LA GuidA in StAtO di ebbRezzA e SOttO L`eFFettO di StuPeFAcenti

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LA GuidA in StAtO di ebbRezzA e SOttO L`eFFettO di StuPeFAcenti
La guida in stato di ebbrezza
e sotto l’effetto di stupefacenti
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La condotta
1. La condotta. 1.1. Il reato di guida in stato di ebbrezza.
Il comportamento preso in considerazione dall’art. 186 codice della Reato di mera
strada consiste nel “guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di condotta [1]
bevande alcoliche”; in termini non dissimili, l’art. 186-bis parla di “guidare
dopo aver assunto bevande alcoliche e sotto l’influenza di queste”.
L’art. 186 è quindi reato di mera condotta, poiché prescinde dalla
realizzazione di un risultato; ed è reato di pericolo (“incriminazione di
pericolo a tutela avanzata” secondo Cass., Sez. 4, Sentenza n. 22260 del
25/03/2014 - Rv. 259231), in quanto non postula una lesione effettiva del
bene giuridico tutelato, da identificarsi nella sicurezza della circolazione
stradale e nella incolumità degli utenti della strada, essendo invece
sufficiente un comportamento che esponga lo stesso semplicemente a
pericolo. Il pericolo non è elemento della fattispecie che si debba accertare
in concreto volta per volta: partendo da comuni massime di esperienza,
il legislatore considera la condotta come peculiarmente e ordinariamente
pericolosa per il bene giuridico, tanto che il pericolo è implicito nella
realizzazione di essa.
Non può però dirsi che si tratti di reato senza offesa, poiché anche
l’esposizione al pericolo, così come la lesione effettiva, costituisce offesa
del bene giuridico tutelato. Ed appunto per tale ragione la prevalente
giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto applicabile anche
alla guida di stato di ebbrezza l’esclusione della procedibilità per i casi di
particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 34, D.lvo 28 agosto 2000, n.
274 nei procedimenti in allora di competenza del Giudice di pace, e da
valutarsi anche avuto riguardo alla “esiguità del danno o del pericolo che
ne è derivato”. Si è detto che non esistono reati senza offesa; e che anche
un reato di pericolo presunto deve rispondere al principio di offensività
e, quindi, non è neppure configurabile ove non sussista un vulnus anche
minimo a carico del bene tutelato (Cass., sez. 4, sentenza n. 24249 del
28/04/2006 - Rv. 234416; in senso contrario, Cass., sez. 3, sentenza
n. 23114 del 19/04/2007 - Rv. 237069, per la quale la legge prende in
considerazione il mero fatto della circolazione su una pubblica via in tali
condizioni, nessuna incidenza potendo quindi avere l’intensità dello stato
di ebbrezza, la sua eventuale occasionalità e l’intensità del danno o del
pericolo causato).
Appare comunque chiara l’inapplicabilità al reato di cui all’art. 186
di quegli istituti che contemplano, oltre che un danno, anche un pericolo
concreto per il bene tutelato. Non potrà, ad esempio, applicarsi, la
circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6 c.p., che concerne l’avere,
prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di
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esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni, o l’essersi adoperato
spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze
dannose o pericolose del reato; la sospensione condizionale della pena
prevista dall’art. 163, ultimo comma, c.p., o l’imposizione delle prescrizioni
di cui all’art. 165, primo comma, c.p., basate sul medesimo presupposto
dell’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.
Unica eccezione riguarda le ipotesi in cui sia stata contestata l’aggravante
Poteri del
Giudice [2] di cui all’art. 186, comma 2-bis (avere provocato un incidente stradale). In
questo caso è stata ritenuta configurabile la circostanza attenuante di cui
all’art. 62, n. 6, prima ipotesi: compito del giudice non è tanto prendere
in esame l’oggettività giuridica del reato, quanto accertare se l’imputato,
prima del giudizio, abbia integralmente riparato il danno mediante
l’adempimento delle obbligazioni risarcitorie o restitutorie che, ai sensi
dell’art. 185 c.p., trovano la loro fonte nel reato (Cass. Sez. 4, Sentenza n.
9323 del 28/01/2014 - Rv. 258188). 1.2. La guida di veicoli: il caso dei velocipedi e dei veicoli a
trazione animale.
Poiché per “guidare” deve intendersi imprimere movimento ad un
Definizione di
veicolo [3] veicolo, regolandone l’andatura e la direzione, il concetto di guida non
può ovviamente prescindere dalla presenza di un veicolo (per la rilevanza
dello stato di ebbrezza del pedone vedi il Capitolo 10).
Ai sensi dell’art. 46, comma 1, codice della strada, “si intendono per
veicoli tutte le macchine di qualsiasi specie, che circolano sulle strade
guidate dall’uomo”. L’art. 47 distingue i veicoli secondo le loro peculiari
caratteristiche; ed acquista rilevanza per la guida in stato di ebbrezza non
solo la guida dei veicoli a motore, ma anche dei velocipedi, dei veicoli a
trazione animale, dei veicoli a braccia (spinti o trainati dall’uomo a piedi,
o azionati dalla forza muscolare dello stesso conducente senza fare uso di
pedali, come reso esplicito dall’art. 48 e dall’art. 197 Regolamento) e delle
slitte, ossia dei veicoli a trazione animale muniti di pattini.
Non può innanzitutto dubitarsi che commetta il reato di cui all’art.
Velocipede [4]
186 anche il soggetto che, in stato di ebbrezza, si ponga alla guida di un
velocipede, definito dall’art. 50 codice della strada come il “veicolo con
due ruote o più ruote funzionanti a propulsione esclusivamente muscolare,
per mezzo di pedali o di analoghi dispositivi, azionati dalle persone che si
trovano sul veicolo”. Un’argomentata pronuncia di merito in senso contrario
(Tribunale di Rovereto, sentenza 5 marzo 2002, in Giurisprudenza di merito,
2002, 6, II, 1359; Foro Italiano, 2003, II, 59) aveva circoscritto l’ambito di
applicazione dell’art. 186 codice della strada ai soli veicoli a motore. Pur
riconoscendo che anche il velocipede rientra nel concetto di veicolo, si era
valorizzata da un lato la stretta correlazione fra la violazione e la sanzione
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amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, non
richiesta per la guida di una bicicletta; dall’altro il rischio qualitativamente
diverso e certamente inferiore generato dalla circolazione di un velocipede
rispetto a quello creato dalla circolazione, in analoghe condizioni, di
veicoli a motore. Queste considerazioni, viste anche alla luce dei principi
di tassatività e di sussidiarietà della norma penale, in mancanza di una
chiara scelta di incriminazione da parte del legislatore, avevano indotto il
Tribunale a privilegiare, anche per favor rei, l’interpretazione più restrittiva,
secondo cui integra il reato in questione solamente la guida di veicoli a
motore. L’imputato era stato quindi mandato assolto perché il fatto non è
previsto dalla legge come reato.
Altro giudice di merito (Tribunale di Bologna, sentenza 21 giugno 2007,
n. 1752, in Il Merito, 2007, 11, 50, con nota di A. Natalini, La guida in stato
di ebbrezza rileva indipendentemente dal mezzo adoperato) ha invece
data per ovvia ed indiscussa la rilevanza penale della condotta, senza però
motivare sul punto.
La Corte di Cassazione ritiene ora assolutamente pacifica l’applicabilità
dell’art. 186 codice della strada anche alla guida del velocipede. In una
occasione il Pubblico ministero aveva proposto ricorso avverso la sentenza
di condanna con riguardo a tale fattispecie, denunciando violazione di
legge per la omessa applicazione anche della sanzione amministrativa
accessoria della sospensione della patente di guida. La Corte ha osservato
che nei confronti di chi conduca in stato di ebbrezza da bevande alcoliche
una bicicletta, veicolo per la guida del quale non è prevista patente
alcuna, non può esser applicata anche la sanzione amministrativa accessoria, che presuppone un abuso dell’autorizzazione amministrativa (Cass.,
sez. 4, sentenza n. 2021 del 09/07/1997 - Rv. 209287, in Arch. giur. circ.,
1998, 888; in Riv. giur. circ. e trasp., 1998, 143). Lo stesso principio è stato
affermato dalle Sezioni unite in una pronuncia (Cass., sez. Un., sentenza n.
12316 del 29/03/2002, in Diritto e Giustizia, 2002, 19, 77; in Cassazione
penale, 2002, 2295; in Rivista penale, 2002, 570), relativa però ad un caso
in cui la sanzione amministrativa accessoria accedeva a reato diverso da
quello di cui all’art. 186 codice della strada. Anche in questa pronuncia le
Sezioni unite hanno data per presupposta la rilevanza penale della guida in
stato di ebbrezza del velocipede, osservando come il ritiro cautelare della
patente in questo caso non potrebbe svolgere funzione alcuna, non potendo
comunque ostacolare, in futuro, la circolazione con lo stesso veicolo con
cui la violazione è stata commessa, poiché non è previsto, per la guida
dello stesso, l’aver conseguito la patente.
Successivamente a tali pronunce, che hanno affrontato la questione
solo incidentalmente, la questione dell’applicabilità dell’art. 186 anche al
velocipede è stata portata avanti alla Corte come motivo di ricorso. Si è
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affermato con assoluta chiarezza che la norma incriminatrice si riferisce
indistintamente a tutti i veicoli in circolazione, compresi i velocipedi,
esplicitamente considerati veicoli dall’art. 50 codice della strada: anche
il ciclista che guida in stato di ebbrezza incorre, pertanto, nel reato (Cass.,
sez. 4, sentenza n. 6020 del 2006; Cass., sez. 4, sentenza n. 33572 del
2006; Cass., sez. 4, sentenza n. 3454 del 2008).
La questione è stata rimessa alla Corte Costituzionale per difetto di
ragionevolezza, non potendosi porre sullo stesso piano, sotto il profilo della
pericolosità, la guida di una bicicletta e di un veicolo a motore (Tribunale
di Trento, ordinanza 15 giugno 2011); ma la questione è stata dichiarata
manifestamente inammissibile per ragioni di rito (Corte Costituzionale,
Ordinanza n. 94 del 4 – 18 aprile 2012).
Resta fermo, in questo caso, che non potrà essere applicata la sanzione
amministrativa accessoria della sospensione della patente, trattandosi
di veicolo per il quale non è richiesta alcuna abilitazione (Cass. Sez. 4,
Sentenza n. 19413 del 29/03/2013 - Rv. 255081, in Foro Italiano, 2013, 9,
452, con nota di A. Palmieri, Circolazione stradale, guida in stato d’ebbrezza,
velocipede, sospensione della patente di guida).
Gli animali, “da tiro, da soma o da sella” non sono invece considerati
Animali da tiro, da
soma o da sella [5] veicoli, tanto che non potrà applicarsi l’art. 186. Ciò è reso evidente, oltre
che dalla definizione dei veicoli come “macchine di qualsiasi specie” che
si legge nell’art. 46, anche dall’art. 115 codice della strada, che considera
separatamente la guida di veicoli e la conduzione di animali.
Residua invece la rilevanza penale della guida in stato di ebbrezza dei
veicoli a trazione animale, compresi nell’elenco di cui all’art. 47, comma
1. Va anche tenuto anche conto che, come recita l’art. 183, “Ogni veicolo
a trazione animale deve essere guidato da un conducente”, cosa che rende
evidente come si tratti di guida di veicoli, e non di conduzione di animali. 1.3. La movimentazione del veicolo su area ad uso pubblico:
sosta, fermata, conduzione a mano, a spinta o in discesa.
Sosta [6]
Se la guida consiste “nell’esercizio della facoltà umana di controllo e
di dominio di un veicolo semovente” (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 45898 del
19/10/2010 - Rv. 249485), occorre chiedersi se essa comprenda anche la
sosta e la fermata del veicolo. Si ricorda che l’art. 157 codice della strada
intende per sosta una “sospensione della marcia del veicolo protratta nel
tempo, con possibilità di allontanamento da parte del conducente”, e per
fermata “la temporanea sospensione della marcia anche se in area ove non
sia ammessa la sosta, per consentire la salita o la discesa delle persone, ovvero
per altre esigenze di brevissima durata”.Poiché, come visto, il concetto di
guida implica la regolazione della direzione e dell’andatura di un veicolo,
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e, quindi, la sua movimentazione, in esso non potrà comprendersi anche
la sosta.
Il caso di un soggetto in stato di ebbrezza, sorpreso a dormire a Prova della
bordo del proprio veicolo, in quel frangente acceso per consentire il pregressa
movimentazione [7]
funzionamento dell’impianto di riscaldamento, è stato portato all’esame
della Cassazione. La Corte, dopo avere ricordato che l’assunzione di
alcol, anche a modeste concentrazioni ematiche, compromette le funzioni
psicofisiche del conducente, stante il venir meno di quella concentrazione
e rapidità di riflessi sulle prestazioni di guida, indispensabili alla sicurezza
della circolazione, ha escluso che possa essere ricondotto alla violazione
dell’art. 186 il fatto di dormire ebbro nella vettura, anche se con il motore
acceso. Il comportamento considerato dalla norma deve essere circoscritto al fatto dinamico della conduzione del veicolo, costituito anche
soltanto dal porsi alla guida, azionando i congegni idonei ad imprimere il
movimento. Ha quindi annullato con rinvio la decisione che aveva invece
ritenuto ravvisabile il reato, in quanto carente di motivazione in ordine
ai momenti che avevano preceduto la presenza dell’imputato all’interno
dell’autovettura parcheggiata con il motore acceso. Il Tribunale avrebbe
dovuto invece soffermarsi su quei momenti, evidentemente per apprezzare
se l’imputato avesse movimentato il veicolo prima di sostarvi. (Cass., sez. 4,
sentenza n. 10979 del 29/01/2007 - Rv. 236193; in Guida al diritto, 2007,
6, 72, con nota di F. Amato: Senza «movimentazione» del veicolo impossibile eccepire la contravvenzione; per un analogo caso di soggetto sorpreso
sotto il probabile effetto di stupefacenti a bordo di una vettura in sosta,
in assenza di elementi da cui dedurre che si fosse messo alla guida della
stessa, vedi Cass., sez. 6, sentenza n. 10907 del 2006). Solo in questo caso,
infatti, con la prova della pregressa movimentazione del veicolo si avrebbe
avuto prova di un fatto previsto dalla legge come reato.
Come si vedrà più ampiamente, la flagranza non è elemento costitutivo
del reato, tanto che si punisce chi guida in stato di ebbrezza, e non chi è
colto mentre guida in stato di ebbrezza (Cass., sez. 4, sentenza n. 41983
del 2006): il fatto che la condotta di guida sia cessata non esclude in
alcun modo che la sua esistenza possa essere ritenuta in forza di elementi
acquisiti in un tempo successivo. Tanto è avvenuto, ad esempio, in un caso
in cui l’imputato era stato identificato a bordo della propria vettura in sosta
lungo una strada provinciale, e non in un centro cittadino come nei due
casi precedenti; si era ritenuto che egli fosse giunto in tale luogo in stato
di ebbrezza, poiché non erano state rinvenute sul posto le due lattine di
birra che l’imputato aveva asserito di avere bevuto dopo il suo arrivo (il
ragionamento è stato giudicato immune da vizi logici da Cass., sez. 4,
sentenza n. 16345 del 2008).
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In un caso analogo, la Corte di Cassazione ha considerato rientrare
nella nozione di guida la condotta di chi si trovi all’interno del veicolo
(nella specie, in stato di alterazione, nell’atto di dormire con le mani e la
testa poste sul volante) quando sia accertato che egli abbia, in precedenza,
deliberatamente movimentato il mezzo in area pubblica o quantomeno
destinata al pubblico (Cass., sez. 7, ordinanza n. 10476 del 20/01/2010 Rv. 246198).
Fermata [8]
Situazione ben diversa si verifica nel caso di fermata del veicolo, definita,
come abbiamo visto, come una temporanea sospensione della marcia del
veicolo per esigenze di brevissima durata; tanto avviene, ad esempio, per
caricare o scaricare un bagaglio, o per fare salire o scendere passeggeri. In
questo caso, chi si trovi alla guida della vettura in stato di ebbrezza dovrà
rispondere del reato di cui all’art. 186.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che la fermata costituisce una fase
della circolazione, tanto che è del tutto irrilevante, ai fini della contestazione
del reato di guida in stato di ebbrezza, se il veicolo condotto dall’imputato
risultato positivo alla prova con etilometro sia, al momento dell’effettuazione
del controllo, in movimento ovvero abbia temporaneamente sospeso la
marcia (Cass., sez. 4, sentenza n. 37631 del 25/09/2007 - Rv. 237882; Cass.
Sez. 4, Sentenza n. 45514 del 07/03/2013 - Rv. 257695).
Appare a questo punto chiaro come l’attenzione debba concentrarsi
Movimentazione
del veicolo [9] sulla movimentazione del veicolo: esiste una condotta di guida in presenza
della movimentazione del veicolo, anche se temporaneamente sospesa,
mentre non esiste in sua assenza (nel senso invece che costituisca attività di
guida il porre mano ai congegni di un veicolo anche se non vi sia di fatto un
movimento e purchè tale movimento possa essere realizzabile con l’azione
svolta, Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1723 del 22/11/1967 - Rv. 107539).
Questo impone di attribuire rilevanza anche alla conduzione del
veicolo a motore spento (spinto da altri o in discesa), trattandosi di condotta
comunque idonea a creare pericolo per la circolazione se compiuta da
soggetto in stato di ebbrezza.
Con riguardo, invece, alla conduzione a mano, un recente arresto giurisprudenziale ha interrotto la serie di pronunce che consideravano la stessa
rilevante sia con riguardo alla guida senza patente (Cass. Sez. 4, Sentenza
n. 867 del 29/10/1984 - Rv. 167584), che a quella in stato di ebbrezza
(Cass., sez. 4, sentenza n. 18794 del 09/01/2003 - Rv. 224880). Facendo
propria una nozione di guida in senso dinamico, “che presuppone l’utilizzo
del mezzo secondo le proprie potenzialità tecniche e cinematiche”, la Cassazione ha escluso che la spinta effettuata dal conducente possa costituire
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guida dello stesso per i fini di cui all’art. 186 (Cass. Sez. 4, Sentenza n.
45898 del 19/10/2010 - Rv. 249485).
Deve negarsi in ogni caso rilievo alla conduzione a mano del velocipede, Conduzione a
posto che l’art. 182, comma 4, codice della strada equipara al pedone il mano [10]
ciclista con la bicicletta a mano, imponendogli di usare la comune diligenza
e la comune prudenza. Nel caso invece in cui il conducente proceda senza
azionare i pedali, ma spingendosi con i piedi per terra, va considerato ciclista
e non pedone, ed è tenuto ad osservare tutte le norme della circolazione,
atteso che tale modalità di marcia non toglie al velocipede la qualità di
veicolo (Cass., sez. 4, sentenza n. 3165 del 07/02/1991 - Rv. 186724, in
Archivio giuridico della circolazione, 1991, 462; in Rivista giuridica della
circolazione e dei trasporti, 1992, 524).
Il presupposto di tutte le considerazioni che precedono è che la
movimentazione avvenga, a norma dell’art. 2, comma 1, codice della strada,
su strada, e quindi su “area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei
pedoni, dei veicoli e degli animali”.
Non conta, quindi, la proprietà pubblica o privata dell’area; tanto che
le norme sulla circolazione stradale sono state ritenute applicabili anche
alle strade interpoderali, e quindi di proprietà privata, restando escluse solo
quelle riservate all’uso esclusivo dei privati proprietari. La classificazione di
una strada come interpoderale non esclude che essa sia di uso pubblico,
come reso esplicito dall’art. 3, comma 1, n. 52, codice della strada, che
definisce la strada vicinale come strada privata fuori dai centri abitati ad
uso pubblico; e, se soggetta a pubblico transito, in quanto destinata ad una
comunità indifferenziata di utenti, va considerata strada per gli effetti di cui
all’art. 2 (Cass., sez. 4, sentenza n. 3169 del 14/10/1999 - Rv. 216798).
Restano quindi escluse le aree ugualmente destinate alla circolazione,
ma non di uso pubblico. Non risponde quindi di guida in stato di ebbrezza il
soggetto che sia stato colto nell’atto di spostare l’auto all’interno di un’area
recintata, anche se con l’accesso privo di chiusura, di pertinenza esclusiva
dello stabile condominiale, senza circolare sulla strada (Cass., sez. 4, 13
dicembre 2003, Ciancaleoni, in Archivio delle locazioni e del condominio,
2003, 178). Circolazione su
area ad uso
pubblico destinata
alla circolazione
[11]
1.4. Ubriachezza, ebbrezza, influenza dell’alcol dopo avere
assunto bevande alcoliche.
Così definito il concetto di guida, occorre definire cosa significa guidare Ebbrezza [12]
“in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche”,
comportamento considerato dall’art. 186, ovvero “dopo aver assunto
bevande alcoliche e sotto l’influenza di queste”, comportamento considerato
dall’art. 186-bis.
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Il codice penale contiene all’art. 688 una contravvenzione concernente
la prevenzione dell’alcolismo e dei delitti commessi in stato di ubriachezza,
che punisce (a seguito della modifica intervenuta con l’art. 54, comma 1,
D.lvo 30 dicembre 1999, n. 507) con la sanzione amministrativa pecuniaria
da Euro 51,00 a Euro 309,00 chiunque, in un luogo pubblico o aperto al
pubblico, sia colto in stato di“manifesta ubriachezza”.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il concetto di ebbrezza di cui
al codice della strada ha un significato più ampio di quello di ubriachezza.
Esso si riferisce allo stato di chi versi in una qualunque condizione di
disarmonia psico-fisica, determinata da ingestione di bevande alcoliche,
per cui venga a difettare la prontezza dei riflessi o la valutazione delle
contingenze della circolazione che costituiscono elementi indispensabili
per la sicurezza della guida (Cass., sez. 4, sentenza n. 2350 del 10/07/1979
- Rv. 144395).
Gli elementi che concorrono ad integrare gli estremi della
Rapporto tra la
nozione penale e contravvenzione prevista dal codice della strada sono del tutto diversi da
quella di cui al quelli richiesti per l’illecito amministrativo previsto dal codice penale.
Codice della strada
[13] Mentre per la sussistenza dell’illecito di cui all’art 688 c.p. è necessario che
l’ubriachezza abbia raggiunto un grado di intensità tale che tutti possano
avvedersene, per il reato di guida in stato di ebbrezza è sufficiente, invece,
che, in conseguenza dell’uso dell’alcol o di sostanze stupefacenti, siano
venute a mancare la prontezza dei riflessi e la capacita di valutazione delle
contingenze, indispensabili per una sicura guida del veicolo (Cass., sez. 2,
sentenza n. 1343 del 01/10/1971, Rv. 120355).
Le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno affermato che l’illecito
amministrativo punito dall’art. 688 c.p. concorre con la guida in stato di
ebbrezza punita dall’art. 186 del codice della strada, data la diversità degli
interessi giuridici rispettivamente tutelati dalle due norme.
Nel codice penale, infatti, l’art. 688 mira alla prevenzione dell’alcolismo
e alla tutela dell’ordine pubblico; nel codice della strada, invece, l’art. 186
intende garantire la sicurezza della circolazione sulle strade e l’incolumità
di chi vi si trova. La differenza tra l’ebbrezza e l’ubriachezza sta nell’intensità
dell’alterazione psicofisica, più grave nella seconda per la presenza di un
maggior tasso alcolemico, nonché nel fatto che mentre l’ebbrezza può non
essere manifesta, l’ubriachezza è punibile solo quando lo è. L’ubriachezza,
quindi, in sé comprende e assorbe, dal punto di vista clinico, l’ebbrezza,
perché ne costituisce uno stato più avanzato: ma, per essere perseguibile,
deve essere oltre che in luogo pubblico, anche manifesta (Cass., sez. Un.,
sentenza n. 1299 del 27/09/1995 - Rv. 203633, in Archivio giuridico della
circolazione e dei sinistri stradali, 1996, 91, con nota di V. Colombani, Rivista
giuridica della circolazione e dei trasporti, 1996, 165).
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LA CONDOTTA
Deve infine considerarsi l’ulteriore condizione correlata all’assunzione
di bevande alcoliche, introdotta dalla legge 27 luglio 2010, n. 120: ai
sensi dell’art. 186-bis, e solo con riguardo alle categorie di conducenti
ivi precisamente indicati, è vietato guidare dopo aver assunto bevande
alcoliche e sotto l’influenza di queste.
La condotta descritta dal comma 1 dell’art. 186 bis parrebbe sovrapporsi
a quella dell’art. 186, che, si ricorda, è ugualmente intitolato “Guida sotto
l’influenza dell’alcool”: la lettera della disposizione sembra richiedere che
l’assunzione di alcol abbia avuto un concreto effetto sull’armonia psicofisica
del conducente, che verrebbe a coincidere con lo stato di ebbrezza.
Il comma 2 chiarisce però con evidenza come si debba fare riferimento
esclusivamente al tasso alcolemico accertato, superiore a zero e non
superiore a 0,5 grammi per litro, e quindi alla positiva alcolemia; un
eventuale stato di alterazione psicofisica conseguente all’uso di bevande
alcoliche dovrà essere invece inquadrato nelle più gravi condotte di cui
all’art. 186.
L’illecito può essere commesso solamente dai soggetti precisamente
indicati dall’art. 186 bis, comma 1. Rispondono della violazione i
conducenti di età inferiore a ventuno anni; i conducenti nei primi tre anni
dal conseguimento della patente di guida di categoria B; i conducenti che
esercitano l’attività di trasporto di persone, di cui agli articoli 85, 86 e 87;
i conducenti che esercitano l’attività di trasporto di cose, di cui agli articoli
88, 89 e 90; i conducenti di autoveicoli di massa complessiva a pieno carico
superiore a 3,5 t, di autoveicoli trainanti un rimorchio che comporti una
massa complessiva totale a pieno carico dei due veicoli superiore a 3,5 t (e
quindi, come precisa la circolare 30 luglio 2010, anche di autoveicoli “che
effettuino il traino di caravan o di rimorchi T.A.T.S. di cui all’articolo 56,
comma 2, lettere e) ed f), C.d.S. quando la massa del complesso veicolare
superi tale limite”), di autobus e di altri autoveicoli destinati al trasporto di
persone il cui numero di posti a sedere, escluso quello del conducente, è
superiore a otto, nonché di autoarticolati e di autosnodati. Assunzione di
bevande alcoliche
[14]
Soggetti
perseguibili [15]
1.5. I farmaci che riducono il metabolismo epatico. I farmaci
contenenti alcol.
Le varie modalità di accertamento dello stato di ebbrezza verranno Indicazione
dettagliatamente esposte nel seguito. Per intanto, basti anticipare che delle circostanze
l’ebbrezza è uno stato di disarmonia psico-fisica, che può essere percepibile sintomatiche [16]
anche dall’esterno; tanto che l’art. 379, comma 3 Reg. C.d.S. obbliga i
verbalizzanti a indicare nella notizia di reato “le circostanze sintomatiche
dell’esistenza dello stato di ebbrezza, desumibili in particolare dallo stato
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La guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di stupefacenti
del soggetto e dalla condotta di guida”, ed anch’esse possono costituire
prova del reato.
L’art. 186, comma 6 del codice della strada consente però di affermare
Concentrazione
alcolemica nel lo stato di ebbrezza anche sulla sola scorta della concentrazione alcolemica
sangue [17] nel sangue, la quale si ricava anche, ai sensi dell’art. 379, comma 1 del
Regolamento di esecuzione al codice della strada, dalla concentrazione
di alcol nell’aria alveolare espirata. Sono noti alcuni principi attivi, come
la ranitidina, presente in numerosi farmaci contro l’ulcera gastrica, che,
pur non influenzando la determinazione sull’aria espirata, riducono il
metabolismo epatico post-assorbimento (first pass metabolism), provocando
livelli alcolemici maggiori a parità di introduzione di alcol [R. Giorgetti, M.
Montisci , F. Castagna , M. Gennari , S. D. Ferrara, Alcol etilico nell’aria
espirata. Comparazione Brac/Bac in una popolazione di conducenti, in
Rivista Italiana Medicina Legale, 2002, 6, 1479]. Poiché l’assunzione di
bevande alcoliche resta comunque un dato certo, non è revocabile in
dubbio che il soggetto si trovi anche in questo caso a guidare un veicolo
“in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche”; per il
che il profilo meritevole di approfondimento diviene quello dell’elemento
soggettivo del reato, dovendosi accertare se possa muoversi al conducente
quanto meno un addebito di colpa.
In un caso analogo la Corte d’appello di Milano, Sezione II, con sentenza
7 giugno 2007 (in Altalex, 14 novembre 2007, con nota di C.A. Zaina,
Guida in stato di ebbrezza, assunzione di farmaci ed errore scusabile), ha
confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Como, osservando che,
“a prescindere dalla conoscenza o meno da parte del prevenuto degli effetti
collaterali delle medicine assunte, è certo che il tasso alcolico accertato
superava il limite consentito e che detta assunzione poteva incidere solo
sui tempi di smaltimento e non anche sul valore complessivo affermato”.
La motivazione, estremamente concisa, non consente di ricostruire tutti gli
elementi di fatto del caso portato all’esame della Corte. Il provvedimento
è stato commentato nel senso che non può concretare un errore scusabile
- con il conseguente venire meno dell’elemento soggettivo del reato - l’assunzione di farmaci, che, associati all’assunzione di sostanze alcoliche,
abbiano concorso a determinare l’ebbrezza del conducente.
Per quanto tale conclusione non appaia con certezza ricavabile dalla
motivazione, essa appare conforme ad una regola di comune esperienza,
che sconsiglia di associare farmaci e bevande alcoliche per le sempre possibili interazioni dell’uno sull’altro, con effetti di reciproco potenziamento
imprevedibili e spesso assai pericolosi. Si potrebbe quindi dire che un
rimprovero, nel caso di associazione di farmaci e alcol, può essere sempre
mosso al conducente (in questo senso, Cass. Sez. 4, sentenza n. 38793 del
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LA CONDOTTA
2011, in Rivista Italiana Medicina Legale, 2012, 672, con nota di L. Romano,
Stato di ebbrezza: modalità dell’accertamento e rilevanza dell’assunzione
di farmaci; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43729 del 12/07/2013 - Rv. 257195);
e che l’errore di fatto non può mai essere ritenuto scusabile, tenendo anche
conto della percezione che un soggetto deve necessariamente avere della
propria armonia o disarmonia psico-fisica al momento di mettersi alla
guida.
Si ricorda infine che, ai fini della colpevolezza, sono necessarie Ebbrezza
la coscienza e la volontà di ingerire bevande alcoliche, mentre l’esito accidentale [18]
dell’ubriachezza può essere intenzionale ma anche solamente colposo. Al
pari dell’ubriachezza accidentale (per questa si veda Cass., sez. 1, sentenza
n. 6065 del 12/12/1983 - Rv. 165034), poi, anche l’ebbrezza accidentale,
derivante cioè da caso fortuito ed esemplificata nel caso del soggetto che,
senza aver bevuto smodatamente, sia divenuto ebbro per una condizione
morbosa da lui ignorata, rappresenta poi una ipotesi del tutto eccezionale,
e la relativa prova deve essere con certezza acquisita al processo.
Venendo alla diversa problematica dei farmaci contenenti alcol, la Farmaci contenenti
letteratura scientifica non riporta casi di medicinali che siano in grado di alcol [19]
determinare autonomamente lo stato di ebbrezza del conducente.
Le vicende che frequentemente giungono nelle aule giudiziarie, di solito
riferibili a sciroppi antitussivi che possono contenere quale eccipiente
percentuali variabili di alcol, ben potrebbero essere risolte sul semplice
assunto che si tratta comunque di “bevande alcoliche”, sia pure ad effetto
medicamentoso (in questo senso Cass. Sez. 4, Sentenza n. 26972 del 2013,
che ritiene equivalenti i termini “bevanda” e “sostanza” alcolica, non
potendo farsi derivare distinguo di sorta dal tipo di elemento alcolico
assunto, ove lo stesso sia comunque idoneo a determinare una condizione
di ebbrezza alcolica, sicchè tra le sostanze prese in considerazione dalla
norma certamente rientrano anche i farmaci a componente alcolica, in Diritto
e Giustizia online, 2013, 610, con nota di A. Ferretti, Assume un farmaco a
base alcolica e si mette al volante: è reato; nello stesso senso, Cass. Sez. 4,
Sentenza n. 4967 del 2014; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 22250 del 2014; Cass.
Sez. 4, Sentenza n. 29888 del 2014). Va solo aggiunto che, ordinariamente,
gli sciroppi antitussivi vengono assunti in dosi di pochi millilitri, palesemente
insufficienti a determinare lo stato di ebbrezza quand’anche si trattasse di
alcol puro. Pare quindi evidente come l’assunzione di quantità smodate o
abnormi di tali farmaci, anche a ritenerla seriamente possibile, configuri ex
se un addebito di colpa per il conducente.
Quand’anche si dovesse poi ammettere che un farmaco possa
determinare ebbrezza per il suo contenuto di alcol, la presenza di questo
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La guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di stupefacenti
sarebbe immediatamente percepibile al palato, tanto che mettersi alla guida
di un veicolo in tali condizioni significa venire meno ad ogni elementare
principio di avvedutezza. In ogni caso, secondo la Corte di Cassazione,
“l’elemento psicologico del reato non è escluso dall’assunzione di farmaci
ad elevata componente alcolica, essendo onere del conducente accertare
la compatibilità dell’assunzione con la circolazione stradale” (Cass. Sez. 4,
Sentenza n.19386 del 05/04/2013 - Rv. 255835).
L’onere della prova dell’assunzione di farmaci con tali particolari
caratteristiche grava comunque sul conducente.
La Corte di Cassazione ha affermato che l’esito positivo dell’esame con
etilometro costituisce prova della sussistenza dello stato di ebbrezza. È onere
dell’imputato fornire eventualmente la prova contraria a tale accertamento
dimostrando vizi od errori di strumentazione o di metodo nell’esecuzione
dell’aspirazione, non essendo sufficiente allegare la circostanza relativa
all’assunzione di farmaci idonei ad influenzare l’esito del test, quando tale
affermazione sia sfornita di riscontri probatori (Cass., sez. 4, sentenza n.
45070 del 30/03/2004 - Rv. 230489, in Arch. Giur. Circolaz., 2006, 2, 191;
Arch. Giur. Circolaz., 2006, 3, 279; Riv. Pen., 2006, 1, 97). 28
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