . . . . pag. 63
Gruppo 7 e 8: Rapporti con soggetti sociali
ed Enti locali
Sintesi a cura di Francesco Castronuovo
e Michele De Maria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 65
SABATO 28 OTTOBRE 2006
La scuola come impresa sociale.
Imprenditorialità, rischio e innovazione
Angelo Paletta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 68
Le nuove responsabilità del dirigente scolastico tra
disorientamenti di sistema e prospettive dell’autonomia
Gian Candido De Martin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 86
Chi è il buon dirigente?
Giancarlo Battistuzzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 95
La dirigenza scolastica nel quadro del declino
del sistema scolastico italiano e della sua gestione.
Una interpretazione e alcune proposte
Rosario Drago . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 100
Saluto conclusivo
Bruno Stenco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 121
Intervento conclusivo
Mariangela Prioreschi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 124
Intervento conclusivo
Roberto Pelegatta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 126
Intervento conclusivo
Luciano Corradini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 129
Documento finale
Per una nuova “direzione” delle scuole dell’autonomia pag. 132
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INDICE
AIMC, DiSAL e UCIIM
in collaborazione con
l’Ufficio Nazionale della CEI per l’educazione,
la scuola e l’universià
Convegno Nazionale
per Dirigenti Scolastici
DIRIGENZA SCOLASTICA:
NUOVE RESPONSABILITÀ
ED ALLEANZE EDUCATIVE
Chianciano (SI), 26-28 ottobre 2006
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
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iovedì 26 ottobre 2006
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Presentazione
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Introduzione
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Comunità scolastiche e sfide educative
•
Le emergenze educative interpellano la scuola
•
Le problematiche dei sistemi formativi negli scenari internazionali
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
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resentazione del Convegno
A cura di AIMC, DiSAL e UCIIM
Dirigere un istituto, statale o paritario che sia, è uno dei compiti più importanti e delicati che ci possano essere nella scuola di
oggi. Le riforme avviate e mai completate hanno in questi anni spesso marginalizzato questa figura, lasciando la sua definizione ai
provvedimenti amministrativi, ma più spesso ai tavoli della contrattazione sindacale. Le responsabilità sono fortemente aumentate,
spesso in maniera distorta e impropria, rendendo sempre più faticosi i più significativi compiti di coordinamento dei docenti, di rapporti con famiglie e studenti, di promozione di un ambiente formativo di studio e ricerca.
Ci sono stati varie idee e proposte sulla figura del Dirigente in
questi anni. Chi tempo fa lo voleva manager, chi, come sempre, terminale dell’apparato amministrativo. Chi ora, per raggiungere mete
economiche, lo vuole come super dirigente di zona magari di 20
scuole, di fatto puro amministrativo.
Eppure non è possibile dirigere scuole senza conoscere gli
orizzonti dell’infanzia, la fragilità dell’adolescenza, le contraddizioni del mondo giovanile. Così come occorre saper far quadrare i
conti, organizzare progetti, intrattenere rapporti istituzionali e sociali. Ma soprattutto gestire un’organizzazione, prendere continue
decisioni, tessere rapporti quotidiani con tutti gli adulti che nella
scuola hanno il primario compito educativo, per favorire un ambiente che permetta la realizzazione di questo compito.
Le associazioni che promuovono il convegno hanno in comune una cultura della scuola radicata in valori che scaturiscono dall’esperienza cristiana, per la quale ogni funzione nella scuola, e
quindi anche quelle amministrative ed organizzative, esistono unicamente per quel compito educativo che sempre più si svela come
vera e propria emergenza sociale, che chiede esperienze ricche di
valori e di significato per i giovani.
Nelle giornate di lavoro del convegno si vuole comprendere
l’attuale condizione della dirigenza scolastica e provare a delinearne uno sviluppo professionale in un sistema pubblico di scuole sempre più espressione delle comunità locali e promosse da soggetti sociali.
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
I
ntroduzione
Prof. ROBERTO PELEGATTA - Presidente Nazionale DiSAL
1. Grazie per aver accettato il nostro invito. Come è nata l’idea di questo convegno? Esso ha anche un aspetto positivamente
insolito cui poi accennerò. È nato dall’esigenza di entrare come soggetti attivi nel vivo del dibattito che in diversi ambiti sta ripensando la figura attuale del Capo di Istituto.
Vogliamo fare questo con l’esplicito interesse di mettere al
centro di questo dibattito il primato della finalità educativa delle
professioni della scuola.
Questo innanzitutto accomuna le nostre tre associazioni professionali, pur diverse per la loro storia e composizione.
Vi abbiamo quindi invitati a tre giorni di ascolto, di riflessione, di scambio di esperienze per giungere a proporre insieme all’interno di questo dibattito civile, istituzionale e professionale le linee
di nuova figura direttiva nella scuola. Per proporlo ai nostri colleghi, al mondo della politica e del sindacato, ognuno per le loro responsabilità.
In questi ultimi 6 anni (la data non è a caso) la professione
del direttore, del preside ha avuto notevole mutamento:
– nella scuola statale alla dirigenza, alla spinta di forze sindacali
verso l’unica dirigenza pubblica, al sovraccarico giunto dal decentramento fino a funzioni unicamente burocratiche;
– nella scuola non statale, con la novità della legge 62 e il conseguente utilizzo della legge 440, il preside ha assunto sempre più
una funzione attiva e propositiva.
Abbiamo scritto nella nostra presentazione che “dirigere un
istituto scolastico, statale o paritario che sia, è uno dei compiti più
impegnativi e delicati che ci possano essere nella scuola di oggi”.
Le responsabilità sono fortemente aumentate, spesso anche in
maniera distorta e impropria (già pensate tutti alla 626 ed alla privacy o alle pratiche di pensione), rendendo sempre più faticosi i più
importanti compiti di coordinamento dei docenti, di rapporti con famiglie e studenti, di promozioni di un ambiente formativo di studio
e ricerca.
Le varie riforme di questi anni hanno spesso marginalizzato
questa figura, lasciando la sua definizione ai provvedimenti amministrativi, ma più spesso (dalla cosiddetta privatizzazione) ai tavoli
della contrattazione sindacale. Oppure indirettamente scaricando
sulla nostra funzione (penso ai dirigenti delle elementari e dei comprensivi) la soluzione di incertezze o conflitti non nati da noi.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Nessuno di noi vuole evadere la proprie responsabilità. Ma rispetto
alla nostra funzione ci “strattonano” da diverse parti:
– chi ci vuole ancora terminali su cui scaricare incombenze amministrative;
– chi ci vuole manager di imprese di un servizio sociale;
– chi, magari per raggiungere mete economiche, ci vede come un
super-dirigente amministrativo di zona magari con 20 scuole;
– chi invece ha anche tentato, magari con un certa nostra assenza
dal vivo della contesa, di lasciarci fuori dal processo formativo (ricordiamo la vicenda della circolare 85 del 2004 sulla valutazione
e la scheda collegata).
Io credo che la prevalenza in questi anni di aspetti amministrativi, burocratici, gestionali o manageriali abbia spinto a marginalizzare quelle ore decisive della nostra giornata che rendono quegli aspetti solo in funzione della costruzione quotidiana di comunità
educative dove sia possibile per i giovani l’incontro libero con esperienze educative ricche di significati.
Occorre certo saper far quadrare i conti, organizzare progetti,
intrattenere rapporti istituzionali e sociali. Oppure gestire un’organizzazione, prendere continue decisioni, tessere rapporti quotidiani
con tutti gli adulti o i soggetti della cui alleanza la scuola ha bisogno.
Ma nel nostro lavoro occorre con sempre maggiore urgenza
saper finalizzare (dirigere appunto) tutto questo alla quotidiana costruzione di una scuola come “ambiente di apprendimento” e questo non è possibile senza conoscere gli orizzonti dell’infanzia, la fragilità dell’adolescenza, le contraddizioni del mondo giovanile.
Purtroppo ancora nelle condizioni istituzionali di questa nostra professione trionfano lentezze decennali quando non confusione o misure irragionevoli.
Basti pensare (comunque vada la finanziaria che influirà dall’anno scolastico 2007/2008) che il prossimo anno scolastico nelle
scuole statali più di 3.000 posti su 10.000 saranno precari, oppure
riflettere su questo nuovo istituto della «reggenza» che porta taluni
di noi ad occuparsi del complesso di 2.000 alunni. Ancora, nel succedersi dei governi, si parla di ristrettezza di risorse per la scuola,
mentre altre politiche occidentali le mettono invece al primo posto
per lo sviluppo del proprio paese.
L’assenza poi di effettiva libertà di scelta educativa nel sistema italiano (denunciata di nuovo a Verona dal Papa) ha ulteriormente reso difficile un’impostazione della scuola che avesse come
preoccupazione principale la sua qualità formativa.
2. Vengo ora all’insolita sorpresa: è la prima volta che le nostre associazioni promuovono un’iniziativa insieme. Abbiamo in comune una cultura della scuola che si radica per molti in valori che
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
scaturiscono da un’esperienza cristiana, ma soprattutto tra tutti noi
abbiamo in comune la certezza morale che tutte le funzioni e gli
aspetti della scuola – amministrative, organizzative e finanziarie –
esistono unicamente per quel compito educativo e culturale che da
senso alle scuole, compito che si svela sempre più (come giustamente ha sostenuto un appello firmato lo scorso anno da centinaia
di personalità) come vera e propria emergenza sociale, come domanda spesso anche drammatica di luoghi ed esperienze ricche di
valori e di significato per i giovani.
È questa un’emergenza più seria di quella politica o economica (senza nulla togliere a questi gravi problemi), a tal punto che
proprio da quella dipendono anche la politica e l’economia. La domanda seria di “educazione” riguarda certo tutti, ad ogni età, perché attraverso l’educazione si costruisce la persona, e quindi la società.
Per anni dai nuovi pulpiti – scuole e università, saggi, giornali e televisioni – si è predicato che la libertà è assenza di legami e di
storia, che si può diventare grandi senza appartenere a niente e a
nessuno, seguendo semplicemente il proprio gusto o piacere. È diventato normale pensare che tutto è uguale, che nulla in fondo ha
valore se non i soldi, il potere, il sesso o la posizione sociale.
Educare è una responsabilità di tutti. È soprattutto domanda
di “maestri” (e per fortuna ce ne sono) capaci di consegnare la nostra tradizione e cultura alla libertà dei ragazzi, capaci di accompagnarli in una verifica piena di ragioni, capaci di insegnare a stimare ed amare se stessi e le cose (basta girare qualche edificio di scuola statale delle metropoli per rendersi conto di questa drammatica
emergenza).
La funzione di dirigere scuole ha un posto molto importante
dentro questa responsabilità che appartiene ad un intero popolo. È
la funzione, dicevo all’inizio, di costruire condizioni favorevoli per
esperienze educative. Allora in questi giorni di lavoro insieme occorre che cerchiamo risposte per il nostro compito nella scuola.
Che cosa significa svolgere una funzione regolativa, ordinativa di una realtà istituzionale come la scuola, avendo a cuore le
preoccupazioni dette? Poiché sappiamo bene che educazione e apprendimento avvengono in un ambiente positivo e ordinato, non
conflittuale, ma concorde nella diversità. Quali sono allora gli elementi educativi costitutivi di un ambiente scolastico capace di formazione della persona e facilitante l’attività di apprendimento?
Questo ambiente cresce con l’aiuto di una direzione, di una
guida che sollecita, che valorizza, che indica, che vigila sulle condizioni di libertà, di criticità, di serietà e di autenticità delle proposte
fatte ai discenti, salvaguardando l’unitarietà dell’ambiente, cercando di ridurre i conflitti e le prevaricazioni, incentivando tutte le di-
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
mensioni formative della persona, favorendo l’apertura della scuola
a tutte le esperienze educative esterne.
Una simile funzione deve sempre riportare ogni decisione alle
esigenze dei più giovani, commisurandosi ai loro bisogni reali e non
ad immagini di ragazzi teoriche o “culturalmente correte”.
Quali debbono essere allora le nostre funzioni in un contesto
di un’autonomia scolastica che deve riprendere il suo cammino e di
quella libertà educativa effettiva che anche il Papa ricordava ancora coperta in Italia da pregiudizi irragionevoli?
Le relazioni vogliono offrirci elementi per cercare risposte. I
gruppi di lavoro, arricchendosi delle esperienze personali, potranno
far interagire quelle riflessioni con il quotidiano per cercare piste di
sviluppo professionale benefiche per le riforme di cui la scuola ha
bisogno.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
C
omunità scolastiche
e sfide educative
S.E. Mons. DIEGO COLETTI
Vescovo di Livorno, Presidente della Commissione Episcopale
per l’educazione cattolica, la scuola e l’università
Anche a nome di S.E. Mons. Giuseppe Betori, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana, ringrazio le associazioni professionali AIMC, DiSAL e UCIIM per aver concordemente voluto progettare e organizzare questo convegno dedicato alla dirigenza scolastica nella fase attuale del processo di riforma del sistema di
istruzione e di formazione professionale. Mi pare di poter dire, in
premessa, che ci si muove così nella direzione di quanto è emerso
più volte nel convegno di Verona, e cioè nella ricerca di spazi di
condivisione e di comunione tra diversi soggetti ecclesiali che mettano le proprie peculiarità e le legittime differenze a servizio di un
reciproco arricchimento, nel gusto ritrovato di lavorare insieme e di
superare forme minimaliste di “federalismo ecclesiale” che mortificano la testimonianza alla speranza cristiana, quando non la compromettono del tutto.
Soprattutto ringrazio ognuno di voi, dirigenti delle istituzioni
scolastiche statali, paritarie cattoliche e comunali che quotidianamente servite ed animate la comunità scolastica: i docenti, il cosiddetto personale non docente, gli alunni, le loro famiglie.
1.
Comunità educativa
11
In primo luogo mi pare importante sottolineare, nel titolo di
questo mio breve intervento, la parola “comunità”. Il compito e la
sfida educativa richiedono certo una relazione da persona a persona, ma si esprimono sempre anche in una dimensione comunitaria,
Questa caratteristica della scuola, ossia il fatto che è una comunità
di persone, costituisce un elemento essenziale per la professionalità
dirigente perché non può esservi crescita integrale di ciascun alunno e studente in un ambiente in cui non si sviluppano rapporti interpersonali vasti e complessi, sani, rispettosi dei reciproci diritti e
doveri naturali e delle competenze professionali e collaborativi tra
tutti i suoi componenti.
Credo sia necessario che ancora una volta venga da voi affrontato l’interrogativo di quale possa essere oggi un rinnovato rapporto non solo di “partecipazione”, ma di corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia. Infatti, la risorsa fondamentale è la persoCONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
na e la persona può crescere solo in un contesto di apprendimento
comunitario in cui i valori universali si raccordino con quelli della
sua identità, dei suoi mondi vitali di appartenenza e di riferimento
quali sono appunto rappresentati innanzitutto dalla famiglia, ma
anche dai gruppi, movimenti, associazioni dove avviene la sua crescita esperienziale. Non basta la garanzia data dal semplice fatto
che il Piano dell’Offerta Formativa della scuola venga progettato e
realizzato in modo coerente e non contraddittorio con il progetto
educativo delle famiglie. L’educazione e l’istruzione sono prima di
tutto servizio alle famiglie, in continuità e cooperazione con esse,
per dare ai giovani le massime opportunità di sviluppo sereno e armonioso, per fronteggiare i complessi problemi della loro crescita,
del superamento degli svantaggi e della risoluzione dei disagi.
Va sottolineata la responsabilità che i genitori e le famiglie si
assumono nei confronti del bagaglio culturale, spirituale e morale
dei propri figli. Scegliendo una proposta riduttiva in termini cognitivi e di approfondimento (come quando pensano: “basta che gli
venga spiegato il “come” e vengano attrezzati ad affrontare la vita
attraverso un adeguato possesso di semplici nozioni”) rischiano di
mettere i figli nella condizione di avere una minore possibilità di
leggere il significato della loro vita come pure le tradizioni, la storia,
la cultura del loro paese.
2.
Autonomia
La scuola sta vivendo ormai da alcuni anni un processo di innovazione anche istituzionale. La disciplina in materia di autonomia scolastica trova origine nella legge 59/1997 dalla quale è scaturita l’apposita normativa attuativa del D.P.R. 257/1999. Occorre
una consapevolezza sempre più diffusa che oggi il riconoscimento
dell’autonomia della scuola come principio inserito nella Costituzione non è primariamente il frutto di una logica di bilanciamento
dei poteri pubblici quanto piuttosto l’accoglimento del principio dell’autogoverno della comunità e della società civile, della sussidiarietà
orizzontale. Ciò porta la scuola a sentirsi sempre meno un ufficio
periferico dell’amministrazione statale e sempre più una funzione
essenziale della comunità in cui è collocata; quindi una scuola della
società civile, in cui il perdurante e sicuro ruolo dello Stato si colloca decisamente nella linea della sussidiarietà.
3.
Scuola educativa
È indubbio che nella scuola la trasmissione della cultura non
si configura come meccanico trapasso di nozioni, ma piuttosto creativa interazione tra un patrimonio di valori e i bisogni di crescita
delle persone. È abbastanza evidente, d’altra parte, che le proble-
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
matiche della scuola rientrano in quella che potremmo chiamare
una più ampia “questione educativa”, che è forse la sfida principale per la società italiana, e non solo, coinvolgendo la sua identità e
il suo possibile sviluppo.
È nostro compito vigilare perché la scuola continui ad offrire
un percorso educativo attraverso l’accesso a livelli adeguati di cultura. In un contesto pluralistico e multiculturale questo compito richiede grande impegno ed equilibrio. Nella società italiana di oggi,
complessa e policentrica, si fatica ad elaborare e a proporre riferimenti valoriali e formativi condivisi. La scuola può fornire alle nuove generazioni gli strumenti culturali necessari non solo alla convivenza e alla tolleranza, ma se possibile, alla cooperazione attiva
delle differenti identità e appartenenze.
In proposito mi limito a sottolineare due esigenze. La prima è
collegata alla questione del rapporto tra libertà e verità in un contesto culturale ed educativo come quello della scuola. La seconda riguarda la necessità di una “rete” di continuità educativa tra scuola,
extrascuola e territorio per dare un supporto reale all’idea di “alleanza educativa” prospettata nel titolo del Convegno.
3.1 Tutta la vita della scuola, quando è orientata in senso
educativo, deve convergere verso ciò che unifica la vita interiore
dello studente, la sua coscienza critica (sul piano intellettivo) e la
sua libertà (sul piano morale). Infatti se è vero che la formazione
della vita morale e delle virtù è la parte essenziale e il fine primario
dell’educazione nel senso pieno della parola, è anche vero che l’educazione nella scuola contribuisce (sia pure in modo non esaustivo) al raggiungimento di questo fine nel modo proprio, ossia attraverso l’elaborazione culturale personale dello studente, frutto di
uno sviluppo pieno dell’intelligenza. Lo studente conosce e rielabora i valori umanistici e solidaristici contenuti nella nostra carta costituzionale, il tesoro delle idee morali e delle esperienze dell’umanità: la sua coscienza e libertà vengono interpellate. Tutte le discipline (trattando il proprio oggetto) fanno emergere l’esigenza di
chiamare in causa la persona e le sue responsabilità.
Oggi, l’emergenza educativa nasce dal fatto che, nel contesto
culturale post-moderno, la definizione dell’uomo come persona (e
non solo come soggetto o individuo), e cioè come fine, valore, libertà, interiorità, amore, qualitativamente e ontologicamente diversa dalla restante concatenazione naturale e animale, aperta agli
altri e a Dio, non viene condivisa da molti. La verità della persona
sembra non avere la capacità di attrarre, di richiamare la coscienza dei singoli e della società in modo consapevole e largamente
condiviso, e soprattutto stenta ad essere il punto di partenza per le
conseguenti mediazioni scientifiche, normative, istituzionali, didattiche, sul piano etico ed educativo, quando non è esplicitamen-
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
te negata nel clima di imperante relativismo e di montante “disumanesimo” reduzionista.
Eppure è altrettanto vero che il desiderio sapienziale di verità,
di bontà, di bellezza che è nel cuore di ogni bambino e di ogni persona conferma all’evidenza che è ragionevole e proporzionato cercare di dar vita ad una proposta educativa capace di:
– indirizzare “verso l’oltre”, cioè verso una vera trascendenza, l’intelligenza e la libertà,
– aiutare le persone a costruire qualcosa in comune con gli altri.
Ma tutto ciò viene vanificato se ciascuno rimane “imprigionato” nel relativismo e si mette in dubbio il fondamentale legame tra
libertà e verità. In una società che soffre di una profonda carenza di
valori capaci di giustificare l’esistenza e che, di conseguenza, espone i più giovani alla dispersione e all’insignificanza delle scelte, in
una società e in una cultura nella quale tutto tende a diventare “liquido” e inconsistente, è grande il compito di una scuola che sappia dare il gusto del pensiero critico e della inesausta e feconda ricerca della verità, e quindi sostenere il processo attraverso cui il giovane elabora il proprio progetto di vita, lo accompagni nella ricerca
e gli insegni a leggere la realtà con categorie culturali capaci di illuminarla.
3.2 Nella società moderna l’appropriazione del patrimonio
culturale non avviene spontaneamente, ma è affidata alle istituzioni appositamente deputate (il sistema scolastico e formativo in particolare). Tuttavia, l’appropriazione non può dar luogo ad una più
profonda assimilazione se non coinvolge l’identità personale e, insieme, quelle questioni, collegate al senso ultimo della vita, che rimandano al vissuto e alle realtà di riferimento delle nuove generazioni.
Per conferire valenza educativa al processo di trasmissione
culturale, è importante dar vita ad un patto che metta in rete sul territorio l’apporto delle istituzioni e, al contempo, è altrettanto importante riconoscere il ruolo imprescindibile delle primarie relazioni familiari e delle appartenenze religiose. L’educazione diventa pensabile
solo in un quadro complessivo e articolato nel quale ogni componente della società civile è consapevolmente educativa e contribuisce a costruire una cittadinanza attiva basata sull’accoglienza
delle identità, sull’uguaglianza e sul recupero delle differenze sociali.
In questo modo viene valorizzata creativamente l’autonomia
scolastica, viene riconosciuto agli studenti il ruolo di protagonisti che
loro spetta, si riattiva nei fatti la fondamentale responsabilità dei genitori, nella corretta applicazione del principio di sussidiarietà. Sono
aspetti essenziali e complementari per una scuola educativa.
Nella “rete” educativa, in particolare, si colloca la famiglia.
Ad essa spetta un ruolo centrale: non può certamente abdicare alla
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
sua missione di generatrice della vita, ma, oggi, essa è investita
ancor più del compito di essere il luogo in cui si genera l’identità e
dove si esprime in pienezza la dimensione personale dell’atto educativo.
Il Regolamento sulla autonomia delle istituzioni scolastiche
affida a voi, dirigenti scolastici, il compito di attivare i necessari
rapporti non solo con gli enti locali, ma anche con le diverse realtà
istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti sul territorio,
perché il Piano dell’Offerta Formativa rifletta le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale. Nella “rete”
dunque un posto specifico va riconosciuto alle associazioni che rappresentano i soggetti educativi, in particolare quelle dei genitori e
quelle degli studenti. La Chiesa cattolica stessa è presente nel territorio come una realtà istituzionale, culturale e sociale (non è solo
questo, ma è anche tutto questo) e pertanto a vario titolo i diversi
soggetti che la compongono possono e devono essere interpellati nel
momento dell’elaborazione di questo Piano.
4.
Sistema integrato di
istruzione e di
formazione
15
La riforma della scuola in Italia non sarà piena e completa
senza la soluzione del problema della parità che ne rappresenta un
pilastro portante in quanto attiene ai diritti fondamentali di libertà
della persona e della famiglia.
L’affermazione di questi diritti non significa la liberalizzazione indiscriminata di un mercato dell’istruzione – magari inseguendo modelli puramente aziendali – e nemmeno sminuire il compito e
il diritto-dovere dello Stato di istituire e gestire scuole e di esercitare il compito di promozione e di verifica della qualità e della correttezza costituzionale del processo educativo. Significa invece dar vita
ad un sistema capace di valorizzare e armonizzare tutte le risorse
educative della nostra società facendole convergere nel contesto di
un autentico servizio pubblico.
Il diritto allo studio per tutti non è salvaguardato dalla sola
scuola di Stato, ma dal riconoscimento della pari dignità delle iniziative, anche gestionali, che nascono dalla società civile e dal ruolo
di garanzia e di controllo che lo Stato stesso si assume nei confronti del loro pubblico servizio. Si tratta di promuovere un più alto livello di responsabilizzazione dei cittadini senza pregiudicare l’equità e la solidarietà.
Si tratta di superare vecchie diffidenze anticlericali e miopie
culturali che hanno fatto della situazione italiana un caso anomalo
nel panorama democratico e partecipativo di tante legislazioni contemporanee in campo educativo e scolastico. Anche a questo proposito abbiamo ascoltato parole autorevoli e chiare al Convegno di
Verona.
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
5.
Conclusione
16
Concludo ringraziandovi per il vostro servizio professionale
alla scuola e alla società italiana. Proprio dove emergono tante fragilità, diventa importante il vostro ruolo di dirigenti di istituzioni
scolastiche capaci di accogliere e di sostenere, di prestare attenzione ai bisogni di coloro che il Vangelo chiama “gli ultimi”. Solo l’attenzione alla persona e a tutte le sue esigenze, infatti, può rendere
la scuola un vero ‘luogo educativo’ e impedire il suo scivolamento
verso il pericolo di aziendalismo e di pura e semplice trasmissione
del “know how” della vita, delle “istruzioni per l’uso”, da tanti paventato.
E proprio quando, nel contesto della globalizzazione, il Paese
necessita di una elevata qualità culturale degli studi, voi operate
con responsabilità per fornire alle nuove generazioni gli strumenti
non solo per “navigare” in una società complessa, ma soprattutto
per “crescere in umanità” come persone, cioè come soggetti liberi,
consapevoli e responsabili, attraverso una proposta educativa seria
e ricca di autentici significati e di valori impegnativi, per i quali
valga la pena affrontare le sfide del difficile mestiere di essere persone umane all’altezza della propria dignità.
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
L
e emergenze educative
interpellano la scuola
Don ANTONIO MAZZI - Presidente della Fondazione Exodus
Quando all’interno della scuola parliamo di emergenze credo
che intendiamo affrontare il tema dei ragazzi difficili e con problemi. Per dirla con il nostro vocabolario emergenza equivale a “maggiore attenzione agli ultimi”.
Chi sono gli ultimi? E perché anche nelle nostre scuole gli ultimi hanno sempre meno spazi? A me è accaduto nei mesi scorsi un
fatto che mi ha disturbato. Un ragazzo, dopo averlo aiutato ad uscire da una situazione di sballo, abbiamo tentato, consigliati dallo
psicopedagogista, di riportarlo a scuola per completare l’ultimo
anno di liceo. Ho fatto una specie di via crucis. Due scuole cattoliche mi hanno detto di no.
L’ho inscritto invece in una scuola pubblica non cattolica che
mi ha detto di sì. Cosa significa questo? Elenco alcuni prerequisiti
dell’educatore e, indirettamente, collegati con le strutture educative.
1. Un educatore e un docente ben preparati dovrebbero avere
la prerogativa di mettere in crisi l’intero impianto della vecchia visione pedagogica tutta impostata sulla parola “normalità”? Cos’è la
normalità? Purtroppo è un luogo comune, un limite, un ambito dentro il quale accatastiamo tutte le nostre istanze educative. È giunto
il momento di smontare questa etichetta per ridare un nome e un
cognome a ciascuno dei ragazzi che abbiamo nelle aule. La prima
cosa che il Signore ha detto ad Adamo fu: “Dai un nome e cognome
a tutte le cose, persino agli alberi”. Se gli alberi, le foglie hanno un
loro nome, mi domando perché i nostri figli debbano avere solo
delle etichette. Troppi borderline girano per le nostre scuole e troppi borderline vanno a finire emarginati o radiati. Etichetta prima del
nome significa sconfitta educativa.
2. Un’altra prerogativa, secondo me, dell’educazione: l’educatore è un seminatore.
Il nostro impegno primario è seminare, non solo sul terreno
buono ma su tutte le tipologie di terreno, come ci spiega bene la parabola del Vangelo. “Un contadino andò a seminare e mentre seminava alcuni semi andarono a cadere sulla strada... altri andarono a
finire su un terreno dove c’erano molte pietre... altri ancora caddero in mezzo alle spine... e finalmente alcuni caddero in un terreno
buono e diedero un frutto abbondante”.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Ho paura che troppi di noi si preoccupino più del raccolto che
della semina; più della quantità degli abilitati o licenziati che del
peso delle storie che sono presenti dentro le aule.
Il Vangelo si spinge ben oltre. C’è infatti un’altra parabola che
aggiungo volentieri alla prima. Dice: “Il regno di Dio è come la buona semente che un uomo fece seminare nel suo campo. Ma una
notte mentre i contadini dormivano il nemico venne a seminare
erba cattiva in mezzo al grano e poi se ne andò... I contadini allora
dissero al padrone: “Da dove viene questa erba cattiva?... Vuoi che
andiamo a strapparla via?...”. Il padrone disse. “No! Lasciate che
crescano insieme fino al giorno del raccolto...”.
È possibile avere il coraggio di educare anche con la gramigna
nascosta tra le piantine del grano? È possibile non temere che la
gramigna sia più forte del grano, che la mela marcia sia più forte
della mela buona?
Questa pagina del Vangelo dobbiamo leggercela con particolare attenzione. Ci obbliga a riscrivere forse alcune teorie pedagogiche fino a ieri considerate granitiche e fondamentali.
Messe insieme queste due riflessioni, cioè il primato della semina e la convivenza dentro al mondo delle due forze, possiamo
solo concludere che nel dna dell’educatore ci deve essere: ottimismo, certezza che il bene è più forte del male, visione estroversa e
serena della nostra incarnazione, caparbietà nella certezza di recuperare gli irrecuperabili.
Nel Vangelo sono stati i pezzi irrecuperabili quelli che lo hanno nobilitato e trasformato in terreno adatto ad accogliere la redenzione di tutti gli uomini. Gli irrecuperabili per un educatore non dovrebbero esistere.
3. Altro requisito. Dal nostro vocabolario dovrebbe scomparire la parola fatica, o meglio la frase: “fatica di educare”. L’educazione è una grande avventura, non è solo una fatica. È chiaro che dentro l’avventura possano convivere i momenti della vittoria, della
sconfitta, del pianto, della incomprensione, della solitudine. È così
per ogni vicenda umana.
Quando l’educazione diventa più una fatica che un’avventura vuol dire che è venuta meno la speranza del seminatore.
Il miracolo di una maternità e di una paternità non può mai
essere tradotto in chiave di peso. Se qualche sera andando a letto ci
portiamo la delusione mescolata con la bellezza pensiamo alle poche
gocce di aceto che danno gusto all’olio dei nostri condimenti.
4. Ultimo prerequisito. Come testimoniare i valori? L’educatore
non si deve accontentare di annunciarli. Deve testimoniarli, facendo sintesi della fatica di Marta e Maria, della azione e della contemplazione, dei detti e dei fatti.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Se sapremo testimoniare “l’oltre” con le parole del vocabolario scolastico e con la pacatezza dell’uomo e della donna adulta,
tutto il contesto diventerà rasserenante.
Come però testimoniare l’oltre dentro la storia, la geografia, la
matematica; facendo la bidella, il dirigente; rimproverando un ragazzo perché trovato con lo spinello nel bagno, discutendo di assenze strane di allievi e di vuoti spaventosi di genitori?
Tutti siamo capaci di testimoniare l’oltre in Chiesa, ma come
testimoniarlo in biblioteca, in cortile, nel laboratorio di chimica?
Credo che questi siano i requisiti in assenza dei quali rischiamo di esprimere una tipologia di educazione che non ha le radici profonde della saggezza e l’apertura dei rami per una autentica
avventura evangelica.
Alcuni nodi. Li dico così, in modo molto fraterno, semplice.
Sviluppateli voi e metabolizzateli.
Il primo: i nuovi adolescenti. Il prolungamento eterno dell’adolescenza ci obbliga a ripensare l’intero problema. L’adolescenza è
diventata una stagione a tutti gli effetti e non solo uno scampolo di
mattinata. Nel quadro generale della vita, le stagioni non sono più
quattro ma cinque: l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, la maturità e la vecchiaia (o terza età). Non possiamo esorcizzare, spaventarci, banalizzare i quasi 15 anni durante i quali i nostri figli esperimentano emozioni, nuove identità, cambiamenti profondi, sconvolgimenti difficilissimi da capire sia da loro che da noi.
Molti dei nostri insegnanti faticano ad interpretare l’adolescenza degli allievi perché, forse, anche loro non l’hanno del tutto
superata. La letteratura ci parla di uomini Peter Pan, di genitori
bonsai, di padri più immaturi dei figli, di madri ancora intrappolate in situazioni di non accettazione della propria femminilità.
Molti adulti corrono il rischio di avere bisogno di essere educati prima ancora dei loro allievi. Possedere due lauree non significa saper insegnare e capire gli allievi. Su questo tema urge che tutti
riflettiamo. L’adolescenza possiamo solo interpretarla, ascoltarla,
orientarla. Ma se gli orientatori sono disorientati cosa succede?
L’esperienza mi dice che il periodo della scuola media inferiore dovrebbe andare totalmente rivoluzionato. L’esplosione adolescenziale ci proibisce di tenere cinque ore i ragazzi nei banchi, di
fissare orari e programmi sulle loro teste. Sbaracchiamo ogni tanto
le aule. Hanno immenso bisogno di muoversi, di esprimersi. Ad
esempio l’educazione fisica, la musica, le materie “deboli” potrebbero godere di spazi più importanti. Raddoppiamo le ore di educazione fisica e di musica. Anche l’ora di religione non può più essere così monotona e pedissequamente allineata su testi molto lontani dal linguaggio, dalla fantasia e dalle problematiche dei quattordicenni.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Secondo nodo: la multietnicità. Tutte le nostre scuole ospitano religioni, lingue, tradizioni, costumi, culture, storie, grandi quanto il mondo. In pochi anni siamo passati dalla scuoletta di paese con
il figlio del parrucchiere, del contadino, del postino e del cambusiere, ad aule (anche nei quartieri più dispersi) che accolgono ragazzi
di nazioni e continenti diversissimi. Non mi pare sia un tema da trascurare o da rimandare. Cosa facciamo? Torniamo ad aule specialistiche, rischiamo l’integrazione spinta o l’odierna confusione frammischiata ad impreparazione e paura?
Terzo nodo: è scomparsa la fatica. I nostri “cicciobelli”, apparentemente sanissimi, alla prima difficoltà crollano. Non li abbiamo
dotati di volontà. Non li abbiamo predisposti alla minima fatica.
Abbiamo lavorato molto sulla loro vivacità intellettuale, sottovalutando ingenuamente il bagaglio di tenacia, costanza, pazienza senza del quale il periodo adolescenziale rischia di diventare una disavventura.
Come faranno a crescere, ad affrontare le piccole prove quotidiane se li abbiamo allevati in serra e se abbiamo spianato davanti
a loro tutte le asperità del terreno?
In conseguenza di ciò è sparita anche la capacità di riflessione. I nostri ragazzi sono i ragazzi dell’umts, della musica, dello spot.
Senza capacità di interiorizzazione non si matura.
Altro snodo. Fino a pochi decenni fa gli studi arrivavano, per
la maggior parte della gente, alla quinta elementare o alla terza
media, chiamata ai quei tempi avviamento. Oggi la maggioranza dei
nostri figli continua gli studi superiori e universitari.
Scuola prolungata per moltissimi ragazzi significa venire sradicati dal loro territorio per recarsi ogni giorno in territori altrui, in
altre città, in altri paese, in altri contesti. Questo non possiamo dimenticarlo.
a.
b.
c.
d.
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Facciamo un breve riassunto delle cose dette.
l’educazione è un’arte e non un mestiere;
i requisiti minimi di un educatore sono: ottimismo, infaticabile
voglia di seminare, non accettazione di etichette, creatività, capacità di lavorare in gruppo, superamento delle pesantezze strutturali, delle monotonie dei programmi e delle pastoie burocratiche;
gli allievi dovrebbero arrivare nelle nostre scuole allegramente,
non solo per imparare le discipline, ma per crescere e per dotarsi del bagaglio minimo che permetta loro di sopravvivere alle mareggiate adolescenziali;
vorrei che trasformassimo la domanda che ho dentro in un percorso pedagogico. Vogliamo dotare le istituzioni scolastiche di
quel minimo di carisma e di profezia come fece don Bosco a suo
tempo? Fatemi sperare che il punto di domanda si trasformerà in
un punto esclamativo.
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
In occasione del Natale ho spedito a tutti i miei amici una paraboletta che ho letto da qualche parte:
Un bambino, vedendo ogni sabato un cieco davanti alla porta
del Tempio, dopo avergli fatto l’elemosina chiese:
“Da quanto tempo sei cieco?”.
“Dalla nascita”.
“Che lavoro fai?”.
“L’astronomo”.
“Ma come? Non sei cieco?”.
“Sì. Però mi soffermo volentieri a guardare tutte le stelle dell’immenso cielo che ho dentro di me”.
Perché anche noi non facciamo questa dolce fatica parascolatica e non puntiamo di tanto in tanto i binocoli dentro alla nostra
anima?
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
L
e problematiche
dei sistemi formativi
negli scenari internazionali
Dott. GIOVANNI BIONDI - Direttore INDIRE e Agenzia Socrates Nazionale
L’obiettivo che mi sono posto con questa relazione è quello di
cercare di disegnare uno scenario internazionale delle principali
problematiche che sono al centro dell’attenzione e del dibattito a livello mondiale sugli scenari dell’educazione e della formazione dei
prossimi anni.
Il punto di partenza quasi obbligato sono gli obiettivi per il
2010 che sono stati ormai resi famosi dal documento di Lisbona e
che sono stati definiti come gli obiettivi da raggiungere in Europa,
ma che si inquadrano in un dibattito che non è solo europeo ma
mondiale. Come vedete dalla slide, ho provato ad organizzare questi obiettivi per grandi capitoli: l’efficacia e la qualità dei sistemi attraverso il miglioramento della formazione degli insegnanti, lo sviluppo delle competenze-chiave, l’accesso per tutti alle Tic, (intendendo con Tic l’insieme delle tecnologie, dell’informazione e della
comunicazione), l’incremento del maggior numero di laureati nelle
materie scientifiche e tecnologiche che – ripeto – è un obiettivo europeo non solo italiano, e l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse.
Un capitolo raccoglie tre obiettivi che riguardano tutti una
stessa problematica: la necessità di rendere i sistemi scolastici sempre più aperti ed ‘attraenti’ attraverso lo sviluppo di un ambiente
che sia realmente favorevole all’apprendimento. Questa è una tematica al centro del dibattito internazionale: un recente studio dell’Ocse afferma che i ragazzi oggi vanno poco volentieri a scuola; la
scuola, cioè, per i ragazzi è sempre meno ‘attrattiva’ (è la traduzione di un termine inglese che non ha un vero e proprio corrispondente in italiano e che dovrebbe essere tradotto con interessante,
amichevole, accattivante, familiare etc...). Ci sono situazioni nel
mondo dove questo elemento è maggiormente evidente e su cui gravano elementi legati al disagio sociale e che dipendono quindi da
fattori esterni alla scuola ma un elemento invece è interno alla scuola e riguarda la distanza che tende ad emergere sempre più chiaramente tra la scuola con il suo linguaggio, la sua comunicazione ed
organizzazione didattica, i suoi contenuti e la società. Nelle scuole
di tutto il mondo i ‘digital native’, i ragazzi nati e cresciuti nell’era
del digitale abituati ad imparare, comunicare con linguaggi e secon-
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
do strategie nuove trovano a scuola un mondo del tutto diverso e distante. Questa problematica conosciuta anche come ‘digital disconnect’ rende sempre di più la scuola estranea agli studenti. Naturalmente ci sono delle situazioni che dal punto di vista sociale sono
più o meno problematiche e tendono a trasformare questo problema
in una vera e propria emergenza legata in genere al fenomeno dell’abbandono scolastico. Più in generale il problema è l’attrattività,
lo stare bene a scuola ed interessa in modo trasversale tutti i Paesi
occidentali.
Strettamente collegata a questa, ad esempio, la necessità di
aprire il sistema scuola al mondo, di cui ha parlato anche don Mazzi, rafforzare i legami col mondo del lavoro, sviluppare uno spirito
d’impresa, la mobilità e gli scambi, migliorare l’apprendimento delle
lingue straniere, su cui ritornerò più avanti.
Ho cercato all’interno di questo scenario di evidenziare alcune tematiche che considero più importanti, partendo dalla prima
che secondo me è fondamentale e che riguarda la situazione degli
insegnanti.
Il primo tema che viene evidenziato da tutti per la sua criticità è quello della professione docente. L’Ocse ha attivato un paio
d’anni fa uno studio per vedere in che modo rendere attraente la
professione docente che in tutti i paesi del mondo ha uno scarsissimo potere di attrazione non solo economico ma anche di prestigio
sociale.
Il problema a livello europeo è che abbiamo bisogno di innalzare la formazione iniziale degli insegnanti e quindi il livello medio
di conoscenza professionale degli insegnanti, di favorire la mobilità
che dovrebbe essere una delle componenti anche di questa professione. Come direttore dell’Agenzia nazionale Socrates, e quindi in un
certo senso anche di tutte le attività che hanno favorito lo scambio,
la conoscenza, la mobilità anche di insegnanti in Europa ho visto
l’importanza di questa dimensione della mobilità che ho visto crescere. Ogni anno l’Agenzia finanzia circa 12.000 insegnanti e studenti che ogni anno che vanno in mobilità, ai quali si aggiungono gli
oltre 16.000 studenti Erasmus. Questo aspetto della mobilità spesso
nella scuola viene vissuto come una sorta di turismo scolastico, ma è
invece un modo molto concreto per costruire l’Europa: gli insegnanti
si incontrano per la necessità di portare avanti un progetto didattico
fatto da più scuole, e cominciano a confrontarsi sui modi di lavoro,
sull’organizzazione, anche la stessa organizzazione degli spazi, dell’aula. Un contagio di esperienze e di situazioni anche molto diverse
tra loro che è estremamente importante per la formazione degli insegnanti. Dobbiamo guardare quindi anche alla mobilità come a una
delle componenti fondamentali dello sviluppo professionale.
Oggi solo tre paesi che hanno dati di sostanziale equilibrio tra
carenza ed esubero di insegnanti: in genere esiste una carenza di in-
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
segnanti. La lista dei paesi dove mancano gli insegnanti è molto
lunga. C’è un esubero di insegnanti invece con il precariato in Italia.
Emerge anche una situazione contraddittoria: alcuni paesi hanno
contemporaneamente sia un esubero che una carenza. Questo dato
va interpretato nel senso che, per alcune cattedre e soprattutto per
le materie scientifiche, c’è una carenza mentre magari c’è un esubero soprattutto nel settore umanistico o nella scuola che chiamiamo
di base, la scuola elementare.
I dati comunque evidenziano come la professione docente in
questo momento sia una professione non particolarmente ambita,
non ricercata, con poche possibilità di offrire anche possibilità di
sviluppo di carriera che in Italia è assente.
In alcuni paesi esiste la valutazione degli insegnanti e collegata a questa anche la carriera: l’insegnante non avanza quindi
nella scala salariale solo per anzianità ma esiste una carriera dei docenti e vedete che le zone scure sono molto più ampie delle zone
chiare. In questi paesi la carriera dei docenti è collegata alla “valutazione qualitativa”. Una valutazione che avviene con modalità diverse impegnando il dirigente, l’ispettore o le autorità locali: questo
varia da paese a paese. È chiaro che in quello che potremmo definire come ‘modello anglosassone’, dove gli insegnanti addirittura
vengono reclutati dal capo d’istituto, vengono reclutati dalle autorità locali, la valutazione ha un impatto e conseguenze più dirette.
In altri casi invece il reclutamento è fatto dallo Stato e allora nella
valutazione intervengono in genere gli ispettori o organismi deputati a ciò: ci sono modelli piuttosto vari di intervento sulla valutazione della professione insegnante.
È chiaro che legato alla valutazione positiva del lavoro svolto
ci sono degli incrementi salariali: sono presenti in quasi tutti i Paesi
che facevano la valutazione perché i due elementi sono strettamente connessi tra loro.
Questa è l’analisi degli stipendi base lordi, minimi e massimi,
rapportati al Pil, quindi al costo della vita in ciascun Paese, ovviamente non sono dati assoluti, non sarebbero comparabili perché il
costo della vita in Portogallo non è quello della Germania. L’Italia
ha gli stipendi più bassi.
Quindi quello degli insegnanti è un problema centrale che si
presenta con diverse e varie dimensioni: la formazione iniziale, la
formazione continua, il livello salariale, la valutazione o la non valutazione, la carriera e l’incremento salariale collegato, ecc.. Tutti
questi aspetti fanno parte di come è costruita, come è definita la
professione docente nel nostro Paese e in molti Paesi europei. Al
centro quindi dell’innovazione della scuola ci sono prima delle
riforme, gli insegnanti: tutti sappiamo che senza gli insegnanti non
si fa scuola e senza dei buoni insegnanti è difficile fare una buona
scuola.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
La cosa interessante da notare è la poca o la tanta differenza
tra il minimo e il massimo: questo significa che uno inizia la carriera con un certo stipendio e poi magari per meriti può arrivare anche
ad un livello molto più alto oppure proprio perché non esiste una
carriera il minimo ed il massimo sono molto vicini. Ricordo di aver
letto di un dibattito su un giornale inglese in cui si diceva che un insegnante di poco più di 30 anni guadagnava una cifra per noi molto
alta, circa 30.000 sterline l’anno, quindi una cifra importante, pur
avendo 30 anni, e c’era una polemica perchè ci si chiedeva come
poteva questo insegnante così giovane essere arrivato così rapidamente all’apice della carriera. Anche in questo caso, se rapportati
alla media europea, anche gli stipendi dei capi d’istituto italiani
sono nella parte più bassa delle medie europee.
Quindi, primo problema: gli insegnanti. Secondo problema:
come avviene la progettazione, lo sviluppo del curriculum.
Innanzitutto in Europa si parla di competenze. È un termine
che è per certi aspetti ancora nuovo in Italia mentre per altri è abusato: spesso in Italia si parla di competenze senza avere molto chiaro il confine tra competenze e conoscenze. Arrivano poi i risultati
dell’Ocse ed il tema viene drammaticamente riportato alla luce. Ho
cercato per quanto riguarda lo sviluppo del curriculum di sintetizzare alcune linee che sono molto generali e che magari in alcuni
Paesi sono vere e in altri no: c’è una linea comune di decentramento delle competenze sulla elaborazione del curriculum, nonostante
che alcuni Paesi come l’Inghilterra abbiano fatto un passo indietro
tornando ad una nuova centralizzazione col national curriculum,
ecc.. Sulla elaborazione del curriculum a livello europeo c’è una tendenza al decentramento, alla strutturazione del curriculum in cicli
piuttosto che in anni scolastici. Le fonti che sto usando sono derivate dalla rete Euridice, di cui Indire è l’unità italiana, che è una
rete tra tutti i governi europei: sono quindi dati ufficiali non è l’opinione di uno studioso, è un’analisi comparativa fatta a livello ‘ufficiale’. Un scenario internazionale che va verso una personalizzazione, una organizzazione per grandi aree di conoscenze, e una organizzazione finalizzata all’acquisizione delle competenze di base.
Ed arriviamo ad un altro tema centrale, quello delle competenze di base. Di recente è stata fatta sempre a livello europeo una
declinazione di queste competenze: si tratta di otto competenze di
base che l’Unione Europea ritiene essenziali. La comunicazione in
lingua materna, in lingua straniera, le competenze di base in matematica, scienza e tecnologia, le competenze digitali (questa è una
delle cose secondo me più importanti), l’imparare ad apprendere, le
competenze interpersonali, interculturali e sociali, lo spirito di iniziativa, l’espressione culturale e artistica. È un modo di declinare e
di esprimere le competenze che non fa parte del nostro patrimonio
usuale, noi usiamo rapportare questo discorso sempre alle discipli-
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
ne o al massimo ad aree di discipline, qui invece le competenze vengono espresse in termini completamente diversi. Basterebbe sottolineare che non si parla di conoscenza della lingua o della storia della
letteratura, delle regole grammaticali quanto piuttosto di saper comunicare attraverso la propria lingua e attraverso una lingua straniera.
Vorrei affrontare ora un aspetto diverso che è al centro dell’attenzione in tutto il mondo. Usciamo dall’ambito europeo per entrare in una dimensione mondiale: negli ultimi cento anni è stata
sviluppata una scuola che era funzionale ad una società industriale, quella nata cioè con la rivoluzione industriale. Abbiamo oggi un
modello scolastico che è stato sviluppato per un tipo di società che
è quella industriale. Intorno a noi la società è però radicalmente
cambiata. Ci dobbiamo porre quindi, tutto il mondo si sta ponendo,
questa domanda: se e come deve cambiare la scuola. Abbiamo bisogno di ripensare la scuola in rapporto ad una società che è trasformata e soprattutto non si tratta di porre il problema in termini
di aggiornamento strumentale, imparare ad usare quello o quell’altro, ma in termini culturali.
È facile dimostrare come tutta la nostra società sia profondamente cambiata rispetto a quella di soli venti-trenta anni fa. Oggi ci
sono degli ‘ambienti’ di produzione popolati da robot, che hanno
sostituito l’operaio che rincorre il bullone o muove le leve; c’è un sistema automatizzato dove l’informazione è gestita da computer, è
un sistema automatizzato che guida la produzione. Quindi la società dell’informazione ha trasformato gli ambienti di produzione
ma non solo quelli, ha trasformato gli uffici postali: oggi facciamo
viaggiare l’informazione, facciamo sempre meno viaggiare gli oggetti. La stessa gestione del denaro che noi abbiamo in tasca, parlo del
bancomat o della carta di credito: gestiscono le informazioni sul nostro denaro. Quello che usiamo normalmente sono le informazioni
sul denaro sempre meno le banconote. Ma tutti gli ambienti che ci
circondano sono molto specializzati: nella sala operatoria di un
ospedale si opera in artroscopia, con strumenti guidati, sonde che
viaggiano per il corpo umano guidate da monitor, da computer, dalla
Tac e tutto questo ha trasformato l’ambiente ospedale.
Ma se potessimo far viaggiare nel tempo una persona della
metà ’800 portandolo nel mondo di oggi non riconoscerebbe quasi
niente perché l’ufficio postale non è più come lo pensava lui, la
banca lo stesso, tutto praticamente (non parlo del traffico o degli
areoporti che ovviamente non c’erano, ecc.) è cambiato in modo radicale, ma quello che probabilmente riconoscerebbe è una scuola;
se cioè lo facciamo entrare in una classe capirebbe dove si trova.
Nel mio ufficio ho un quadro: si chiama “La scuola del villaggio” è
del 1886, raffigura il maestro alla lavagna con i banchi, con i libri,
con i bambini; c’è anche un bambino con un cartello con su scritto
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
“asino” sulla testa. Ora questo magari non c’è più ma insomma, sostanzialmente, lo scenario è lo stesso. Sì, certo, i banchi ora sono a
norma della legge 626 ma sostanzialmente l’ambiente scuola è rimasto lo stesso, la struttura della scuola che è centrata sull’insegnamento piuttosto che sull’apprendimento conserva la stessa scenografia. Pensate che il riflettore della scena è puntato sulla cattedra, non è puntato sugli studenti, spesso abbiamo addirittura ancora le cattedre rialzate.
Lo stesso per quanto riguarda i laboratori: anche i laboratori
sono delle aule. Il laboratorio di informatica per esempio: dove abbiamo messo i computer? In una aula. Quella che era la II B è diventata laboratorio di informatica, ma non è cambiato nulla: stessi
banchi, con le stesse sedie con in più il computer sul banco, con la
lavagna che magari è elettronica ma il sistema, l’ambiente è sostanzialmente lo stesso. Allora noi ci troviamo di fronte a un paradosso
di questo genere: le nuove tecnologie che hanno trasformato dal di
dentro tutti gli ambienti, anche quelli sociali, hanno cambiato la
comunicazione (i nostri figli ormai non scrivono più lettere d’amore
al fidanzato come i loro genitori, mandano un SMS, o una e-mail, o
addirittura un SMS con la fotografia allegata in digitale, ecc., comunicano in un altro modo), hanno cambiato la nostra vita quotidiana, nella scuola sono confinate in una aula. Un’aula specializzata dove il computer predica se stesso: nell’aula di informatica il
computer diviene uno strumento al di fuori dalla pratica educativa
dove si va – lasciamo fare gli istituti superiori per i programmatori
dove il discorso è diverso – ‘semel’ in un anno. Come quando io da
bambino ero alla scuola elementare e la maestra ci portava in giardino: quando lei stava bene, noi eravamo stati buoni, era una bellissima giornata, avevamo fatto tutti i compiti etc., allora si andava
in giardino. C’è uno stacco tra la pratica educativa quotidiana e la
tecnologia, quando invece nel resto della nostra società noi ci troviamo ad un discorso esattamente opposto. Queste nuove tecnologie, questo nuovo modo di comunicare, hanno trasformato, come
abbiamo visto, tutti gli ambienti dal di dentro.
Vediamo quali sono le principali riflessioni che si stanno facendo nel mondo. Sottolineo solo alcune cose: la scuola deve diventare una learning organization, cioè una organizzazione centrata sull’apprendimento. Qualcuno dirà “ma la scuola è centrata sull’apprendimento”; no, la scuola è centrata sull’insegnamento, che è
un discorso diverso.
La scuola non avrà ancora a lungo il monopolio dell’apprendimento, cioè oggi noi diamo per scontato che si apprende a scuola, lo sviluppo che si sta avendo in moltissime società è che ormai
la scuola non ha più il monopolio dell’apprendimento, non è più il
luogo unico deputato all’apprendimento anche dal punto di vista
formale: la scuola ha bisogno di trasformarsi per riacquistare il pro-
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
prio ruolo, altrimenti rimane spiazzata da una evoluzione che ruota
intorno a lei.
Abbiamo bisogno di una nuova visione sul futuro della scuola e facciamo fatica ad immaginare, progettare questa trasformazione anche perché usciamo da una cultura umanistica, usciamo dalla
cultura del libro. Prima di andare avanti vorrei chiarire subito che
il libro ha avuto ed ha un ruolo insostituibile per lo sviluppo della
coscienza critica di ciascuno di noi, quindi non si tratta di contrapporre il computer al libro. Questo contrasto, che spesso si cerca di
alimentare, è una vera e propria sciocchezza. È come se si volesse
contrapporre la radio alla televisione: credo che nessuno guardi la
televisione in auto così come se si può, invece di sentire la radiocronaca di una partita la si guarda alla televisione; la radio consente di lavorare, perfino di studiare, la televisione invece.... Tra i
media, in qualche modo e con tempi diversi, non c’è mai stata una
storia di contrapposizione che abbia fatto sparire un media a vantaggio di un altro, bensì un assestamento dei rispettivi ruoli ed una
integrazione.
Il problema che si pone a livello internazionale ed in modo
sempre più chiaro è: le nuove tecnologie possono veramente cambiare la scuola o si tratta di una eterna promessa? Questa la domanda che fu posta ad una Commissione bipartisan promossa dal
Congresso americano nel 2003. Le Commissioni insediate dal Congresso, in genere, vedono la partecipazione dei migliori esperti non
solo delle diverse università ma anche delle diverse scuole. In genere ad esempio c’è una netta distinzione con le funzioni svolte dal
ministero che oltretutto praticamente non esiste negli Stati Uniti, a
livello federale: se rapportato alle dimensioni del paese il
Department of Education è una struttura piccola. Per impostare il
loro lavoro i componenti della Commissione si sono posti tutta una
serie di domande, per esempio: questa cultura delle IST è una cultura di serie B rispetto ad una cultura di serie A che invece è la cultura del libro, è una cultura ‘tecnologica’, una cultura cioè che alla
fine è centrata sul saper fare, una cultura che non sviluppa il pensiero riflessivo? Apparentemente a noi la riflessività, i tempi dell’apprendimento, l’interiorizzazione delle conoscenze appaiono opposti, quasi contrapposti alle tecnologie digitali ed loro modo di organizzazione delle conoscenze. La conclusione della Commissione
fu: non è più il caso di porsi questa domanda, certamente sì (le ICT
possono trasformare la scuola), il problema è se la scuola saprà cogliere queste opportunità. Se questo non avverrà probabilmente la
scuola perderà il proprio ruolo sociale nella società e questo si lega
all’analisi sul ruolo monopolistico della scuola fatta dall’OCSE e di
cui parlavo prima.
Tutti i paesi hanno impostato programmi a lunga scadenza
per sostenere questa trasformazione. Gli investimenti dei governi
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
non sono ormai più sui computer. Questa fase centrata sull’acquisto
e sulla disseminazione dei computer è terminata: non è più questo
il problema. La continua diminuzione di prezzi e lo sviluppo dell’elettronica evidenziano come, per il futuro, non sia più questo il problema, almeno nei paesi occidentali.
Sempre in questo rapporto ma anche in altri, si dice: il modo
migliore di investire nelle tecnologie è quello di investire nelle risorse umane; questa è la chiave fondamentale, altrimenti le tecnologie rimangono nella II B chiusa a chiave o, meglio ancora, in biblioteca o da qualche altra parte e non ci sarà la possibilità della
scuola di utilizzare queste potenzialità.
Nei prossimi dieci anni avremo una rivoluzione nella scuola
così radicale e profonda come non si è vista per secoli dato che –
come vi dicevo – la scuola è stata una delle istituzioni che è stata
caratterizzata da una maggiore continuità nell’organizzazione in
classi, nell’aula, nella strutturazione dell’ambiente ecc. In Europa e
in altri Paesi del mondo stanno nascendo le prime scuole senza
classi: perché dobbiamo considerare scontata l’organizzazione della
scuola con la I A, la I B, la I C, la II A, la II B, la II C: non c’è un
altro modo per organizzare l’apprendimento? INDIRE ha organizzato un convegno internazionale a marzo su questo tema, presentando modelli che potete consultare sul sito, ma qui non si tratta di
dire che questa è la soluzione e si deve far tutti così, abolire le classi etc... ma queste esperienze dimostrano come l’impatto delle ICT
sia potenzialmente rivoluzionario, di reale trasformazione. Nel tempo la scuola ha conservato integro il suo ambiente: pensate alle modalità di comunicazione, alla centralità indiscussa della lezione, ad
un modello trasmissivo che regna sovrano anche perché poche ed
incerte sono le alternative. Il ruolo dello studente è rimasto praticamente lo stesso, i programmi scolastici e l’organizzazione delle discipline, come le pensiamo noi, è un’organizzazione sequenziale,
organizzata come fosse un libro, in capitoli e paragrafi. Come sappiamo, nessuno legge un libro saltando questa organizzazione, ma
se ci muoviamo oggi in quello che è il più grande giacimento culturale dell’umanità, la rete, la navigazione avviene con altre modalità.
La rete – che ci piaccia o no – è oggi il sistema che l’umanità ha deciso di utilizzare per condividere, organizzare, memorizzare, tesaurizzare le proprie conoscenze. Non c’è nessuna biblioteca, librer
of congress, biblioteche nazionali, che può stare al pari dell’insieme
delle banche dati, immagini, testi e suoni che oggi è diffuso attraverso la rete e questo è un dato di fatto, è un dato importante. Se un
insegnante 30 anni fa, quando eravamo studenti, fosse entrato a
scuola dicendo con orgoglio “io non sono mai entrato in una biblioteca, non so nemmeno come funzionano i cataloghi”, lo avremmo
guardato con sospetto, avremmo pensato: “questo è un insegnante
strano”. Oggi se un insegnante dice “io non sono mai entrato in
29
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Internet e non so nemmeno come funziona perché questo oggetto di
metallo è contrario alla cultura, è una cosa da tecnologi, da informatici ecc”, non genera lo stesso sospetto ma capite bene che si tratta di un errore culturale fondamentale.
Anche il discorso sulle competenze ruota intorno a queste domande: nessuno di noi sa quali saranno i lavori ‘nel 2024’, una data
a caso naturalmente, la cosa di cui siamo sicuri è che chi lavorerà
nel 2024 avrà bisogno di usare le competenze tipiche della società
dell’informazione e della comunicazione.
Bisogna passare dalle competenze delle tre R, che in inglese
sono Reading, wRiting e aRihtmetic, cioè leggere, scrivere e far di
conto – se le volete tradurre in italiano scolastico – alle competenze
che in inglese chiamano delle tre X. Dalle tre R alle tre X:
eXloration, eXpression, eXchange.
– exploration, la capacità di accedere ed utilizzare le informazioni;
non si tratta tanto di navigare perché non abbiamo bisogno di insegnare ai ragazzi a navigare, il computer lo usano a casa e sanno
navigare molto meglio di qualunque altro insegnante, non è che
gli dovete dire di usare il tasto sinistro del mouse o il tasto destro;
– expression, usare i media digitali per spiegare e rappresentare le
conoscenze. Oggi chi va ad un convegno deve portarsi delle slide
in Power Point, dei filmati; ormai tutto questo è quasi scontato, fa
parte del modo di comunicare. Abbiamo invece una scuola che si
esprime quasi esclusivamente con il tema in classe di italiano: una
società digitale ed una scuola di carta. Scusate se metto in contrapposizione la carta col digitale, sto ovviamente cercando di evidenziare il problema per contrapposizione. Qualcuno potrebbe
dire: “ma la carta è importante” così come il tema di italiano e
questo è del tutto evidente; il problema è che nella scuola certi
modi di esprimersi e certi linguaggi non entrano, non fanno parte
del suo dna, della pratica educativa della nostra scuola.
– exchange: vogliamo collegare la scuola con il mondo del lavoro,
con la società esterna? Prendiamo atto che la società esterna funziona in un altro modo.
I dati Ocse-Pisa evidenziano come i ragazzi che hanno una familiarità con l’utilizzo delle risorse digitali hanno anche un risultato migliore nei test sugli apprendimenti. Questa analisi è stata fatta
a livello trasversale incrociando i dati e dimostrando come le tecnologie ‘non fanno male’ anzi migliorano i risultati. Si tratta naturalmente dei primi studi che si fanno, anche perché questo tema è ancora giovane ed è ancora ovviamente tutto da dimostrare. I primi
dati che emergono però sono incoraggianti: chi usa le tecnologie ha
dei risultati mediamente migliori nei test dove la scuola italiana è
stata classificata molto in basso.
Le ICT sono presenti nei curricula di tutti i Paesi d’Europa: in
molti casi attraverso non tanto una materia a sè, ma in modo tra-
30
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
sversale. In Italia la scuola ha come esorcizzato le nuove tecnologie:
le ha confinate nella II A o le ha trasformate in una materia nuova,
come se si potesse oggi fare ‘informatica’ in prima elementare. Non
possiamo parlare di informatica, ma dobbiamo piuttosto parlare di
introduzione, di utilizzo delle nuove tecnologie con i linguaggi, l’organizzazione, le strategie cognitive che le caratterizzano: la scuola
per esorcizzarne le potenzialità di trasformazione, per dare loro un
luogo, ha creato una nuova materia, l’informatica, come ad esempio
abbiamo trasformato in una nuova materia la ‘dimensione europea
dell’educazione’. Io spero che nessuno dia mai un voto su una materia che non esiste. La dimensione europea dell’educazione non è
una materia scolastica, nemmeno un insieme di cose da sapere,
nemmeno la storia delle istituzioni europee: è appunto una dimensione, un punto di vista che tocca tutte le discipline. Così come il discorso delle nuove tecnologie impatta sul linguaggio, impatta sull’organizzazione, impatta sulla comunicazione didattica dell’insegnante, impatta sugli strumenti di lavoro dei ragazzi. Se io oggi vi
descrivo un esperimento di fisica che magari non possiamo ripetere, lo rendo immediatamente astratto così come anche cosa banale,
di base come la terra che gira intorno a se stessa e intorno alla terra
gira la luna, la quale gira intorno a se stessa e tutte e due girano intorno al sole. Ora, una cosa come questa rappresentata su carta,
semplicemente descritta, per un bambino di III elementare ha un altissimo grado di astrazione; lo stesso fenomeno fatto semplicemente vedere con una animazione, un filmato, assume immediatamente una evidenza, una efficacia diverse. Il libro aiuta poi a sedimentare e riflettere sulle leggi, sulle astrazioni, sulle formule (naturalmente penso ad altri livelli scolastici). È chiaro che non dobbiamo
far fare al libro quello che possono fare meglio la multimedialità e
le nuove tecnologie e non dobbiamo far fare alle nuove tecnologie
quello che fa bene il libro.
Ho coniato una espressione che uso spesso ad INDIRE: “in
carta sei e in carta ritornerai”. Cosa intendo dire? Che se voi progettate una cosa per la carta, anche se la mettete sul digitale ritornerà in carta perché per fruirla la ristamperete, ripasserà dalla stampante e ritornerà carta. Non possiamo quindi immaginare che le
nuove tecnologie siano semplicemente un modo nuovo per fare le
stesse cose, una macchina da scrivere elettronica; non possiamo utilizzare lo stesso linguaggio che noi usiamo per i testi. Questo sistema di erogazione non funziona: è stato un po’ come i primi cd-rom
che la nostra editoria ha realizzato semplicemente prendendo una
enciclopedia così com’era e ‘buttandola’ sul cd rom. Oggi non funziona così, tant’è vero che se andate su Vikipedia, che è l’enciclopedia di internet, vedete che ha una organizzazione totalmente diversa, il testo è dinamico, totalmente ipertestualizzato, rimanda a
tanti altri testi, c’è una alberatura concettuale completamente di-
31
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
versa e sfrutta al meglio la tecnologia, rimanda ai filmati ed alle immagini etc.
Le nuove tecnologie propongono prima di tutto un nuovo
modo di apprendere: c’è la possibilità di una esperienza mediata, di
fondare l’apprendimento su questa caratteristica. La possibilità, che
hanno sfruttato in modo massiccio i videogiochi dell’ultima generazione, di fare una esperienza diretta anche se mediata dalla macchina che il libro ovviamente non ha e che consente di superare
certi limiti che oggi la scuola impone anche ai nostri ragazzi. Ritorno con questa osservazione al problema dell’attrattività della scuola. Spesso i nostri ragazzi non trovano nella scuola il loro linguaggio. Vorrei farvi notare che il Web è nato a Ginevra nei laboratori di
fisica con l’obiettivo di condividere i risultati della ricerca in fisica,
non è nato per commercio elettronico o per chissà quale altra diavoleria, è nato nella comunità scientifica per condividere i risultati
e gli sviluppi delle conoscenze. Certo, poi Internet è una rete senza
‘Grande Fratello’, senza controllo, autarchica, tutto quel che volete,
dentro ci sta di tutto, è sicuramente tutto vero. Però l’umanità ha
scelto questo modo per condividere le conoscenze e la scuola rispetto a tutto questo non può restare alla finestra, non può arroccarsi a gelosa custode di un suo modello di trasmissione delle conoscenze quando ormai tutto il mondo, anche professionale, si sviluppa attraverso linguaggi, modalità, organizzazione e strutturazione anche dei contenuti completamente diversi.
Ho volutamente accentuato i toni della contrapposizione per
segnalare l’urgenza di porre l’attenzione su questi temi e mi scuso
di aver dovuto, per il poco tempo, fare una carrellata necessariamente superficiale ma con l’obiettivo di far capire come il quadro
sia unitario: le competenze e la loro definizione sono legati a questo aspetto delle ICT, così il ruolo degli insegnanti, l’apertura della
scuola al mondo esterno, l’organizzazione della didattica ed il rapporto con gli studenti...
Chiudo con una osservazione finale: i nostri politici ritengono
spesso che le riforme cambino la scuola, ma quando queste non recepiscono elementi culturali forti, già presenti nella scuola questa
cambia le riforme. Troppo spesso si procede un po’ ‘per mode’. Faccio solo un esempio recente: abbiamo vissuto la vicenda del “portfolio sì, portfolio no”. In un caso il portfolio risolveva tutti i problemi,
sostituiva perfino la pagella, adesso il portfolio è diventato una cosa
totalmente inutile o sbagliata. Il portfolio, che ha 50 anni di esperienza nei Paesi anglosassoni e specialmente negli USA, lo fanno i
ragazzi, non lo fanno gli insegnanti. Non solo, ma durante le riunioni semestrali ogni bambino presenta il suo portfolio ai genitori
ed agli insegnanti perché è una autoriflessione sulle tappe fondamentali del proprio apprendimento, è lui che seleziona la propria attività, è una autoriflessione nella quale viene guidato ed aiutato.
32
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Così come quando, uscito dalla scuola, dovrà compilare il suo
portfolio per presentarsi al mondo del lavoro e tutti sappiamo che
questo è un passaggio necessario: non viene richiesto di presentare
la pagella. Così come quando si dice che il portfolio sostituisce la
pagella, vuol dire che siamo fuori dal mondo, che stiamo inseguendo delle mode alle quali affidiamo l’innovazione. Prendete un disegnatore (l’esempio più facile) che va da una casa editrice ed al colloquio dice “io avevo otto in disegno”. È chiaro che l’editore chiederà piuttosto: mi faccia vedere qual è il suo stile, cosa sa fare, mi
faccia vedere il suo portfolio; guarda lo stile e dice “sì, mi interessa”
oppure “ non mi interessa, non rientra nelle competenze che richiediamo”, etc.
In conclusione, dobbiamo riflettere ed analizzare il discorso
della riforma della nostra scuola non soltanto in chiave nazionale,
discutendo dei soliti temi, prigionieri di problematiche che sono
spesso solo italiane: ormai non ce lo possiamo più permettere, dobbiamo immaginare e guardare alle riforme in un ambito internazionale, nemmeno solo europeo ma mondiale. Vi assicuro che gli spunti, gli stimoli, le provocazioni che ci vengono sono numerose e credo
anche molto importanti.
33
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
V
enerdì 27 ottobre 2006
•
La funzione direttiva nella scuola: problemi e prospettive
Lavori di gruppo
35
•
Gruppo 1 e 2: Formazione e reclutamento
•
Gruppo 3 e 4: Valutazione del Dirigente scolastico
•
Gruppo 5 e 6: Progettualità di scuola
•
Gruppo 7 e 8: Rapporti con soggetti sociali ed Enti locali
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
L
a funzione direttiva
nella scuola dell’autonomia:
problemi e prospettive
Prof. CESARE SCURATI - Ordinario di Pedagogia all’Università Cattolica
del Sacro Cuore, Milano
«Nelle imprese umane come l’insegnamento ed il lavoro nella
scuola» – afferma T.J. Sergiovanni – «le concezioni tecniche e manageriali devono essere sempre subordinate ai bisogni umani e le azioni essere sempre realizzate al servizio di scopi umani»1. In tempi difficili, poi, nei quali le scelte diventano anch’esse sempre più difficili
e controverse, si delinea una figura di dirigente scolastico essenzialmente basata sul recupero delle sue funzioni e delle sue potenzialità
come «leader educativo, responsabile dei risultati degli studenti» (in
termini più vasti, della scuola), le cui qualità si ridefiniscono come
capacità di coinvolgimento nella formulazione e nel perseguimento
degli obiettivi, di proposta innovativa, di dialogo continuo, di sviluppo della professionalità, di accensione di relazioni consistenti, di
trasmissione di significati profondi al di là della routine quotidiana,
di accessibilità, di osservazione e di interlocuzione2.
Si tratta, quindi, di saper ‘guidare’ un’impresa umana; e l’intreccio derivante da un verbo (guidare), da un sostantivo (impresa)
e da un aggettivo (umana) definisce il campo nel quale muoversi.
1.
Management
educativo
Gli anni ’80 si sono concentrati in maniera caratteristica sul
tema del cambiamento migliorativo3, giungendo a stabilire che il dirigente scolastico deve formulare una chiara immagine della scuola
e dei cambiamenti da introdurvi ed aiutare gli insegnanti a compie-
T.J. SERGIOVANNI, The Theoretical Basis for Cultural Leadership, in Leadership.
Examining the Elusive, Alexandria, 1987, p. 127.
2
W.F. SMITH-R.L. ANDREWS, Instructional Ledership. How Principals Make a Difference, Alexandria (Virg.), 1989.
3
Cfr. OCDE-CERI, Raccomandazioni conclusive della Conferenza Internazionale ‘Il
dirigente scolastico e l’innovazione nella scuola’ (Parigi, gennaio 1986). La Conferenza rientrava nell’ambito del Progetto ISIP, fino ad oggi il più sistematico progetto
di studio dell’innovazione a livello mondiale. Per una raccolta dei contributi più significativi presenti nei volumi conclusivi del Progetto vd. Processi di innovazione e
miglioramento della scuola. Strategie e modelli di intervento organizzativo, a cura di
A. Ceriani, Milano, 1996.
1
36
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
re un’analisi razionale dei loro bisogni e dei loro obiettivi, che le tradizioni e le ‘regolarità’ esistenti nella scuola vanno rilevate e descritte, che ogni proposta deve venire presentata secondo una chiara prospettazione di ciò che in essa vi è di vecchio e di nuovo, che
occorre scegliersi i punti di riferimento capaci di garantire il contatto con la realtà effettiva, che bisogna programmare incontri frequenti con tutti coloro che hanno un qualche coinvolgimento nell’azione
della scuola, che i bisogni enunciati dagli insegnanti (impreparazione, incertezza) vanno affrontati tempestivamente, senza indugi e
senza riserve, che i supporti per la conoscenza e la ricerca devono
essere disponibili senza difficoltà, che è essenziale che ci sia nella
scuola un clima adatto all’assunzione razionale di rischi e che è importante cercare di provocare occasioni che sollevino gli insegnanti
dall’immersione esclusiva nella routine. È fuori dubbio, pertanto,
che il dirigente scolastico viene a collocarsi, da diversi angoli di visuale, in un’area di professionalità alla quale spettano le più ampie
caratterizzazioni di culturalità, interpretatività e promozionalità formativa. In altri termini, vuol dire che la sua posizione non può che
ripetere in sè le caratteristiche (cioè i fini, i tratti e le notazioni qualitative) proprie della scuola e, di conseguenza, di tutte le prestazioni ad esse inerenti.
2.
Leadership
Negli anni ’90 il tema dominante è costituito dall’infittirsi ed
estendersi dell’attenzione per la leadership educativa, mentre fra i
temi in particolare emergenza vanno segnalati il dibattito sulla questione del ‘mercato’ e sulle sue implicazioni ed alcuni risultati delle
prime ricerche sull’autonomia e sul decentramento.
Il nodo centrale, come segnala K.A. Leithwood, consiste nell’orientamento a «creare una immagine dell’insegnamento come impresa professionale di natura collaborativa», la cui instaurazione e
conduzione richiedono di essere affidate alle mani di un «anarchico» (non conformista, innovatore) che sappia però anche essere
«razionale» (esperto, riflessivo)4.
Possiamo opportunamente riprendere, a questo punto, il contributo di Thomas J. Sergiovanni, la cui prospettiva si impernia sul
principio secondo il quale «ciò che un dirigente sceglie di fare dipende dal suo cuore e dalla sua testa, e questo rimanda sostanzialmente ad un problema di valori»5, che si viene a collocare in una dimensione di giustificazione tipicamente morale dell’autorità.
K.A. LEITHWOOD, The Principal’s Role in Teacher Development, in Changing School
Culture Through Staff Development, a cura di B. Joyce, Alexandria (Virg.), 1990, pp.
71 sgg.
5
T.J. SERGIOVANNI, Moral Leadership, San Francisco, 1992, p. 10.
4
37
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Il centro della prospettiva è così occupato dall’idea della scuola come comunità di carattere morale e dalle dinamiche di senso e
di coesione che la fondano e la sostengono.
È importante che il capo d’istituto riesca ad installare nella
sua scuola un’«etica dell’impegno» come fondamento dell’«ideale
professionale», che vuol dire «far tutto il possibile per essere al servizio dei bisogni culturali, evolutivi e sociali degli studenti come
persone»6. In termini più concretamente circostanziati, a questo
punto, le indicazioni di comportamento professionale possono essere descritte come:
– finalizzazione: suscitare consapevolezza, rafforzare i significati,
esprimere chiara mente idee guida e linee culturali;
– affidamento: distribuire il potere, riconoscere le capacità, delegare
funzioni;
– realizzazione: aiutare gli altri a riuscire, sostenere il senso della
propria efficacia e del proprio valore;
– controllo della qualità: scegliere come indicatori privilegiati le convinzioni, la dedizione, il senso di orgoglio, l’identificazione, la padronanza e la soddisfazione professionali;
– prudenza: equilibrare la rigorosità sui valori con la flessibilità sul
modo di interpretarli nella pratica.
Occorre, in questa prospettiva, sapersi staccare dalle immagini della scuola come organizzazione efficiente e capace di risolvere
problemi in nome di «un chiaro senso del compito, che comprende
un punto comune di incontro per ciò che si è fatto e per come lo si
è fatto, un contratto sociale che collega i membri agli scopi ed ai valori in un patto, un management situazionale»7.
3.
Comunità
Le scuole vanno concepite come «comunità finalizzate» (purposeful communities), cioè «posti dove i membri sviluppano una comunità di pensiero che li tiene insieme e li connette ad una visione
condivisa»8.
Tutto questo confluisce in una ridefinizione della leadership.
«Direttori e insegnanti insieme» – si dice – «vanno dietro allo stesso sogno, e si sforzano di renderlo reale. La direzione non è niente
di più di un mezzo per fare che questo si avveri»; la sua definizione, quindi, non nasce dall’esercizio di un potere sugli altri ma dall’«esercizio di ragionevolezza e di volontà, coerenza e passione,
tempo e talento, senso dello scopo e potere, in un modo che con6
7
8
38
ID., ibid., p. 53.
ID., ibid., p. 101.
ID., Building Communities in Schools, San Francisco, 1994, p. 72-73.
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
senta al gruppo di... accrescere la probabilità che gli scopi condivisi vengano perseguiti»9.
La leadership assume l’aspetto di «una forma di autorità che
assicura che le persone prendano le giuste decisioni ed assumano le
loro responsabilità e che le cose vadano bene per gli alunni»10, capace di servire, prendersi cura, proteggere, motivare, organizzare,
orientare, focalizzare l’attenzione sui problemi e risolverli, animare
le persone. Tocca quindi al dirigente il compito11 di incoraggiare gli
insegnanti a riflettere sulla loro pratica, riconoscere che essi non
maturano tutti negli stessi tempi, riconoscere che hanno talenti ed
interessi diversi fra loro, dare priorità alla conversazione e al dialogo fra i docenti, creare occasioni di apprendimento collaborativo,
sottolineare le relazioni e le percezioni delle interrelazioni, esigere
che gli insegnanti rispondano moralmente del loro lavoro e considerarli come supervisori di comunità di apprendimento.
4.
Istituzione e ascesi
La posizione di Sergiovanni trova una particolare corrispondenza nella linea che parla di “leadership istruzionale”12. Nella prospettiva sviluppata da K.A. Leithwood13 si propone una elaborazione del leader scolastico come formatore, che ha per oggetto di intervento lo sviluppo professionale degli insegnanti e come campo di
riferimento la cultura della scuola. In sostanza, il compito del leader è di «creare un’immagine dell’insegnamento come impresa professionale di natura collaborativa», che richiede il suo intervento in
un complesso intrecciarsi di sviluppi che si collocano su tre linee articolate in stadi o fasi14:
ID., ibid., p. 170.
ID., ibid., p. 93.
11
ID., ibid.,pp. 140 sgg.
12
Vd. W.F. SMITH-R.L. ANDREWS, Instructional Leadership. How Principals Make a Difference, Alexandria, 1989 (soprattutto pp. 1-20).
13
K.A. LEITHWOOD, The Principal’s Role in Teacher Development, in AA.VV., Changing
School Culture Through Staff Development, cit., pp. 71-90.
14
Per l’apertura della linea di ricerca rivolta allo studio delle carriere scolastiche in
termini non di progressione burocratica ma di ‘storia di vita’ e di ‘biografia professionale’ va riconosciuto un debito nei confronti di M. HUBERMAN. Vd. Carriere di insegnamento e innovazione scolastica, Vita e Pensiero, Milano, LXXII/1989, 2, pp.
527-537.
9
10
39
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
SVILUPPO PSICOMORALE
SVILUPPO ESPERIENZIALE
SVILUPPO DI CARRIERA
1. dipendenza, unilateralità, auto-protezione
1. abilità di sopravvivenza
1. ingresso
2. conformismo,indipendenza, negatività
2. fondamentali abilità
2. di insegnamento
2. stabilizzazione
3. coscienziosità, dipendenza condizionata
3. flessibilità
3. nuovi impegni
2. e nuovi compiti
4. autonomia,indipendenza, integrazione
4. esperienza docente
4. plateau professionale
5. contributo allo sviluppo
2. dei colleghi
5. preparazione
2. al pensionamento
6. partecipazione alle decisioni
Il leader scolastico svolge un ruolo determinante nell’accompagnare l’insegnante lungo questo cammino di maturazione insieme
individuale e professionale. Leithwood ha poi ulteriormente elaborato la sua concezione presentandola sotto la dizione di «leadership
trasformazionale»15, che si fonda sulla distinzione fra un tipo di
cambiamenti del primo ordine (didattico-funzionali) ed un tipo di
cambiamenti del secondo ordine (comunicativo-collaborativi). «I
dirigenti scolastici» – afferma – «devono concentrarsi sull’impiego
del loro potere di facilitazione per operare cambiamenti del secondo ordine nelle loro scuole», assumendo come termine centrale di
riferimento della loro azione l’induzione di atteggiamenti ricchi di
energia, ottimismo e speranza. Per essere ulteriormente precisi, si
tratta di
– creare e mantenere una cultura collaborativa, favorendo le occasioni di progettazione comune e procurando il tempo necessario per
questo;
– rafforzare lo sviluppo professionale degli insegnanti stabilendo
obiettivi chiari che possano venire interiorizzati con precisione;
– stimolare la soluzione collegiale dei problemi attraverso la discussione di alternative in grado di allargare le prospettive.
In definitiva, «è ora di ammettere che la leadership non è
tanto una questione di azione aggressiva quanto un modo di pensare e di sentire nei confronti di se stessi, del nostro lavoro e della
natura dei processi educativi»16. Il dirigente scolastico, pertanto, si
profila in maniera sempre più netta come un vero e proprio educatore di adulti.
15
ID., The Move Toward Transformational Leadership, Educational Leadership’, cit.,
XLIX/1992/8, pp. 8 sgg .
16
D.E. MITCHELL-S. TUCKER, Leadership as a Way of Thinking, ibid., p. 30.
40
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
5.
Impresa
Un contributo di R. Pring17 affronta con grande puntualità e
chiarezza di impostazione questo delicato e attuale aspetto della
questione scolastica.
Il modello da analizzare si appoggia ad una base teorica i cui
tratti centrali sono identificabili nell’«individualismo», nella «scelta», nella «sottomissione dell’erogatore rispetto al compratore», nell’idea del «Governo come regolatore del processo» e nel presupposto che «il bene comune deriva dall’insieme delle scelte individuali
entro un quadro fissato da un governo benevolo».
La metafora del ‘mercato’ concretizza la convinzione che «il
bene comune consiste essenzialmente nella somma di beni individuali e che esso viene perseguito da ciascuno nella misura in cui
persegue i suoi propri interessi individuali». L’educazione, pertanto,
diventa «un servizio che può essere comprato o venduto come qualsiasi altro servizio» e gli insegnanti «sono semplicemente degli erogatori di quel servizio che le persone, in base alla comprensione dei
loro interessi, chiedono»; ai destinatari basta essere correttamente
informati sulla «qualità del servizio ed il prezzo da pagare per
esso».
L’analisi critica comincia col far notare la differenza fra l’idea
di «bene comune» e quella di «bene di posizione» e col dire che il
presupposto per cui il primo, corrispondente ad un sistema di ‘mercato scolastico’ basato esclusivamente sulla libera scelta, l’autonomia e la competizione, coincide col secondo è del tutto scorretto.
«La ricerca del bene posizionale individuale», infatti, «porta alla
negazione del bene posizionale di altri, e la scuola, dovendo soddisfare a questa richiesta, non è in grado di rendersi conto di quello
che sarebbe il bene generale di tutti i suoi potenziali utenti»; in secondo luogo, la concezione dell’educazione come un «servizio che
può essere venduto e comprato, come un bene di posizione che può
essere barattato per un vantaggio economico e sociale, ignora ciò
che potrebbe essere considerato come un valore intrinseco»; l’educazione rappresenta, invece, una «iniziazione» ai valori della ‘conversazione’ umana e non un ‘servizio’ nel senso stretto del termine.
Si viene ad alterare, infine, la prospettiva pedagogico-professionale
nel suo insieme, nel senso che il modello, portato alle sue conclusioni logiche, comporta che «la fonte di ciò che vale risiede nei gusti
del consumatore e non nelle tradizioni del pensiero educativo», per
cui «l’autorità dell’insegnante in merito a ciò che vale la pena di apprendere lascia il posto alle scelte dei consumatori o di chi, abilitato dallo stato, è capace di imporre ciò che lui pensa si debba inse17
R. PRING, Markets, Education and Catholic Schools, in AA.VV., The Contemporary
Catholic School Context. Identity and Diversity, a cura di T.Mc Laughlin-J.O’KeefeB.O’Keefe, London,1996, pp. 57-69. Lo spunto immediato è dato dalle attuate nel sistema scolastico inglese, ma il potenziale di generalizzabilità è assolutamente prezioso.
41
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
gnare. L’utile prende il posto di ciò che è intrinsecamente valido, gli
indicatori di performance prendono il posto del giudizio delle persone colte». In conclusione, Pring afferma che la metafora del ‘mercato’ (in quanto rivolta ad una visione limitativa della formazione
personale, permeabile ad una sovradeterminazione dall’esterno degli obiettivi educativi ed estranea ad una considerazione costruttiva
della relazione fra l’individuo e la comunità) appare inadatta ad accogliere ed orientare tutte le ragioni dell’azione educativa.
Non ha dubbi al riguardo nemmeno Sergiovanni quando afferma che «ciò che le scuole non devono fare è di funzionare come
agenzia di affari, e i dirigenti non devono operare come proprietari
di imprese commerciali»18.
6.
Leadership
emozionale
L’onda sollevata dai lavori di Howard Gardner sulle ‘intelligenze multiple’ e di Daniel Goleman sull’‘intelligenza emotiva’ ha
raggiunto anche la teoria della dirigenza19.
«Il compito fondamentale dei leaders» – affermano Goleman
e colleghi – «è di innescare sentimenti positivi nei loro sottoposti.
Questo si verifica quando il leader crea della risonanza – una riserva di positività che libera il meglio nelle persone. Al fondo, allora, il
lavoro essenziale di un leader è di tipo emozionale». Di contro alla
leadership ‘risonante’ si delinea la leadership ‘dissonante’, efficace
per conseguire apparenti successi a breve termine ma altrettanto efficace per scatenare processi di intossicazione relazionale ed organizzativa che impediscono l’attivazione di quella consonanza di
mente e di cuore che massimizza l’autoconsapevolezza e consente
l’autodirezione.
È interessante notare che alla capacità di leadership risonante si può arrivare – «la leadership si può imparare», anche se «il
processo non è facile; richiede tempo e, soprattutto, dedizione» – attraverso un cammino di “apprendimento autodiretto”», che «richiede in primo luogo un’immagine forte del sé ideale così come un accurato ritratto dell’io reale, di chi si è ora». Si tratta, in sostanza, di
realizzare un efficace equilibrio di idealità e realismo: «I leader
emotivamente intelligenti sanno che il loro compito essenziale è di
guardare innanzitutto alla realtà organizzativa, identificando i problemi col pieno coinvolgimento degli individui chiave»; per ottenere questo risultato, essi «sanno come guidare le loro emozioni distruttive così da poterne mantenere il punto focale, riuscendo a pen-
T.J. SERGIOVANNI, Leadership, ecc., cit., p. 84.
Vd. D.GOLEMAN-R.BOYATZIS-A.MCKEE, Essere leader (Milano, 2000) sul tema di come «rendersi conto del potere dell’intelligenza emotiva» nei confronti della leadership organizzativa.
18
19
42
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
sare in modo chiaro sotto pressione». In concreto, il leader risonante sa quando essere collaborativo e quando essere visionario,
conosce i tempi ed i modi giusti per ascoltare e quelli per comandare, è più mosso da valori, più flessibile ed informale, più aperto e
franco, più vicino alle persone e ai gruppi; le sue caratteristiche fondamentali sono l’autoconsapevolezza, il senso dell’importanza delle
cose, la capacità di intuizione, l’autodominio e l’empatia; le sue abilità consistono nell’«aiutare le persone ad identificare le loro specifiche forze e debolezze, connettendole alle loro aspirazioni», nell’incoraggiarle «a stabilire obiettivi a lungo termine» aiutandole «a
pensare un piano per conseguirli», nel fare «molta chiarezza sulle
responsabilità del leader e sui ruoli dei dipendenti» e nel «delegare, dando ai dipendenti dei compiti che li impegnano piuttosto che
semplici lavori da fare».
7.
Rilanci e sviluppi
43
La grande e – sia ben chiaro – dovuta attenzione che circonda le vicende generali della riforma del sistema scolastico e quelle più particolari e specifiche della finalmente (più o meno) raggiunta ‘dirigenza’ dei capi d’istituto (e soprattutto delle condizioni contrattuali che la concretizzano) ha condotto ad un’evidente
attenuazione di alcune sottolineature che, invece, avevano tenuto
giustamente banco per un non brevissimo periodo e sulle quali è
forse bene ritornare: parliamo, per esattezza, di ‘educazionale’ e
di ‘metadidattica’.
Il concetto e il termine di ‘educazionale’ hanno risposto, a suo
tempo, all’esigenza di individuare un campo distintivo di collocazione di una figura che appariva in larghissima misura ora risucchiata nei turbini esaltanti, ma nello stesso tempo scarsamente afferrabili, di una sorta di supermagistralità dai nebulosi confini ed
ora invischiata nelle algide spire di una visione esclusivamente burocratico-esecutiva dagli asfittici sviluppi. Quanto all’idea della ‘metadidattica’, poi, essa appare rivolta a porsi il problema del ruolo e
della funzione del dirigente in relazione al lavoro degli insegnanti
nel suo farsi ed attuarsi nell’esperienza di insegnamento-apprendimento e, quindi, nei punti specifici del suo accadere.
Nel primo senso, allora, viene in evidenza la capacità del
capo d’istituto di sapersi profilare in termini di essenzialità contestuale e gestionale; nel secondo, a sua volta, emerge il compito di
orientamento e di mantenimento in vista delle giuste rotte e di proposizione dei richiami necessari perché non se ne perda la visione.
Una considerazione armonicamente integrativa delle principali suggestioni provenienti dall’uno e dall’altro campo consente ancora –
crediamo – di intravvedere i tratti intrinsecamente propri di un profilo che ci spiacerebbe (ancorché meglio remunerato ed autorevolCONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
mente considerato) veder scivolare in direzioni troppo lontane dai
suoi significati più preziosamente distintivi.
Ma è tempo di entrare in maggiori dettagli.
Sul fronte dell’educazionale:
Razionalità aperta. L’educazionale si costruisce nell’incontro
fra la cultura ‘pedagogica’ e quella ‘organizzativa’ e trova il suo momento di maggior forza nel collocare di fronte ad una razionalità
chiusa e difensiva (norma, tradizione) una razionalità aperta e propulsiva (innovazione, ricerca), capace di porsi in termini di energia
e di prospettiva oltre che di rassicurazione e di solidità. Il dirigente
scolastico è insieme figura della oggettività (efficienza, affidabilità)
e della progettualità (invenzione, cambiamento).
Facilitazione. Ad un senso meramente funzionale ed esecutivo (rendere facili, cioè semplici e chiari, gli adempimenti) si accosta
un valore più dinamicamente profondo: vuol dire far sentire la gradevolezza e la soddisfazione personale dello stare e del lavorare insieme, sostenere il gusto dell’insegnare e dell’apprendere, eliminare
le ridondanze negative, riassorbire le dispersioni, difendere la percezione dell’essenzialità.
Valorizzazione. Vengono in primo piano le qualità promozionali e suscitative: stimolare l’immagine positiva, consegnare fiducia
ed attribuire responsabilità, additare i cammini di potenziamento
migliorativo, apprezzare i progressi.
Sul fronte della metadidattica:
Additare la linea. La didattica, come sapere regolatore essenziale dell’azione degli insegnanti, perde qualsiasi significato se si dimenticano le tre componenti qualitative essenziali della relazione,
della comunicazione e della metacognizione. L’azione di guida del
capo d’istituto non si esplica, evidentemente, nella singolarità della
trasmissione contenutistica ma trova il suo terreno necessario di efficacia nella focalizzazione (decisa e non permissiva) su ciò che
rende realmente ‘didattica’ la situazione di scuola.
Controllo interno. È il problema del ‘locus of control’, vale a
dire del punto focale di riferimento per l’apprezzamento di ciò che
avviene, di ciò che si fa e dei suoi risultati: a fronte dell’insistenza
sui compiti di garanzia delle verifiche esterne va richiamata l’altrettanto importante funzione di richiamo alle aree interiori di valutazione, proprie di una professionalità eticamente responsabile e
pronta a rispondere in prima persona. L’autovalutazione continua
(da non confondere – si prega – con l’autoreferenzialità) è il segno
fondamentale della piena responsabilità.
Proprietà ed appropriazione. Il dirigente scolastico risponde
della conduzione impresariale di un’organizzazione complessa senza esserne per questo ‘proprietario’; piuttosto, il suo compito è di
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
svolgere nella sua impresa tutti i processi di ‘appropriazione’ – immedesimazione, collaborazione, condivisione – che la rendono insieme fattualmente produttiva ed umanamente positiva. Fare propria la scuola senza esserne i possessori ed evitando che qualcuno
se ne impossessi: qualcosa per cui vale la pena di lavorare e di far
lavorare.
In un’ulteriore sintesi, possiamo dire che torna alla ribalta l’idea della scuola come comunità efficiente, umana e formativamente giusta, nella quale si intersecano e si bilanciano fra di loro caratteri di ‘aderenza’ – lealtà alle consegne, rispetto degli impegni, conseguimento dei traguardi – e di ‘emersione’ – capacità di novità, dinamismo, originalità – in un equilibrio storicamente (cioè sia presenzialmente che in prospettiva) rilevabile.
Il dirigente scolastico, sotto questo punto di vista, non soltanto sta ‘nella’ scuola ma cammina ‘con’ essa. Altrimenti, non sarebbe una figura pedagogicamente analizzabile.
Il tema della ‘comunità cognitiva’20 presenta nuovi possibili
sviluppi ed approfondimenti del filo conduttore della concezione
della dirigenza scolastica ed educativa come attività di natura pedagogica.
Sergiovanni indica quattro errori da evitare nella costruzione
di una teoria scientifica: a) porre degli standard troppo elevati; b)
porre degli standard troppo bassi; c) affrontare un problema errato;
d) utilizzare una conoscenza valida in un campo per esplorarne uno
differente da esso. Il quarto tipo di errore è proprio quello che si è
commesso a proposito della concezione della dirigenza educativa,
allorché la conoscenza valida per definire l’autorità nelle organizzazioni formali è stata applicata ad altri tipi di organizzazione, come
la scuola, determinando così una frattura fra la consapevolezza di
essa come ‘comunità educativa’ ed il mantenimento della leadership
pedagogica sotto i paradigmi della burocrazia e/o della carismaticità. Il problema concettuale in gioco consiste per l’appunto nel
riempire questa frattura in modo da allineare in maniera coerente
fra loro le due visioni e da rendere compatibile la concezione della
scuola come comunità educativa con quella della sua direzione
come azione formativa.
Lo svolgimento del tema percorre passaggi ormai consolidati
– il «senso della comunità», la «dedizione morale» verso i colleghi,
la costruzione del «cuore culturale» dell’istituzione, l’unicità di ogni
scuola (il suo «carattere») come aggregato specifico di problemi e di
valori – e si chiude con un riferimento ai principi fondanti della
«sussidarietà» e della «reciprocità»: in base al primo, occorre che «i
Vd. T.J. SERGIOVANNI, Leadership cognitiva e comunità professionale, ‘Dirigenti Scuola’, Brescia, marzo 2003, pp. 10-17; AA.VV., Beyond Instructional Leadership, ‘Educational Leadership’, cit., maggio 2002.
20
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
governi e le autorità politiche vogliano concedere fiducia agli insegnanti, ai dirigenti, ai genitori, agli studenti ed ai poteri locali» mentre il secondo stabilisce che le relazioni fra le persone, le istituzioni
ed i diversi livelli amministrativi siano «improntate alla dignità ed
al rispetto».
Quanto al tratto della ‘cognitività’ – termine che nel trasferimento all’italiano non va inteso in senso riduttivamente intellettualistico –, esso va ricondotto ad un significato di ‘idealità’, che caratterizza la leadership educativa come capacità di portare «idee» in
quanto promozione di consapevolezza culturale, apertura di orizzonti morali e stimolazione ad un’assunzione pienamente riflessiva
di compiti, finalità e progetti.
Il fascicolo di ‘Educational Leadership’ raccoglie una serie di
contributi accomunati dalla sottile intenzione di andare «oltre»
(beyond) una leadership centrata sull’istruzione (instructional leadership) per approdare ad una centrata sull’apprendimento. Lo spostamento – fondamentalmente implicito nel modello precedente ma
comunque utile da identificare – comporta l’accentuazione di alcune dimensioni specifiche, quali l’attenzione per gli studenti (i loro
bisogni, i loro problemi, le loro relazioni), la promozione dello sviluppo professionale degli insegnanti e la conduzione dei processi di
innovazione come sviluppo istituzionale partecipato.
È questa, infatti, la linea comune nella quale si collocano interventi come quelli di M. Fullan – The Change Leader: il dirigente
deve promuovere relazioni positive, produrre e diffondere conoscenza, costruire coerenza, sviluppare sensibilità per i contesti, coltivare le capacità di leadership – e di L. Lambert – A Framework for
Shared Leadership: la collaborazione e la condivisione della responsabilità costituiscono la base della coerenza progettuale e della pratica riflessiva e conducono ad una rivisitazione complessiva del
ruolo del dirigente: «oggi un efficace capo d’istituto costruisce una
visione condivisa con i membri della comunità scolastica, convoca
gli incontri, insiste sul mettere al centro l’apprendimento degli alunni, stimola e sostiene la leadership negli altri, struttura ed esercita
le pratiche collaborative, aiuta a porre i problemi e facilita il confronto con le controverse esigenze della pratica» – autori anch’essi,
come Sergiovanni, di lunga militanza e di consolidato credito negli
studi sulla dirigenza scolastica.
Un’interessante ed opportuna sottolineatura, poi, è presente
in un intervento di K.F. Grove (The Invisibile Role of the Central
Office), nel quale si richiama l’attenzione, di fronte al pericolo di
un’eccessiva esaltazione ‘localistica’, sulle funzioni degli uffici amministrativi nel diffondere messaggi, sostenere i dirigenti stessi, definire standard ed obiettivi, mettere a disposizione gli insegnanti, offrire servizi e assicurare una «consistenza comune» che eviti la
«balcanizzazione» delle scuole e dei curricoli. Essi, si dice, sono co-
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
me lo «scheletro invisibile» che regge il corpo organico della vita
della scuola.
Un cuore ‘culturale’, dunque, ed uno ‘scheletro’ amministrativo; la forza e l’energia morale del primo e la solidità (nonché la discrezione) del secondo: quel che ci vuole per una comunità che intende camminare.
8.
Termini aperti
La teoria generale del management educativo21 appare sottoposta ad una serie di tensioni ed incertezze che si connettono alle
critiche cui sono esposti sia «le grandi concezioni dei teorici dei sistemi» sia i «discorsi dei costruzionisti sociali»: ai primi si obbietta
l’impossibilità di qualsiasi concezione universale e ai secondi la
precarietà di qualsiasi costruzione rappresentativa. Esiste, poi ,un
contrasto intrinseco fra la cultura postmodernista – frammentazione, volubilità, relativismo – e le esigenze proprie del management –
qualità, efficienza –, dal quale si può uscire o col rifiuto puro e semplice del postmodernismo e il ritorno alla burocrazia, al potere neutrale e all’efficientismo o con l’incorporazione di idee come ‘partecipazione’, ‘scelta’ e ‘diversità’ o, ancora, con l’inclusione di costrutti tipici dell’approccio postmodernista come ‘chaos’, filtrato in
un modello di «caos guidato», all’interno del quale non sono comunque evitabili dilemmi «fra il desiderio di stabilità ed il desiderio di conoscenze ed esperienze nuove, fra la ricerca delle radici e
la tendenza a distaccarsene, fra l’individualismo e la ricerca di identità nazionali, etniche e di classe, fra il bisogno di punti di riferimento morali ed il desiderio di oltrepassare il limite».
La situazione appare ugualmente dilemmatica anche sotto il
profilo del decentramento e dell’autonomia22, nel senso che le «strategie di devoluzione» possono venire intese come «una forma di governo a distanza e pertanto, col fatto di sembrare meno visibili, possono risultare più invasive e pervasive». In particolare, esse, mediante l’introduzione di «parametri imposti centralmente» arrivano a
determinare «come i managers... sono a loro volta diretti attraverso
un più elevato livello di documentazione e di autocontrollo».
Non sfugge alle critiche, ovviamente, nemmeno l’impostazione ‘valoriale’ cui abbiamo dedicato il maggior spazio, rispetto alla
quale sarebbe fin troppo facile, dal nostro punto di vista, registrare
con soddisfazione l’indubbia ‘conversione al pedagogico’ che questi
contributi presentano, ma potrebbe anche risultare pericoloso qua-
21
Vd. D. HARTLEY, In search of structure: theory and practice in the management of education, ‘Journal of Education Policy’, London, XIII/1998/1, pp. 153-163.
22
Vd. D. MEADMORE-P. THOMAS-H. LUCAS, Devolving practices: managing the managers, ibid., X/1995/4, pp. 399-411.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
lora la si intendesse come una sorta di liberazione dai ceppi dell’analisi organizzativa per riapprodare ai benedetti lidi di una sorta di
neoromaticismo o di neoidealismo oppure come una definitiva convalida delle più vetuste accezioni carismatiche. In realtà, nessuno
intende ripristinare le ben note figure – tanto per dire – del direttore come ‘maestro dei maestri’ o del preside come ‘boss’ curricolare
o comunque del leader scolastico come ‘profeta’ pedagogico inappellabilmente giusto: da qui alla caricatura – come ben si sa – il
passo è molto breve. Ma i limiti di retoricità ed esigenzialismo, nonché i pericoli di deriva irrazionalistica, non annullano i meriti e le
potenzialità23.
Siamo d’accordo con R. Williams, infatti, quando nota che le
organizzazioni, anche quelle scolastiche, tendono ad essere di per
sé dei «primitivi morali» che necessitano di venire opportunamente
educati, motivo per cui «gli amministratori educativi hanno la pesante responsabilità di rispettare la dimensione morale di un’impresa fondata sui valori»24.
Il nucleo portante della posizione consiste, allora, nella sottolineatura del fatto che il capo d’istituto ricopre una posizione i cui
contenuti sono in primo e fondamentale luogo relativi alle persone
e ai motivi culturali e umani per cui la scuola si propone nella loro
esperienza formativa, siano essi minori o adulti, studenti o insegnanti o genitori o comunque soggetti collocati in una forma di relazione significativa con la scuola. In altri termini, vogliamo dire
che egli, pur mantenendo tutte le sue qualifiche e attribuzioni di natura organizzativa in senso stretto, rimane pur sempre un operatore
di rapporti formativi e un testimone di finalità educative. Le conseguenze non sono certo difficili da individuare, e parlano di coinvolgimento diretto nei livelli valoriali dell’istituzione, di competenza
nei processi di progettazione e valutazione curricolare, di intervento negli itinerari di formazione degli insegnanti e dell’altro personale, di contatto continuo con le realtà di svolgimento dell’attività didattica ed educativa, di azione specifica di informazione, critica, valutazione, incoraggiamento, dimostrazione, facilitazione, controllo
e, infine, di promozione di tutte le occasioni possibili di crescita
professionale sul piano individuale e collegiale25.
Le parole d’ordine di questa prospettiva possono venire identificate nella finalizzazione, nel potenziamento e nel servizio. Sul
primo piano si tratta di difendere l’evidenza dei traguardi, sul se23
Si vedano, in proposito, le interessanti e penetranti riflessioni di M. LACROIX (Il
culto dell’emozione, Vita e Pensiero, Milano, 2002) sul particolare momento ‘affettivistico’ della cultura attuale.
24
R.C. WILLIAMS, Review of Educational Leadership: The Moral Art, ‘Educational Management and Administration’, Washington, XXI/1993/4, pp. 255-258.
25
Per una esposizione complessiva, vd. J.L. PATTERSON, Leadership for Tomorrow’s
Schools, Alexandria, 1993.
48
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
condo di offrire occasioni di presenza adulta significativa e sul terzo
di collocarsi al centro di un sistema come ‘parola’, utile e valido
punto di riferimento e di sintesi insieme operativa e morale.
Indicazioni
bibliografiche
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Lavori di gruppo
51
•
Gruppo 1 e 2: Formazione e reclutamento
•
Gruppo 3 e 4: Valutazione del Dirigente scolastico
•
Gruppo 5 e 6: Progettualità di scuola
•
Gruppo 7 e 8: Rapporti con soggetti sociali ed Enti locali
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
G
1.
Specificità del ruolo
e competenze del
Dirigente Scolastico
52
ruppo 1 e 2
Formazione e reclutamento
Sintesi a cura di LUIGI BOSCOLO e GRAZIANO BIRAGHI
La specificità del ruolo rientra nella interrelazione tra il versante amministrativo, organizzativo e manageriale e il versante educativo. Quest’ultimo aspetto, oggi, non ha molta rilevanza nel profilo dirigente. Il rischio, ormai realtà, è l’esclusione dell’interesse diretto verso i processi formativi e didattici.
Occorre quindi rivedere o ri-comprendere nel ruolo del Dirigente l’attenzione alle dimensioni educative e didattiche come compito di responsabilità e di orientamento culturale e progettuale del
proprio istituto a cui vanno coniugati gli aspetti amministrativi. Pertanto l’idea che la dirigenza scolastica, come figura pedagogica ed
esperta in processi formativi, possa essere considerata intercambiabile con figure provenienti da altri settori della pubblica amministrazione va abbandonata, perché la dirigenza è professione che
nasce dalla scuola attraverso la valorizzazione di docenti impegnati in funzioni di conduzione di gruppi e di ‘sistema’. La scuola, quindi, si presenta come una tipologia organizzativa specifica e diversa
da altri settori amministrativi ed economici.
Tuttavia, la dirigenza si connota come un campo professionale
sostanzialmente diverso dalla docenza verso campi di competenza relativi alla gestione delle relazioni, agli aspetti di riflessione sulla didattica, di animatore e di garante del progetto educativo di scuola.
Su questo piano va rilevata la deriva che sta assumendo la figura del Dirigente presentata e vissuta in contrapposizione con i docenti specie nella gestione degli aspetti contrattuali. Oltre a diminuire ogni valore di relazionalità funzionale ed educativa con i docenti, viene sottolineato il difficile rapporto con le R.S.U.
Il profilo del Dirigente Scolastico trova soprattutto nella traduzione pratica di linee teorico culturali le sue dimensioni più rilevanti,
in quanto il lavoro è caratterizzato in modo particolare dal carico psicologico nel sostenere la decisionalità e dalla tenuta in situazione
nella gestione dei conflitti. Per queste ragioni viene sottolineata la necessità di un orientamento alla professione delle persone che si preparano per assumere l’incarico di dirigente. Tale orientamento deve
configurarsi in termini di sviluppo professionale dove il tirocinio diventa per i candidati un momento utile ad affinare la propria propensione ad assumere il punto di vista istituzionale e inter-istituzionale
della scuola. L’obiettivo è l’individuazione delle persone più idonee.
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
2.
Il contesto d’azione
della Dirigenza
Scolastica
53
La contrapposizione o l’integrazione tra leadership e management nella figura del dirigente trova sicuramente un vincolo nel contesto in cui opera. In particolare è l’idea di scuola che viene teorizzata e veicolata a livello istituzionale e sociale a condizionare e a
orientare le finalità e le dimensioni operative in cui le persone si trovano a svolgere la loro funzione dirigenziale.
In questo quadro l’autonomia scolastica deve configurare sempre più il cammino della scuole per superare due polarizzazioni:
– autonomia vs dipendenza amministrativa e centralistica;
– azione intenzionale vs applicazione di disposizioni.
Altri elementi di contesto sono costituiti dai delicati rapporti
con altre figure e organi collegiali che creano complesse situazione
di difficile pianificazione perché sono soggette a continui cambiamenti in situazione. In particolare possiamo elencare alcuni punti
d’attenzione:
– rapporto con il Dirigente dei Servizi Generali ed Amministrativi
(DSGA);
– presidenza degli Organi Collegiali, da considerare decisiva per il
ruolo svolto dal dirigente, con particolare riferimento al ruolo e ai
compiti del Collegio Docenti da rivedere;
– questioni relative alla responsabilità della gestione di bilancio e il
Regolamento Contabile.
Queste dimensioni di contesto accentuano aspetti del profilo
che fanno riferimento a capacità di gestione ‘politica’ della scuola
che si costruisce solo a partire da una frequentazione originaria
degli ambienti scolastici propria della professione docente prima e
dirigente poi.
Il compito più impegnativo nell’ambiente scolastico è il trasferimento delle idee che vengono condivise nel campo dell’agire
educativo, didattico ed istituzionale per incontrare i problemi dell’oggi. Il contesto richiede così interventi ad hoc e condiziona fortemente l’azione del Dirigente al punto che risulta impossibile una
loro separazione, confermando la visione di “dirigenza situata”.
La dinamica relazionale tra Dirigente e contesto è un punto
che si ritiene rilevante per affrontare in modo più significativo le
questioni relative alla valutazione dei dirigenti. In particolare occorre superare un approccio formale secondo modelli standardizzati per porre più attenzione a:
– relazione tra condizioni di partenza e cammino effettuato;
– relazione tra azioni del dirigente e azioni delle altre componenti.
Sul tema della valutazione di sistema si ritiene utile sottolineare che occorre spostare l’attenzione da modelli ispirati al controllo razionale dei processi e degli esiti, verso dimensioni più centrate alla rilevanza sociale degli attori, dove la scuola si delinea
come comunità di apprendimento e come ambito di ricerca del bene
comune espresso dal progetto educativo.
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Su questo piano è possibile superare una visione competitiva
tra istituti scolastici per offrire una qualità unitaria, in dimensione
di rete, pur nella diversificazione dell’offerta formativa.
3.
Modalità
del reclutamento
Le procedure concorsuali non favoriscono una visione sintetica sulla professione perché si struttura in tanti piccoli moduli e settori. La visione frammentata è ulteriormente accentuata dalle procedure di formazione ‘on line’ che invita i candidati alla rincorsa di
crediti formativi, diminuendo la tensione verso la ricomposizione di
uno sguardo di insieme della figura e dell’impegno professionale.
È importante allora, dopo la prima selezione, porre l’attenzione sul tirocinio e sull’anno di prova. Nel primo è bene che il progetto, realizzato in contesti di riferimento, possa godere, per la sua
realizzazione, di tempi distesi ed esenti da altri impegni. È importante che si possa anche contare su efficaci figure di affiancamento
del candidato per accompagnarlo in un approfondito lavoro di riflessione sulle pratiche di gestione scolastica.
Per quanto riguarda l’anno di prova, oltre a esplorare la possibilità della costituzione di gruppi territoriali tra neoassunti, diventa anche per le nostre Associazioni un appuntamento importante:
– è anno strategico per integrare e completare la formazione;
– è importante l’affiancamento di un collega per affrontare e confrontarsi sui problemi;
– è rilevante porre una distinzione nell’azione di tirocinio tra chi ha
già un incarico di presidenza e chi invece non si è mai trovato a
contatto con la funzione dirigenziale. Potrebbe essere utile differenziare la quantità di orario per favorire moduli più personalizzati in funzione di bisogni formativi specifici.
4.
Forme
della formazione
in servizio
La formazione in servizio ha il compito di recuperare tutte le
dimensioni del profilo che caratterizzavano le ricchezze e le specificità del direttore didattico e del preside, mettendole in stretta correlazione con le nuove esigenze professionali. La visione sintetica che
caratterizza il profilo ha bisogno di essere sviluppata in tutte le implicazioni teoriche, ma con uno sguardo rivolto alla applicazione
pratica. Questa operazione richiama la necessità della partecipazione attiva dei dirigenti scolastici in ogni percorso formativo in qualità di titolari e autentici interpreti dei processi professionali in situazione.
La formazione in servizio è anche occasione per superare la
solitudine in cui si svolge il ruolo di Dirigente nella scuola. L’obiettivo principale risulta così la creazione di luoghi di confronto e di
54
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
scambio di esperienze attraverso lo sviluppo di modelli partecipati
e di modalità aperte di formazione utili soprattutto ad accompagnare i primi momenti di ingresso in professione e a coinvolgere i docenti responsabilizzandoli verso funzioni professionali di sistema.
Si segnalano alcuni campi che potrebbero essere oggetto di
formazione anche attraverso gli Uffici Scolastici regionali: progetti
europei; contenzioso; privacy; servizi offerti dagli Uffici Scolastici
Provinciali; la relazione tra scuola e territorio dopo l’istituzione degli USP, quale rapporto con l’autonomia scolastica?
5.
Valore
dell’Associazionismo
professionale
Va sottolineata con forza l’importanza dell’Associazioni professionali perché l’associarsi nel condividere progetti ed esperienze
rimette al centro il tema dell’identità culturale tra idealità e realtà.
È una prospettiva che dopo l’esperienza del convegno richiede di essere intrapresa con coraggio come momento stabile e strutturale,
come gesto di soggettività importante per tutte le Associazioni coinvolte.
Infatti il confronto tra Dirigenti scolastici nei diversi gradi e
ordini di scuola è stata una tradizione importante e significativa che
ha favorito una qualità complessiva del sistema. Tuttavia il rischio
di isolamento a cui può portare una certa interpretazione dell’autonomia richiede di operare per un recupero di condivisione e cooperazione anche con chi pensa di agire secondo proprie scelte. Occorre quindi valorizzare le implicanze teoriche della socialità professionale per sviluppare sul piano pratico condivisione e relazionalità
professionale tra i dirigenti. La dimensione della socialità professionale trova anche uno sviluppo nella diffusione delle reti di scuole e
nelle numerose relazioni territoriali. Su questa strada potrebbe
prendere corpo lo sviluppo di reti di confronto verso forme di collegialità con l’istituzione di veri e propri collegi dei dirigenti.
Sul piano professionale le Associazioni rappresentano luoghi
in cui si cresce secondo una dimensione dialogica e cooperativa,
coniugando le istanze educative con le sue traduzioni operative per
avanzare così proposte di cambiamento e di innovazione.
Sul piano personale è in gioco il confronto e l’esame della propria biografia professionale come spazio di riflessione e di progettazione dello sviluppo professionale. Un tale orientamento favorirebbe il ruolo delle Associazioni nella formazione che assumerebbe
sempre più un carattere personalizzato e di presenza attiva nella
scuola e nella società.
Oggi si assiste anche alla costituzione di Associazioni di Scuole Autonome che costituiscono un sistema di confronto e di rappresentanza presso gli Enti Locali in vista della composizione delle
55
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
istanze provenienti dal mondo scolastico e dei necessari raccordi per
interventi territoriali. Rispetto a queste esperienze va sottolineato
che l’associazionismo professionale é di altra natura e valore perché
si qualifica nei termini della comunità professionale che, a partire
dal lavoro dei soggetti che vi partecipano, fa emergere istanze, ragioni, progetti di sviluppo professionale e scolastico. Invece le associazioni di scuole autonome trovano la loro forza nella dimensione
istituzionale della scuola.
L’esperienza del Convegno che ha visto riunite le tre Associazioni, oltre a rimarcare la necessità dell’associazionismo, rappresenta una significativa occasione per mantenere alta la speranza
educativa nelle nostre realtà scolastiche e nella società civile.
Risulta quindi rilevante creare un’occasione stabile per un confronto stretto su temi specifici e su azioni comuni.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
G
ruppo 3
Valutazione
del Dirigente scolastico
Sintesi a cura di CATERINA MANCO
Dirigente I.C. eSpazia di Monterotondo (Roma)
Nel gruppo, composto da Dirigenti di scuole statali e paritarie, erano presenti anche alcuni Dirigenti che, in momenti diversi,
hanno partecipato alle tre edizioni del SIVADIS riportandone una
diversa impressione in relazione alle diverse realtà territoriali: lì
dove le Direzioni Regionali hanno manifestato condivisione, interesse e partecipazione al progetto ministeriale, gli esiti della sperimentazione sono stati positivi, soprattutto perché i team dei valutatori hanno regolarmente condotto le visite nelle scuole osservando
e monitorando l’azione del Dirigente. Non dappertutto però l’azione è stata altrettanto accurata e, di conseguenza, ha dato esiti più
incerti.
Valutare, perché
Particolarmente interessante è risultato l’avvio della discussione attraverso la domanda: perché è opportuno che il Dirigente sia
valutato? Tutti hanno convenuto che la valutazione del Dirigente è
“imposta dall’alunno”, portatore di una domanda educativa cui è necessario rispondere con serietà e puntualità. Il processo di valutazione pone il Dirigente al centro di una responsabilità educativa
condivisa con l’intero corpo docente della cui organizzazione e valorizzazione tuttavia risponde personalmente. Egli diventa, in questo modo, il centro e il garante della qualità dei percorsi formativi,
dei piani personalizzati e, in definitiva, del successo formativo di
tutti gli alunni.
Valutare, cosa
Più complesso è stato definire cosa valutare perché il dibattito
si è subito trasferito sulle caratteristiche della leadership che il
Dirigente è chiamato ad esercitare. Anche qui, tuttavia, è stato unanime il consenso sull’idea che oggetto della valutazione debba essere non tanto l’attività burocratico-amministrativa, che da sola non
garantisce la qualità dell’azione formativa, quanto piuttosto la capacità del Dirigente di gestire i processi organizzativi e didattici promuovendo e valorizzando tutte le risorse e le persone che con lui
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
condividono i processi educativi. Ne emerge una leadership educativa fortemente caratterizzata e da tutti riconosciuta come la sola realmente aderente ai nuovi, e sempre antichi, bisogni di formazione.
Valutare, come
L’ultima domanda che ci siamo posti ha riguardato il come
deve essere condotta la valutazione di un dirigente. Se, infatti, il Dirigente rimane l’unico soggetto della scuola ad essere sottoposto a
valutazione, non solo diventa discriminante individuarne le responsabilità rispetto agli esiti formativi in assenza di poteri reali per il
reclutamento del personale, ma perde di significato qualsiasi osservazione sulla qualità dei processi che non possono essere garantiti
senza un coinvolgimento diretto di tutto il personale, docente e non
docente. È il sistema quindi che deve essere valutato e, senza scandalo per nessuno, è ora che si arrivi ad una seria valutazione delle
prestazioni professionali di tutto il personale per riconoscere i meriti e, se occorre, sanzionare i demeriti.
Dirigenti statali e Dirigenti di scuole paritarie
L’ultima parte del dibattito ha riguardato la sostanziale diversità delle condizioni in cui operano i Dirigenti delle scuole statali e
quelli delle scuole paritarie. La presenza di un gestore, infatti, che
nelle scuole paritarie assume direttamente alcuni dei compiti propri
del Dirigente nelle scuole dello Stato e – non ultimo – ha la possibilità di selezionare il personale secondo criteri autonomamente definiti, limita la responsabilità del Dirigente che promuove le azioni
educative e coordina le attività didattiche in un ambiente più omogeneo, forse più favorevole e certamente di maggiore condivisione
del Progetto di Istituto.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
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ruppo 4
Valutazione
del Dirigente scolastico
Sintesi a cura di GIULIANA COLOMBO - DiSAL
1. Nodi su cui si è accentrata la discussione
Il gruppo di lavoro ha ampiamente discusso sulle seguenti tematiche:
– funzione della valutazione del dirigente nella prospettiva del miglioramento della sua professionalità e del contributo fondamentale che può apportare all’istituzione scolastica;
– finalità della valutazione del dirigente scolastico: così come si è
configurata con le sperimentazioni SI.VA.DI.S, risponde essenzialmente alla corresponsione della retribuzione di risultato prevista dal contratto e non ad un obiettivo di miglioramento della
scuola, come invece richiesto dalla maggior parte dei dirigenti.
2. Punti di convergenza
Necessità di contestualizzare la valutazione dei dirigenti scolastici a quella di tutto il sistema scolastico.
Necessità che tutto il personale della scuola venga valutato.
Necessità di rivedere le modalità di valutazione previste dal
SI.VA.DI.S. perché non corrispondenti agli obiettivi condivisi.
3. Punti di divergenza/problemi aperti
Non si sono verificati motivi di sostanziale divergenza.
Si sono evidenziate sfumature diverse nella valutazione della
sperimentazione SI.VA.DI.S., consapevoli che un modello di sperimentazione valida (ancora da individuare ) non è di facile messa a
punto ed applicazione sul territorio nazionale.
4. Suggerimenti/raccomandazioni
– Un sistema di valutazione efficace deve prevedere un’interazione
fra i dati/risultati dell’autovalutazione e i risultati di una valutazione totalmente esterna, garantita da un sistema di valutazione
nazionale libero rispetto al livello politico.
– La valutazione deve avere valenza territoriale.
– Occorre dare maggiore dignità all’associazionismo professionale
(più che ai vertici sindacali), che deve rivestire un ruolo determinante nella definizione di un adeguato modello di valutazione.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
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ruppo 5
Progettualità di scuola
Sintesi a cura di ANNA MARIA BIANCHI
Componente del Gruppo Operativo AIMC
Il gruppo valuta positivamente la presenza, al suo interno,
non solo di dirigenti di scuola statale e non statale, ma anche di alcuni docenti. Questo ha consentito di analizzare la tematica da
punti di vista diversificati, contribuendo a mantenere una visione
d’insieme, centrata sull’intero dell’unità scolastica e a superare logiche frammentate che non raramente sono alla base di conflittualità. Lo si segnala per decisioni su eventuali future iniziative.
La discussione ha preso le mosse dal sottolineare la distinzione fra progettualità e progettazione. La progettualità, intesa come
mentalità, posizione, atteggiamento, non è certo stata introdotta
dall’autonomia o dalla Legge 440, e connota il profilo stesso del Dirigente scolastico (DS), che o la possiede o la deve velocemente acquisire; in caso contrario non può mettere in atto nessuna azione
promettente di orientamento e promozione.
La progettualità si traduce nell’oggetto “progetto” dell’azione
“progettare”, nella quotidianità non raramente confusa con “pianificare”. Si evidenzia, pertanto, la necessità di costruire all’interno
dell’unità scolastica, una piattaforma terminologica condivisa, presupposto ineludibile per condivisione dei fini, costruzione di consenso intorno a idee, elaborazione del progetto di scuola.
Condivisione, partecipazione, collaborazione sono le parole
spese per connotare l’azione del DS su questo versante, azione che
deve completarsi con la costruzione di alleanze territoriali, nel senso
di azioni messe in atto insieme per leggere e valorizzare il territorio.
È una parte che risulta ancora poco approfondita anche nei lavori del
Convegno, ma necessariamente da sviluppare, perché proprio l’inserimento pieno della scuola nel territorio fa “la differenza” del progetto di scuola, ne sostiene l’originalità, rende ragione di passaggi procedurali, di decisioni organizzative e anche di scelte metodologiche
e didattiche. Didattica cooperativa (cooperative learning, peer education e simili), assunzione dell’esistente – norma compresa – come
risorsa e non come vincolo, apertura al territorio, costruzione condivisa del Pof e via dicendo, sono scelte che si giustificano solo in base
all’idea di persona, di educazione, di società, di scuola che una unità
scolastica assume come sfondo del suo progetto.
Il problema aperto consiste nel trovare il giusto bilanciamento fra vincoli nazionali, che garantiscono la tenuta di un sistema che
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
non si vuole frammentato e “schizzato”, ed esigenza che il progetto
di scuola risponda alle specificità del territorio. Per quest’ultimo
aspetto, non si tratta di rincorrere i “desiderata” dei vari soggetti
singoli o collettivi, ma di saper far emergere le domande formative,
i “bisogni” profondi, che diventano temi da affrontare.
L’idea centrale è definibile con uno slogan: meno progetti e
più progetto di scuola. Finchè, però, i finanziamenti restano legati
alla predisposizione di singoli progetti frammentati, a sommatoria,
è difficile realizzarla. La norma, in questo caso, è ostacolante e non
agevolante, per cui qualcosa va cambiato nel sistema dei finanziamenti alle scuole autonome.
Il gruppo riscontra con soddisfazione il riemergere in atto di
una tensione ideale dopo un periodo in cui l’attenzione delle scuole si è concentrata in modo prevalente su aspetti tecnologici e di
strumentalità, sul “come” fare piuttosto che sul “perché” fare, mentre l’educazione appartiene ai processi finalistici. Si collega il “principio responsabilità” come lo intendeva Jonas: fare non quello che
è possibile, ma quello che comunque è necessario fare.
Ne deriva che chiarezza della mission della scuola e leadership
sostanziale sono due coordinate irrinunciabili per l’azione del DS in
rapporto alla progettualità. Il gruppo insiste sull’aspetto sostanziale
della leadership, in quanto quella formale il DS l’ha già istituzionalmente, per il solo fatto di essere preposto a una scuola, mentre quella sostanziale deve guadagnarsela sul campo. Ne deriva anche una responsabilità del DS che va oltre gli aspetti organizzativi e di gestione
amministrativa per attingere alla sfera culturale, collocando il progetto di scuola come intersezione, punto di equilibrio fra la prospettiva
valoriale e le istanze della quotidianità e diventandone garante.
A tal proposito si apre un problema: il DS ha responsabilità
di risultato, è “garante” della coerenza dei percorsi e delle azioni
della scuola con il progetto, che è la “filosofia” di quella scuola, il
suo manifesto politico. La scuola, però, “fa” prevalentemente didattica, che è prerogativa del Collegio dei docenti. Si genera, così, una
contraddizione: il DS è responsabile di una organizzazione che deve
produrre formazione attraverso azioni che, di fatto, sono in mano ai
docenti e che necessitano di condizioni di esercizio che, a loro volta,
dipendono dalla norma. La contraddizione va sanata. Ad avviso del
gruppo, due sono i versanti su cui agire.
Anzitutto, tenendo conto che, attualmente, il profilo professionale del DS è abbastanza diverso da come si configurava nei
Decreti delegati, occorre in tempi brevi ripensare gli Organi collegiali tutti, dal livello di scuola al livello territoriale. Per il livello di
scuola, sarà opportuno tener presente che allo stato attuale forse
manca un anello essenziale, quello relativo al coordinamento della
didattica, che non né più assicurato dal DS.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Occorre poi assicurare tutta una serie di condizioni di fattibilità, per ottenere le quali l’azione dell’associazionismo professionale può essere agevolante.
Una prima linea, molto concreta e immediata, va dalle disposizioni per le supplenze temporanee, attualmente penalizzanti in
modo pesante la funzionalità del servizio scolastico, alle norme per
la composizione degli organici, che si vorrebbero veramente funzionali. Nel comporli, occorrerebbe tener conto che siamo forse l’unico
Paese d’Europa che pratica l’integrazione di tutti gli alunni diversamente abili, situazione che comporta esigenze non avvertite altrove.
Una seconda linea si prospetta a più a lungo respiro e riguarda la parte sommersa del lavoro, soprattutto dei docenti. Si tratta di
mirare a un corpo docente adeguatamente riconosciuto nel reale impegno e altrettanto adeguatamente incentivato. In questa prospettiva aggiornamento e formazione in servizio non possono più costituire solo un diritto, ma devono tornare ad essere un diritto-dovere,
monitorato nell’effettiva incidenza sull’azione di aula e con ricadute sullo sviluppo del sé professionale.
Un’ultima linea è individuata nell’esigenza di flessibilità della
normativa per rispondere a situazioni molto particolari, come ad
esempio la permanenza dei docenti nelle scuole delle aree a rischio
o la situazione della rete scolastica nei piccoli comuni.
È, infine, emersa con forza l’esigenza di legare progettualità e
valutazione. Partendo dall’esperienza del Sivalsi e dalle difficoltà
segnalate in merito al reperimento di indicatori per la funzione essenziale di facilitazione dei processi, il gruppo ritiene che come si è
messo a sistema l’aspetto della progettualità, così vada messo a sistema l’aspetto della valutazione. Nessuno la respinge, anzi si è
convinti che una seria pratica valutativa è in grado di innescare
cambiamento in tutta la scuola. Si ritiene, però, necessario avviarla
in contemporanea per tutti i soggetti dell’unità scolastica: DS, docenti, DSGA, collaboratori. Puntare sulla valutazione del solo DS,
espone al rischio di non separare le responsabilità sue proprie da
quelle riguardanti altri soggetti o l’istituzione scolastica intera, compromettendo la valutazione stessa.
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ruppo 6
Progettualità di scuola
Sintesi a cura di GIOVANNI VILLAROSSA
Dirigente scolastico, Vice Presidente nazionale dell’UCIIM
Il gruppo, composto da dirigenti scolastici di scuola di Stato e
di scuola paritaria, ha affrontato la problematica ponendo in evidenza due concetti di fondo:
a) la progettualità come mentalità,
b) la progettazione come azione.
Di conseguenza, ci si è posti la seguente domanda: esiste nella
scuola una cultura della progettualità? Si ritiene che essa sia presente dove si lavora in comune con passione ed entusiasmo e soprattutto
con adeguate competenze. Soltanto dove si diffonde una cultura progettuale si riesce a passare dalla abituale e rituale scuola dei progetti
al progetto di scuola. Ma sono molti i nemici della progettualità:
forme di centralismo, corporativismo, autoreferenzialità, accaparramento privo di competenze, presunzione e difesa di ruoli e funzioni
consolidati per tradizione e non per capacità, mancanza di fondi.
Invece gli aspetti essenziali e preliminari per diffondere una
mentalità progettuale sono individuabili nella disponibilità a fermarsi a riflettere collegialmente su una serie di interrogativi e a trovare risposte adeguate:
– dove si è? (lettura del territorio)
– cosa si sta facendo? (azione didattico-educativa)
– cosa altro si può fare? (impostazione di prospettive possibili)
– come procedere? (individuazione di risorse e metodologie)
– con chi? (ipotesi di collaborazioni e di rete).
L’azione progettuale va sempre riferita a principi e fini che devono essere esplicitamente individuati. Per la scuola di Stato i principi e i fini sono rintracciabili nella Costituzione (formazione dell’uomo, del cittadino, del lavoratore). La scuola paritaria può aggiungere il riferimento ad altri fini e principi, individuabili nella natura e nella ratio della propria esistenza.
Alla mentalità progettuale segue la progettazione e la realizzazione del progetto, che è una correlazione di attività e di compiti
che, attraverso l’attivazione di specifiche tecniche, tende a raggiungere determinati livelli di risultato, impiegando una significativa
quantità di tempo e di risorse per la realizzazione dell’obiettivo cui
è finalizzato.
La funzione del dirigente scolastico in questa azione si può
definire project management, espressione efficace anche se poco
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
consona ad una scuola che non può essere gestita in maniera aziendalistica, ma senz’altro come un’impresa educativa.
Il project management si esprime attraverso programmazione,
organizzazione, coordinamento e controllo di attività e risorse, con
vincoli interdipendenti di tempi, costi, qualità messi a disposizione
per il conseguimento di un obiettivo chiaro e predefinito.
Insomma, bisogna che la dirigenza scolastica sia in grado,
nella progettualità, di tenere insieme una molteplicità di aspetti, restando flessibile e capace di porsi di fronte anche a nuovi scenari
imprevedibili per interpretare, selezionare ed eventualmente accogliere forme di differenziazione e di discontinuità, frutto di eventi
della società del cambiamento.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
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ruppo 7 e 8
Rapporti con soggetti sociali
ed Enti Locali
Sintesi a cura di FRANCESCO CASTRONUOVO (UCIIM)
e MICHELE DE MARIA (AIMC)
1. Nodi su cui si è accentrata la discussione
– Doveri istituzionali degli Enti locali;
– la dimensione “servente” dell’Ente sociale e locale, rispetto alla
piena attuazione dell’autonomia scolastica;
– ingerenza e confusione dei ruoli;
– diversità di attese.
2. Punti di convergenza
– Atteggiamento diffusamente disponibile alla collaborazione da
parte degli Enti sociali e locali;
– difficoltà della piena partecipazione da parte delle famiglie;
– difficoltà al funzionamento di reti di scuole;
– scuola come Sistema pubblico integrato.
3. Punti di divergenza/Problemi aperti
– Se coinvolti nel fatto educativo, gli Enti partecipano volentieri;
– uso locali scolastici;
– strumentalizzazione politica;
– distrazione degli interessi per pressioni esterne.
4. Suggerimenti/raccomandazioni
– Cercare il pieno coinvolgimento educativo da parte degli Enti sociali e locali attraverso una forte intesa di tutte le scuole e gli Enti
del territorio di riferimento;
– aprire un confronto serio con l’A.N.C.I. e le altre realtà sociali ed
istituzionali degli Enti del territorio;
– richiamare gli Enti locali alle proprie responsabilità in educazione con
proposte di intese ed alleanze educative, con l’elaborazione e la sottoscrizione di accordi di programma, protocolli d’intesa e convenzioni;
– sostenere e stimolare azioni di sussidiarietà (orizzontale e verticale);
– coinvolgere l’Ente locale e le altre espressioni sociali culturali ed
istituzionali del territorio alla definizione delle linee guida per l’elaborazione del P.O.F. da parte del Collegio dei Docenti;
– maturare la consapevolezza della piena titolarità del progetto educativo e formativo, da parte dei docenti e della scuola, nonché da
parte del Dirigente Scolastico.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
S
67
abato 28 ottobre 2006
•
La scuola come impresa sociale.
Imprenditorialità, rischio e innovazione
•
Le nuove responsabilità del dirigente scolastico tra disorientamenti
di sistema e prospettive dell’autonomia
•
Chi è il buon dirigente?
•
La dirigenza scolastica nel quadro del declino del sistema
scolastico italiano e della sua gestione.
Una interpretazione e alcune proposte
•
Saluto conclusivo
•
Intervento conclusivo
•
Documento finale
Per una nuova “direzione” delle scuole dell’autonomia
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
L
a scuola come impresa sociale.
Imprenditorialità,
rischio e innovazione
Prof. ANGELO PALETTA - Dipartimento di scienze aziendali,
Facoltà di Economia, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Buongiorno, vi ringrazio per l’invito a questo convegno al
quale ho accettato di partecipare volentieri per una serie di ragioni,
ma soprattutto per contribuire al dibattito odierno portando un
punto di vista economico e manageriale nell’analisi della scuola
come “impresa sociale”.
Mi occupo di scuole come economista aziendale, dirigo un
master in management delle istituzioni educative e sono presidente
di un centro di ricerca internazionale che studia la governance e
l’accountability delle istituzioni educative. Tutto questo lo dico per
i termini che sono inclusi nelle definizioni: azienda, management,
governance, accountability. E su questi termini, riferiti alla scuola,
s’incentra il mio contributo di oggi.
Cercherò di essere sintetico perché si tratta di questioni complesse che posso affrontare in questa sede soltanto per grandi punti.
In particolare, anche alla luce delle relazioni che mi hanno preceduto, considero prioritario il tentativo di fare un po’ di chiarezza sul
concetto di impresa e sulle differenze tra impresa tout court e impresa sociale. D’altra parte, la questione è di grande attualità dal
momento che nel 2005 il nostro legislatore ha introdotto nell’ordinamento giuridico la figura dell’impresa sociale. In particolare, la
relazione si focalizza su due aspetti: da un lato, delinea il profilo
istituzionale della scuola come impresa sociale e, dall’altro, ne esamina le implicazioni in termini di imprenditorialità, managerialità e
leadership educativa. Il contributo, infine, guarda l’impresa sociale
nel proprio ambiente di riferimento, ponendo il problema della costruzione di alleanze educative per realizzare al meglio la missione
istituzionale.
Sussidiarietà,
welfare society e
impresa sociale
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L’impresa sociale che oggi trova riconoscimento giuridico è il
frutto di un lunghissimo processo di evoluzione che si era interrotto a causa della “statalizzazione” dei servizi sociali. L’impresa sociale è antecedente al “welfare state”. Questo nasce, se vogliamo
convenzionalmente definire una data, sul finire del 1800, trovando
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
un momento culminante nel 1890 con l’emanazione della legge
Crispi che condusse circa 22.000 Opere Pie sotto il controllo dello
Stato. Con la legge Giolitti dell’inizio del secolo ’900 e poi col fascismo, questo processo è andato avanti portando alla formazione
dello “Stato sociale”, ovvero un assetto istituzionale dello stato che
ha come scopo quello di assicurare standard minimi – di reddito, di
alimentazione, di salute, di abitazione, di educazione, ecc. – ad ogni
cittadino a titolo di “diritto politico” e non solo quale conseguenza
della carità di soggetti particolarmente animati da spiriti ideali di
matrice laica o religiosa. L’intervento dello stato in campo socio-assistenziale, sanitario ed educativo diventa pregnante non più semplicemente per i controlli esercitati sui soggetti privati erogatori, ma
per l’assunzione della gestione diretta dei servizi e degli interventi.
In questo clima, esasperato dal centralismo del regime fascista, ritrova vigore l’enunciazione del principio di sussidiarietà nell’Enciclica Quadragesimo anno: “siccome non è lecito togliere agli
individui ciò che essi possono compiere con le forze e con l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad
una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori
comunità si può fare”1. Da qui il ruolo sussidiario dello stato, legittimato ad intervenire solo in quei casi in cui, per la natura e la dimensione dei problemi, il singolo o la comunità a lui più immediatamente vicina, non sono capaci di autosufficienza. Il principio di
sussidiarietà viene affermato come riconoscimento di una realtà esistente e non semplicemente come stato prescrittivo di una desiderata realtà futura. In altri termini, l’Enciclica mira a proteggere una
realtà di privato sociale primaria all’idea di welfare state che avrebbe imperato da lì in avanti.
Nell’ordinamento giuridico italiano, un lungo cammino verso
la sussidiarietà può dirsi iniziato con la Costituzione, in particolare
con l’art. 2 dove si afferma che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità [...]”. Nel riconoscere
la “precedenza” rispetto allo Stato dei diritti delle formazioni sociali, si può leggere implicitamente l’affermazione del principio di sussidiarietà. Ma a tale affermazione di principio non sono seguite, nel
nostro ordinamento, azioni concrete di sviluppo del privato sociale,
relegando in particolare il settore delle aziende non profit ad un
ruolo marginale.
Soltanto dagli anni ’90 è possibile rinvenire segnali di inversione di tendenza verso la valorizzazione e la rivitalizzazione della
welfare society in forme varie di promozione della cittadinanza attiMAGAGNOTTI P. (1991), Il principio di sussidiarietà nella dottrina sociale della Chiesa:
testi integrali della Rerum novarum e dei documenti pontifici pubblicati per le ricorrenze dell’enciclica leonina, Bologna, Studio Domenicano.
1
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
va e di riconoscimento del ruolo delle aziende non profit per la fornitura dei servizi pubblici.
La sussidiarietà, nella sua valenza orizzontale, è stata riconosciuta nell’ambito della riforma delle autonomie territoriali, legandola all’altra importante forma di sussidiarietà, quella verticale, che
ha interessato l’Italia nell’ultimo decennio2. In Europa, il principio
di sussidiarietà è affermato nel Trattato dell’Unione (Maastricht,
1992) dove i sottoscrittori, a più riprese, affermano la volontà di
creare un’Unione in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini.
Da questi brevi richiami, si può evincere una progressiva
espansione del principio di sussidiarietà e aspetto ancora più rilevante, il procedere parallelo della sussidiarietà orizzontale e verticale. La sussidiarietà verticale investe la revisione delle competenze
funzionali all’interno del settore pubblico e si realizza attraverso i
meccanismi del decentramento amministrativo e dell’attribuzione o
delega di funzioni ai livelli di governo più vicini alla domanda. Ma
la devoluzione dei poteri dallo stato alle regioni e da questi agli enti
locali, non è soltanto il trasferimento di poteri politici; è destinato a
segnare l’apertura di vastissimi settori di attività sociali a soggetti diversi da quelli comunque riconducibili nella sfera della pubblica amministrazione. La sussidiarietà verticale diventa la condizione per
realizzare concretamente anche la sussidiarietà orizzontale, aprendo
la filiera della produzione dei servizi pubblici non soltanto al mercato, ma anche alla società civile e all’imprenditorialità sociale3.
I segnali concreti di questo incedere verso l’impresa sociale si
ravvisano in una serie di provvedimenti legislativi: la disciplina
delle organizzazioni non governative nell’ambito della cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo; la legge quadro sul volontariato (l. 266/91); la legge quadro sulle cooperative sociali (l.
381/91); la legge sull’associazionismo di promozione sociale (l. n.
383/2000); il riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (d.lgvo 207/2001); le organizzazioni non lucrative operanti nel campo dell’utilità sociale (Onlus) che hanno ri2
In particolare, la legge n. 59/97 precisa che il conferimento di funzioni alle regioni
deve avvenire nell’osservanza, tra gli altri, del principio di sussidiarietà, attribuendo
le responsabilità politiche anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità.
La legge n. 265/99 sulle autonomie locali stabilisce che: “I comuni e le province sono
titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le loro
funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate
dall’autonoma iniziativa dei cittadini e delle formazioni sociali”.
Infine, la recente legge costituzionale n.3/2001 di riforma del titolo V, rivede l’art.118
della Costituzione prevedendo che: “Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e
Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
3
VITTADINI G. (a cura di) (2002), Dal Welfare State alla Welfare Society, Etas, Milano.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
cevuto un regime fiscale favorevole a supporto della loro attività in
campo sociale (d.lgvo 460/1997).
Tali provvedimenti hanno affrontato distintamente, in singoli
settori e per aspetti particolari, il fenomeno dell’impresa sociale, rivelando però la disorganicità con cui lo stesso fenomeno è stato affrontato e la necessità di una norma definitoria di carattere generale.
È all’interno di questo processo evolutivo che deve essere
letta la novella legge n.118 del 2005 con la quale il Parlamento ha
delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi recanti
una disciplina organica, ad integrazione delle norme dell’ordinamento civile, relativa alle imprese sociali. La legge si limita ad individuare i principi generali e i criteri direttivi, ma fornisce una chiara definizione dell’oggetto dell’intervento normativo: “sono imprese
sociali quelle organizzazioni private senza scopo di lucro che esercitano in via stabile e principale un’attività economica di produzione o
di scambio di beni e di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale”.
In questa definizione compaiono molti elementi che ci permettono di approfondire il significato di impresa sociale, in primo
luogo che l’impresa sociale è qualcosa di diverso da quello di un’impresa che produce per il mercato e che fa semplicemente affidamento sul meccanismo dei prezzi come mezzo di regolazione degli
scambi commerciali.
Si tratta di organizzazioni che nascono in ambito privato come espressione della libertà di scelta dell’individuo e delle sue formazioni sociali, come impegno attivo dei cittadini, nel soddisfacimento di bisogni essenziali e nel perseguimento di finalità di interesse generale. In questa azione di scelta o di partecipazione risiede essenzialmente l’imprenditorialità civile4. Questo significa riconoscere ai cittadini e alle loro comunità la capacità di diventare
partner attivi nel processo di programmazione degli interventi e nell’adozione delle conseguenti scelte strategiche. Non basta cioè assicurare al cittadino l’esercizio dell’opzione “voce”, vale a dire della
protesta o della lamentela. Il cittadino pretende di concorrere a definire e talvolta a produrre, con i vari soggetti d’offerta, beni e servizi in molti settori, quali l’assistenza, l’istruzione, la sanità, la cultura, la protezione dell’ambiente.
La scuola come
impresa sociale
La confusione che nasce dal concetto di impresa associato alla scuola deriva dal fatto che noi immaginiamo l’impresa semplicemente dal punto di vista della produzione di un profitto che viene
appropriato individualmente dagli individui che vantano diritti di
4
71
BRUNI L., ZAMAGNI S. (2004), Economia Civile, Il Mulino, Bologna.
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
proprietà sul capitale da essi investito nello svolgimento di un’attività commerciale. E da questo ne facciamo discendere tutta una
serie di conseguenze negative che vanno dall’assoggettamento del
curriculum alle logiche utilitaristiche del mercato, ai comportamenti opportunistici degli offerenti il servizio disposti a sacrificare la
qualità pur di raggiungere un profitto, fino all’instaurazione di sistemi manageriali di comando e controllo dell’operato del personale che ne minano la libertà e l’autonomia di giudizio. In sostanza,
siamo portati a considerare l’impresa-scuola una sorta di “mostro
sociale”, una contraddizione in termini, perché riteniamo inconciliabili il fare educazione con il fare impresa, riteniamo non adeguato uno strumento privatistico qual è l’impresa con una finalità collettiva qual è l’educazione.
E invece non solo è possibile fare educazione attraverso il sistema dei valori, dei metodi e degli incentivi sottesi dal concetto
d’impresa, ma la ricerca empirica ha dimostrato che lo si può fare
meglio rispetto ad altre figure istituzionali5.
Il profilo economico di una scuola che ha finalità travalicanti
gli interessi particolari delle persone che se ne fanno promotrici,
può essere considerato il risultato della combinazione dei seguenti
elementi identificatori6:
• l’oggetto dell’attività esercitata configurabile nella produzione di
beni e servizi di utilità sociale;
• l’esercizio di attività economica in via stabile e principale;
• l’assenza dello scopo di lucro;
• la natura privata del soggetto giuridico ed economico, escludendo
la possibilità che soggetti pubblici o imprese private con finalità
lucrative possano detenere il controllo, anche attraverso la facoltà
di nomina maggioritaria degli organi di amministrazione;
• la configurazione di sistemi di governance di tipo comunitario basati sulla elettività delle cariche sociali e la partecipazione dei lavoratori e dei destinatari dell’attività;
• la responsabilizzazione degli amministratori verso i soci e i terzi
per la realizzazione di finalità di interesse generale, garantita
DEFOURNY J. (2004) “L’impresa sociale nell’Europa allargata”, concetto e realtà,
Impresa Sociale, n° 4.
6
Le caratteristiche fondamentali dell’impresa sociale sono state proposte dalla rete
“The Emergence of Social Enterprises in Europe (EMES), all’interno di una ricerca
sulle caratteristiche e la diffusione delle imprese sociali al livello dell’Unione Europea.
Molte delle caratteristiche identificate nel progetto EMES sono state recepite dalla
legge 118 del 2005, ma permangono due fondamentali differenze che riguardano: 1.
la dimensione della socialità è definita non in relazione al tipo di servizi prodotti, ma
in funzione dell’obiettivo dell’organizzazione: le imprese sociali sono impegnate a realizzare attività che apportino benefici ai membri della comunità, piuttosto che un profitto ai proprietari; 2. il vincolo alla distribuzione di utili può anche essere parziale,
ammettendo, come nel caso delle cooperative sociali, che una parte limitata dei profitti possa essere distribuita ai soci, al fine di remunerare l’apporto di capitale di rischio o di incentivare l’impegno nello svolgimento dei compiti assegnati.
5
72
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
anche attraverso la previsione di organi di controllo e l’obbligo di
redazione e di pubblicità del bilancio economico e sociale.
Questi elementi delineano un profilo di scuola come impresa
sociale che, seguendo i più recenti orientamenti della dottrina, non
può essere definito semplicemente in negativo come “non profit”.
Gli economisti e gli economisti aziendali, si sono mossi alla ricerca
di spiegazioni “in positivo”, cercando di capire se l’esistenza e lo
sviluppo di organizzazioni non profit siano, invece, conseguenza
del possesso di specifici vantaggi rispetto ad altre figure istituzionali. Pertanto, con il concetto di impresa sociale si vogliono individuare quelle organizzazioni la cui caratteristica principale non è costituita dall’essere vincolate nella distribuzione di utili ai proprietari, ma quella di combinare una natura imprenditoriale, con i suoi
connotati di volontarietà, autonomia, rischio e propensione all’innovazione, con la produzione di un servizio a favore della comunità
in cui operano o di gruppi specifici di cittadini7.
Qui di seguito analizziamo le principali caratteristiche della
scuola come impresa sociale a cominciare da quella che appare certamente l’aspetto maggiormente innovativo che viene oggi riconosciuto anche nel nostro ordinamento giuridico: lo svolgimento di attività economica.
Alla scuola intesa come impresa sociale che svolge un’attività
economica in via stabile e principale, si applicano i principi dell’Economia aziendale8. L’attività economica consiste nell’attività di
produzione e di consumo di beni economici, intesi come merci e servizi utili per il soddisfacimento dei bisogni delle persone e scarsi rispetto alle esigenze espresse dalle persone. L’attività economica si
attua con l’impiego di fattori della produzione e la loro combinazione secondo il “principio del minimo mezzo o del massimo risultato”.
Tale principio spesso è inteso in senso ristretto e spiega taluni fraintendimenti sull’attività economica vista, in modo limitativo, come
riduzione dei costi. L’economia si occupa certamente di problemi di
efficienza tecnica e di utilizzo senza sprechi delle risorse, ma essa
riguarda più in generale la ricerca delle modalità più convenienti di
svolgimento dell’attività economica e l’innovazione delle stesse modalità di svolgimento9.
BORZAGA C., DEFOURNY J. (2001) L’impresa sociale in prospettiva europea, Edizioni
31, Trento.
8
L’Economia aziendale ha per oggetto proprio l’attività economica che si svolge all’interno delle differenti istituzioni sociali che si formano per il soddisfacimento dei
bisogni umani. ZAPPA G. (1957), Le produzioni nell’economia dell’impresa, Milano,
Giuffrè.
9
Nel 1962, nel libro Education and the Cult of Efficiency, Callahan riconosce che l’efficienza è importante, ma è stata perseguita soltanto per ridurre i costi. L’autore continua affermando che “efficienza ed economia devono essere considerati alla luce
della qualità dell’istruzione”. Con riguardo al contesto statunitense, il punto è stato
ripreso e spiegato con chiarezza da Walberg contro l’argomentazione che per fare
7
73
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
L’efficienza economica esprime il rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti e trova fondamento soprattutto nella capacità di scandagliare differenti alternative d’uso delle risorse e di scegliere quelle in grado di produrre risultati di maggiore qualità ed
equità. Le risorse sono sempre scarse e la scuola, come ogni altra organizzazione, si dimostra efficiente se da esse riesce ad ottenere il
massimo rendimento.
In questa ricerca delle modalità più convenienti di svolgimento dell’attività economica un ruolo fondamentale deve essere riconosciuto all’innovazione. Evidentemente, questo concetto non coincide che in piccola parte con quello di “innovazione tecnologica e
progresso tecnico”. Nella scuola, l’innovazione perseguita con l’attività economica consiste anzitutto nell’interpretazione dinamica rispetto alle attese sociali delle sue funzioni di trasferimento di conoscenze, socializzazione e selezione sociale degli studenti (innovazione di mission). Innovazioni di primario rilievo per l’efficacia
della scuola sono quelle che investono i suoi assetti di governo e di
strutturazione organizzativa, la leadership, i sistemi informativi e di
comunicazione, di pianificazione e di monitoraggio delle attività
(innovazione manageriale), e certamente non ultima l’innovazione
del curricolo e dei processi di insegnamento e di apprendimento attraverso la costante ricerca e sperimentazione didattica (innovazione di prodotto e di processo).
Questi elementi definitori delineano la figura di un imprenditore sociale che esercita professionalmente un’attività economica
organizzata al fine della produzione di servizi alla persona di utilità
sociale. L’ancoraggio storico e teorico di tale figura può essere riferito al classico lavoro di Schumpeter10 secondo il quale lo sviluppo
economico è “un processo che porta nuove combinazioni” nel processo produttivo e imprenditore è la persona il cui ruolo è proprio
quello di realizzare le nuove combinazioni. Secondo l’Autore, l’imprenditore non corrisponde necessariamente con il proprietario dell’impresa, ma è responsabile per l’introduzione di cambiamenti, ovvero di innovazioni che, ampiamente intesi, riguardano il prodotto
e le sue qualità, il processo, i mercati di sbocco e di approvvigionamento, la riorganizzazione del settore di attività.
bene le cose occorrono necessariamente maggiori risorse a disposizione: “We have
more money than any of the other affluent countries in the world, and yet we have poor
performance. It’s not a question of getting more money; it’s a question of doing things
differently and spending money on things that work rather than on things that don’t
work”.
10
SCHUMPETER J. A. (1934) The Theory of Economic Development, 3d printing, 1963,
Oxford University Press, New York.
74
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Il rischio educativo
della scuola
75
A noi pare che il concetto di impresa sociale mantiene saldi
taluni degli elementi fondanti l’impresa e tra questi l’identificazione
della figura dell’imprenditore essenzialmente per due qualità: la capacità di assumere dei rischi e di assumere questi rischi innovando
rispetto alle situazioni, alle tecnologie, ai servizi e ai processi esistenti. Trattandosi di imprenditore commerciale è evidente che possa perseguire un tornaconto individuale, ma i concetti di “rischio”,
“innovazione” e “profitto” non sono esclusivi dell’impresa commerciale, sono caratterizzanti anche l’impresa sociale.
L’attitudine ad affrontare il rischio è un elemento specifico
dell’attività imprenditoriale. Soprattutto nella piccola impresa l’imprenditore deve spesso mettere in gioco la sicurezza economica e finanziaria personale pur di mettere in pratica le proprie idee, profondendo nella realizzazione del progetto imprenditoriale gran parte
delle proprie energie e risorse economiche.
Ma qual è il rischio dell’imprenditore sociale in campo educativo?
L’imprenditore sociale nel settore educativo assume un rischio originario ed un rischio derivato. Il primo (il rischio educativo) attiene alla missione perseguita e più precisamente al progetto
educativo che muove le persone ad intraprendere nella scuola. Il secondo (il rischio economico) attiene alle risorse da approntare non
solo per realizzare un servizio, ma per dare qualità e continuità al
perseguimento della mission oltre la vita degli individui che si avvicendano nel tempo nella veste di soci, amministratori, dirigenti, insegnanti, lavoratori e studenti. Rischio educativo e rischio economico sono strettamente legati. L’imprenditore che assume il rischio
educativo non curante del rischio economico, è destinato prima o
poi a dovere rinunciare alla propria proposta sociale perché senza
risorse economiche (di capitale finanziario, umano e sociale), questa si affievolisce e svanisce nel disordine della cattiva amministrazione. D’altra parte, anche l’imprenditore troppo attento all’ordine
dell’amministrazione ed eccessivamente prudente, sarà destinato a
svilire il progetto educativo, banalizzando lo scopo della propria intrapresa sociale.
Il rischio generale affrontato dall’imprenditore sociale in
campo educativo non è il rischio di non remunerare il capitale proprio investito. È invece il rischio educativo, cioè il rischio di non formare persone alla realtà. Farsi carico del rischio educativo a livello
di istituzione scolastica significa mettere al centro la persona nell’interezza del suo capitale umano, cioè le qualità di una persona
che deve affrontare quotidianamente i complessi problemi della vita
e deve avere una chiara bussola per le scelte complesse che deve assumere. Questo è il rischio educativo ed un’impresa sociale deve
avere una chiara missione per fronteggiarlo, deve darsi una visione
di sviluppo dei problemi educativi dei giovani e della società, deve
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
avere una concezione condivisa al suo interno di quale capitale
umano e sociale vuole contribuire a creare, nella complessità che
queste espressioni vogliono dire in termini di competenze certamente cognitive, certamente del saper fare, cioè tecnico-professionali, ma soprattutto relazionali e di consapevolezza sul ruolo dell’essere umano nella società.
La scuola che non si pone come problema il rischio educativo
non esiste come impresa sociale, manca di ragioni esistenziali, è
menomata nella prospettiva, non ha punti fermi, è disorientata dal
relativismo delle concezioni educative. Peraltro, la scuola fallisce
come istituzione sociale anche quando abbia posto al centro della
propria esistenza l’uomo ed il rischio educativo, ma si dimostra incapace di realizzare i propri scopi. La scuola che si fa carico del rischio educativo deve essere capace di farsi interprete della propria
missione nell’evoluzione della società, deve essere capace di leggere le dinamiche ambientali per costruire intorno ad una idea di capitale umano e sociale un ambiente gestionale, organizzativo e didattico idoneo a supportare la realizzazione di quell’idea.
Imprenditorialità,
managerialità
e leadership
educativa
Non è sufficiente avere idee imprenditoriali innovative se
non siamo capaci di tradurle nel lavoro quotidiano che si fa nelle
nostre classi; non è sufficiente la buona volontà dei singoli e buttare il cuore oltre l’ostacolo. Anzi, proprio questo atteggiamento
può diluire i problemi, rinviarli nel tempo, rendendoli più difficili
da risolvere nel momento in cui vengono meno le energie e le risorse dei singoli.
Accanto all’innovazione imprenditoriale, lo sviluppo del management scolastico è una condizione imprescindibile per dare stabilità alle attività e costruire le basi di sopravvivenza della scuola
come entità autonoma11. La scuola di oggi, riteniamo, non può fare
a meno di conoscenze manageriali per la pianificazione strategica
e il controllo della gestione, la gestione professionale delle risorse
umane (selezione, reclutamento, formazione, carriera, incentivazione), per la creazione di robusti sistemi di informazione e comunicazione interni ed esterni, la messa a punto di procedure organizzative nell’amministrazione delle risorse umane, finanziarie e
materiali.
Ma sarebbe un grave errore se la managerialità all’interno
della scuola venisse “reificata” e innalzata rispetto ad altri valori
quali la collegialità e la leadership distribuita.
PALETTA A., VIDONI D. (a cura di), Scuola e creazione di valore pubblico. Problemi di
governance, accountability e management, Roma, Armando.
11
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Nella nostra indagine sulle scuole italiane12 trova conferma
l’esistenza di un’identità complessa dei dirigenti scolastici, nella
quale però viene dato grande risalto ad aspetti di leadership c.d.
“trasformazionale”: guida visionaria, costruzione di senso, motivazione e mobilitazione degli altri soggetti interagenti. La leadership
scolastica non è ubicata solo in alcuni ruoli organizzativi, in particolare quelli di capo di istituto e diretti collaboratori, ma è piuttosto
una funzione diffusa attraverso vari ruoli ed a vari livelli, quindi largamente condivisa e distribuita, chiamando in causa anche singoli
insegnanti e perfino studenti che assumono ruoli di orientamento
nei vari gruppi formali ed informali di cui è animata una scuola.
Nel contesto organizzativo della scuola, essenzialmente policentrico, le tecniche manageriali sono lo strumento per supportare
l’esercizio diffuso della leadership ed assecondare la partecipazione
e la collegialità ai processi di indirizzo strategico della scuola. Lo
sviluppo di un management collegiale rappresenta una risposta ai
limiti della scuola come “organizzazione dai legami deboli”: le degenerazioni verso l’individualismo, la difficoltà di coordinamento,
l’assenza di direzione strategica, la dispersione di risorse e di energia creativa, sono anomalie di funzionamento della scuola e impediscono alle scuole di assumere la responsabilità del rischio educativo.
La funzione più importante che i leader scolastici devono
svolgere sta nel conciliare autonomia professionale e allineamento
organizzativo alla missione ed alle strategie della scuola.
In modo differente da altre realtà organizzative dove la progettazione dei processi operativi rappresenta il principale fattore
che ne determina l’efficacia, i processi didattici non possono essere
definiti in modo preciso, seguendo dettagliate fasi procedurali. Le
tecnologie didattiche sono conosciute, ma la didattica è lontana dal
potersi considerare un processo standardizzabile secondo rigidi
schemi di ripetizione e uniformazione che prescindono dalle caratteristiche delle persone che li realizzano Pur in presenza di processi didattici razionalmente progettati e programmati, l’efficacia della
didattica è in ultima analisi determinata dall’interazione, per molti
versi unica ed irripetibile, che si crea tra docenti, studenti e contesto in cui insegnamento e apprendimento prendono corpo.
Queste considerazioni spiegano perché la disponibilità di capitale umano e di capitale sociale, prima ancora che il capitale finanziario, sono le due risorse chiave per l’efficacia del processo
educativo. Il primo è riferito al personale della scuola e particolarmente alle conoscenze, abilità e valori del personale docente. Il secondo è inteso come capitale sociale all’opera, in termini di parteci12
PALETTA A., VIDONI D. (2006), “Italian School Managers: a complex identity”, in
International Studies in Educational Administration, vol. n. 1.
77
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
pazione, coinvolgimento e cooperazione di studenti, famiglie e altri
stakeholder appartenenti alle comunità locali. Le “conoscenze” e la
“fiducia” del personale, degli studenti e degli altri stakeholder, rappresentano il capitale intangibile per svolgere al meglio i processi
educativi.
Una questione basilare su cui si basa la nostra concezione del
management scolastico è che non è sufficiente avere docenti ben
preparati e pronti ad insegnare, studenti pronti ad imparare, famiglie pronte ed impegnate a collaborare, ecc., se tutte queste risorse
ed energie non sono catturate ed incanalate all’interno di un indirizzo unitario, all’interno di una concezione coerente di rischio educativo.
Possiamo immaginare di avere docenti molto bravi, ciascuno
singolarmente convinto di svolgere al meglio il proprio lavoro, ma
con effetti disastrosi sugli apprendimenti degli studenti a causa
della mancanza di coordinamento e di lavoro di squadra. Peraltro,
questa è anche la ragione perché nella pratica si assiste spesso a famiglie molto volenterose nel collaborare con la scuola, ma completamente disallineate con le strategie di apprendimento perseguite
dai docenti. Sotto il profilo organizzativo può essere veramente frustante per un dirigente scolastico sapere di poter contare su un
corpo docente di elevato profilo e su una comunità attiva e coinvolta, ma che nel loro insieme “remano” verso direzioni diverse, talvolta opposte, ostacolando di fatto le azioni di miglioramento della
scuola.
Le scuole sono capaci di trovare al loro interno le forze per
vincere l’inerzia al cambiamento e il disallineamento che deriva dall’individualismo esasperato, se guardano allo sviluppo ed al coordinamento del capitale umano e del capitale sociale in una prospettiva strategica di “sviluppo organizzativo”. Numerose ricerche segnalano quali siano i principali fattori di sviluppo organizzativo della
scuola: la leadership distribuita, il lavoro di squadra, l’identificazione istituzionale e la coesione della cultura organizzativa, la collegialità dei processi decisionali.
La scuola impresa sociale esige imprenditorialità, managerialità e leadership educativa e queste tre funzioni devono essere chiaramente identificate e, se le condizioni di complessità da gestire lo
richiedono, anche chiaramente suddivise tra i diversi attori interni.
In questa prospettiva, la scuola come impresa sociale deve
avere la capacità di ripensare il modo in cui è governata ed organizzata in termini di soggetti che decidono e che rispondono delle
decisioni che assumono.
La governance è un problema che riguarda la scuola statale e
la scuola paritaria. Nella scuola statale, la disciplina del dirigente
scolastico è in contrasto con la natura della scuola di autonomia
funzionale. Il concetto di autonomia funzionale è un concetto for-
78
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
tissimo perché ne riconosce l’originaria comunitarietà degli interessi, cioè ne riconosce il sorgere dal basso, dai bisogni, dagli individui, dalle famiglie, dalle formazioni sociali più in generale. Di conseguenza ogni comunità deve avere il potere e la capacità di esprimere il soggetto o i soggetti che fanno da guida di quella comunità.
Questo significa che attualmente il dirigente scolastico non è espressione della comunità-autonomia funzionale, ma è espressione dell’amministrazione dello stato. La scuola statale oggi è disciplinata
giuridicamente come una autonomia funzionale, ma di fatto è una
agenzia pubblica.
Il problema della governance non riguarda soltanto la scuola
statale, riguarda in maniera pressante anche la scuola paritaria.
Nella scuola paritaria spesso si trova una certa confusione di ruoli,
tra quelli che sono i soggetti della imprenditorialità, della managerialità e della leadership educativa. In molte istituzioni paritarie
queste tre diverse competenze hanno una commistione nella stessa
persona, con il proprietario-gestore che esercita un impatto pesantissimo non soltanto sulle grandi scelte educative, ma anche sul lavoro di ogni giorno in classe degli insegnanti.
Sappiamo che il vero punto di partenza e di sviluppo dell’educazione è l’essere, più che il fare (attività, progetti) o dell’avere
(mezzi, strumenti, risorse). Così come l’alunno si educa attraverso
il valore dell’esperienza, la formazione della coscienza critica, il
rapporto osmotico con il Maestro e la convivenza13, allo stesso modo
la figura dell’insegnante si forma attraverso la condivisione di esperienze e di valori culturali, la guida ed il supporto dell’amico critico.
È difficile da accettare la posizione di un insegnante professionista se per questo intendiamo una persona che freddamente
svolge il proprio lavoro in modo del tutto individualistico, condividendo con i colleghi soltanto aspetti di procedura didattica. Ma ritengo che sia altrettanto deleteria l’idea di un insegnante incapace
di autonomia di giudizio, preda di una visione autoritativa del “gestore”, impaurito dall’innovazione, chiuso e ingabbiato dall’utilizzo
autoreferenziale dei valori culturali in cui s’identifica. Senza libertà
non c’è esperienza e senza esperienza non ci può essere crescita
umana e sviluppo professionale. Gli insegnanti hanno bisogno di
una guida professionale, di una leadership educativa per crescere
essi stessi come leader educativi. Come ho già detto, io non penso
che il dirigente scolastico debba essere soltanto un leader educativo, perché deve coniugare competenze manageriali e professionali.
Ma il dirigente scolastico sarebbe incapace di fare il proprio mestiere se non conoscesse la cultura della scuola come comunità pro13
Cfr. GRASSI O. (2004) “Educazione, istruzione, capitale umano”, in Giorgio cittadini (a cura di) Capitale Umano. La ricchezza dell’Europa, Milano, Guerini e Associati;
CHIOSSO G. (2004) Teorie dell’educazione e della formazione, Milano, Mondatori.
79
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
fessionale. Ecco perché sono d’accordo sul fatto che deve essere un
leader educativo, qualcuno cioè che svolga una attività di guida e
coordinamento, con una chiara conoscenza dei processi culturali di
apprendimento, perché soltanto in questo modo può svolgere una
attività di collaborazione e di costruzione di senso e consenso intorno alla missione della scuola.
Ma su questo punto vorrei aggiungere qualcosa di più: un leader deve promuovere la passione per l’educazione dei giovani e rispetto per l’identità della scuola. Pur non potendo scegliere i propri
collaboratori, come nella scuola statale, un leader deve essere capace però di creare un clima che possa rendere le persone consapevoli di iniziare una giornata in maniera positiva. Questo è quello
che manca oggi alla scuola, questa forzatura, questa frustrazione
che gli insegnanti sentono nell’andare a scuola. Il leader deve creare tutto questo, deve creare una visione, un clima in cui ciascuno si
sente partecipe, questo è difficilissimo e richiedere un grandissimo
lavoro, un lavoro che impegna il leader scolastico direttamente, con
le parole, con il modo in cui si comporta, con il modo in cui tratta,
ascolta, cerca di persuadere.
Il rischio
economico
dell’imprenditore
sociale
80
L’impresa sociale si caratterizza per il divieto di ridistribuire,
anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale, ad amministratori e a persone fisiche o giuridiche
partecipanti, collaboratori o dipendenti, al fine di garantire in ogni
caso il carattere non speculativo della partecipazione all’attività dell’impresa. Più precisamente, sussiste l’obbligo di reinvestire gli utili
o gli avanzi di gestione nello svolgimento dell’attività istituzionale o
ad incremento del patrimonio. Inoltre, in caso di cessazione dell’impresa, il patrimonio residuo non è distribuito tra i soci e promotori, ma deve essere devoluto ad altra impresa sociale ovvero ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni, comitati,
fondazioni ed enti ecclesiastici. Anche nelle operazioni di trasformazione, fusione e cessione dell’impresa sociale ne devono essere
preservati la qualificazione e gli scopi in modo da garantire la destinazione dei beni a finalità di interesse generale.
Da questi elementi si desume che il rischio economico dell’imprenditore sociale non consiste nell’eventualità che non sussistano i redditi per la remunerazione soddisfacente del proprio contributo all’impresa, vale a dire il capitale investito ed il lavoro imprenditoriale e direttivo di organizzazione dei fattori produttivi.
Questo rischio non sussiste semplicemente perché l’impresa sociale
non riconosce l’appropriazione privata dei redditi prodotti e dei patrimoni resi disponibili con l’esercizio dell’impresa. Tuttavia, questo
non significa che l’imprenditore sociale non assume rischi econoCONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
mici. Anzi, proprio l’assunzione di rischi economici è uno degli elementi qualificanti l’impresa sociale, soltanto che qui il rischio non
riguarda il processo distributivo del reddito, ma il suo processo di
produzione al quale è strettamente correlata la crescita del patrimonio disponibile per l’esercizio funzionale dell’impresa sociale in
modo stabile e duraturo.
In altri termini, i promotori delle imprese sociali e i loro proprietari assumono direttamente il rischio economico di dissoluzione
dell’impresa e con essa sia di proprie risorse finanziarie, sia soprattutto di proprio lavoro, per effetto dell’investimento sostenuto nel
tempo in capitale umano specificamente legato all’impresa sociale e
non diversamente impiegabile in modo produttivo.
Negli studi di Economia aziendale la salvaguardia dell’integrità del patrimonio è principio fondante che è strettamente collegato alla quantità ed alla qualità del reddito d’esercizio. Nell’impresa sociale il patrimonio è mantenuto integro se viene preservata
la sua capacità di produrre servizi in futuro secondo i ritmi e la qualità dello sviluppo pianificato dall’imprenditore.
I fattori specifici di rischio cui è soggetta l’amministrazione
dell’impresa sociale sono molteplici: dalla dinamica della domanda
agli sviluppi tecnologici e competitivi. Ma tali fattori esogeni impattano in modo differente sulle singole realtà in considerazione degli
specifici profili di rischio di cui sono portatrici e differentemente determinati da condizioni di governabilità, qualità delle risorse umane,
innovazione gestionale, capacità organizzative, competitività.
Entro questo quadro concettuale, il rischio economico dell’imprenditore sociale può essere meglio compreso ponendoci nella
prospettiva di chi guarda al reddito ed al patrimonio come misure di
“equità tra generazioni”:
– se la gestione produce risorse (proventi) meno di quante ne consuma economicamente (costi), l’impresa sociale sta riducendo la
propria capacità di offrire alla future generazioni – ovvero a quanti traggono utilità dalle sue attività: studenti, dipendenti, collettività – un livello di servizi e di utilità equo rispetto alla generazioni attuali. Con termini equivalenti, le generazioni attuali stanno
attingendo dalla ricchezza risparmiata, stanno cioè intaccando
l’integrità del patrimonio per soddisfare l’attuale livello di bisogni;
– per contro, se la gestione produce risorse più di quante ne consuma, l’impresa sociale ha accumulato ricchezza, ovvero sta trasferendo risorse, capacità di spesa e potenziale produttivo a favore
delle generazioni future. Anche in questa seconda ipotesi si può dire
che il tasso di accumulazione di un generico potenziale di servizi è
congruo soltanto se la rinuncia ad un maggiore livello di servizi attuali ovvero l’addebito di un più alto livello di tariffe, non pregiudicano la capacità di mantenere attratti i soggetti che forniscono parte
delle risorse (studenti e famiglie, sovvenzionatori, ecc.).
81
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
In definitiva, anche l’impresa sociale dovrebbe tendere a produrre un congruo reddito d’esercizio, ovvero mantenere propensione al risparmio economico nel lungo termine, anche se nelle alterne
vicende della gestione uno o più esercizi si chiudono in perdita. Dal
punto di vista economico l’imprenditore sociale assume diritti di decisione su cosa fare, come, a favore di chi e dove. Ma questi diritti
portano con sé il dovere e la responsabilità sociale di preservare
l’impresa come bene comune14.
Partendo da questa concezione ne conseguono una serie di
asserzioni:
– il bene comune è della “impresa sociale”, ma anche dei suoi membri; vale a dire che lo scopo della prima non è indipendente dagli
scopi dei suoi membri;
– il bene comune non è un bene parziale, ma appartiene ed è condiviso da tutti in quanto membri della medesima società;
– il bene comune può essere visto come l’insieme dei mezzi che
l’impresa sociale rende disponibili ai suoi membri per permettere
loro di raggiungere gli obiettivi personali;
– il bene comune non è semplicemente la somma di interessi particolari né tanto meno il bilanciamento di poteri tra gruppi di interessi;
– bene comune e bene individuale non sono concetti né in contrasto, né separati: il secondo è parte del primo, l’uomo non può realizzare i propri desideri se non nella società. Per queste ragioni,
per l’uomo, cercare il bene della società è il modo per assicurarsi
anche il bene personale. Ma vi è di più;
– il dovere dell’uomo di contribuire al bene della società, deriva dal
dovere di cercare il bene per se stesso: occorre fare ciò che beneficia tutti perché questo è anche il proprio beneficio;
– la supremazia del bene comune esclude il bene individuale soltanto quando il perseguimento del secondo è a detrimento del primo, in quanto lo usa in modo strumentale per fini privati. D’altra
parte, il bene comune della società è primario se esso rispetta la
dignità dell’uomo e “ritorna” all’uomo contribuendo al suo miglioramento come persona.
Il concetto di bene comune si applica a qualunque “società” e
tra queste certamente alle istituzioni di cui stiamo trattando in questa sede, vale a dire le imprese sociali.
Sotto il profilo economico il bene comune dell’impresa sociale è la realizzazione piena dei suoi fini istituzionali in modo autonomo e duraturo. Il bene comune può assumere connotazioni diverse secondo le varie classi di imprese e secondo le diverse conver14
La teoria del bene comune, sviluppatasi principalmente nell’ambito della dottrina
sociale della Chiesa, lo definisce come “l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono nei singoli membri, nelle famiglie e nelle associazioni, il conseguimento più spedito e più pieno della loro perfezione” (Concilio Vaticano II).
82
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
genze di interessi che si realizzano nel tempo, ma in ogni caso deve
essere conseguito nel rispetto di una visione sistemica ed equilibrata, capace di coniugare obiettivi di qualità, obiettivi di soddisfazione, consenso e coesione nei confronti degli interlocutori sociali (studenti, famiglie, comunità) e, non ultimi, obiettivi economico finanziari.
Imprenditorialità e
alleanze educative
La scuola in Italia non gestisce tutte le leve per la produzione
di capitale umano, questa è una differenza fondamentale tra la
scuola anglosassone e la scuola mitteleuropea. La scuola anglosassone, la scuola britannnica, ma anche le cosiddette charter schools
statunitensi, sono scuole che operano in condizioni di mercato,
dove la scelta della famiglia è la variabile chiave che sposta le risorse all’interno del sistema d’istruzione, al punto che una nuova
normativa impone alle scuole di pubblicare le cosiddette “classifiche”, cioè il loro posizionamento in termini di apprendimenti (valore aggiunto). Quello che in un mercato è svolto dai prezzi, nel sistema anglosassone dovrebbe essere svolto dalle classifiche, in base
alle classifiche le famiglie sono chiamate a scegliere.
Una scuola anglosassone gestisce tutte le leve per operare in
un quasi mercato, sceglie il personale, ha un budget unico da gestire, decide discrezionalmente come allocare le risorse (se destinarle
alla assunzione di persone, di spazi o di computer), valuta, incentiva e remunera il proprio personale. Un mondo diverso dal nostro.
La scuola italiana è una scuola che invece dal proprio bilancio vede
passare pochissimo, mi riferisco alla scuola statale (per la quale il
costo del personale di ruolo transita per il bilancio dello stato ed i
costi di immobili e servizi dai bilanci degli enti locali), ma il fenomeno riguarda anche la scuola paritaria per effetto della presenza di
soggetti esterni (regione, enti locali) che gestiscono direttamente talune delle risorse chiave utilizzate dalle scuole.
Dalla nostra ricerca15 emerge che la “rete”, più che il “quasi
mercato”, sembra designare un assetto di governance meglio rispondente alla tradizione ed ai cambiamenti che hanno interessato
la scuola italiana.
Una semplificazione delle diverse condizioni di contesto
porta a rilevare uno spostamento dei fattori critici di successo: se
nel “quasi mercato” la parola d’ordine è competizione tra scuole e
competitività della scuola attraverso l’uso più efficace ed efficiente
dell’autonomia, nella “rete” il successo della scuola non dipende dal
15
PALETTA A. (2006) “Il bilancio sociale nella scuola dell’autonomia”, in PALETTA A.,
TIEGHI M. (a cura di) Il bilancio sociale su base territoriale. Dalla comunicazione istituzionale alla Public Governance, Isedi, Torino.
83
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
controllo gerarchico delle risorse, ma dalla capacità di collaborare e
cooperare all’interno di network più o meno complessi.
Si tratta certamente di una semplificazione perché competizione e cooperazione sono entrambe presenti nei due modelli, ma
non è semplicemente questione di misura e di peso dei due meccanismi. È diversa la filosofia di governance con tutte le conseguenze
che ne derivano sul piano della leadership scolastica, delle pratiche
manageriali e professionali all’interno della scuola e, per quanto qui
più direttamente c’interessa, dei modelli imprenditoriali.
In ambito scolastico, il termine “rete” è usato per significare
cose diverse. Sono reti anzitutto le associazioni tra scuole16, ma
anche le forme di partenariato che le stesse stipulano, singolarmente e più spesso in rete, con istituzioni pubbliche locali (comprese le
municipalità e le università), imprese (e loro associazioni e rappresentanze) e altri soggetti del privato sociale.
Le reti di scuole possono essere istituzionalizzate oppure costituirsi a livello informale attraverso alleanze più o meno trasparenti e socialmente accettabili. La rete può essere fondata su legami
temporanei, come è il caso di una rete costituita intorno ad uno specifico progetto, oppure può assumere maggiore stabilità e diventare
generalista, lavorando ad ampio spettro e su un orizzonte temporale indefinito. I network in cui sono coinvolte le scuole possono operare a differenti livelli e con differenti scopi:
– a livello base, la rete può essere costituita per facilitare la condivisione di buone pratiche professionali tra i docenti;
– ad un livello più ambizioso di cooperazione, la rete può coinvolgere gruppi di insegnanti e scuole che lavorano insieme con l’esplicito scopo di migliorare le condizioni di insegnamento ed organizzative e non solo condividere buone pratiche già esistenti;
– oltre che per scopi di trasferimento di conoscenze e di costruzione di nuova conoscenza, una rete può mettere insieme gruppi di
stakeholder per implementare specifiche politiche a livello locale
e, talvolta, nazionale;
– un’ulteriore estensione di questo tipo di network si ha quando
gruppi di reti, all’interno e al di fuori del settore educativo, lavorano insieme per il miglioramento dei sistemi in termini di giustizia sociale, inclusione, ecc.
Dal mio punto di vista, riuscire a lavorare in rete in modo stabile ed efficace è una delle principali sfide per l’imprenditore sociale in campo educativo. Oggi molti comuni fanno il POFT, il Piano
dell’Offerta Formativa Territoriale. Questo significa che c’è dietro un
Le reti di scuole trovano fondamento normativo nelle disposizioni riguardanti l’autonomia scolastica, in particolare nel D.Lvo 275/99, che non solo prevede un intero
articolo, il n. 7, intitolato “Reti di scuole”, ma riporta nel testo numerosi altri riferimenti a intese, accordi, convenzioni, consorzi.
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
rischio enorme, una specie di “statalizzazione locale” della progettualità in campo educativo. Il rischio è che i comuni decidano degli
obiettivi e finanzino questi obiettivi in base a una loro decisione e
dal momento che in molti comuni questo interessa quasi il 70%
delle risorse destinate ai progetti, vorrebbe dire che la scuola è tagliata fuori dai tavoli decisionali che contano. Allora se i nostri imprenditori e leader scolastici vogliono avere una voce in capitolo devono essere capaci di arrivare in questi tavoli e far sentire la propria
voce, ma questo non possono farlo individualmente, devono essere
capaci di fare “massa”, di costituire reti e dare voce alle proprie peculiarità e alle proprie proposte educative. E le priorità della scuola
non sempre corrispondono con quelle del comune o della provincia.
In questo risiede l’imprenditorialità in campo educativo: la
capacità di assumersi il rischio educativo facendosene carico come
idea e come realizzazione, elaborando e promuovendo una proposta originale di educazione fondata sulla tradizione, creare la base
delle risorse finanziarie, umane, relazionali e di fiducia intorno alla
scuola che ne possono garantire l’autonomia e la continuità nel
tempo. Non si tratta di fare profitti e di distribuirli ai soci, si tratta
di fare “profitti” per irrobustire la capacità della scuola di continuare a fare il suo lavoro nel futuro. Non si tratta di rilevare costi e ricavi, si tratta soltanto di avere i conti in ordine per continuare a portare avanti una missione distintiva. Pertanto, se “profitto” vuol dire
questo anche l’impresa sociale deve cercare di fare profitto.
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L
e nuove responsabilità
del dirigente scolastico
tra disorientamenti di sistema
e prospettive dell’autonomia
Prof. GIAN CANDIDO DE MARTIN
Preside della Facoltà di Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma
La traccia della nostra tavola rotonda suggerisce di soffermarsi essenzialmente sulla (potenziale) trasformazione della scuola dell’autonomia come “intrapresa sociale” e sul ruolo che a tal fine deve
essere interpretato dal dirigente responsabile di ciascuna istituzione scolastica. Per cercare di mettere a fuoco queste questioni posso
avvalermi anche dei dati e delle considerazioni emerse nell’ambito
dell’Osservatorio sulla scuola dell’autonomia, che dirigo alla Luiss,
in particolare nei tre rapporti sulle esperienze dell’autonomia scolastica pubblicati nel triennio 2002-2004, allorquando si è cercato di
monitorare il decollo di una riforma potenzialmente rivoluzionaria
per l’assetto del sistema formativo del nostro Paese. Subito aggiungendo, peraltro, che i risultati di tali indagini hanno evidenziato una
situazione fortemente differenziata nelle varie aree del territorio nazionale, in cui per un verso si sono certamente registrati fenomeni
significativi di progressiva affermazione della “cultura dell’autonomia”, con fenomeni interessanti sul piano delle innovazioni didattiche e di ricerca e delle relazioni con il territorio da parte di molteplici istituzioni scolastiche, accanto a realtà che per altro verso sono
restate sostanzialmente ferme alla vecchia logica dell’uniformità e
della scuola “dipendente” dall’amministrazione ministeriale.
In effetti, si deve oggi a maggior ragione sottolineare che l’autonomia è a bagnomaria, oppure – se si vuole – un cantiere aperto
che rischia spesso di essere abbandonato, quindi in una situazione
molto spesso critica a causa della larga disattenzione che vi è stata
da parte di tutti o di gran parte di coloro che avrebbero dovuto curare una corretta e coerente attuazione della riforma, sancita dall’art. 21 della l. 59/97 e poi sviluppata dal regolamento sull’autonomia n. 275 del 1999. Già una certa lettura riduttiva della scelta per
l’autonomia era emersa alla fine della XIII legislatura, anche nello
stesso regolamento che ne aveva disciplinato i principali profili attuativi, ma è stato soprattutto nella XIV legislatura che le potenzia-
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lità di trasformazione del servizio nazionale di istruzione, da ricentrare in base all’opzione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche,
sono state in larga misura vanificate da molteplici forme di neocentralismo ministeriale e di ripresa di meccanismi burocratico-gerarchici. A ciò si aggiungono i provvedimenti legislativi che – a partire
dalla legge Moratti n. 53 del 2003 – hanno evocato l’autonomia più
come formula di stile che come obiettivo centrale da perseguire per
ripensare l’assetto dell’intero sistema normativo, partendo dalla comunità scolastica e dai responsabili del governo di ciascuna scuola,
in una prospettiva volta essenzialmente a valorizzare le componenti educative interne a ciascuna realtà formativa, che dovrebbero essere i principali riferimenti sia delle scelte didattico-formative che
della gestione organizzativa di ciascuna struttura scolastica.
Questa premessa sulle vicende complessivamente poco entusiasmanti della autonomia scolastica e sulla condizione di precarietà in cui si trova, per molti versi, il sistema delle istituzioni formative pubbliche del nostro Paese mi è parsa necessaria anche per
collocare in modo più concreto e comprensibile la questione che è
al centro della nostra attenzione in questa sede, quella cioè della dirigenza scolastica chiamata ad operare in un contesto che dovrebbe
favorire lo sviluppo e il consolidamento di un ruolo chiave nel governo delle strutture formative, ma che invece resta in larga misura
aperta a una serie di interrogativi o di contraddizioni legate al mancato decollo, su un piano generale, della nuova impostazione del sistema nazionale di istruzione.
In effetti, la configurazione istituzionale e il profilo professionale del dirigente nella scuola dell’autonomia – sintetizzata in una
recente ricerca, coordinata dal prof. Susi e pubblicata dall’Armando,
con il riferimento al leader educativo – dovrebbero connotare il dirigente in modo assai diverso dal tradizionale capo di istituto, facendo emergere alcuni elementi che dovrebbero essere compresenti
in questa figura professionale per molti versi atipica, chiamata ad
interpretare il ruolo di responsabile complessivo della comunità
scolastica ed elemento portante anche dei rapporti tra la singola
scuola e la realtà esterna.
Ovviamente mi limito qui a qualche rapida considerazione,
per molti versi scontata, ma comunque da sottolineare per evidenziare la pluralità di elementi professionali che dovrebbero caratterizzare il dirigente scolastico. Dovrebbe essere certo meno burocrate che in passato, anche se necessariamente preposto a funzioni amministrative, legate alla applicazione di specifiche norme e di regole gestionali fissate dall’ordinamento: in una prospettiva comunque
non di mero esecutore di norme prefissate, da applicare pedissequamente in vista di una formale uniformità di adempimenti gestionali, come avveniva tradizionalmente, allorquando il tempo-lavoro
del capo di istituto finiva per essere in gran parte assorbito (si è cal-
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
colato per due terzi) da adempimenti burocratici standardizzati.
Questa impostazione tradizionale, legata alla persistenza di una
cultura amministrativo-burocratica, non è certo facile da sradicare,
tenuto conto della consolidata abitudine a gestire le scuole in ossequio alle circolari, che rappresentano emblematicamente la forma di
produzione di regole interne tipiche della relazione gerarchica dell’amministrazione ministeriale: regole interne che finiscono spesso
per avere il sopravvento anche sulle fonti di carattere generale, ivi
comprese le norme costituzionali e le leggi ordinarie.
In realtà la circolare è effettivamente la espressione più tipica di un’amministrazione burocratico-gerarchica, nel cui ambito il
funzionario si trova in una situazione di sostanziale dipendenza
da chi imprime, al vertice dell’amministrazione, una certa direzione di marcia, sopprimendo di fatto o circoscrivendo comunque al
massimo gli spazi di valutazione autonoma di chi è responsabile
di una determinata struttura. In tal senso la circolare è da considerare sostanzialmente incompatibile con la scuola dell’autonomia, nella quale (anzitutto) il dirigente è chiamato a farsi carico e
interpretare, nel contesto concreto in cui opera, le esigenze alle
quali si deve porre attenzione, certo tenendo conto di regole generali fissate con legge (statale o regionale), ma senza i vincoli di minute disposizioni esecutive volte a rendere uniforme la prassi operativa in ogni contesto, a prescindere dalle oggettive diversità ed
esigenze. La scuola dell’autonomia, invece, dovrebbe operare responsabilizzando al massimo le capacità di scelta del dirigente e
degli altri organi interni a ciascuna istituzione scolastica, evitando proprio l’appiattimento frutto delle circolari e facendo riferimento, piuttosto, alle norme generali sull’istruzione, ai principi
fondamentali e alle altre disposizioni volte prevalentemente a stabilire obiettivi da raggiungere e garanzie procedimentali a tutela
delle diverse categorie di soggetti cointeressati (docenti, studenti,
genitori, altro personale, ecc.).
Nonostante questo nuovo orizzonte – che ora ha anche un
esplicito fondamento costituzionale nell’art. 117, terzo comma, in
cui è sancita espressamente l’autonomia delle istituzioni scolastiche, da salvaguardare anche rispetto alla possibile “invasione di
campo” da parte del legislatore o di altre autonomie (v. regioni ed
enti locali) – continua a persistere, specie nell’amministrazione ministeriale, la cultura della circolare e dell’uniformità, con casi limite davvero impensabili. Mi riferisco, ad esempio, a quanto emerso
in un recente seminario, in cui è stato ricordato il caso di una circolare dello scorso anno che è arrivata addirittura a prescrivere le
caratteristiche della carta intestata di cui ciascuna scuola dovrebbe
dotarsi: non era mai accaduto prima, è accaduto ora, quasi una “rivincita” della burocrazia ministeriale dopo che il sistema ha scelto
la strada dell’autonomia di ciascuna scuola.
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D’altra parte, il dirigente scolastico, oltre che essere meno burocrate (anche se necessariamente in parte dirigente amministrativo), dovrebbe essere parimenti messo al riparo da un altro rischio,
che pure è stato e continua ad essere frequente nel mondo della
scuola: quello di essere in un certo senso coinvolto in un regime assembleare di vita della comunità scolastica. La deriva assemblearistica può evidentemente mortificare proprio l’esercizio di responsabilità da parte di organi che hanno specifiche funzioni e un ruolo
istituzionale di direzione e di decisione, come nel caso del dirigente. D’altra parte, è però anche necessario riconoscere che la scuola
è una comunità che opera non solo attraverso fasi di dibattito nei
vari organi collegiali, ma anche, se del caso, con momenti di vita assembleare necessari per una maggiore consapevolezza comune
della realtà e delle prospettive di ciascuna istituzione comunitaria:
per cui il dirigente non può sottrarsi a questa esigenza, anzi deve
saper interpretare proprio in situazioni di questo genere la propria
veste di leader educativo. Anche in questo caso, ovviamente, si tratta di un problema di misura nel far convivere le esigenze della dimensione comunitaria con la configurazione di specifiche responsabilità individuali di un dirigente, che deve essere comunque uomo
di scuola e di cultura, specificamente sensibile alle dinamiche educative.
Vi è poi una terza dimensione necessaria del dirigente, quella connessa alle sue responsabilità di gestione operativa della macchina scolastica, in cui emerge la questione della sua competenza
manageriale. Anzi, in proposito, può dirsi che vi sono state tendenze interpretative del nuovo ruolo del dirigente scolastico della scuola dell’autonomia volte ad enfatizzare proprio questo suo ruolo di
manager, che dovrebbe essere la principale caratteristica dell’organo responsabile del governo della scuola. Si tratta di una impostazione che personalmente considero fuorviante, legata essenzialmente alla connotazione della scuola esclusivamente come una
azienda da far funzionare nel modo più efficiente, in base a criteri
legati essenzialmente all’efficacia e alla economicità degli interventi e dei risultati, ossia in base a meri criteri aziendalistici, senza alcuna attenzione specifica al proprium della scuola, in cui il processo formativo deve fare i conti sia con la sfera della libertà di insegnamento dei docenti sia con le diverse caratteristiche (e talora con
le difficoltà) dei discenti.
Ciò non vuol dire ovviamente che la scuola non sia anche una
struttura da gestire con attenzione all’efficienza e al risultato gestionale, tanto più la scuola dell’autonomia, che finisce per avere
maggiori responsabilità nell’ambito del “mercato dell’istruzione”,
dovendosi accreditare anche in ragione delle capacità formative
ossia del rendimento sostanziale di ciascuna struttura. In tal senso
si può senz’altro accogliere la prospettiva di questa tavola rotonda,
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
in cui la scuola viene configurata come una “intrapresa sociale”,
chiamata a competere in ragione anche dei risultati che è in grado
di offrire, ovviamente senza con ciò trasformare la singola scuola in
una “azienda” da misurare in rapporto soltanto a risultati quantitativi. Il dirigente, che è leader educativo, deve in tal senso saper esercitare anche una responsabilità di gestione in chiave manageriale,
essendo in definitiva il primo garante della qualità del servizio che
l’istituzione deve riuscire a realizzare il dialogo con il territorio (famiglie, stackeholders, istituzioni locali).
Quanto fin qui considerato sul complesso profilo istituzionale e professionale del dirigente scolastico comporta ovviamente
anche la necessità di una specifica formazione e di forme di selezione e reclutamento che siano in grado di verificare la sussistenza
di tutte le caratteristiche necessarie sul piano tecnico professionale.
Da questo punto di vista, peraltro, non si può non rilevare la sostanziale inadeguatezza dei sistemi finora seguiti sia nei processi di
formazione sia nelle procedure di scelta dei dirigenti scolastici, che
risentono tuttora di forti automatismi di stampo burocratico, accentuati dalla dipendenza che si viene ad instaurare tra dirigenti e uffici scolastici regionali, mentre continuano a non avere spazio effettivo percorsi formativi ad hoc, neppure a livello universitario (salvo
talune esperienze transitorie e circoscritte). In effetti, anche l’università fino ad oggi ha avuto poca attenzione a queste esigenze formative di alto livello e, nonostante gli spazi offerti dalle classi di
laurea magistrale, non vi sono corsi dedicati, né si sono sviluppate
forme mirate di master.
Al di là di quanto si è finora cercato di mettere in evidenza
sulle specifiche caratteristiche che dovrebbero essere compresenti
nel dirigente della scuola dell’autonomia, appare altresì importante
aggiungere qualche considerazione su un versante particolare, quello del rapporto con il contesto territoriale in cui opera la scuola, in
cui il dirigente è chiamato ad esercitare un ruolo essenziale. Da questo angolo visuale, in effetti, vi è rispetto al passato una potenzialità
di relazioni con l’esterno assai più consistente. Non solo al fine di
adeguare, almeno entro certi limiti, la fisionomia e l’offerta di ciascuna istituzione scolastica alle esigenze specifiche di un dato ambito territoriale socio-economico, valorizzando l’autonomia didattica e
di ricerca, e superando in tal senso proprio la logica dell’uniformità
tipica del tradizionale ordinamento ministeriale, ma anche in una
prospettiva di ricerca di “dialogo” utile con tutti gli interlocutori cointeressati al miglior funzionamento di una data scuola, siano essi i responsabili delle istituzioni politico-territoriali locali, oppure i responsabili delle istituzioni socio-economiche che hanno specifiche
attese sul piano della formazione scolastica o professionale.
In tal senso, pur nel quadro in chiaroscuro che si è prima richiamato, vi sono interessanti esperienze in atto, che danno la mi-
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sura di realtà che camminano positivamente, con dirigenti in grado
di gestire le scuole realmente come intraprese sociali volte a realizzare in modo virtuoso una sinergia tra strutture educative e realtà
del territorio in cui operano: dirigenti che mostrano una specifica
preparazione alla lettura del contesto e una attitudine a sviluppare
relazioni significative, specie con l’esterno (visto che la scuola è sì
il centro del processo formativo, ma non è un’isola), con il duplice
obiettivo di dar vita ad un ambiente educativo idoneo (sereno e motivato) ma anche “riconosciuto” da chi ha in vario modo interesse
ad interagire con la scuola. Vi sono però anche situazioni assai poco
significative, in base ai dati dei nostri Rapporti, che restano al di
fuori di questo circuito potenzialmente virtuoso, e sono piuttosto
ancorate alla tradizionale cultura della uniformità e delle esecuzione delle circolari a cui si è fatto riferimento.
È dunque molta la strada da percorrere in questa direzione,
che può essere per molti versi decisiva per uno sviluppo autentico
della scuola dell’autonomia. In tal senso si può aggiungere che uno
stimolo utile può derivare, non solo dall’osservazione di ciò che
connota alcune realtà pilota, che spesso hanno dato vita anche a
“reti” per implementare e coordinare meglio le rispettive azioni formative, ma anche dalla considerazione di quanto avviene frequentemente nella scuola paritaria, la quale – tanto più dopo la legge n.
62 del 2000 – concorre a pieno titolo a rendere il servizio pubblico
dell’istruzione nel nostro Paese. La scuola paritaria è, in effetti, frutto di una esperienza tipica di autonomia e di peculiare responsabilità nella ricerca delle modalità più appropriate per dialogare con il
contesto socio-territoriale in cui opera e può, quindi, rappresentare
un parametro di riferimento realmente significativo per cogliere le
varie potenzialità che si legano alla scuola dell’autonomia, in una
prospettiva di adeguamento del servizio scolastico anche alle attese
delle componenti più attive del territorio.
Vi sarebbero molte altre considerazioni da sviluppare per
dare un quadro sufficientemente esaustivo della nuova fisionomia
della dirigenza scolastica, che peraltro non vi è la possibilità di sviluppare in questa sede. Mi limito quindi, prima di concludere, ad
aggiungere – riprendendo quanto osservato all’inizio – che, per realizzare le condizioni adeguate allo sviluppo di una dirigenza scolastica a capo di intraprese sociali in grado di autogovernarsi e di dialogare efficacemente con il territorio, è indispensabile da un lato
sottolineare le potenzialità che vi sono, nonostante i segnali contraddittori che finora si sono avuti, di interpretare in modo “creativo” l’occasione dell’autonomia offerta dalle norme vigenti, seguendo gli esempi delle esperienze virtuose che si possono in vario modo
rintracciare, ma dall’altro ribadire la necessità di un adeguamento
del quadro normativo e del contesto politico-istituzionale che finalmente crei le condizioni organiche e coerenti (anche in ordine agli
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
organi collegiali) per uno sviluppo generale del principio dell’autonomia scolastica, riconoscendo alla scuola responsabilità effettive e
risorse adeguate, senza le molteplici “cautele” che degradano l’autonomia ad una condizione sotto tutela.
Da questo punto di vista il quadro di riferimento è, allo
stato, ancora difficile da discernere, anche se vi è qualche segnale, all’inizio della XV legislatura, che sembra preludere ad una ripresa di attenzione per l’autonomia delle istituzioni scolastiche,
rispetto alla sostanziale emarginazione degli anni precedenti. Non
mancano, in verità, anche segnali in qualche modo contraddittori,
in particolare con riguardo alla costituzione degli uffici scolastici
provinciali, di recente subentrati ai centri servizi amministrativi
(che avevano sostituito i provveditorati agli studi dopo la riforma
sull’autonomia): visto che tali nuovi uffici per certi versi appaiono
riprodurre una logica burocratico-gerarchica rispetto agli uffici
scolastici regionali, strutture periferiche dell’amministrazione ministeriale dell’istruzione. Si può, peraltro, anche osservare che,
nella direttiva del 7 settembre 2006 del Ministro, dedicata a disciplinare ruolo e compiti degli uffici scolastici provinciali, viene
anche espressamente menzionata la loro funzione di supporto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, con conseguenti compiti
di assistenza, consulenza, informazione-formazione e monitoraggio “finalizzati allo sviluppo delle condizioni per la piena realizzazione dell’autonomia didattica, organizzativa e di ricerca delle
istituzioni scolastiche, anche attraverso la costituzione di reti di
scuole” (compiti che, almeno in parte, richiamano quelli che erano
stati a suo tempo prefigurati per i CIS – di fatto poi non costituiti
e comunque soppressi a seguito della legge Moratti – previsti a
supporto delle scuole dell’autonomia in sostituzione dei provveditorati agli studi).
Tra gli elementi che appaiono specificamente ricollegabili sia
alla prospettiva dell’autonomia che alla conseguente condizione dei
dirigenti scolastici, si possono menzionare soprattutto due previsioni contenute nella legge finanziaria in itinere. Sul primo versante va
registrata la previsione della costituzione di una “Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica”, con funzioni di ricerca educativa e consulenza pedagogico-didattica; formazione e aggiornamento del personale della scuola; attivazione di servizi di documentazione pedagogica, didattica e di ricerca e sperimentazione;
collaborazione alla realizzazione delle misure di sistema in materia
di istruzione per gli adulti e di istruzione e formazione tecnica superiore; collaborazione con le regioni e gli enti locali. In sostanza,
la nuova agenzia, destinata a sostituire gli Istituti Regionali di
Ricerca Educativa e l’INDIRE, diventerebbe la struttura di sistema
preordinata a accompagnare il decollo dell’autonomia scolastica sul
piano delle misure didattiche e tecnico operative.
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Per quanto riguarda i dirigenti scolastici va considerata la
previsione di nuove procedure sul reclutamento, che potrebbero
modificare sostanzialmente la situazione attuale. Non emerge peraltro alcuna previsione volta a realizzare uno specifico rapporto tra
il dirigente e la comunità scolastica in cui è chiamato ad operare,
non essendo previsto alcun meccanismo per così dire fiduciario rispetto agli organi di governo della scuola. Su questo piano vi è, in
effetti, una prospettiva nuova da approfondire e ridefinire, al fine di
rompere la filiera gerarchica che attualmente lega in modo stretto i
dirigenti-capi di istituto ai direttori degli uffici scolastici regionali e
quindi all’amministrazione ministeriale, appiattendo il relativo stato giuridico, senza alcuna attenzione ad una configurazione di
responsabilità legate ai risultati e al rapporto con gli organi collegiali della scuola (magari con nomina a tempo determinato).
Proprio la prospettiva della scuola dell’autonomia come intrapresa sociale dovrebbe riuscire a rendere evidenti questi legami interni a ciascuna istituzione, innervando dinamiche e rapporti che potrebbero tradursi anche nella previsione di “bilanci sociali” periodici, finalizzati a evidenziare risultati e prestazioni delle varie componenti, possibilmente anche con la previsione di incentivi e meccanismi premiali in grado di riconoscere i risultati positivi di gestione. Si
tratta ora di vedere se queste previsioni iniziali saranno confermate
nel testo definitivo della legge finanziaria e, soprattutto, se ad esse
seguiranno organici e coerenti provvedimenti di ridimensionamento
della struttura burocratico-ministeriale in vista della valorizzazione
degli apparati tecnici di supporto della scuola dell’autonomia.
D’altra parte, si può anche osservare, prima di concludere,
che la scuola dell’autonomia dovrebbe essere stimolata a sviluppare non solo un dialogo autonomo e diretto con il territorio, in funzione dell’adeguamento della propria funzione formativa, ma anche
dal punto di vista dei meccanismi di relazione con le altre scuole
operanti in un dato ambito territoriale. Anzi, va sottolineata specificamente questa esigenza della interazione tra le istituzioni scolastiche, in vista di reti di scuole che riescano a creare alleanze e a dar
vita a sinergie dalle quali possono scaturire risultati positivi sia sul
piano emulativo delle best practices sia sul piano della integrazione
e del miglioramento complessivo dei processi formativi. In tal senso
si può richiamare anche quanto ha osservato Claudio Gentili nel volume “Scuola ed extrascuola”, laddove ha messo in evidenza specifica la prospettiva dell’apprendere il dialogo con il territorio, chiarendo che la scuola è una impresa che promuove iniziative per il territorio, confrontandosi anche con altre scuole, non sulla base di procedure prestabilite da qualche amministrazione, bensì proprio sulla
base della percezione che ciascuna comunità scolastica deve avere
delle esigenze connesse al proprio ruolo formativo in un dato contesto territoriale.
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Si può anche aggiungere che, in questo quadro, emerge una
specifica ulteriore rilevanza sostanziale dell’autonomia scolastica
ossia quella relativa al ruolo significativo che ciascuna istituzione
scolastica, tanto più se inserita in una rete integrata di scuole, può
esercitare al fine della puntuale definizione dei livelli essenziali
delle prestazioni per l’effettivo godimento del diritto all’istruzione,
secondo l’impostazione che emerge ora in Costituzione, dopo la riforma del 2001, a garanzia di imprescindibili esigenze unitarie in un
ordinamento che comunque valorizza le autonomie perseguendo
l’uguaglianza non in termini di uniformità ma di equivalenza. Nel
campo dell’istruzione la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni rappresenta certo una questione di fondo, destinata a coinvolgere una pluralità di responsabilità istituzionali, sia nazionali
che regionali o locali, con un ruolo specifico che deve comunque essere riconosciuto anche alle singole istituzioni che hanno la responsabilità formativa specie in ordine alla definizione delle modalità delle prestazioni considerate essenziali.
Ciò significa il definitivo superamento della logica dei programmi analitici predisposti dal Ministero, destinati a valere su
tutto il territorio nazionale: la prospettiva è quella del curricolo, in
una logica dell’apprendimento, che richiede di essere misurata in
ciascun contesto in cui il processo formativo si esplica. Quello che
viene denominato attualmente piano dell’offerta formativa deve, in
altre parole, diventare il centro pulsante della vita di ciascuna istituzione scolastica, in cui il ruolo del dirigente è ovviamente assai
più significativo se è espressione di sintesi della comunità scolastica piuttosto che una sorta di organo periferico dell’amministrazione
scolastica. La questione di fondo resta probabilmente ancor oggi
quella di far percepire a tutti i protagonisti del mondo della scuola
questa nuova prospettiva, che dovrebbe responsabilizzare e valorizzare l’apporto di ciascun operatore, a cominciare dalla dirigenza:
su questo piano è evidente la necessità di uno sforzo straordinario
per diffondere la cultura dell’autonomia in tutti gli attori della comunità scolastica che debbono concorrere a radicare una “rivoluzione” decisiva per un effettivo sviluppo della stessa democrazia del
nostro sistema.
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C
hi è il buon dirigente?
Don GIANCARLO BATTISTUZZI - Vicepresidente Nazionale FIDAE
Come rispondere alla domanda: quali sono oggi le caratteristiche di un buon dirigente scolastico?
Il buono e il cattivo vanno sempre riferiti ad una norma (divina o umana). Quindi enunciare, o più semplicemente suggerire,
quali debbano essere le caratteristiche di un buon dirigente oggi,
impone chiedersi quali siano o debbano essere le caratteristiche
della scuola in questo periodo storico. Il dirigente lavorerà bene o
male se riuscirà a rispondere alle attese sociali ed ecclesiali riposte
nella scuola. Quindi la domanda si sposta inequivocabilmente dal
dirigente alla scuola: quale scuola?
Dai dati storici in nostro possesso l’educazione dei giovani,
nata liberamente in Grecia come esclusivo privilegio dei padri e talora dei precettori che ne integravano e ampliavano la preparazione
culturale, passò, per esigenze politico-sociali, sotto il controllo del
potere costituito, il quale ne valutava la preparazione con l’istituzione di concorsi, gare ed esami.
Le prime notizie di scuole direttamente gestite dallo Stato risalgono al periodo cretese, successivamente a Sparta, ad Atene e,
dal V secolo a.C., a Roma. Le scuole del periodo classico sia paterne sia statali avevano uno scopo comune: formare il buon cittadino
e il buon guerriero.
Solo in Atene si cominciarono a progettare percorsi scolastici
legati all’erudizione per la particolare concezione di Stato evolutasi
in quella città. A Roma si privilegiò invece la retorica, avendo i Romani in grande considerazione il diritto. In ambiente cristiano, fino
a metà del XVIII secolo, il progetto educativo era ben definito, unico
sia nei Paesi della Riforma sia in quelli della Controriforma: modellare il giovane sui canoni teologici e antropologici evangelici.
Con l’affermarsi del pensiero illuminista, che fondava la libertà dell’uomo nella sola forza della ragione, si iniziò a screditare
sistematicamente il cammino cristiano di liberazione umana, che
aveva il suo centro nel processo di identificazione alla volontà di
Dio.
In ogni caso, dalla Grecia ad oggi, il modello di scuola poggia
su un’idea relativamente semplice: formare il buon cittadino-soldato, il buon filosofo o giurista, il buon cristiano e ultimo il soggetto
capace di realizzare un’autocoscienza individuale attraverso l’uso
della sola ragione.
Un’affermazione, quest’ultima, che ha mostrato tutta la sua
forza “rivoluzionaria” minando alla base gli Stati monarchici asso-
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luti e la Chiesa e favorendo la nascita degli stati democratici, della
rivoluzione industriale e tecnologica e del mito dell’onnipotenza
dell’uomo razionale e della scienza. Conviene soffermarsi un po’ di
più sulla influenza che il pensiero illuminista ha ancora oggi sulla
società e sulla scuola italiana.
Nel “secolo dei lumi” la diffusione delle scuole laiche statali o
comunque omologate alle statali fu grande. Esse avevano il compito di formare il nuovo cittadino, il quale, attraverso il sapere delle
cose, si sarebbe sollevato all’autonomia intellettuale e morale, combattendo in modo determinante l’impostazione confessionale dell’insegnamento delle scuole umanistiche.
La scuola italiana di Gabrio Casati (15 novembre 1859) e
quella del ministro Gentile del 1923 avevano alla base questi principi ideali. Ancora oggi gran parte degli uomini di cultura vedono
nella Chiesa la negazione della libertà e della auto-determinazione
dell’uomo.
A posteriori abbiamo la conferma storica di quanto la Chiesa
aveva da sempre affermato: cioè che la ricerca della libertà dell’uomo non può poggiare sulla sola ragione. Infatti il progresso scientifico e tecnologico non è stato in grado di soddisfare del tutto a questa esigenza di libertà, la struttura degli Stati democratici comincia
a presentare delle brecce per logoramento; la ricchezza economica
ha spinto l’uomo verso altre forme di povertà e la libertà è degenerata in un pericoloso e diffuso individualismo. Il modello culturale
illuminista è entrato in crisi senza che all’orizzonte culturale laico si
sia presentato un pensiero forte, una idea semplice che rigeneri la
società e che dia quindi alla scuola un obiettivo da perseguire e da
raggiungere: un’idea, un progetto di uomo e di società che aiuti la
scuola a scegliere gli obiettivi intermedi e quelli finali con gli strumenti e le strategie più idonee.
Solamente in un rinnovato panorama culturale si potrà iniziare a definire il compito del dirigente e così delinearne il “modello”. Al momento la cultura e la società, ancora arroccate su una visione illuminista, non pensano di dover integrare la razionalità con
la fede e ritengono che la strada sia quella funzionalista dimenticando ancora una volta le finalità proprie dell’uomo; da questo ne
deriva una immagine di dirigente più “burocrate” che educatore.
Il conseguente aumento delle responsabilità amministrative,
di coordinamento dell’attività didattica, dei rapporti interni e esterni alla scuola, senza avere ben chiaro un progetto ideale di uomo da
seguire, crea nel dirigente e nei docenti un danno motivazionale che
va a riflettersi in ambito educativo-pedagogico.
Certamente per dirigere una scuola bisogna avere presente la
complessità dell’attuale mondo giovanile, saper far quadrare i conti,
organizzare progetti, intrattenere positivi rapporti istituzionali e sociali, ecc. ma prima di tutto questo serve avere un’idea di uomo e di
96
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
società, un’idea unificatrice che permetta di selezionare e ordinare
le molte incombenze del dirigente e dei docenti: un obiettivo che
orienti le scelte della scuola.
Questa debolezza di pensiero si manifesta quando in Occidente si avverte maggiormente bisogno di un orizzonte culturale ben
definito, per affrontare e risolvere le grandi sfide della globalizzazione culturale ed economica.
In questa povertà di ideali si corre il rischio, nella riforma della scuola, di confondere la struttura educativo-scolastica con i valori per l’uomo che la società dovrebbe esprimere.
Da qui la difficoltà della scuola italiana: non ha più un ideale di società e di uomo da servire.
Solo il mondo religioso sa proporre ideali trascendenti che il
tempo non può logorare ma non viene ascoltato. L’illuminismo ha
esaltato la libertà dell’uomo, che è un ideale religioso altissimo e
sacro per la cristianità, con il solo errore di averla posta al vertice
della realtà umana. Ritengo che ancora una volta il Cristianesimo
sia chiamato a suggerire nuove strade da sperimentare per un nuovo
umanesimo. Si deve riconoscere alla Chiesa un valore in più rispetto alle altre realtà sociali: la sua trascendenza. Attualmente la scuola cattolica, se vive il vero spirito ecclesiale, partecipa di tale trascendenza e questo è il suo valore aggiunto, anche se vissuto in
modo sommesso.
Come far vivere la trascendenza della scuola e nella scuola?
Ecco il nocciolo della risposta al quesito iniziale: quale scuola vogliamo e quali sono le caratteristiche del dirigente?
In un linguaggio laico si parlerebbe di eccellenza della scuola
e di un buon dirigente.
Preferisco utilizzare il termine trascendenza, perché è chiaro
il riferimento ad una realtà non umana, per noi cristiani divina, e
perché il trascendente nel cristianesimo, quando si storicizza, si fa
obbedienza e servizio.
Obbedienza e servizio, se cercati e perseguiti come esigenza
interiore in uniformità a Cristo, sono, per la scuola cattolica, due
cardini portanti e ne costituiscono la diversità e il pregio.
Sul piano culturale è un riannodare i fili che l’Illuminismo
aveva tentato di spezzare; non intendo proporre di cancellare due
secoli e mezzo di storia, bensì, arricchiti dal pensiero e dalle conquiste del recente passato, di guardare all’uomo nella sua pienezza.
Il dirigente sarà obbediente a Cristo e servitore dell’uomo.
Obbedire a Cristo e servire l’uomo sono un unico comandamento, cioè sono inscindibili: l’uno richiama l’altro, e nell’ambito
scolastico l’uomo è prevalentemente l’allievo. Tutti gli sforzi educativi dei docenti, dei genitori, del dirigente, dell’istituzione scolastica
in generale devono essere rivolti a lui. Vogliamo che divenga un
adulto consapevole e capace di scelte libere? Che sia forte nelle av-
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
versità e fedele ai principi che regolano la sua vita? Che abbia a testimoniare il divino che è in lui? Che si realizzi nella famiglia e nel
lavoro?
Il dirigente che saprà sfruttare tutte le opportunità e le occasioni per indicare questa strada ai docenti, agli studenti e ai genitori potrà definirsi un “Buon Dirigente”.
Se obbedire a Cristo vuol dire credere nell’uomo, rispettarlo
nella sua libertà, pur conducendolo per mano, allora ogni aspetto
della vita scolastica può essere rivisitato alla luce di quanto detto.
Un esempio per tutti, si prenda in considerazione il sistema di
valutazione. Il voto, che generalmente è percepito come un elemento di controllo e conclusivo dell’iter di apprendimento, potrebbe invece divenire il fulcro dell’attività didattica ed educativa di una
scuola. Possedere una griglia di valutazione per ogni singola disciplina può diventare un utile strumento educativo per la crescita
umana dell’allievo e altresì aiutare il docente nella preparazione
delle lezioni e nella individuazione degli obiettivi didattici da raggiungere.
Dichiarare agli studenti e alle famiglie i criteri adoperati nella
valutazione degli elaborati scritti e nelle verifiche orali e pratiche,
oltre ad avere il pregio della trasparenza, sollecita lo studente alla
consapevolezza di sé, dei suoi limiti e dei suoi punti di forza, lo
chiama alla responsabilità nell’impegno. In altri termini, attraverso
l’analisi dei risultati e l’autoanalisi, lo studente viene condotto a conoscere la strada che la società gli chiede di percorrere con la consapevolezza di chi è capace di libere scelte. Lo stesso amore a Cristo
e all’uomo deve sollecitare l’educatore ad un atteggiamento e ad un
comportamento il più possibile coerente con quanto dichiarato e richiesto poi agli allievi, cioè: preparazione accurata delle lezioni,
puntualità e professionalità nell’impegno, ed altro. La responsabilità educativa del Dirigente, pur nella dovuta delicatezza, consiste
anche nella ricerca e nell’esercizio della verità e si spende per questa nei rapporti con le persone.
Poiché la verità, autentica o presunta che sia, provoca importanti ripensamenti nelle motivazioni e nelle scelte educative degli
operatori scolastici e dei genitori, bisogna aver ben chiaro di quale
verità si sta parlando: la verità proposta dall’illuminismo che pretende di liberare l’uomo con la ragione? La verità proposta dal pensiero
marxista che persegue la libertà nell’uguaglianza? Oppure la verità
proposta dal pensiero economico che illude l’uomo con il miraggio
del benessere economico? O forse pensiamo che l’uomo possa elevarsi attraverso la “libertà sessuale ” o altre “libertà comportamentali”? Noi, scuola cattolica, scegliamo la proposta di Cristo che indica la via della libertà nell’adesione all’Amore e nel dono di sè.
Per finire, in questi ultimi anni il dirigente scolastico, chiamato a rincorrere le mutazioni legislative, è esposto al pericolo di
98
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
dimenticare i valori forti che dovrebbero stare alla base di ogni processo educativo. Questa difficoltà offre in realtà al dirigente l’opportunità di aprire un dialogo con le Istituzioni preposte all’istruzione-educazione (USR, USP, Regione, Comune, ....) per proporre
un modello diverso di servizio al territorio, meno verticistico e direttivo e più vicino al concetto di sussidiarietà, affinché l’autonomia
delle singole istituzioni scolastiche possa divenire ricchezza comune. Infine nel panorama delle relazioni ad extra accenno al rapporto con gli altri dirigenti scolastici, sia delle altre scuole cattoliche sia
di quelle statali, per ricordare quanto sia importante aprire utili collaborazioni e confronti per il bene comune. La stima dei colleghi dirigenti nasce dalla serietà dei nostri comportamenti e dalla linearità
delle nostre scelte didattiche ed educative. L’impegno e la dedizione
di chi sceglie l’Obbedienza e il Servizio come base del suo impegno
educativo, suscitano comunque in loro rispetto e ne fanno dei preziosi alleati, anche se alcuni colleghi possono non condividere le
motivazioni di fondo, gli ideali e le scelte religiose.
99
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
L
a dirigenza scolastica
nel quadro del declino del sistema
scolastico italiano e della sua
gestione. Una interpretazione
e alcune proposte
Don ROSARIO DRAGO
Direttore Scolastico della Provincia autonoma di Trento
1.
Presentazione
sintetica
100
L’analisi delle indecisioni pubbliche (legislative) e di quelle
gestionali, dimostrano che il sistema scolastico italiano ha imboccato la via di un lento declino, che, a mio avviso, ha superato la soglia
critica oltre la quale può diventare irreversibile. Ovviamente non
sono queste poche righe e un rapido – e incompleto – inventario che
possono giustificare questo severo giudizio. Tuttavia, alcune linee di
tendenza, la cui descrizione è condivisa da tutta la migliore critica
scientifica nazionale e internazionale, non danno adito a dubbi.
Vediamole in questo breve elenco, a cui ho aggiunto qualche
considerazione.
• La statalizzazione del sistema. Invece di diventare pubblico
il sistema si è sempre più statalizzato. La scuola privata (paritaria)
in mezzo secolo occupa ormai uno spazio (meno del 5%, esclusa la
scuola dell’infanzia) statisticamente irrilevante; le famiglie sono
sempre meno libere di scegliere; gli enti locali si mettono in fila per
cedere le loro scuole materne comunali; le grandi città (Genova,
Firenze, Bologna) chiedono al Ministero l’acquisizione delle loro
gloriose scuole civiche e Lucca vuol “vendere” il suo prestigioso
Conservatorio. Il processo iniziato nel 1911 con la statizzazione
della scuola elementare, è proseguito senza sosta fino ad oggi: nel
1999 (l.124) anche i bidelli alle dipendenza degli enti locali sono
passati allo Stato. Così, con la Finanziaria 2007, viene statizzata
anche l’educazione degli adulti (coi “Centri territoriali” forniti di organici statali) che è di competenza esclusiva degli enti locali (D.lgs
112/99), ed anche l’alta formazione professionale. Inoltre, se non
bastasse, l’istituzione delle classi “primavera” (2-3 anni di età) nelle
scuole materne accompagna, o prelude all’assorbimento nella sfera
del controllo amministrativo statale anche l’ultimo anno degli asili
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
nido (con un modello pedagogico fortemente “scolastico”). In tal
modo, le comunità locali rinunziano a qualsiasi responsabilità relativa all’educazione e alla formazione dei loro cittadini, completamente delegata alle burocrazie centrali. La statalizzazione del sistema è la conseguenza diretta dell’amministrazione centralizzata del
personale. Le forze politiche e le burocrazie non intendono rinunciare ad una fonte rinnovabile di consenso come gli organici di
un milione e più di dipendenti, di cui il ministro di turno diventa il
rappresentante sindacale e il tutore.
• La proletarizzazione degli insegnanti. Dopo 30 anni di faticosa e contraddittoria gestazione, la formazione universitaria degli
insegnanti (e la conseguente assunzione) si può dire conclusa con
un nulla (o poco) di fatto. Come ai primordi della scuola italiana
(vedi la Legge Casati del 1859) il sistema del concorso – in via di
estinzione – convive con l’assunzione in ruolo per sanatoria, legittimato da molte leggi più o meno recenti: oggi il 64% degli insegnanti in servizio non ha mai superato una prova selettiva degna di questo norme. Si aggiunga il fatto che gli insegnanti “specializzati” sono
meno del 4% dei docenti iscritti nella graduatoria permanente. In
sostanza, il sistema di selezione del personale insegnante assomiglia oggi piuttosto a un sistema di collocamento, che a una vera e
propria selezione dei migliori. Il crollo della qualità degli insegnanti verificatosi negli anni ’70 e ’80 con le massicce immissione in
ruolo “ope legis” non è stato digerito né ha trovato valide alternative. A questo si aggiunga la scomparsa di ogni valutazione del servizio (c’erano le note di qualifica), ogni pur pallida carriera (c’erano i
concorsi per merito distinto), ogni gerarchia professionale (c’era un
preside).
• La perdita della dimensione riflessiva del sistema. La proletarizzazione dell’insegnante si accompagna alla eliminazione di qualsiasi organismo, gruppo, ente, corpo, ecc., al quale affidare la funzione di ricerca, cioè la riflessione sul lavoro didattico degli insegnanti che operano nelle aule (di cui non sappiamo nulla), in modo
da diffondere le pratiche più efficaci, dare al sistema politico indicazioni e informazioni utili alla decisione strategica. È stato quindi
“licenziato” il corpo ispettivo, oggi ridotto a una vecchia larva,
l’Università si è definitivamente separata dalla scuola, e con essa
anche i professori universitari, stanno per essere chiusi (finanziaria
2007) gli IRRE, concludendo una vita non certo prestigiosa iniziata
con i “Centri didattici” di Bottai. Infine, in Italia non si conosce l’attività sistematica di indagine, di analisi e di ricerca in grado di arricchire il dibattito pubblico, come avviene in altri paesi civili, ad
esempio con i “Rapporti” su numerosi aspetti rilevanti del funzionamento della scuola. Nessuno conosce veramente come funziona e
dove va la nostra scuola. In questi ultimi cinque anni, il Ministero
francese ha prodotto almeno 6 rapporti “indipendenti” (con nome e
101
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
confome degli studiosi che si assumono la responsabilità di quello
che scrivono), la Gran Bretagna altrettanti, l’Italia nemmeno uno.
Quando si governa un sistema come questo – sordo, cieco, muto – è
come navigare a vista. Ogni discorso si legittima per se stesso o con
la “tradizione”, o con l’“ideologia”, oppure, più semplicemente, con
il “si è fatto sempre così”, cioè con la burocrazia.
• L’accentramento burocratico. In dieci anni le direzioni generali del Miur sono passate da sette a trenta, una metastasi amministrativa, che nemmeno il fascismo aveva tentato, nonostante il progetto di Giovanni Gentile di costituire le direzioni generali regionali,
che ebbero vita breve e lasciarono la diafana eredità delle Sovrintendenze regionali. Nella stessa linea, l’attuale Ministro ha resuscitati i provveditorati (che già il precedente si era incaricato di rivitalizzare). Il decentramento (verso le scuole e verso gli enti territoriali) quindi non ha fatto un passo avanti. Anche in questo caso vale il
principio regolatore di queste scelte: mantenere saldamente in mano
alle burocrazie centrali la gestione amministrativa del personale per
garantirsi un consenso poco costoso in termini di responsabilità.
Infatti, nessuno in Italia è in grado di valutare, con obiettività e dati
alla mano, se le scelte amministrative (tutte concentrate sul personale) hanno effetti negativi o positivi sulla qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento. Per questo vige il più vieto senso comune:
più personale (risorse umane si dice) = migliori risultati dei ragazzi;
più bidelli = scuole più sicure, accoglienti e pulite; più insegnanti di
sostegno = migliore integrazione dei disabili; più soldi per gli stipendi = insegnanti più soddisfatti; classi meno numerose = ragazzi più
intelligenti; più materie di insegnamento (più libri di testo) = più diffusione della cultura; più burocrazia = più integrazione del sistema,
e via dicendo. Nessuna di queste affermazione è vera in sé, se non è
messa sotto i riflettori di una indagine accurata, sistematica e obiettiva. Ma questo senso comune ha il grande pregio per il sistema burocratico accentrato della irresponsabilità, per cui ogni aumento di
personale anche “sperimentale” (vedi Finanziaria 2007) diventa irreversibile, e dato che le “riforme” non sono soggette a verifica diventano necessariamente anche infallibili.
• La fine dell’autonomia delle scuole. Non c’è nulla di quello che
oggi si fa in una scuola che non potesse essere fatto dieci anni fa, senza
l’autonomia. La breve stagione dell’autonomia, iniziata nel 1993 per
merito di Ciampi e Cassese (di cui andrebbe riletta la relazione alla
conferenza sulla scuola del 1990), si conclude in questi anni con la
sua espulsione dalle ipotesi di riforma. L’autonomia delle istituzioni
scolastiche non è più un principio regolatore del sistema. Essa ormai
si è ridotta ad una retorica che non ha nessun effetto né sul funzionamento delle scuole (che rimangono – come abbiamo detto – gestite dal centro) né sulle pratiche degli insegnanti, che temono l’autonomia, né sui comportamenti del Sindacato, il cui strumento con-
102
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
trattuale è rimasto perfettamente aderente al modello centralistico,
che ha direttamente potenziato e legittimato (come sia possibile predicare l’innovazione continua nelle scuole, con una cultura contrattuale che nega ogni possibile innovazione, questo lo credono sono le
anime belle che concepiscono il lavoro degli insegnanti come un’attività artistica indipende e libera). La prova più evidente di questa
fine è che il nostro Ministero non è affatto cambiato. Non è vero che
l’autonomia distrugge il sistema, richiede invece un cambiamento
qualitativo sia dei soggetti che dei metodi, della cultura e delle competenze degli organismi di direzione centrale, a cominciare dal
Ministero. Ciò non è avvenuto nemmeno in piccola parte. Il nostro
Ministero rimane quello disegnato all’inizio del secolo scorso (dopo
l’affare Nasi): un ministero di dirigenti amministrativi estranei per
cultura e per formazione al sistema che sono tenuti a gestire e che,
quindi, gestiscono nel solo modo possibile: in modo burocratico.
Pedagogisti, psicologi, sociologi, economisti, statistici, ecc. non
hanno accesso a questa sancta santorum delle leggi, delle circolari,
di questo sistema che produce norme tramite norme. In altre parole,
la distanza tra la cultura di un insegnante, i valori di una scuola e
quella di coloro che l’amministrano non è mai stata così lontana
come in questi ultimi trent’anni.
Questa deriva di omologazione del sistema che lo rende sempre più uniforme, compatto, autoreferenziale, potrebbe essere dimostrata anche con altre interessanti analisi (si vedano i curricoli
espliciti e impliciti delle scuole, le pratiche degli insegnanti, i percorsi di istruzione, la soppressione – fino a 16 anni – dell’apprendistato, la lenta agonia della formazione professionale, l’inesistenza
di una alternativa credibile ai percorsi universitari, ecc.), ma basta
questo per rendere preoccupante tale processo in polemica contraddizione che appare inarrestabile, governato dalle burocrazie centrali e trascinato da un mercato del lavoro del personale scriteriato e
irrazionale.
Credo che non ci sia nulla da fare, se non studiare il fenomeno e “produrre” idee che possano essere utili ai futuri governanti,
nella speranza che ne nascano.
2.
Il profilo materiale
del dirigente
scolastico e la sua
evoluzione
103
Il riconoscimento formale della dirigenza (DPR 165/01, art.
25) ha prodotto alcuni cambiamenti sostanziali nel ruolo e nelle
funzioni dei capi di istituto, che vanno interpretate alla luce delle
concrete situazioni in cui essi hanno interpretato questo ruolo, in
primo luogo l’autonomia organizzativa e didattica delle scuole.
Una riflessione sulla dirigenza delle scuole in regime di autonomia non può limitarsi all’approfondimento del profilo del capo di
istituto riscritto in funzione del conferimento della qualifica diriCONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
genziale (D.P.R. 165/01 art. 25). Essa deve tentare di procedere
oltre sul piano dell’interpretazione di compiti di cui il profilo enuncia l’aspetto puramente formale, che a sua volta viene sostanziato
con atti, decisioni, relazioni, comportamenti, a partire da quelli relativi al più importante compito, precisato in apertura del testo normativo: “Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell’istituzione”.
Per la verità, nei fatti, questa funzione – come, del resto, le
altre descritte nel profilo – è nata prima dell’autonomia: la sua definizione e identificazione, come ben sa chi è stato dentro la scuola,
hanno attraversato gli ultimi due decenni in modo via via più visibile (all’interno di quel fenomeno di “criptoautonomia”, evidenziato in una ricerca Censis). Vale la pena ricordare in sintesi il senso
di un processo che, se ha il suo punto focale nell’avvio dell’autonomia e nel conferimento della qualifica dirigenziale ai capi di istituto, è nato molto tempo prima ed è tuttora in corso.
Le trasformazioni più evidenti del ruolo “in situazione” dei
capi di istituto, negli ultimi due decenni, sono costituite da tre fasi
che hanno fortemente investito le scuole e lo svolgimento della loro
missione di istruzione.
1. La prima fase è stata caratterizzata dall’esigenza di affrontare il grande sviluppo della domanda di istruzione, che è durata
fino alla seconda metà degli anni Ottanta, e di dare ad essa una risposta in termini di efficienza, di organizzazione di base adeguata
alle esigenze della “quantità”.
2. La seconda fase, connessa al bisogno di una riforma strutturale degli ordinamenti e dei corsi di studio, per adeguare le conoscenze degli studenti ai nuovi saperi e all’uso delle nuove tecnologie,
e per qualificare l’insegnamento in funzione di un migliore apprendimento degli alunni, ha occupato almeno tutto il decennio successivo. In questa fase, l’azione direttiva ha puntato prevalentemente
sul cambiamento dei curricoli e delle metodologie didattiche, sia per
effetto di nuove disposizioni normative (scuola elementare e media)
sia delle sperimentazioni “assistite” (scuola secondaria di II grado).
3. La terza fase, iniziata da quasi due lustri, e tuttora in corso,
è centrata sulla riforma dell’autonomia delle scuole ed è connotata
da un diffuso sviluppo delle progettualità a livello della singola istituzione scolastica, anche in relazione a nuove importanti esigenze
che, per fare solo qualche esempio, vanno dall’inserimento di un
numero sempre maggiore di bambini e ragazzi di origine straniera,
ad un rapporto più intenso con il territorio per caratterizzare l’offerta di formazione, al contrasto della dispersione e dell’abbandono,
alla gestione delle iniziative di alternanza scuola-lavoro, all’avvio e
consolidamento delle iniziative di formazione continua per gli adulti. Tutto quanto, insomma, dovrebbe essere scritto nel Piano dell’offerta formativa.
104
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Di fronte a queste trasformazioni, sono via via mutate anche
le funzioni e il ruolo del capo di istituto come, del resto, dei docenti.
L’assunzione del ruolo dirigenziale, realizzato con l’avvio
formale dell’autonomia delle scuole è stato dunque l’aspetto più
visibile di un processo già da tempo in atto nel quale le funzioni
reali sono state rifondate su nuove basi giuridiche, culturali e professionali.
L’elemento più visibile del cambiamento di ruolo del capo di
istituto consiste essenzialmente nell’incremento delle responsabilità, non solo di gestione dell’istituzione scolastica, ma soprattutto di governo dell’insieme di strategie e di azioni che definiscono
l’offerta di formazione, la sua organizzazione in rapporto ai bisogni molteplici, diversi e complessi degli utenti delle scuole, anche
rispetto al contesto sociale ed economico in cui le scuole stesse
operano.
In sostanza, le funzioni fondamentali del dirigente scolastico
assumono il carattere di una forte imprenditorialità su molteplici
versanti. In particolare su quelli che incidono più profondamente
nella missione della scuola rispetto ai compiti di istruzione e di educazione degli allievi, in una società sempre più complessa, disorientata di fronte ai grandi problemi di oggi.
3.
Le funzioni
fondamentali
del profilo
105
Nel guidare la scuola per lo svolgimento di tali compiti, l’iniziativa del dirigente è tanto più incisiva, per un buono sviluppo
della scuola, quanto più è condivisa nelle decisioni e nei comportamenti dei singoli, fatta oggetto, quindi, di partecipazione effettiva da
parte delle altre componenti, soprattutto dai docenti.
Dirigere le scuole, infatti, è oggi funzione assai complessa perché implica un governo forte del sistema di interazioni interne, alla
base di molte decisioni che devono essere assunte collegialmente.
Inoltre, l’incremento dei compiti e delle responsabilità delle scuole
conseguente all’autonomia ha comportato anche delle modificazioni
notevoli dell’organizzazione, con un aumento sensibile delle funzioni intermedie svolte dai docenti, con cui occorre una condivisione
della leadership da parte del capo di istituto. Condividere nel senso
etimologico di “dividere con altri”, “far parte ad altri”.
La prospettiva ed i campi di azione in cui maggiormente si sta
concretizzando la direzione delle scuole in regime autonomistico,
alla luce dell’esperienza degli anni di sperimentazione nei fatti,
prima, e di applicazione dell’autonomia, poi, vanno fondamentalmente ricondotte ai seguenti campi.
1. La promozione delle strategie formative e del loro rinnovamento relativamente ai curricoli ed alle attività ad essi collaterali,
non solo nella parte cosiddetta locale (ora attestata sul 15% del
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
monte ore annuale) ma soprattutto in quella comune, su base nazionale, che non è più definita dall’alto in termini di contenuti da
insegnare, ma di obiettivi formativi da raggiungere: in tal senso occorre, infatti, realizzare un lavoro complesso di progettazione e programmazione delle attività di insegnamento/apprendimento. In tale
ambito si collocano la lotta contro la dispersione, l’orientamento, la
promozione delle eccellenze, etc.
2. La guida dell’ambiente formativo, inteso come “luogo” –
non solo spazio fisico, ma ambito culturale, contesto – al quale vanno riferiti i valori educativi comuni che danno senso all’attività professionale dei docenti e degli altri operatori. In questa dimensione
dell’attività di direzione trovano spazio le iniziative e le strategie
volte all’arricchimento, alla formazione e allo sviluppo professionale dei docenti e del restante personale, all’informazione diffusa, alla
gestione del clima di scuola e di classe, delle modalità di interazione
e collaborazione fra gli operatori, di riconoscimento reciproco delle
diverse responsabilità e dei molteplici ruoli rivestiti. L’ambiente formativo è il vero motore della progettualità scolastica anche perché
esso comprende la ricerca didattico-disciplinare come momento fondante della progettazione e gestione dei curricoli; esso include, inoltre, le riflessioni per lo sviluppo della scuola finalizzato alla realizzazione di un servizio alla comunità locale sempre più adeguato.
3. Questo è anche il “luogo” dove è più difficile l’azione di
guida del capo di istituto, il quale, in tale ambito, non potendo imporre nulla è però in qualche modo il promotore di tutto. Autorevolezza, determinazione, decisione, capacità di convincimento sono
le doti necessarie; qui si coniugano tre metacompetenze indispensabili per questo mestiere: 1) una buona cultura professionale; 2)
visione; 3) senso di una forte leadership.
4. La guida dell’apparato organizzativo della scuola, che con
l’autonomia ha visto anche un notevole sviluppo delle funzioni intermedie, a vari livelli di responsabilità, sia per la gestione delle iniziative stabilite nel Piano dell’offerta formativa, sia per il coordinamento dei gruppi di lavoro (dipartimenti, consigli di classe, commissioni di lavoro), sia, ancora, nei rapporti con l’esterno (mondo
del lavoro, comunità locali, associazioni, etc.). L’attività di tali funzioni va sostenuta, orientata, razionalizzata, monitorata, rimodellata rispetto ad esigenze via via insorgenti, poiché diversamente esse
inaridiscono perdendo utilità e valore. Appartengono a questo ambito di attività anche le funzioni amministrative in materia di gestione del programma annuale e delle risorse finanziarie. Inoltre, in
esso si collocano anche funzioni assai importanti sul piano formale
proprie del dirigente scolastico in materia di sicurezza, privacy, ed
altre; funzioni che stanno diventando sempre più assorbenti ed ingombranti, con grave danno per altre funzioni, meno cogenti sul
piano formale eppure più vitali per la missione della scuola.
106
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
5. La promozione di processi autovalutativi, correlati alla valutazione di sistema e reinterpretati ai fini della riprogettazione
delle strategie e dei curricoli formativi. Non v’è dubbio che sia questo il campo di azione, allo stato attuale, più indefinito e incerto per
i ritardi culturali ed operativi che caratterizzano il sistema scolastico italiano su questo specifico versante.
Il campo di riferimento dell’azione del dirigente sommariamente presentato occupa dunque l’intero ambito del Piano dell’offerta formativa, senza neppure esaurirsi in esso. Infatti, l’elaborazione del POF ha (o dovrebbe avere) un carattere fondativo dell’organizzazione scolastica in regime autonomistico. Nel quadro dei
suoi obiettivi, seppur con diversi livelli di responsabilità e con ruoli
differenti, si muove l’intera comunità di operatori: dirigente, docenti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario. In un certo senso,
dunque, la centralità del POF, l’insieme delle strategie e delle azioni connesse con la sua attuazione rendono meno “gerarchico” il
ruolo del capo di istituto come dirigente di quanto lo fosse prima
come direttivo, cioè come funzionario interprete ed esecutore della
volontà dell’amministrazione scolastica. Meno gerarchico eppure
notevolmente più importante rispetto all’influenza e alla determinazione delle strategie della scuola, del comportamento professionale
degli operatori, dell’azione della scuola in ambito territoriale. Su
queste basi si fonda una prospettiva chiara di ricerca sulla managerialità scolastica, al di là delle pur indispensabili, ma forzatamente
generiche, indicazioni di profilo disegnato sul piano normativo, sia
per il dirigente sia per le altre figure.
4.
Dirigere come e a
quali condizioni?
107
Ci si chiederà quanti dirigenti scolastici sono preparati allo
svolgimento di questi compiti e li svolgono effettivamente. La domanda non solo non è oziosa ma è anche pienamente legittima. Tuttavia essa va fatta senza alcuna retrointenzione maliziosa e insieme
ad altre due domande che le sono strettamente coordinate; diversamente il ragionamento sarebbe incompleto.
Bisogna ora chiedersi se il sistema si è mosso coerentemente
per creare le condizioni per il pieno svolgimento di tali funzioni. In
sostanza:
– quali strumenti ha a disposizione il dirigente scolastico, secondo
la normativa vigente, perché egli possa svolgere al meglio i compiti che sono stati sommariamente descritti?
– quale politica di indirizzo, di supporto e di formazione in questa
direzione svolge il sovrasistema nei confronti dei dirigenti scolastici?
Il tema degli strumenti di direzione delle scuole, com’è noto,
rappresenta in Italia una questione di primario rilievo nel dibattito
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
sul ruolo del dirigente scolastico in regime di autonomia. La norma
ne evoca l’esistenza senza enunciarne espressamente i contenuti
(art. 25, D. Lgs 165/O1) affermando, assai timidamente, che “nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al
dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento
e di valorizzazione delle risorse umane”, quindi nel cuore della vita
della scuola. Quali poteri, viene da chiedersi; posto che la norma
non dice altro? A coloro che, come chi scrive, hanno esercitato il mestiere per lungo tempo seguendo le evoluzioni del ruolo (o anche, nel
piccolo, cercando di anticiparle) viene da rispondere in un modo
solo: tutti e nessuno. Tutti, nel senso che per un dirigente con una
forte leadership, buona visione delle cose, grande capacità di coinvolgimento e di influenzamento, cultura professionale aggiornata,
senso della decisione, il “potere di direzione, coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane”, richiamato dalla norma, consegue
in modo apparentemente naturale, anche se in realtà è il frutto di un
investimento faticoso di autoformazione nell’esercizio del mestiere.
A sostegno di queste funzioni, in concreto non sembrano esserci nessuno strumento e nessun potere. O meglio, gli strumenti
sono del tutto “immateriali” e del tutto inscritti solo nella personalità del dirigente. A partire da quel potere di iniziativa e di proposta
che è diventato lo strumento principe, nel senso in cui s’è detto,
della funzione.
È anche vero che, in genere, il contesto scolastico rende possibile l’esplicazione di questi poteri, anzi in qualche modo la esige,
ne pretende l’esistenza come un bisogno vitale per l’identità e per la
stessa sopravvivenza dell’istituzione.
Non c’è scuola con molti docenti bravi o bravissimi, che credono effettivamente nella missione unitaria del loro lavoro, in cui
essi abbiano la pretesa di autogovernarsi, o che vorrebbero un dirigente debole piuttosto che un dirigente forte. Non c’è scuola in cui
gli organi collegiali, anche quelli che funzionano nel modo migliore,
possano o vogliano supplire alla mancanza di un dirigente adeguato. Ma la verità/paradosso è questa: quelle scuole, in genere, hanno
già un dirigente forte e preparato!
Ciò significa che nella scuola c’è un rapporto di causalità, non
deterministica ma altamente probabilistica, fra un dirigente capace
ed autorevole e docenti preparati e coinvolti nella sua missione. Ma
se è così, non sarebbe il caso di immaginare l’attribuzione ai dirigenti di qualche strumento concreto perché il potere di iniziativa e
di proposta, di orientamento e di persuasione, di guida e di supporto possa sostanziarsi in una linea di direzione meno precaria ed instabile di quella oggi praticabile, dei cui effetti i dirigenti rispondano e sulla quale siano valutati? Quali strumenti? Ne cito tre che mi
sembrano essenziali. Si potrebbero fare, a questo proposito, alcuni
esempi:
108
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
– un potere di scelta, anche non assoluto ma diretto, delle figure professionali che operano nell’orizzonte della gestione del POF. Tale
potere potrebbe consentire di uscire dall’attuale pasticcio di latente contrapposizione dei poteri fra dirigente e collegio dei docenti, che mentre confina i collaboratori del dirigente in una sorta
di “riserva indiana” non dà alle altre figure intermedie (funzioni
strumentali) la visibilità e l’accreditamento professionale che invece meriterebbero.
– un potere di gestione autonoma dell’organico funzionale del personale, indispensabile per predisporre l’offerta di formazione in condizioni di autonomia didattica effettiva e non nominale, come in
buona parte è ora, e per rendere meno burocratica e più finalizzata al servizio l’attività professionale dei docenti.
– un potere di valutazione, anche condiviso con altri soggetti, delle
prestazioni professionali degli operatori. La valutazione del dirigente permetterebbe di dare agli operatori, in particolare ai docenti, quei segnali di senso rispetto al loro lavoro che sono alla
base di qualunque ipotesi di miglioramento qualitativo per un lavoro ad un tempo così impegnativo e privo di “ritorni” diretti
quale è quello dei docenti. È una pratica che applicata agli studenti prende nome di “valutazione formativa”.
Ora, per venire alla seconda domanda (quale politica di indirizzo e supporto svolge il sovrasistema nei confronti dei dirigenti
scolastici), il problema è questo: un’impostazione siffatta, che mentre assegna al dirigente responsabilità elevate gli riconosce solo un
potere alquanto astratto, anche se non puramente virtuale, di proposta, di iniziativa, di orientamento alla decisione rispetto a moltissime materie (forse, quasi tutte), ma priva il dirigente stesso di strumenti concreti di decisione e di gestione, esigerebbe anche una politica molto esplicita di valorizzazione delle risorse professionali, di
accreditamento, di coinvolgimento nei riguardi degli obiettivi più
generali di sistema perché le persone possano crescere.
Possiamo tranquillamente affermare che le cose non sono
propriamente orientate in questa direzione. Anzi, è difficile capire
che cosa l’amministrazione scolastica da qualche anno a questa
parte chieda ai dirigenti scolastici; l’impressione che si percepisce,
dopo il grande investimento di risorse anche finanziarie effettuato
per i corsi di formazione per la qualifica dirigenziale, è che, a seconda delle materie, prevalga la politica dell’abbandono o della delega a svolgere compiti non graditi, in nome dell’autonomia e, insieme, del richiamo coatto alle antiche funzioni di dipendenza funzionariale attraverso infiniti artifici di controllo formale e procedurale. Dirò di più:
L’impressione è che all’amministrazione, nel suo complesso di
apparato che si autoriproduce per compiti che molto spesso non
sono di servizio ma di semplice passaggio delle pratiche, l’esistenza
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
di dirigenti scolastici molto autonomi e molto preparati, o dotati di
maggiori poteri (soprattutto in materia di gestione del personale), in
fondo dia assai fastidio, perché essi ne diminuiscono di fatto il
ruolo.
È difficile astenersi dal fare una semplice osservazione: l’attribuzione alle scuole dell’istruttoria delle pratiche di pensione del
personale, l’attribuzione al dirigente delle responsabilità proprie del
datore di lavoro in materia di sicurezza e la contestuale negazione
di strumenti indispensabili di governo non solo nella scelta ma
anche nella gestione del personale docente e non, sono il segno
della clamorosa confusione che sì è volutamente generata fra decentramento e autonomia per circoscrivere i confini. di quest’ultima
in un territorio asettico, non più strategico per il sistema di istruzione, al fine di poter esercitare le stesse funzioni di prima in termini di controllo gerarchico. Un’intera enciclopedia ormai potrebbe
essere scritta sul tema dell’autonomia tradita!
Analogamente, anche la dirigenza scolastica, dall’amministrazione, è stata elevata ad un rango inferiore. Priva, di per sé, di uno
specifico contenuto specialistico di settore (che è proprio di tutte le
dirigenze tecniche), nonché di quella esclusiva componente della
competenza amministrativa – che nella cultura diffusa della nostra
amministrazione costituisce per antonomasia “il” sapere proprio ed
unico, quasi sacrale, per l’idoneità alla funzione dirigenziale, marginalizzando il valore di altri saperi e di altre competenze – la dirigenza scolastica, nell’opinione corrente all’interno dell’amministrazione, continua a essere considerata come figlia di un dio minore, ad
onta di quella specificità che la identifica e che è un insieme ad
ampio spettro di saperi educativi, cultura organizzativa, competenze relazionali e di leadership, abilità strategiche, capacità di coordinamento di situazioni complesse e fortemente diversificate, gestione
di squilibri sempre insorgenti. Una dirigenza che ha la sua caratteristica propria in un ossimoro: la “specializzazione del generale”.
Probabilmente anche i dirigenti scolastici si sono resi responsabili di questa forzata diminutio del loro ruolo dirigenziale per la
modesta forza di accreditamento di sé come categoria che è capace
di interpretare originalmente l’esigenza di una cultura manageriale
nella scuola e di tradurla nel perseguimento degli obiettivi dell’istituzione. In questo senso, sarebbe stato più opportuno per la categoria, ad esempio, accettare da subito o addirittura forzare i tempi
di messa in onda della valutazione dopo la stipula del primo contratto della dirigenza scolastica, anziché limitarsi a guardare la sua
applicazione confinata nel limbo dell’attuale sperimentazione, abbastanza discutibile per come è costruita. Accettare la valutazione,
per sottrarsi al rischio, sempre incombente in particolare per chi
svolge funzioni apicali, dell’autoreferenzialità, ponendo due sole
condizioni, assolutamente dirimenti e del tutto ragionevoli: che gli
110
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
interlocutori (i valutatori di prima istanza) siano all’altezza del
compito e che le regole del gioco siano chiare evitando le ridondanze e le inutili produzioni cartacee. La sperimentazione finora attuata ha invece dimostrato un notevole vuoto di competenza rispetto
alla prima condizione ed una scarsa chiarezza di idee rispetto alla
seconda.
5.
Qualche indicazione
di prospettiva
111
Se così è, e se questa è la direzione verso cui dovrebbe procedere una dirigenza scolastica ampiamente all’altezza dei compiti,
quali possono essere gli strumenti utili per innalzare la soglia delle
competenze, la capacità di leadership, la capacità di indurre azioni
e iniziative che qualificano il servizio, da parte di un numero sempre maggiore di capi di istituto? Ne indico tre, al di là di quanto già
osservato sulla valutazione, presentandoli per sommi capi.
1. Un reclutamento ed una formazione di base coerenti con
queste premesse. La politica di reclutamento dei dirigenti scolastici
è stata negli ultimi quindici anni a dir poco dissennata. Ora sembra
che si voglia porre riparo, tra l’altro mettendo fine all’istituto degli
incarichi che è stato portatore di precariato, costantemente da sanare ex post. Non sarà inutile ricordare che il turn over nei prossimi anni è destinato a crescere per un fenomeno di invecchiamento
costante della categoria, la cui età media, rispetto ai dati del 2002,
sarebbe oggi di 58 anni.
2. Una formazione in servizio dei dirigenti che valorizzi competenze professionali interne al sistema e favorisca sinergie con l’esterno portatrici di potenzialità di sviluppo. Ricordo che all’inizio
degli anni ’90 era stata avviata dal Ministero, su proposta dell’ANP
e d’intesa con Confindustria ed altri soggetti, una iniziativa di “formazione fra pari”, guidata attraverso strumenti multimediali, che ha
riscosso in tutta Italia un grande successo; altre iniziative analoghe
messe in cantiere, sempre negli anni ’90, dalle stesse direzioni generali del Ministero, dalle università o da agenzie di formazione con
il coinvolgimento diretto di dirigenti scolastici esperti e formatori,
non sono state meno importanti. Quello che è seguito, in questi ultimi anni, è stata cosa di gran lunga più modesta e assai poco incisiva.
Favorire la creazione di reti di collaborazione su specifici progetti, in cui sia anche possibile attuare una sorta di “competizione
virtuosa” fra i partecipanti. In genere le esperienze avviate in questa direzione, spesso su iniziativa delle unioni industriali locali, delle singole scuole, degli enti locali, delle Camere di commercio hanno
dato esiti interessanti oltre che per il “prodotto”, anche per i benefici diretti del processo, tra cui l’apprendimento a fare cose nuove.
L’apprendimento migliore che si realizza in un lungo percorso di laCONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
voro come dirigente scolastico è quello che avviene tramite i colleghi più bravi.
Il tutto insieme con la proposizione di modelli, riferimenti accessibili, luoghi di consulenza e di confronto. Siamo sicuri che la
soppressione, nell’autunno del 2001, dei costituendi Centri intermedi di servizio, che avrebbero ereditato l’esperienza di strutture di
supporto all’autonomia sorte nel periodo precedente, e il mantenimento dei provveditorati agli studi, ancorché figurativamente depotenziati ribattezzati in CSA, sia stata una scelta intelligente? Credo
che sussistano molti dubbi al riguardo.
Ciò che più conta ora, dunque, sarebbe di avviare una politica che indichi una linea stabile, chiara, propositiva di indirizzo da
parte del Ministero e delle direzioni regionali, linea che, tra l’altro,
essi avrebbero da perseguire proprio rispetto a compiti di indirizzo
generale che, per quanto si legge nelle disposizioni di riforma della
pubblica amministrazione, sono stati identificati, per essi stessi,
come la funzione principe.
6.
Proposte operative
112
Il vero problema della scuola italiana è di ricostruire all’interno
di una struttura e di una organizzazione formalmente autonoma l’altra faccia di tale importante attributo, cioè la responsabilità. Essa non
può essere affidata né ad organismi collegiali né alla disponibilità
“morale” degli attori della scuola. La responsabilità deve essere personale. La fonte di tale responsabilità è il dirigente che deve farsene
carico assieme alla rivendicazione di adeguati poteri di decisione.
La rivendicazione da parte del dirigente di potere decisionale in
un contesto come la scuola, segnato da ampie zone di “libertà” professionale, che non vanno confuse con l’indipendenza, deve superare
formidabili ostacoli di natura culturale, che fanno parte del retaggio
storico di tutte le organizzazioni burocratiche, in primis quelle statali. Eppure senza questa “rivoluzione” l’autonomia della scuole risulta
vuota e, alla fine, alla scuola viene a mancare proprio lo strumento
educativo più efficace, cioè: rispondere a qualcuno dei propri atti.
Il primo passo di questa “rivoluzione” è il cambiamento radicale del sistema di reclutamento, da cui dipende la continuità o la
discontinuità tra la cultura dell’adempimento e quella del progetto,
della leadership, della condivisione e della valutazione del proprio
operato.
Tutte le altre proposte operative trovano senso se già al momento del reclutamento il futuro dirigente ha la percezione precisa
del “rischio” che l’esercizio della professione dirigenziale comporta.
Il reclutamento va rivisto dalle fondamenta. Nella fretta di
attribuire la “dirigenza” formale ai presidi e ai direttori didattici,
non si è avuto il tempo di riflettere sul profilo professione e sugli
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
strumenti che erano necessari per selezionare i dirigenti di una
scuola autonoma. L’attuale procedura selettiva è il frutto di una trasposizione meccanica delle procedure (anche di contenuti) del dirigente di un qualsiasi ufficio amministrativo. Se non bastasse, queste procedure convivono con la più tradizionale pratica dell’ope
legis, cioè dell’immissione in ruolo – con concorsi “riservati” – degli
incaricati di presidenza; insegnanti che, senza alcun vaglio che non
sia l’anzianità di servizio, assumono funzioni dirigenziali per un
certo periodo, anche un solo anno scolastico.
Il reclutamento deve avere le seguenti caratteristiche:
a) la fase concorsuale deve essere preceduta dall’acquisizione di un
diploma di master in management educativo, presso università
specializzate e accreditate. Il programma del master deve essere
ispirato a uno standard nazionale. La fase concorsuale vera e
propria deve essere centrata sull’esercizio prolungato per almeno due anni scolastici della funzione di vice-dirigente scolastico
(praticantato) sostenuto da un tutore o mentore, e concludersi
con un esame-colloquio, in cui l’aspirante discute l’attività svolta. Alla commissione partecipa anche il tutore del praticantato e
si avvale, per il giudizio finale, della valutazione dei diversi attori della scuola, in cui l’aspirante ha svolto la sua funzione. Il
superamento degli esami dà accesso all’albo degli idonei alla
funzione dirigenziale ovvero di vice;
b) le scuole – i consigli di istituto – debbono avere un ruolo nell’assunzione del dirigente della scuola, attraverso l’istituto della
“chiamata” nominativa dall’albo degli idonei, oppure attraverso
il “gradimento” del nuovo arrivato, che dovrebbe essere sottoposto ad un “esame” del suo curricolo (ovvero del portfolio), del
suo programma di gestione, delle motivazioni che lo spingono ad
assumere l’incarico;
c) l’incarico assunto dai dirigenti scolastici deve essere temporaneo
(ad esempio, quinquennale) e rinnovato una sola volta. Una
volta conclusa la sua “missione” nella scuola, il dirigente deve
essere assegnato o “chiamato” in altra scuola;
d) i consigli di istituto debbono avere la parola per quanto riguarda
la qualità della direzione della scuola, e partecipare quindi alla
valutazione del proprio dirigente.
Infine, il presupposto di una vera selezione è la elaborazione di accurati Standard della funzione direzionale della scuola (compresi quelli relativi alle figure di collaborazione ovvero “di sistema”).
Gli standard, opportunamente aggiornati sulla base di una ricerca
sul campo e di una osservazione sistematica delle funzioni effettivamente svolte dai dirigenti delle scuole migliori, possono funzionare
anche come guida all’auto-aggiornamento dei dirigenti e ispirare i
piani di formazione sia iniziale che in servizio degli stessi.
113
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Un profilo di carriera, collegata alla definizione della carriera degli insegnanti, dando la possibilità ai dirigenti di progettare
il loro sviluppo professionale – per merito – attraverso la mobilità
professionale (funzioni ispettive, di consulenza, di ricerca, di formazione, ecc.) e la possibilità di fare esperienze – anche temporanee – in altre amministrazioni o enti pubblici e privati.
Vanno estesi i poteri del dirigente. In stretta connessione con
l’auspicata definizione dello stato giuridico e della carriera degli insegnanti, il dirigente di una scuola autonoma deve avere poteri chiari,
ancorché condivisi, in merito ai seguenti settori fondamentali:
– la valutazione del personale, sia docente che amministrativo ed
ausiliario. Il potere di valutazione potrebbe essere condiviso con
alcuni docenti, ma è un passaggio necessario per ricostruire la dimensione della responsabilità all’interno dell’istituto, oltre ad essere il presupposto per rendere credibile la valutazione del dirigente stesso;
– la definizione e l’attribuzione degli incarichi al personale per il
raggiungimento degli obiettivi del piano dell’offerta formativa.
Anche in questo caso va superato il modello “autogestionario” ed
assemblearistico, eredità degli anni ’70, e va introdotto un modello più coerente con l’autonomia e la responsabilità della scuola;
– il reclutamento del personale. Il dirigente scolastico deve avere un
ruolo – anche se non esclusivo – nel reclutamento sia del personale immesso in ruolo che dei supplenti, attraverso forme di “gradimento” e di “conferma” motivati, che potrebbero essere sottoposte al vaglio del Consiglio di istituto;
– la disciplina del personale deve essere attribuita in massima parte
alla competenza del dirigente, secondo il modello privatistico, e
fatta salva la garanzia della conciliazione obbligatoria e del ricorso al giudice del lavoro per dirimere gli eventuali conflitti. La gestione della scuola non può prescindere dal rispetto rigoroso delle
regole dell’esercizio delle funzioni che vi si svolgono, le stesse regole il cui rispetto si pretende dagli allievi.
Solo in tal modo si potrà trovare coerenza tra l’autonomia dell’istituto e l’ambito di responsabilità del dirigente “per i risultati”
come afferma la legge.
Una formazione continua e sistematica. I dirigenti, dopo il
loro ingresso in ruolo, trovano quasi il vuoto. Proprio per effetto di
una interpretazione dell’autonomia come “abbandono” (il messaggio ai nuovi dirigenti è sempre più spesso questo: “adesso dovete arrangiarvi”), è urgente che si rinunci a un modello di aggiornamento
come trasmissione passiva delle “novità” legislative o amministrative che vengono dall’alto, ma si affronti il problema con un respiro e
una sistematicità adeguata alle sfide del cambiamento, con attenzione a tre momenti strategici per lo sviluppo professionale dei diri-
114
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
genti: a) l’ingresso nella funzione, b) l’esercizio della stessa e, infine, c) il passaggio alla pensione. Quest’ultimo non dovrebbe essere
così brusco come accade oggi: troppe competenze ed esperienze preziosissime per i dirigenti più giovani vengono disperse in una visione della carriera tipicamente impiegatizia. Vanno quindi cercate
sedi e occasioni di formazione continua strettamente legate alle condizioni e ai problemi (studio di casi, soluzione di problemi, diffusione di pratiche, ecc.) che nascono nell’esercizio della funzione,
con l’utilizzazione di tutor, presidi in via di pensionamento in un
continuo confronto tra pari.
Infine, in un contesto organizzativo e culturale in continua
evoluzione, è indispensabile che l’amministrazione impegni consistenti risorse nella ricerca sulla organizzazione scolastica e sul funzionamento del sistema, non solo per sostenere le decisioni pubbliche e gli adeguamenti normativi, ma soprattutto per fornire continui
stimoli alla riflessione e all’iniziativa dei dirigenti.
115
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Innovazione
gestionale,
amministrativa
e organizzativa
Fonti principali
Note
1.
Aggiornamento
del personale docente
CCNL 1999
Definitivamente uscito dagli “obblighi” o doveri degli
insegnanti con il contratto collettivo del 1999.
L’aggiornamento è diventata sostanzialmente una scelta
del tutto personale e volontaria degli insegnanti. D’altra
parte, l’amministrazione – per l’aggiornamento dei suoi
dipendenti – spende dieci volte meno del ministero
dell’interno (vedi 3Ellle, Q. 4). Oggi l’aggiornamento è
diventato uno strumento di pura “propaganda” delle
riforme di turno, non una dimensione “normale” della
crescita professionale dei docenti.
2.
Autonomia finanziaria
delle scuole
Mai prevista
dalla legge
(art. 21, l. 59/97)
Le scuole oggi controllano meno dell’1% dell’intera
spesa dell’istruzione. E questo 1% è in parte
vincolato da rigidi criteri nazionali. Anche quando la
Finanziaria 2007 trasferisce ingenti risorse finanziarie
alle scuole (e fa bene), ben si guarda da liberarle
dalle maglie strettissime dei criteri di spesa, per cui le
risorse cambiano sede (dal Miur alla scuola) ma non
modalità di gestione: e la spesa aumenterà ancora.
3. Decentramento “politico” D.lg. 112/98 e
(enti territoriali)
Cost. art.118.
D.lg. 226/05, art.28,
comma 4.
4.
5.
Decentramento
amministrativo
D.lg. 112/98,
art.icoli 135-147
Riforma del Miur L.59/97 D.lgs 300/99;
DPR 347/00;
DPR 477/99;
DPR 319/03.
116
Tentativo di Bassanini fallito e sepolto dall’attuale
conferenza Stato-Regioni. Si era arrivati a una
formulazione avanzata con l’approvazione
dell’articolo 28 (comma 4) del D.lgs 226/05, che
trasferiva tutte le risorse finanziarie e di personale
alle Regioni e agli enti territoriali. Il testo
dell’articolo, scritto sotto dettatura dalla Moratti, è
poi stato respinto dalle stesse regioni che lo avevano
imposto. Fioroni non ha intenzione di riprenderlo e
si avvia a correggere questa parte del D.lg. 226/05.
Il decentramento amministrativo progettato da
Bassanini (D.lg. 112/98, art.139, comma 2, lett. a))
non ha avuto seguito nel senso che sono state
trasferite (a comuni, province e regioni) ampie
competenze, ma non le risorse, soprattutto per quanto
si riferisce al personale. Quindi la funzione strategica
(la “politica scolastica”) è delle Regioni ma resta
separata da quella amministrativa, che è saldamente
in mano agli uffici centrali e periferici del Miur (e
tutti sanno che “decide chi paga”). Nella confusione
generale, nessuno fa scelte strategiche e tutti si
occupano di amministrare il personale, il Ministero
per vocazione, gli enti locali per impotenza.
I decreti (DPR) sulla riforma del Miur non si
contano dal 1999 al 2004.
Tutti comunque si muovono in senso inverso alla
legge istitutiva (l.59/97) e a quella che doveva essere
una struttura moderna di gestione di un sistema
basato sulle autonomie locali e sull’autonomia delle
scuole. Il Ministero è oggi più burocratico, più
esteso, più potente. Basti pensare che dalle 7
direzioni generali del 1998 è passato alle attuali 30.
Inoltre la prevista soppressione dei provveditorati
(trasformati in CSA) è stata interrotta. Oggi
possiamo dire che i provveditorati sono stati
completamente restaurati con Fioroni, con i Centri
amministrativi provinciali.
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Innovazione
gestionale,
amministrativa
e organizzativa
Fonti principali
Note
6.
Bilancio del Miur
(efficienza dell’uso
delle risorse finanziarie)
7.
Esternalizzazione
dei servizi di pulizia
e di vigilanza
8.
Controllo: estinzione
della funzione ispettiva
9.
Ricerca: fine degli
istituti di ricerca
Finanziaria 2007
La vicenda (troppo chiamarla “riforma”) si chiude
con la soppressione sostanziale degli IRRE (prima
IRRSAE), vicenda iniziata con i centri didattici di
Bottai (1940). La scuola e gli insegnanti restano soli
davanti ai loro problemi quotidiani. Ma la ricerca non
è considerata come una dimensione sostanziale della
professionalizzazione del mestiere. L’università (e il suo
ministero) – forse definitivamente – si separa dalla
scuola come fosse un oggetto estraneo. Così la scuola
resta senza ricerca e l’Università senza didattica.
10.
Obbligo o
“diritto dovere”
L.53/03,
Finanziaria 2007
Siamo fermi alle discussioni ideologiche degli anni
’70. Berliguer impone l’obbligo fino a 15 anni, la
Moratti lo trasforma in “diritto dovere” fino a 18,
Fioroni torna (con la finanziaria 2007) all’obbligo
ma lo chiama “di istruzione”. Oggi il sistema
scolastico vive quindi con tre “obblighi”: a) obbligo
scolastico fino alla terza media, b) obbligo
all’istruzione fino ai 16 anni; c) diritto dovere dai
16 ai 18 anni. Il percorso di istruzione, soprattutto
per i ragazzi e per le famiglie meno abbienti e
culturalmente deprivate, diventa una giungla di
norme e di “offerte”. Quanto di peggio si poteva fare
per recuperare alla scolarità un pezzo consistente
della gioventù, compresa quella degli immigrati. A
mio parere, uno degli episodi peggiori della politica
scolastica da mezzo secolo in qua.
11.
Organi collegiali
di istituto
117
Nonostante le numerose promesse di questi ultimi
anni, il bilancio ha raggiunto nel 2006 (consuntivo
stimato) il rapporto più alto (97%) tra spese per il
personale e altre spese di tutto il dopoguerra. Ciò
significa che tutte le funzioni non amministrative
(ricerca, formazione, investimenti, innovazione, ecc.)
sono state gradualmente estinte.
L 449/97, art. 40
Norma del 1997, applicata solo in parte, ma
conclusasi con la “statalizzazione” dei bidelli. Oggi
di esternalizzare i servizi non parla più nessuno.
L’organico degli ispettori, in 15 anni, è passato da
1.000 unità a poco più di 200, tutti in via di
estinzione (pensionamento). Sembra che la scuola
non abbia bisogno né di consulenti né di supporti
tecnici. Il rapporto tra le burocrazie centrali
(amministrazione, sindacati, politici) si è fatto più
ravvicinato e non è più mediato da un corpo
professionale forte e competente. Anche per questo
motivo gli insegnanti – come professionisti – sono
diventati più dipendenti di prima.
Numerose proposte Sempre arenatesi in sede di commissione o di
di legge dal
comitato ristretto. Nessuno vuole scogliere il nodo
1996 ad oggi
del collegio dei docenti, come organo di autogestione
delle scuole (il cosiddetto “modello jugoslavo”)
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Innovazione
gestionale,
amministrativa
e organizzativa
Fonti principali
Note
12.
Organi collegiali
territoriali
DPR, 190/01,
D.lgs 233/99;
L.137/02
Riforma tentata da Berlinguer, poi dalla Moratti;
quest’ultima respinta dalla conferenza unificata
Stato-regioni e lasciata nel dimenticatoio. Tanto...
non cambia niente.
13.
Organo collegiale
nazionale: riforma del
Consiglio nazionale
della Pubblica Istruzione
Art.23
D.lgs 297/94,
D.lgs 233/99;
L.137/02
Idem come sopra. L’attuale CNPI (una speciale di
camera delle corporazioni) vive in perenne
“proprogatio” da parecchi anni.
14.
Reclutamento
dei docenti
Legge 124/99 e
successive
modificazioni e
integrazioni
La 124 doveva essere l’ultima legge di
“suoperamento del precariato” (così vengono titolate
le leggi sul reclutamento degli insegnanti) ed
invece è stata seguita da altre 4 leggi di modifica e
integrazione. E senza risolvere né il problema del
precariato né quello della selezione dei migliori
insegnanti. Pertanto oggi convivono senza nessun
ordine tre modi “di pari dignità” di assumere
insegnanti. A) per concorso; B) per anzianità e
conseguente corso abilitante di risarcimento; C) per
formazione universitaria (SSIS) finalizzata
all’abilitazione. Tutti gli aspiranti vengono versati
nella graduatoria, dove attendono il ruolo: oggi
hanno mediamente 39 anni di età.
15.
Formazione iniziale
degli insegnanti
D.lg. 227/05 e
finanziaria 2007
Dopo dieci anni di attesa e la sua istituzionalizzazione
nel 2001, sono partite le scuole universitarie di
formazione iniziale dei docenti (elementare e
secondaria). Il sistema, riformato dalla Moratti, oggi
vivacchia senza valutazione esterna di efficienza e di
efficacia. Peggio: gli insegnanti che concludono
positivamente questo percorso sono gettati nella
mischia della graduatoria permanete (sono il 3,7% dei
precari) in attesa del posto, senza alcun vantaggio e
nessun legame tra il titolo acquisito e l’assunzione in
ruolo. Per questo grave errore di progettazione, le
scuole di specializzazione sono diventate un mezzo
come un altro per “fare punti” al fine di scalare nella
graduatoria permanente (più di 200.000 aspiranti).
16.
Ruolo del capo di
istituto (il “Dirigente”)
17.
Sperimentazioni
118
È presto detto: oggi il capo di istituto ha meno
poteri e ambiti di discrezionalità di 10 anni fa. È una
delle prove oggettive che l’autonomia in Italia non è
nemmeno partita. Se si vuole una prova ulteriore
basti pensare che – dopo il conferimento della
qualifica dirigenziale – sono proseguite le pratiche di
assunzione “a sanatoria” anche dei dirigenti.
DPR 119/73,
Iniziate negli anni Settanta, oggi (abrogata la legge
art.276 D.lgs 297/94 che ne è all’origine) le sperimentazioni occupano
(abrogato)
stabilmente il paesaggio delle scuole secondarie
(2.600) come surrogato delle riforme. Mai valutate,
mai controllate, mai oggetto di un serio bilancio,
sono diventare la trincea di chi non vuol cambiare
gli ordinamenti, sapendo che ogni razionalizzazione
delle sperimentazioni darebbe un serio colpo agli
organici, oggi fuori controllo.
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Innovazione
gestionale,
amministrativa
e organizzativa
Fonti principali
Note
18.
Stato giuridico
degli insegnanti
Varie proposte
di legge
La discussione sul nuovo stato giuridico degli
insegnanti è iniziata con la presentazione (nel 2003) di
una proposta di legge del Centrodestra. Il niet del
Sindacato non solo ha depresso l’iniziativa parlamentare
della Destra, ma ha estinto ogni velleità in tal senso
anche del Centro sinistra. Il vero Stato giuridico degli
insegnati resta il Contratto. Gli insegnanti quindi hanno
un solo volto, quello del dipendente statale.
19.
Trasferimento dei
bidelli alle dipendenza
degli enti locali allo Stato
Legge 124/99
Uno degli impegni programmatici PCI+DC del 1978
(disegno di legge di riforma della scuola secondaria)
realizzato nel 2000, con un aumento di 42.000 di
personale ausiliario.
20.
Valutazione
degli insegnanti
Art.29 del CCNL
del 1999
21.
Valutazione dei
capi di istituto
CCNL dei
dirigenti scolastici
22.
Privatizzazione del
rapporto di lavoro del
personale della scuola
D.lg. 165/01
La privatizzazione del rapporto di lavoro – è
opinione comune di tutti gli specialisti – si è
trasformata in una “contrattualizzazione” totale di
tale rapporto, che è riuscita a sommare i vantaggio
dell’impiego pubblico (sicurezza, ecc.) con quelli del
privato (negoziazione, ecc.). la potenza del Sindacato
è ormai diventata un formidabile ostacolo
all’innovazione del sistema, poiché essa si basa su
una rappresentazione dell’insegnante come puro e
semplice “lavoratore” statale.
Invalsi
Faticosamente costituito con provvedimento Moratti,
esso è stato ridotto nella sua funzione di strumento
di valutazione dell’intero sistema strettamente
connesso alla valutazione di efficacia delle istituzioni
scolastiche autonome. Fioroni lo ha trasformato (solo
indagini a campione) in un istituzione culturale.
Anche questa è una prova che l’autonomia
(strettamente connessa alla responsabilità per i
risultati) in Italia non c’è.
Disegno di Legge
Fioroni
Si ripristina la commissione mista, ma con pochi
soldi, per cui alla fine a comporre la commissione
dovrebbero essere gli insegnanti dello stesso Comune
di servizio: un espediente apparentemente rigoroso,
ma demagogico. Non si cambia la scuola partendo
dalla fine (come ha sperimentato bene Berlinguer).
Né gli esami servono a minacciare riforme e severità,
se tale rigore non è presente nelle pratiche
quotidiane degli insegnanti. Comunque la spesa di
150 milioni di euro non è stata prevista nella
finanziaria 2007, per cui...
23. Valutazione di sistema
24.
Esami di maturità
119
Tentativo di Berlinguer fallito. Il discorso è
definitivamente chiuso per questa generazione di
insegnanti.
Tentato ma non ha avuto ancora alcun esito. La
finanziaria 2007 rinvia le proposte all’Istituto
nazionale di valutazione – fallimento delle
competenze della direzione del personale. D’altra
parte è difficile valutare personale che non ha veri
poteri e chiari ambiti di discrezionalità.
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
25.
Innovazione
gestionale,
amministrativa
e organizzativa
Fonti principali
Ordinamenti
L.53/03
120
Note
Riformati da Berlinguer, rivisti dalla Moratti, sospesi
da Fioroni. È una maledizione: l’Italia non può avere
– dopo trent’anni di discussioni (vedi conferenza di
Frascati 1970) – un ordinamento scolastico
ragionevolmente chiaro e stabile.
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
S
aluto conclusivo
Mons. BRUNO STENCO
Direttore Ufficio Nazionale CEI per l’educazione, la scuola e l’università
A conclusione di questo Convegno realizzato da tre associazioni professionali (AIMC, DiSAL, UCIIM) che condividono la stessa ispirazione cristiana riguardo all’educazione, alla scuola, alla professionalità docente e dirigente, è opportuno richiamare il significato ecclesiale di questo incontro. La comune appartenenza ecclesiale
e la consapevolezza della missione di annunciare Cristo Risorto
come Speranza per il mondo della scuola, costituiscono gli elementi
connettivi del rapporto interassociativo che ha caratterizzato questo
incontro nazionale. Al convegno di Verona è stata sollecitata una
fede missionaria della comunità cristiana capace di diventare speranza. In modo particolare, nell’intervento di Benedetto XVI e in
quello conclusivo del Card. Ruini, sono stati confermati alcuni punti:
– il rapporto profondo tra l’annuncio del Vangelo e l’educazione della
persona; l’educazione non è responsabilità da delegare a pochi
esperti; è un compito di cui è responsabile l’intera comunità cristiana perché è strettamente connesso all’annuncio del Vangelo;
– lo sviluppo di una razionalità aperta e di una fede amica della ragione;
– l’importanza della comunione ecclesiale e cioè il fatto che la testimonianza comunitaria ecclesiale dovrebbe costituire il tessuto
connettivo diffuso che unifica e anche supera certe forme di “federalismo pastorale e associativo” anche nel campo di quelle forze
laicali cattoliche che operano nel mondo della scuola.
Questo nostro Incontro nazionale è stato un momento significativo: abbiamo dato vita ad un momento ecclesialmente rilevante.
Abbiamo realizzato quel “discernimento comunitario” richiesto dagli Orientamenti Pastorali dell’Episcopato italiano. Finalmente l’associazionismo professionale cattolico laicale impegnato nel campo
dell’educazione e della scuola ha trovato “un luogo” in cui svolgere
questo discernimento comune così urgente e necessario. Infatti ciò
che è in gioco non è solo il raggiungimento di obiettivi associativi
circoscritti. È in gioco l’individuazione e la “ricucitura” di principi e
valori antropologici e pedagogici cristianamente ispirati di fronte all’evoluzione dell’assetto istituzionale, normativo, educativo, didattico, professionale, democratico della scuola italiana. In questi giorni abbiamo cercato di “tradurre” in elaborazione pedagogica, culturale, professionale, la fede della comunità cristiana. Lo abbiamo voluto fare insieme perché vogliamo che la fede di tutta la comunità
diventi alimento di un nuovo livello qualitativo di servizio effettiva-
121
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
mente aderente alla natura educativa del sistema di istruzione e di
formazione professionale del nostro paese.
Si è molto parlato di “rete educativa” tra scuola, famiglia e
territorio. Se n’è parlato come uno degli aspetti più qualificanti della
professionalità del dirigente scolastico. Vorrei sottolineare il risvolto “ecclesiale” di questa istanza. In realtà si tratta di tessere la rete
che collega fede, cultura e vita. Se mi si concede l’analogia:
– la fede è rappresentata dalla comunità cristiana, dalla comune
appartenenza ecclesiale delle vostre tre associazioni, dal fatto che
qui tutti state rappresentando la Chiesa missionaria;
– la vita è il mondo giovanile e studentesco, i genitori, le famiglie,
che chiedono di essere titolari e protagonisti dell’educazione scolastica; la vita è espressa anche da tutto quel mondo costituito da
tante iniziative associative nel campo della cultura, dello sport,
del teatro, del volontariato... che chiede “cittadinanza” alla scuola, chiede di interagire, collaborare;
– la cultura si riferisce a quella dimensione essenziale e costitutiva
della vita della scuola che riguarda il piano dell’offerta formativa
progettato, condiviso, realizzato, valutato.
Stiamo mettendo in rete fede, cultura e vita affinché la comunità cristiana tutta, anche attraverso la professionalità dirigente, diventi speranza nel mondo della scuola. Ma per fare questo occorre
un luogo di discernimento nel quale venga rivisita e ridefinita, alla
luce della comune ispirazione cristiana, la visione complessiva del
sistema di istruzione e di formazione e la concatenazione di tutti i
livelli: istituzionale (autonomia), pedagogica, ordinamentale, didattica. È il mondo della scuola, in quanto parte essenziale e determinante, dello sviluppo democratico e anche economico del Paese, che
chiede l’apporto consapevole del mondo cattolico.
Solo ritrovando questo nesso di continuità dinamica e critica
che si evolve storicamente tra la fede della comunità cristiana e la
mediazione pedagogica nel mondo della scuola, le tre associazioni
che rappresentate (e anche le altre che riuniscono gli studenti e i genitori di scuola statale e non statale) possono animarsi di una
nuova vitalità. La ripresa dell’associazionismo professionale cattolico è una priorità civile ed ecclesiale.
Auspico vivamente che convegni come quello che abbiamo
realizzato a Chianciano possano essere promossi, anche grazie alla
mediazione dei direttori degli uffici di pastorale della scuola, sia a
livello regionale che provinciale/diocesano. È la fede della comunità
cristiana che deve tradursi in momenti di elaborazione comune tra
le associazioni. Questo lavoro di mediazione pedagogica della fede,
dell’unica fede della comunità cristiana, richiede l’attivazione di
luoghi e di momenti di discernimento comuni. Deve crescere la capacità e la competenza di tutta la comunità cristiana di far maturare una fede adulta capace di nuova consapevolezza pedagogica.
122
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Questo è un obiettivo molto importante per consentire la continuità
dell’annuncio del Vangelo da una generazione all’altra.
Senza questa consapevolezza della natura missionaria ed ecclesiale del vostro servizio nella scuola si rischia di non essere più
in grado di proporre una prospettiva realistica di rinnovamento
dello stesso sistema scolastico in quanto sistema educativo di istruzione e di formazione.
Questa consapevolezza ecclesiale, rettamente intesa e tradotta
praticamente, non attenua né pregiudica quel senso di laicità e di autonomia che, in quanto laici, giustamente rivendicate. L’espressione
matura della laicità professionale nell’autonomia della scuola e delle
istituzioni educative pubbliche sarà tanto più consapevole e incisiva
quanto più le vostre tre associazioni matureranno posizioni condivise e ponderate in un contesto ecclesiale di comunione, in una comune assunzione di responsabilità. Vanno rivisitati concetti chiave
come quelli della centralità della persona, della sussidiarietà, del rapporto tra equità e aderenza alle differenze personali, della collegialità, del significato della corresponsabilità educativa delle famiglie.
Il secondo punto che mi pare opportuno richiamare riguarda
la soggettività civile ed ecclesiale rappresentata dalle associazioni
professionali. Le associazioni professionali, sia nel contesto civile
scolastico sia in quello ecclesiale, rappresentano un servizio alla
persona del docente e del dirigente. Non importa il luogo dove si
svolge il servizio: nella scuola statale o nella scuola cattolica paritaria e non. Auspico che le associazioni che rappresentate possano
essere un punto di riferimento per tutti i docenti e i dirigenti di scuola statale e non statale. Per questa ragione il Convegno di Chianciano rappresenta anche un invito ad affrontare insieme le questioni
che riguardano tanti docenti e dirigenti che svolgono il loro servizio
nelle scuole cattoliche o nei centri di formazione professionale.
Un’ultima considerazione riguarda lo sfondo educativo che
qualifica la professionalità dirigente. Al riguardo, sono stati molti gli
spunti di riflessione e anche di provocazione rinvenibili nelle relazioni di S.E. Mons. Coletti, di Don Mazzi, del Prof. Scurati e dello
stesso Dott. Cosentino. Tutti hanno espresso la convinzione che non
sono possibili vere riforme senza un diffuso sentire pedagogico e
umanistico. Ma che cosa significa educare? Come si coniugano nella
comunità scolastica educazione e istruzione? Dobbiamo essere consapevoli che esiste una emergenza educativa, una centralità da assegnare alla persona. Che cosa comporta questa riflessione? Come
può essere adeguatamente mediata dentro il piano dell’offerta formativa in un contesto relativistico in cui convivono e si confrontano tante concezioni, tante antropologie, tante sensibilità? Volevo incoraggiarvi a tenere alta la misura del vostro impegno di laici cattolici, testimoni della Speranza.
123
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
I
124
ntervento conclusivo
Prof.ssa MARIANGELA PRIORESCHI - Presidente Nazionale AIMC
A chiusura di due intense giornate di riflessione e confronto,
non è mia intenzione proporre una sintesi, quanto piuttosto condividere alcune idee quale frutto del nostro riflettere.
In primo luogo abbiamo vissuto una occasione di approfondimento che ha confermato (se ce ne fosse stata necessità) la atipicità
e specificità della figura del dirigente, nonché la sua rilevanza all’interno della comunità scolastica.
Dirigere è orientare i passi e ciò presuppone chiarezza del
fine e individuazione accorta di strategie adeguate per il cammino.
È dunque già in sé “operazione” non semplice che chiede competenze plurime. Se aggiungiamo che nel caso specifico si tratta di dirigere una scuola, la complessità aumenta e la specificità si evidenzia. La scuola, ogni scuola, infatti, è un “mondo” portatore di una
propria autonomia. In cui si muovono più soggetti legittimati ad essere coinvolti nel processo identitario della scuola stessa, con attese e letture diverse nei confronti di quest’ultima. Nella scuola convivono quei plurimi “fantasmi di proprietà” cui accennava il prof.
Scurati nel suo intervento.
Non vi è dubbio, dunque, che la responsabilità del dirigente
scolastico è “fardello” pesante. Responsabilità non solo organizzativo-gestionale, non solo di orientamento, non solo di bilanciamento
fra vincoli dati e autonomia riconosciuta; ma anche, anzi soprattutto, responsabilità di tipo culturale nella costante ricerca di equilibrio fra l’ideale verso cui andare e il reale, determinato da istanze
concrete e condizioni possibili. Ciò nel continuo sforzo di superare
una logica frammentaria e frammentante, spesso generativa di conflittualità ad intra e di mortificazioni ad extra.
Un’attenzione specifica a questo professionista di scuola è,
dunque, non solo necessaria, ma urgente. Con uno slogan, potremmo infatti dire “dal dirigente vedo la scuola”, se lo pensiamo come
“garante”, dando a questo termine un’accezione non burocratica,
ma di sostanza: egli sostiene, favorisce la mission della scuola stessa. Se ciò è vero, cominciano ad affacciarsi alcuni problemi.
Garante si interfaccia con responsabile, occorre allora in prima
battuta fare chiarezza su un nodo che angustia: se è possibile “rispondere” delle proprie azioni, come essere realmente responsabili
di ciò che, di fatto, è affidato a mani altrui? Questa ambivalenza del
termine responsabilità relativamente al dirigente chiede di essere sanata per evitare, da un lato, lo svilimento dello stesso concetto di responsabilità o, dall’altro, l’appesantimento ingestibile di carichi su
una figura che deve esserne liberata per poter dedicare energie a
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
quella funzione di crocevia relazionale e di sostegno/orientamento
educativo che le è propria.
Ancora. Il dirigente, si dice (e giustamente), è garante della fattibilità e realizzazione del progetto identitario della scuola. Dovrebbe, quindi, creare condizioni favorenti. Ma a tal proposito balza agli
occhi che non tutte le condizioni dipendono da lui: i vincoli che la
norma detta possono essere facilitatori o frenanti. Essi però dipendono dal decisore politico. Credo che la voce dell’associazionismo
possa essere via per proposte circa alcune condizioni, appunto, che
dovrebbero essere più intonate al “condizioni per”, anziché pensate
come paletti “contro”. Le proposte investono aspetti macro (dall’integrazione reale dei diversamente abili, agli organici veramente funzionali) e aspetti micro (es: la gestione attualmente insostenibile
delle supplenze brevi), ma che comunque concorrono a creare il
clima della scuola e hanno ripercussione sullo stato d’animo del dirigente stesso garante della necessaria interazione con soggetti altri.
Necessaria perché la contestualizzazione è condizione essenziale
dell’efficacia, essendo il territorio lo spazio in cui si realizzano i destini concreti dei cittadini, si concretizzano le identità.
Attualmente, sul territorio abbiamo altri “fantasmi di proprietà” che, se non controllati, possono fare della scuola un oggetto
d’uso e non valorizzarla come soggetto, con una sua progettualità
che si colloca dentro la progettualità territoriale con cui interagisce
fecondamente. Una scuola che diviene riconosciuta e riconoscibile,
che risponde a un mandato attraverso un proprio progetto cessando
di essere scuola dei progetti, al traino altrui.
Dal Convegno, allora, scaturiscono alcuni interrogativi che divengono campi di impegno prioritari:
– quale ridisegno della dirigenza?
– quale attrezzatura su più fronti?
– quali i significati di tale attrezzatura, unificata e animata da un’etica delle intenzioni e delle azioni da coltivare e sostenere?
– quali sostegni e supporti necessari o indispensabili?
– quale rimentalizzazione della stessa funzione da parte di chi la
svolge e che spesso si sente figura apicale, ma in solitudine?
Problemi notevoli (e sono solo esempi) che potrebbero essere
a loro volta articolati e dettagliati.
Certamente da Chianciano emerge l’esigenza di avviare un
iter di approfondimento e ricerca che da qui parte ma esige di essere continuato. Ciò non deve suonare come un giudizio non positivo
su queste nostre giornate. D’altra parte cosa possiamo chiedere ad
un convegno? Chiarire alcuni aspetti, scontornarne altri, accendere
ulteriori interrogativi, aprire nuovi orizzonti, portare in emersione
stati d’animo e reazioni che altrimenti resterebbero nell’implicito,
offrirsi come occasione privilegiata di confronto. A tale proposito,
un sincero grazie all’Ufficio Nazionale che ci ha sostenuto nell’im-
125
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
presa creandoci un contesto favorente e offrendoci piena collaborazione. Un Convegno, dunque, che è andato al compito, ma che non
poteva esaurire l’elaborazione. Mi pare che emerga, in modo non
forzato, il ruolo delle Associazioni (al di là delle sigle) come “luoghi”
privilegiati per proseguire un cammino di approfondimento e messa
a punto di proposte in un costante ascolto della scuola reale e dei
suoi professionisti.
È questo l’impegno che l’Aimc riconferma, considerando elemento positivo il tenere insieme, al suo interno, docenti e dirigenti.
Una scelta che viene da lontano e che l’Aimc considera ancora valida per non creare scissioni e contrapposizioni, per consentire la lettura di un problema da punti di vista diversificati, per maturare nella
capacità di mettersi nei piedi dell’altro e costruire prossimità, per
condividere significati assumendo le specificità all’interno di un quadro complessivo e di una visione di insieme. L’intenzione è quella di
concorrere alla costruzione di un circuito virtuoso che aiuti la scuola, quale impresa sociale, a farsi sempre più comunità educativa.
In questa modalità di azione, l’Aimc è motivata dal voler rendere, secondo il suo specifico, un servizio alla persona garantendo
a ciascuno esperienze di positiva relazionalità umana; un servizio
al Paese attraverso una scuola sempre più di qualità, sempre più perequante ed inclusiva; un servizio alla Chiesa testimoniando i valori della antropologia evangelica e, quindi, agendo con responsabile
senso di laicità per una sempre più incisiva pastorale d’ambiente.
126
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
I
127
ntervento conclusivo
Prof. ROBERTO PELEGATTA - Presidente Nazionale DiSAL
Due battute solo, senza intervenire sui contenuti.
La prima. Mi ricordo quando sono andato da mons. Stenco a
proporre questa iniziativa, questo convegno insieme: ero un po’ perplesso, vi confesso. Ero mosso da due esigenze: innanzitutto l’urgenza di intervenire nel vivo del dibattito sulla dirigenza (per questo le nostre sigle si sono limitate al problema della dirigenza appunto, come era tema del convegno); poi l’esigenza che in questo dibattito entrassimo con un tentativo di unità a partire da quella cultura che ci caratterizza e che ci viene da tutta quella sensibilità di
interesse educativo che abbiamo discusso in questi giorni e su cui
ci siamo incontrati.
E qui giungo alla prima conclusione: sono veramente contento che su questa modalità di guardare alla figura direttiva – cioè
come un servizio al grande compito educativo della scuola – ci
siamo incontrati da storie diverse. Questo è il primo compito che abbiamo: portare dentro il dibattito civile e sociale questa priorità.
Questo è un grande ed urgente compito, perché purtroppo, come abbiamo visto da tante relazioni, le derive vanno da altre parti e in
questo modo noi portando questa priorità credo che siamo consapevoli di esercitare un grande servizio alla scuola italiana: se essa
non ritrova nella figura direttiva questa priorità come nelle altre
riforme – l’autonomia e la docenza – andremo in altre direzioni, da
altre parti che ci faranno affossare sempre più in quelle derive che
stamattina ha descritto Drago.
La seconda battuta riguarda l’associazionismo. Noi di DiSAL
non siamo un’associazione confessionale, e quindi ecclesiale. Penso che l’invito che Mons. Stenco ci ha appena fatto era soprattutto
un invito a quella origine, a quella matrice culturale che muove
ognuno di noi; a vivere cioè le nostre responsabilità innanzitutto a
partire dalle convinzioni personali. Questa precisazione la faccio
non per distinguerci o come notizia su quello che è DiSAL, ma perché sono convinto che l’altro nostro grande lavoro è quello dell’associazionismo professionale. Quell’invito che lui faceva alla fine –
“mi raccomando, come associazioni professionali riprendete con
energia il lavoro” – io me lo prendo in carico perché c’è troppo sindacalismo nella scuola, troppo sindacalismo che ha occupato troppo le nostre professioni e le ha ridotte ad un’ottica che funzionalizzava tutto alle questioni sindacali, alle questioni salariali.
Questo mi pare il nostro compito (è la seconda questione)
che, a partire dalla matrice culturale che ci muove e che ci fa incontrare (primo punto), dobbiamo far presente nella società civile
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
che l’associazionismo professionale – in questo caso nostro di dirigenti e speriamo di continuare in questo insieme, come spero avvenga anche per i docenti – non si riduce ai problemi sindacali, ma
ha una dignità di azione ed un diritto di presenza nella scuola sul
piano culturale e formativo.
Come associazione professionale noi condividiamo pienamente questo tentativo di documento finale a cui alla fine verrà accennato e ci impegnamo a sviluppare questo testo anche in proposte operative che entrino nel merito dei problemi citati oggi, fino a
parlare di graduatorie, supplenze, piuttosto che di riforme dell’autonomia in quanto tale o della professione.
Personalmente ringrazio tutti perché lo sforzo di lavorare insieme per essere presenti nella società civile con un messaggio unitario penso abbia dato i propri risultati e quindi il timore con il
quale andai all’inizio a proporre l’iniziativa a Mons. Stenco per fortuna è stato da questo punto di vista superato.
128
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
I
ntervento conclusivo
Prof. LUCIANO CORRADINI - Presidente Nazionale UCIIM
Siamo in una situazione di transizione, di cui ignoriamo l’approdo, ma non intendiamo essere solo spettatori degli eventi. Siamo
anche nel pieno dibattito parlamentare relativo a una complessa
legge finanziaria, che può modificare le cose, anche per quanto riguarda la questione dei dirigenti. Noi non ci siamo messi in una
prospettiva di breve periodo e non ci siamo impegnati in una discussione sulle pur importanti e talora brucianti questioni contingenti, ma in una prospettiva di medio-lungo periodo, per cogliere un
profilo di dirigente che già oggi è visibile e attivo nella scuola italiana, sia pure parzialmente e con molti impacci, per chi ha coscienza e coraggio, ma che noi vorremmo che potesse emergere con
rapidità da un processo riformatore che, con tutte le sue incertezze
e le sue contraddizioni, riguarda quello che è stato definito dalle diverse maggioranze che hanno governato nelle passate legislature
“sistema educativo di istruzione e di formazione”.
Mi limito a poche considerazioni conclusive, partendo dalla
stimolante relazione di Drago, che è una persona che stimo da
quando lavorammo insieme in una commissione istituita dal ministro D’Onofrio. È anzi una relazione provocatoria, ma si basa su
esperienze e su dati. Fra le varie cose che ha detto, citandomi come
soggetto implicato, ha parlato della crisi della pedagogia. Non mi offende la sua citazione, ma mi turba la sostanza del discorso e cioè
le accuse che si rivolgono con troppa disinvoltura alla pedagogia e
il discredito in cui è tenuta, non solo per colpe proprie. L’irrilevanza
che si attribuisce alla pedagogia, a partire dalle facoltà di scienze
della formazione, che privilegiano ormai le scienze empiriche dell’educazione e le didattiche, marginalizzando la madre e matrice
culturale delle professioni educative è in qualche modo frutto del
tramonto della teoresi generale e della prassi dell’educazione, nonostante i richiami dell’UNESCO e del Papa, che segnalano da
tempo l’emergenza antropologica dell’educazione e la necessità di
ricuperare una visione umanistica e non puramente scientifico-tecnologica dell’educazione.
Mi dispiace anche la irrilevanza che rischia di attribuirsi alle
associazioni professionali dei docenti e dei dirigenti: e questo non
solo per la forza altrui, ma per nostra debolezza. Questa marginalizzazione, nella coscienza anche di molti validi docenti e dirigenti,
è certo responsabilità della società in cui viviamo, ma dipende
anche da noi, che dobbiamo trovare modi più efficaci e convincenti per sviluppare la nostra attività.
129
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
Questo è il punto. Ricordo che, negli anni ’70, io scrissi un libro intitolato “La difficile convivenza. Dalla scuola di stato alla
scuola della comunità”. L’itinerario indicava un terminus a quo
(scuola di stato) e un terminus ad quem (scuola della comunità). Ma
dove sono questi soggetti, stato e comunità? In che condizioni di salute si trovano? Un mio predecessore nella cattedra di pedagogia di
Roma, il ministro Credano, fece una legge che avocava allo Stato la
gestione delle scuole che prima erano comunali. Fu ritenuto un benefattore della patria e della scuola. Col ’68 e con i decreti delegati
si fece invece il percorso opposto. E negli scorsi trent’anni si è proceduto con la costituzionalizzazione dell’autonomia scolastica. Ma
quali sono le forze vitali dell’autonomia, dove sono le comunità territoriali e le comunità scolastiche, dotate ora di pari dignità costituzionale? Sono capaci di operare? Si presenta qualche soggetto a
contendere allo Stato un potere esercitato male? Ora, sappiamo che
qua e là questi soggetti esistono, che alcune scuole si sono mosse
con coraggio in questa direzione, mentre molte altre non ce la fanno. Alla Conferenza nazionale sulla scuola, nel 1990, l’autonomia
fu sostenuta praticamente da tutti i relatori e da tutte le componenti sociali interessate alla scuola. Alcuni avevano messo in guardia
sul rischio di questa scelta, che era una sorta di scommessa, ma allora non c’erano molte prospettive per chi voleva salvare la scuola
e trovare una formula che svegliasse energie sopite nel corpaccione
di una scuola a rischio di implosione burocratica. Drago diceva in
modo un po’ paradossale che oggi all’autonomia “nessuno ci crede”.
E in fondo pensa che si possa ricuperare questa fede, spingendo fino
in fondo la responsabilizzazione del mondo della scuola nei riguardi dell’impresa educativa, istruttiva e formativa.
A questo punto mi permetto un altro piccolo ricordo. Stati
Uniti: 22 giorni di viaggio organizzato dall’Organizzazione degli
Stati Uniti per i dirigenti scolastici. Eravamo in 4 fra docenti e dirigenti. Nel corso di molti colloqui ci dissero che i sindacati della
scuola nella storia degli Stati Uniti avevano fatto tre scioperi: tutte
e tre le volte i segretari erano andati in galera e avevano subito il sequestro dei beni del sindacato.
Ci dissero anche che, prima che ci fosse un qualche movimento verso la condizione dei docenti, i dirigenti scolastici si comportavano nei loro riguardi come dei padroni, entravano in classe e
dicevano all’insegnante “tu, raccogli quella carta”.
Da noi invece, con l’avocazione allo stato e con la burocratizzazione del ruolo del docente, si è goduto di maggior dignità e in
fondo anche di maggior libertà, perché i dirigenti non sono stati
sempre, come durante il ventennio fascista, “vigili scolte” a servizio
del Regime, come diceva una circolare di Giovanni Gentile. Libertà
d’insegnamento, partecipazione e autonomia non sono idee desti-
130
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
nate a fallire in quanto tali. Il problema sta nella cultura e nella qualità delle motivazioni e delle relazioni, più che nella struttura dell’ordinamento. Ma anche l’ordinamento ha suoi lati positivi e lati
negativi. Il docente non è un semplice impiegato, né un semplice
funzionario: la libertà d’insegnamento è garantita dalla costituzione, ma non è libertà di fare e di non fare quello che si vuole, d’insegnare quello che si sa e quello che non si sa. E l’autonomia non è
solo chiacchiera.
Quando ero giovane insegnante, sbattevo il muso contro una
serie di vincoli, che progressivamente si sono ridotti negli anni successivi. Allora il preside mi diceva: “sai, sarebbe bello ma non si
può, la legge e la consuetudine non lo consentono”. E non si poteva parlare di rapporti col territorio, neanche con gli enti locali, perché di lì poteva venire solo inquinamento di carattere politico.
Adesso abbiamo ottenuto rilevanti aperture, che dobbiamo imparare a gestire. Certo il nuovo Titolo V della seconda parte della Costituzione ha complicato la situazione per cui non si sa più cos’è lo
stato e se è allo stesso grado dei comuni, delle regioni, degli enti locali, delle singole scuole: insomma veramente si fa fatica a pensare
e a capire cose che sono ancora in via di assestamento.
Attraverso convegni e incontri come questo di Chianciano,
anche se è un po’ complesso impostarli e gestirli, noi cerchiamo di
metterci in comunicazione tra persone e di vedere quali sono gli
aspetti fondamentali su cui possiamo trovare delle intese.
Oggi sono contesto di sapere che DISAL non è soltanto un
marchio di un motore che va a nafta, anche se sapevo che ha una
dimensione ecclesiale, come AIMC e UCIIM. Questo ricupero di riferimento alto al Vangelo non ci renderà automaticamente convergenti su tutto quanto si può pensare e dire e fare in quanto dirigenti scolastici, ma certo è una buona base di metodo, di stile, di finalità generali utili a pensare quale dirigente, quale docente, quale
scuola vogliamo fare, per potere “sortirne insieme”. Io mi permetto,
se non temete che cada il tono di questo solenne convegno, di suonarvi un motivetto con l’armonica. Oltre alla preghiera, anche la
musica ci consente di utilizzare quel linguaggio panumano che avvicina gli affetti e che sostiene nello sforzo di unificare anche i pensieri e i comportamenti.
131
CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
D
ocumento finale
Per una nuova “direzione”
delle scuole dell’autonomia
1. Si è svolto a Chianciano dal 26 al 28 ottobre il Convegno
nazionale dei dirigenti scolastici, organizzato da AIMC, DiSAL e
UCIIM in collaborazione con l’Ufficio Nazionale CEI per l’educazione, la scuola e l’università, sul tema “Dirigenza scolastica: nuove
responsabilità ed alleanze educative”. La ricchezza dei lavori ha
rinnovato negli oltre 200 capi di istituto provenienti da tutto il
Paese idee e motivazioni per affrontare la propria professione in
modo sempre culturalmente attento alla realtà della scuola ed ai bisogni dei giovani. La ricerca di una rinnovata funzione direttiva per
tutte le scuole statali e non statali come unico servizio pubblico si
è focalizzata sulla figura di un uomo di scuola, di cultura, che finalizza tutti gli aspetti organizzativi, finanziari, gestionali alla primaria finalità educativa.
L’esperienza associativa professionale si è rinnovata, durante il Convegno, arricchendosi di un lavoro comune e dell’approfondimento nei gruppi.
2. Il tema discusso al Convegno è nato dall’urgenza di entrare nel vivo del dibattito che in diversi ambiti sta ripensando la figura attuale del Capo di Istituto, con l’esplicito interesse di mettere
al centro di questo dibattito l’educativo a cui le professioni della
scuola debbono saper guardare investendo sempre più sulla persona in età evolutiva e sulla formazione degli educatori adulti.
La scuola italiana è ricca di molte energie positive da valorizzare: occorre pertanto realizzare la sussidiarietà orizzontale per
liberare le energie di coloro che vogliono vivere con dignità le professioni educative e collaborare alla vita della scuola.
3. Le relazioni ed i lavori di gruppo hanno evidenziato alcuni cardini culturali sui quali ripensare le nuove responsabilità della
direzione delle scuole e le necessarie alleanze per esercitarle.
3.1 Direzione e funzione educativa
Poiché la trasmissione della cultura si configura come interazione tra un patrimonio di valori e i bisogni di crescita delle persone, appare evidente che le problematiche della scuola rientrano
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CONVEGNO NAZIONALE. DIRIGENZA SCOLASTICA: NUOVE RESPONSABILITÀ...
nella più ampia “emergenza educativa” che è la sfida principale
della società di oggi.
La sfida è quella di saper costruire insieme luoghi ed esperienze ricche di valori e di significati per i giovani. Questi ambienti crescono con l’aiuto di una direzione, di una guida che sollecita, che
valorizza, che indica, che vigila sulle condizioni di libertà, di criticità, di serietà e di autenticità delle proposte fatte ai discenti, salvaguardando l’unitarietà dell’ambiente, cercando di ridurre i conflitti e le prevaricazioni, incentivando tutte le dimensioni formative
della persona, favorendo l’apertura della scuola a tutte le esperienze educative esterne.
3.2 Direzione, corresponsabilità e comunità di apprendimento
La persona può crescere solo in un contesto di apprendimento comunitario realizzato dalla corresponsabilità tra scuola, famiglia, aggregazioni sociali e comunità locali, dove la tradizione culturale viene riscoperta attraverso la libertà dei ragazzi, accompagnati da maestri in una verifica piena di ragioni.
La funzione di dirigere scuole, all’interno di questa corresponsabilità che appartiene ad un intero popolo, consiste nel costruire condizioni favorevoli per apprendimenti ed esperienze educative.
3.3 Direzione e autonomia
L’autonomia della scuola come principio inserito nella
Costituzione non è primariamente il frutto di una logica di bilanciamento dei poteri pubblici quanto piuttosto il riconoscimento
della responsabilità educativa della comunità e della società civile
che passa attraverso un patto sociale ispirato al principio della sussidiarietà orizzontale.
3.4 Direzione, reti e alleanze per un servizio pubblico
Per conferire valenza educativa al processo di trasmissione
culturale è importante dare vita a patti e alleanze che mettano in rete,
in un unico servizio pubblico, scuole statali e paritarie, famiglie, aggregazioni sociali, realtà culturali, economiche ed istituzionali.
Per questa scuola è necessario ed urgente l’impegno di tutti, impegno che costituisce il cuore stesso su cui AIMC, DiSAL e UCIIM proseguiranno in un comune lavoro di ricerca, auspicando da parte dei responsabili politici e dalle istituzioni dello Stato un coraggioso impegno
attraverso risposte adeguate alle urgenze della scuola italiana.
AIMC, DiSAL, UCIIM
Chianciano, 28 ottobre 2006
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