1 Se il vento ha un colore, quale colore sarà? L`idea di dedicare un

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1 Se il vento ha un colore, quale colore sarà? L`idea di dedicare un
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Patrizia De Socio
Se il vento ha un colore, quale colore sarà?
L’idea di dedicare un piccolo corso di aggiornamento che fornisse a quanti lavorano
nei musei a comunicarne valori e contenuti, le informazioni di base sui libri tattili, nasce
da una passeggiata in un bel parco romano, in uno di quei primi pomeriggi primaverili
pieni di profumi che la natura, ostinata ad affermare la sua supremazia anche nel cuore
di una città dominata dai tubi di scappamento, le brusche frenate di autobus e moto, gli
stridii di gomme e i brani di conversazioni urlate per sovrastare il rumore del traffico,
qualche volta ci regala.
Immaginate dunque con quale sollievo e buona disposizione d’animo mi lasciai alle
spalle l’asfalto delle strade romane per entrare nei viali accoglienti di Villa Borghese e
visitare una esposizione.
A poche decine di metri dall’ingresso del parco, il piacevole scrocchio dei rametti
secchi schiacciati dalle suole delle scarpe, il cigolío del ghiaino lungo il sentiero, le
foglie delle siepi di alloro che, rigide, un po’ pungono un po’ frusciano quando le si
sfiora, il gracchiare delle cornacchie mi comunicavano la loro realtà con un linguaggio
fatto non di parole ma di suoni, percepiti nel loro insieme forse in virtù della mia
momentanea concentrazione sul motivo che mi conduceva in quel luogo.
E così il profumo dell’erba tagliata di fresco, le siepi di mirto sfiorate con la mano,
la resina dei pini, l’improvviso tepore sulla pelle provocato dal passaggio dall’ombra
umida dei viali alberati agli slarghi assolati: era il linguaggio degli odori, l’idioma del
tatto che lanciavano messaggi senza parole quasi a volermi preparare ancora una volta,
all’incontro, sempre coinvolgente, con la cecità.
Informazioni arrivavano al mio cuore da tutte le parti del corpo, compresi i miei
occhi. Contenti di rivedere l’amico Innocenzo Fenici che mi aspettava davanti la Casina
di Raffaello a Villa Borghese, per accompagnarmi a visitare una mostra di libri tattili
con un bellissimo titolo che, come seppi, citava la domanda rivolta da un bambino cieco
a suo padre: «…. Di che colore è il vento ? »
La mostra1 aveva tra i suoi realizzatori la Federazione Nazionale delle Istituzioni pro
Ciechi, da sempre partner del Centro per i servizi educativi nei progetti di educazione al
patrimonio
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La mostra ‘Di che colore è il vento?’ si è tenuta a Roma dal febbraio al maggio del 2009, in occasione
del bicentenario della nascita di Louis Braille, presso la Casina di Raffaello. In concomitanza con la
mostra, cui aderirono le Biblioteche di Roma, fu approntata dalla sezione italiana di IBBY (International
Board on Books for Young People) una interessante e ricca rassegna di libri provenienti da tutto il
mondo, prodotti per giovani con disabilità della vista,dell’udito, della cognizione.
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culturale per le persone ipovedenti e cieche, con cui già da un po’ stavamo
ragionando sulla fattibilità editoriale di un volume tattile per narrare a bambini con
difficoltà visive forse un dipinto, forse un monumento, forse un percorso cittadino.
Le idee non erano ancora chiare su quale potesse essere il soggetto ma l’opportunità
di visitare una mostra di libri tattili era un’occasione davvero unica per capire meglio
questo genere di prodotto ‘ibrido’ difficilmente collocabile in un settore ben definito di
una biblioteca: sezione ‘Didattica speciale’ oppure ‘Libri d’artista’? Bisognava dunque
capire il prodotto per verificarne l’applicabilità ai progetti del Centro.
Questi libri tattili, infatti, sono libri un po’ speciali, di difficile etichettatura, in cui
ogni pagina propone un contenuto culturale ma lo propone ricorrendo a strumenti
alternativi o complementari al sistema grafico nero su bianco e allo stesso braille,
affiancandoli all’uso di materiali diversi, quando non a veri e propri piccoli oggetti, per
narrare al bambino il mondo che lo circonda e farlo entrare nel gioco delle emozioni
che la lettura regala a tutti, con delle pagine sui cui sono applicate forme a rilievo: una
barca, un animaletto, una suppellettile, una ragnatela, una nuvola, resi con tessuti e
materiali di diversa consistenza e genere quali plastica, cartoncini, bottoni, velours,
metallo, pelouche….
La forma, descritta e raccontata dal braille, dal nero su bianco e dalla ricostruzione
polimaterica produce conoscenza, offre risposte ai tanti: ‘che cos’è?’ di un bambino e
richiama ricordi, esperienze, atmosfere (una vacanza al mare, il corretto modo di usare
una forchetta, l’attimo magico che precede il sonno, il timore di un animaletto
incontrato in campagna)
E’ il gioco della conoscenza, grazie al quale il bambino recupera informazioni,
cresce ed esplora il mondo e, crescendo, costruisce il suo pensiero operativo e la sua
capacità di emozionarsi.
Attraverso la conoscenza e la creatività, che poi sono un po’ la stessa cosa perché la
prima allarga gli orizzonti percettivi e stimola la creatività e la seconda della
conoscenza è il braccio pratico, il bambino impara, dunque, a prendere possesso
intellettualmente e psicologicamente della realtà, a sviluppare le proprie risorse
interiori, a sostenere ed arricchire immaginazione e intelletto.
Conclusa la visita, insieme ad Innocenzo concordammo di organizzare una piccola
replica di quella esposizione dedicandola, come dicevo all’inizio, ai responsabili dei
servizi educativi dei musei, con lo scopo di diffondere il prodotto e la sua filosofia
‘applicativa’: le buone idee hanno le gambe lunghe e non v’è dubbio che nel visionare
da vicino prodotti così ricchi di idee, di fantasia e di amore, qualche buona idea avrebbe
prodotto facilmente ottimi risultati anche nel campo dell’educazione al patrimonio
culturale.
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Qualche mese dopo, con l’arrivo al Centro per i servizi educativi di Elisabetta
Borgia insegnante con esperienza di didattica speciale, l’idea cominciò a ‘prendere
forma’ per arrivare a concretizzarsi in una giornata di formazione in cui autori di libri
tattili, pedagogisti, studiosi, ricercatori, scrittori, tecnici dessero il loro contributo di
esperienze e di idee su questi libri preziosi, spiegandone caratteristiche e potenzialità ad
un pubblico che per mestiere deve anche comunicare il patrimonio.
In un saggio di qualche anno fa Annamaria Testa, nota pubblicitaria ed esperta di
comunicazione, nello spiegare le varie fasi del processo comunicativo diceva:
«Comunicare con qualcuno facendogli, magari, capire il qualcosa che si vuole
esprimere è un risultato (per niente naturale e automatico) connesso con le
caratteristiche delle entità coinvolte nel processo e con l’ambiente. La differenza fra
comunicare qualcosa, comunicare a qualcuno e comunicare con qualcuno è simile a
quella che c’è (potete scoprirla in qualsiasi luna park) tra il fatto che una freccetta sia
lanciata, il fatto che la freccetta arrivi a piantarsi su una superficie, il fatto che sulla
superficie sia dipinto un bersaglio, il fatto che questo venga centrato e il fatto che venga
guadagnata in premio una bambolina.»2
Questa citazione sarà forse utile a comprendere quanto sia importante che i
lanciatori di freccette, cioè tutti noi intesi come sistemi che comunicano, siano
consapevoli di cosa si può fare ‘lanciando freccette’, a quali condizioni, con quali
risultati. Consapevoli che nel nostro caso vincere la bambolina vuol dire trovare il
modo migliore per raccontare la bellezza dell’arte a chi non vede.
Patrizia De Socio
Coordinatore del Centro per i servizi educativi del museo e del territorio - Servizio II
Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale - MiBAC
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A. TESTA, Farsi capire, op. cit. pag. 13 ss., Milano, Rizzoli, 2000.
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