Osservatorio permanente sulla comunicazione scientifica attraverso

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Osservatorio permanente sulla comunicazione scientifica attraverso
Questo documento è parte integrante di
Osservatorio permanente sulla comunicazione scientifica attraverso i media, volume I,
Ilesis, Ricerca & Formazione per i Sistemi Sanitari, Italpromo Health Group, Roma, 2002
Osservatorio permanente
sulla comunicazione scientifica
attraverso i media
Analisi a cura del gruppo di ricerca
del Master in Comunicazione della Scienza
SISSA
Stefano Fantoni, Pietro Greco, Barbara Montolli, Nico Pitrelli
1. La comunicazione pubblica della scienza
La comunicazione della scienza al pubblico dei non esperti (più in breve,
comunicazione pubblica della scienza) sta subendo, un po’ in tutto il mondo, un duplice e
radicale cambiamento di ruolo. Tale è la profondità del cambiamento da definire un duplice
mutamento del suo statuto ontologico (1).
Nell’ambito specifico della sociologia della scienza e, in particolare,
dell’organizzazione del lavoro scientifico, la comunicazione pubblica della scienza da attività
quasi del tutto marginale sta diventando un’attività professionale primaria degli scienziati.
Nell’ambito più generale della sociologia politica, la comunicazione pubblica della
scienza si va affermando come uno dei fattori principali di democrazia in quella che è stata
definita la «società della conoscenza».
Poiché pensiamo sia utile analizzare i risultati
dell’«Osservatorio sulla comunicazione della scienza attraverso i media» anche alla luce di
questo impianto teorico generale, preghiamo il lettore di munirsi di un po’ di pazienza e di
seguirci nella breve ricostruzione del duplice processo che sta portando alla ridefinizione del
ruolo o, se si vuole, dello statuto ontologico della comunicazione della scienza.
1. a. Cos’è la scienza?
Ci sono almeno quattro modi per guardare a quell’«insieme di conoscenze ordinate e
coerenti, organizzate logicamente a partire da principî fissati univocamente e ottenute con
metodologie rigorose, secondo criteri propri delle diverse epoche storiche» che chiamiamo
scienza (2). C’è il modo del filosofo, che guarda ai processi logici e metodologici attraverso cui
le conoscenze scientifiche si sviluppano e si organizzano. C’è il modo dello storico, che guarda
alla successione dei processi attraverso cui le conoscenze scientifiche si sono organizzate e
sviluppate nel tempo. C’è il modo dello psicologo, che guarda ai processi mentali con cui i
singoli scienziati producono nuova conoscenza scientifica. E c’è, infine, il modo del sociologo,
che guarda ai processi sociali con cui gli scienziati, come comunità, producono e organizzano
le loro conoscenze.
È quest’ultima prospettiva quella che vogliamo prendere in esame in quest’analisi.
Perché se la comunicazione della scienza è un aspetto di grande interesse per il filosofo, per lo
storico e per lo psicologo della scienza, è solo nella prospettiva del sociologo che – ai nostri fini
– essa assume una centralità assoluta. Infatti, da un punto di vista sociologico la scienza può
essere definita come: «un’istituzione sociale dedita alla costruzione di un consenso razionale
d’opinione sul più vasto campo possibile» (3).
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E, in effetti, ogni processo scientifico può essere schematizzato in due soli stadi
fondamentali: lo scienziato che osserva la natura e lo scienziato che comunica i risultati delle
sue osservazioni. Questi due stadi possono avere forme diverse e anche piuttosto articolate.
Tuttavia non è possibile fare scienza se non passando attraverso il processo che prevede
entrambi gli stadi: quello privato della osservazione e quello pubblico della comunicazione. In
altri termini, non esiste scienza senza comunicazione. Come scrive John Ziman: «Il principio
basilare della scienza è che i risultati della ricerca devono essere resi pubblici. Qualsiasi cosa
gli scienziati pensino o dicano individualmente, le loro scoperte non possono essere considerate
come appartenenti alla conoscenza scientifica finché non sono state riferite e registrate in modo
permanente» (3)
Non è un caso che la scienza moderna sia nata dopo l’invenzione della stampa e,
quindi, dopo che si è creata la possibilità tecnica di una comunicazione pubblica e rapida, che
consente di riferire, registrare e discutere i risultati dell’osservazione della natura. Avrebbero
avuto lo stesso dirompente impatto, scientifico e culturale, le prime osservazioni del cielo col
cannocchiale nel 1609, se Galileo Galilei non le avesse rese pubbliche immediatamente
mandando alle stampe e facendo circolare il suo Sidereus Nuncius? La domanda è del tutto
retorica. Senza la rapida pubblicazione e diffusione in tutta Europa di quel libro, sia pure
stampato in poche centinaia di copie, le rugosità della Luna e la scoperta delle lune di Giove
non avrebbero superato il muro dell’attenzione, non sarebbero state immediatamente ripetute e
sarebbero affondate nell’oceano delle lente e dotte discussioni scolastiche.
In realtà non c’è scienza se non c’è comunicazione della scienza. Possiamo, dunque,
dire che: «il sistema di comunicazione è l’istituzione sociale fondamentale della scienza» (3).
Ma in cosa consiste questo sistema di comunicazione della scienza? O, meglio, qual è il
sistema di comunicazione rilevante che costituisce l’istituzione sociale fondamentale della
scienza?
1. b. Cos’è la comunicazione della scienza?
Il sistema di comunicazione rilevante della scienza è il sistema che conferisce una forte
dinamica al processo scientifico e contribuisce all’evoluzione della scienza. Tuttavia è esso
stesso un sistema in evoluzione. Che si modifica nel tempo.
Ai tempi di Galileo, cioè all’inizio della scienza moderna, la comunicazione dei risultati
scientifici era abbastanza informale: affidata ai libri, oltre che, in parte non banale, agli
epistolari e all’oralità.
Ma poi, a partire almeno dalla fine del ‘700, la comunicazione della scienza si è andata
sempre più formalizzando. Tanto che oggi possiamo distinguere almeno due diverse modalità
formali nel modo in cui gli scienziati comunicano tra loro: la letteratura primaria e la
letteratura secondaria.
La letteratura primaria è l’insieme di articoli, saggi, documenti che danno notizia di
risultati originali e non banali dell’attività di ricerca. Il medium utilizzato per questo tipo di
comunicazione è, essenzialmente, la rivista scientifica (anche se la modalità del libro non è
affatto scomparsa). L’accesso alla pubblicazione sulle riviste scientifiche è decisamente
formalizzando. Nelle forme (lunghezza definita degli articoli, uso di una particolare retorica,
precisi riferimenti alla conoscenza scientifica già acquisita) e nei contenuti. Che vengono
preventivamente vagliati da uno o più colleghi esperti e anonimi. Questo sistema della
revisione a opera di colleghi, chiamata peer review, assicura (tende ad assicurare) che i risultati
pubblicati siano davvero originali, siano stati conseguiti con procedure corrette, e siano
significativi.
La letteratura secondaria è invece formata da un insieme di saggi riassuntivi (le
cosiddette review), di recensioni, di raccolte dati, di bibliografie che non danno notizia di
risultati originali, ma organizzano e razionalizzano le conoscenze acquisite.
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Insieme, la letteratura primaria e la letteratura secondaria, formano il grande archivio
formale della scienza, in cui è raccolta e catalogata l’intera conoscenza scientifica (Tabella 1).
Questa biblioteca virtuale, ancorché delocalizzata nello spazio e nel tempo, è di estrema
importanza. Potremmo infatti dire, parafrasando Pierre-Simon de Laplace, che un’intelligenza
che, in un dato istante, conoscesse l’intero archivio della comunicazione formale della scienza,
sarebbe in possesso dell’intera conoscenza scientifica prodotta dall’uomo fino a quell’istante. E
nulla della scienza umana le sarebbe ignoto.
Ma è davvero tutta raccolta nel grande archivio della letteratura primaria e secondaria la
comunicazione rilevante della scienza?
In realtà, gli scienziati non comunicano tra loro solo per iscritto. Comunicano tra loro
anche per via orale.
Tabella 1 – La comunicazione formale della scienza
Letteratura primaria
Letteratura secondaria
Articoli e saggi con risultati
originali della ricerca
Review, recensioni, raccolta
dati, bibliografie,
È dunque evidente che la comunicazione rilevante della scienza non si esaurisce in
quella formale scritta, ma si articola anche nella comunicazione formale orale (congressi,
conferenze) e nella comunicazione informale, scritta e orale (Tabella 2).
Tabella 2 – La comunicazione rilevante della scienza
Comunicazione formale
Comunicazione informale
Scritta
Letteratura primaria
e secondaria
Lettere,
quaderni di laboratorio
Orale
Congressi, conferenze
Discussioni in laboratorio
o “al bar”
In realtà a queste forme classiche oggi dovremmo aggiungere un nuova forma di
comunicazione della scienza: quella elettronica, attraverso la rete mondiale di computer.
Internet non è solo un nuovo medium, un nuovo strumento, di comunicazione, ma è un mezzo
che determina una nuova qualità aggiuntiva di comunicazione. Rende, per esempio, possibile
l’esistenza di gruppi di ricerca internazionali, coi membri del gruppo che restano nelle loro sedi
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fisiche e si scambiano le informazioni necessarie al prosieguo della ricerca attraverso la rete in
tempo reale.
Sul Web, d’altra parte, vengono pubblicate nuove riviste scientifiche. E se il processo di
peer review adottate da queste riviste è sostanzialmente identico a quello delle gemelle su carta
(con tempi però notevolmente ridotti), i costi di queste riviste sono così bassi da rendere
accessibile l’informazione scientifica a tutti. Compresi quegli scienziati che, lavorando in paesi
e istituti con scarse risorse a disposizione (si pensi agli scienziati che lavorano nei Paesi in Via
di Sviluppo e nelle repubbliche ex sovietiche), non possono accedere alle riviste su carta dai
costosi e, talvolta, costosissimi abbonamenti. Insomma, gli e-journal, come vengono chiamate
in gergo le riviste elettroniche, sono un potente fattore di democrazia dell’informazione
scientifica.
Ma sul Web si sta imponendo anche una nuova forma di comunicazione tra scienziati,
diretta e senza mediazioni (public library). La peer review non è più assolta da un numero
limitato di colleghi anonimi, ma dagli stessi lettori che sono, in buona sostanza, i membri della
comunità scientifica cui l’autore si rivolge. La nuova modalità di comunicazione ripropone, in
qualche modo, la modalità diretta di comunicazione che utilizzavano gli scienziati prima
dell’avvento delle riviste (4).
Per tutte queste ragioni, e altre ancora, la rete informatica rappresenta, dunque, una
novità evolutiva nella storia della comunicazione della scienza. Da tenere in debito conto
(Tabella 3).
Tabella 3 – La nuova comunicazione rilevante della scienza
Comunicazione formale
Comunicazione informale
Scritta
Letteratura primaria
e secondaria
Lettere,
quaderni di laboratorio
Orale
Congressi, conferenze
Discussioni in laboratorio
o “al bar”
e-communication
Riviste specializzate in rete
e-mail, scambio di d ati e d i
informazioni via Internet, chat
line
La Tabella 3 ci mostra che il sistema di comunicazione della scienza è un sistema
piuttosto complesso che si è venuto modificando e arricchendo nel tempo. Tuttavia finora
abbiamo dato per scontato che la comunicazione della scienza, o almeno la comunicazione
rilevante della scienza, sia comunicazione tra scienziati. Dando per scontato anche che quello
della scienza sia un mondo chiuso, autonomo, autoconsistente e autoreferenziale.
Questa è una visione ideale della scienza che non ha mai avuto, storicamente, un
riscontro reale. Gli scienziati sono cittadini del mondo. Che interagiscono col mondo. Anche
quando lavorano. Vi sono canali svariati e bidirezionali attraverso cui la scienza e la società
comunicano e si influenzano reciprocamente. Questi canali costituiscono robusti rami
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comunicativi che emergono dal tronco della istituzione sociale fondamentale dell’attività
scientifica, il sistema di comunicazione della scienza.
I rami della comunicazione della scienza al grande pubblico dei non esperti non sono
del tutto irrilevanti, per lo sviluppo della scienza, rispetto ai rami che si rivolgono al ristretto
pubblico dei colleghi esperti. Perché, come sostiene il fisico francese Jean Marc Lévy-Leblond,
attraverso questo tipo di comunicazione lo scienziato mira alla diffusione e al riconoscimento
sociale del suo sapere (5, 6).
Se questo è vero, come crediamo, dobbiamo rendere ancora più articolata e complessa
la mappa della comunicazione della scienza. La Tabella 4 ci offre, finalmente, un panorama
esauriente di questa fondamentale istituzione sociale.
Da notare che l’inserimento della colonna relativa alla comunicazione al pubblico dei
non esperti (comunicazione pubblica) modifica qualitativamente la mappa della comunicazione
della scienza. Perché non solo amplia il novero dei soggetti a valle del flusso comunicativo
(non più solo scienziati, ma appunto anche pubblico dei non esperti), ma amplia anche il
novero dei soggetti a monte del processo di comunicazione (rilevante) della scienza. In questa
tabella, infatti, non vanno inclusi solo gli scienziati che comunicano il loro sapere attraverso
l’insegnamento o la divulgazione (con libri, articoli, interviste alla radio o in televisione).
Vanno inclusi anche comunicatori che non sono scienziati (giornalisti, insegnanti, presentatori
radio e TV, membri di organizzazioni culturali e/o politiche, artisti) e che, tuttavia, hanno un
ruolo non del tutto trascurabile nella diffusione e nella accettabilità sociale della scienza.
Tabella 4 – La comunicazione della scienza
Comunicazio
ne formale
Comunicazione
informale
Comunicazione
pubblica
Scritta
Letteratura
primaria
e secondaria
Lettere,
quaderni di
laboratorio
Divulgazione
(libri, giornali)
Orale
Congressi,
conferenze
Discussioni in
laboratorio o “al bar”
Insegnamento
Conferenze
Radio, TV
ecommunication
Riviste
specializzate
in rete
e-mail, scambio di
dati e di informazioni
via Internet, chat line
Divulgazione in
rete, e-mail, chat
line
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1. c. Scienza accademica e scienza post-accademica
Il mondo scientifico che abbiamo delineato e la mappa della comunicazione della
scienza che abbiamo provato ad abbozzare hanno un grave limite. Si riferiscono a un’era ormai
superata dell’evoluzione della scienza. L’era in cui la scienza se non era un mondo totalmente
chiuso, separato, autoconsistente e autoreferenziale, lo era abbastanza. Nel senso che la ricerca
veniva effettuata da singoli scienziati o da piccoli gruppi di scienziati. Le decisioni relative alle
piste di ricerca da battere erano prese dai singoli scienziati, dai singoli gruppi o, in ogni caso,
all’interno della comunità scientifica (università, enti di ricerca). Gli obiettivi della ricerca
erano definiti essenzialmente in base alle aspettative dell’autore o, comunque, della comunità
scientifica.
In questa era, che è stata definita da John Ziman «l’era accademica della scienza», la
gran parte dei rapporti sociali degli scienziati si sviluppa all’interno della comunità scientifica
(2). Certo, anche nell’era accademica esistono i rapporti tra il mondo della scienza e il resto
della società. Ma si tratta di rapporti tra sistemi dotati di larga autonomia, che si sviluppano
attraverso canali non numerosi e comunque abbastanza chiari e riconoscibili.
Questa era, l’era accademica della scienza, ha iniziato a tramontare oltre cinquant’anni
fa, intorno alla seconda guerra mondiale.
Nel dopoguerra l’organizzazione sociale della scienza inizia a modificarsi
profondamente. L’attività di ricerca è sempre più opera di gruppi allargati, molto spesso
composti da membri di varie nazioni. Questi gruppi sono composti da decine, talvolta da
centinaia, in qualche caso da un migliaio di scienziati che lavorano in modo coordinato,
utilizzando macchine che richiedono spesso grandi quantità di soldi e di tempo per essere
costruite (big science). Questi gruppi di scienziati interagiscono in modo fitto e sistematico con
il mondo dell’industria (spesso gli scienziati diventano essi stessi imprenditori) e con il mondo
politico per finanziare i loro progetti di ricerca. Gli obiettivi della ricerca sono, sempre più,
delineati non solo sulla base delle aspettative della comunità scientifica, ma sempre più spesso
sulla base delle aspettative dell’intera società. D’altra parte gli effetti della ricerca hanno,
sempre più spesso, ricadute immediate, notevoli e complesse sulla società (si pensi alla ricerca
nucleare o alle moderne biotecnologie). E quindi sono discusse, accettate o rifiutate dalla
società dopo ampi e, spesso, aspri dibattiti.
Insomma, il mondo della scienza e il resto della società sono sempre meno mondi
separati, sia pure dialoganti, e sempre più mondi interpenetrati. In questa nuova era della
scienza, che John Ziman ha definito «post-accademica», i rapporti degli scienziati con
l’articolato pubblico dei non esperti non sono solo aumentati in quantità, ma si sono modificati
nella qualità (7). Sono diventati più ambigui. I ruoli sono meno netti. Se non altro perché
sempre più «non esperti» partecipano alle decisioni rilevanti che attengono al lavoro degli
«esperti».
1. d. La comunicazione nell’era post-accademica della scienza
L’evoluzione dall’era accademica all’era post-accademica della scienza sta
comportando una evoluzione non meno radicale nell’istituzione sociale fondamentale della
scienza, il sistema di comunicazione. In tutte le tre componenti che abbiamo individuato.
Il sistema della comunicazione formale da qualche tempo vacilla. E da più parti
vengono messi in discussioni i protocolli della peer-review.1
Al sistema della comunicazione informale, al contrario, viene riconosciuto un ruolo
sempre più importante. Tanto che aumenta la richiesta di istituzionalizzare in qualche modo la
Va ricordato inoltre che in alcune riviste con elevato impact factor, come Science e Nature, la peer review scientifica
è preceduta da un filtro di natura non scientifica (più di mercato o di moda) e che l’uso di pubblicare risultati di
ricerche scientifiche prima o solo su periodici di questo tipo è sempre più diffuso.
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comunicazione informale. Grandi organizzazioni scientifiche, per esempio, stanno facendo
nascere luoghi ove è possibile rendere noti direttamente, in tempo reale, i risultati della ricerca
e discuterli senza passare attraverso le procedure della peer-review (si pensi al progetto PubMed dei National Institutes of Health degli Stati Uniti). Sono luoghi, questi, in cui di fatto viene
istituzionalizzata la comunicazione informale della scienza.
Ma il salto di qualità maggiore prodotto nella comunicazione della scienza dalla
transizione nell’era post-accademica riguarda la comunicazione pubblica, ovvero la
comunicazione al pubblico dei non esperti.
Nell’era accademica questa comunicazione era sostanzialmente facoltativa. Nell’era
accademica vi erano scienziati che si ponevano il problema della diffusione del sapere
scientifico e comunicavano al pubblico dei non esperti, essenzialmente attraverso libri, articoli
e conferenze di divulgazione. Ma lo facevano su base volontaria. Sulla spinta di esigenze
personali. Così per un Albert Einstein che sentiva il bisogno di divulgare i difficili concetti
della relatività, c’era un Paul Dirac che teorizzava l’opportunità di stare alla larga dai
giornalisti.
Insomma nell’era accademica la comunicazione al pubblico dei non esperti era per lo
scienziato una sorta di missione personale, non un’esigenza sociale. Infatti la gran parte degli
scienziati, seguendo nei fatti l’invito di Paul Dirac, non faceva comunicazione pubblica.
Nell’era post-accademica della scienza, la comunicazione dello scienziato col pubblico
(coi pubblici) dei non esperti è diventata un’esigenza inderogabile. Egli «deve», nella pratica
quotidiana della sua attività, comunicare con una vasta gamma di interlocutori non esperti: dal
politico nazionale, al burocrate di Bruxelles, al manager della multinazionale interessata a
finanziare la sua ricerca, ai cittadini tutti.
Alcuni anni fa i rappresentanti dei fisici inglesi delle alte energie restarono sorpresi
dalla perentoria richiesta del Ministro della ricerca scientifica di Sua Maestà: spiegatemi in una
paginetta di trenta righe perché il contribuente britannico deve investire una parte cospicua
delle sue risorse nella ricerca del bosone di Higgs.
Quattro anni fa i biologi svizzeri si sono dovuti trasformare in appassionati e
convincenti militanti politici, con tanto di manifestazioni di piazza, per vincere un referendum
in cui la posta in gioco era la possibilità stessa di continuare a fare ricerca nel settore delle
moderne biotecnologie.
Tre anni fa gli oncologi italiani hanno dovuto accettare un serrato confronto pubblico
sulla validità della ricerca scientifica in campo biomedico (caso Di Bella).
Né i fisici inglesi delle alte energie, né i biologi svizzeri, né gli oncologi italiani
avevano molta scelta. Non potevano in alcun modo sottrarsi alla sfida della comunicazione. E
non lo hanno fatto. Per inciso, gli oncologi italiani e, per certi versi, i fisici inglesi delle alte
energie hanno sostanzialmente perso la loro sfida. Ai biologi svizzeri è andato meglio: hanno
vinto il referendum.
Questi esempi clamorosi dimostrano che la comunicazione al pubblico dei non esperti
nell’era post-accademica della scienza è diventata una necessità. Una parte, non banale, del
lavoro dello scienziato. E che, di conseguenza, lo scienziato ha il dovere professionale non solo
di comunicare al grande pubblico dei non esperti. Ma di conoscere i meccanismi e di acquisire
le tecniche della comunicazione di massa.
A questo dovere lo scienziato non sempre adempie. Probabilmente perché la percezione
dei suoi rapporti con il pubblico dei non esperti resta quella tipica dell’era accademica della
scienza. È molto probabile che quando la transizione psicologica dall’era accademica all’era
post-accademica si sarà finalmente compiuta, le attitudini comunicative degli scienziati si
modificheranno.
Resta il fatto che, con la transizione dall’era accademica all’era post-accademica, la
comunicazione pubblica della scienza ha cambiato statuto nell’ambito della sociologia della
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scienza: da optional (quasi) irrilevante, a momento rilevante del lavoro degli scienziati e,
quindi, del processo di formazione di nuovo conoscenze scientifiche.
1. e. La comunicazione della scienza come fattore di democrazia
Nella nuova era post-accademica della scienza, tuttavia, il flusso della comunicazione
tra comunità scientifica e società è più che mai bidirezionale. La società, nelle sue diverse
articolazioni (politica, economia, cultura), comunica le sue aspettative alla comunità scientifica.
Lo ha fatto il Ministro inglese coi fisici delle alte energie, lo hanno fatto i cittadini in Svizzera
partecipando al referendum e al dibattito referendario, lo hanno fatto i cittadini italiani
lasciandosi coinvolgere e dividendosi sulla vicenda di Di Bella. E lo hanno fatto tutti per
necessità, non per mera curiosità.
La novità è questa: la comunicazione pubblica della scienza è diventata bisogno sociale
diffuso.
L’emergere di questo carattere nuovo nel rapporto tra conoscenza scientifica e grande
pubblico dei non esperti dipende dal fatto che è mutato il rapporto qualitativo e quantitativo tra
uomo e tecnica. E poiché l’innovazione tecnologica, che informa in modo sempre più
pervasivo la nostra vita quotidiana, il nostro lavoro e le nostre relazioni sociali, si fonda ormai
in modo sistematico sulle conoscenze scientifiche, ne discende un rapporto qualitativamente
nuovo tra conoscenza scientifica e cultura di massa. Tra scienza e democrazia.
Ci sono stati, in tutto il Novecento, ma soprattutto nella seconda parte del secolo scorso,
almeno tre aspetti qualitativi, tre novità, che hanno modificato il rapporto tra l’uomo e
l’innovazione tecnologica.
Il primo riguarda il fatto che la tecnica è diventata la «forza ecumenica» del villaggio
globale. Capace di attraversare, per usare le parole dello storico della filosofia Vittorio
Possenti, le frontiere etiche religiose, politiche, ambientali e imporsi come cultura omologa del
pianeta (8).
Il secondo riguarda il fatto che, di recente, la tecnica ha cambiato in parte natura ed è
diventata una «forza riflessiva». Fino a una trentina di anni fa, infatti, la tecnica consisteva
quasi esclusivamente in un processo in cui un soggetto (l’uomo) manipolava un oggetto
(l’ambiente). Oggi con l’avvento delle nuove conoscenze biologiche e di nuove biotecnologie
(per esempio quelle basate sul Dna ricombinante), la tecnica è diventata (anche) un processo,
appunto, riflessivo, in cui il soggetto (l’uomo) modifica se stesso.
Il terzo riguarda il fatto che la tecnica, nella seconda parte del XX secolo, oltre a essersi
affermata come «forza ecumenica» e come «forza riflessiva», si è andata anche imponendo
come «forza autonoma». L’innovazione tecnologica oggi non solo si basa sulle conoscenze
scientifiche più che in passato. Ma si è data un metodo (anzi, dei metodi) di tipo scientifico.
Questo non consente certo di affermare che la tecnica è diventata scienza applicata. E che,
quindi, non c’è più distinzione tra scienza e tecnica. Ma consente di cogliere uno dei motivi
fondamentali che hanno consentito alla tecnologia di accelerare fino a rendere sistematica la
sua (multiforme e contraddittoria) capacità di innovazione. A causa di tutto questo, nel XX
secolo, e soprattutto n ella sua seconda parte, è aumentata v istosamente la capacità
autopropulsiva della tecnologia. Tanto che il sistema di innovazione tecnoscientifico è riuscito
a guadagnarsi margini più o meno ampi di autonomia rispetto al sistema politico ed economico.
Per tutti questi motivi, e altri ancora, l’innovazione tecnologica risulta ormai un
catalizzatore enorme della dinamica culturale e sociale nel mondo contemporaneo. E così il
governo della tecnica – ormai ecumenica, riflessiva e autonoma – si è venuto imponendo come
un fattore di democrazia decisivo nell’era dei fenomeni globali.
E poiché la tecnica attinge con metodo alle nuove conoscenze scientifiche per produrre,
a ritmi sempre più accelerati, innovazione, ne consegue che la conoscenza critica del processo
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scientifico in tutti i suoi aspetti (epistemologici, sociali, politici) si va imponendo come uno
degli snodi più importanti del dibattito democratico nella società contemporanea.
È in quest’ottica che la comunicazione pubblica della scienza diventa un bisogno sociale
diffuso. Un fattore, decisivo, di democrazia.
Gli uomini di scienza sono chiamati a (hanno il dovere di) comunicare il loro sapere
critico, per mettere la società nelle condizioni di operare al meglio le scelte che le competono.
Ma se la comunicazione pubblica della scienza è diventata un bisogno sociale diffuso,
allora anche il grande pubblico dei non esperti ha dei doveri. Il dovere di acquisire il massimo
di conoscenze possibili in merito ai problemi scientifici e tecnologici che è «obbligato» a
dibattere e a risolvere. Questo dovere è, in realtà, un diritto. Un diritto democratico
fondamentale, appunto.
I mezzi di comunicazione di massa sono la palestra principale dove si svolge questo
esercizio democratico interattivo di trasmissione del sapere da parte degli uomini di scienza e di
acquisizione del sapere da parte del grande pubblico dei non esperti.
L’osservatorio sulla comunicazione della scienza attraverso i media che abbiamo messo
a punto è, dunque, una sorta di test di qualità. Una piccola eppure necessaria verifica del livello
della palestra dei media italiani. Quanto spazio e quali strumenti di critica offrono i mezzi di
comunicazione di massa per comunicare scienza e realizzare questo nuovo e già decisivo
esercizio di democrazia?
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2. Osservatorio sulla comunicazione della scienza attraverso i media
Il professor Fabrizio Tonello ha svolto, a parte, un’analisi davvero completa ed
esauriente “dal punto di vista dell’esperto di mezzi di comunicazione di massa” dei risultati
ottenuti dalla nostra comune indagine.
Qui di seguito, a complemento, cercheremo di fornire un’analisi “dal punto di vista
dell’esperto di comunicazione della scienza”.
2. a. Lo spazio/tempo della scienza sui media
Lo spazio (sulla carta stampata) o il tempo (in televisione) che i diversi media italiani
“generalisti” dedicano ad argomenti di natura scientifica è piuttosto variegato (si veda la
Tabella 5). Tra news magazine e quotidiani e/o televisione la differenza è, quasi, di un ordine di
grandezza. Questo semplice dato ci dice che non è possibile un’analisi quantitativa semplice e
generale del rapporto tra informazione scientifica e sistema dei media.
L’una, l’informazione scientifica, e l’altro, il sistema dei media (anche quello dei media
generalisti), sono dimensioni molto articolate al loro interno.
Tenendo tutto ciò nella debita considerazione, possiamo dire in prima battuta che lo
spazio (o il tempo) che i mass media italiani, con la parziale eccezione dei news magazine,
dedicano alla scienza e alla tecnologia innovativa uno spazio/tempo marginale, che non va oltre
qualche punto percentuale.
Difficile dire, in assoluto, se questo spazio/tempo è poco o è molto. Abbiamo ricordato
come la tecnoscienza sia una delle grandi dimensioni culturali che informano di se stesse la
società contemporanea. E allora l’1,6% dei quotidiani (che pure andrebbe corretto con lo spazio
concesso negli inserti scientifici settimanali), l’1,7% del palinsesto televisivo, e anche il 3,9%
dei telegiornali appaiono drammaticamente insufficienti sia come tribuna offerta allo scienziato
post-accademico per comunicare, sia come palestra dove il cittadino possa esercitare il suo
diritto/dovere di partecipazione democratica alla “società della conoscenza”. In quest’ottica
persino l’11,5% delle riviste considerate di approfondimento risulta appena sufficiente.
Tuttavia se consideriamo altri indicatori dell’attenzione che la società italiana nel suo
complesso dedica alla scienza e all’innovazione tecnologica, allora lo spazio/tempo che
mettono a disposizione i media assume una nuova luce. In fondo il sistema-Italia dedica alla
produzione di conoscenza scientifica e di innovazione tecnologica meno dell’1% della propria
ricchezza. E dedica alla cultura scientifica e tecnologica una parte minoritaria della propria
offerta formativa. Non solo le ore dedicate alle scienze fisiche e naturali nelle scuole
elementari, medie e superiori sono piuttosto ristrette. Ma, nelle scuole del paese di Galileo, la
scienza stenta persino a essere percepita come cultura. D’altra parte non è che fuori dalla scuola
l’approccio cambi. Il numero di musei scientifici e tecnologici italiani è decisamente inferiore a
quello di altri paesi.
Ma, soprattutto, il nostro sistema produttivo (agricolo, industriale e terziario) è l’unico,
tra le grandi economie planetarie, che si è sviluppato facendo a meno della scienza. Quello
realizzato dall’Italia nell’ultimo mezzo secolo è l’unico esempio di «sviluppo senza ricerca»
conosciuto nell’intero Occidente (9).
Allora se la valutazione non è fatta in assoluto e non è astratta, ma viene realizzata
rispetto al “sistema paese”, l’attenzione dedicata alla scienza e all’innovazione tecnologica da
parte dei mass media italiani, sia pure misurabile in termini di pochi punti percentuali, può
essere considerata poca, ma non pochissima.
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Tabella 5. – Lo spazio/tempo dedicato alla scienza sui diversi media
Spazio o tempo
Media
(in % sul totale)
Tg
3,9
Altre trasmissioni televisive
1,7
Quotidiani
1,6
News magazine
11,5
2. b. Un’attenzione limitata, ma stabile.
Sei mesi non forniscono una base statistica sufficiente per trarre conclusioni definitive, i dati
dell’osservatorio dimostrano che tutti i media offrono uno spazio/tempo limitato ma stabile
all’informazione scientifica. L’unica eccezione sono i telegiornali, che per loro natura sono i più
esposti alla “tirannia dell’emergenza”.
La presenza mensile di scienza nei telegiornali oscilla tra l’1,7 e l’8,3%. Una fluttuazione
piuttosto vistosa, che non ha riscontro né nel resto del palinsesto televisivo, né sulla carta stampata,
dove invece l’offerta di informazione scientifica è molto più stabile. Segno che, tutto sommato, alla
scienza viene riconosciuto un “diritto all’esistenza” nello spazio dei media italiani.
Questo riconoscimento non è affatto scontato. Molto probabilmente è il frutto di una
“necessità”. I media magari sottovalutano ancora, ma evidentemente percepiscono una domanda di
informazione scientifica e tecnologica diffusa nella società.
2. c. La scienza “fa notizia”.
Questa percezione fa sì che la scienza “esca fuori” dagli spazi tradizionali a essa
specificamente dedicati dai mass media (inserti, rubriche) e, come dimostra la nostra indagine, sia
abbastanza presente nelle pagine “vive” della cronaca quotidiana. La scienza diventa cronaca.
In sei mesi ben 24 volte (2,6% del totale) i telegiornali hanno “aperto” con una notizia di
carattere scientifico. E in altri 52 casi (5,7% del totale) una notizia scientifica è stata presentata
come secondo o terzo titolo di apertura. In pratica significa che nell’8,4% dei casi tra le tre notizie
di apertura dei telegiornali ne figura una di carattere scientifico.
Analogamente, in sei mesi per ben 265 volte una notizia di carattere scientifico è apparsa
sulla prima pagina di uno dei quotidiani analizzati. Il che significa che c’è una notizia scientifica in
una prima pagina di quotidiano su tre (29,1% del totale, per la precisione).
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Decisamente la scienza fa notizia (tabella 6).
La scienza che diventa cronaca e cronaca di prima pagina così frequentemente è un chiaro
indice del ruolo sociale rilevante che i mass media le attribuiscono. In modo più o meno confuso i
mezzi di comunicazione di massa italiani si sono costruiti e propongono una rilevante «immagine
sociale della scienza». In altri termini i media italiani registrano, in qualche modo, il ruolo sociale
forte che ha assunto la scienza nella sua era post-accademica.
Naturalmente resta aperto il problema della qualità dell’informazione scientifica che diventa
cronaca.
Tabella 6. – La scienza “fa notizia”
Medi
a
Scienza in copertina
Tg
8,4*
Quotidiani
29,6**
* Percentuale delle volte che una notizia scientifica è stata tra le prime tre notizie di apertura
dei telegiornali.
** Percentuale delle volte che una prima pagina di quotidiano ha ospitato una notizia
scientifica.
2. d. La scienza dei media
Un’analisi qualitativa fine dell’informazione scientifica veicolata dai media italiani è
fuori dallo scopo della nostra indagine. Tuttavia i dati quantitativi ci offrono importanti
indicatori.
In primo luogo ci dicono che tipo di notizie scientifiche vengono veicolate. In Tabella 7
è facile verificare come la parte del leone sia recitata dall’informazione biomedica. In tutti i
diversi media la biomedicina si ritaglia una percentuale compresa tra il 52 e il 55% dello spazio
dedicato alla scienza. Unica eccezione risulta quella degli inserti dei quotidiani. Ma bisogna
tenere in conto che alcuni quotidiani hanno inserti specificamente dedicati alla salute e, quindi,
alla biomedicina che non sono stati da noi analizzati.
Al secondo posto si colloca la categoria delle notizie ambientali. Legate, soprattutto, ad
eventi meteorologici più o meno estremi. In questo caso abbiamo una maggiore
diversificazione tra i media (si va dal 32% dei telegiornali al 10% dei news magazine). Tuttavia
in ciascun media le notizie ambientali sono una parte notevole del tutto.
Tutte le altre categorie sono nettamente staccate. Con la parziale eccezione di scienze
della vita (biologia senza applicazioni mediche), che su alcuni media (trasmissioni televisive,
inserti dei quotidiani e news magazine) è molto presente. In realtà la gran parte delle notizie
sulle scienze della vita che “passano” nelle trasmissioni televisive e che sono presenti su inserti
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quotidiani e news magazine riguardano l’etologia (comportamento animale) e si configurano
più come intrattenimento che come approfondimento scientifico.
Le notizie scientifiche in senso stretto non di carattere biomedico e ambientale
occupano poco spazio su tutti i media, a eccezione degli inserti sui quotidiani (oltre che di
alcune specifiche trasmissioni televisive). A dimostrazione che la cultura scientifica è
nettamente separata dalla scienza con immediato impatto sociale. E che occupa precise nicchie
nello spazio mediatico delle scienza. Una sorta di gabbie dorate, ove alla ristrettezza dello
spazio spesso fa riscontro un’alta qualità dell’informazione.
Tuttavia, un’analisi ancora più fine degli spazi dedicati alla scienza in senso stretto
dimostra che all’interno delle singole gabbie dorate c’è una distribuzione per categorie molto
disomogenea: per esempio l’astrofisica, da sola, occupa circa i due terzi dello spazio dedicato
alle scienze dure (matematica, fisica, chimica). Segno che, anche nell’ambito della
“comunicazione di qualità”, la sensibilità giornalistica tende a prevalere su altre sensibilità: il
cielo evoca emozioni profonde, molto più della chimica organica o della fisica della materia.
Un po’ più di spazio trovano, in genere, la storia, la filosofia e soprattutto la politica
della scienza.
Spazi quasi nulli trovano invece le notizie relative alle tecnologie più innovative. Segno
ulteriore ed evidente dell’indifferenza che i media italiani, così come l’intera società, nutrono
per il settore economicamente e socialmente strategico della «società della conoscenza».
Un’indifferenza che lascia tenuissime speranze sulla possibilità dell’Italia di inserirsi tra i paesi
leader dell’hi-tech e alimenta il concreto timore su un nostro destino da colonia tecnologica.
Tabella 7. – La scienza dei media.
Distribuzione percentuale per categorie
Categorie
Tg
Trasmissioni
televisive
Quotidiani
Inserti
Quotidiani
News
Magazine
Biomedicina
Ambiente
Cultura e Politica
Scienze Dure
Scienze Vita
Tecnologia
55
32
6
2
3
2
54
11
2
1
31
1
53
18
14
6
5
4
15
12
16
17
29
11
52
10
8
5
15
10
2. e. Il benessere del corpo e quello dello spirito
Proviamo ora ad accorpare le singole categorie delle notizie scientifiche in tre
megacategorie. Proviamo ad accorpare, per esempio, le notizie che riguardano il benessere del
corpo e del corpo inserito nell’ambiente (in pratica, le notizie biomediche e le notizie
ambientali). Proviamo poi a estrapolare l’informazione intesa soprattutto come intrattenimento
(qual è, in genere, l’informazione sull’etologia veicolata dai media). E, infine, unifichiamo tutta
l’informazione che riguarda lo sviluppo e la riflessione sullo sviluppo delle conoscenze
scientifiche che, non avendo una diretta relazione con il nostro benessere fisico e ambientale,
hanno una valenza specificamente culturale.
Questa divisione non è arbitraria. Molte indagini in Italia e nel mondo dimostrano che
l’immagine della scienza che ha il grande pubblico è un’immagine «medicalizzata» (10). La
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nostra analisi dimostra che essa è, in notevole misura, anche «ambientalizzata». Il motivo è
molto semplice. La gran parte delle persone è fortemente interessata a «star bene». E tende ad
acquisire tutta l’informazione possibile (di natura scientifica, parascientifica e non scientifica)
che riguardano il proprio benessere fisico. In primo luogo le notizie biomediche e le notizie
ambientali.
Il fatto che la parte di gran lunga prevalente nella informazione scientifica veicolata dai
media italiani riguardi il «benessere fisico e ambientale» (Tabella 8) non deve destare
particolare meraviglia. I giornali tendono a pubblicare quello che i lettori vogliono (o, almeno,
quello che si presume che vogliano).
E non deve destare meraviglia la qualità disomogenea di questa informazione (dal punto
di vista del contenuto scientifico). Quella del benessere è una percezione complessa, costituita
di elementi di valutazione sia razionali che emotivi. Un mix che i mass media tendono, con i
più svariati assortimenti, a riproporre con sistematica puntualità.
La scienza sui media è anche intrattenimento. E su alcuni media (trasmissioni televisive,
inserti specializzati dei quotidiani, news magazine) l’offerta di intrattenimento scientifico è
particolarmente alta. Purtroppo è difficile, se non impossibile, distinguere ciò che è semplice
intrattenimento da ciò che è informazione culturale. È un fatto, però, che l’etologia (scienza
assolutamente nobile quanto le altre) si presta molto a intrattenere vasti pubblici di non esperti.
E che l’etologia venga impiegata come forma di intrattenimento in molto media, sia in
televisione che sulla carta stampata. Spesso l’intrattenimento etologico serve come traino per
veicolare poi informazione scientifica in senso stretto (si veda, per esempio, Superquark di
Piero Angela) o per veicolare notizie di ecologia e/o di politica dell’ambiente (si veda per
esempio Geo&Geo o il Pianeta delle meraviglie di Licia Colò).
Resta il fatto che le notizie scientifiche in senso stretto costituiscono una parte
minoritaria della comunicazione pubblica della scienza attraverso i media. Questa parte si
assesta intorno al 20% nei telegiornali e intorno al 30% su quotidiani e news magazine. Non
supera il 5% nelle altre trasmissioni televisive (pur con notevoli eccezioni). Sfiora però il 45%
negli inserti specializzati dei quotidiani.
Questo sta a indicare che la cultura scientifica rappresenta ancora un’offerta mediatica
di nicchia. Destinata a una minoranza piccola, ma esigente. Tuttavia la cultura scientifica è
abbastanza diffusa anche in spazi mediatici non specialistici. Spazi che, come i telegiornali o i
giornali, richiedono una partecipazione attiva o, comunque, una fruizione attenta da parte del
pubblico.
Tabella 8 –
Distribuzione per aree culturali
Categorie
Tg
Trasmissioni
Televisive
Quotidiani
Inserti
Quotidiani
News
Magazine
Benessere fisico e
ambientale
Intrattenimento
82
65
71
27
72
-
31
-
29
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Cultura scientifica
18
4
29
44
28
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3. Conclusioni, provvisorie
La prima osservazione sistematica della comunicazione pubblica della scienza in Italia
estesa ai principali mass media (carta stampata e televisione) non ha quasi mai smentito le
attese. Ma ha finalmente fornito la base quantitativa necessaria a dare solidità a una percezione
piuttosto diffusa tra gli addetti ai lavori: di scienza si parla poco in Italia (ma non pochissimo);
se ne parla in modo episodico; e, troppo spesso (ma non sempre), se ne parla male.
Nell’era che è stata definita della conoscenza, per i media italiani la scienza è una forma
di conoscenza relativamente marginale. Tuttavia la marginalità della scienza sui media è
inferiore a quella che la scienza sopporta nel paese.
I media italiani percepiscono il cambiamento dello statuto ontologico della
comunicazione pubblica della scienza nell’ambito della sociologia scientifica e politica. La
scienza è diventa cronaca. La scienza “fa notizia”. Quelli che mancano, forse, sono gli spazi di
approfondimento. Gli spazi critici dove l’informazione affronta tutti gli aspetti d ella
complessità scientifica, culturale e sociale.
Di scienza, infine, i mass media italiani non parlano poco, ne parlano male (ma non
sempre). L’acriticità dell’approccio fa sì non solo e non tanto che ci sia uno squilibrio evidente
nella distribuzione dei temi scientifici trattati: massima attenzione dedicata all’informazione,
anche scientifica, relativa al benessere fisico e ambientale, attenzione decisamente minore
dedicata alla conoscenza scientifica in senso stretto. Ma che ci sia uno squilibrio soprattutto
nell’approccio a questi temi. Più che i contenuti scientifici della biomedicina e delle scienze
ambientali, nei telegiornali e sulla carta stampata «passa» spesso una sorta di informazione
melassa che è una miscela tra il film di Spielberg e i consigli della zia.
Ciò penalizza spesso i contenuti specifici dell’informazione scientifica. Ma, soprattutto,
penalizza il portato culturale più ampio e l’intrinseca natura critica della conoscenza scientifica.
Al grande pubblico i laboratori scientifici appaiono come scatole magiche da cui escono
misteriosamente e indifferentemente mostruosità e meraviglie, più che luoghi ove si produce
quella cultura che, forse più di ogni altra, ha faticosamente costruito la consapevolezza che
l’uomo ha di sé e dell’universo che lo circonda.
Le poche isole di alta qualità nella comunicazione della scienza che pure costellano il
panorama dei media italiani non bastano a ribaltare questa moda. Servono, tuttavia, ad
alimentare con cibo tutto sommato buono la curiosità intellettuale di una minoranza attenta che
guarda alla cultura scientifica con stabile interesse. Non è poco. Almeno per ripartire.
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Bibliografia
(1) Pietro Greco, Valorizzazione della divulgazione scientifico-naturalistica con riferimento
all’educazione ambientale, in: Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, «Rendiconti della
Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL», serie V, vol. XXIII, parte II, tomo I, 1999
(2) Aldo Duro, Vocabolario della lingua italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1994
(3) John Ziman, Il lavoro dello scienziato, Laterza, 1987
(4) Pietro Greco, La scienza on line circola come ai tempi di Galileo Galilei, Telèma, estate/
autunno 1999
(5) Jean Marc Lévy-Leblond, Il Big Bang? Non è un Grande Bum, Sapere, aprile 1995
(6) Jean Marc Lévy-Leblond, La pietra di paragone, CUEN, 1998
(7) John Ziman, Real Science, Cambridge University Press, 2001
(8) Vittorio Possenti et al., La tecnica, la vita. I dilemmi dell’azione, Mondadori, 1998
(9) D. Archibugi e R. Evangelista, Tecnologia e sviluppo economico in Italia, Economia e
politica industriale, 1993
(10) Paola Borgna, Immagini pubbliche della scienza, Edizioni di Comunità, 2001
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