Escher, l`ambiguità degli spazi e l`effetto placebo

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Escher, l`ambiguità degli spazi e l`effetto placebo
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“Noi non conosciamo lo spazio, non lo vediamo, non lo ascoltiamo, non lo percepiamo. Siamo in
mezzo a esso, ne facciamo parte, ma non ne sappiamo nulla”.
Escher
Escher, l’ambiguità degli spazi
e l’effetto placebo
da una famiglia benestante,
Maurits Cornelius Escher studiò
ad Haarlem alla Scuola di architettura, dove si avvicinò all’arte
grafica, scoprendo così la sua
vera strada. Preoccupati per l’isolamento e la conseguente depressione in cui era sprofondato
dopo la scoperta della sua vocazione, i genitori lo convinsero ad
accompagnarlo per un viaggio
in Italia. L’artista rimase profondamente affascinato dalla Penisola, dalla sua natura esplosiva,
dall’architettura delle città; e nel
giro di pochi anni vi si stabilì definitivamente. Gli anni italiani
costituirono per Escher un felice
periodo di perfezionamento
dello studio e di feconda produzione grafica.
Con l’affermazione in Italia
del regime fascista, a causa dell’irrespirabile clima politico,
l’artista si trasferì nel 1935 in
Svizzera, paese natale della moglie, e nel 1937 in Belgio.
In questo periodo, Escher
comincia a volgere l’attenzione
alle immagini interiori tralasciando la rappresentazione realistica. In seguito, egli
definì questi anni come quelli in cui maturò la svolta
della sua vita: “In Svizzera e in Belgio ho trovato
molto meno interessanti sia i paesaggi sia l’architettura rispetto a ciò che avevo visto nel Sud Italia. Mi
sono così sentito spinto ad allontanarmi sempre di
più dall’illustrazione più o meno diretta e realistica
della realtà circostante. Non vi è dubbio che queste
particolari circostanze sono state responsabili di aver
portato alla luce le mie ‘visioni interiori’”.
Cielo e acqua I, MC Escher.
L’ambiguità visiva delle opere di Escher
I disegni e le xilografie di Escher si muovono secondo i fondamenti della stereometria e delle trasformazioni geometriche, l’uso e l’abuso della prospettiva,
con rotazioni, riflessioni, sovrapposizioni e traslazioni
che scavalcano ogni limite per farsi, alternativamente,
ora figura e ora sfondo, ora acqua e ora cielo di universi
semireali in cui siamo costretti a immergerci.
Nato nel 1898 a Leeuwarden nel Nord dell’Olanda
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parire preconcette, ma sono argomentate nel testo.
La prima di tali convinzioni è che ciò che dovrebbe
giustificare l’autorizzazione al commercio di un
nuovo farmaco è la sua provata superiorità rispetto
al migliore trattamento disponibile; la seconda è che
la superiorità rispetto al placebo ha valore clinico
solo in pazienti che non possono beneficiare del trattamento standard di riferimento; la terza è che la
non-inferiorità di nuovi farmaci rispetto a trattamenti
disponibili è un obiettivo legittimo solo quando si
prevedano altri vantaggi per i pazienti (maggiore tollerabilità, maggiore comodità d’uso, minor costo,
ecc.) e solo se tali vantaggi siano adeguatamente valutati. L’ultima convinzione argomentata nel testo è
che ciò che realmente conta non è tanto la metodologia quanto l’obiettivo e la conduzione indipendente di un trial. Una volta identificate, un’ipotesi clinica rilevante per i pazienti e la sua verifica
davvero liberamente perseguita implicheranno la
metodologia più appropriata per dare risposta all’incertezza. Ma quando l’ipotesi che genera la
ricerca riveste un’importanza relativa per il paziente,
allora qualsiasi discussione su quale sia il modo più
appropriato per rispondere alla domanda assume
valore limitato.
Non sono ancora sopite le eco della vivace discussione2-4 attorno all’ultima versione della Dichiarazione di Helsinki5 con l’inclusione di un emendamento (box). Il dibattito di qualche anno fa su
quando sia opportuno l’uso del placebo era centrato
attorno al benessere del paziente come se questo
fosse l’unico obiettivo della ricerca clinica. Ma le cose
purtroppo non stanno così: il dilemma attorno all’uso
del placebo o del controllo attivo è difficilmente risolvibile in un ambito fortemente condizionato dagli interessi economici che relegano gli interessi dei pazienti
in un ruolo quantomeno comprimario.
Fu così che Escher approdò a una radicale rottura
con il suo stile naturalistico precedente. Contemporaneamente, questo significò l’approfondimento dell’introspezione fino ad allora latente: non più
paesaggi, soggetti biblici, studi realistici, viaggi nello
spazio fisico, bensì esplorazioni nella mente umana,
speculazioni sul modo in cui questa percepisce, e
talvolta deforma, la realtà.
“Cielo e acqua I” del 1938 è un’opera nella quale
giochi di luce e di ombra convertono dei pesci nell’acqua in uccelli nel cielo. In questa opera, il progressivo accostamento tra loro dei pesci e degli uccelli
ne determina, centralmente, la trasformazione. Nei
contrasti cielo-acqua, scuro-chiaro, pesci-uccelli l’ambiguità visiva diventa ambiguità di significato e il positivo e il negativo risultano intercambiabili.
Il punto d’incontro
L’ambiguità delle opere di Escher ricorda quella
espressa dalla “parola magica” placebo, uno dei
termini fra i più abusati dall’opinione pubblica e, in
particolare, dal mondo accademico.
L’effetto placebo è uno dei fenomeni più facilmente riscontrabili nella pratica medica e nella
ricerca clinica, ma al tempo stesso uno tra i più misteriosi e controversi. Qualsiasi effetto terapeutico
indotto da un trattamento trova immediatamente
una spiegazione attraverso l’effetto placebo. Così il
placebo può assumere le connotazioni più diverse:
dispregiative quando si riferisce a farmaci venduti
senza basi scientifiche, positive quando si vuol dire
che in ogni caso un trattamento fa qualcosa di utile,
neutre quando viene impiegato come elemento di
confronto negli studi clinici controllati1.
A questo proposito, l’opera di Escher, in cui i
concetti di positivo e negativo, di corretto e scorretto
finiscono per essere intercambiabili, presenta una similitudine anche con una seconda questione con cui
ci si deve confrontare quando si dibatte sull’uso del
placebo nella ricerca clinica: il difficile compromesso
tra interessi di salute pubblica e interessi economici.
Il placebo viene usato quando non dovrebbe
Allo scopo di mantenere un adeguato livello di
profitto, l’industria farmaceutica deve contenere
rischi e costi oltre che aumentare guadagni e
mercato. Una via per limitare rischi e costi è utilizzare, ogni qualvolta sia possibile, trial controllati
con placebo. Ciò consente di ottenere una fetta di
mercato già esistente piuttosto che rischiare il
costoso fallimento del tentativo di dimostrare un
vantaggio rispetto a controlli attivi. La maggior
parte dei trial controllati da placebo è fatta non
perché non ci siano alternative con cui confrontare
il farmaco sperimentale, ma perché nel confronto
Placebo o controllo attivo?
Non è l’interesse del paziente ad orientare
la scelta del controllo negli studi clinici
Il gioco degli spazi opposti, simili e contrari, si
presta ad approfondire il dibattito attorno all’appropriatezza dell’uso del placebo. Questo articolo lo fa
esprimendo alcune convinzioni che possono ap-
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Box
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L’ARTICOLO 29 DELLA DICHIARAZIONE DI HELSINKI E LA NOTA
DI CHIARIMENTO CHE NE HA EMENDATO IL SENSO
PARAGRAPH 29 OF THE WMA
DECLARATION OF HELSINKI
The benefits, risks, burdens and effectiveness of a new method should be tested against those of the best current
prophylactic, diagnostic, and therapeutic methods. This does not exclude
the use of placebo, or no treatment, in
studies where no proven prophylactic,
diagnostic or therapeutic method exists.
NOTE OF CLARIFICATION ON PARAGRAPH 29 OF THE WMA DECLARATION OF HELSINKI
The WMA hereby reaffirms its position
that extreme care must be taken in
making use of a placebo-controlled trial
and that in general this methodology
should only be used in the absence of existing proven therapy. However, a placebo-controlled trial may be ethically acceptable, even if proven therapy is available, under the following circumstances:
• where for compelling and scientifically sound methodological rea-
con placebo è più facile mostrare un effetto del
nuovo farmaco ed esibirne la presunta efficacia. La
strategia è quella di garantire a un nuovo prodotto
innanzi tutto una posizione nel mercato e affidare
poi alla propaganda presso medici e farmacisti il
compito di suggerirne la superiorità senza doverne
provare la fondatezza scientifica. Un farmaco che è
provatamene superiore al suo controllo attivo è improbabile che abbia bisogno di tanti sforzi per sostenere le vendite e convincere i medici a prescriverlo. Ma gli sforzi sono certamente necessari
per numerose copie che sono uguali fra loro: per
diversi ACE-inibitori, sartani, antidepressivi o antinfiammatori non steroidei è molto difficile operare
una scelta sulla base dei bisogni dei pazienti 6:
questi prodotti non sono stati sviluppati con lo
scopo prioritario di offrire un migliore trattamento
ed è questo il motivo per cui non è stato fatto un
confronto fra i vari attori della stessa classe. Farmaci
“me-too” come questi hanno ottenuto ciò che desideravano le aziende farmaceutiche: una collocazione nel mercato, indipendentemente dalla loro
collocazione in terapia.
sons its use is necessary to determine the efficacy or safety of a
prophylactic, diagnostic or therapeutic method; or
• where a prophylactic, diagnostic or
therapeutic method is being investigated for a minor condition and
the patients who receive placebo
will not be subject to any additional
risk of serious or irreversible harm.
All other provisions of the Declaration of
Helsinki must be adhered to, especially
the need for appropriate ethical and
scientific review.
terapie disponibili perché tali studi risponderebbero
a un bisogno reale. I pazienti resistenti alle terapie
correnti ne trarrebbero grande vantaggio.
Purtroppo, spesso, agli occhi dell’industria questo
approccio significherebbe ottenere l’approvazione
per un’indicazione ristretta a quel sottogruppo di pazienti e quindi a un mercato limitato. Questo è il
motivo per cui di solito questi studi non si fanno.
Che l’uso del placebo in queste circostanze non sia
una soluzione soddisfacente per l’industria farmaceutica è dimostrato dal fatto che in questi casi si
preferisce non evitare il confronto con controlli attivi,
anche se rispetto a questi si verifica solo l’equivalenza
o, più spesso al giorno d’oggi, la non-inferiorità di
nuovi farmaci rispetto ai controlli disponibili. Gli
studi di non-inferiorità sollevano due ordini di
problemi: uno metodologico e uno sostanziale.
Il placebo nulla aggiunge alla non-inferiorità
Gli studi di non-inferiorità sono stati oggetto di
critica per le deficienze metodologiche e i loro contraddittori messaggi 3-5,7-10 . Il placebo è stato
chiamato in causa come strumento in grado di superare alcuni limiti dei trial di non-inferiorità: l’inclusione di un braccio placebo supererebbe la potenziale scarsa sensibilità di questo tipo di studi3,5,
incapaci di definire se l’equivalenza di due trattamenti a confronto non sia in realtà il risultato
della loro pari inefficacia. Come è il caso dei trial
Il placebo non usato quando dovrebbe
Ci sono in realtà situazioni in cui l’uso del placebo
sarebbe, oltre che ammissibile, doveroso. Sarebbe
giusto condurre più studi controllati mediante
placebo nei pazienti resistenti o intolleranti alle
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per la depressione11, l’inclusione di placebo può in
effetti mostrare se il trattamento sperimentale e
quello di controllo gli sono superiori, e quindi sono
davvero efficaci. Tuttavia, anche così la presunta similarità tra il farmaco sperimentale e il controllo
attivo resta un artefatto: a causa della scarsa
potenza dello studio, dovuta al piccolo campione
di pazienti esaminato, tale similarità può di fatto
nascondere importanti differenze cliniche 8-12 .
Stando alle definizioni preliminarmente fissate, i
limiti di non-inferiorità includono un considerevole
eccesso di eventi di esito associati al trattamento
sperimentale: due, cinque, o dieci morti (o ictus o
fratture o interventi) in più per ogni cento pazienti
trattati possono essere arbitrariamente considerati
non sufficienti a marcare una differenza tra il nuovo
farmaco e il controllo, consentendo in tal modo di
concludere per la non-inferiorità del primo. Un risultato inferiore con il nuovo farmaco rispetto a
quello ottenuto con il trattamento attualmente disponibile non è accettabile, anche se migliore di
quello rilevato in un braccio placebo parallelo. Il
placebo insomma non può risolvere il problema
della scarsa sensibilità degli studi di non-inferiorità.
Questa infatti è peculiarità intrinseca a tali studi,
che cercano di non rilevare le differenze piuttosto
che di metterle in luce.
Come la superiorità rispetto al placebo, la noninferiorità rispetto a un controllo attivo potrebbe
consentire l’accesso al mercato a farmaci che di fatto
sono meno efficaci (o sicuri, tollerabili, comodi, ecc.)
di quelli già disponibili, i quali peraltro hanno, di
solito, caratteristiche ormai consolidate e un costo
più basso. Come la superiorità rispetto al placebo,
anche la non-inferiorità rispetto a un controllo attivo
non risponde al bisogno dei pazienti e dei medici di
definire il “place in therapy” dei nuovi farmaci, il loro
ruolo rispetto ai vecchi trattamenti.
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vantaggio per i pazienti. Come gli studi controllati da
placebo questi mirano a evocare un’efficacia e magari
vantaggi accessori senza fornirne alcuna prova. Trial
come questi hanno solo un interesse economico e
pochi pazienti accetterebbero di parteciparvi se il
messaggio dello sponsor aziendale fosse chiaramente
proposto nel consenso informato: “questo studio
vuole reclutare un certo numero di pazienti e lasciare
che il caso decida se essi debbano continuare il trattamento efficace che stanno attualmente assumendo
o passare al nuovo farmaco che non ci si aspetta sia
niente di meglio. Al committente industriale dello
studio basta stabilire che il suo farmaco è equivalente
o non-inferiore rispetto a quello tradizionalmente in
uso, che è provatamente efficace”. È sorprendente
che sperimentazioni di questo tipo siano approvate
dai Comitati Etici in assenza di altri vantaggi ipotizzati
e soggetti a verifica sperimentale.
Il pretesto per condurre studi come questi di solito
è che i medici hanno bisogno di molte alternative
poiché non tutti i pazienti rispondono allo stesso
modo. Ma di nuovo, se le cose stanno così, perché non
usare i trial controllati con placebo in pazienti che non
rispondono adeguatamente ai trattamenti disponibili?
Ma come non risolve questioni metodologiche, l’inclusione di un braccio placebo nei trial di non-inferiorità ancor meno risolve questi problemi etici.
Il placebo non aiuta a distinguere vera e falsa
innovazione
Ci può essere ancora un ruolo per gli studi di
non-inferiorità ed è quando si intravedono potenziali vantaggi per i pazienti o per la comunità in
presenza di una efficacia simile. Uno studio di noninferiorità può essere considerato etico quando un
farmaco simile al suo controllo in termini di efficacia può essere più sicuro, più comodo o più
cost-effective: per esempio un COX-2 inibitore con
minori effetti collaterali di tipo gastroenterico, un
sartano che fa tossire di meno rispetto ad un ACEinibitore, un chelante del ferro disponibile in formulazione orale per i bambini talassemici, un
cerotto agli estrogeni in grado di sostituire la pillola
quotidiana, una combinazione di vaccini, ecc.
Ciò che è importante è che i vantaggi vantati e
la loro ricaduta sui singoli pazienti e/o sulla comunità
siano appropriatamente verificati e documentati,
come normalmente si richiede per l’efficacia. Ma
questo approccio richiede una documentazione di
superiorità, e anche in questo caso è difficile immaginare qualsiasi ruolo per il placebo5: potenziali
Il cattivo uso dei controlli attivi
In ogni caso la soluzione di un problema metodologico (la sensibilità dei trial di non-inferiorità) non
riabiliterebbe un’ipotesi (la non-inferiorità del
farmaco sperimentale) che ha poca o nessuna importanza per i pazienti. Oltre alla scarsa sensibilità, il
problema principale di questi studi è che essi difettano di senso etico9,13. Il problema qui non è
neppure relativo al placebo o al controllo attivo:
questi studi volutamente trascurano l’interesse dei
pazienti per favorire interessi commerciali. Gli studi
di non-inferiorità non garantiscono alcun possibile
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indipendente indicherebbe anche all’industria di che
tipo di prodotti la salute pubblica ha bisogno, e l’indicazione di quali criteri candidano certi medicinali alla
rimborsabilità da parte del SSN potrebbe essere un
potente stimolo a riorientare la ricerca clinica condotta
dalle aziende.
vantaggi dovrebbero infatti essere stabiliti rispetto
ad un controllo attivo. I vantaggi dovrebbero essere
precisati preliminarmente nel protocollo dello studio
e servire come guida per stabilire un ragionevole
limite di non-inferiorità, ovvero l’eccesso di eventi
clinici considerato tollerabile perché i due prodotti
possano essere ritenuti sufficientemente simili, in
considerazione degli altri potenziali vantaggi ricercati: quante morti in eccesso, o infarti o interventi,
ecc., considereremmo accettabili mentre verifichiamo se il nuovo farmaco sia davvero più sicuro o
meglio tollerato, o più facile da usare, o più economico rispetto al suo controllo?
Conclusioni
In “Cielo e acqua I” di Escher tutto è in divenire…
Così è anche nel mondo della ricerca in cui tutto è
in trasformazione. Ma mentre l’ambiguità delle
opere di Escher può essere spiegata da ciascuno di
noi attraverso la personale interpretazione, quella del
“caso” placebo può essere sciolta solo orientando la
ricerca verso l’indipendenza.
Una possibile soluzione
Molte divergenze sull’uso del placebo o del controllo attivo potrebbero essere ridotte se l’interesse
della salute pubblica fosse costantemente mantenuto quale obiettivo primario. Se la pianificazione
e la conduzione degli studi riflettessero questo
scopo prioritario, anche l’indipendenza intellettuale
dei ricercatori clinici rispetto all’ipotesi da verificare
sarebbe assicurata. Gli interessi economici possono
essere comunque soddisfatti purché vantaggi siano
assicurati a singoli pazienti o alla comunità. A
questo proposito i farmaci non possono essere considerati alla stregua di qualsiasi altro prodotto magnificato al di là dei propri meriti dalla pubblicità.
Il valore dei farmaci dovrebbe consistere solo nel
vantaggio che offrono alla salute pubblica, un vantaggio che dovrebbe richiedere documentazione
oggettiva. I Comitati Etici dovrebbero considerare
attentamente i protocolli degli studi clinici per verificare non solo che nessun danno venga recato ai
pazienti coinvolti nello studio, ma anche che i trial
siano disegnati appropriatamente per dimostrare
qualsiasi prevedibile vantaggio per i pazienti ai
quali il farmaco è destinato dopo l’approvazione.
I fondi pubblici a supporto della ricerca clinica indipendente hanno un ruolo fondamentale nell’aiutare
la comunità scientifica a mantenere la propria indipendenza intellettuale rispetto agli obiettivi prioritari,
che sono l’identificazione dell’ipotesi clinica e l’appropriato disegno dello studio che verifica l’ipotesi. Tali
fondi rendono anche le istituzioni deputate alla salute
pubblica capaci di affrontare temi che non hanno un
diretto interesse commerciale 14. Non ci si può
aspettare che l’industria persegua e finanzi obiettivi
scientifici e di salute pubblica che non sono in sintonia,
e anzi possono essere in contrasto, con i suoi interessi
commerciali. È importante sottolineare che la ricerca
Vittorio Bertele’, Silvio Garattini
Istituto Mario Negri, Milano
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