Goffman, Introduzione ai concetti dell`ordine dell`interazione

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Goffman, Introduzione ai concetti dell`ordine dell`interazione
Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
1. Il frame come realtà organizzativa e cognitiva
In qualunque situazione sociale di interazione la domanda fondamentale alla quale il comportamento, orale
e gestuale, è leggibile come risposta è “che cosa sta succedendo qui?”. La definizione della situazione è
un’attività necessaria e continua perché l’interazione tra persone possa avviarsi e svilupparsi.
Le persone che interagiscono definiscono la situazione in quel momento, ma non fanno questo impiegando
significati che inventano loro. La definizione della situazione è un’attività che è fatta dalle persone in quella
situazione, ma che è fatta attraverso significati che sono già esistenti e che vengono impiegati, adattati, gestiti
in quello specifico momento.
L’interazione è condotta attraverso regole e criteri che non sono inventati di volta in volta dalle persone che
interagiscono, ma sono socialmente definiti. Si può parlare, cioè, di una sorta di intelaiatura dell’interazione.
Di una sorta di “scheletro” che permette all’interazione di stare in piedi, cioè di avviarsi e svilupparsi lungo
dei binari che le persone in interazione sanno riconoscere e seguire, realizzando così quella cooperazione
sociale senza la quale non sarebbe possibile interagire.
Goffman ha chiamato questa struttura frame (in inglese una cosa che “tiene su da dentro” e che “tiene unita
una pluralità di elementi”, si potrebbe tradurre con intelaiatura (tiene su da dentro) e cornice (tiene uniti
elementi diversi)).
Frame è una realtà contemporaneamente organizzativa e cognitiva.
Organizzativa = perché esiste e ordina l’interazione indipendentemente dalle specifiche modalità dei singoli
individui di stare nell’interazione.
Cognitiva = perché dà alle persone in interazione i mezzi per poter riconoscere e interpretare i significati di
ciascuna specifica situazione e orientare così la conoscenza e anche l’azione in modo socialmente dotato di
significato.
Per questa loro caratteristica di essere una realtà sociale durevole nel tempo, i frame possono essere studiati
sia dal punto di vista dei partecipanti all’azione, sia dal punto di vista esterno al frame, come strutture,
appunto (ed es. il gioco, uno spettacolo teatrale).
Dunque il frame:
è un prodotto dell’attività sociale e ha quindi una doppia natura:
individuale, perché è interiorizzato dagli individui che ne fanno uso in modo libero, ma socialmente
coordinato e spesso non ne sono consapevoli, se non in piccola parte
sociale, perché è “fuori” dell’individuo, è condiviso tra i membri di una collettività e fornisce il contesto nel
quale l’esperienza dell’interazione si può sviluppare.
Dal punto di vista del funzionamento dell’interazione il frame
consente il coordinamento che rende possibile l’interazione
perché è una struttura-cornice
sia organizzativa (riguarda regole e logiche di comportamento)
sia cognitiva (riguarda i significati sociali in gioco nell’interazione).
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
Situazioni differenti sono distinguibili proprio per i differenti frame che ne definiscono i significati e il contesto
di azione. Il lavoro di attribuzione di un frame ad una situazione viene chiamato da Goffman framing.
2. Che cosa sta succedendo qui?
A quali regole e significati si ricorre per rispondere alla domanda cosa sta succedendo qui?
Come si riconosce un evento?
In base a che cosa si distingue un evento tra reale e non reale?
Che differenza c’è tra la realtà e il giocare a qualcosa di reale?
Giocare è un’attività reale? in che senso?
Interagire con gli altri comporta sempre un lavoro di interpretazione, perché l’interazione può
svilupparsi solo se i partecipanti condividono la definizione della situazione nella quale si trovano e
che contribuiscono a realizzare. Per avere aspettative di ruolo è necessario non solo che si conosca
già quali comportamenti sono socialmente associati a quel ruolo, ma è anche necessario che la
presenza di quel ruolo in quella situazione appaia coerente con il significato che i partecipanti danno
a quella situazione.
L’interazione si sviluppa all’interno di strutture di interpretazione degli eventi. Queste strutture di
interpretazione sono dei modi socialmente stabilizzati di definire i significati delle situazioni, in modo
che i partecipanti possano aspettarsi che cosa (in senso molto generale) sta per accadere in base alla
definizione che condividono di quella situazione. Molte volte accade anche che non ci sia una
condivisione della definizione della situazione e questo comporta dispute e anche conflitti.
Una distinzione di base introdotta da Goffman è quella tra interazioni che si sviluppano in situazioni
che sono definite dai partecipanti come trasformazioni di situazioni reali e interazioni che si
sviluppano in situazioni la cui realtà è considerata essere non trasformata, basica, primaria. Giocare
agli indiani è un tipo di interazione che fa riferimento alla realtà degli indiani, ma la trasforma
prendendone solo alcuni tratti e facendone un tipo di situazione interazionale specifico, distinto dalla
realtà non trasformata degli indiani veri. È ovvio, ma vale la pena evidenziare, che giocare agli indiani
è un tipo di realtà diverso da essere indiani, proprio perché dall’interazione strutturata dal gioco si
può uscire ed entrare, l’interazione di gioco ha una durata definita e spazi e forme (oggetti,
comportamenti, abbigliamento, parole) specifici, mentre non si può smettere di essere indiani e può
essere già molto complicato cercare di farsi passare per non indiani.
Dal punto di vista che ci interessa qui, cioè quello delle possibilità di avvio e sviluppo dell’interazione,
è chiaro che queste sopra accennate sono situazioni caratterizzate da due realtà diversissime, nelle
quali le possibilità interazionali – cioè quello che ci si può ragionevolmente aspettare dai partecipanti
all’interazione – trovano direzioni molto diverse di sviluppo. Infatti, dai partecipanti al gioco mi potrò
aspettare comportamenti congruenti con il giocare, ma non comportamenti che impongono
sospensione o rottura della situazione del gioco (che possono accadere, ma, appunto, a costo di
sospendere o rompere il frame del gioco); da un’interazione tra indiani veri è possibile aspettarsi
modalità di interazione molto più numerose e diverse, proprio perché è la loro vita quotidiana.
In che modo nella società occidentale interpretiamo gli eventi delle situazioni non trasformate?
Ad un primo livello di interpretazione molto generale, dice Goffman, accade che «quando l'individuo
della nostra società occidentale riconosce un particolare evento, tende, qualsiasi altra cosa egli
faccia, a implicare in questa risposta (e di fatto a impiegare) una o più strutture o schemi di
interpretazione di un certo tipo che può essere definito primario» (Goffman, Frame Analysis, 65).
Goffman chiama primari questi schemi o strutture (frameworks) di interpretazione dei significati
perché l'applicazione di questo framework definisce quella situazione come realtà letterale, non
trasformata. Questo framework o questa «prospettiva interpretativa è vista da quelli che la
applicano come non dipendente da o riferibile ad alcuna interpretazione precedente o "originale"»
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(Goffman, Frame Analysis,65), appunto una realtà non trasformata.
Come vengono organizzati i significati? Se è abbastanza facilmente intuibile che i significati (oggetti,
comportamenti, parole specifiche, regole specifiche eccetera) di un gioco, di una rappresentazione
teatrale, di una prova tecnica, di una cerimonia, di una fabbricazione, siano organizzati in relazione
ad alcune caratteristiche della realtà di cui il gioco è la trasformazione, lo stesso non si può dire delle
situazioni che non sono trasformazioni di altre; in queste situazioni non c’è una realtà di riferimento
che permette di organizzare i significati secondo un certo ordine, e allora che cosa permette di
organizzare i significati? Sono i framework stessi che offrono un’organizzazione dei significati,
associando tra loro elementi della realtà che altrimenti non avrebbero significato. Ad esempio, di
fronte ad un terremoto possono essere sviluppate interpretazioni strutturate differenti, la cui
differenza consiste proprio nell’individuare e collegare tra loro eventi specifici. Gli etruschi
collegavano l’evento sismico con le viscere di alcuni animali uccisi per sacrifici religiosi che venivano
impiegate per interpretare il futuro. Di fronte ad un terremoto si sarebbero chiesti se nelle viscere di
animali uccisi poco prima del terremoto avrebbero potuto esserci i segni (socialmente stabiliti) di un
imminente terremoto. I moderni, invece, associano il terremoto ad altri segni come movimenti
sotterranei, spostamenti delle placche terrestri. Dal punto di vista della logica dell’interpretazione,
entrambe le interpretazioni sono strutturate, cioè non sono improvvisate da una persona, ma
rinviano a ruoli sociali (aruspice o geologo), a saperi ufficiali, a strumenti impiegati nell’analisi. Allora,
un framework primario associa elementi che in quella associazione strutturata acquistano significati
specifici, e li organizza in una prospettiva interpretativa socialmente condivisa.
È importante tenere chiaro che anche la realtà non trasformata è caratterizzata da frames, da
prospettive interpretative che definiscono la situazione. La differenza è che nel caso dei frameworks
primari la realtà è definita come non trasformazione di un’altra realtà letterale, mentre nei
frameworks secondari (key, fabbricazioni e altri) la realtà è definita – che sia da tutti i partecipanti1 o
anche solo da qualcuno dei partecipanti2 – come trasformazione di un’altra realtà letterale. Dunque
ogni interazione umana è strutturata da frames. Non sono possibili interazioni senza frames, perché
non ci sarebbe né una direzione dell’interazione (frame come struttura), né la focalizzazione che il
frame come cornice permette, selezionando cosa e chi includere nell’interazione e cosa e chi lasciare
fuori, anche se presente in quello stesso spazio. Le interazioni strutturate da frames di
trasformazione tendono ad essere più selettive e più focalizzate di quelle che possono svilupparsi nei
frames che definiscono la realtà letterale. In generale possiamo dire che la realtà letterale è
“popolata” di frames che si intersecano gli uni negli altri, questo accade anche nelle interazioni
strutturate da frames di trasformazione, ma ciò che chiamiamo vita quotidiana può mostrare
un’abbondanza di frames maggiore di interazioni strutturate da keys o fabbricazioni.
È interessante, in questa prospettiva, un esempio dello stesso Goffman:
«Un uomo finisce di dare istruzioni al suo postino, saluta una coppia che passa, sale in macchina
e parte. Certamente questo segmento di realtà è il genere di cosa che gli scrittori da James in
poi hanno avuto in mente come realtà di tutti i giorni. Ma chiaramente, il sistema del traffico è
un dominio di ruolo relativamente ridotto, impersonale eppure strettamente collegato al
mondo circostante; i saluti fanno parte dell'ordine rituale in cui l'individuo può rappresentare se
stesso, un regno d'azione che è collegato al mondo, ma in un modo speciale e limitato. Il dare
istruzioni appartiene al regno dei ruoli occupazionali, ma è improbabile che lo scambio sarà
avvenuto senza rasentare il genere delle chiacchiere in un altro dominio ancora. La competenza
fisica esibita nel dare e ricevere una lettera (o nell'aprire e chiudere la portiera di una
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Come nei keys: gioco, teatro, dimostrazione, prove tecniche, cerimonie, simulazioni.
Come nelle fabbricazioni: inganni, scherzi, spionaggio e altro.
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macchina) appartiene a un altro ordine ancora: la gestione corporea di oggetti fisici con la
mano. Inoltre, una volta che il nostro uomo va per la sua strada, il guidare può diventare una
routine e la sua mente potrebbe abbandonare la strada e lasciarsi andare a momenti di fantasia.
Improvvisamente trovandosi in una posizione difficile, egli potrebbe allo stesso tempo evadere
fisicamente e pregare, mischiando il "razionale" e l’“irrazionale" in modo disinvolto come
farebbe un primitivo, o in modo caratteristico. Si noti che tutte queste attività diversamente
incorniciate potrebbero essere classificate sotto il termine "ruolo" - per esempio il ruolo di
subordinato - ma ciò fornirebbe una concettualizzazione troppo grossolana per i nostri scopi.
Naturalmente, questo intero segmento stratificato di framings sovrapposti potrebbe
certamente essere trasformato in un insieme per la presentazione sullo schermo, e lì sarebbe
sistematicamente diverso da una laminazione; tale trasformazione darebbe infatti all'insieme un
diverso stato di regno da quello originale. Ma ciò di cui la versione cinematografica sarebbe una
copia, come dire un non reale esempio di, sarebbe esso stesso qualcosa che non era omogeneo
rispetto alla realtà, qualcosa pieno di vari framings e i loro vari regni.
E sullo stesso argomento, una proiezione di un film potrebbe essere vista essa stessa
come parte del mondo ordinario. È possibile immaginare facilmente le circostanze in cui un
individuo ha assistito alla proiezione ed è diventato coinvolto i n questa offerta come una fase
di un'uscita di una sera - un giro che potrebbe includere mangiare, parlare e altre cose.
Riconoscendo questo, si può immaginare le circostanze in cui colui che va al cinema potrebbe
paragonare la realtà del giro della sera con il guardare un dramma televisivo in cui viene
rappresentata tale serata. Al contrario, in tribunale, dovendo trovare un alibi, il nostro individuo
potrebbe sostenere che è andato veramente al cinema nella particolare serata in questione, e
che fare così era per lui una cosa ordinaria, tranquilla, di tutti i giorni, quando invece aveva fatto
qualcos'altro» (Goffman, Frame Analysis, p. 575-576).
Rispetto alle strutture di interpretazione (frameworks) primarie Goffman distingue tra:
Le strutture (di interpretazione degli eventi come) naturali identificano gli eventi visti come non
indirizzati, non orientati, inanimati, non guidati, "puramente fisici". Tali eventi non guidati sono
interpretati come dovuti interamente, dall'inizio alla fine, a determinanti "naturali". Si osserva che
nessuna forza di volontà interferisce causalmente e intenzionalmente, che nessun attore guida
ininterrottamente il risultato. Non è immaginabile un successo o un fallimento riguardo a questi
eventi, non sono implicate sanzioni negative o positive.
Ad es: la neve, la pioggia, il sole, la salute, la malattia, ecc ecc definiscono situazioni nelle quali la
presenza di neve, pioggia, ecc ecc non è attribuita alla volontà di nessuno: «non sono venuto al
cinema perché avevo la febbre»; «la telefonata si è interrotta a causa di un fulmine che ha fatto
saltare la linea»; «domani pioggia in Piemonte e sole in Toscana», «la macchina che guidavo è andata
fuori strada per via di una macchia d’olio sull’asfalto», «la medicina mi ha fatto passare l’influenza»,
«una valanga ha colpito due sciatori» ecc, ecc (trovate altri esempi).
Le strutture (di interpretazione degli eventi come) sociali forniscono una comprensione di sfondo
per gli eventi che includono la volontà, lo scopo e lo sforzo di controllo di un'intelligenza, una entità
agente viva, di cui la più importante è l'essere umano. Una tale agenzia è tutto tranne che
inflessibile, può essere incitata, adulata insultata e minacciata.
Ciò che essa produce può essere definito come "attività guidate". Tali attività sottomettono chi
agisce ai "modelli standard'': alla valutazione sociale della sua azione basata sull'onestà, l'efficienza,
l'economia, la sicurezza, l'eleganza, il tatto, il buon gusto e così via. Si sostiene un controllo correttivo
continuo che diventa più evidente quando l'azione viene inaspettatamente bloccata o sviata e si
richiede uno speciale sforzo di compensazione.
Un esempio di attività guidata potrebbero essere le previsioni del tempo del telegiornale. In questo
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caso si ha a che fare con atti compiuto dalla persona che dice le previsioni, non semplici eventi (come
nel caso della pioggia, sole ecc descritte nel bollettino meteo emesso dall’istituto di previsioni
meteo). Altri esempi possono mostrare utilmente come la distinzione tra i due framework possa
emergere anche rispetto all’incorniciamento della medesima situazione: “il sole mi abbagliava (f.
naturale), così ho chiuso la tenda (f. sociale)”; “abbiamo aspettato che smettesse di piovere (f.
naturale) e poi abbiamo ricominciato a giocare (f. sociale)”; l’interazione del medico con il corpo del
paziente fornisce molte situazioni nelle quali il frame naturale e sociale possono essere in tensione: il
medico può toccare parti delicate/intime del corpo del paziente solo nell’ambito di un frame
chiaramente condiviso come naturale, mentre il/la paziente può percepire come fonte di tensione e
di indebita intrusione il medesimo gesto compiuto dal medico nel contesto di un frame sociale, in cui
l’atto può essere attribuito a significati/motivazioni erotizzanti il corpo del/della paziente.
Alcuni esempi di framework di trasformazioni
i) Il key
Goffman chiama key (chiave) “l’insieme di convenzioni sulla base delle quali un’attività, già
significativa in termini di una qualche struttura primaria, viene trasformata in qualcosa di modellato
su questa attività, ma visto dai partecipanti come qualcosa d’altro” (gioco, teatro, simulazioni,
dimostrazioni, cerimonie) e dà la seguente definizione di keying:
È implicita una trasformazione sistematica attraverso materiali già significativi secondo uno schema
di interpretazione, e senza il quale il keying sarebbe privo di significato.
Coloro che partecipano all'attività dovrebbero sapere e riconoscere apertamente che si ha
un'alterazione sistematica, un'alterazione che ricostituirà radicalmente ciò che per i partecipanti
stessi sta accadendo.
Ci saranno segni per stabilire quando deve iniziare la trasformazione e quando deve finire, cioè ci
saranno dei limiti temporali entro cui la trasformazione deve essere contenuta. In modo simile, ci
saranno altre parentesi spaziali ad indicare i confini al l'interno dei quali il keying ha luogo in quella
occasione.
Il keying non è limitato agli eventi percepiti entro qualsiasi particolare classe di prospettive. Così
come è possibile giocare ad attività orientate in modo piuttosto strumentale, come la falegnameria,
così è anche possibile giocare a rituali come cerimonie nuziali, o anche nella neve giocare a essere un
albero che cade, anche se certamente gli eventi percepiti entro uno schema naturale sembrano
meno soggetti al processo di keying rispetto a quelli percepiti all'interno di uno schema sociale.
Per i partecipanti giocare alla lotta e giocare a dama danno la sensazione di essere più o meno la
stessa cosa - decisamente più di quando queste due attività sono fatte con la massima convinzione,
cioè sul serio. Perciò la trasformazione sistematica che un particolare keying introduce potrebbe
alterare solo leggermente l'attività così trasformata, ma cambia completamente ciò che un
partecipante direbbe stia accadendo. In questo caso, la lotta e il gioco della dama sembrerebbe che
si stiano verificando ma in realtà, fin dal principio, i partecipanti potrebbero dire che l'unica cosa che
sta veramente accadendo è gioco. Un keying allora, quando ce n'è uno, gioca un ruolo cruciale nel
determinare che cos'è che noi pensiamo stia realmente accadendo». (Frame Analysis, 84-86).
Nell’attività di interpretazione attraverso l’applicazione di keys – detta keying - il gioco è un tipo di
interazione che viene sviluppata in base a queste regole generali:
«a) L'atto del gioco è effettuato in modo tale che non viene realizzata la sua funzione ordinaria. Il
partecipante più forte e più competente si trattiene abbastanza per essere un avversario alla pari per
il più debole e meno competente.
b) Alcune azioni vengono compiute in modo esageratamente plateale.
c) La sequenza di attività che serve come modello non viene seguita fedelmente, né pienamente
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completata, ma è soggetta a cominciare e a interrompersi, a ripetersi, ad avvenire in modo
discontinuo per un breve periodo di tempo, a mescolarsi con sequenze tipiche di altre serie di azioni.
d) Si verifica un alto grado di ripetitività.
e) Quando più di un partecipante è coinvolto, tutti devono essere liberamente disponibili a giocare, e
ciascuno ha il potere di rifiutare un invito a giocare o (se è un partecipante) di terminare il gioco una
volta che è cominciato.
f) Nel corso del gioco si verificano frequenti scambi di ruolo, che risultano in una confusione
dell'ordine dominante che esiste tra i giocatori durante attività reali.
g) Il gioco sembra essere indipendente da ogni bisogno esterno dei partecipanti, e spesso dura più a
lungo di quanto dovrebbe l'effettivo comportamento sul cui modello è basato.
h) Sebbene la giocosità (playfulness) può certamente essere sostenuta da un singolo individuo nei
confronti di un sostituto di un qualche genere, la giocosità solitaria cede alla giocosità collettiva
quando compare un altro elemento utile a questo scopo, che in molti casi può essere un membro di
un'altra specie.
i) Presumibilmente, ci sono segnali che indicano l'inizio e la fine della giocosità» (Frame Analysis,
p.84).
Un secondo esempio è il key delle Occasioni sociali celebrative o cerimonie.
“Sono raduni di individui con ammissione controllata, in onore di una qualche circostanza il cui
significato è condiviso da tutti i partecipanti. In queste situazioni l’interazione si sviluppa secondo
queste strutture ricorrenti:
stato d’animo o clima comune, che delimita i confini del coinvolgimento
arrivo coordinato e anche allontanamento coordinato (tutti arrivano entro e per un medesimo inizio
e tutti vanno via al medesimo momento)
l’occasione sociale include spesso un’esibizione da podio
questa occasione sociale costituisce a sua volta lo sfondo per molte piccole iniziative interazionali
differenti e ben definite, conversazionali o meno (es. le persone che si salutano, ma anche quelli che
parlano a bassa voce durante la cerimonia)
prima dell’inizio e dopo la conclusione c’è un periodo considerato disponibile per la socialità non
coordinata (incontri conversazionali)
vi sarà un programma o un ordine del giorno dell’esibizione dal podio
specializzazione delle funzioni tra inservienti, organizzatori e partecipanti non ufficianti
l’occasione celebrativa è attesa e ricordata come un evento unitario
una volta cominciata proseguirà fino al suo termine, senza possibilità di interruzioni, se non per casi
di forza maggiore (es. riti civili, come cerimonie per il 25 aprile, festa della repubblica ecc…,
matrimoni civili; riti religiosi, come messe, matrimoni religiosi ecc, cerimonie politiche, come comizi,
incontri di partito in un teatro, ecc). Per confronto, alcuni esempi di attività per le quali nel loro
svolgimento normale si prevedono interruzioni: intervalli al cinema e al teatro, ricreazione a scuola
ecc..
Questi concetti ci danno i mezzi per chiarirci i tipi possibili di risposte alla domanda “che cosa sta
succedendo qui?” Nell’ambito dei keys la risposta può essere di contenuti molto diversi, ma rispetto
al lavoro di contenimento dell’interazione all’interno di una cornice di significati, le risposte possono
essere di due tipi:
in termini di frame (o prospettiva dell’assorbito nel frame): «il re Artù ha appena sguainato la spada
e sta per difendere Ginevra» o «La piccola lontra sta per attaccare sua madre» o «il suo alfiere sta
per minacciare il mio cavallo».
in termini di analisi di frame (o dall’esterno del frame): «Nel romanzo di Scott, l'autore fa fare al
protagonista lvanhoe ogni genere di stranezza», «Le lontre non stanno combattendo veramente»,
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«Gli uomini sembrano giocare a un qualche genere di gioco da tavolo», “stiamo giocando a scacchi”
Le risposte in termini di frame «hanno una finalità esperienziale introspettiva. Esse funzionano fino
a che i partecipanti possono sentirlo possibile entro l'universo di significato sostenuto dall'attività
– entro quello che si potrebbe chiamare un regno (solo alcuni regni dovrebbero essere considerati
come mondi, poiché solo alcuni possono essere considerati "reali" o "effettivi")».
«Tutto ciò permette un altro tipo di approccio ai termini della realtà. Le azioni incorniciate
interamente nei termini di una struttura primaria si definiscono reali o effettive, si dice che stanno
succedendo realmente o effettivamente o letteralmente.
Un keying di queste azioni messe in scena, diciamo rappresentate, ci fornisce qualcosa che non è
reale, letterale o che non sta effettivamente accadendo. Nonostante questo, noi diremmo che la
rappresentazione di queste azioni stava accadendo realmente.
L'attività non letterale è letteralmente quella, o meglio lo è se seguiamo l'uso comune.
Infatti il reale, o ciò che avviene effettivamente, sembra essere un insieme di fatti molto vario
contenente eventi percepiti all’interno di una prospettiva primaria e anche eventi trasformati
quando questi sono identificati in base al loro status come trasformazioni.
E a questo bisogna aggiungere il reale che viene costruito retrospettivamente - richiamato alla mente
a causa del nostro modo di definire qualcosa che non può essere qualificato come reale» (Frame
Analysis, 87).
ii). Le fabbricazioni o contraffazioni (fabrication)
Goffman chiama fabbricazioni gli inganni, gli scherzi, i complotti e tutte quelle interazioni che si
caratterizzano per “lo sforzo intenzionale di uno o più individui di gestire l’azione in modo che una
persona o più persone verranno indotte ad avere una falsa percezione di ciò che sta succedendo”
(F.A., 125). Lo stesso segmento di attività che possiamo trovare nella realtà letterale, quindi, può
servire come modello per trasformazioni in due modi: con il keying, quando tutti i partecipanti sanno
e condividono il frame di trasformazione delle interazioni, con le fabbricazioni e complotti, quando
uno o più persone tra i partecipanti all’interazione hanno una percezione di quella situazione falsata
rispetto a quella degli altri partecipanti alla situazione interazionale.
Goffman distingue tra fabbricazioni benigne, nelle quali non ci sono danni per coloro che sono
“contenuti” nella fabbricazione (ad es. inganni scherzosi, beffe fatte con fini di esperimento da parte
di psicologi che studiano le reazioni ad un determinato comportamento, beffe con scopi di
formazione nell’addestramento di agenti dei servizi segreti ai quali viene chiesto di compiere atti
all’insaputa del pubblico) e fabbricazioni strumentali, nelle quali coloro che sono “contenuti”
ricevono un danno dalla fabbricazione o sono sottoposti a un qualche tipo di valutazione a loro
insaputa (truffe, barare al gioco, produrre merce contraffatta, pubblicità ingannevole, controlli
mascherati sul posto di lavoro).
3. Il concetto di co-presenza
Co-presenza = «sentirsi abbastanza vicini agli altri tanto da essere percepiti qualsiasi cosa stiano
facendo, incluso anche il loro esperire gli altri; e abbastanza vicini da “essere percepiti” in questa
situazione di essere percepiti» (Goffman Frame Analysis, 19).
a) Co-presenza e linea d’azione
“In tali circostanze ognuno può accorgersi di ciò che sta facendo l’altro, ma può anche vedere di
essere visto nel momento in cui vede le azioni dell’altro; così si crea una speciale reciprocità.
P può valutare le azioni di Q e adattare le proprie azioni di conseguenza, ma in situazioni di co7
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presenza Q può fare lo stesso, e sia P sia Q possono, quindi, adattare le proprie azioni per il fatto
che l’altro le sta adattando rispetto a lui.
In tali circostanze si crea un tipo di accordo secondo cui ciascuno prende sulla fiducia la linea
d’azione dell’altro. Ciò significa che non è necessario che le persone controllino continuamente
l’altro, perché quello che una persona fa è interpretato dall’altro come una linea d’azione e così
può si presumere cosa farà in seguito; cioè, l’altro è visto come se fosse impegnato in un progetto,
sul quale si può fare affidamento; di conseguenza colui che percepisce la linea d’azione dell’altro
può costruire la sua linea d’azione in virtù di questo. Inoltre, ovviamente, può fare questo alla luce
della sua stessa supposizione che l’altro supporrà che anche lui sia impegnato in un progetto”
(Kendon)
La co-presenza è quindi la prima condizione dell’interdipendenza delle azioni dei partecipanti di
un’interazione. Ciò cambia l’idea stessa di interazione da semplice coppia a una pluralità di
individui. Da semplice scambio a un reticolo di connessioni che fanno l’interdipendenza.
b) Co-presenza e informazioni
«Quando gli individui per qualsiasi ragione si trovano alla immediata presenza l’uno dell’altro,
diviene chiarissima una fondamentale condizione della vita sociale, il suo carattere di visibilità
pubblica. Non solo il nostro aspetto e le nostre maniere forniscono indizi sul nostro status e sulle
nostre relazioni. Ma anche la direzione del nostro sguardo, l’intensità del nostro coinvolgimento e
la modalità del nostro comportamento iniziale permettono agli altri di racimolare informazioni sui
nostri scopi e intenti immediati, e tutto ciò indipendentemente dal fatto che stiamo o meno
conversando con loro» (Goffman, L’ordine dell’interazione, 46-47)
Ogni volta che le persone sono copresenti sono fonte di informazione per l’altro indipendentemente
dal fatto che stiano o meno conversando. In ogni raggruppamento i partecipanti suppongono di
dare informazioni in 2 modi, cioè dal punto di vista dei partecipanti l’informazione può essere data
in due modi: fornire informazioni ed emettere informazioni
fornire informazioni = “Quando una persona fornisce informazioni lo fa attraverso azioni che sono
considerate volontarie, per cui è ritenuto responsabile di ciò che fornisce. Ciò significa che, di
regola, l’informazione fornita è data attraverso l’uso di azioni simboliche – cioè, azioni che sono
reciprocamente riconosciute come azioni che si riferiscono a qualcos’altro. In questo senso,
quando parliamo, forniamo l’informazione attraverso il contesto di ciò che diciamo – sebbene,
oltre al parlare, ci sono molti altri modi per fornire informazioni”. (Kendon)
emettere informazioni = “informazioni che vengono date che la persona lo voglia o meno; è un
prodotto immancabile ed inevitabile della sua presenza e delle sue azioni. Posso indicarti la strada
per arrivare alla cattedrale ma nel farlo trasmetto, attraverso la scelta delle parole, attraverso il
mio accento e così via, informazioni aggiuntive. Queste informazioni aggiuntive sono trasmesse
piuttosto che fornite” (Kendon)
l’informazione è definita qui esaminando come i partecipanti all’interazione la considerano, non se
essa sia effettivamente volontaria o involontaria.
I partecipanti selezionano solo alcuni aspetti del comportamento degli altri come intenzionali e
agiti per trasmettere qualche informazione.
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“Nelle conversazione è quello che generalmente è chiamato “contenuto della conversazione” ad
essere considerato in questo modo, non il modo di parlare, e certamente non la disposizione del
corpo e le disposizioni ecologiche in cui la conversazione è condotta(Kendon)
c) Co-presenza e coordinazione dell’agire
«Quando gli individui sono alla presenza l’uno dell’altro sono ammirevolmente
situati per condividere un comune centro di
attenzione, percepire che lo stanno facendo e
percepire questa percezione.
Ciò, insieme alla loro capacità
di indicare cosa stanno per fare e
di trasmettere rapidamente le loro reazioni a tali indicazioni da parte
degli altri, costituisce la precondizione di un fenomeno basilare:
la continua, intima coordinazione dell’agire,
sia a sostegno di compiti da eseguire in stretta collaborazione,
sia come mezzo per permettere a quelli [compiti] adiacenti di svolgersi l’uno a stretto contatto
con l’altro» (Goffman, L’ordine dell’interazione, 47)
d) Co-presenza e forme di identificazione, categorica e individuale
«la caratterizzazione che un individuo può farsi di un altro osservandolo e udendolo è organizzata
intorno a due forme fondamentali di identificazione: quella categorica che implica la collocazione
dell’altro in una o più categorie sociali, e quella individuale, mediante la quale il soggetto osservato
è legato a una identità che
lo distingue unicamente attraverso l’apparenza, il tono della voce, il proprio nome e altri strumenti
che lo differenziano dalle altre persone. Questa duplice possibilità – l’individuazione categorica e
quella individuale
– è fondamentale per la vita dell’interazione in ogni comunità, escluse quelle piccole e isolate
ormai estinte, e infatti la troviamo anche nella vita sociale di altre specie» (Goffman, L’ordine
dell’interazione, 48).
Fare attenzione: Goffman NON intende l’identificazione individuale in relazione alle qualità personali
definite in modo connotativo (bello, brutto, buono, cattivo, espansivo, timido, sincero, bugiardo ecc…),
ma in relazione a tratti percepibili con i sensi (vista, udito, olfatto, tatto) che vengono letti
dall’interlocutore come tratti specifici di quella persona e non marcatori della sua possibile o certa
collocazione in una o più categorie sociali. Ad esempio: il velo islamico in testa ad una donna è letto da
un interlocutore che parla con lei come un elemento comunicativo in base al quale lui può collocare la
donna nella categoria dei musulmani, ma il tono squillante della voce della donna l’interlocutore non
lo legge come un elemento in base al quale collocare la donna in una categoria sociale, lo legge come
una caratteristica individuale, cioè che differenzia lei da altre donne. Lo stesso si può dire del nome,
del documento di identità, di un neo sul volto, ecc..).
Ciò che è importante da capire è la differente logica presente in queste due forme di identificazione:
l’identificazione categorica opera attraverso la lettura di un elemento (oggetto, suono, significato)
come marcatore di un’appartenenza ad una categoria sociale. L’identificazione individuale opera
leggendo un elemento come tratto di una specificità o differenza di quell’individuo rispetto ad altri
individui. Altra cosa importante è tenere sempre presente che il punto di vista è sempre quello di chi
opera questo lavoro di interpretazione dei segni, non quello del dato “oggettivo”. Ad esempio, una
persona che non ha mai visto un velo islamico indossato e non sa che le donne musulmane lo indossano,
quando vede per la prima volta una donna che indossa il velo islamico può interpretarlo attraverso
un’identificazione individuale, cioè pensare che sia un modo originale e un po’ estroso di quella
persona di indossare un copricapo.
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
e) Co-presenza e territorialità personale
«Quando si trovano nell’immediata presenza l’uno dell’altro, gli individui devono
necessariamente affrontare le contingenze legate alla territorialità personale. Per
definizione, possiamo partecipare alle situazioni sociali solo se portiamo con noi i nostri
corpi e il loro equipaggiamento e questa attrezzatura è vulnerabile da quella che gli altri
portano con i loro corpi. Siamo vulnerabili all’assalto fisico, alle molestie sessuali, ai
rapimenti, alle rapine e all’ostruzione dei nostri movimenti sia attraverso l’applicazione non
negoziata della forma sia, più comunemente, attraverso uno “scambio coatto”, cioè
attraverso quel tacito accordo mediante il quale cooperiamo con l’aggressore in cambio
della promessa di non ricevere tutti i danni resi possibili dalle circostanze. Similmente,
quando siamo alla presenza di altri diveniamo vulnerabili all’intrusione delle loro parole e
dei loro gesti nelle nostre riserve psichiche e all’infrazione di quell’ordine espressivo che ci
aspettiamo venga mantenuto in nostra presenza» (Goffman, L’ordine dell’interazione, 49).
Dire che noi siamo resi vulnerabili da questi modi di interazione vuol anche dire che siamo in
grado di controllare quegli stessi modi come delle risorse che possiamo utilizzare per
rendere gli altri vulnerabili da parte nostra.
Goffman prosegue:
«La territorialità personale non deve essere considerata meramente in termini di
costrizioni, proibizioni e minacce. In tutte le società esiste un fondamentale dualismo di
uso, tale che molte forme di comportamento mediante le quali possiamo essere trattati
offensivamente da una categoria di altri sono intimamente alleate a quelle mediante le
quali i membri di un’altra categoria possono appropriatamente mostrare i loro legami con
noi. Allo stesso modo, ciò che è arrogante pretendere da noi diviene una cortesia o un
segno d’affetto se siamo noi ad offrirlo: le nostre vulnerabilità rituali sono anche le nostre
risorse rituali. Così, violare i territori del self significa anche corrompere il linguaggio della
cortesia. Quindi sia opportunità che rischi sono inerenti al linguaggio della co-presenza
fisica» (Goffman, L’ordine dell’interazione, 49).
Facciamo un esempio: una persona che entra in un negozio e, senza conoscere il
commesso, va direttamente dietro il banco per vedere e toccare una parte della merce
esposta, il commesso leggerà questa come una violazione della territorialità personale e
una minaccia per lui e reagirà dicendo a questa persona di andare dall’altra parte. Ma lo
stesso commesso, quando nel negozio entrasse una persona che conosce e questa fosse
con un bambino che andasse direttamente dietro al banco a vedere e toccare parte della
merce esposta potrebbe dire al genitore che lo richiama di lasciarlo fare, mostrando cortesia
e disponibilità a far entrare il bambino nella sua territorialità personale.
Altri esempi di questa duplice logica di vulnerabilità rituali e risorse rituali possono essere:
una persona che supera le persone che fanno la fila alla cassa; una persona che si
intromette nella conversazione altrui ecc..
Unità di partecipazione
“Il concetto di unità di partecipazione è stato introdotto da Goffman in Relazioni in pubblico
(1971: pp. 19- 27).
Goffman mette in evidenza che gli individui possono partecipare alle occasioni interazionali come
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
“singoli” e come membri di un “insieme”. Un buon esempio di un “insieme” è una “coppia” o un
“gruppo familiare” composto da genitori e figli. In una coda al cinema, per esempio, i “posti”
possono essere occupati da “coppie” o da “gruppi familiari”, e ad ogni individuo che costituisce
una parte di queste unità è accordata la stessa priorità nella coda. Le unità che compongono una
coda, quindi, se considerate dal punto di vista della sua organizzazione come occasione
interazionale, non sono individui ma “unità di partecipazione”, alcune delle quali possono essere
“singoli”, altre “insiemi”. “ (Kendon, 13, n.1)
4. Le piste dell’attività
“In ogni incontro sociale c’è sempre un aspetto dell’attività che si sta svolgendo che è considerato
come facente parte di una “pista principale” o di una “trama” [“trama” è da intendere qui non nel
senso teatrale di uno sviluppo del contenuto di azione, ma nel senso della trama del tessuto, cioè
una forma di organizzazione dei fili che struttura il tessuto]. Un campo d’azione è delineato come
rilevante allo scopo principale dell’incontro ed è orientato in quanto tale ed è trattato di
conseguenza. L’azione trattata in questo modo è considerata come volontaria e l’informazione
che data in questo caso è un’informazione fornita. Altri aspetti dell’attività che si sta svolgendo
non sono trattati in questo modo ma ciò non significa che essi non abbiamo un ruolo nel processo
interattivo”. (Kendon)
“Goffman propone di distinguere 4 tipi di “piste” presenti nell’interazione e nelle quali l’azione che si
sviluppa viene considerata volontaria dagli attori impegnati nell’interazione
pista direzionale nella quale “si trova un flusso di segni che è esso stesso escluso dal contenuto
dell’attività ma che serve come mezzo per regolarla, delimitando, articolando e qualificando le sue
varie componenti e fasi. Si potrebbe parlare qui di segnali direzionali e, per estensione metaforica,
della pista che li contiene” (Goffman Frame Analysis p. 243). Sono segnali direzionali che sono fuori
dalla trama principale, ma servono a strutturarla, come il cenno del capo, il tono della voce, i cenni
della mano, alzare le sopracciglia, emettere a bocca chiusa un suono tipo mm-hmm, piccoli
cambiamenti di posizione, conferendo un dato senso a ciò che è appena successo nell’interazione
e preparando ciò che segue. In generale Goffman inserisce qui i segnali paralinguistici e cinesici
che Bateson ha definito “regolatori” dello scambio che è sempre in atto nel parlare e
nell’ascoltare: “essi dicono al parlante di continuare, ripetere, elaborare, affrettarsi, divenire più
interessante, meno lascivo, dare la possibilità all’altro di parlare, ecc. Possono dire all’ascoltatore di
prestare particolare attenzione, di aspettare ancora un momento, di parlare, ecc.” (cit. in Goffman
F.A., 245)
pista della disattenzione (Goffman, F.A. 1974: 210) alla quale sono assegnati una varietà di azioni
che sono considerate come se non avessero affatto un ruolo nell’interazione. Goffman ha fatto
riferimento, in particolare, alla “liberazione di bisogni umani” – grattarsi, cambiare la posizione del
corpo e così via – che sono, per così dire, deviazioni consentite della disciplina comportamentale
che tutti i partecipanti in copresenza seguono come prezzo da pagare per essere considerati come
esseri umani normali e predicibili e che passano inosservati. Come lo stesso Goffman chiarisce, non
è che i partecipanti non notino e non rispondano alle azioni incluse nella pista della
disattenzione. Al contrario, si può mostrare che in molte situazioni esse svolgono un ruolo
importante nel processo interattivo.
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
È per mezzo delle azioni che sono trattate reciprocamente come appartenenti alla “pista della
disattenzione”, per esempio, che i partecipanti ad un incontro conversazionale possono mettersi
d’accordo su quando terminare l’incontro. Posso avvisarti che ho bisogno di spostarmi in qualche
altro posto con un certo cambiamento nella direzione dello sguardo, con una certa irrequietezza
nella postura, forse cambiando la velocità con cui svolgo un’attività collaterale, come bere o
fumare. Questi cambiamenti non sono considerati in modo ufficiale, non sono nemmeno
considerati come parte della mia espressione, eppure possono essere trattati, nondimeno, come
elementi che trasmettono certe precise informazioni circa le mie intenzioni attuali e permettono
all’altro di adattare la propria linea d’azione di conseguenza.
pista della comunicazione sovrapposta sono i messaggi che transitano a lato del frame e che non
comportano nessun riferimento alla trama dell’interazione in corso. I partecipanti li gestiscono in
modo disinteressato. Ad esempio, la pubblicità dagli altoparlanti nel supermercato ignorata da due
persone che stanno facendo la spesa insieme
pista dell’occultamento attività, significati o fatti che vengono occultati ai partecipanti
all’interazione anche se sono connessi con significati, attività o fatti rilevanti o connessi con
l’interazione (il backstage a teatro, l’occultamento di uno stigma, ecc).
Le informazioni e comunicazioni che avvengono attraverso le diverse piste sono importanti perché
consentono di realizzare e conservare quell’accordo sul frame, detto anche da Goffman consenso
operativo senza il quale l’interazione non potrebbe realizzarsi. Infatti il lavoro di comunicazione e
negoziazione sui significati e le azioni diversi dal contenuto esplicito è fondamentale per
consentire l’attivazione e la realizzazione dell’interazione.
5. Interazione focalizzata e interazione non focalizzata
Goffman ha distinto tra raggruppamenti focalizzati e raggruppamenti non focalizzati
raggruppamento focalizzato: i partecipanti sono organizzati in modo da mantenere un punto
focale di attenzione in comune. Esempi: occasioni di qualsiasi tipo di conversazione, partite di
tennis, coppie di ballerini, coppie di lavoratori che cooperano per portare a termine un compito
che richiede un’attenzione mantenuta in comune, interviste, colloqui, sedute di psicoterapia e
simili.
raggruppamento non focalizzato manca un punto focale comune e i vari partecipanti perseguono
linee di interessi indipendenti. Esempi: i pedoni per strada, gli utenti di una sala di lettura, persone
che aspettano in una sala d’attesa.
“Operando questa distinzione, e mostrando che una gran varietà di occasioni interazionali possono
essere adattate in questo modo, Goffman ha suggerito che occasioni che a prima vista sembrano
molto diverse hanno caratteristiche organizzative comuni. Attirando la nostra attenzione su queste
caratteristiche ci ha mostrato aspetti delle situazioni interazionali che non erano mai stati presi in
considerazione in modo sistematico prima. Inoltre, soprattutto attraverso la caratterizzazione
degli aspetti del raggruppamento
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
focalizzato, è riuscito a suggerire i modi in cui i vari aspetti del comportamento, finora non
considerati nello studio dell’interazione, dovevano invece giocare un ruolo cruciale” (Kendon,
12).
Attenzione: nell’interazione all’interno di raggruppamenti non focalizzati ci sono forme di coordinamento
che sono attuate tra gli attori. Non si deve quindi pensare che poiché manca un centro focale, allora non c’è
coordinamento.
Il coordinamento c’è ed ha, come sempre, forme ritualizzate, cioè in un certo senso standardizzate, di
modo che siano riconoscibili da tutti. È il caso del rituale minimo della “disattenzione civile” attuato nel
traffico pedonale: “in cui ciascun passante si comporta rispetto all’altro in modo da comunicare, allo stesso
tempo, il riconoscimento del passaggio di un altro essere umano e il riconoscimento dell’altrui diritto di
seguire una propria e indipendente linea d’azione. Già in questo minimo tipo di scambio, per esempio, lo
sguardo che i passanti si lanciano accordandosi reciprocamente sul non far incontrare i propri occhi,
facendo in questo
modo capire agli altri di non essere spaventati, ostili o di non guardare l’altro come un automa, possiamo
vedere che nella situazione del camminare per strada c’è molto più che il semplice guidare il proprio corpo
per passare tra gli altri. In quella che è apparentemente la più non focalizzata delle situazioni, possiamo
tuttavia scorgere una serie di accordi momentanei sul non mantenere un punto focale d’attenzione
comune ed in questo, sembra, abbiamo un esempio di interazione che ha alcune delle proprietà degli
scambi focalizzati. Si può osservare che in questi momenti di “disattenzione civile” due persone
coordinano le loro azioni su un comune obiettivo, pur accordandosi in questo caso sul non unirsi in un
punto focale d’attenzione comune. ” (Kendon 13).
Vi sono attività che mostrano caratteristiche in parte di raggruppamento non focalizzato e in
parte di raggruppamento focalizzato: ad esempio la coda.
“Si tratta di un esempio di raggruppamento focalizzato o non focalizzato? Una coda si forma
laddove un certo numero di persone vogliono tutti fare qualcosa che può essere fatta da una
sola persona (o piuttosto, per usare un utile concetto di Goffman, una “unità di partecipazione”)
per volta: comprare il biglietto per entrare nel cinema, ad esempio. A primo acchito, si potrebbe
pensare che una coda sia un raggruppamento focalizzato perché ogni partecipante è in attesa
per fare la stessa cosa: tutti focalizzano la propria attenzione sull’attività di comprare il biglietto.
Ma ciò sarebbe sbagliato perché, ovviamente, l’acquisto del biglietto è una transazione
individuale che coinvolge i membri della coda come partecipanti indipendenti. La transazione
dell’acquistare il biglietto in sé è un’interazione focalizzata [ma non è tra le unità di
partecipazione della coda, è tra il primo della coda e il bigliettaio], ovviamente, ma i membri
della coda non sono i partecipanti ad un raggruppamento che collaborano per mantenere
l’attività del comprare il biglietto. In una coda, ciò che abbiamo è un insieme di unità di
partecipazione, ciascuna focalizzata separatamente ed indipendentemente sulla stessa cosa. In
un’interazione focalizzata il punto focale comune deve essere la comune responsabilità dei
partecipanti.
Ma la coda richiede un’attività cooperativa per essere conservata come raggruppamento. Da
questo punto di vista “la coda possiede alcuni aspetti non dissimili da quelli che possiamo
osservare in un raggruppamento completamente focalizzato, come le conversazioni. Per esempio,
una coda ha una caratteristica e particolare organizzazione spaziale, ha dei confini e chi vuole
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
essere membro della coda deve rispettare questi confini altrimenti non verrà considerato come
un effettivo membro della coda e quindi non può tenere un “posto” in essa. Se una persona sta
troppo a lato o troppo indietro alla persona vicina, possono sorgere dubbi circa il suo essere in
coda. Per essere impegnati nello stare in coda, quindi, i partecipanti devono unirsi nel
mantenere una certa disposizione spaziale e questo deve essere fatto attraverso un tipo di
interazione che si possa considerare a tutti gli effetti come governata da un punto focale
d’attenzione mantenuto in comune. Questo punto focale è raramente formulato in quanto tale,
non viene trattato come la “trama” di un’interazione. Tuttavia è qualcosa a cui tutti i membri
della coda prestano attenzione ed è facile osservare come essi cooperano affinché esso venga
mantenuto. Non sarebbe corretto dire che una coda è un raggruppamento focalizzato,
eppure non possiamo negare che, almeno in termini di manovre spaziali ed orientazionali, ciò
che avviene è un tipo di interazione focalizzata”(Kendon 14).
In un certo senso possiamo dire che il centro focale della coda è la conservazione della coda come
raggruppamento efficace nell’indicare in ogni momento quale sia la posizione di un’unità di
partecipazione a rispetto alle altre nell’ordine di accesso allo sportello (della biglietteria o del
banco al supermercato ecc…). In quanto attività cooperativa la coda rende visibile anche il modo di
cooperare e, entro certi limiti, dice anche qualcosa del rapporto con le regole implicitamente
definite. Per questo in paesi diversi e in situazioni sociali differenti le code hanno forme differenti.
Le differenze possono essere notevoli soprattutto quando non ci sono dispositivi strumentali di
ordinamento e l’ordinamento è completamente affidato alla cooperazione dei partecipanti. La
difficoltà che spesso si osserva di molti italiani nel conservare alla coda spontanea il carattere di un
raggruppamento chiaramente ordinato può essere messa in confronto con l’autoregolazione
cooperativa che è possibile osservare in altri paesi.
Un punto focale comune in un raggruppamento può essere anche quello dei militari partecipanti
ad una parata o diegli studenti e insegnante in gita. Il coordinamento di raggruppamento che viene
richiesto in queste due situazioni molto differenti, ci fa vedere che l’azione cooperativa dei
partecipanti è sempre compiuta in riferimento allo stesso punto focale. Cioè il punto focale del
raggruppamento non cambia per mezzo dell’azione cooperativa dei partecipanti, rimane sempre lo
stesso.
Invece, in un altro tipo di raggruppamento focalizzato, come una conversazione o in una partita di
tennis (o altro) l’argomento è creato dal lavoro comune ed è mantenuto in comune. Ciò significa
che l’interruzione dell’attività di un partecipante può comportare la sospensione dell’attività (se
tossisco a “lungo” la conversazione può fermarsi per aspettare di finire, se mi faccio male al tennis la
partita viene interrotta ecc…), mentre, quando il fuoco del raggruppamento è mantenuto da tutti
nello stesso modo il venir meno di uno non ferma necessariamente l’azione (la parata militare
continua anche se un militare si sente male, l’insegnante può decidere di continuare la camminata
anche alcuni restano indietro (ma non oltre un certo limite)).
“Si è tentati di distinguere da un lato il raggruppamento con un punto focale in comune, di cui il
plotone militare in parata e l’escursione sono un esempio, e dall’altro il raggruppamento con un
punto focale mantenuto congiuntamente, [questa è una definizione di Kendon, che ha il pregio di
essere più chiara rispetto al suo contenuto di quella data da Goffman:, che parla di “impegni diretti”
o “incontri”] come le conversazioni o le partite di tennis. Goffman stesso ha suggerito che
possiamo distinguere il raggruppamento plurifocalizzato da quello monofocalizzato” (Kendon 15).
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
Il classico esempio di raggruppamento plurifocalizzato è il ricevimento in casa. Ci sono più
partecipanti, all’interno di uno spazio chiaramente delimitato, vengono “prodotti” molti singoli
raggruppamenti congiuntamente focalizzati (conversazioni in piccoli gruppi). Vi sono quindi anche
in questo caso due livelli da tenere presenti: il livello dei piccoli raggruppamenti focalizzati e il
livello di un raggruppamento plurifocalizzato (la festa). Da un lato questo secondo livello influenza
le modalità di interazione nei piccoli raggruppamenti orientando, in una certa misura, le scelte sui
temi di conversazione e sui modi dell’interazione. Dall’altro lato i piccoli raggruppamenti hanno
anche dinamiche proprie di “mondi” distinti gli uni dagli altri. I rituali di ingresso e di uscita nei
piccoli raggruppamenti mostrano come l’entrare o l’uscire siano regolati da un lavoro congiunto tra
chi chiede di entrare e i partecipanti già presenti nel piccolo gruppo
“Questo avviene spesso attraverso un sottile scambio di sguardi che può essere seguito da
manovre spaziali comuni che portano i partecipanti a trovarsi ad una distanza adatta.
Normalmente, c’è uno scambio di parole e gesti – un “saluto”, cioè – che serve a stabilire che le parti
sono apertamente entrate nell’interazione. Questi enunciati e questi gesti di saluto servono ad
annunciare pubblicamente l’accordo di impegnarsi in un incontro focalizzato, rendendo pubblico
l’accordo sia ai partecipanti stessi sia a coloro che stanno intorno. E questo è importante perché
quelli che stanno intorno si comporteranno in modo molto diverso nei confronti dei due o più che
sono impegnati in un incontro focalizzato, rispetto alle persone che non lo sono. L’integrità di un
incontro congiuntamente focalizzato è, dunque, il prodotto sia della cooperazione mantenuta
dei partecipanti che della cooperazione degli altri, che si trovano nello stesso ambiente ma non
sono partecipanti.
Così possiamo osservare, in situazioni come i ricevimenti pomeridiani, come i diversi esempi di
interazione focalizzata cooperano per restare spazialmente distinti. Intorno ad ogni occasione di
conversazione c’è una specie di “terra di nessuno”, una zona tampone. Le persone possono
passare in questo spazio ma, di regola, nel farlo non prestano attenzione ai raggruppamenti che vi
sono in esso. Se si fermano, d’altra parte, ammesso che si dispongano in un particolare tipo di
orientazione rispetto all’incontro focalizzato che si sta svolgendo, è probabile che essi vengano
fatti entrare o siano invitati ad unirsi. In tali occasioni, dunque, possiamo notare come un mero
movimento e l’orientazione nello spazio possono costituire una mossa nello scambio interazionale”
(Kendon 16).
6. L’organizzazione sociale dell’interazione: requisiti sistemici e requisiti rituali
Nelle interazioni focalizzate i partecipanti si impegnano in una serie di attività che Goffman ha
chiamato scambi. Le attività compiute nell’interazione sono fortemente connesse con l’impianto
cooperativo che caratterizza gli incontri (le interazioni focalizzate). Perché gli scambi possano
avvenire, infatti, la condizione fondamedntale è l’avvio del consenso operativo su ciò che è
rilevante e su ciò che non è rilevante tra gli elmenti che compongono gli scambi. Goffman chiama
questi elementi atti. L’accordo sul frame è quindi la condizione necessaria e fondamentale perché
un’interazione possa essere avviata, ma anche perché possa proseguire. Infatti ogni atto che segue
il precedente rende possibile i successivi atti solo se conferma la cornice o se segnale l’esigenza di
trasformarla come attività da compiere in modo cooperativo.
Affinchè questo lavoro di consenso possa avvenire l’interazione verbale mostra una serie di regole
che Goffman ha individuato e sintettizzato in due gruppi di requisiti: i requisiti sistemici e i
requisiti rituali.
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
I requisiti sistemici:
1. Deve esserci una capacità, nelle due direzioni: del parlante e del ricevente, di trasmettere
messaggi acusticamente adeguati e chiaramente interpretabili (adeguatezza dello spazio e
delle possibilità, anche materiali, della comunicazione: capcacità e possibilità di
trasmissione ricezione)
2. Una
capacità di feedback attraverso il canale complementare per informare
sull’andamento della ricezione mentre questa è in atto (segnali come gesti facciali e
vocalizzazioni non verbali)
3. Segnali di contatto: mezzi di annunciare la ricerca di una connessione, mezzi per ratificare
che il canale ricercato è ora aperto, mezzi per chiudere un canale fino a quel momento
aperto (saluti di apertura e di congedo)
4. Segnali di cambio di turno di parola: mezzi per indicare la fine di un messaggio e il passaggio
del turno di parola al successivo parlante. Con questi anche segnali che comunicano che il
messaggio è stato capito (segnali di alternanza nei ruoli conversazionali, con più di 2
persone anche i segnali di scelta del parlante successivo)
5. Segnali che chiedono di ripetere, ritardare o interrompere un messaggio.
6. Segnali di framing: indicano il frame da applicare a quanto viene detto (ironico, serio…)
riguardano il livello metacomunicativo (cioè come si deve leggere quella comunicazione):
tono della voce e altri segnali che indicano come interpretare battute, ironie, sorrisi,
risatine, movimenti con il capo dell’ascoltatore, ecc.. In generale le piste della
comunicazionie tra parentesi, le citazioni. E con questi anche segnali da parte
dell’ascoltatore che ha inteso il frame da applicare a quanto viene comunicato con queste
intenzioni (Capacità di inquadramento in un frame)
7. Norme che vincolano chi risponde a rispondere in coerenza con il contenuto di quanto è
stato detto prima e con informazioni che si ritengono rilevanti.
8. Segnali che marcano i bordi del frame, escludono ascoltatori di nascosto (non tanto spie, ma
persone presenti nello spazio vicino che possono origliare, se lo vogliono), escludono
rumori estranei all’interazione e modi di ostruzione del transito di segnali trasmessi con lo
sguardo.
I requisiti rituali
I requisiti rituali spiegano i modi in cui i partecipanti mostrano la loro volontà di partecipare
all’incontro, i modi in cui mostrano livelli di attenzione appropriati e risposte appropriate e come
negoziano ed arrivano ad un accordo per chiudere un incontro (Kendon, 25). Si tratta di una
dimensione espressiva che “ruota intorno alla salvaguardia della “faccia”, a come ciascun individuo
deve gestire se stesso riseptto agli altri per non screditare la sua tacita rivendicazione di essere
una persona degna di stima” (Pierpaolo Giglioli, “Introduzione” a L’ordine dell’interazione, p.21)
(Esempi in Forme del parlare, pp. 47 e sgg.):
1. Si ritiene che un atto abbia implicazioni che riguardano il carattere dell’attore e la sua
valutazione degli ascoltatori e che riflettono la relazione tra lui e loro. (richiesta e
accettazione dell’essere considerati persone affidabili per entrare in interazione)
2. Atti potenzialmente offensivi possono essere riparati dall’attore attraverso spiegazioni e
scuse, ma questa riparazione deve essere accettata come appropriata dalla parte
potenzialmente offesa prima che l’attività della riparazione stessa termini (prevenzione di
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
espressioni offensive). (riparazioni preventive in modo da mostrare l’intenzione di non
sottoporre a tensione l’interazione)
3. Le parti offese sono in genere obbligate a stimolare una riparazione , se non è già in atto, o a
mostrare che è stato creato uno stato di cose inaccettabile e che nonostante queste
rotture le parti offese si mostrano accondiscendenti al codice rituale (per non trovarsi ad
essere considerate anche sottomesse alle mancanze degli altri rigardo al rispetto del codice
rituale). (riparazioni richieste per evitare che l’interazione stia sotto tensione)
Si tratta di rituali che hanno una connotazione morale, nel senso del riconoscimento di un
carattere meritevole di fiducia, di cooperazione, di rispetto degli individui con i quali viene avviato
un incontro.
Nella realtà i requisiti sistemici e quelli rituali sono combinati e intrecciati. È chiaro l’esempio che fa
Kendon:
“Nel cercare di aprire una conversazione, per esempio, le persone rivolgono agli altri vari tipi di
gesti e di enunciati che, pur avendo la funzione di aprire un canale, servono anche come mezzi per
riconoscere la rispettabilità dei partecipanti. Per chiudere una conversazione, una persona non
mette semplicemente fuori servizio i suoi organi di ricezione (cioè non si tappa le orecchie o chiude
gli occhi), passa piuttosto attraverso un elaborato processo di avviso di chiusura. Si cerca prima un
accordo sulla chiusura e poi si avvia questo accordo; e la cerimonia della chiusura stessa è
vincolata da espressioni che rassicurino reciprocamente i partecipanti che l’interruzione dei canali
di comunicazione che sta per avere luogo non implica che essi non saranno disposti a riaprirli, se le
circostanze dovessero permetterlo. Dunque i processi di apertura e di chiusura di un canale di
comunicazione sono elaborati attraverso rituali di saluto e di congedo. Possiamo cercare di
spiegarli in termini di requisiti sistemici ma una comprensione della loro struttura richiede anche
una comprensione dei requisiti rituali dell’interazione” (Kendon, 22).
7. Ordine dell’interazione e struttura sociale
a) Rituali di contatto
Goffman definisce rituali di contatto quegli atti interazionali che vengono compiuti per mostrare
la volontà di entrare in interazione o di accettare questa richiesta (ad es. i saluti), di conservare
l’interazione nello svolgimento di momenti che ne comporterebbero la sospensione temporanea
(ad es. dare la precedenza nel passare da una porta, regolare i turni di parola ecc). In generale, i
rituali di contatto sono le «espressioni meccaniche e brevi che si verificano – quasi en passant –
in connessione con l’azione quotidiana, ed il cui caso più frequente non coinvolge più di due
individui» (L’ordine dell’interazione, 73).
La domanda di Goffman è: quali principi modellano l’influenza della struttura sociale sui rituali di
contatto? Ad esempio: la precedenza nel venire serviti, la precedenza nel passare in due dalla
stessa porta, il sedersi in una posizione centrale, i diritti preferenziali di interruzione nelle
conversazioni sono attività molto legate alla situazione concreta e alla dinamica di come si svolge
l’interazione concreta. Lo svolgimento di questo tipo di atti è influenzato dall’appartenenza dei
partecipanti a categorie della struttura sociale (come differenze di genere, diseguaglianze tra
ruoli subordinati e sovraordinati, appartenenza di classe sociale (tra membri della stessa classe
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
oppure tra membri di classi diverse)? Goffman osserva che i rituali di contatto «al massimo,
possono avere solo una debole relazione con qualunque struttura sociale a cui si potrebbero
associare» (L’ordine dell’interazione, 74).
Che tipo di “debole relazione”? Un esempio sono le regole dei turni di parola: nelle
conversazioni informali sono diverse da quelle di situazioni più formalizzate, ad es. le sedute di
psicoterapia, a scuola tra professore e alunna/o, in tribunale ecc. Goffman dice che le differenze
tra le regole dei turni di parola hanno a che fare un po’ con i compiti specifici di queste differenti
situazioni.
Ne deriva che i rituali di contatto mostrano una relazione debole con le strutture sociali. Cioè le strutture
sociali (classe, genere, parentela, ecc) NON condizionano le pratiche interazionali in modo rigido, perché le
pratiche interazionali, pur avendo regole, mostrano grande elasticità di adattamento e di variazione. Quindi
si può parlare piuttosto di «uno “sciogliersi” di strati e strutture in categorie più ampie che a loro volta non
corrispondono in modo univoco a nessuna entità del mondo strutturale, una sorta di sistemazione delle varie
strutture in ingranaggi interazionali. O, se preferite, un insieme di regole trasformazionali, una membrana
che sceglie come saranno trattate all’interno dell’interazione le varie distinzioni sociali rilevanti all’esterno»
(L’ordine dell’interazione, 77)
Goffman fa l’esempio di questo lavoro di trasformazione citando il ruolo delle donne nelle
conversazioni informali miste che negli Stati Uniti dell’epoca (fine anni ’70) potevano trovarsi
nella posizione di «attendere a parlare e pendere dalle parole degli altri» (77). Questo avviene in
base alla logica della distinzione uomini/donne come distinzione gerarchica. Goffman osserva
che vi possono essere anche uomini in una posizione gerarchicamente inferiore che devono
«attendere a parlare e pendere dalle parole degli altri» (77) e cita il caso di dirigenti di più basso
grado. Qui abbiamo quindi due situazioni nelle quali è presente la medesima regola, ma con
posizioni sociali differenti (donne nel primo caso e uomini nel secondo). Quale elemento conta di
più in questa situazione e fa realizzare l’interazione? La posizione sociale (il ruolo di donna, il ruolo
di dirigente di basso grado, e chiunque altro sia in una posizione inferiore ….) che viene definita
dal di fuori dell’interazione? Oppure la regola interna all’interazione, presente sia nel caso delle
donne, che nel caso dei dirigenti di basso grado e in qualunque altro caso di asimmetria, che
stabilisce il ruolo dell’inferiore nell’interazione e quindi «appartiene analiticamente all’ordine
dell’interazione, mentre invece le categorie di donna e di dirigente non vi appartengono»
(L’ordine dell’interazione, 77). Insomma, l’interazione trasforma elementi della struttura sociale
(diseguaglianze di ruolo) in una propria regola (in questo caso i turni di parola), facendo sì che
alcuni elementi definiti al di fuori dell’interazione entrino e siano trasformati
internazionalmente, cioè secondo regole proprie dell’interazione.
In conclusione Goffman indica alcuni elementi di sintesi:
i) chi lo fa a chi. Cioè chi compie un dato atto di deferenza o arroganza nei confronti di chi. La
deferenza e l’arroganza dal punto di vista analitico sono comunque la definizione di un’asimmetria
che viene definita, per rispettarla o per contrastarla;
ii) le variazioni prodotte da mode e capricci nelle pratiche rituali. Ad esempio i cambiamenti nei
modi di salutarsi, senza che ci sia una modificazione della struttura sociale;
iii) interventi politici diretti che modificano aspetti dei rituali di contatto: interventi politici dal
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
basso ad es. negli USA - che solo durante gli anni ’60 e completamente entro il 1970 hanno
eliminato ogni discriminazione legale tra neri e bianchi (quando Goffman scrive l’ordine
dell’interazione è il 1982, molti elementi di discriminazione erano – e sono ancora oggi in certi
Stati - ancora in piedi, ma solo nelle interazioni, non legalmente) – i neri e le donne durante gli anni
’70 «si sono 14 aperti un varco in luoghi pubblici segregati, in molti casi con conseguenze durature
per le regole d’accesso, ma, tutto sommato, senza produrre molti cambiamenti nella posizione dei
neri e delle donne nella struttura sociale»(80). Interventi politici dall’alto, cioè quando è il governo
ad ordinare come l’appartenenza ad una certa categoria sociale venga segnalata per influenzare
l’interazione: le fasce al braccio o le stelle di Davide per gli ebrei nella Germania nazista, il divieto
dell’Unione sovietica di indossare veli alle donne di una gruppo etnico siberiano, oppure, il
contrario, l’imposizione del velo nell’Iran dopo la rivoluzione islamica di Khomeini (1979).
iv) Quando gli appartenenti ad un movimento ideologico (comunità religiosa, politica, ecc)
manifestano al propria appartenenza attraverso rituali di contatto condotti secondo certi criteri
Goffman fa l’esempio dei Quaccheri, una setta protestante presente negli USA fin dagli inizi della
nazione. Già durante il ‘600 e il ‘700 i quaccheri erano noti per il loro comportamento
anticonformista: si rifiutavano di togliersi il cappello in pubblico di fronte alle autorità perché tutti
gli esseri umani sono “creature sorelle” fatte da Dio, usavano tabacco (all’epoca, tra il ‘600 e il ‘700,
ancora considerato come un nuovo stimolante) per raggiungere l’estasi mistica, avevano
comportamenti anticonformisti attraverso i quali esprimevano le proprie convinzioni religiose
(lettura e interpretazione personale della Bibbia, antiautoritarismo, misticismo ecc).
b) Relazioni sociali e ordine dell’interazione
In che modo la struttura dell’interazione traduce il differente grado di coinvolgimento o di
vicinanza/lontananza nelle relazioni sociali?
Prima di Goffman gli studiosi dell’interazione per classificare i tipi di differenti relazioni usavano il
criterio di misurare la quantità o la frequenza delle interazioni faccia a faccia tra due persone, e in
base al numero di interazioni faccia a faccia distinguevano tra relazioni più o meno strette.
Giustamente Goffman critica questa impostazione, perché assume uno specifico tipo di relazione a
modello di valutazione di tutte le relazioni, cioè la relazione sviluppata attraverso numerosi
contatti faccia a faccia, in altre parole, «l’amicizia creata dalla vicinanza» (L’ordine dell’interazione,
82).
La prospettiva di Goffman è diversa: innanzitutto è importante tenere distinta la struttura
dell’interazione e le sue regole (rituali di contatto, turni di parola, interazioni focalizzate, non
focalizzate, multifocalizzate, definizione delle unità deambulatorie, tipi di interazione) dalla
struttura sociale, della quale fanno parte, nella sua prospettiva, le relazioni sociali. Poi bisogna
considerare che il concetto di relazione sociale va distinto da quello di interazione. Mentre il
secondo è sviluppato nelle specifiche situazioni e attraverso le regole e le strutture che abbiamo
visto fino ad ora, il concetto di relazione riguarda invece quella sorta di “ambiente” all’interno del
quale prendono forma le interazioni tra due persone in base all’essere più o meno in stretta
relazione. Ad esempio due persone che sono in una relazione di “semplice conoscenza” come
interagiscono? Ci sono differenze nell’interazione tra due che sono in relazione di semplice
conoscenza e due che sono in una relazione di maggiore coinvolgimento, ad es. amici? In che
modo l’interazione traduce questi differenti gradi di essere in relazione? Questa è la domanda che
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
Goffman si fa e alla quale cerca di rispondere, vediamo come.
Consideriamo la variazione del grado di maggiore o minore coinvolgimento nella relazione come
una linea di continuum che ha ad un lato il minimo grado di coinvolgimento: la relazione di
semplice conoscenza e poi, via via che ci si sposta verso l’altro lato si hanno gradi sempre più grandi
di coinvolgimento, fino alla relazione stretta.
Quali sono le caratteristiche interazionali della relazione di semplice conoscenza? Innanzitutto si
potrebbe dire che la relazione di semplice conoscenza consiste fondamentalmente nel salutarsi,
cioè nel «diritto e l’obbligo di accettare reciprocamente e riconoscere apertamente
l’identificazione all’inizio di ogni occasione di vicinanza prodotta casualmente» (L’ordine…, 82). Per
questo suo contenuto limitato poco più che alla dimostrazione del riconoscimento, la relazione di
semplice conoscenza può essere considerata il caso limite delle relazioni sociali. Ma ciò non
significa che non ci siano elementi di vincolo, cioè diritto e dovere, aspettative reciproche.
Più in generale, si può dire che l’interazione tra individui in relazione di semplice conoscenza
utilizza i rituali di contatto – che in condizioni normali servono come prova a partire dalla quale si
avvia l’interazione dimostrando all’altro l’esistenza di una relazione – come prova e come
contenuto esclusivo della relazione. La relazione si risolve nel salutarsi.
Passando a relazioni più strette o più profonde il materiale interazionale utilizzato nell’incontro è
più ricco. Certamente il riconoscimento e gli obblighi a questo connessi sono presenti, ma entrano
in gioco altri elementi. Allo scambio di saluti, nel quale è tipico l’obbligo di ricordarsi del nome di
battesimo dell’altro e l’opportunità di usarlo nella conversazione, può essere aggiunto anche
l’obbligo di sospendere ciò che si sta facendo per dedicarsi apertamente a manifestare il piacere
del contatto. In questa fase «ogni partecipante è tenuto a dimostrare di aver tenuto a mente non
solo il nome dell’altro, ma anche alcuni tratti della sua biografia» (L’ordine…83). Da qui le
domande su familiari, viaggi, malattie, prospettive di carriera e altro. Simmetricamente, vi è
l’obbligo di aggiornare l’altro sulla propria condizione. Le interazioni connesse a questo tipo di
relazioni hanno quindi un andamento abbastanza strutturato e attuarlo concretamente è anche
una manifestazione della volontà di mantenere viva la relazione attraverso questa configurazione
dell’interazione. Dunque, questo diritto-obbligo di aggiornarci tra persone che sono in una
relazione di “più che semplici conoscenze”, mentre da un lato contribuisce a mantenere viva la
relazione di “più che semplici conoscenze”, dall’altro fornisce uno schema di organizzazione
dell’incontro interazionale contribuendo, quindi, all’organizzazione dell’incontro stesso.
Rispetto a coloro che sono in una relazione stretta Goffman osserva che in occasione di un
incontro casuale hanno l’uno verso l’altro l’aspettativa di felicitarsi di questo incontro. Un altro
utilizzo di materiale interazionale per confermare una relazione stretta è la ricerca di un contatto
con l’altro, dopo un certo periodo di tempo dall’ultimo contatto, anche con una telefonata o
lettera. In questo caso il contatto può anche essere finalizzato ad organizzare insieme un’occasione
per incontrarsi faccia a faccia. È peculiare della relazione stretta questa gestione dell’atto di
incontrarsi, e, a sua volta, la relazione stretta orienta l’organizzazione interazionale dell’incontro.
c) Transazioni di servizio e status sociali diffusi
Nella nostra società si possono isolare quattro status sociali diffusi:
- la classe d’età
- il genere
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
- la classe sociale
- la razza (nella sociologia americana il concetto di razza è ancora usato, senza significato
discriminatorio, più o meno come noi usiamo “etnia”).
Ciascun individuo può essere e solitamente è collocato in ciascuno dei quattro status. La
collocazione di ciascun individuo è visibile e leggibile attraverso le marcature «che i nostri corpi
portano con sé in tutte le situazioni sociali, senza che sia necessaria alcuna informazione
precedente sul nostro conto» (L’ordine… 85). Come abbiamo visto, Goffman chiama identificazione
categoriale l’attribuzione di identità ad un individuo attraverso la sua collocazione in uno status o
categoria sociale.
Che tipo di relazione questi elementi strutturali come sono gli status diffusi hanno con
l’interazione?
Per studiare questo aspetto Goffman prende come riferimento una particolare classe di
interazioni: le transazioni di servizio.
Le transazioni di servizio sono quella «classe di eventi in cui qualcuno che serve, in un ambiente
specificamente predisposto, fornisce meccanicamente e regolarmente dei beni di qualche tipo a
una serie di avventori o clienti» (L’ordine… 86). Gli esempi sono numerosi: al bar, in un negozio,
alla posta, in banca o in qualunque ufficio con sportelli per il pubblico.
La struttura delle transazioni di servizio mostra alcuni elementi importanti:
- Il principio di uguaglianza, cioè la presenza di un accordo di fondo sul fatto che tutti i candidati al
servizio saranno trattati nello stesso modo. Lo strumento interazionale che viene impiegato a
questo fine è la coda, cioè quella forma di raggruppamento ordinato (volontariamente o
attraverso dispositivi tecnici) costruito intorno alla regola della precedenza al primo arrivato. La
logica della coda si presente quindi come del tutto indifferente a fattori connessi agli status, come
asimmetrie di status (prestigio, stigma, diseguaglianze di età, di genere, di classe sociale, di razza).
Nella coda e nella transazione di servizio si assume che queste caratteristiche categoriali restino
escluse.
- L’aspettativa che chiunque richieda un servizio sia trattato con “cortesia” «per esempio che chi
serve presti rapidamente attenzione alla richiesta di servizio e la esegua con parole, gesti e modi di
fare che in qualche modo dimostrino approvazione per il richiedente e piacere per il contatto. È
implicito che un cliente che fa un acquisto di poco conto non sia accolto meno bene di un cliente
che ne fa uno molto importante» (L’ordine… 86).
Tanto il principio di uguaglianza di trattamento che la regola della cortesia possono dare ai
partecipanti alle transazioni di servizio l’impressione che gli attributi esterni rilevanti siano tutti
sospesi. Goffman, però, sottolinea che si tratta comunque di dinamiche interazioni e come tali
sono esposte a numerosi elementi di negoziazione che possono quindi essere sviluppati in modi
differenti. Ad esempio, l’aspetto interazionale del contatto e della disponibilità ad accettare o
meno di avviare l’interazione, può diventare nelle transazioni di servizio un elemento di filtro
rispetto ai requisiti richiesti per essere considerato un candidato serio alla transazione. «Qualifiche
istituzionalmente percettibili riguardanti l’età, la sobrietà, l’abilità linguistica, la liquidità [cioè la
possibilità di pagare] dovranno venire soddisfatte prima che gli individui possano ritenersi
autorizzati ad usufruire del servizio» (L’ordine… 89).
Un altro esempio riguarda l’offerta di un posto in coda a colui o colei che chiede sia data la
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
precedenza nella coda, che comporta una negoziazione, solitamente delegata dai membri della fila
alla persona direttamente coinvolta in questa richiesta.
La transazione di servizio può, inoltre, essere attuata senza che ci sia un contatto faccia a faccia. Ma
è tuttavia possibile che invece vi sia un contatto di sguardi, che rende un incontro sociale la
transazione. In questo caso il contatto degli sguardi segnala da un lato la richiesta di un incontro
sociale e dall’altro l’accettazione. Anche questo è un “territorio” ricco di possibilità comunicative
e come tale passibile di segnalare elementi di difformità rispetto ai principi dell’uguaglianza di
trattamento e della cortesia (occhiatacce, ostentazione di freddezza, “cortesia professionale”,
accoglienza ecc).
Rispetto alla gestione degli status diffusi nelle transazioni di servizio Goffman individua due
questioni fondamentali:
Quando gli individui ritengono di aver ricevuto un trattamento ingiusto o scortese «di fatto, tutti i
vari elementi della struttura normale di servizio possono essere manipolati, sfruttati e
segretamente violati in un numero quasi infinto di modi» (L’ordine… 91). Accade spesso che queste
forme vengano negate dal soggetto che è chiamato in questione, anche se questa via consente di
esprimere in molti modi il riferimento alla struttura sociale degli status diffusi. Come detto, questo
accade a causa delle caratteristiche aperte della struttura della transazione di servizio.
Una volta compreso questo, si vede come la seconda questione, quella del diritto ad un
trattamento equo, sia in realtà estremamente complessa. In effetti, non è possibile individuare le
basi oggettive di un trattamento equo, se si esclude il servizio offerto da un distributore
automatico. «Si può solamente dire che ciò che accade non urta la concezione che i partecipanti
hanno di uguale trattamento, e questa naturalmente è tutta un’altra faccenda» (L’ordine…92). In
altre parole, anche la qualificazione del trattamento come ingiusto è frutto di una lettura e
interpretazione della situazione interazionale e come tale risente di differenze individuali e
culturali.
La percezione dell’ingiustizia di trattamento può manifestarsi anche per confronto, ad esempio nel
caso di code parallele e del confronto del tempo richiesto e dedicato a ciascuno dei partecipanti. In
questo caso il sentimento di ingiustizia può comunque sorgere, senza che sia polemicamente
indirizzato verso chi serve. Infine, il problema dell’ingiustizia può emergere in forma voluta quando
due persone arrivano nello stesso momento in una coda e «l’individuo che può sembrare il più
forte, abile o di status sociale superiore, offre la precedenza all’altro, come un protettore farebbe
con il suo protetto. Vi è quindi un trattamento preferenziale, ma promosso dall’individuo che
altrimenti sarebbe in posizione tale da imporre l’esito opposto» (L’ordine… 95).
In conclusione, la sensazione che le qualificazioni esterne siano effettivamente ed ufficialmente
escluse dalle transazioni di servizio e che valga soltanto il determinismo locale, cioè le regole della
coda e della transazione,
«è per molti versi un’impresa percettiva. Gli attributi esterni di fatto sono sistematicamente e
usualmente “riconosciuti”, e vari determinismi locali, esclusa la precedenza al primo arrivato, sono
sistematicamente disattesi. Il principio dell’“egual trattamento”, quindi, non è corroborato in alcun
modo da ciò che effettivamente accade – ufficialmente o ufficiosamente – durante le transazioni di
servizio. Ciò che di fatto è corroborato è il blocco di alcune influenze basate all’esterno in certi
punti strutturali nei preliminari del servizio. Da questo generiamo la sensazione che prevalga un
trattamento eguale» (L’ordine…95). In altre parole, la situazione interazionale delle transazioni di
servizio si presenta spesso nella forma del raggruppamento “coda”. L’interazione nella coda è
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Goffman, Introduzione ai concetti dell’ordine dell’interazione – appunti di m. bontempi 2016
orientata al criterio della sospensione degli attribuiti sociali dei membri (appartenenze a categorie
della struttura sociale, ecc) per far valere il criterio della posizione nell’ordine di arrivo come
criterio prioritario. Questa definizione della situazione certamente orienta l’interazione, ma
l’interazione non si svolge esclusivamente nel rispetto dei principi di uguaglianza di trattamento
nel servizio perché la struttura interazionale ha alcuni punti nei quali sono possibili ampie
variazioni interazionali e comunicative che non sono sempre attuate nel rispetto dei principi di
uguaglianza e cortesia nel servizio che ufficialmente costituiscono i criteri delle transazioni di
servizio. Questi punti possono svilupparsi nei rituali di contatto: possibilità di contatto faccia a
faccia oppure no, nel caso del contatto con sguardi il modo in cui gli sguardi comunicano la
disponibilità o meno ad entrare in interazione. Possono svilupparsi nella deliberata “violazione”
delle regole della coda come gesto di cortesia di un partecipante verso un altro per farlo passare
avanti. Ancora, il tempo occupato dal servizio di un partecipante può essere più lungo della media,
ma quello necessario, e tuttavia essere percepito dagli altri come eccessivamente lungo. Goffman
ci mostra, insomma che la particolare configurazione del raggruppamento coda nelle transazioni
di servizio orienta i partecipanti ad una sorta di controllo del rispetto dei criteri di uguaglianza e
cortesia, controllo che mentre da un lato stimola la realizzazione della coda come dispositivo di
autoregolazione della posizione per l’accesso al servizio, dall’altro lato favorisce da parte dei
partecipanti 18 la percezione di subire violazioni dei principi di uguaglianza e di cortesia anche
quando queste violazioni non sono oggettivamente dimostrabili. Il caso più evidente è la
percezione di subire un trattamento iniquo quando in presenza di code parallele si ha la
percezione che l’altra coda scorra non occasionalmente, ma sistematicamente in modo più rapido
della propria. Questo non vuol dire che la coda non funzioni, ma che concretamente non si risolve
nella mera applicazione dei suoi principi. E questo non corrispondere del tutto ai principi non è
devianza, ma viene ricondotto da Goffman alla struttura dell’interazione che offre in diversi punti
possibilità di variazione molto elevate.
Bibliografia citata
Erving Goffman, L’ordine dell’interazione, Roma,
Armando
Erving Goffman, Frame Analysis. L’organizzazione sociale dell’esperienza, Roma,
Armando Erving Goffman, Forme del parlare, Bologna, il Mulino.
Adam Kendon L’approccio di Goffman all’interazione faccia a faccia
http://www.sociologia.uniroma1.it/users/salmieri/sociologia%20della%20cultura%20e%20sociologia%
20dei%20proce ssi%20culturali%2020122013/15_Senso%20comune%20e%20vita%20quotidiana/l'interazione%20faccia%20a%20faccia.p
df
(ed. or. “Erving Goffman's approach to the study of face-to-face interaction.” In A. Wootton and
P. Drew (a cura di), Erving Goffman: Exploring the Interaction Order. Cambridge).
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