“dionisiaci” nella narrativa, nel teatro e nel cinema del Novecento
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“dionisiaci” nella narrativa, nel teatro e nel cinema del Novecento
1 Mario Carini Elementi “dionisiaci” nella narrativa, nel teatro e nel cinema del Novecento Testo pubblicato in: “Quaderni del Liceo Orazio”, n. 3, Liceo Classico Orazio, Roma 2013, pp. 9-45 Tutti i diritti riservati Riproduzione vietata 2 Elementi “dionisiaci” nella narrativa, nel teatro e nel cinema del Novecento1 1. L’ultima tragedia di Euripide, Le Baccanti, venne composta dal poeta fuori della sua patria Atene, a Pella in Macedonia, ov’era ospite del re Archelao.2 E’ una tragedia, dunque, che risente del clima di scarsa civilizzazione, se non di barbarie, tipico di un paese ai margini della grecità: vi si narra di un dio straniero, venuto dalla Lidia o da qualche lontana contrada dell’Oriente (lo studioso Alain Daniélou lo ha comparato al dio indiano Śiva),3 di passioni ed estasi selvagge ispirate dallo stesso dio grazie al suo irresistibile potere di fascinazione, di una crudele e orribile vendetta che Dioniso realizza contro i suoi nemici, le maligne sorelle di sua madre Semele, Ino, Autonoe e Agave, e il figlio di questi, Penteo, re di Tebe, che vuole proibire il culto del nuovo dio. Le sorelle hanno messo in giro una diceria che nega la paternità divina di Dioniso, affermando che essa sarebbe stata una invenzione del loro padre Cadmo,4 desideroso di celare un legame illegittimo di Semele con un mortale e la conseguente nascita di Dioniso. Nel prologo (vv. 1-31) è lo stesso Dioniso che, dopo aver ricordato la sua origine orientale (dalla Lidia e dalla Frigia) spiega le ragioni per cui è giunto a Tebe, preannunciando agli spettatori il piano della sua vendetta: egli ha reso invasate le donne tebane e le ha costrette a lasciare le loro case correndo in massa sul monte sacro di Tebe, il Citerone, ove celebrano i loro baccanali guidate dalle tre sorelle Ino, Autonoe e Agave. Un’impressionante quadro dei riti bacchici è offerto dalla narrazione del servo pastore al re Penteo, nel terzo episodio (vv. 576-861). Mandato, assieme ad altri compagni, dal re per spiare le Menadi 1 La presente ricerca, costituita da una serie di appunti, ha carattere alquanto schematico e provvisorio, e vuole essere preliminare ad un’analisi più attenta e approfondita dell’argomento trattato. Perciò si è fatto uso, al fine di rendere più chiaro il discorso, di una tabella per rilevare le analogie tra i testi esaminati. Le note, con i rimandi bibliografici, sono state ridotte all’essenziale. Rispetto al testo pubblicato sui “Quaderni del Liceo Orazio” e in quello preparato per il sito Grammateion è stata sostituita la tabella finale, per ragioni di spazio, con un elenco schematico dei motivi “dionisiaci” rinvenuti nei testi esaminati. 2 Sulle problematiche della tragedia rimandiamo alla premessa e all’ampio commento di Vincenzo Di Benedetto (Euripide, Baccanti, premessa, intr., trad., costituzione del testo originale e commento di Vincenzo Di Benedetto, Fabbri Editori, su lic. Rizzoli, Milano 2004). 3 Alain Daniélou, Śiva e Dioniso. La religione della natura e dell’eros (Shiva et Dionysos, 1979), trad. di Augusto Menzio, Ubaldini Editore, Roma 1980. 4 Cadmo è il fondatore di Tebe e nonno di Dioniso. 3 invasate5 il servo riferisce ciò a cui ha assistito sul Citerone: le donne tebane divise in tre gruppi (tiasi) guidati dalle tre sorelle Ino, Autonoe e Agave, appaiono immerse in un sonno profondo, poi si risvegliano scosse dall’improvviso grido di Agave (v. 689, ̉́, “levò il grido”, termine che esplicita chiaramente l’ololygmós,6 il grido rituale delle Baccanti). Il loro aspetto è spaventoso: coperte della pelle di cerbiatto (nebride), tengono in grembo cuccioli di lupi e di cervi che allattano, mentre i serpenti leccano loro le guance. Con i tirsi, i bastoni ornati d’edera che portano come segno della loro religione, battendoli per terra e sulle rocce, fanno sgorgare prodigiosamente rivi di acqua, vino, latte e miele. Poi si lasciano andare a danze frenetiche, invocando Iacco7 e lanciandosi in folle corsa sul monte. Il servo e i suoi compagni tentano di afferrare Agave, ma la reazione delle Menadi è violentissima: si lanciano sugli uomini con furia selvaggia e ne hanno il sopravvento. Solo con la fuga il servo e i suoi compagni possono evitare di essere fatti a pezzi dalle donne invasate, la cui furia si rivolge ora agli armenti che pascolano sparsi. Giovenche e vitelle vengono fatte a pezzi dalle donne, che mostrano una prodigiosa forza sovrumana: anche i tori vengono trascinati a terra da mille mani di ragazze, fatti a pezzi e “sbranati (̃, v.746) più in fretta di un battito della tua palpebra regale” (vv. 746-747), come dice il servo allo stupefatto Penteo. Quindi le Menadi scendono correndo all’impazzata verso la pianura, attaccano i villaggi 5 Nella tragedia è fondamentale la distinzione tra le Baccanti vere e proprie, che formano il coro (ossia le donne che hanno seguito il dio dall’Oriente), e le Menadi, le donne di Tebe invasate dal dio e strumento della sua vendetta: alle prime Dioniso dona la gioiosa serenità che nasce dalla comunione con il dio, le seconde le fa precipitare in uno stato di estasi folle e distruttiva. 6 In greco ̉́. 7 Uno degli epiteti ricorrenti di Dioniso, l’altro è Bromio. 4 vicini al monte, entrano nelle case e rapiscono i fanciulli, colpendo e volgendo in fuga gli uomini. È una scena impressionante, che anticipa l’uccisione di Penteo, compiuta per mano delle stesse Menadi e di sua madre Agave, come viene narrata da un secondo servo messaggero nel quinto episodio.8 La vicenda è dunque imperniata sulla lotta tra Dioniso e il suo antagonista principale, Penteo (in secondo luogo nemici del dio e oggetto della sua collera punitiva sono le sorelle della madre, Ino, Agave e Autonoe), che si sviluppa fino al suo tragico esito nei cinque episodi che compongono il dramma. Nella parodo (vv. 64-169) entrano in scena le Baccanti, che formano il coro: sono le donne che hanno accompagnato il dio dalla Lidia e dalla Frigia. Esse esaltano il dio e invitano il popolo di Tebe ad accorrere sul monte Citerone, al suono dei flauti e dei timpani dei Coribanti. Nel primo episodio (vv. 170-369) appaiono in scena Cadmo, il vecchio padre di Agave (e dunque nonno di Penteo) e l’indovino Tiresia, entrambi con l’abbigliamento e gli ornamenti delle Baccanti: appaiono ringiovaniti, pieni di vigore grazie all’invasamento del dio, e si apprestano a salire sul monte Citerone per partecipare ai riti dionisiaci. Tiresia, di fronte a Penteo, ribadisce le ragioni per le quali Dioniso deve essere onorato come un dio (ragioni che fanno anche ricorso alla razionalizzazione del mito della doppia nascita mediante una spiegazione etimologica). Il re, che ancora appare un potente sovrano e saldamente in possesso dell’autorità regale, esprime tutto il suo disprezzo per Dioniso, che considera alla stregua di un mago imbroglione, e per i riti immorali delle Baccanti, si scaglia contro Tiresia, che considera colpevole del traviamento di suo nonno Cadmo, e minaccia una dura punizione a lui e la lapidazione al falso dio. Dopo il primo stasimo (vv. 370-433), nel quale il coro condanna l’empia violenza del re contro il dio che ha donato ai mortali il 8 Ha studiato i Baccanali come rievocazione di una violenza collettiva e fondatrice della società lo studioso René Girard in La violenza e il sacro (La Violence et le Sacré, 1972), trad. di Ottavio Fatica ed Eva Czerkl, Adelphi edizioni, Milano 20119, pp. 170-182; lo studio di Giorgio Galli, Occidente misterioso, Rizzoli, Milano 1987, pone in rapporto il dionisismo, lo gnosticismo e la stregoneria come momenti dell’emersione di una cultura “altra”, rispetto a quella prevalente nella storia dell’Occidente, in cui l’elemento femminile aveva un ruolo preponderante. Sul menadismo, in rapporto anche a moderne esperienze di estasi, vd. Eric R. Dodds, I Greci e l’irrazionale (The Greeks and the Irrational, 1951), trad. di Virginia Vacca De Bosis, Rizzoli, Milano 20103, pp. 329-344; ulteriori puntualizzazioni in Ugo Bianchi, La religione greca, UTET, Torino 1989, rist., pp. 42-46. 5 vino, la bevanda che libera dagli affanni, il secondo episodio (vv. 434-518) vede in scena un misterioso straniero, che entra scortato dalle guardie, dice di provenire dalla Lidia e di essere venuto a Tebe per annunciare la nuova religione di Dioniso. Un servo annuncia che tutte le donne tebane che Penteo aveva fatto rinchiudere in carcere si sono liberate e ora stanno correndo all’impazzata verso il monte Citerone. Anche in questo dialogo Penteo esprime il suo disprezzo per il dio e per chi celebra il suo culto, e ordina di rinchiudere lo straniero, dalla cui bellezza è visibilmente turbato, nelle stalle del palazzo reale. Portato via dalle guardie, lo straniero, che è Dioniso stesso, lancia una profezia di sventura contro Penteo. Nel secondo stasimo (vv. 519-575) le Baccanti, con un triste canto, esprimono il loro sconforto per il dio imprigionato e accusano la protervia persecutrice di Penteo, in un brano lirico che sembra esprimere l’adesione solidale di Euripide alla nuova religione, il dionisismo. Il terzo episodio (vv. 576-861) si apre con un dialogo lirico tra il coro e lo straniero, ossia Dioniso, che appare prodigiosamente libero, davanti al palazzo reale, che è stato squassato da un misterioso terremoto. Lo straniero racconta che il re ha fatto legare un toro alla stalla (il toro è animale legato al culto del dio, come sua ipostasi: nella tragedia assume la funzione di un sinistro presagio), scambiandolo per il prigioniero. Quindi appare in scena Penteo, che si meraviglia della presenza dello straniero (egli evidentemente ignora che si tratta del dio) davanti al palazzo. Viene quindi un messaggero, un servo pastore, che riferisce dei prodigiosi riti compiuti dalle Menadi sul monte Citerone, e della loro furia sanguinaria, a cui a stento lui e i suoi compagni sono scampati. Penteo vorrebbe mandare le guardie sul Citerone per fermare le donne invasate, ma lo straniero lo esorta a non muovere le armi contro il dio, suggerendogli invece di recarsi lui stesso a osservare quello che fanno le donne tebane, travestito da Baccante. A questo punto Penteo cade in potere dello straniero, e, precipitato in una sorta di abulia ipnotica, è preso da una fortissima curiosità di vedere di persona i riti delle Baccanti. Lo straniero, ossia Dioniso, annuncia al coro che farà precipitare Penteo nella follia, perché, prima di essere scannato dalla sua stessa madre, possa essere deriso dalla città di Tebe. Le Baccanti nel terzo stasimo (vv. 862-911) esprimono l’esultanza perché la forza del dio presto si manifesterà sull’uomo e pregustano la vendetta di Dioniso. Il Penteo che appare sulla scena nel quarto episodio (vv. 912-976) è irriconoscibile rispetto all’arrogante e deciso sovrano di poco prima: è una grottesca caricatura delle Baccanti, abbigliato come loro, e 6 appare debole e incerto, in completa balìa di Dioniso, che ancora non ha riconosciuto. È lo straniero che lo guida e lo consiglia su come portare la nebride, come acconciare la chioma, come portare il tirso, gli sistema addirittura un ricciolo sul capo (segno di completa sottomissione alla divinità). Penteo è divenuto una maschera grottesca, ma il grottesco prepara la tragedia. I due si avviano verso il Citerone. Il coro nel quarto stasimo (977-1023) invoca le cagne della Follia (́́ contro colui che si veste come una donna per spiare le Baccanti. Presagisce il furore di Agave contro suo figlio e invoca Dioniso perché si manifesti come toro, drago e leone e getti il suo laccio di morte sul cacciatore di Baccanti. Il quinto episodio è segnato da una ellissi temporale: il dramma dell’infelice Penteo si è già compiuto e un messaggero viene sulla scena a raccontare la terribile fine del suo signore, a cui ha assistito. Quindi segue l’esodo, che conclude la tragedia e comprende il tragico ritorno in sé di Agave e lo svelamento del dio, che appare soddisfatto della vendetta compiuta e profetizza la trasformazione in drago di Cadmo e in serpente di sua moglie Armonia, e il loro esilio da Tebe (entrambi però saranno poi condotti da Ares alle Isole dei Beati). I temi fondamentali delle Baccanti sono il dionisismo, la follia e il mutamento dell’umana condizione, che qui è un vero e proprio sovvertimento di identità e funzioni, psichico e sessuale. Il potente re persecutore diventa un essere senza volontà, che si mostra, senza alcuna vergogna, travestito da donna, da Baccante, il dio perseguitato e gettato in carcere gode il trionfo della vendetta e domina la città. Ancora una volta il dio ha avuto ragione del potere umano, che, peccando di hybris, ha osato opporglisi.9 La follia è conseguenza dell’impossessamento che opera Dioniso sulle sue vittime: anzitutto le donne tebane, trasformate in selvagge e sanguinarie Menadi, poi Penteo, il re di Tebe, che, sotto l’influsso di una trance ipnotica perde le sue prerogative di potere e anche la sua identità virile, trasformandosi in una goffa e timida Baccante, che deve essere guidata passo a passo dal dio. La violenza è dunque l’elemento che impronta di sé la tragedia, la sua cifra caratteristica: violenza soltanto minacciata dal re Penteo, deciso a dare la caccia alle Menadi rifugiate sul monte Citerone e a tagliare la testa allo stesso Dioniso, ma realizzata dalle Menadi scatenate, prima sulle guardie, sui pastori e sugli abitanti di Tebe, e poi sul corpo dello stesso re persecutore, Penteo, oggetto dello strazio dello sparagmós,10 lo sbranamento, giacché egli viene fatto a pezzi e divorato dalle folli invasate. La tragedia è imperniata sul dualismo irriducibile tra Dioniso e Penteo, questo rapporto a due “sviluppato in una chiave di reversibilità e di rove- È comune ai miti di Dioniso l’antagonismo del dio rispetto ai detentori del potere sovrano, come Licurgo e Penteo. I miti fondati sul tema del rifiuto della relazione con Dioniso potrebbero spiegarsi, sul piano storico-religioso, con il rifiuto della nuova forma economica della viticultura da parte delle comunità di allevatori: vd. in proposito Marcello Massenzio, Cultura e crisi permanente: la “xenia” dionisiaca, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1970, pp. 49-74. 10 In greco ́ 9 7 sciamento simmetrico che scompagina l’identità dei personaggi”.11 Penteo, nel corso della tragedia, cade sempre più in potere di Dioniso e, travestito da Baccante, si lascia agghindare come un nuovo adepto e condurre dal dio verso la crudele trappola che egli gli ha riservato sul monte sacro alle Baccanti, il Citerone. Ma anche lo stesso dio subisce alla fine della tragedia una mutazione: non è più il dio gioioso e vitale che appare all’inizio, sia pur determinato nella volontà di vendicarsi dei suoi nemici, ma un sovrano freddo e distante, che si comporta come un deus ex machina, spiega le ragioni della sua vendetta e ribadisce la sua volontà punitiva, che si estende anche al padre di Agave, Cadmo (il quale nel primo episodio, assieme a Tiresia, era apparso come un entusiastico adepto del nuovo culto), il quale sarà mutato in drago e dovrà andare in esilio. Né le Baccanti ricevono da lui il piacere di una gioiosa comunione divina, che pure avevano preannunciato. Ma chi è Dioniso? Egli è certamente un’ambigua figura divina, ben lontana dagli dei del pantheon olimpico dei Greci (anche se il ritrovamento del suo nome in una delle tavolette in Lineare B deve far supporre un’antica origine ellenica, risalente almeno all’età micenea).12 Dioniso è l’estraneo, l’altro, lo straniero, sia nel senso che la sua origine è straniera, non greca, sia nel senso che “mette l’uomo in comunicazione con quell’altrove che ciascuno porta dentro di sé e che il più delle volte rifiuta di vedere”.13 Egli, con la sua misteriosa presenza, scatena gli istinti repressi dell’uomo ed evoca le forze primordiali della natura, è il dio della gioia e dell’ebbrezza, ma anche della trance estatica e della follia, che culmina nella ferocia dei suoi riti sanguinari. Al dio è altresì connesso l’aspetto androginico della sua bellezza, un elemento questo, comune ad altri miti, ove si presenta come polarità maschile/femminile nello stesso dio o eroe.14 Ha osservato Massimo Fusillo, in un suo saggio penetrante (Il dio ibrido. Dioniso e le «Baccanti» nel Novecento, Il Mulino, Bologna 2006, p. 26), che Dioniso porta l’incrinamento delle polarità primarie e delle gerarchie concettuali e sociali, come quelle fra l’io e l’altro, fra il maschile e il femminile, fra il servo e il padrone, fra l’uomo e l’animale. Emerge da questa crisi una logica “altra” e perturbante, un modo di essere che la ragione vuole negare, ma che è incarnato nella parte più oscura e profonda di noi e che l’esperienza dionisiaca, con il suo scatenamento liberatorio degli istinti selvaggi e repressi, porta 11 Massimo Fusillo, Il dio ibrido. Dioniso e le «Baccanti» nel Novecento, Il Mulino, Bologna 2006, p.21. Su Dioniso la bibliografia è immensa. Vd., anzitutto: William K. C. Guthrie, I greci e i loro dei (The Greeks and their Gods, 1950), trad. di Gloria Germani, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 179-220; Robert Graves, I miti greci (Greek Myths, 1955), trad. di Elisa Morpurgo, Edizione CDE, su lic. Longanesi & C., Milano, 1991, pp. 91-98; Karl Kerényi, Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile (Dyonisos. Urbild des unzerstörbaren Lebens, 1976), a cura di Magda Kerényi, trad. di Lia Del Corno, Adelphi edizioni, Milano 19983. 13 Euripide, Baccanti, a cura di Roberta Sevieri, Principato, Milano 2008, rist., p.8. 14 Vd. al riguardo Elémire Zolla, L’androgino. L’umana nostalgia dell’interezza, Red Edizioni, Como 1985: tra i miti ricordati quello di Eracle e Onfale (p. 53) e di Tiresia (p. 55). Lo stesso Zeus, secondo Zolla, evidenzierebbe una simbologia androginica (p. 7). Il culto dionisiaco è pervaso dall’elemento femminile: il ruolo delle donne vi è affermato come quello di iniziatrici in una società dominata dagli uomini (Zolla, p.32). Lo stesso Dioniso è raffigurato sia come uomo sia come donna (p. 8). 12 8 irresistibilmente alla luce. Le categorie concettuali antitetiche che ambiguamente Dioniso riassume in sé, come opposizioni ricondotte ad una medesima unità nella persona del dio, sono quelle io/altro, maschile/femminile, gioventù/vecchiaia, corpo/mente, nativo/straniero, umano/animale, umano/divino (basso/alto). 2. Molti autori moderni hanno ripreso temi e spunti dalle Baccanti di Euripide, mostrando che questo dramma ha goduto di una notevole fortuna nel teatro e nella letterature occidentale. Si pensi, per citare qualche esempio, ai drammi Pentesilea di Heinrich von Kleist ed Elettra di Hugo von Hoffmannstahl, alla Fedra di D’Annunzio e, nel versante della letteratura, al racconto La morte a Venezia di Thomas Mann (ove spicca l’episodio del sogno “dionisiaco” di Gustav von Aschenbach).15 È indubbio che vi sia stato un “ritorno di Dioniso” nella cultura letteraria e artistica moderna, in particolare nel Novecento, quale ulteriore conferma delle straordinarie potenzialità della tragedia greca, come prodotto culturale che vive di vita autonoma oltre l’età classica, ed è capace di interagire con le epoche più recenti per fornire chiavi di lettura delle istanze, dei movimenti, delle inquietudini che le animano.16 Possiamo, perciò, ripetere con il Ferraro che “il dionisismo è, dunque, in primo luogo identificabile con l’elemento irrazionalistico, orgiastico ed estatico, che irrompe a scardinare le categorie logiche, sconvolgendo le nostre presunte certezze, ma anche aprendo la strada a esperienze-altre di conoscenza.”17 Noi vogliamo mostrare, con questo lavoro, la sopravvivenza delle Baccanti anche in testi della narrativa e del teatro meno noti o citati, ove si può cogliere una filigrana di situazioni e spunti che appaiono ispirati direttamente o indirettamente dal dramma di Euripide: personaggi che vengono inaspettatamente in contatto con un misterioso essere sacro o divino, dalla conturbante bellezza, la cui irruzione nella normale vita quotidiana crea situazioni drammatiche di alienazione; la comunione con il dio rappresentata come una misteriosa scomparsa di giovani collegiali durante una normale gita 15 Rimandiamo, per i riferimenti alle opere citate in rapporto alle Baccanti di Euripide, al testo di Giuseppe Ferraro, Il ritorno di Dioniso. Le Baccanti e il dionisiaco nella cultura e nell’arte moderna, Esselibri – Simone per la Scuola, Napoli 2010, rist. 16 Ma si è parlato di un “ritorno di Dioniso” anche per certi fenomeni trasgressivi del moderno costume giovanile, come i rave party: vd. Valerio Magrelli, Dioniso tra noi, in “Corriere della Sera”, 20 marzo 2007. 17 Giuseppe Ferraro, cit., p. 11. 9 scolastica; la folle corsa su una collina o nel folto della boscaglia per sfuggire a un’orda di sanguinari assassini – versione orrorifica della oreibasía –; lo sbranamento e il divoramento di esseri umani; l’assordante musica dei sistri e dei timpani; lo stato di trance ipnotica nel quale il soggetto vive esperienze di estasi; il menadismo come uscita da sé e perdita di controllo delle proprie facoltà intellettuali ed emotive. In tutte queste situazioni il “perturbante” dionisiaco irrompe nella vita quotidiana dei personaggi e ne sconvolge l’esistenza, a livello fisico e psichico, creando effetti di dramma, di tragedia, di orrore. Abbiamo riscontrato questi elementi “dionisiaci”, a cui si legano le complesse problematiche proprie degli autori, in opere appartenenti a versanti diversi della letteratura e del teatro, come i romanzi Il Signore delle Mosche di William Golding, Picnic a Hanging Rock di Joan Lindsay e Teorema di Pier Paolo Pasolini, e il dramma teatrale di Tennessee Williams Improvvisamente l’estate scorsa. I testi che presentiamo in questo nostro percorso sono stati scelti proprio perché pre-sentano con tutta evidenza spunti e situazioni che possono da ultimo ricondursi alle Baccanti. Ciò non vuol dire che gli autori abbiano tenuto presente il dramma di Euripide né tantomeno ci sentiamo di postulare una diretta dipendenza tra i testi esaminati e le Baccanti. Vi sono però indubbi riecheggiamenti, sia pure inconsapevoli, dalle Baccanti, laddove le tematiche sviluppate dagli autori riguardano il sesso, la follia, la morte. Accomuna inoltre questi testi il fatto che sono stati trasposti fedelmente in opere cinematografiche, talvolta dagli stessi autori (Pasolini ha tratto l’omonimo film dal suo romanzo Teorema, Tennessee Williams ha colla-borato assieme allo scrittore Gore Vidal alla sceneggiatura del film di Joseph Mankiewicz ricavato dall’omonimo dramma teatrale Improvvisamente l’estate scorsa, da Il Signore delle Mosche di Golding sono stati tratti ben due film,18 e anche il romanzo della Lindsay, Picnic a Hanging Rock, è diventato un celebre film grazie al regista australiano Peter Weir, nel 1975). 3. Il Signore delle Mosche (The Lord of the Flies, 1954) dello scrittore inglese William Golding (1911-1993, Premio Nobel per la letteratura nel 1993),19 romanzo del filone dell’utopia negativa (o antiutopia),20 narra di un gruppo di bambini inglesi che, durante una ipotetica terza guerra mondiale, sopravvive a un incidente aereo e resta abbandonato su un’isola del Pacifico. I bambini, privi di una guida adulta, dimenticano ben presto le abitudini della civiltà e dell’educazione e degradano a piccoli selvaggi sanguinari. Si fronteggiano nel romanzo i due ragazzi che emergono in principio per la loro autorità nel gruppo di superstiti: Ralph, quello scelto come capo, che rappresenta l’educazione e la 18 Il primo film, diretto dal regista inglese Peter Brook e uscito nel 1963, è un trasposizione molto fedele al romanzo di Golding; il secondo, girato da Hary Hook nel 1990, è un remake alquanto più libero. 19 William Golding, Il Signore delle Mosche (Lord of the flies, 1954), trad. di Filippo Donini, Mondadori, su lic. Martello, Milano 1966. 20 Sull’utopia negativa vd. Daniela Guardamagna, Analisi dell’incubo. L’utopia negativa da Swift alla fantascienza, Bulzoni editore, Roma 1980. 10 civiltà, e Jack, l’antagonista che incarna la violenza e le forze della natura, colui che diverrà capo della tribù dei “cacciatori”, la piccola orda selvaggia in cui si trasformano ben presto quei bambini, tutti già appartenenti alla migliore società d’Inghilterra, sotto l’influsso nefasto del secondo. Ralph e Jack sembrano riproporre, nel contesto del tema della sopravvivenza nell’isola deserta e sullo sfondo di una guerra atomica che sta distruggendo l’umanità e ha temporaneamente privato quei bambini della rassicurante guida degli adulti, l’antagonismo euripideo tra Penteo e Dioniso. Sia Ralph sia Jack sono portatori di valori analoghi: da una parte l’ordine, la ragione, il senso del dovere, l’educazione e la civiltà, dall’altra l’allegro anarchismo, la sfrenatezza del piacere ludico, l’irrazionalità, la naturalità, ma anche la violenza, l’istinto della caccia, il gusto per il sangue e la strage. Poi vi è il piccolo, miope e grasso Piggy (oggetto, per la sua goffaggine, degli scherni degli altri bam-bini), che funge da saggio consigliere di Ralph, con i suoi continui appelli alla ragione e al buon senso e i vani suoi tentativi di ricreare la società degli adulti:21 finirà orribilmente sfracellato tra le rocce dell’isola, mentre cerca di richiamare, con un ultimo, disperato appello, i bambini ormai imbarbariti al rispetto delle regole stabilite. Il romanzo si impernia sullo scontro tra Ralph e Jack, sulla progressiva erosione dell’autorità di Ralph a favore del secondo e sul rovesciamento di ruoli tra i due personaggi, in modo analogo a quanto avviene nelle Baccanti. Ralph vuole stabilire delle regole e una vita ordinata che permetta la sopravvivenza della piccola comunità, si preoccupa del benessere e dell’igiene personale dei più piccoli, all’inizio appare come un capo prestigioso e indiscusso. Jack fatica ad accettare il ruolo di Ralph (che è stato eletto democraticamente capo della comunità), non sta alle regole fissate, lo contesta ad ogni momento, fino a portare dalla sua parte la maggior parte dei ragazzi attirandoli con la prospettiva di piacevoli cacce nella foresta dell’isola. Jack, questo piccolo Dioniso, che il gusto sfrenato della caccia e della festa, nonché il naturale istinto alla ribellione anarchica provvedono ad apparentare al dio greco, esercitando un malsano fascino fomenta il malcontento e la rivolta dei piccoli superstiti contro il loro capo, Ralph. E Ralph, alla fine di un estenuante confronto con Jack che diventa anche uno scontro fisico, si ritrova, dopo la morte di Piggy (l’unico ragazzo che era rimasto con lui), solo e terrorizzato, ridotto ad essere inseguito, 21 È Piggy che suggerisce a Ralph come organizzare la comunità dei piccoli sopravvissuti, assegnando compiti e mansioni che permettano in qualche modo la sopravvivenza sull’isola deserta, ed è sempre Piggy che pensa a costruire una meridiana per orientarsi nel tempo. Ma il ragazzino è tragicamente consapevole che i suoi sforzi di conservare una parvenza di civiltà e di educazione tra i compagni sono destinati ad essere vanificati dal distruttivo fascino del capo dei cacciatori, Jack. 11 come un animale braccato, da Jack e dai suoi seguaci, ormai divenuti un’orda di selvaggi sanguinari. La sua fine sarebbe segnata, tra le fiamme appiccate follemente dai “cacciatori” alla vegetazione dell’isola, se non fosse salvato provvidenzialmente dai marinai inglesi approdati a riva dopo aver avvistato il fumo dell’incendio. Vi è nel romanzo l’inquietante presenza di un demone maligno, incarnato nella testa impalata di un maiale, brulicante di insetti, che i bambini offrono alla divinità dell’isola, il “Signore delle Mosche”. È, questo nome, la traduzione letterale di Belzebub, il diavolo biblico, radice di ogni male. Sotto l’influsso di questo demone, persa ormai ogni connotazione di esseri civilizzati, i bambini, trasformati in selvaggi sanguinari, massacrano durante un macabro rituale un loro compagno e uccidono Piggy, l’amico di Ralph, che simboleggia nel romanzo la razionalità e la saggezza. Una delle opposizioni concettuali tipiche del dionisismo è quella basso/alto, che rimanda alla antitesi umano/divino. L’alto, come luogo simbolico dell’innalzamento alla condizione divina, il basso come lo sprofondare verso il caos primigenio. Le donne tebane, nel loro invasamento, corrono verso la vetta del monte Citerone, ove possono dedicarsi ai riti orgiastici ed entrare in comunione col dio. Nel romanzo di Golding, il piccolo Simone sale sulla montagna che domina l’isola e vede la testa del maiale, brulicante di insetti, incarnazione di una entità maligna se non del Male assoluto (il Belzebù biblico, a cui allude l’etimologia ebraica del nome, “Signore delle Mosche”, che dà il titolo al romanzo), e che trasforma i piccoli naufraghi inglesi in un’orda di selvaggi omicidi. Simone ha la delirante visione della testa di maiale, il “Signore delle Mosche”, che gli parla rivelandogli che esso non è altro che il Male, quel Male che alligna all’interno di tutti gli uomini e contro cui è vano combattere. Il “Signore delle Mosche” profetizza a Simone la sua prossima uccisione, che di lì a poco si compie. Difatti, disceso dalla montagna alla riva del mare, stordito dalle sue febbrili allucinazioni, Simone è orribilmente trucidato per mano dei suoi stessi amici in una tragica, primitiva festa notturna. Il cap. IX del romanzo narra l’orribile morte del piccolo Simone, massacrato dai suoi compagni nel corso di un vero e proprio rituale dionisiaco, una festa di morte che si conclude con lo sparagmósdella vittima: Il cerchio diventò un ferro di cavallo. Qualcosa veniva fuori dalla foresta. Veniva avanti al buio, strisciando, non si capiva come. Gli strilli acuti che s’innalzavano davanti alla bestia erano 12 pungenti come una ferita. La bestia entrò barcollando nel ferro di cavallo. «Prendetelo! Ammazzatelo! Scannatelo! » La cicatrice bianco-azzurra era continua, il rumore insopportabile. Simone gridava qualche cosa a proposito di un morto su una collina. «Prendetelo! Ammazzatelo! Scannatelo! Finitelo!» I bastoni scesero con forza e la bocca del nuovo cerchio stritolò e urlò. La bestia era in ginocchio nel centro, le braccia piegate sul volto. In mezzo a quel terribile fracasso, gridava qualcosa a proposito di un corpo sulla collina. La bestia si trascinò avanti, spezzò il cerchio e piombò giù dall’orlo della roccia, cadde sulla sabbia presso l’acqua. Subito la folla lo inseguì, scese dalla roccia, balzò sulla bestia, strillò, colpì, morse, strappò. Non ci furono parole, solo una furia di denti e di unghie che laceravano. (William Golding, Il Signore delle Mosche, trad. di Filippo Donini, Mondadori, su lic. Martello, Milano 1966, p.181) Ma l’alto, nel romanzo di Golding, è anche il luogo della presenza della Morte, oltre che del Male (si ricordi che nella tragedia euripidea Penteo viene fatto a pezzi dalle Menadi invasate sul monte Citerone). Dopo una battaglia aerea a dieci miglia di altezza, atterra sulla cima della montagna un paracadutista, ormai cadavere, che il vento e il groviglio di corde in cui il corpo si impiglia trasformano in una orrida marionetta semovente: scambiato per una bestia mostruosa dalla fantasia sovraeccitata dei bambini, diventa un idolo da venerare, il loro totem, la “Bestia”. Ad esso i “cacciatori” offrono, come sacro dono per la “Bestia”, una testa di maiale conficcata su un palo, quella che si scopre essere la simbolica incarnazione del “Signore delle Mosche”: il Male e la Morte sono così congiunti, sulla cima della montagna, a dominare quella lussureggiante isola perduta nell’Oceano e a determinare i tragici eventi che insanguinano il forzato soggiorno dei ragazzi inglesi. Un’altra singolare analogia si può cogliere in questo testo: come Dioniso appare il divino signore delle Baccanti che nella tragedia euripidea formano il coro, così nel romanzo di Golding Jack, appare rispettato e ubbidito come un capo, giacché, prima che scoppiasse la guerra, era il capo del coro degli studenti inglesi, e canti e danze tribali sottolineano i momenti delle efferate uccisioni dei “Cacciatori” agli ordini di Jack. 4. Un testo narrativo in cui appaiono indubbiamente gli elementi dionisiaci della possessione e della follia, intesa come perdita della propria identità, è il romanzo Teorema di Pier Paolo Pasolini (1968), da cui il poeta e regista friulano 13 (1922-1975) trasse l’omonimo film.22 La storia, che ricordiamo brevemente, si impernia sull’improvviso ingresso nella casa di una benestante famiglia dell’alta borghesia milanese (una tipica famiglia “perbene” degli anni Sessanta), di un giovane sconosciuto, un misterioso Ospite, la cui venuta è preannunciata proprio il giorno prima da un semplice telegramma, recato da un allegro e fanciullesco postino, il cui nome emblematico è Angelo (o Angiolino, la cui descrizione rimanda ai tipici “ragazzi di vita” pasoliniani). Il lettore ha modo di scoprire in breve che l’Ospite è una figura divina, una sorta di dio ambiguo e misterioso, la cui onnipotenza si traduce in una irresistibile possessione (anche e soprattutto erotica) esercitata su tutti i membri della famiglia, a cominciare dalla cameriera Emilia, per passare ai due giovani figli Pietro e Odetta, e finire con la loro madre Lucia e suo marito, Paolo, industriale e pater familias, la cui autorità e identità crollano miseramente di fronte alla presenza del misterioso Ospite. Questo giovane dalla conturbante bellezza non ha bisogno di dire o fare nulla: il distacco dalle persone che lo attorniano è assoluto, non una parola non un gesto, però egli viene continuamente cercato perché istilla negli altri una continua, e a tratti sconvolgente, bramosia d’amore. Essi vedono in lui il loro oggetto d’amore e hanno terrore di perderlo, al punto che la cameriera Emilia, nel timore di non poterlo possedere, tenta di suicidarsi. Prigionieri di una violenta estasi d’amore, scatenata dalla sola presenza dell’Ospite, i membri della famiglia di Paolo (l’industriale che in principio appare sicuro del suo potere, dell’autorità di capofamiglia, e dell’ordine e del benessere che, come una sorta di Penteo moderno, ha saputo creare nel suo felice mondo domestico), sperimentano effetti ancor più sconvolgenti allorché, all’improvviso e senza alcun motivo apparente, l’Ospite misterioso prende congedo (di nuovo avvertito da un telegramma). È allora che, privati di una presenza inquietante ma insieme fortemente rassicurante, l’industriale Paolo e i suoi familiari precipitano in una sorta di 22 Il film Teorema di Pier Paolo Pasolini (interpretato da Massimo Girotti, Silvana Mangano e Terence Stamp) fu presentato alla XXIX Mostra del Cinema di Venezia e ottenne la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Laura Betti, la Navicella d’Oro e il Premio OCIC (associazione internazionale dei critici cattolici). Ne seguirono violente polemiche: il regista fu accusato dalla sinistra di “misticismo reazionario” e dalla destra di “pornografia e perversione” e, inoltre, venne denunciato per oscenità dalla Procura della Repubblica di Roma, che dispose il sequestro del film. Sul film vd. Serafino Murri, Pier Paolo Pasolini, Editrice Il Castoro, Milano 2008, rist., pp. 97-105; Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, Rizzoli, Milano 1978, pp. 309-315. Sulle vicissitudini giudiziarie del film e del regista: Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, a cura di Laura Betti, Garzanti, Milano 1977, pp.164-171. 14 follia, che va dal delirio mistico, col sacrificio di sé, all’autismo allo scatenamento di incontrollabili pulsioni erotiche fino all’assoluto gesto liberatorio di Paolo che si libera della sua fabbrica donandola agli operai. Gli atti apparentemente immotivati e talvolta incomprensibili dei membri di questa famiglia borghese, distrutta nella coscienza di sé e nel suo ruolo di moglie, marito, figlio e figlia, tradiscono una insostenibile nostalgia per l’Altro, l’Assoluto che si è affacciato inaspettatamente nella loro casa, e si configurano come percorsi individuali che dovrebbero portare al reincontro con l’Ospite, nell’unione col quale avevano sperimentato l’appagamento della felicità. Questo Assoluto essi lo ignorano, giacché Pasolini ha voluto rappresentare una tipica famiglia borghese che incarna i valori della propria classe: l’arrivismo, l’edonismo, il consumismo, una visione della vita basata sulla ragione, l’ordine e il possesso. In questa concezione della vita, tipicamente borghese, è del tutto assente il Sacro. Quando essi si scontrano con l’irrazionalità del Sacro, rappresentata dall’Ospite divino, la loro coscienza avverte più chiaro il desolante senso di vuoto spirituale, di assoluta impotenza morale, di inautenticità del loro essere, anzi il terribile senso di essere nulla, che scatena una vana protesta (segno della quale è il grido selvaggio che lancia nel finale Paolo, ridotto a vagare ignudo in quel deserto che è la reificazione della sua coscienza, e della coscienza della borghesia). È, quello di Pasolini, un romanzo a tesi, costruito sulla dimostrazione di un teorema, il “teorema” del titolo (che potrebbe anche interpretarsi come ̃̃, ossia “discorso su Dio”), ossia l’irredimibilità della borghesia: posta di fronte al Sacro, che ignora, giacché ne ha perso definitivamente il senso, la borghesia avverte la lacerante contraddizione tra il suo avere (la disponibilità dei beni materiali e dei mezzi di produzione, il controllo del potere) e il suo essere (il vuoto spirituale) e, impossibilitata a riempire quel vuoto, colmato temporaneamente dalla presenza di quel Sacro che per essa si è tradotta nelle forme dell’Eros, cade nell’alienazione. Quindi l’anelito disperato di Paolo e dei suoi familiari a liberarsi del loro ruolo prefissato dalla società borghese e a rifugiarsi in propri mondi individuali, entro cui isolarsi senza la volontà di stabilire una comunicazione con gli altri che non sia la più istintuale e mercificata: la figlia Odetta si chiude in un autismo isterico e recide ogni legame col mondo, il figlio Pietro sperimenta in assoluta solitudine la tragica condizione dell’impotenza artistica (i suoi disperati e inutili sforzi di dare forma ai colori sulla tela), Lucia, la moglie di Paolo, rigorosamente monogama prima dell’arrivo dell’Ospite, dopo la sua partenza ricerca affannosamente ogni occasione di incontro sessuale con 15 gli sconosciuti, Paolo, l’industriale, regala la sua fabbrica agli operai (gesto di confusa redenzione sociale, che comunque non gli pro-cura alcuna simpatia da parte dei medesimi beneficiati, come si nota nelle interviste del giornalista televisivo che aprono il film)23 e si spoglia completamente dei suoi abiti, in una folle riedizione del famoso gesto di San Francesco, di fronte a tutti alla stazione di Milano. Soltanto la cameriera Emilia, che ha riconosciuto nell’Ospite una presenza divina (perciò considera un peccato aver fatto l’amore con lui), prende la strada dell’ascesi, diventando essa stessa una presenza di Dio: si ritira a vivere in un casolare di campagna, si nutre di ortiche e assume una colorazione verdognola, guarisce miracolosamente i bambini malati, si innalza e rimane sospesa nel cielo, attira folle di oranti che cadono in ginocchio davanti a lei e la implorano come una santa, si fa seppellire viva in una profonda buca nel terreno mentre dai suoi occhi sgorgano lacrime che formeranno, di lì a poco, una pozza d’acqua miracolosa. Il personaggio più significativo del romanzo (e anche del film, rappresentato dall’enigmatica e fascinosa presenza dell’attore Terence Stamp) è certamente l’Ospite, quell’Ospite che improvvisamente viene da un ignoto Altrove a sconvolgere la vita di una tranquilla famiglia borghese. Ma chi è questo Ospite, posto che rappresenti il Sacro? Ossia, quale dio incarna l’Ospite? Dobbiamo anzitutto evitare di riconoscere il lui il Dio cristiano: egli non ha la carità, non porta consolazione né sembra comprendere o perdonare la povertà umana di questa famiglia borghese né offre, come un Messia, speranza di cambiamento. È, piuttosto, un dio che si manifesta attraverso la possessione erotica, della quale si serve per sovvertire l’ordine e le regole di vita nonché le false certezze delle persone che lo ospitano. Un dio che viene per distruggere: per distruggere le false certezze di vita, la falsa coscienza, la falsa idea che di sé hanno quei personaggi nel cui animo si è completamente perso il senso del sacro, quei personaggi totalmente incapaci di concepire il mondo e la vita al di fuori dei loro valori materiali. Emblematiche le sconsolate parole con cui, in uno degli intermezzi poetici che – come le parti corali di un dramma antico – interrompono la vicenda narrata, il padre rivolge all’Ospite: Tu sei dunque venuto in questa casa per distruggere. Che cosa hai distrutto in me? Gli operai sono consapevoli che la donazione della fabbrica, lungi dall’essere un atto rivoluzionario, finirà per trasformare anch’essi in piccoli borghesi. Del resto l’inautenticità dei valori della borghesia, nella visione ideologica a cui è saldamente ancorato il romanzo, è espressa dalla domanda dell’intervistatore: “L’ipotesi – non molto originale – sarebbe dunque che la borghesia non può più in nessun modo liberarsi della propria sorte, né pubblicamente né privatamente, e che qualunque cosa un borghese faccia sbaglia?” (Pier Paolo Pasolini, Teorema, Garzanti, Milano 19762, p. 195). 23 16 Hai distrutto, semplicemente, – con tutta la mia vita passata – l’idea che io ho sempre avuto di me stesso. Se dunque da molto tempo io avevo assunto la forma che dovevo assumere e la mia figura era, in qualche modo, perfetta, ora, che cosa mi rimane? Non vedo niente che possa reintegrarmi nella mia identità (Pier Paolo Pasolini, Teorema, Garzanti, Milano 19762, p. 104) Questo aspetto, e altri ancora, ci fanno accostare il misterioso Ospite a Dioniso, come peraltro lo stesso Pasolini ha suggerito.24 La modalità di rivelarsi dell’Ospite è quella dell’epifania dionisiaca. Va detto che i personaggi del romanzo entrano in scena minuziosamente descritti (Paolo che esce con la sua Mercedes dalla fabbrica, Pietro che rincasa dal liceo Parini, Odetta che esce dall’istituto delle Marcelline) al suono delle campane di mezzogiorno. E non a caso il mezzogiorno, ossia il meriggio, è il momento della giornata in cui si manifesta la divinità nei racconti dei miti greci (si ricordi il famoso saggio di Roger Caillois).25 Ma l’Ospite giunge nella casa della famiglia, al tramonto, proprio nel mezzo di una festa, i cui invitati sono i compagni di classe di Pietro e Odetta, i giovani figli del padrone di casa. L’autore rileva anzitutto l’abbagliante bellezza di quel personaggio nuovo e straordinario: Straordinario prima di tutto per bellezza: una bellezza così eccezionale, da riuscire quasi di scandaloso contrasto con tutti gli altri presenti. Anche osservandolo bene, infatti, lo si direbbe uno straniero, non solo per la sua alta statura e il colore azzurro dei suoi occhi,ma perché è così completamente privo di mediocrità, di riconoscibilità e di volgarità, da non poterlo nemmeno pensare come un ragazzo appartenente a una famiglia piccolo borghese italiana. Non si potrebbe neanche dire, d’altra parte, che egli abbia la sensualità innocente e la grazia di un ragazzo del popolo… Egli è insomma socialmente misterioso, benché leghi perfettamente con tutti gli altri che stanno intorno a lui, in quel salone magicamente illuminato dal sole. (Pier Paolo Pasolini, Teorema, Garzanti, Milano 19762, pp.23-24) È quel medesimo fascino che promana dalla figura di Dioniso nelle Baccanti, e che spinge Penteo a rievocare nei dettagli la bellezza ambigua e misteriosa dello straniero, che lo respinge e insieme lo attira (il “ritorno del represso”), 26 nel primo episodio del dramma euripideo: 24 In una lettera aperta a Silvano Mangano (che nel film omonimo interpreta Lucia), pubblicata nella sua rubrica Il caos sulla rivista Tempo (n. 47, 16 novembre 1968), Pasolini ricorda proprio il mito di Dioniso nelle Baccanti e identifica l’Ospite di Teorema con questo dio, dall’ambivalente funzione divina e demoniaca, simbolo dell’irrazionalità “che cangia, insensibilmente e nella più suprema indifferenza, dalla dolcezza all’orrore” (Pier Paolo Pasolini, Il caos, a cura di Gian Carlo Ferrretti, l’Unità / Editori Riuniti, Roma 1991, p.62). 25 Per il mezzogiorno come momento del giorno scelto dalla divinità o da un’entità (anche maligna) per rivelarsi agli uomini, rimandiamo al famoso saggio di Roger Caillois, I demoni meridiani (Les démons de midi, 1936), trad. di Alberto Pelissero, Bollati Boringhieri, Torino 1988. 26 Vd. il commento di Roberta Sevieri in Euripide, Baccanti, a cura di Roberta Sevieri, Principato, Milano 2008, rist., p. 51. 17 Dicono ch’è arrivato uno straniero, un ciurmatore della Lidia, riccioli biondi, una grande chioma profumata, rubicondo, le grazie d’Afrodite negli occhi, e sta giorno e notte con loro, iniziando le giovani a misteri orgiastici. (Euripide, Baccanti, vv. 233-238, trad. di Filippo Maria Pontani, Mondadori, su lic. Einaudi, Milano 2007, p.349) Nel passo citato si vede anche la connessione tra Dioniso e i riti bacchici detestati da Penteo, in nome della moralità pubblica (“misteri orgiastici”): nel romanzo, non a caso l’Ospite misterioso giunge nel mezzo di una festa di giovani ragazzi e ragazze (voluta allusione al legame tra il dio tracio e la festiva modalità del suo culto?). Tutti i membri della famiglia di Paolo provano la medesima sensazione di meraviglia, di straniamento, nel vedere, anche solo per brevi istanti, di sfuggita, lo straniero: un’esperienza perturbante, che li porta a contemplare, e a compiacersi di contemplare (senza però alcuna intenzionalità voyeuristica, anzi con l’innocente sorpresa di chi riceve una straordinaria e inaspettata rivelazione) la bellezza dell’Ospite misterioso. Tale è l’esperienza del ragazzo Pietro, che contempla il giovane Ospite, ormai divenuto suo inseparabile amico, addormentato: Improvvisamente, si alza (scil. Pietro). E, piano piano, per paura che l’ospite si risvegli, anzi, terrorizzato da questa idea, bianco per l’ansia, e tremante per la paura di essere colto in quella sua azione – fa qualche passo nella stanza, va vicino all’ospite e ne osserva a lungo il viso, le braccia, il petto scoperto. Contempla quel suo sonno tranquillo, virile e caldo. Rimane così, perduto e straniato, in quella contemplazione. (Pier Paolo Pasolini, Teorema, Garzanti, Milano 19762, p. 36) Tale è anche l’esperienza della madre di Pietro, Lucia, il cui sguardo ansioso e avido di ammirare si estende anche agli indumenti che l’Ospite ha lasciato nella sua stanza, doloroso presagio di una imminente separazione: Forse è a questo pensiero – «egli se ne è andato per sempre e i suoi indumenti superstiti sono qui a testimoniarlo» - che Lucia si sente stringere il cuore, e non trattiene il gesto con cui se lo comprime, o la smorfia di dolore che le contrae la bocca (come per una specie di nostalgia: nostalgia per qualcosa che si è perduto senza avere avuto). O forse quel suo insistente contemplare quegli oggetti insignificanti, è per lei una specie di rivelazione, per cui essa comprende d’improvviso chi è realmente – adesso che egli non è presente – colui che li usa, che li ha scaldati col calore naturale del suo corpo, e che ora pare averli abbandonati lì, senza intenzione, a testimoniarlo. (Pier Paolo Pasolini, Teorema, Garzanti, Milano 19762, p. 42) Una tipica modalità di manifestazione dell’essere divino è la luce: una luce abbagliante, di fiamma, corre fra cielo e terra, sul monte Citerone, mentre Dioniso sta per consumare la sua vendetta, incitando le donne tebane, menadi invasate, ad uccidere Penteo, colui che ride del dio e delle sue adepte, e che, vestito come una di loro, sta aggrappato, e bloccato, sulla cima di un abete (Diceva così, mentre fra cielo e terra balenò l’abbaglio fermo d’una fiamma 18 sacra.).27 In Teorema Paolo vede irrompere, all’alba, dallo spiraglio di una tendina, una luce straordinariamente intensa, come se fosse l’ora di un mezzogiorno particolarmente luminoso. Esce fuori in giardino, e rimane incantato da quella luce del mattino abbagliante e vivificante, mai vista prima: è allora che in lui si fa più netta la percezione della natura divina dell’Ospite che è venuto, inaspettatamente, a casa sua: Camminando sull’erba bagnata, cercando tra le piante, egli ha nel volto, colpito dal sole radente – di un rosa ch’è pura luce – un lieve sorriso strabiliato e quasi teatrale – tanto è l’incanto. Muove i passi come se fosse un estraneo in un luogo mai visto. È la prima volta infatti che si accorge di quegli alberi, toccati da una luce che è fuori dalle tradizioni della sua esperienza. Essi sembrano infatti animati, come degli esseri coscienti: coscienti, e, almeno in quella pace, in quel silenzio, fraterni. Passivi alla luce che li tocca come un miracolo naturale, l’alloro, l’ulivo, la piccola quercia, e più in là, le betulle, sembrano accontentarsi di uno sguardo, per ripagare quell’attenzione con un amore infinito e infinitamente preesistente: e lo dicono, letteralmente lo dicono, attraverso la loro semplice presenza, dorata e vivificata dalla luce, che si esprime senza parole, ma solamente con se stessa. Presenza che non ha significato, e che pure è una rivelazione. (Pier Paolo Pasolini, Teorema, Garzanti, Milano 19762, pp. 55-56) 5. Il romanzo della scrittrice australiana Joan Lindsay (1896-1984), Picnic ad Hanging Rock (Picnic at Hanging Rock, 1967),28 ripropone i temi della possessione divina e dell’incontro con il dio, tipici del dionisismo. Il dio, in questo caso, è il misterioso genius loci di Hanging Rock, una millenaria sporgenza rocciosa dell’Australia, d’origine vulcanica, che il 14 febbraio, giorno di San Valentino, del 1900 diviene la meta di una gita scolastica delle allieve di un aristocratico istituto, lo Appleyard College. La gita avrà un esito tragico: ben tre allieve (una di esse poi verrà ritrovata viva ma assolutamente incapace di ricordare alcunché) e una loro insegnante si perderanno nei meandri rocciosi e non saranno mai più ritrovate. Ispirata a un fatto di cronaca reale (o frutto di mera invenzione?),29 il romanzo presenta i tipici motivi del dionisismo, a partire dallo stato di trance che serve a preparare l’adepto all’incontro con il dio. 27 Euripide, Baccanti, vv. 1082-1083, trad. di Filippo Maria Pontani, Mondadori, su lic. Einaudi, Milano 2007, p. 415. 28 Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock, trad. di Maria Vittoria Malvano, Sellerio editore, Palermo 20002. 29 L’autrice riporta nel cap. XVII del romanzo l’articolo di un giornale di Melbourne, datato 14 febbraio 1913, che attesterebbe l’autenticità di quanto avvenuto sulla montagna di Hanging Rock. Tuttavia, in una nota iniziale, la medesima Joan Lindsay avverte: “Se Picnic a Hanging Rock sia realtà o fantasia, i lettori dovranno deciderlo per conto proprio. Poiché quel fatidico picnic ebbe luogo nell’anno 1900 e tutti i personaggi che compaiono nel libro sono morti da molto tempo, la cosa pare non abbia importanza.” Un tentativo di offrire alcune spiegazioni, realistiche o fantastiche, alle sparizioni di Hanging Rock, è stato compiuto da Stefano Traverso, con argomentazioni non tutte plausibili, vd. Che fine hanno fatto le ragazze scomparse?, all’indirizzo www.leggendemetropolitane.net 19 L’esperienza che vivono le tre collegiali Miranda, Marion e Irma, e a cui assiste come testimone la compagna Edith, ha molti aspetti dell’esperienza dionisiaca. Giunte in carrozza al mattino inoltrato ai piedi della montagna di Hanging Rock, una antichissima formazione di roccia vulcanica nello stato del Victoria, scelta come meta di una gita scolastica, tre ragazze del gruppo, Miranda, Marion e Irma, verso il mezzogiorno (ora in cui si fermano stranamente tutti gli orologi dei presenti), sono prese dall’irresistibile impulso di salire sulla cima della montagna. Ottenuto il permesso dall’insegnante che le accompagna, l’attempata signorina McCraw, le ragazze, seguite dalla compagna Edith, si inerpicano sul pendio roccioso e giunte ad una piattaforma rocciosa cadono addormentate. Poco dopo le ragazze si ridestano e, possedute da una sorta di suggestione ipnotica, iniziano la vera e propria salita verso la sommità della montagna, invano richiamate da Edith, che sembra avvertire oscure, minacciose presenze. La ragazza, presa da un improvviso terrore, come se avesse visto o avvertito qualcosa di terribile, lancia un improvviso urlo di panico e corre giù a valle. Mentre scende precipitosamente il pendio della montagna, fa in tempo a vedere da lontano Miss McCraw che sta salendo anche lei, con un’aria assorta, e stranamente senza la gonna. La ragazza sconvolta avverte le compagne e il cocchiere che Miranda, Marion e Irma sono rimaste sulla montagna. Le ricerche, condotte per tutta la giornata, non danno alcun esito: tornate la sera al college, all’esterrefatta direttrice, l’arcigna signora Appleyard, le ragazze e il cocchiere annunciano che tre loro compagne e l’’istitutrice sono salite sulla Hanging Rock e non hanno fatto più ritorno. Da allora una serie di tragici eventi si abbatte sul disgraziato collegio. Grazie agli sforzi di un giovane, Mike, che quel giorno di San Valentino si trovava anch’egli ad Hanging Rock, viene ritrovata una delle tre scomparse, Irma, ma per le compagne le ricerche condotte dalla polizia locale non danno alcun esito. Una triste fama, grazie alla curiosità morbosa dei giornalisti, avvolge sempre più il collegio, quasi tutti i genitori ritirano le loro figlie, una delle ragazze, Sara, sconvolta dalla scomparsa della sua intima amica Miranda, verso cui nutre una segreta passione, si suicida, e si suicida, da ultimo, anche la direttrice, signora Appleyard, gettandosi dalle rupi della Hanging Rock. Il romanzo di Joan Lindsay, pubblicato in prima edizione nel 1967, ha conosciuto rinnovata e più ampia fama soprattutto dopo l’uscita dell’omonimo film del registra australiano Peter Weir, nel 1975: un trasposizione fedele del romanzo che è divenuta un capolavoro del cinema 20 fantastico.30 Com’è stato notato dalla studiosa Giuliana Russo, la principale differenza tra il romanzo e il film sta nel fatto che mentre l’autrice sembra dare qualche indizio al lettore per tentare una plausibile spiegazione della scomparsa delle ragazze,31 il regista, immergendo la vicenda in un’atmosfera irreale e magica, conduce lo spettatore ad accettare l’idea che non vi sia alcuna soluzione: le ragazze sono scomparse sulla montagna, e altro non è dato sapere.32 È chiaro che da questa prospettiva, ossia ammettendo che non sia possibile spiegare razionalmente la scomparsa di Miranda, Marion e di Miss McCraw, la vicenda acquista i contorni del mito. Il viaggio e poi la salita verso la cupa e spettrale cima dell’Hanging Rock, che nel film di Weir è spesso ripresa dal basso (ad accentuarne l’imponenza e il senso di minacciosa presenza che incombe sugli uomini), si configurano come una sorta di antichissimo rito iniziatico, quasi che le collegiali fossero giovinette allieve di un tiaso dell’antica Grecia33 e la montagna una sorta di misteriosa porta verso l’Altrove (un’altra dimensione dello spazio e del tempo). Ma il rito a cui, coscienti o no,34 partecipano le ragazze comporta anche l’incontro o la comunione con il dio, con la misteriosa e potente entità soprannaturale che abita (o è) la Hanging Rock. La salita di Miranda, Marion e Irma può configurarsi come una oreibasía,35 come quella che le Menadi tebane compiono verso la vetta del Citerone. Citiamo il passo dal romanzo della Lindsay, in cui Edith al suo risveglio vede le compagne che si accingono alla salita. Essa le chiama, ma non ottiene risposta, le sue compagne sembrano non accorgersi 30 Il film di Peter Weir Picnic a Hanging Rock vinse il primo premio al festival del cinema di Taormina nel 1976. sui rapporti tra il testo letterario e la sua versione filmica vd. Giuliana Russo, “Loss and gain” da Picnic at Hanging Rock di J. Lindsay (1967) a Picnic at Hanging Rock diretto da Peter Weir (1975), in Renato Candia, Romanzo & Film, I Quaderni della Mediateca delle Marche, n. 20, Ancona 2003, pp. 232-243. 31 Quando si presenta Irma al college per l’ultima visita, prima di partire per l’Europa, le ragazze, emozionate dall’incontro, sembrano avere una sorta di allucinazione collettiva e “vedono” i corpi delle scomparse giacere entro una oscura grotta, piena di pipistrelli, della Hanging Rock. Subito dopo Edith grida istericamente a Irma e alle compagne che lei sa che Miranda e le altre sono morte, “tutte morte stecchite in una orribile e vecchia caverna piena di pipistrelli sulla Hanging Rock” (Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock, cit., p. 207). 32 Vd. Giuliana Russo, cit., p. 240. 33 Tutto nella rappresentazione delle collegiali suggerisce l’idea della bellezza, della purezza e ingenuità virginali, ma anche di forti desideri interiori non espressi o repressi. Miranda più volte, nel film di Weir, è accostata significativamente alle immagini di candidi cigni e alla Venere del Botticelli. 34 Delle ragazze, in effetti, Miranda, come fosse depositaria di una segreta sapienza, è quella che sembra presagire la misteriosa esperienza a cui lei e le compagne sono predestinate, allorché dice: “C’è un tempo e un luogo giusto perché qualsiasi cosa abbia principio e fine.” 35 In greco ̉́ 21 di lei: Si svegliò, piagnucolando e strofinandosi gli occhi arrossati. – Dove sono? Oh, Miranda, mi sento malissimo! – Ora le altre erano in piedi, completamente sveglie. – Miranda – disse di nuovo Edith, - mi sento terribilmente male! Quand’è che torniamo indietro? – Miranda la guardava in modo strano, quasi non la vedesse. Quando Edith ebbe ripetuto a voce più alta la domanda, volse risoluta la schiena la schiena e cominciò a salire su per il monte, seguita a pochi passi dalle altre due. Ebbene, non camminavano, scivolavano a piedi nudi sulle pietre come se si trovassero sul tappeto di un salotto, pensò Edith, e non tra quegli orribili macigni millenari. – Miranda – chiamò di nuovo, – Miranda! – Nel silenzio senza un alito di vento, la sua voce sembrava appartenere a qualcun altro, lontano lontano, un breve e roco gracidio che si smarriva tra le pareti rocciose. – Tornate indietro, tutte! Non salite lassù, tornate indietro! Si sentì mancare il respiro e si strappò il colletto orlato di pizzo. – Miranda! - Il grido strozzato uscì come un sussurro. Vide con orrore che tutt’e tre le sue compagne sparivano rapidamente dietro il monolito. – Miranda! Torna indietro! – Mosse pochi passi incerti verso la salita e scorse come ultima cosa una manica bianca che scostava i cespugli davanti a sé. (Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock, trad. di Maria Vittoria Malvano, Sellerio editore, Palermo 20002, p.54) Le ragazze, in uno stato di trance ipnotica, si avviano dunque come sonnambule verso la sommità della montagna. E qui, in analogia con la polarità concettuale alto/basso implicita nel dionisismo, avviene l’incontro con il dio. Nel senso che esse scompaiono letteralmente ossia non fanno più ritorno: così come non ritorna anche l’insegnante Miss Mc Craw, la quale, poco dopo la salita delle ragazze, si separa dal gruppo delle gitanti che sono rimaste a valle e compie anch’essa la scalata, rapita da una misteriosa fascinazione (come Penteo, essa simbolicamente abdica al suo ruolo di autorità, giacché è scorta avviarsi al monte en pantalons, ossia senza la gonna – particolare scandaloso, soprattutto per la mentalità rigidamente controllata e moralistica dell’epoca: siamo agli inizi del Novecento, in un collegio femminile improntato alle concezioni dell’educazione vittoriana.36 Cosa è accaduto sulle balze della montagna di Hanging Rock? Non si scoprirà mai, e neppure la superstite delle ragazze scomparse, Irma, ritrovata sotto shock ma ancora viva tra le rocce, riuscirà a ricordare nulla di quanto avvenuto a lei e alle sue compagne. Certamente possiamo immaginare che le ragazze abbiano sperimentato in qualche modo misterioso una sorta di La mise dell’istitutrice risulta più che ridicola inquietante: è il segno della perdita del controllo di sé e della propria funzione, oltre che di un forte disorientamento personale, esperienza che il lettore deve immaginare avvenuta a seguito dell’incontro della donna o della sua – consapevole o no – percezione di un Altro, una misteriosa Entità enormemente più potente e sopraffattrice. Vi è in questo particolare, per il forte effetto straniante che il lettore e lo spettatore del film di Weir ricevono, una analogia con l’apparizione sulla scena di Penteo abbigliato come una Baccante e in balia di Dioniso (lo straniero non ancora rivelatosi come dio), nella tragedia euripidea. 36 22 comunione con il dio, ossia con l’entità rappresentata dalla Hanging Rock, sorta di sacro ́sede di un misterioso genius loci, una divinità che ha qualcosa di dionisiaco. Una suggestiva sequenza del film di Peter Weir consegna alla memoria dello spettatore l’immagine di Miranda, ripresa in un primo piano di abbagliante bellezza, che lentamente si volta e si sovrappone alla figura della montagna, a simboleggiare una comunione con le forze della natura che abitano quel luogo selvaggio e misterioso. Interessante notare che anche in questo caso la vicenda della sparizione, in modo analogo alla epifania divina nei miti greci, si svolge a mezzogiorno: a questa ora tutti gli orologi delle persone in gita alla Hanging Rock si fermano misteriosamente. Ulteriori elementi “dionisiaci”: il silenzio in cui sono immersi i picchi rocciosi di Hanging Rock, analogo a quello in cui sono immerse le Menadi tebane sul monte Citerone; 37 la presenza di rettili sulla montagna, che strisciano vicino alle ragazze addormentate (si ricordi che il serpente è animale sacro a Dioniso); l’impressionante scena del panico in classe, allorché l’odio isterico sembra travolgere le compagne di Irma, quando la ragazza sopravvissuta, in procinto di partire per l’Europa, si presenta al collegio per l’ultima volta: una rabbia furiosa le trasforma in Menadi inferocite, pronte a ghermire la preda, la compagna che ha l’unica colpa di essere tornata, lei sola, dalla Hanging Rock. 38 La logica e gli indizi disseminati dalla Lindsay nel romanzo potrebbero offrire vari appigli per tentare un spiegazione razionale della vicenda, ma preferiamo pensare, secondo l’intendimento dell’autrice e soprattutto del regista Peter Weir, che l’esperienza vissuta dalle ragazze scomparse sia al di sopra dell’u37 Un silenzio che sembra preludere al risveglio di oscure, millenarie forze naturali (o soprannaturali), che hanno modellato quelle rocce. Citiamo dal romanzo: “L’impressione suscitata da quei picchi elevati induceva a un silenzio così saturo della formidabile presenza della Roccia che persino Edith ammutolì. Lo spettacolo meraviglioso, come per un accordo speciale tra il cielo e la direttrice di Appleyard College, era splendidamente illuminato perché lo ammirassero. Sulla ripida parete sud il gioco della luce dorata e della profonda ombra violetta metteva in risalto l’intricata struttura di lunghi lastroni verticali: alcuni lisci come gigantesche pietre tombali, altri scavati e scanalati dall’opera preistorica del vento e dell’acqua, del ghiaccio e del fuoco. Enormi massi, all’origine vomitati incandescenti dalle viscere ribollenti della terra, adesso si erano fermati, freddi e arrotondati nell’ombra della foresta” (Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock, cit., p. 44). 38 Vd. p. 205 (dalla trad. di Maria Vittoria Malvano): “Sopra un mare di teste e di spalle che si accalcavano, dove Irma era circondava da ragazze che piangevano e ridevano, un ciuffo di piume scarlatte (scil. quelle del cappello piumato di Irma) fremeva sollevandosi e abbassandosi come un uccello ferito. La voce cattiva gracchiava più forte via via che il tumulto cresceva. Molti anni dopo, quando Madame Montpelier narrava ai suoi nipotini la strana storia del panico in una classe in Australia – cinquant’anni fa, mes enfants, ma lo sogno ancora – la scena aveva assunto le dimensioni di un incubo. Grandmère la stava certo confondendo con una di quelle orrende stampe antiche della rivoluzione francese che l’avevano tanto terrorizzata da bambina. Rievocava per loro i calzoncini da ginnastica neri impazziti, gli strumenti di tortura nella palestra, le ragazze isteriche con i visi stravolti dall’ira, i riccioli scompigliati e le mani simili ad artigli.” 23 mana comprensione e che la soluzione della vicenda resti per sempre consegnata al mistero, un mistero “dionisiaco”.39 6. L’ultimo testo che prendiamo in esame è forse quello più inquietante di tutti: Improvvisamente l’estate scorsa (Suddenly Last Summer, 1958), cupo e V’è da osservare che la vicenda è considerata da molti realmente accaduta, anche se praticamente non esistono fonti di essa, a parte un articolo di un giornale di Melbourne, datato al 14 febbraio 1913, riportato dall’autrice al cap. XVII (ma di questo articolo non è stata trovata traccia nei quotidiani dell’epoca). Sicché si può pensare che la storia della scomparsa delle ragazze sia frutto della fantasia di Joan Lindsay. Gli indizi disseminati nel testo dall’autrice hanno peraltro fornito l’occasione per speculazioni e ipotesi più o meno plausibili da parte di chi considera il caso di Hanging Rock come realmente avvenuto: il misterioso dissolvimento è stato così attribuito, alternativamente, alla caduta delle ragazze in uno dei profondi crepacci di cui la montagna è disseminata, alla decisione di fuggire dal college attuata durante la gita, al rapimento (da parte di malintenzionati o forse da parte degli aborigeni), all’opera di un serial-killer e persino a un “varco spazio-temporale” di cui Hanging Rock sarebbe l’ingresso. Cfr. Stefano Traverso, Che fine hanno fatto le ragazze scomparse?, cit. Il contributo di Brett McKenzie, The Solution to Joan Lindsay’s Novel “Picnic at Hanging Rock”?, testo accessibile all’indirizzo www.mck.com.au/ , è invece il tentativo, a nostro avviso convincente (ammettendo, naturalmente, che la vicenda di Hanging Rock sia autentica), di spiegare razionalmente la misteriosa sparizione facendo riferimento ai numerosi indizi sparsi nel testo che convergerebbero tutti nell’indicare una frana di pietre e massi rocciosi come causa del fatto. Scrivevamo qualche anno fa in un nostro lavoro sull’Annuario del Liceo Orazio (L’enigma irrisolto nelle strutture della narrativa, n. 1, p. 112): “Per quanto riguarda la notizia, circolante su internet (…), che sarebbe stato rinvenuto, dopo la morte della Lindsay, un capitolo segreto del romanzo (pubblicato postumo come The Secret of Hanging Rock), con la spiegazione della vicenda (in chiave magico-fiabesca), questa non ha alcun fondamento.” Dobbiamo invece smentirci. Esiste realmente un capitolo XVIII scritto dalla Lindsay e mai da lei pubblicato in vita: con nostra grande sorpresa, lo abbiamo trovato in internet, nella versione originale e in traduzione italiana, all’indirizzo www.robertomengoni.it/picnic-a-hanging-rock. La soluzione che dà la Lindsay in questo cap. XVIII, scartato dal suo editore, è in chiave fantastica e pone ulteriori inquietanti interrogativi: le ragazze e l’insegnante sulla sommità della montagna si trasformerebbero in esseri rettiliformi per poi strisciare entro una fessura della roccia e scomparire, tutte tranne Irma, all’interno della Hanging Rock. Citiamo, per la curiosità del lettore un brano di questo cap. XVIII, nella traduzione di Roberto Mengoni (con qualche lieve modifica da noi apportata): “Il serpentello marrone era riapparso di nuovo e stava adagiato su una spaccatura che correva chissà dove sotto la parte inferiore di due macigni che erano in equilibrio uno sopra l’altro. Quando Miranda si piegò per toccargli le squame così squisitamente disegnate, esso scappò via in un groviglio di viticci. Marion si inginocchiò davanti a lei e insieme cominciarono a rimuovere il pietrisco e i cavi intrecciati del viticcio. “È andato là sotto. Guarda, Miranda – dentro quell’apertura.” Una fessura – forse il labbro di una caverna o di un tunnel, orlato di foglie spezzate a forma di cuore. “Sarai d’accordo che è mio privilegio (scil. parla Miss McCraw) entrare per prima?” “Entrare?” dissero, guardando dallo stretto labbro della caverna agli ampi fianchi angolari. “È molto semplice. Tu stai pensando nei termini di misurazioni lineari, ragazza Marion. Quando ti darò il segnale – credo un colpo sulla roccia – tu potrai seguirmi, e la ragazza Miranda potrà seguire te. Avete capito bene?” Il volto rugoso era raggiante. Prima che potessero rispondere, il lungo torace ossuto si era disteso sul terreno accanto alla fessura, prendendo di proposito la forma più adatta a una creatura creata per strisciare e rintanarsi sotto la terra. Le braccia sottili, incrociate dietro la testa con i suoi luminosi occhi sbarrati, divennero le tenaglie di un gigantesco granchio che abita in un rivo fangoso e temporaneo. Lentamente il corpo si spinse centimetro dopo centimetro nella fessura. Prima a scomparire fu la testa; poi le scapole incurvate insieme; i mutandoni ricamati, i lunghi bastoni neri delle gambe fuse insieme come una coda che terminava in due stivaletti neri.” (dalla traduzione del cap. XVIII di Picnic a Hanging Rock di Joan Lindsay, nella versione originale dell’autrice, realizzata da Roberto Mengoni, Canberra, 21 agosto 2008, testo leggibile all’indirizzo www.robertomengoni.it/picnic-a-hanging-rock) 39 24 orrorifico dramma teatrale dello scrittore americano Tennessee Williams (pseudonimo di Thomas Lanier Williams, 1911-1983)40 che fu trasposto in un celebre film dal regista Joseph Mankiewicz. Nel film di Mankiewicz, a causa della censura imperante all’epoca (il film uscì nel 1960), ogni riferimento al tema dell’omosessualità, esplicito nel dramma di Williams, venne marginalizzato se non eliminato e fu aggiunta anche una melensa storia d’amore tra i personaggi del dottor Cukrowitz (nel film interpretato da Montgomery Clift) e della giovane Catharine (Elizabeth Taylor), assolutamente estranea alla trama originale, per creare il classico lieto fine di tante storie hollywoodiane.41 Questa la trama: l’ospedale Lion’s View, di New Orleans, ove opera il giovane psichiatra dottor Cukrowitz, già famoso per le sue operazioni di lobotomia, riceve una generosa donazione da parte di una ricca vedova, la signora Violet Venable, a condizione che proprio Cukrowitz operi al cervello la nipote di costei, Catharine Holly. Catharine è ricoverata in una clinica per alienati, giacché ha perso la ragione a seguito della morte del figlio di Violet, suo cugino Sebastian (Sebastian è morto durante un viaggio in Spagna con Catharine, ufficialmente per cause naturali, nell’estate precedente). Insospettito dalla fretta con cui la Venable vuole far operare la nipote (ella sa che l’operazione di lobotomia cancellerà ogni ricordo in Catharine del passato, e dunque anche dell’avvenimento di cui è stata testimone, la morte del cugino Sebastian), il dottore organizza una seduta di ipnosi terapeutica nella casa della ricca vedova e, grazie alle sue domande e alle iniezioni di Pentotal, riesce a far affiorare dalla mente offuscata di Catharine il ricordo rimosso, che cela una orribile verità: Sebastian è morto, sotto gli occhi di Catharine, atrocemente trucidato, fatto a pezzi e divorato da una banda di ragazzi nella cittadina di Cabeza de Lobo, in Spagna, Improvvisamente l’estate scorsa è un testo curiosamente assente dal nostro panorama editoriale, giacché non siamo riusciti, a tutt’oggi, a trovarne una traduzione italiana (forse una forma ancora persistente di inconsapevole censura?). Il testo a cui facciamo riferimento, perciò, è l’edizione inglese: Tennessee Williams, Suddenly Last Summer and Other Plays, Penguin Books, London 2009. 41 Nel nostro lavoro faremo riferimento anche al film di Mankiewicz, di cui lo stesso Tennessee Williams assieme allo scrittore Gore Vidal curò la sceneggiatura. Sul film e i suoi rapporti con il dramma di Williams vd. Alberto Morsiani, Joseph L. Mankiewicz, La Nuova Italia, Firenze 1990, pp. 85-89; vd. anche, per una recente recensione teatrale, Fabio Battistini – Aldo Terlizzi – Masolino D’Amico, “Improvvisamente l’estate scorsa” in scena al “Biondo” di Palermo, testo leggibile al sito: www.aletheiaonline.it Sul drammaturgo americano: Silvia Sacco, Tennessee Williams, un autore tra teatro e cinema, tesi leggibile all’indirizzo www.tesionline.it 40 25 ove si trovava con la cugina per una vacanza estiva. La rivelazione dell’orribile morte, ossia l’affioramento del trauma rimosso, si dimostra una terapia efficace per Catherine, giacché la ragazza recupera la ragione (nel finale del film di Mankiewicz sembra anche stringere un legame sentimentale con il dottor Cukrowitz), ma fa precipitare nella follia la madre di Sebastian, Violet, che in realtà non aveva mai accettato la morte dell’adorato e unico figlio ed era disposta a tutto, anche a far operare al cervello la nipote, pur di cancellare la triste verità del passato. Il dramma contiene molte delle tematiche care all’autore: la violenza dei sentimenti, i traumi del passato, le verità indicibili che devono essere taciute o cancellate, il passato che ritorna col suo carico di devastanti traumi, le relazioni morbose e/o ambigue, i complessi edipici, l’ipocrita perbenismo della borghesia del profondo Sud, la brutalità e la follia, e infine allusioni autobiografiche (Williams non faceva mistero della sua omosessualità, anche se non l’accettò mai, e una sorella dello scrittore, Rose, nel 1937 dovette subire, col consenso della madre, una operazione di lobotomia). Lo spettatore del dramma e del film (che traspone fedelmente la vicenda sullo schermo, a parte i pesanti interventi della censura sulla sceneggiatura, che fu scritta dallo stesso Williams e da Gore Vidal)42 ha l’impressione di entrare in un mondo distorto e ambiguo, fatto di violenza, repressione e rimozione, dove gli ambienti sono frutto delle ossessioni mentali dei personaggi e su essi aleggia la presenza della morte43 e del disfacimento. La ricca signora Violet Venable ha rimosso la morte dell’adorato figlio, a cui la legava un morboso attaccamento, instaurando un vero e proprio culto di lui e dei suoi ricordi e ritirandosi dal mondo entro una sontuosa villa con un enorme parco pieno di felci giganti e piante carnivore (metafora della “cannibalizzazione” subita da lei da parte del figlio e dal figlio da parte dei suoi assassini). Ma quel passato che aveva tentato invano di esorcizzare, ritorna, per la terapia del dottor Cukrowitz, con tutto il suo orrore insopportabile e la conduce alla follia. Dalla follia si salva invece, grazie al dottore, la giovane Catharine, che l’operazione decisa con crudele determinazione dalla ricca zia, dovrebbe trasformare in un essere abulico e completamente privo di vita intellettuale: il viaggio nel passato per lei è un viaggio salvifico e termina con l’acquisizione della normalità, a cui il forzato rapporto A parte l’aggiunta della storia d’amore, nel finale, tra il dottore e Catherine, nel film di Mankiewicz vi è una incredibile ellissi del personaggio di Sebastian, che non si vede mai e alla cui omosessualità si allude velatamente. 43 Caratteristica, per l’esplicito richiamo alla tragedia incombente sul destino della madre e del figlio, è la barocca statua della morte alata posta nel giardino di Sebastian. La vediamo, nel film di Mankiewicz, dapprima fare da sfondo ai colloqui tra il dottor Cukrowitz e la signora Venable, e poi apparire in sovrimpressione durante la fuga di Sebastian per le ripide vie del paese. 42 26 con Sebastian l’aveva sottratta. Quanto a Sebastian, i ricordi riaffioranti dalla mente di Catharine provvedono a comporre uno sconcertante mosaico: Sebastian, giovane ricco, viziato e dandy raffinato, con velleità di poeta ed esteta,44 era in realtà un omosessuale che usava viaggiare prima con la madre, quando era ancora piacente, e poi con la giovane cugina, servendosi di entrambe per attirare gli uomini. Fino a che, a Cabeza de Lobo, sperduto villaggio della Spagna costiera, non muore orrendamente trucidato da quegli stessi ragazzi che, per mezzo della cugina a cui faceva indossare provocanti costumi da bagno, aveva adescato. Molteplici elementi provvedono ad apparentare questo dramma teatrale (e il film tratto da esso) alla tragedia delle Baccanti. Anzitutto, quello più evidente è lo sparagmós della vittima, il suo smembramento per mano della torma di ragazzini cenciosi e affamati – ritratti nel film come piccoli mostri crudeli – che lo inseguono nelle stradine assolate del villaggio. Ad esso segue l’ōmofaghía, il pasto delle carni crude della vittima: nel film avviene sulla sommità di una collina, tra quelle che sembrano le rovine di un antico tempio pagano. Riferiamo, dal testo di Williams (in una nostra libera traduzione dal testo originale),45 la parte più impressionante del dramma, la fine di Sebastian concitatamente rievocata da sua cugina Catharine, sotto l’effetto dell’ipnosi praticatale dal dottor Cukrowitz: DOTTORE: Che cosa diventava più forte? CATHARINE: La musica. DOTTORE: Di nuovo la musica. CATHARINE: L’umpa-umpa46 della banda che ci seguiva. Erano in qualche maniera sgusciati attraverso il recinto di filo spinato e stavano fuori sulla strada, e ci stavano seguendo, seguendo! – su per quella bianca strada infuocata. La banda di ragazzini nudi ci inseguiva su per la ripida bianca strada nel sole, che era come un grande osso bianco di una bestia gigantesca che stava bruciando nel cielo! – Sebastian cominciò a correre e quelli gridarono tutti insieme e sembravano volare nell’aria, in un baleno lo raggiunsero e lo superarono. Mi misi a gridare. Sentii Sebastian gridare solo una volta prima che fosse raggiunto e assalito da questo stormo di neri uccellini spiumati (this flock of black plucked little birds) sulla cima della collina bianca, proprio nel centro. DOTTORE: E lei, Miss Catharine, che cosa ha fatto lei, dopo? CATHARINE: Mi misi a correre! DOTTORE: Corse dove? CATHARINE: Giù! Oh, era la direzione più semplice da prendere, mi misi a correre giù, giù, giù, giù! Correvo per quella strada calda, bianca, infuocata, e gridavo ‘Aiuto’, fino a che… DOTTORE: Fino a che? CATHARINE: – Camerieri, poliziotti e altra gente – corsero fuori dalle case e si precipitarono in fretta con me, indietro, sulla collina. Quando ritornammo al punto dove mio cugino Sebastian era scomparso in mezzo allo stormo di quei piccoli neri sparvieri spiumati, lui – lui giaceva a terra, nudo come quelli erano stati nudi, contro un muro bianco, e a questo lei non ci crederà, nessuno ci ha Singolare proiezione della tortuosa personalità del personaggio è l’enorme, labirintico giardino, pieno di felci giganti e piante carnivore, che Sebastian ha progettato e sistemato all’interno della villa della signora Venable (“l’alba della creazione”, come lei lo chiama). 45 Tennessee Williams, Suddenly Last Summer and Other Plays, Penguin Books, London 2009. 46 Umpa-umpa (oompa-oompa nel testo originale) è l’espressione onomatopeica a cui ricorre Williams per rappresentare la chiassosa cacofonia prodotta dai ragazzini con i loro strumenti di latta. 44 27 creduto, nessuno potrebbe crederci, nessuno, nessuno sulla terra potrebbe assolutamente crederci, e li potrei capire! Quelli avevano divorato pezzi del suo corpo. (Tennessee Williams, Suddenly Last Summer and Other Plays, Penguin Books, London 2009, p. 50) Sebastian, il personaggio la cui presenza, proprio mediante l’assenza sulla scena del teatro e del cinema, domina la storia, ha i tratti, come li possiamo congetturare (giacché non appare mai, ma è proprio su questo personaggio che è imperniato il dramma di Tennessee Williams) di Dioniso e di Penteo insieme. Di Dioniso ha il fascino dell’ambiguità e dell’alterità: è uno straniero, un ricco americano con velleità di esteta, capitato chissà perché in uno sperduto villaggio della costa spagnola, Cabeza de Lobo, ed è un omosessuale quarantenne incatenato a un ossessivo legame materno.47 Di fronte a lui vi è la torma chiassosa di ragazzini laceri e affamati, piccoli selvaggi cenciosi che hanno capito cosa voglia da loro quell’americano elegante che lascia mance generose a tutti e si porta dietro la bellissima cugina.48 Il contrasto tra la natura barbarica (i ragazzini di Cabeza de Lobo) e la civiltà (una civiltà raffinata ma torbida e corrotta incarnata in Sebastian) ha un esito tragico. Come Penteo o Dioniso Zagreo, divorato in una versione secondaria del mito dai Titani, Sebastian finisce inseguito, assalito e divorato al termine di una corsa disperata tra le stradine tortuose e infuocate del paese, fino alla sommità della collina, sotto gli occhi terrorizzati della cugina Catharine. La corsa dei ragazzini che inseguono Sebastian, una folle corsa che conduce alla morte, ricorda non poco l’oreibasía delle menadi impazzite sul Citerone. Nel dramma di Williams i ragazzi rievocati da Catharine nel momento di reimmersione terapeutica nel passato (l’esperimento di seduta ipnotica condotto dal dottor Cukrowitz) sono paragonati dalla giovane paziente a uno stormo di uccelli, di passeri (p. 46), di piccoli neri sparvieri (p. 50). Nel dramma euripideo le Menadi sono paragonate a uccelli che spiccano il volo (v. 746), sono veloci come colombe (v. 1090). I ragazzini formano una curiosa banda di musicanti che segue Sebastian e la cugina suonando (o, meglio, agitando in un’infernale sarabanda) strumenti a percussione, come piatti di ottone e cembali ricavati da vecchi arnesi di latta, analoghi ai timpani delle Baccanti, quei timpani che Dioniso ordina di scuotere davanti alla reggia di Penteo nel prologo (vv. 58-61). Si è osservato che nella letteratura riguardante il tema dell’omosessualità, a partire dal celebre Ritratto di Dorian Gray di Wilde, compaiono personaggi femminili in qualche modo antagonisti di quelli maschili: donne possessive, avide, bramose di esercitare un ferreo controllo sugli altri, anaffettive o troppo affettive, potenti e prepotenti, talvolta spietate come, nel caso nostro, Violet Venable: vd. al riguardo Hans Mayer, I diversi (Aussenseiter, 1975), trad. di Ludovico Bianchi, Garzanti, Milano 1992, rist., p. 250. 48 La rappresentazione dei ragazzini spagnoli come piccoli sudici mostri affamati in Williams è certamente esasperata, ma va ricordato che molti scrittori stranieri sono stati colpiti dalla sensualità e dalla passionalità, talvolta sfrenata, degli spagnoli: ad esempio, lo scrittore americano Richard Wright nel suo reportage dalla Spagna franchista Spagna pagana (Pagan Spain, 1957), nota la molesta insistenza con cui gli spagnoli fissano le belle donne, “cannibaleschi festini consumati con gli occhi”, e narra del suo incontro con un piccolo trafficante dodicenne di Granada, che gli propone, in cambio del suo Rolex d’oro, di intrattenersi con ben sette prostitute (Richard Wright, Spagna pagana, trad. di Giuliana De Carlo, Mondadori, Milano 1966, p. 267). 47 28 Il coro ritmato dei ragazzini, “Pane, pane!” (“pan!pan!”, in spagnolo, parola che per l’assonanza richiama il paian della lirica corale, canto propiziatorio dedicato ad Apollo: ma nel dramma teatrale e soprattutto nelle sequenze del film di Mankiewicz è reso come un sinistro peana di morte) preannuncia lo sbranamento di Sebastian. Poi durante il massacro, all’urlo di Sebastian, seguito in terribile contrappunto da quello di Catharine, fa séguito un terribile silenzio: esso è analogo a quel silenzio che avvolge l’epifania del dio e prelude al massacro di Penteo, nelle Baccanti euripidee (vv. 1084-1085). 7. Abbiamo sistemato in uno schema, per mostrare l’evidenza di un confronto sinottico, gli elementi dionisiaci che apparentano tutti i testi esaminati. Alla prima riga di questo schema abbiamo indicato gli elementi tipicamente “dionisiaci”, quali forme di espressione specifiche e aspetti più generali del culto di Dioniso. Nelle righe successive abbiamo ricavato i motivi affini a quelli “dionisiaci” dai testi da noi presi in esame nel presente lavoro, ossia Le Baccanti di Euripide, Improvvisamente l’estate scorsa di Tennessee Williams, Il Signore delle Mosche di William Golding, Picnic a Hanging Rock di Joan Lindsay, Teorema di Pier Paolo Pasolini. Ne abbiamo ricavato il seguente schema: SPARAGMÓS 1.1. Euripide, Le Baccanti = Penteo viene massacrato dalle Menadi inferocite sul monte Citerone. 1.2. Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa = Sebastian, il figlio omosessuale della ricca vedova Violet Venable, viene massacrato e fatto a pezzi, nel corso di un viaggio in Spagna, durante una sosta in una cittadina costiera, Cabeza de Lobo. 1.3. William Golding, Il Signore delle Mosche = Il piccolo Simone viene massacrato dai suoi compagni, nel corso di una tragica festa notturna sull’isola. 1.4. Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock = ? 1.5. Pier Paolo Pasolini, Teorema = Nel romanzo non vi è alcuno sbranamento fisico, ma tutti i personaggi, dopo la partenza del misterioso visitatore, vanno incontro a esperienze più o meno estreme di alienazione. La loro personalità è disgregata, essi subiscono una sorta di “dilaniamento” psichico. ŌMOFAGHÍA 2.1. Euripide, Le Baccanti = Penteo viene fatto a pezzi e divorato dalle Menadi. Sua madre Agave conficca la sua testa sul tirso e la ostenta come un trofeo di caccia, credendola quella di un leone. 2.2.Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa = Sebastian viene fatto a pezzi e divorato dai suoi aggressori. La visione della morte di Sebastian crea un terribile trauma nella mente della cugina Catherine, che cade in stato di demenza. 2.3. William Golding, Il Signore delle Mosche = ? 29 2.4. Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock = Nel romanzo della Lindsay il pasto di carne cruda è soltanto simbolico: le ragazze sembrano essere state in qualche “fagocitate” dalla montagna. Nel film di Weir questa idea è suggerita dalla sovrimpressione del volto di Miranda alla montagna di Hanging Rock. 2.5. Pier Paolo Pasolini, Teorema = ? OREIBASÍA 3.1. Euripide, Le Baccanti = Le donne tebane, invasate da Dioniso, salgono correndo per il monte Citerone, e sulla cima compiono i riti bacchici. Sul monte salgono anche Cadmo e Tiresia, miracolosamente rinvigoriti dal dio. Anche Penteo, ormai prigioniero della volontà del dio, sale sul monte guidato da Dioniso, per compiervi il suo tragico destino. 3.2. Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa = Nel film di Mankiewicz Sebastian, inseguito dalla torma dei giovani teppisti e dei musicanti, corre, attraverso un dedalo di stradine, su per la collina dove sorge il paese di Cabeza de Lobo. Alla sommità della collina, tra le rovine di quello che sembra un antico tempio pagano, si compie il suo massacro come un rito sacrificale. 3.3. William Golding, Il Signore delle Mosche = Ralph, Piggy e Ruggero scalano la montagna dell’isola e hanno, sulla cima, la visione del cadavere del paracadutista, che scambiano per una bestia paurosa. 3.4. Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock Miranda e le sue compagne compiono l’ascesa della Hanging Rock in stato quasi di sonnambulismo, invano richiamate da Edith. È vista salire sulla montagna anche l’istitutrice, miss McCraw, senza la gonna. 3.5. Pier Paolo Pasolini, Teorema = ? OLOLYGMÓS 4.1. Euripide, Le Baccanti = Nel racconto del messaggero (terzo episodio) le donne tebane giacciono addormentate sul Citerone: all’improvviso Agave leva il terribile grido rituale ed esse si ridestano. 4.2. Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa = La cugina Catherine, quando vede Sebestian sopraffatto e sommerso dalla torma dei suoi aggressori, lancia un terribile urlo di terrore. 4.3. William Golding, Il Signore delle Mosche = Urla selvagge, cori ritmati e danze tribali accompagnano le uccisioni degli animali e il massacro del piccolo Simone da parte dei suoi compagni. 30 4.4. Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock = Edith, in preda al panico, lancia un urlo di terrore allorché vede che le compagne, come assorte, continuano a salire per il pendio di Hanging Rock, senza rispondere ai suoi richiami. 4.5. Pier Paolo Pasolini, Teorema = Il capo della famiglia, Paolo, privatosi della proprietà della fabbrica e infine spogliatosi dei suoi abiti, vaga senza meta e si ritrova in un deserto biblico, ove lancia un urlo di disperazione, che conclude il romanzo. 5) LO STATO DI TRANCE 5.1. Euripide, Le Baccanti = Le donne tebane sul monte Citerone in stato di trance compiono i loro feroci riti bacchici e, poi, fanno a pezzi e sbranano lo sventurato Penteo. 5.2. Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa = Sebastian appare assolutamente abulico e incapace di reagire alle provocazioni della banda di giovani teppisti che lo perseguita né tenta minimamente di allontanarsi dal paese di Cabeza de Lobo. Sembra andare incontro al suo atroce destino quasi avesse coscienza di essere una vittima sacrificale. 5.3. William Golding, Il Signore delle Mosche = I ragazzi, ormai trasformati in crudeli primitivi, provano l’orgasmo della caccia e del sangue e massacrano Simone in un furore incosciente. 5.4. Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock = In stato di trance piombano Miranda e le sue compagne, così come l’istitutrice miss McCraw, quando compiono l’ascesa della Hanging Rock. 5.5. Pier Paolo Pasolini, Teorema = I personaggi che vengono a contatto con il misterioso Ospite vivono l’esperienza dell’uscita da se stessi, appaiono abbacinati e storditi dalla sua presenza e sono incapaci di controllare i loro pensieri e le loro reazioni fisiche ed emotive. 6) LA FOLLIA 6.1. Euripide, Le Baccanti = Nella tragedia di Euripide molteplici sono i personaggi che sperimentano lo stato di follia indotto dalla possessione dionisiaca. Le donne tebane, invasate dal dio, fuggono in massa dalle loro case e si radunano sul monte Citerone. Cadmo e Tiresia, invasati dal dio, appaiono euforici ed entusiasti del nuovo culto. Penteo, che accusa i due vecchi di aver perso la ragione, è reso succube da Dioniso e si lascia abbigliare come una Baccante e condurre da lui sul Citerone, ove si compirà il suo atroce destino. Agave, in preda alla follia bacchica, uccide suo figlio Penteo, gli stacca il capo e lo porta sul tirso come un trofeo. 31 6.2. Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa = Nel dramma di Tennessee Williams la rivelazione di come è veramente morto Sebastian guarisce dal suo trauma psichico la giovane cugina Catherine e fa precipitare nella follia Violet, la madre di Sebastian. 6.3. William Golding, Il Signore delle Mosche = I ragazzi del gruppo di Jack appaiono succubi della volontà di costui e si trasformano in crudeli e folli selvaggi, invano richiamati alla ragione da Piggy. Un evidente segno della degradazione di questi ragazzi è il pitturarsi il corpo ignudo, più chiaro segno della dimenticanza delle regole della civiltà. 6.4. Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock = Durante la salita con le compagne, Irma ha delle visioni allucinatorie. Quando la sopravvissuta Irma torna per l’ultima volta al collegio, le sue compagne, prese da un raptus di odio furibondo, le si avventano contro. La direttrice del collegio, Miss Appleyard, in preda alla disperazione per la scomparsa delle ragazze, si suicida gettandosi dalla montagna di Hanging Rock. 6.5. Pier Paolo Pasolini, Teorema = Tutti i componenti della famiglia di Paolo, dopo la partenza del misterioso Ospite divino, sperimentano inconsapevolmente su se stessi varie forme di alienazione. 7) LO SCONTRO NATURA-CIVILTÀ 7.1. Euripide, Le Baccanti = Nella tragedia di Euripide si scontrano il re di Tebe Penteo, che si preoccupa di tutelare le istituzioni e l’ordine pubblico della città, e Dioniso, portatore di una nuova religione che libera gli istinti primordiali dell’uomo e le oscure e selvagge forze della natura. 7.2. Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa = Nel film di Mankiewicz è evidente il contrasto tra il giovane ricco e benvestito americano, Sebastian, e la torma di ragazzi scalzi, cenciosi e affamati, che sembrano provenire dai margini della civiltà. Questi stessi ragazzi si trasformano in sanguinari selvaggi pronti a gettarsi come bestie affamate su Sebastian. 7.3. William Golding, Il Signore delle Mosche = Il romanzo di Golding è imperniato sull’antagonismo tra il violento Jack, il capo dei “cacciatori”, che attira a sé i ragazzi con la prospettiva del divertimento e della caccia, e il saggio Ralph, che cerca di organizzare la piccola comunità di superstiti in modo utile e razionale. 7.4. Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock = Vi è l’opposizione dei luoghi: l’Appleyard College, spazio della educazione e della repressione, e la montagna di Hanging Rock, spazio della liberazione e della natura. I pinnacoli e le guglie 32 rocciose della montagna assumono evidenti connotazioni falliche. La scomparsa delle ragazze sembra significare che la natura ha “fagocitato” la cultura. 7.5. Pier Paolo Pasolini, Teorema = L’Ospite scardina le regole di vita dei componenti della famiglia di Paolo. Andando via improvvisamente, fa precipitare Paolo e la sua famiglia in uno stato di totale alienazione. 8) I CANTI, LE DANZE E LA MUSICA RITUALE 8.1. Euripide, Le Baccanti = Nel prologo Dioniso esorta le sue Baccanti a far risuonare i timpani, strumento invenzione della Madre Rea e sua, davanti al palazzo reale di Penteo. Il coro delle Baccanti canta e danza nella tragedia. Danzano e invocano Dioniso le donne tebane, invasate dal dio, sul Citerone. 8.2. Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa = Nel film di Mankiewicz i giovani persecutori di Sebastian, prima di avventarsi su di lui, fanno una specie di processione sulla spiaggia con strani strumenti musicali di latta e ottone, suonando una musica stridula e ossessiva, una sorta di primitiva cacofonia. Nel dramma di Williams scandiscono ritmicamente anche un oscuro e minaccioso coro: “Pane! Pane!”. È il preludio all’uccisione e al divoramento di Sebastian. 8.3. William Golding, Il Signore delle Mosche = Il massacro del piccolo Simone (cap. IX) è scandito da canti e danze tribali. 8.4. Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock = Nel romanzo della Lindsay, durante l’ascesa alla montagna Irma è colta da un delirio allucinatorio e vede se stessa danzare come una ballerina al Covent Garden. Anche le altre ragazze, quando salgono sul pendio roccioso, sembrano mimare passi di danza. Nel film di Peter Weir, tratto dal romanzo, le sequenze-chiave, come la salita delle collegiali sulla montagna, sono accompagnate dalle inquietanti note del flauto di Pan. 8.5. Pier Paolo Pasolini, Teorema = L’Ospite giunge a casa dell’industriale Paolo, nel momento in cui i suoi figli, Pietro e Odetta, stanno facendo una festa con i loro amici. 9) L’ANDROGINISMO 9.1. Euripide, Le Baccanti = Dioniso appare a Penteo come uno straniero effeminato, dalla conturbante bellezza. 9.2. Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa = Sebastian nel testo teatrale di Williams e nel film di Mankiewicz è soltanto evocato, non lo si vede 33 mai, ma dalla descrizione che ne fa la madre Violet possiamo immaginarlo come un giovane dandy di notevole bellezza, un personaggio molto simile al Dorian Gray di Wilde. 9.3. William Golding, Il Signore delle Mosche = Alcuni dei piccoli protagonisti del romanzo hanno un aspetto adolescenziale chiaramente efebico. 9.4. Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock = Nel romanzo della Lindsay vi sono allusioni e richiami a pulsioni omoerotiche che alcune delle ragazze, come Sara, provano per le loro compagne. 9.5. Pier Paolo Pasolini, Teorema = L’Ospite è descritto come uno straniero dalla conturbante bellezza. 10) LA MONTAGNA COME SPAZIO DELL’EPIFANIA DIVINA 10.1. Euripide, Le Baccanti = Sul monte Citerone corrono le donne tebane per compiere i riti bacchici e sperimentare l’ebbrezza della comunione col dio. È sul monte che Dioniso si rivela al servo di Penteo. 10.2. Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa = L’assassinio di Sebastian avviene alla sommità della collina dove sorge il paese di Cabeza de Lobo, tra quelle che sembrano le rovine di un antico tempio pagano. 10.3. William Golding, Il Signore delle Mosche = Sulla montagna dell’isola i bambini configgono una testa di maiale, che si rivela essere la personificazione del Male (il “Signore delle Mosche”). Sulla cima della montagna atterra il cadavere del paracadutista (presenza della Morte). 10.4. Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock = La montagna di Hanging Rock, d’origine vulcanica e ricca di pinnacoli e crepacci, è il luogo ove scompaiono le tre ragazze del college. Una nube rossa che avvolge la sommità viene osservata, mentre le ragazze sono sulla montagna. 10.5. Pier Paolo Pasolini, Teorema = ? 11) LA LUCE DEL MERIGGIO (TEMPO DELL'EPIFANIA DIVINA) 11.1. Euripide, Le Baccanti = Appare una fiamma luminosissima tra cielo e terra che preannuncia la presenza di Dioniso sul Citerone e il supplizio di Penteo. 11.2. Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa = Una caldissima giornata d’estate e il bianco accecante dei muri e delle case di Cabeza de Lobo fanno da sfondo all’atroce omicidio di Sebastian. 11.3. William Golding, Il Signore delle Mosche = ? 34 11.4. Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock = A mezzogiorno, ai piedi della montagna di Hanging Rock, si bloccano tutti gli orologi dei gitanti della scuola: poco dopo avviene la sparizione delle tre ragazze del college. 11.5. Pier Paolo Pasolini, Teorema = Il giorno dopo l’arrivo dell’Ospite misterioso, Paolo all’alba vede filtrare dalla finestra della sua camera una innaturale e intensissima luce, come quella del mezzogiorno. 8. Possiamo ricavare dal precedente schema una osservazione che non ci sembra del tutto irrilevante. Abbiamo anzitutto enucleato gli elementi di tipo “dionisiaco”, riscontrabili nei testi esaminati e comuni alle Baccanti di Euripide. Essi sono, come indicati nella prima colonna: 1) lo sparagmós; 2) la ōmofaghía; 3) la oreibasía; 4) l’ololygmos; 5) lo stato di trance; 6) la follia; 7) lo scontro natura-civiltà; 8) i canti, le danze e la musica rituale; 9) l’androginismo; 10) la montagna come spazio dell’epifania divina; 11) la luce del meriggio (tempo dell’epifania divina). Il numero elevato di riscontri effettuati (nello schema abbiamo fissato quarantanove analogie su cinquantacinque possibili, ossia l’89% del totale riscontrabile) ci sembra poter costituire un fondato motivo per proseguire nella nostra ricerca, portandoci a concludere che le analogie e i riecheggiamenti riscontrati nelle opere esaminate non appaiono sporadici né tantomeno casuali, e dunque se non tutti, almeno una buona parte potrebbero non essere – a nostro giudizio – frutto di un’impressione fallacemente soggettiva o di una lettura forzata dei testi. Mario Carini