cloni fascisti per le strade di londra

Transcript

cloni fascisti per le strade di londra
CLONI FASCISTI PER LE STRADE DI LONDRA
Martedì 20 Gennaio 2009 01:05
di Mario Braconi
La Gran Bretagna é certamente paese cosmopolita, ma a tanta esterofilia non fa difetto - pare altrettanto razzismo. Peraltro, proprio le istituzioni addette al governo dei flussi migratori,
sembra siano tutt’altro che immuni dalla piaga. Il quotidiano The Independent sostiene infatti di
aver portato alla luce, negli ultimi due anni, ben trecento casi di maltrattamento perpetrati da
dipendenti dell’Ufficio Immigrazione britannico e dalle guardie giurate assegnate a tale
dipartimento. Tra gli episodi denunciati, 38 sarebbero di stampo dichiaratamente razzista: gli
addetti all’Immigrazione avrebbero apostrofato i disperati in fuga dalle persecuzioni e dalle
torture praticate nei propri paesi di origine con l’epiteto di “scimmie” e li avrebbero “invitati” a
“ritornarsene a casa propria”. Il razzismo che serpeggia tra le file delle forze di Polizia e
dell’Immigrazione del Regno Unito continua a fare i titoli di cronaca: lo scorso 14 gennaio un
dipendente di un centro di detenzione per richiedenti asilo è stato sospeso dal servizio dopo
che la sua militanza politica in gruppi di estrema destra era divenuta notoria a seguito della
pubblicazione sulla stampa di una lista di iscritti; una guardia giurata, il cui nome figurava nella
stessa lista, è stata licenziata. In Gran Bretagna, infatti, chi decide di prestare servizio in Polizia
o nella Polizia Penitenziaria, tra le altre cose, deve dichiarare formalmente di non essere iscritto
al British National Party, al National Front, o al C18 (tutte forze politiche di matrice neofasciste o
neonaziste e pertanto apertamente razziste). Tra parentesi, non sarebbe male che anche in
Italia si pensasse a qualcosa di simile…
Secondo un portavoce di Medical Justice (ONG Britannica che si batte contro gli abusi sugli
stranieri che chiedono asilo in Gran Bretagna) “il numero consistente dei reclami da parte delle
persone detenute suggerisce che sia ben radicata presso le guardie carcerarie una certa
cultura di cameratismo a sfondo razzista, che rischia di produrre frutti infetti se non s’interviene
subito”.
Sono almeno quindici anni che il razzismo delle forze dell’ordine è un tema caldo in Gran
Bretagna: la questione è esplosa con l’assassinio di Stephen Lawrence, un ragazzo di South
End London, cui la vita fu rubata, il 22 aprile 1993, da due coltellate, menate da sciagurati
dementi che avevano in odio il colore della sua pelle. L’atteggiamento razzista e la non causale
incompetenza dimostrati dalla Metropolitan Police nella conduzione delle indagini impedirono di
inchiodare i colpevoli dell’assassinio (che peraltro ancora oggi non hanno pagato). La sete di
giustizia della famiglia del giovane assieme al diffuso sdegno popolare resero inevitabile
un’inchiesta, che l’allora Ministro degli Interni Jack Straw affidò ad un gruppo di studio diretto da
Sir William Macpherson, un giudice dell’Alta Corte in pensione. Le conclusioni di Macpherson
furono una doccia fredda per i cittadini del Regno: nel rapporto che porta la sua firma, la polizia
di Londra venne definita “istituzionalmente razzista”. Da allora molte delle settanta
“raccomandazioni” di Macpherson sono state adottate da Scotland Yard, al punto che oggi tutte
le istituzioni pubbliche sono obbligate per legge a promuovere l’uguaglianza e perseguire ogni
1/2
CLONI FASCISTI PER LE STRADE DI LONDRA
Martedì 20 Gennaio 2009 01:05
forma di discriminazione.
Eppure, come ci ricorda il caso dei militanti neofascisti infiltrati nel Servizio Immigrazione,
occorre tenere sempre alta la guardia: il leader del British National Party, Nick Griffin, ex Terza
Posizione, ha lavorato intensamente sull’immagine del partito, tentando di ripulirla: grazie a
Griffin, la militanza neofascista è diventata decisamente più trendy che in passato. Nel
documentario di Jason Gwynne “L’Agente Segreto”, un collage di riprese clandestine sul partito
neofascista inglese visto da dentro, si può sentire Griffin definire l’Islam “una religione cattiva e
perversa”, chiosando subito dopo: “Puoi star sicuro che, se dicessi una cosa simile ‘fuori’, mi
beccherei sette anni di prigione” (pena massima per istigazione all’odio razziale). Una curiosità:
dopo la trasmissione del filmato, in cui, oltre a Griffin altri iscritti al partito si vantavano del
proprio razzismo, Barclays Bank, che fino al giorno prima aveva regolarmente tenuto i conti del
BNP (“pecunia non olet”), si è stracciata le vesti in pubblico e a mezzo stampa ha fatto sapere
al tesoriere del partito nazionalista britannico che era il momento di cercarsi un’altra banca.
Insomma, teste rasate, croci uncinate e ammennicoli vari hanno fatto il loro tempo: il nuovo
fascismo “made in UK”pesca consensi non solo dal suo bacino elettorale “classico” (classe
operaia, razza bianca); trova isolati ma cospicui consensi anche “nelle ville di Chelsea, nelle
case di Belgravia come negli appartamenti di Knightsbridge: decine di dirigenti d’azienda,
imprenditori del settore informatico, banchieri, agenti immobiliari e perfino un manipolo di
professori. Una è l’ex Miss Inghilterra, un altro è il capo di una società d’investimento della City,
un altro ancora è un cameriere della Regina, residente a Buckingham Palace. Griffin dunque
sta vincendo la sua scommessa, almeno a giudicare dalle oltre 220.000 preferenze ottenute dal
suo partito nelle elezioni locali del maggio del 2006 (50 seggi, soffiati soprattutto ai
neo-laburisti).
Nel dicembre del 2006 un giornalista del Guardian s’infiltrò nel partito e v’intraprese perfino
una piccola carriera: in poco tempo divenne addirittura “coordinatore” per il quartiere di Central
London. Scoprì così che gli iscritti, “grazie alla Race Relations Act 1976 e alla Public Order Act
1986 (e forse anche alla naturale riservatezza britannica) raramente esprimevano apertamente
le loro idee razziste, anche in presenza di persone con le stesse idee. Eppure un po’ della
paura e dell’odio restavano: solo che emergevano al di là dello schermo di un gesto, una parola
in codice. I militanti del BNP stanno molto attenti a non farsi identificare come tali (temono infatti
di perdere il lavoro se vengono scoperti), si incontrano in modo semiclandestino e si scambiano
esclusivamente e-mail criptate.
Una fredda corrente razzista dunque attraversa lo spumeggiante oceano multiculturale
britannico. L’anonimo giornalista del Guardian è riuscito a mettere le mani su una lista d’iscritti:
tra i soci “insospettabili”, accanto ad ottici, naturopati e manager si trovava anche Simone
Clarke, Prima Ballerina dell’English National Ballet, circostanza che, per il suo intrinseco
ossimoro non cessa d’intrigare: non è forse intensamente poetica l’incoerente coesistenza della
leggiadra bellezza della danza con la brutale ideologica razzista? Senza tener conto che Ms.
Clarke, che si è dichiarata appassionata delle maniere forti in fatto d’immigrazione, quando la
stampa ha divulgato il suo imbarazzante segreto aveva come partner artistico un ballerino non
proprio anglosassone (un cino-cubano, per l’esattezza). Si balla sulle punte...
2/2