Libano: tenuta e capacità di risposta a fronte dell`emergenza

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Libano: tenuta e capacità di risposta a fronte dell`emergenza
Libano: tenuta e capacità di risposta a fronte dell’emergenza umanitaria
di Erik Burckhardt e Giovanni Pignatiello
Missione
Beirut, 7 – 13 luglio 2015
Campo rifugiati di Shatila, Beirut, 11 luglio 2015
Informal Tented Settlements, Zahlah, Valle della Beqa', 12 luglio 2015
Informal Tented Settlements, Saadnayel, Valle della Beqa', 12 luglio 2015
Interlocutori
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UNDP Lebanon – Luca Renda, Country Officer, Marina Lo Giudice, Chief Technical Advisor;
Marco Pasquini Advisor for Territorial Cooperation
UNHCR Lebanon – Jean Nicolas Beuze, Deputy Representative & Raffaella Vicentini,
External Relations and Communication Officer
UNICEF Lebanon – Luciano Calestini, Deputy Representative & Gianluca Buono,
Humanitarian Affair Coordinator
IOM – Pierre King, Operations Officer & Maurizio Santicola, Operations Officer
Cooperazione allo Sviluppo Italiana – Flavio Lovisolo, Regional Coordinator for Syrian
Crisis
Makhzoumi Foundation – Mohamad Mansour, Relief e Humanitarian Service Unit Manager
& Malak Saridar El Hout, Vocational Training Program Manager
ANND (Arab NGO Network for Development) – Ziad Abdel Samad, Executive Director
Armadilla SCS ONLUS – Monica Di Vico, Regional coordinator
The National Institution of Social Care & Vocational Training Beit Atfal Assumoud –
Kassem Aina, General Director
Center for Civil Society and Democracy in Syria – Rajaa Altalli Co-Director
Beyond Association
Corrispondente ANSA dal Medio Oriente - Lorenzo Trombetta
Associazione Pro Terra Sancta
1. Lo scenario politico-economico
La crisi umanitaria derivante dalla guerra civile siriana, in corso dal marzo 2011, ha avuto un
duplice impatto sul contesto nazionale libanese, l’uno di tipo socio-politico e l’altro di tipo socioeconomico.
Il contesto socio-politico libanese è stato storicamente caratterizzato da un fragile
equilibrio politico-religioso tra le tre macro-componenti religiose di fede cristiana, sunnita e sciita
del paese, insieme ad altre componenti minoritarie.
Nell’attuale contesto di crisi dovuto all’ormai “frozen conflict” rappresentato dalla guerra civile
siriana e alla consecutiva emergenza umanitaria di respiro regionale, in Libano si è registrato un
aumento delle tensioni, in particolar modo lungo il confine orientale del paese, dove l’esercito
libanese e il partito-milizia libanese Hezbollah, che collaborano in chiave anti-Daesh e anti-AlNusrah nella difesa della frontiera con la Siria, continuano a ingaggiare scontri armati con questi
ultimi, e lungo il confine meridionale, dove si sono verificate provocazioni armate tra Hezbollah
(alleato delle forze filogovernative siriane) e l’esercito israeliano, nonostante la presenza della
forza multinazionale di interposizione UNIFIL.
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Si registrano inoltre ormai da tempo fenomeni di infiltrazione da parte di organizzazioni
criminali e terroristiche di matrice islamista, come Daesh, in alcune zone del Libano, in
particolare nelle aree al nord del paese, sottendenti al reclutamento dei giovani appartenenti alle
fasce meno abbienti della popolazione libanese e dei profughi siriani e palestinesi, offrendo in
cambio aiuti per il sostentamento, in particolare economico (ca. 400 USD / mese). Parimenti, nelle
stesse aree è stata riscontrata la presenza di scuole di radicalizzazione islamista. Ampi strati
della popolazione di credo sunnita presenti nel nord del Libano versano in condizioni di estrema
povertà, e rappresentano le fasce più esposte alla potenziale radicalizzazione da parte delle
organizzazioni terroristiche islamiste. Secondo fonti locali, i leader governativi sunniti
starebbero riscontrando forti difficoltà nel controllo e nel contrasto di tale fenomeno.
La maggior parte dei profughi siriani risulta essere di fede sunnita, in ragione del credo
dominante esistente in Siria precedentemente allo scoppio della crisi. Ciò rappresenta, agli occhi
della popolazione cristiana e sciita in Libano un fattore destabilizzante, tenuto conto del rischio di
un’alterazione dello storico, approssimativo, equilibrio etnico-religioso su cui regge anche il
fragile equilibrio socio-politico del paese (governo di tipo confessionale retto da un Presidente
cristiano, un Primo Ministro sunnita e un Presidente del Parlamento sciita). Si rileva, tuttavia, che
nel corso dell’ultimo ventennio si è continuato a registrare un graduale aumento della popolazione
di credo musulmano all’interno del paese.
Dal punto di vista macroeconomico, la situazione del Libano continua a deteriorarsi.
La Banca Mondiale stima che nel 2015 vi siano 170.000 libanesi in più che vivono nettamente al di
sotto della soglia di povertà. L’impatto della crisi in Siria si è manifestato anche nella forma di
elemento inibitore dell’interscambio commerciale e degli investimenti stranieri in Libano.
Giova qui ricordare come l’Italia sia da diversi anni il primo partner commerciale del
Libano, in particolar modo grazie alle ingenti importazioni di attrezzature e i macchinari industriali
italiani da parte del paese, e come dunque l’impatto negativo della crisi siriana sul paese possa
avere ripercussioni negative indirette per l’economia italiana.
Infine, in prospettiva microeconomica, gli effetti dell’emergenza umanitaria si sono riversati
sulla già fragile economia delle comunità ospitanti libanesi, poste sotto stress dall’aumento
incontrollato della popolazione locale (profughi) in particolare dal punto di vista dell’adeguata
offerta dei servizi pubblici locali e delle infrastrutture, oltre che dell’andamento del mercato del
lavoro locale, che ha testimoniato un’improvvisa diminuzione dei salari medi (dovuto all’ingresso di
nuova forza lavoro sottopagata) e di un consecutivo aumento della disoccupazione, con evidenti
ripercussioni sullo stato della popolazione libanese.
2. Lo scenario umanitario
Il Libano non aderisce alla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati, né
del relativo Protocollo del 1967. Ciononostante, il paese ha deciso di dare esecuzione ad alcune
disposizioni della Convenzione su base volontaria. Di fatto, le autorità libanesi hanno concesso
discrezionalmente permessi di soggiorno ai richiedenti protezione, sulla base di indagini case-bycase (c.d. rifugiati de facto). Nel 2015 il Libano risulta essere il paese con il più alto numero di
rifugiati pro capite al mondo, in ragione dei flussi di individui in fuga dalla guerra civile che
infiamma dal marzo 2011 la vicina Siria. La maggior parte di questi hanno nazionalità siriana,
mentre in minor parte sono palestinesi rifugiati precedentemente in Siria.
Il Libano in tal senso svolge un fondamentale ruolo regionale di contenimento
dell’emergenza umanitaria, specialmente dal punto di vista degli altri attori (stati europei
compresi), con riferimento ai potenziali flussi di profughi in entrata.
Secondo i dati di UNHCR risalenti al gennaio 2015, in Libano sono presenti circa 1,2 milioni
di profughi siriani registrati, di cui il 42% composto da minori, oltre ai 50.000 rifugiati palestinesi
provenienti dalla Siria e registrati dall’UNRWA (dati UNRWA dell’aprile 2014) che si aggiungono
alla nutrita comunità di rifugiati palestinesi che risiede nel Paese sin dal 1948.
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Tuttavia, il governo libanese, denunciando nel 2014 alla comunità internazionale come il
peso dell’accoglienza dei milioni di siriani gravi di fatto sulle popolazioni più vulnerabili del paese,
nel secondo semestre dello stesso anno ha ufficialmente disposto la chiusura delle frontiere
nazionali, seguendo l’esempio di Egitto, Giordania e Turchia. Ciò nonostante i flussi di profughi
non si sono arrestati. In molti hanno continuato a varcare clandestinamente la frontiera libanese
sfruttando la porosità del confine con la Siria, in particolare nei punti a est delle regioni libanesi di
El Hermel e Baalbek, sfruttando la connivenza delle autorità di controllo libanesi e le “eccezionali
ragioni umanitarie” che queste ultime hanno il potere di addurre in cambio di tangenti.
Dal 5 gennaio 2015 le autorità hanno imposto uno stop totale alle registrazioni. Tuttavia,
pur non avendo accesso alla registrazione formale dell’UNHCR, di fatto i profughi clandestini
godono dell’assistenza umanitaria offerta dalle organizzazioni delle Nazioni Unite e dalle ONG
locali, mentre la maggior parte di essi risiede all’interno dei c.d. ITS (Informal Tented Settlements).
L’UNHCR ha dunque recentemente fatto stato dell’estrema difficoltà riscontrata nel
rilevare il numero esatto delle presenze di profughi siriani non registrate, alle quali
contribuiscono non soltanto i nuovi arrivati, ma anche le numerosissime nuove nascite nelle
comunità dei profughi (circa 20.000 nascite all’anno – c.d. bambini fantasma).
Alcune NGO locali arrivano a ritenere che negli ultimi sei mesi il numero di profughi sia
raddoppiato rispetto ai dati ufficiali del gennaio 2015. A tal riguardo, si segnala l’esistenza di una
rilevante discrepanza tra i dati forniti dai vari interlocutori in merito alla presenza di profughi
siriani non registrati in territorio libanese.
Sia i rifugiati che i profughi clandestini provenienti dalla Siria risiedono in Libano all’interno
delle comunità locali (vd. Par. 5) o degli ITS.
All’interno del paese sono presenti numerosi ITS ospitanti un discreto numero di profughi
siriani e palestinesi, in particolare nella Valle della Beqaa, nei pressi del confine con la Siria (si
stima che il 20% del totale dei profughi viva nei suddetti insediamenti). Tali campi informali, che
presentano variabili, ma generalmente pessime condizioni igienico-sanitarie, sono gestiti in modo
autonomo dalle comunità siriane e dalle ONG, e non sono riconosciuti dal governo libanese.
Lo scoppio di epidemie è contenuto dall’intenso lavoro di immunizzazione finanziato dalle
agenzie delle Nazioni Unite e operato dalle ONG nei campi. Tuttavia, negli ITS è frequente il
divampare di incendi, anche dolosi. Recentemente si sono anche registrati violenti scontri tra i
sostenitori dell’una e dell’altra fazione del conflitto siriano.
L’assenza di un effettivo riconoscimento e controllo di tali insediamenti da parte delle autorità
libanesi ha favorito l’emergere di fenomeni di sfruttamento ai danni delle comunità di profughi
siriani che li abitano.
In particolare, è stato possibile verificare come il controllo dei singoli campi sia di fatto
affidato alla figura di un capo siriano (cosiddetti Shawish) il quale, in accordo con i proprietari
terrieri libanesi, affitta l’appezzamento di terreno sul quale sorge l’insediamento, e assicura che i
profughi che lo abitano, ivi compresi i minori, svolgano mansioni di braccianti per le aziende
agricole di riferimento, a condizioni salariali misere. Le ONG che operano negli ITS riferiscono che,
al fine di esercitare pieno potere nei confronti di tutti i profughi presenti sul campo, i cosiddetti
Shawish ritirano tutti i documenti dei profughi al momento del loro insediamento nei campi, ivi
compresi i voucher forniti dalle organizzazioni umanitarie per l’acquisto di beni di prima necessità,
garantendosi in tal modo la possibilità di esercitare ogni forma di controllo e di abuso nei loro
confronti. L’UNICEF denuncia inoltre l’allarmante diffusione dei fenomeni dei matrimoni forzati
e delle madri adolescenti all’interno degli insediamenti informali, facilmente constatabili sul
campo.
3. La risposta internazionale all’emergenza umanitaria in Libano
In Libano, oltre alle numerosissime ONG locali e internazionali, operano le maggiori Agenzie
e Organizzazioni delle Nazioni Unite, che coordinano la risposta globale alla crisi umanitaria dei
profughi siriani, in particolare UNDP, UNHCR, UNRWA, UNICEF, IOM e PAM. L’aiuto esterno
3
complessivo dal 2012 per la risposta all’emergenza umanitaria di rifugiati siriani fornito dalla
comunità internazionale si attesta intorno ai 2 miliardi USD (dato UNDP).
L’Agenzia capofila delle Nazioni Unite inizialmente designata a coordinare la risposta
all’emergenza in Libano è stata l’UNHCR, in particolare relativamente alla registrazione dei
profughi per l’accesso alla protezione internazionale, alle iniziative di resettlement, al supporto
psicologico e all’assistenza di tipo primario a beneficio dei profughi. Recentemente tale
coordinamento è stato affidato all’UNDP, sulla base dell’aggiornamento della strategia delle
Nazioni Unite di assistenza al Libano, concepito anche sulla base dell’input del governo libanese di
cui sopra. La nuova strategia di mitigamento degli effetti della crisi umanitaria siriana in Libano non
riveste più un carattere emergenziale, orientato dunque al fornire assistenza primaria ai rifugiati,
ma si concentra piuttosto sull’avviamento di un processo stabilizzazione socio-economica del
paese in un’ottica di medio e lungo periodo, in particolare con riferimento alle aree ritenute più
vulnerabili, come le comunità libanesi che ospitano la maggior parte dei profughi, caratterizzate da
servizi e infrastrutture molto deboli e da squilibri nel mercato del lavoro.
Si richiama l’attenzione sul fatto che la crescita rapida e costante del numero di profughi
in Libano abbia costretto il Programma Alimentare Mondiale a dimezzare l’importo da
accreditare nei voucher mensili in dotazione ai rifugiati per l’acquisto di beni alimentari di
prima necessità (da 27 a 13 USD). Altrettante difficoltà sono state riscontrate dall’UNHCR nel
mantenere inalterata la propria capacità di assicurare assistenza sanitaria, già in precedenza
rivelatasi secondo l’interlocutore di riferimento alquanto limitata. Il servizio sanitario pubblico in
Libano è sostanzialmente inesistente, e UNHCR, con una spesa ridotta di 3.5 milioni USD al mese,
avrebbe registrato una crescente difficoltà nell’assicurare anche soltanto gli interventi c.d. di lifesaving, secondo la stessa fonte.
Come precedentemente citato, il 42% sul totale di rifugiati siriani è rappresentato da minori,
di cui si stima che circa 300.000 siano correntemente esclusi dai programmi educativi formali e
non formali (dati UNICEF). Per tale ragione si è provveduto negli ultimi anni a un costante
aumento delle risorse destinate a tale Agenzia per effettuare interventi a beneficio dei minori
siriani, libanesi e palestinesi più vulnerabili a causa degli effetti dell’emergenza in Libano. Il ruolo di
UNICEF non si limita a rispondere ai bisogni dei bambini profughi, ma fornisce sostegno a tutti i
minori più vulnerabili (stimati in 1,2 milioni), oltre a monitorare e controllare le loro condizioni
nelle 251 aree del Paese giudicate maggiormente esposte alla povertà e all’analfabetismo.
L’Italia sostiene l’azione di UNICEF e, in particolare, i programmi RACE - per la riabilitazione
di 18 scuole pubbliche nel paese - e WASH – per la depurazione dell’acqua e il mantenimento
delle infrastrutture idriche, e altri programmi orientati al miglioramento dell’educazione, della
protezione, dell’igiene e della salute dei minori in Libano. L’impatto positivo dei programmi
dell’UNICEF, realizzato anche attraverso l’eccellente lavoro di ONG partner come la Beyond
Association, è immediatamente verificabile e facilmente apprezzabile sul campo, in particolare
negli ITS.
4. Il programma di resettlement
Si stima che il 40% dei profughi siriani registra un alto tasso di vulnerabilità (special
needs), mentre UNHCR stima che almeno 120.000 profughi si trovino attualmente in condizione di
estremo disagio in quanto:
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
sopravissuti a gravi violenze e torture,
bisognosi di assistenza sanitaria,
bisognosi di protezione legale e fisica,
donne a rischio di violenze e abusi,
rientranti nella categoria di LGBT,
minori a rischio di violenze e abusi,
anziani a rischio di violenze e abusi.
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Di questi 120.000 bisognosi, UNHCR ha selezionato 10.300 profughi in Libano da
reinsediare in via prioritaria nel 2015. Soltanto 4.500 sono stati pledges confermati (45% del
target stabilito), di cui la maggior parte dalla Germania (5.595 reinsediamenti in territorio tedesco
dal 2013).
I singoli Paesi d’accoglienza hanno diritto a indicare i criteri preferenziali attraverso i
quali individuare i profughi da reinsediare, e di definire eventualmente ulteriori criteri, nonché di
operare tutte le valutazioni necessarie per rispondere alle esigenze di sicurezza nei rispettivi
territori.
L’UNHCR accoglie con grande favore il proposito di rafforzare il programma italiano di
resettlement dei profughi dal Libano, che ad oggi (2015) prevede il reinsediamento di soltanto 400
unità.
La gestione operativa e preparatoria sul territorio libanese del programma italiano di
reinsediamento è affidata all’OIM, che cura già efficacemente i programmi della quasi totalità dei
Paesi che hanno attivato questo tipo d’iniziativa.
5. La stabilizzazione come strumento per il contenimento dell’emergenza
Le comunità libanesi ospitanti, che continuano a svolgere una fondamentale funzione di
accoglienza nei confronti dei profughi che accorrono da oltre confine, sono tuttavia correntemente
poste sotto enorme pressione socio-economica dal repentino aumento dei propri abitanti come
dal conseguente, progressivo, deteriorarsi delle condizioni economiche della popolazione locale
(aumento della disoccupazione, diminuzione dei salari, inadeguatezza di servizi e infrastrutture).
Fin dall’insorgere dell’emergenza umanitaria il governo libanese ha optato per l’adozione
della cosiddetta “no-camp policy”, avallata anche dall’UNHCR in un apposito rapporto, che
prevede l’accoglienza dei profughi in seno alle comunità libanesi, nonché la loro integrazione nel
tessuto socio-economico delle stesse, come alternativa ai c.d. formal settlements (campi profughi).
Lo stesso governo ha a più riprese richiamato con forza la necessità di aiutare le comunità
ospitanti locali (slogan: “help us to help”), non solo attraverso gli aiuti di emergenza, ma anche
con interventi di early recovery, stabilizzazione e sviluppo locale.
Nonostante l’adozione del suddetto approccio, il governo locale, tenuto conto delle esigenze
in particolare delle fasce più vulnerabili della popolazione libanese residente nelle comunità
ospitanti, ha recentemente emanato una legislazione piuttosto restrittiva in materia di lavoro a
danno delle componenti profughe siriane (ad esempio l’assunzione dell’impegno a non fornire
alcuna prestazione lavorativa imposta dal governo locale ai rifugiati come condizione per il rilascio
del permesso di soggiorno annuale), con l’obiettivo di tutelare la popolazione nazionale dall’impatto
derivante dall’improvviso aumento di offerta locale di manodopera sul mercato del lavoro libanese
(diminuzione dei salari e aumento della disoccupazione). Il suddetto approccio suggerisce come le
restrizioni previste del governo libanese di fatto impediscano una reale integrazione dei profughi
nel tessuto socio-economico delle comunità libanesi, tenuto conto del fatto che lo svolgimento di
un lavoro è comunemente considerato il più efficace strumento di integrazione. Ciononostante,
come sottolineato da più interlocutori, in contrasto con la suddetta legislazione statale, si verifica
oggi in Libano il fenomeno di impiego irregolare dei profughi siriani da parte di datori di lavoro locali
in particolare nei comparti agricolo e edile, in ragione delle minori pretese salariali di questi ultimi.
La “no-camp policy” adottata dal governo libanese mira di fatto a scongiurare il rischio di un
insediamento di lungo periodo da parte dei profughi siriani. La sua ratio va ricercata nelle passate
esperienze vissute dalla popolazione libanese e legate all’insediamento dei profughi palestinesi e
alle passate vicende consumatesi tra l’OLP e lo Stato d’Israele sul territorio nazionale.
Ciononostante, alcuni interlocutori hanno sottolineato come la terra d’origine rappresenti un
irresistibile elemento di richiamo nell’immaginario collettivo siriano, da tenere in adeguata
5
considerazione all’occorrere della futura fase di normalizzazione della situazione in Siria (anche
con riferimento ai programmi di asilo e di resettlement).
Gli enti locali rivestono un ruolo progressivamente più rilevante per il governo centrale e per
le organizzazioni internazionali che assistono quest’ultimo, in chiave di risposta all’emergenza
umanitaria. La ratio dell’approccio si inscrive nel ruolo recentemente accordato dalle Nazioni Unite
alle singole strategie nazionali di Libano, Giordania, Egitto e Turchia di risposta alla crisi
umanitaria, come tra l’altro attestato dal nuovo Regional Refugee and Resilience Plan (3RP) per
l’anno 2015. La strategia di recovery prevista da quest’ultimo è infatti allineata a quella del
Lebanon Crisis Response Plan 2014-2016, varato d’intesa tra il Governo libanese e l’UNDP, ed
entrambi prevedono, tra gli obiettivi, quello del potenziamento dei servizi e delle infrastrutture delle
comunità locali che ospitano i rifugiati. Gli esponenti delle Nazioni Unite operanti in Libano sono
dunque unanimi nel ritenere la stabilizzazione la nuova chiave strategica per il contenimento
dell’emergenza umanitaria e per il miglioramento delle condizioni di vita in Libano, a beneficio di
tutti gli abitanti.
6. Il ruolo della Cooperazione italiana in Libano
L’Italia gode di una positiva considerazione da parte della popolazione e delle autorità
libanesi in generale, nonché di una percezione di neutralità da parte delle diverse comunità
confessionali in Libano. Con circa 70 milioni di euro erogati in tre anni, la Cooperazione italiana
ha mantenuto gli impegni e rappresenta un interlocutore credibile agli occhi delle autorità e della
società libanesi. Il governo italiano ha disposto interventi in tutte le regioni libanesi e vanta una
presenza molto diffusa e consolidata, soprattutto grazie ai progetti realizzati da ONG italiane come
Armadilla e l’Associazione di Terra Santa, che dalle rispettive sedi a Beirut coordinano importanti
interventi anche sul territorio siriano. Nonostante le limitate risorse a disposizione, la Cooperazione
italiana è stata in grado di intervenire in alcuni settori d’importanza strategica per il paese (sviluppo
locale, sostegno alle municipalità, educazione), e pertanto anche per questo è riconosciuta come
un interlocutore rilevante e affidabile. Si ricorda infine l’intensa attività di promozione e
partecipazione finanziaria dell’Italia all’EU Regional Trust Fund in Response to the Syrian Crisis.
7. Raccomandazioni
1. Rafforzare il programma di resettlement italiano, anche per valorizzare e rafforzare il
sostegno all’avvio di iniziative coordinate al livello UE. I programmi di reinsediamento
devono essere intesi come una politica di cooperazione con il paese di prima accoglienza,
la cui definizione e gestione sono affidate al MAECI e al Ministero dell’Interno
congiuntamente. Al fine di salvaguardare le capacità e le competenze della società siriana,
insieme agli individui che ne sono espressione, l’Italia può accogliere anche coloro che
intendono intraprendere studi post-secondari. Il nostro Paese può rappresentare il luogo in cui
le conoscenze dei reinsediati si incontrano e si sviluppano, per consentire che esse siano
reinvestite nel momento in cui la Siria sarà chiamata alla sua ricostruzione culturale, politica ed
economica.
 Promuovere l’approvazione di una risoluzione che impegni il Governo a un deciso
rafforzamento del programma di resettlement capace di coinvolgere almeno 2’000
profughi dal Libano entro il 2016, e definendo programmi d’accoglienza e
d’integrazione specifici.
2. Mantenere le risorse per i programmi di protezione e di assistenza dei profughi in Libano e
incrementare le risorse da destinare ai programmi di early recovery, stabilizzazione
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ricostruzione e riabilitazione, nell’ottica di un rafforzamento della partnership con UNDP
Lebanon per la stabilizzazione dell’economia libanese.
 Intervenire sull’implementazione del documento di programmazione triennale della
Cooperazione italiana (2015-2017);
 Promuovere l’approvazione di una risoluzione che impegni il Governo ad assicurare
una corrispondente definizione delle priorità nel prossimo decreto-legge sulle
missioni internazionali (settembre 2015) e nella relativa attuazione.
3. Sostenere e incentivare le iniziative di cooperazione decentrata tra enti territoriali italiani
e libanesi (Programma UNDP – Sistema Italia), in un’ottica di condivisione dei modelli virtuosi
di gestione e sviluppo del territorio del Sistema Italia, per i quali si è registrata una forte
domanda da parte dei partner libanesi. Appare inoltre prioritario individuare nuovi strumenti di
contributo che possano coinvolgere anche il settore privato.
 Promuovere l’approvazione di una risoluzione che impegni il Governo ad assicurare
una corrispondente definizione delle priorità nel prossimo decreto-legge sulle
missioni internazionali (settembre 2015) e nella relativa attuazione.
 Promuovere la conversione del debito;
 Promuovere social development bonds, nonché misure per favorire l’incremento di
IDE italiani a favore delle PMI libanesi (in particolare operanti nel comparto agricolo e
edile, dove il maggior numero di rifugiati siriani è, ancorché illegalmente, impiegato, al
fine di apportar loro benefici indiretti dettati dal probabile aumento delle assunzioni ed
incremento dei salari corrisposti).
4. Promuovere la costituzione di un fondo internazionale per la scolarizzazione e
l’educazione dei minori rifugiati e nei campi profughi, per restituire loro una vita normale, fatta
anche di lavoro e studio, e sottrarli al rischio di radicalizzazione al quale sono esposti.
 Favorire l’approvazione di una risoluzione che impegni il Governo a promuovere la
costituzione di un fondo internazionale per la scolarizzazione e l’educazione dei
minori rifugiati e nei campi profughi.
5. Attraverso l’utilizzo della via diplomatica e di un deciso rilancio delle iniziative di diplomazia
parlamentare, rafforzare il ruolo dell’Italia come interlocutore delle istituzioni libanesi per
avviare un intenso policy dialogue al fine di:
a)
b)
c)
facilitare il riconoscimento della presenza temporanea dei rifugiati e procedere
alla loro identificazione e registrazione;
assicurare il riconoscimento ai rifugiati di alcuni diritti fondamentali, a partire
dall’accesso ai servizi essenziali, prioritariamente quelli educativi e sanitari;
promuovere la concessione ai rifugiati di un permesso di lavoro, anche se in
modo saltuario e precario, e il riconoscimento di un reddito minimo che ne permetta
la sopravvivenza.
 Promuovere una nuova missione parlamentare in Libano nel mese di settembre che
includa una visita agli ITS nella Valle di Beqaa;
 Rilanciare il Gruppo d’Amicizia Italia-Libano per favorire una costante interlocuzione
con i rappresentanti politici libanesi, anche al fine di promuovere un rafforzamento delle
fragili istituzioni libanesi e incentivare un loro regolare funzionamento nel perimetro
costituzionale, anche per incoraggiare una riforma del sistema elettorale in linea con gli
standard internazionali, in vista delle elezioni politiche rimandate al 2017.
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