Escher, l`ambiguità degli spazi e l`effetto placebo
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Escher, l`ambiguità degli spazi e l`effetto placebo
84 bollettino d’informazione sui farmaci LA GALLERIA “Noi non conosciamo lo spazio, non lo vediamo, non lo ascoltiamo, non lo percepiamo. Siamo in mezzo a esso, ne facciamo parte, ma non ne sappiamo nulla”. Escher Escher, l’ambiguità degli spazi e l’effetto placebo da una famiglia benestante, Maurits Cornelius Escher studiò ad Haarlem alla Scuola di architettura, dove si avvicinò all’arte grafica, scoprendo così la sua vera strada. Preoccupati per l’isolamento e la conseguente depressione in cui era sprofondato dopo la scoperta della sua vocazione, i genitori lo convinsero ad accompagnarlo per un viaggio in Italia. L’artista rimase profondamente affascinato dalla Penisola, dalla sua natura esplosiva, dall’architettura delle città; e nel giro di pochi anni vi si stabilì definitivamente. Gli anni italiani costituirono per Escher un felice periodo di perfezionamento dello studio e di feconda produzione grafica. Con l’affermazione in Italia del regime fascista, a causa dell’irrespirabile clima politico, l’artista si trasferì nel 1935 in Svizzera, paese natale della moglie, e nel 1937 in Belgio. In questo periodo, Escher comincia a volgere l’attenzione alle immagini interiori tralasciando la rappresentazione realistica. In seguito, egli definì questi anni come quelli in cui maturò la svolta della sua vita: “In Svizzera e in Belgio ho trovato molto meno interessanti sia i paesaggi sia l’architettura rispetto a ciò che avevo visto nel Sud Italia. Mi sono così sentito spinto ad allontanarmi sempre di più dall’illustrazione più o meno diretta e realistica della realtà circostante. Non vi è dubbio che queste particolari circostanze sono state responsabili di aver portato alla luce le mie ‘visioni interiori’”. Cielo e acqua I, MC Escher. L’ambiguità visiva delle opere di Escher I disegni e le xilografie di Escher si muovono secondo i fondamenti della stereometria e delle trasformazioni geometriche, l’uso e l’abuso della prospettiva, con rotazioni, riflessioni, sovrapposizioni e traslazioni che scavalcano ogni limite per farsi, alternativamente, ora figura e ora sfondo, ora acqua e ora cielo di universi semireali in cui siamo costretti a immergerci. Nato nel 1898 a Leeuwarden nel Nord dell’Olanda AIFA - Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci ANNO XII N. 2 85 2005 parire preconcette, ma sono argomentate nel testo. La prima di tali convinzioni è che ciò che dovrebbe giustificare l’autorizzazione al commercio di un nuovo farmaco è la sua provata superiorità rispetto al migliore trattamento disponibile; la seconda è che la superiorità rispetto al placebo ha valore clinico solo in pazienti che non possono beneficiare del trattamento standard di riferimento; la terza è che la non-inferiorità di nuovi farmaci rispetto a trattamenti disponibili è un obiettivo legittimo solo quando si prevedano altri vantaggi per i pazienti (maggiore tollerabilità, maggiore comodità d’uso, minor costo, ecc.) e solo se tali vantaggi siano adeguatamente valutati. L’ultima convinzione argomentata nel testo è che ciò che realmente conta non è tanto la metodologia quanto l’obiettivo e la conduzione indipendente di un trial. Una volta identificate, un’ipotesi clinica rilevante per i pazienti e la sua verifica davvero liberamente perseguita implicheranno la metodologia più appropriata per dare risposta all’incertezza. Ma quando l’ipotesi che genera la ricerca riveste un’importanza relativa per il paziente, allora qualsiasi discussione su quale sia il modo più appropriato per rispondere alla domanda assume valore limitato. Non sono ancora sopite le eco della vivace discussione2-4 attorno all’ultima versione della Dichiarazione di Helsinki5 con l’inclusione di un emendamento (box). Il dibattito di qualche anno fa su quando sia opportuno l’uso del placebo era centrato attorno al benessere del paziente come se questo fosse l’unico obiettivo della ricerca clinica. Ma le cose purtroppo non stanno così: il dilemma attorno all’uso del placebo o del controllo attivo è difficilmente risolvibile in un ambito fortemente condizionato dagli interessi economici che relegano gli interessi dei pazienti in un ruolo quantomeno comprimario. Fu così che Escher approdò a una radicale rottura con il suo stile naturalistico precedente. Contemporaneamente, questo significò l’approfondimento dell’introspezione fino ad allora latente: non più paesaggi, soggetti biblici, studi realistici, viaggi nello spazio fisico, bensì esplorazioni nella mente umana, speculazioni sul modo in cui questa percepisce, e talvolta deforma, la realtà. “Cielo e acqua I” del 1938 è un’opera nella quale giochi di luce e di ombra convertono dei pesci nell’acqua in uccelli nel cielo. In questa opera, il progressivo accostamento tra loro dei pesci e degli uccelli ne determina, centralmente, la trasformazione. Nei contrasti cielo-acqua, scuro-chiaro, pesci-uccelli l’ambiguità visiva diventa ambiguità di significato e il positivo e il negativo risultano intercambiabili. Il punto d’incontro L’ambiguità delle opere di Escher ricorda quella espressa dalla “parola magica” placebo, uno dei termini fra i più abusati dall’opinione pubblica e, in particolare, dal mondo accademico. L’effetto placebo è uno dei fenomeni più facilmente riscontrabili nella pratica medica e nella ricerca clinica, ma al tempo stesso uno tra i più misteriosi e controversi. Qualsiasi effetto terapeutico indotto da un trattamento trova immediatamente una spiegazione attraverso l’effetto placebo. Così il placebo può assumere le connotazioni più diverse: dispregiative quando si riferisce a farmaci venduti senza basi scientifiche, positive quando si vuol dire che in ogni caso un trattamento fa qualcosa di utile, neutre quando viene impiegato come elemento di confronto negli studi clinici controllati1. A questo proposito, l’opera di Escher, in cui i concetti di positivo e negativo, di corretto e scorretto finiscono per essere intercambiabili, presenta una similitudine anche con una seconda questione con cui ci si deve confrontare quando si dibatte sull’uso del placebo nella ricerca clinica: il difficile compromesso tra interessi di salute pubblica e interessi economici. Il placebo viene usato quando non dovrebbe Allo scopo di mantenere un adeguato livello di profitto, l’industria farmaceutica deve contenere rischi e costi oltre che aumentare guadagni e mercato. Una via per limitare rischi e costi è utilizzare, ogni qualvolta sia possibile, trial controllati con placebo. Ciò consente di ottenere una fetta di mercato già esistente piuttosto che rischiare il costoso fallimento del tentativo di dimostrare un vantaggio rispetto a controlli attivi. La maggior parte dei trial controllati da placebo è fatta non perché non ci siano alternative con cui confrontare il farmaco sperimentale, ma perché nel confronto Placebo o controllo attivo? Non è l’interesse del paziente ad orientare la scelta del controllo negli studi clinici Il gioco degli spazi opposti, simili e contrari, si presta ad approfondire il dibattito attorno all’appropriatezza dell’uso del placebo. Questo articolo lo fa esprimendo alcune convinzioni che possono ap- AIFA - Ministero della Salute 86 Box LA GALLERIA L’ARTICOLO 29 DELLA DICHIARAZIONE DI HELSINKI E LA NOTA DI CHIARIMENTO CHE NE HA EMENDATO IL SENSO PARAGRAPH 29 OF THE WMA DECLARATION OF HELSINKI The benefits, risks, burdens and effectiveness of a new method should be tested against those of the best current prophylactic, diagnostic, and therapeutic methods. This does not exclude the use of placebo, or no treatment, in studies where no proven prophylactic, diagnostic or therapeutic method exists. NOTE OF CLARIFICATION ON PARAGRAPH 29 OF THE WMA DECLARATION OF HELSINKI The WMA hereby reaffirms its position that extreme care must be taken in making use of a placebo-controlled trial and that in general this methodology should only be used in the absence of existing proven therapy. However, a placebo-controlled trial may be ethically acceptable, even if proven therapy is available, under the following circumstances: • where for compelling and scientifically sound methodological rea- con placebo è più facile mostrare un effetto del nuovo farmaco ed esibirne la presunta efficacia. La strategia è quella di garantire a un nuovo prodotto innanzi tutto una posizione nel mercato e affidare poi alla propaganda presso medici e farmacisti il compito di suggerirne la superiorità senza doverne provare la fondatezza scientifica. Un farmaco che è provatamene superiore al suo controllo attivo è improbabile che abbia bisogno di tanti sforzi per sostenere le vendite e convincere i medici a prescriverlo. Ma gli sforzi sono certamente necessari per numerose copie che sono uguali fra loro: per diversi ACE-inibitori, sartani, antidepressivi o antinfiammatori non steroidei è molto difficile operare una scelta sulla base dei bisogni dei pazienti 6: questi prodotti non sono stati sviluppati con lo scopo prioritario di offrire un migliore trattamento ed è questo il motivo per cui non è stato fatto un confronto fra i vari attori della stessa classe. Farmaci “me-too” come questi hanno ottenuto ciò che desideravano le aziende farmaceutiche: una collocazione nel mercato, indipendentemente dalla loro collocazione in terapia. sons its use is necessary to determine the efficacy or safety of a prophylactic, diagnostic or therapeutic method; or • where a prophylactic, diagnostic or therapeutic method is being investigated for a minor condition and the patients who receive placebo will not be subject to any additional risk of serious or irreversible harm. All other provisions of the Declaration of Helsinki must be adhered to, especially the need for appropriate ethical and scientific review. terapie disponibili perché tali studi risponderebbero a un bisogno reale. I pazienti resistenti alle terapie correnti ne trarrebbero grande vantaggio. Purtroppo, spesso, agli occhi dell’industria questo approccio significherebbe ottenere l’approvazione per un’indicazione ristretta a quel sottogruppo di pazienti e quindi a un mercato limitato. Questo è il motivo per cui di solito questi studi non si fanno. Che l’uso del placebo in queste circostanze non sia una soluzione soddisfacente per l’industria farmaceutica è dimostrato dal fatto che in questi casi si preferisce non evitare il confronto con controlli attivi, anche se rispetto a questi si verifica solo l’equivalenza o, più spesso al giorno d’oggi, la non-inferiorità di nuovi farmaci rispetto ai controlli disponibili. Gli studi di non-inferiorità sollevano due ordini di problemi: uno metodologico e uno sostanziale. Il placebo nulla aggiunge alla non-inferiorità Gli studi di non-inferiorità sono stati oggetto di critica per le deficienze metodologiche e i loro contraddittori messaggi 3-5,7-10 . Il placebo è stato chiamato in causa come strumento in grado di superare alcuni limiti dei trial di non-inferiorità: l’inclusione di un braccio placebo supererebbe la potenziale scarsa sensibilità di questo tipo di studi3,5, incapaci di definire se l’equivalenza di due trattamenti a confronto non sia in realtà il risultato della loro pari inefficacia. Come è il caso dei trial Il placebo non usato quando dovrebbe Ci sono in realtà situazioni in cui l’uso del placebo sarebbe, oltre che ammissibile, doveroso. Sarebbe giusto condurre più studi controllati mediante placebo nei pazienti resistenti o intolleranti alle AIFA - Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci ANNO XII N. 2 per la depressione11, l’inclusione di placebo può in effetti mostrare se il trattamento sperimentale e quello di controllo gli sono superiori, e quindi sono davvero efficaci. Tuttavia, anche così la presunta similarità tra il farmaco sperimentale e il controllo attivo resta un artefatto: a causa della scarsa potenza dello studio, dovuta al piccolo campione di pazienti esaminato, tale similarità può di fatto nascondere importanti differenze cliniche 8-12 . Stando alle definizioni preliminarmente fissate, i limiti di non-inferiorità includono un considerevole eccesso di eventi di esito associati al trattamento sperimentale: due, cinque, o dieci morti (o ictus o fratture o interventi) in più per ogni cento pazienti trattati possono essere arbitrariamente considerati non sufficienti a marcare una differenza tra il nuovo farmaco e il controllo, consentendo in tal modo di concludere per la non-inferiorità del primo. Un risultato inferiore con il nuovo farmaco rispetto a quello ottenuto con il trattamento attualmente disponibile non è accettabile, anche se migliore di quello rilevato in un braccio placebo parallelo. Il placebo insomma non può risolvere il problema della scarsa sensibilità degli studi di non-inferiorità. Questa infatti è peculiarità intrinseca a tali studi, che cercano di non rilevare le differenze piuttosto che di metterle in luce. Come la superiorità rispetto al placebo, la noninferiorità rispetto a un controllo attivo potrebbe consentire l’accesso al mercato a farmaci che di fatto sono meno efficaci (o sicuri, tollerabili, comodi, ecc.) di quelli già disponibili, i quali peraltro hanno, di solito, caratteristiche ormai consolidate e un costo più basso. Come la superiorità rispetto al placebo, anche la non-inferiorità rispetto a un controllo attivo non risponde al bisogno dei pazienti e dei medici di definire il “place in therapy” dei nuovi farmaci, il loro ruolo rispetto ai vecchi trattamenti. 87 2005 vantaggio per i pazienti. Come gli studi controllati da placebo questi mirano a evocare un’efficacia e magari vantaggi accessori senza fornirne alcuna prova. Trial come questi hanno solo un interesse economico e pochi pazienti accetterebbero di parteciparvi se il messaggio dello sponsor aziendale fosse chiaramente proposto nel consenso informato: “questo studio vuole reclutare un certo numero di pazienti e lasciare che il caso decida se essi debbano continuare il trattamento efficace che stanno attualmente assumendo o passare al nuovo farmaco che non ci si aspetta sia niente di meglio. Al committente industriale dello studio basta stabilire che il suo farmaco è equivalente o non-inferiore rispetto a quello tradizionalmente in uso, che è provatamente efficace”. È sorprendente che sperimentazioni di questo tipo siano approvate dai Comitati Etici in assenza di altri vantaggi ipotizzati e soggetti a verifica sperimentale. Il pretesto per condurre studi come questi di solito è che i medici hanno bisogno di molte alternative poiché non tutti i pazienti rispondono allo stesso modo. Ma di nuovo, se le cose stanno così, perché non usare i trial controllati con placebo in pazienti che non rispondono adeguatamente ai trattamenti disponibili? Ma come non risolve questioni metodologiche, l’inclusione di un braccio placebo nei trial di non-inferiorità ancor meno risolve questi problemi etici. Il placebo non aiuta a distinguere vera e falsa innovazione Ci può essere ancora un ruolo per gli studi di non-inferiorità ed è quando si intravedono potenziali vantaggi per i pazienti o per la comunità in presenza di una efficacia simile. Uno studio di noninferiorità può essere considerato etico quando un farmaco simile al suo controllo in termini di efficacia può essere più sicuro, più comodo o più cost-effective: per esempio un COX-2 inibitore con minori effetti collaterali di tipo gastroenterico, un sartano che fa tossire di meno rispetto ad un ACEinibitore, un chelante del ferro disponibile in formulazione orale per i bambini talassemici, un cerotto agli estrogeni in grado di sostituire la pillola quotidiana, una combinazione di vaccini, ecc. Ciò che è importante è che i vantaggi vantati e la loro ricaduta sui singoli pazienti e/o sulla comunità siano appropriatamente verificati e documentati, come normalmente si richiede per l’efficacia. Ma questo approccio richiede una documentazione di superiorità, e anche in questo caso è difficile immaginare qualsiasi ruolo per il placebo5: potenziali Il cattivo uso dei controlli attivi In ogni caso la soluzione di un problema metodologico (la sensibilità dei trial di non-inferiorità) non riabiliterebbe un’ipotesi (la non-inferiorità del farmaco sperimentale) che ha poca o nessuna importanza per i pazienti. Oltre alla scarsa sensibilità, il problema principale di questi studi è che essi difettano di senso etico9,13. Il problema qui non è neppure relativo al placebo o al controllo attivo: questi studi volutamente trascurano l’interesse dei pazienti per favorire interessi commerciali. Gli studi di non-inferiorità non garantiscono alcun possibile AIFA - Ministero della Salute 88 LA GALLERIA indipendente indicherebbe anche all’industria di che tipo di prodotti la salute pubblica ha bisogno, e l’indicazione di quali criteri candidano certi medicinali alla rimborsabilità da parte del SSN potrebbe essere un potente stimolo a riorientare la ricerca clinica condotta dalle aziende. vantaggi dovrebbero infatti essere stabiliti rispetto ad un controllo attivo. I vantaggi dovrebbero essere precisati preliminarmente nel protocollo dello studio e servire come guida per stabilire un ragionevole limite di non-inferiorità, ovvero l’eccesso di eventi clinici considerato tollerabile perché i due prodotti possano essere ritenuti sufficientemente simili, in considerazione degli altri potenziali vantaggi ricercati: quante morti in eccesso, o infarti o interventi, ecc., considereremmo accettabili mentre verifichiamo se il nuovo farmaco sia davvero più sicuro o meglio tollerato, o più facile da usare, o più economico rispetto al suo controllo? Conclusioni In “Cielo e acqua I” di Escher tutto è in divenire… Così è anche nel mondo della ricerca in cui tutto è in trasformazione. Ma mentre l’ambiguità delle opere di Escher può essere spiegata da ciascuno di noi attraverso la personale interpretazione, quella del “caso” placebo può essere sciolta solo orientando la ricerca verso l’indipendenza. Una possibile soluzione Molte divergenze sull’uso del placebo o del controllo attivo potrebbero essere ridotte se l’interesse della salute pubblica fosse costantemente mantenuto quale obiettivo primario. Se la pianificazione e la conduzione degli studi riflettessero questo scopo prioritario, anche l’indipendenza intellettuale dei ricercatori clinici rispetto all’ipotesi da verificare sarebbe assicurata. Gli interessi economici possono essere comunque soddisfatti purché vantaggi siano assicurati a singoli pazienti o alla comunità. A questo proposito i farmaci non possono essere considerati alla stregua di qualsiasi altro prodotto magnificato al di là dei propri meriti dalla pubblicità. Il valore dei farmaci dovrebbe consistere solo nel vantaggio che offrono alla salute pubblica, un vantaggio che dovrebbe richiedere documentazione oggettiva. I Comitati Etici dovrebbero considerare attentamente i protocolli degli studi clinici per verificare non solo che nessun danno venga recato ai pazienti coinvolti nello studio, ma anche che i trial siano disegnati appropriatamente per dimostrare qualsiasi prevedibile vantaggio per i pazienti ai quali il farmaco è destinato dopo l’approvazione. I fondi pubblici a supporto della ricerca clinica indipendente hanno un ruolo fondamentale nell’aiutare la comunità scientifica a mantenere la propria indipendenza intellettuale rispetto agli obiettivi prioritari, che sono l’identificazione dell’ipotesi clinica e l’appropriato disegno dello studio che verifica l’ipotesi. Tali fondi rendono anche le istituzioni deputate alla salute pubblica capaci di affrontare temi che non hanno un diretto interesse commerciale 14. Non ci si può aspettare che l’industria persegua e finanzi obiettivi scientifici e di salute pubblica che non sono in sintonia, e anzi possono essere in contrasto, con i suoi interessi commerciali. È importante sottolineare che la ricerca Vittorio Bertele’, Silvio Garattini Istituto Mario Negri, Milano Bibliografia 1. Dobrilla G. Placebo e dintorni. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2004: IX-XII. 2. Temple R, Ellenberg SS. Placebo-controlled trials and active-control trials in the evaluation of new treatments. Part 1: ethical and scientific issues. Ann Intern Med 2000; 133: 455–63. 3. Emanuel EJ, Miller FG. The ethics of placebocontrolled trials. A middle ground. N Engl J Med 2001; 345: 915–9. 4. Lewis JA, Jonsson B, Kreutz G, et al. Placebo controlled trials and the Declaration of Helsinki. Lancet 2002; 359: 1337–40. 5. The World Medical Association, Inc. The Declaration of Helsinki, 2000. Disponibile al sito Internet: www.wma.net 6. Anonymous. 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