Sapienza Università di Roma - Dipartimento di Storia dell`Arte e
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Sapienza Università di Roma SESTO SEMINARIO DEL DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA E ANALISI DELLE CULTURE MUSICALI 14-15 febbraio 2012 Aula di Storia della Musica “Nino Pirrotta” (IV Piano) Edificio di Lettere Anche quest’anno l’attività dei dottorandi in Storia e analisi delle culture musicali troverà uno spazio di confronto all’interno della programmazione accademica. Come negli anni precedenti, gli iscritti al terzo anno e i dottorandi in consegna proporranno una relazione su alcuni risultati o nodi teoricometodologici della propria ricerca. Il convegno, aperto a tutti, sarà introdotto da una lezione magistrale del Professor Paolo Emilio Carapezza dell’Università di Palermo. Programma del seminario Martedì 14 febbraio Ore 10:30 Lezione magistrale Paolo Emilio Carapezza, Aristosseno e gl’Inni Delfici Ore 11:30 Poesia e musica nell’Ottocento Anna Cicatiello, Antagonisti: esempi di evoluzione etica individuati nella sistemazione morfologica di alcuni personaggi negativi della drammaturgia verdiana Manuela Rita, «Vous ne m’oubliez pas». Jules Massenet e i teatri italiani nella corrispondenza con Giulio Ricordi Barbara Lazotti, Enrico Panzacchi (1840-1904) e i suoi musicisti: un esempio [Ore 15: Collegio docenti] Ore 17:30 Musica e società Paola Ronchetti, Sulle origini della “Compagnia dei musici di Roma": la raccolta madrigalistica “Benigni Spirti” (1574) Alessandro Sinopoli, Aspetti formali nelle canzoni di Cesare Andrea Bixio: prime considerazioni Marco Lutzu, Competenze d’ascolto tra i suonatori di tamburi “batà” afrocubani Mercoledì 15 febbraio Ore 9:30 Filosofia e religione Mario Friscia, Mohanasundar oduvar. Mansioni sonore e rituali del cantore ufficiale del tempio di Suryanar koyil Pasquale Giaquinto, Arnold Schoenberg e il battesimo: motivazioni di una conversione Alexandra Solea, Bartók - Escher: per una poetica delle simmetrie Giovanna Vizzola, Il segreto dell’alfabeto ebraico Pausa Ore 12: Discussione finale Ore 14: Incontro di tutti i dottorandi con il coordinatore **************** ABSTRACTS ANNA CICATIELLO Antagonisti: esempi di evoluzione etica individuati nella sistemazione morfologica di alcuni personaggi negativi della drammaturgia verdiana Nella galleria dei personaggi verdiani molti sono i reietti, altri desiderosi di improbabili riscatti, oppure emarginati, oppressi da colpe imperdonabili, o anche ossessionati da sete di vendetta, da un senso inesorabile dell’onore, altri ancora completamente votati all’inganno. Ciascuno di questi riveste un ruolo specifico, impersonando un “tipo” (il tiranno, il seduttore etc.) che si connota come antagonista dell’eroe o eroina positivi. Tuttavia accade spesso che questi personaggi siano vincolati ai protagonisti da legami familiari, oppure, quando ciò non avviene, agiscano in modo tale da provocare la fine nefasta del congiunto. La scelta di compiere tali azioni avviene durante lo svolgimento del melodramma, cioè col passare del tempo scenico, che incide sulla volontà di coloro che, nella spasmodica ricerca del bene, si ingannano e compiono il male. Il trascorrere del tempo, come tratto distintivo del teatro verdiano, già riconosciuto da Lorenzo Bianconi (Risposta a Giuliano Procacci in Verdi 2001), si concretizza declinandosi in morfologie specifiche, individuate da Paolo Gallarati (Oltre la solita forma in Il Saggiatore Musicale, Anno XVI, 2009, n.2) nella loro variabilità. Nell’analisi di queste formule emerge un quadro preciso della mutazione emotiva nei ruoli più disparati. Se l’azione criminosa non tocca esclusivamente il versante giuridico ma si profila anche in una dimensione etica, risulterà chiaro che all’opera in musica è affidato un messaggio che riflette un sistema dotato di regole, risorse e limitazioni peculiari. Un modello è ravvisabile in Giacomo, padre di Giovanna d’Arco, nell’opera omonima, altrettanto in Abigaille di Nabucco, anche se nei personaggi femminili macchiati da colpe è più difficile ravvisare quel processo di crescita prima individuato. MARIO FRISCIA Mohanasundar oduvar. Mansioni sonore e rituali del cantore ufficiale del tempio di Suryanar koyil In accordo con il protocollo rituale riscontrabile nei templi tamil shivaiti di maggiore prestigio, il compito di intonare il repertorio innodico dei tevaram viene genearlmente affidato ad un cantore professionista: l’oduvar. La principale mansione che viene affidata a questa specifica tipologia di cantanti, la cui formazione avviene all’interno di particolari scuole, comunemente chiamate oduvar padasala, è quella di generare traiettorie sonore in lingua tamil, da affiancare a quelle mantriche, rigorosamente in sanscrito, prodotte dagli officianti di casta bramanica. Sebbene esistano alcuni studi (cfr. a titolo esemplificativo Cutler,1987; Kingsbury-Phillips,1993), specialmente in ambito indologico, sulla letteratura devozionale dei tevaram, l’analisi del loro reale contesto esecutivo in ambito templare non sembra aver attirato le devute attenzioni da parte degli studiosi. Nel contesto di questa conferenza proveremo a tracciare un profilo generale di Mohanasundar, l’oduvar che presta servizio nel tempio solare di Suryanar koyil. Prendendo come spunto la visione di un video, in cui vedremo Mohanasundar offrire il suo servizio sonoro –ma non solo- nel corso del rituale di abluzione (abishekam) degli idoli dei Navagraha, passeremo in rassegna la natura dei repertori, delle occasioni e delle dinamiche spazio-motorie che identificano l’oduvar, distinguendolo, in modo significativo, dagli altri agenti sonori che operano nel tempio. L’analisi di questa figura professionale ci permetterà di riflettere su alcune tematiche di ampio respiro, come il rapporto fra suono e significato, e quello fra identità, status sociale e auto-percezione dei dislivelli gerarchici, osservabili nell’ambito dell’operato sonoro degli agenti rituali che condividono un medesimo spazio rituale. Alcuni suggerimenti bibliografici: N. Cutler (1987) Songs of experience. The poetics of tamil devotion. Indiana University Press F. Kingsbury, G. E. Phillips (1993) Hymns of the tamil shaivite saints. Asian Educational Services PASQUALE GIAQUINTO Arnold Schoenberg e il battesimo: motivazioni di una conversione La Vienna fin-de-siècle ha sempre notevolmente appassionato gli storici di ogni disciplina, prevalentemente a causa dell’intrecciarsi dei fenomeni culturali e degli ambiti artistici che l’hanno caratterizzata. Anche dal punto di vista della complessa situazione religiosa, essa presenta aspetti di ricerca oltremodo notevoli, la cui analisi si è rivelata determinante per comprendere a fondo l’humus dove visse e mosse i primi passi in campo musicale, tra gli altri, anche Arnold Schoenberg (Vienna 1874 - Los Angeles 1961). Nella Vienna governata da un’antica monarchia cattolica, il giovane Arnold, figlio di ebrei immigrati dall’est Europa in cerca di fortuna e di emancipazione culturale, sotto la guida di Alexander Zemlinsky, suo cognato e primo insegnante di composizione, all’ombra dei grandi della tradizione germanica quali Brahms e Mahler, decide di abbandonare la religione dei padri e di ricevere il battesimo. Partendo dall’evidenza delle fondamentali quanto scarne fonti documentarie, confrontando le principali biografie del compositore, le quali non sempre concordano sui dettagli del caso, le monografie che affrontano in maniera più specifica il tortuoso evolversi della sua identità religiosa e alcuni saggi e articoli scientifici che tentano un riaggancio con fatti e accadimenti coevi a molteplici livelli, questo intervento si propone di gettare una luce sugli elementi poliedrici che si rivelarono cruciali per il compositore nelle scelte di ambito religioso, provando a sottolinearne le ricadute nell’attività compositiva, sostanzialmente impegnata nella produzione liederistica, ma soprattutto tentando di rispondere con più completezza possibile allo spinoso interrogativo: perché Arnold Schoenberg si è fatto battezzare? BARBARA LAZOTTI Enrico Panzacchi (1840-1904) e i suoi musicisti: un esempio Enrico Panzacchi (1840-1904) scrittore bolognese, appartenente alla cosiddetta “scuola carducciana”, fu una figura singolare, con interessi articolati e curiosità molteplici, che contribuì a segnare in maniera significativa la vita bolognese dell’ultimo trentennio dell’Ottocento. Poeta, narratore, librettista, politico ispirato ai valori unitari, studioso di estetica e storia dell’arte, instancabile oratore, come critico musicale militante contribuì al trionfo di Wagner a Bologna e alla diffusione delle sue idee estetiche coi testi Riccardo Wagner (Zanichelli, 1883) e Nel mondo della musica (Sansoni, 1895). Le sue romanze, soprattutto quelle contenute nelle raccolte Piccolo romanziere, stampata da Ricordi nel 1872, e Lyrica (Zanichelli, 1877), hanno dato luogo ad un numero sorprendente di brani musicali, oltre seicento, di cui la maggior parte per canto e pianoforte e composti tra il 1870 e il 1915. In questa sede verrà presa in considerazione la poesia di Panzacchi, fonte di ispirazione per oltre trecento musicisti: alcuni professionisti della “romanza da salotto”, come Francesco Paolo Tosti o Pier Adolfo Tirindelli, altri poco noti o sconosciuti anche agli specialisti di questo repertorio. La ricerca ha preso le mosse proprio dall’osservazione della amplissima presenza dei testi del poeta bolognese nel repertorio per voce e pianoforte e dalla loro persistenza nel tempo. L’intervento tenterà di tracciare una prima ipotesi sulle ragioni di questo successo: perché i compositori sembrano prediligere i versi di Panzacchi? Quali elementi vi riscontrano? Non è possibile ancora offrire risposte definitive, tuttavia si metteranno a confronto alcune realizzazioni musicali originate dalla lirica Mentre tu canti, per verificare quali componenti siano recepite dai compositori e come siano concretizzate dalla musica. Le suggestioni musicali presenti in questi versi sono un’occasione preziosa per i compositori, con risultati spesso interessanti; la composizione in questione, scelta perché riceve ventuno intonazioni diverse in un arco temporale di quasi sessanta anni, diventa a sua volta l’occasione per tratteggiare un quadro dell’evoluzione del genere “romanza”. MARCO LUTZU Competenze d’ascolto tra i suonatori di tamburi batà afrocubani I temi dell’ascolto e della percezione della musica sono stati ampiamente indagati dalle discipline musicologiche, spesso ricorrendo ad approcci interdisciplinari che hanno spaziato dalla filosofia (Anders 1930) alle scienze cognitive (McAdams and Bigan 1993), dalla psicologia funzionalista (Delalande 1976) alla semiologia (Nattiez 1987) e che sono stati applicati a diversi repertori, dalla musica concreta (Schaeffer 1966) alla popular music (Tagg 1979). L’etnomusicologia, da parte sua, si è interessata fin dai tempi della “Scuola di Berlino” dei processi mentali e cognitivi del fare e ascoltare musica. Nell’ambito di tutti questi studi l’attenzione è stata rivolta maggiormente a cosa e come percepisce l’ascoltatore piuttosto che a cosa e come ascolta il musicista durante la performance. Nella mia ricerca, dedicata alle strategie d’ascolto e di produzione della musica tra i suonatori di tamburi batà afrocubani, sto indagando il tema dell’ascolto reciproco tra i musicisti. Un ensemble di batà è costituito da tre membranofoni bipelle ambipercussivi di diverse dimensioni ad ognuno dei quali è attribuito un ruolo e un importanza gerarchica ben definita. Se dalla bibliografia esistente e dalle prime parole dei tamboreros parrebbe che i due tamburi più piccoli (okónkolo e itótele) si debbano limitare ad ascoltare il più grande (iyà), ad un analisi attenta la questione appare ben più complessa. Il mio intervento sarà incentrato sull’analisi dell’oro seco, la sezione che apre le cerimonie denominate tambor con la quale si rede omaggio, attraverso una sequenza di pattern ritmici che si susseguono senza soluzione di continuità, alle divinità che formano il pantheon della Regla de Ocha, la più diffusa tra le religioni afrocubane. Nel corso della relazione, grazie ad un analisi portata avanti con l’ausilio di tecnologie quali le registrazioni multitraccia e basata su un approccio di tipo dialogico, proporrò la mia interpretazione di “cosa ascolta un suonatore di batà mente suona”. Bibliografia: Anders Günther, 1930, "Philosophische Untersuchungen über musikalische Situationen", geplante Habilitationsschrift aus den Jahren. Delalande François, 1976, "Pertinence et analyse perceptive" in Cahier Recherche/Musique n. 2, I.N.A./G.R.M., Paris. McAdams Stephen and Bigand Emmanuel, 1993, Thinking in Sound: The Cognitive Psychology of Human Audition, Oxford University Press, Oxford. Nattiez Jean Jacques, 1987, Musicologie générale et sémiologie, Christian Bourgois, Paris. Schaeffer Pierre, 1966, Traité des objets musicaux, Le Seuil, Paris. Tagg Philip, 1979, Kojak: 50 Seconds of Television Music. Towards the Analysis of Affect in Popular Music, Musikvetenskapliga institutionen vid Göteborgs universitet, Göteborg. MANUELA RITA «Vous ne m’oubliez pas». Jules Massenet e i teatri italiani nella corrispondenza con Giulio Ricordi. «Grand ami, on m'envoie ici à Monte-Carlo votre carte... Vous ne m'oubliez pas… et vous savez que les souvenirs des années 1878... 1879... sont restés inoubliables!...». Tali melanconiche parole chiudono l’ultima lettera che Jules Massenet scrive a Giulio Ricordi, il 3 febbraio 1912, dopo un silenzio nella loro corrispondenza durato quattordici anni; questo documento testimonia un tentativo di distensione nel rapporto a lungo teso tra i due, che moriranno, entrambi, di lì a poco (Ricordi il 6 giugno, Massenet il 13 agosto). Le lettere che Massenet scrive a Ricordi dall’aprile del 1877 sono una testimonianza entusiasmante delle tappe del suo ingresso nel circuito operistico italiano. Le missive, tutte di straordinario interesse documentario, restituiscono tra le altre cose l’immagine di un’amicizia che Ricordi non sembra considerare tale, ma che Massenet continuerà a rivangare con nostalgia fin nei suoi non sempre attendibili Souvenirs (Parigi, Pierre Lafitte 1912). Le incomprensioni per le rappresentazioni di Erodiade a Milano previste nel 1881 porteranno Massenet a rivolgersi all’editore Sonzogno, che gli offrirà molto maggiori margini di guadagno e notorietà; la rottura professionale con Ricordi coincide con una naturale interruzione della corrispondenza privata, che da lì in poi si riduce a pochi esemplari di telegrammi di cortesia. Il corpus di materiale, integralmente conservato all’Archivio Ricordi di Milano (un totale di 122 lettere inviate da Massenet a Ricordi), è completamente inedito, a parte pochi stralci in traduzione inglese riportati nella biografia di Demar Irvine (Massenet: A cronicle of His Life and Times, Portland, Amadeus Press 1994). Nel mio intervento offrirò una panoramica su queste lettere, soffermandomi sui punti più interessanti concernenti il processo creativo delle opere su cui i due hanno lavorato insieme (Erodiade e Il Re di Lahore) e le controverse questioni connesse alla traduzione ritmica e agli adattamenti scenici per i teatri italiani. PAOLA RONCHETTI Sulle origini della “Compagnia dei musici di Roma": la raccolta madrigalistica Benigni Spirti (1574) Il titolo Benigni Spirti allude al cognome del dedicante Thomaso Benigni, cantore (altus) nella Cappella Giulia dal 1566 al 1584, e quindi nella Sistina; è la più antica raccolta di opere di compositori romani o attivi a Roma. Comprende ventinove madrigali di tredici autori: tra d’essi Giovanni Animuccia, Giovanni Maria Nanino, Giovanni Pierluigi da Palestrina, Francesco Rosselli, Francesco Soriano, Annibale Zoilo, che faranno poi parte della Compagnia dei Musici di Roma, riconosciuta nel 1584 da papa Gregorio XIII come congregazione e resa legittima l’anno successivo da papa Sisto V, con la bolla Rationi Congruit. È il primo frutto della cooperazione madrigalesca di musicisti attivi a Roma nella seconda metà del secolo. Ne fu forse promotore Giovanni Pierluigi da Palestrina, nominato nel 1571 maestro della Cappella Giulia della Basilica Vaticana, con l’aiuto del suo cantore Tommaso Benigni, che firma la dedica? La silloge getta luce sulla storia letteraria e musicale dei primi anni Settanta del Cinquecento: dallo studio dei dati biografici e dell’opera dei compositori e degli autori dei versi intonati risultano feconde sia la convivenza di polifonia sacra e profana, sia la collaborazione creativa dei compositori già celebri con i loro discepoli. È probabile che il nucleo di questa raccolta siano i quattro madrigali composti dal Palestrina per celebrare la Battaglia di Lepanto del 1571. I principali riferimenti bibliografici sono: gli studi di Nino Pirrotta, nonché quelli di Giuliana Gialdroni, William J. Summers e Remo Giazotto, sulla Compagnia de’ Musici di Roma; e gli studi di Franco Piperno sulle antologie e le miscellanee di madrigali. ALESSANDRO SINOPOLI Aspetti formali nelle canzoni di Cesare Andrea Bixio: prime considerazioni Testi e siti dedicati a vario titolo alla storia della canzone italiana individuano in Cesare Andrea Bixio una figura di rilievo per la nascita e l'affermazione della stessa. Compositore quantomai prolifico (oltre che editore, organizzatore, talent scout, ecc.), dalla metà degli anni Dieci fino agli anni Sessanta firma, tra le altre, alcune canzoni entrate ormai a far parte dell'immaginario collettivo del nostro Paese. Se le ragioni storiche, sociali e mediatiche del successo di brani come Mamma, Parlami d'amore Mariù, Tango delle capinere o La strada nel bosco sono state già in parte indagate, non è stata ancora intrapresa alcuna indagine musicologica che ne illustri la natura compositiva. Uno degli obiettivi principali della mia ricerca è, dunque, quello di dare un primo contributo in questa direzione, utilizzando come oggetto di studio privilegiato gli spartiti delle canzoni contenuti nella raccolta in tre fascicoli (Stasera tango!, Stasera valzer!, Stasera liscio!) edita dalla Bixio C.E.M.S.A. nel 1974. Nel corso del mio intervento cercherò di illustrare, attraverso esempi circoscritti, i dati emersi da una prima indagine relativa agli aspetti formali di tali brani, seguendo un percorso che va dal macroscopico fino alla segmentazione in frasi e semifrasi. ALEXANDRA SOLEA Bartók - Escher: per una poetica delle simmetrie Lo studio qui proposto si muove nell’area interdisciplinare, analizzando le creazioni di due artisti appartenendo ad aree diverse: il compositore Béla Bartók e l’incisore e disegnatore Maurits Cornelis Escher, focalizzandosi in particolare sul criterio “della specularità e della simmetria”. A livello micro strutturale, un elemento importante è rappresentato dalla simmetria tramite la quale la figura originale e la sua immagine divengono congruenti, un punto fermo che forma uno spillo nell’evoluzione dell’arte, dal periodo Preistorico fino al Postmoderno. Nel caso di Bartók si evidenzia l’uso costante di strutture simmetriche sul piano melodico, ritmico, metrico che prendono spunto dall’orientamento neoclassico bachiano del compositore, mentre in Escher si rilevano le micro strutture simmetriche di provenienza matematica che superano la concezione dello spazio - tempo per confluire nell’infinito. Un ideale punto di partenza è rappresentato dal libro di Hermann Hesse “Il giuoco delle perle di vetro” che riunisce, secondo regole musicali, tutte le scienze e le arti libere allo scopo di conservare e dominare quella parte dello scibile umano dai contenuti spiritualmente elevati, sottraendolo al disfacimento del mondo e rappresentando una sorta di dottrina polifonica, dove le scienze e le arti coi loro differenti saperi si intrecciano in un universale contrappunto di conoscenze. Questa ricerca segue due aspetti principali: il primo è incentrato sullo studio dello strutturalismo nella sua applicazione all’arte, il secondo segue la dimensione estetico - filosofica delle micro e macrostrutture che possono generare una forma spazio-temporale tramite la matematica applicata. GIOVANNA VIZZOLA Il segreto dell’alfabeto ebraico Se nella cultura rinascimentale – tanto nelle opere erudite che nelle arti figurative – la lingua ebraica diventa oggetto di interesse da parte di intellettuali, pensatori e artisti, in che modo la musica partecipa di questa “rinascita”? In campo musicale il genere delle lamentazioni era l’unico in cui i compositori potevano confrontarsi con la lingua ebraica. La percezione del carattere “misterioso” che le lettere ebraiche portavano con sé avveniva attraverso un processo in gran parte intuitivo – in grado quindi di coinvolgere assai più l’emozione della logica – e indirizzava i compositori verso una continua ricerca di soluzioni espressive per l’intonazione delle lettere ebraiche, probabilmente da loro assimilate a quei geroglifici che tanto avevano colpito l’immaginazione e la curiosità degli umanisti. Cercando di rispondere al quesito iniziale vedremo in che senso, attraverso discorsi di portata generale, si può far luce su questioni specificamente musicali, verificando in che misura queste si rispecchiano a loro volta al di fuori del proprio contesto, in un universo culturale che non ammette demarcazioni né soluzione di continuità.