1 Un nuovo romanzo di Fabio Brescia, pubblicato da Luciano Editore

Transcript

1 Un nuovo romanzo di Fabio Brescia, pubblicato da Luciano Editore
Un nuovo romanzo di Fabio Brescia, pubblicato da Luciano Editore
(di Pasquale Giustiniani)
“Tienimi per mano”1 è come il ritornello ricorrente in questa sorta di via, insieme, crucis et lucis,
dei due protagonisti della dolce, delicata, e insieme drammatica, storia, che l’editore Luciano ha
pubblicato nella sua sezione letteraria del “romanzo veloce”.
La voce narrante è quella di David, giovane di nove anni in più del co-protagonista, Philippe: figli
dello stesso padre, diplomatico, e di due madri diverse. Figli fatti ritrovare da un atto di terrorismo
a coloritura religiosa, proprio dei tempi della globalizzazione e dello scontro di civiltà, che è sullo
sfondo dell’intreccio.
Il piccolo Pihilippe, rimasto improvvisamente orfano di entrambi i genitori, quasi costretto dalla
vita a celebrare da solo «la Messa del suo dolore» (p. 58), mentre manca «parecchio per la
maggiore età, quasi nove anni» (p. 41), trova l’inattesa disponibilità del fratellastro, che intanto
aveva già compiuto un suo particolare percorso di vita, segnato dall’accettazione e dalla gestione
giovanile della propria condizione omosessuale, e che si trova «all’improvviso, un fratello di cui
prendermi cura» (p. 41). Il più grande, David, che, di fronte a questa nuova possibilità di relazione
fraterna, comincia a rinunciare alle avventure omo e lascia in bianco, e per sempre, perfino
l’ultimo compagno stizzito (p. 44) che prenderà la via di un rapporto etero ed avrà un figlio che
chiamerà David come il compagno (p. 45).
In tal modo, il tenersi per mano - quello ispirato a Brescia da una poesia di Ungarettti che anela a
una mano con la carica emotiva fraterna -, diviene il gesto di ricucitura lenta di nuovi possibili
legami di amore, di attenzione e cura per l’altro, di progressiva presa in carico globale di un
estraneo o di un diverso che diventa tua preoccupazione non soltanto grazie ai dinamismi
dell’amore, ma anche agli apporti della scienza psicoterapeutica. Diviene pure il gesto di
collegamento tra generazioni: non a caso, quando ormai adulto e coniugato, l’ex piccolo Philippe,
affida allo “zio” (che convive ormai con il suo nuovo gruppo familiare) i nuovi nati: «Mi
raccomando David, quando siete al parco giochi, non li lasciare mai, tienili per mano» (p. 124).
Prend ma main, era stata l’implorazione del piccolo francese-italiano Philippe, subito dopo
l’attentato assassino a Parigi, quando aveva guardato negli occhi il fratellastro accorso per essersi
trovato nei pressi: «Gli strinsi la mano senza fare troppa forza per non fargli male» (p. 31). È quella
richiesta che ha consentito a David, il ragazzo italo-francese, d’intraprendere il lento itinerario di
ri-configurazione dell’eros e dell’amore, come dichiara in un dialogo: «Philippe resta con me. Tu
non lo hai visto. […] Non lo hai visto tendermi la mano e chiedermi di tenergliela mentre
tagliavano le lamiere con la sega elettrica» (p. 34). Richiesta non iterata dal piccolo al momento
del risveglio in ospedale, dopo l’intervento ed il coma farmacologico, ma esaudita
autonomamente da David: «Gli presi la mano e la carezzai. Lui mi fissò con gli occhi spalancati Tienimi per mano - poi aprì la bocca come per dire qualcosa ma uscì solo un rantolo» (p. 39). Gesto
e icona, quel prendersi per mano, che rappresentano anche la scelta, illogica ma non alogica, che
conduce il fratellastro giovane a prendere con sé il piccolo, nonostante tutte le dicerie e gli ostacoli
che potrebbero ancora accompagnare l’affidamento di un ragazzo ad un omosessuale, benché
fratellastro, in una modernità che, come il padre dei due, riesce al massimo ad accettare le
inclinazioni sessuali atipiche del figlio maggiore, ma non fino al punto da ammettere che si venga a
sapere in giro e che, come gli omosessuali stessi, non si oppone alle tipizzazioni e alle
categorizzazioni, «categorie in cui il mondo omosessuale ama farsi catalogare, che so, un fashion,
un leather, un macho e via dicendo» (p. 22). Alla madre - l’unica delle due figure parentali di David
che aveva mantenuto una complicità e non un rifiuto di fronte alla condizione omo del figlio – che
1
Fabio Brescia, Tienimi per mano, Romanzo, Luciano editore, Napoli 2009, pp. 126, euro 10,00.
1
chiede dei motivi e delle ragioni per quella decisione controcorrente, di prendere con sé il piccolo,
David racconta: «Non sapevo dare una risposta a questa domanda, credo che le ragioni
risiedessero tutte in quello sguardo di bimbo terrorizzato e in quella mano tesa verso di me -» (p.
51). Anche quando la storia dei due diviene gossip e scandalo quotidiano, sia in Italia che in
Francia, quel tenersi per mano al momento dell’incidente, prima di svenire entrambi - uno perché
colpito direttamente, l’altro perché svenuto per il fumo -, quel tenersi per mano diviene la leva per
chiamarsi fuori dal circo mediatico e per dare un senso a quel rapporto non paterno, ma fraterno,
che vicaria non solo per il piccolo, ma anche per il giovane fratellastro, la figura paterna: al piccolo,
figura paterna sottratta dolorosamente (ma fine anche desiderata per qualche attimo, soprattutto
quando il padre parlava in termini sprezzanti del fratellastro, come emerge dalla seduta collettiva
davanti alla psicologa: p. 111); al grande, figura paterna sottratta dalla non condivisione, anzi,
come si viene a sapere, dallo scherno circa la condizione omosessuale del figlio maggiore lasciato
in Italia dal diplomatico assassinato. Immagine che ritorna lungo questo calvario in cerca di luce,
anche quando il piccolo manifesterà i primi sintomi fisici e relazionali di un problema psicologico
post-traumatico, all’aereoporto, allorché è David che chiede al piccolo di tenerlo per mano (p. 81),
per non perdersi di vista come era accaduto qualche attimo prima. Del resto, racconta David nel
corso di una notte insonne ed agitata, «L’immagine del suo viso sporco di nero e sangue che mi
guardava con gli occhi sbarrati supplicandomi, senza parlare, di non lasciargli la mano nemmeno
per un istante non mi ha mai più abbandonato, è stata una costante della mia vita interiore, ma
quella notte quella stessa immagine minacciava di fagocitarmi» (p. 87).
Ma, come ogni romanzo, anzi come ogni scritto, questo libro non intende soltanto narrare una
storia con un certo intreccio e condurre il lettore in atmosfere immaginifiche ed oniriche.
Esplicitamente il risvolto di copertina, mentre definisce efficacemente “un romanzo veloce”
questo testo di Brescia, promette anche di regalare al lettore “una serie di domande a cui
rispondere” ed a cui la storia proposta comincia soltanto a dare una prima risposta, ovviamente
attendendo il completamento da parte di chi legge.
Appunto, quali sono queste domande a cui siamo chiamati a rispondere? Alcune sono formulate
esplicitamente dall’Autore sotto forma d’interrogativi, altre sono implicite. Ad esempio, quella
relativa al non senso delle tragedie subite ingiustamente, come quella che sottrae anzitempo a un
bambino le figure genitoriali, ponendo la tragica domanda sul perché del male. Si domanda, senza
risposte, David: «Il corpo di Madeleine non l’avevo neanche visto, si era disintegrata, c’era solo il
suo vestito, o un brandello dello stesso che svolazzava. Se ne erano accorti? Avevano capito di
stare per morire? Avevano sofferto? Qual era stato il loro ultimo pensiero?» (pp. 37-38). Oppure
quella relativa allo stile violento della società multietnica e multireligiosa, in cui le idee possono
diventare assassine e si potrebbe giungere ad uccidere in nome di un dio che pure non si conosce
fino in fondo. O ancora, la domanda relativa alla quotidianità della condizione altoborghese di
tanti giovani come David e Philippe, in grado di permettersi viaggi continentali, serate dark,
tecnologie informatiche, giornate senza lavoro grazie alle rendite economiche, in una cultura che
insegna, come afferma la madre di David all’inizio del romanzo, soltanto «comprensione,
diplomazia, amore» (p. 9).
Tra le domande sia implicite che esplicite - forse la vera domanda del romanzo -, c’è, tuttavia,
soprattutto la più rilevante, quella relativa al processo che porta le persone alla definizione
dell’identità di genere, per esempio alla scoperta ed eventuale accettazione della condizione
omosessuale, alla gestione degli aspetti erotici, affettivi e relazionali di questa condizione; alla
transizione, come nella vicenda di David in questo romanzo, da un’affettività di coppia omo o di
pulsione genitale omosex, ad un’affettività fraterna, fatta di dedizione e di cura, quasi paternofiliale, piuttosto che soltanto fraterna, nei confronti di un piccolo a cui la vita ha riservato tragedie
2
senza senso. In questo senso, la domanda non è soltanto relativa all’identità di genere e all’infinita
discussione circa la naturalità o la culturalità del processo identificativo genitale e sessuale delle
persone umane; ma è soprattutto relativa all’iniqua persistenza dei luoghi comuni, gossippari e
massmediali, circa la condizione o all’inclinazione omosessuale, quella di fronte alla quale come lo
stesso piccolo Philippe all’inizio, è in grado soltanto di domandare troppo poco, svilendo il
problema, chiedendo per esempio chi faccia il maschio e chi la donna nel rapporto a due di questo
tipo (cf p. 47); quella che grida allo scandalo perché un ragazzino possa essere affidato ad un
omosessuale con eventuali rischi di crescita, anzi di influenze nefaste come scrive il romanzo, sul
bambino. Certo, anche nel nostro contesto culturale, c’è qualcuno, perfino esponenti della
gerarchia cattolica, che bollano come tanto aberrante tale condizione, prospettando addirittura
allontanamenti dalla chiesa o scomuniche qualora le persone fossero credenti.
No, queste tematiche, queste che hanno a che fare con la materia d’amore, come scrive lo stesso
Brescia, non vanno mai trattate in maniera assoluta, tranciando assi cartesiani ortogonali: «Ci sono
le sfumature […]. Le sfumature. Come quelle di un acquerello, un paesaggio al tramonto…
soprattutto se c’è qualcuno che soffre» (p. 10). Non si può, in ogni caso, dall’esterno, giudicare lo
stato di grazia di una persona che, come David, non nasconde le proprie inclinazioni sessuali e la
propria omosessualità, ma anzi vuole restare comunque se stesso quasi come risposta ad una sua
profonda identità, peraltro accettata per amore, soltanto per amore, come si legge a un certo
punto nel romanzo: «Ma io lo sono Philippe», dice ad un certo punto David, «e non ho nessuna
voglia di vergognarmi per questo» (p. 64). Certo, resta nello stesso David la domanda relativa al
processo di comunicazione-integrazione con le altre forme d’identità di genere presenti nel
contesto socio-culturale: «Ma come facevo a far capire a un ragazzino di nove anni, per quanto
sveglio e intelligente, quello che significava essere consapevolmente gay e non vergognarmene
affatto? Quali erano le parole giuste per spiegargli quale era stato il percorso che avevo fatto per
giungere a quella serenità?» (p. 64).
Ma su tutte, resta la domanda, che fu già di Dio dopo la tragedia di Caino e Abele, che viene
ripetuta nel romanzo da David quando, dopo l’attentato, chiede singolarmente, in francese
stavolta, del fratello (è la prima volta che si sorprende a chiamarlo così), invece che di suo padre,
che pure era morto nell’attentato. La relazione di fraternità è, alla fine, la strada per ripensare,
secondo questo romanzo, i nostri rapporti interumani, posti in essere per amore, solo per amore.
3