Julia Beneventi

Transcript

Julia Beneventi
Beneventi Giulia 5^I – 26 novembre 2011 - Pagina 1 di 6
Divisionismo
Silvestro Lega
Nasce a Modigliana (4 dicembre 1826), figlio di un proprietario terriero e dalla sua seconda moglie. Dal
1838 studia nel collegio degli Scolopi di Modigliana e, avendo mostrato una buona propensione al
disegno, nel 1843 si trasferisce a Firenze per iscriversi all’Accademia di Belle Arti (Firenze), dove segue solo
i corsi sul nudo e contemporaneamente frequenta uno studio privatamente. Nel 1848 è volontario nella
guerra contro l’Austria, insieme ad altri allievi dello studio e al fratello Carlo. Rientrato a Firenze alla fine
del 1849, nel 1850 passa nello studio di Antonio Ciseri che lo incoraggia a dipingere il suo primo quadro,
l’Incredulità di san Tommaso.. Dopo aver esposto un dipinto (perduto) alla mostra annuale
dell'Accademia di Belle Arti di Firenze, nel 1852 Lega vince il concorso triennale bandito dall’Accademia
con la tela David che placa col suono dell’arpa le smanie di Saul travagliato dallo spirito malo. La
frequentazione del famoso ritrovo artistico del Caffè Michelangelo, dove, per il suo carattere timido e
schivo, mantiene una posizione appartata, lo spinge ad abbandonare la pittura purista per avvicinarsi al
realismo.
La carriera artistica di Lega è tipica, nel suo svolgimento in sintonia con le vicende storiche italiane:
partito da una formazione accademica, con l’avvento delle istanze progressive del Risorgimento si
avvicina, inizialmente con cautela, alla corrente artistica più democratica che l’Italia potesse allora
offrire, quella macchiaiola della Toscana liberaleggiante che, rifiutandosi di ritrarre re, nobili, generali, alti
funzionari e cardinali, si volgeva al paesaggio, alla vita contadina e ai proprietari di quelle terre ai quali
credeva dovessero affidarsi i destini economici e politici di una nuova e migliore Italia. Lega sui vecchi
valori della pittura accademica, dal disegno prospettico e dalla composizione ordinata, innestò i nuovi
valori del colore a macchia, del colore-luce, una nuova luce che calava sui vecchi valori che
rimanevano tuttavia fondanti della composizione, e sovrapponeva alle vecchie velature una controllata
patina romantica, il sentimento della bontà e della semplicità, della serenità e della pulizia di cui quella
classe era, secondo lui, portatrice.
La stagione più felice dell’artista sarà quella della sua permanenza come ospite dalla famiglia Batelli
nella casa lungo il torrente Affrico, si lega sentimentalmente alla figlia maggiore Virginia; inizia ricerche
pittoriche en plein air e promuove, con Telemaco Signorini, Giuseppe Abbati, Odoardo Borrani e
Raffaello Sernesi, la nascita della scuola di Piagentina, così detta dal nome della piccola località nei
dintorni di Firenze. Nella tela l’artista immerge le figure e il paesaggio in una luce calda che impregna
anche il pergolato, e ricava le ombre alternando tonalità scure ai gialli delle zone luminose.
All’Esposizione Nazionale di Parma del 1870 viene premiato con la medaglia d’argento. La morte per
tubercolosi, in quell’anno, di Virginia Batelli gli provoca una crisi depressiva aggravata dal manifestarsi di
una malattia agli occhi.. In difficoltà economiche, nei primi anni Ottanta Lega frequenta la famiglia
Tommasi, come maestro dei figli. Nel 1889 partecipa all'Esposizione Universale di Parigi e alla Promotrice
di Firenze. Tra il 1892 e il 1893 al disturbo agli occhi, una cataratta che lo rende quasi cieco, si aggiunge
un tumore allo stomaco che lo porterà presto alla morte. Il 21 settembre del 1895 muore all’ospedale
fiorentino di San Giovanni di Dio.
Il pergolato
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 94x72 cm
Datazione: 1866
Locazione: Pinacoteca di Brera, Milano
Nelle sue opere prende ispirazione dalla
classica scena di vita ordinaria con
un’attenzione alle atmosfere domestiche e alla
verità dei sentimenti, possiamo trovare tutto ciò
nel “Pergolato” (noto anche come “un dopo
pranzo”).
Beneventi Giulia 5^I – 26 novembre 2011 - Pagina 2 di 6
Vi sono le sorelle Batelli ritratte mentre aspettano il caffè, infatti c’è una domestica che lo porta. Le
figure sono avvolte in una calura pomeridiana e il paesaggio è offuscato dall’umidità esalata dalla
campagna. Il linguaggio del pittore si sofferma sulla delicatezza dei rapporti tonali, sul gioco delle ombre
(pera tipicamente impressionista). Nello sfondo si estende una rigogliosa natura nel momento più fiorente
dell'anno, l'estate. Tutte le figure sono in armonia con l'ambiente in cui si trovano. Tra le figure è presente
una bambina che, con le sue chiacchiere, sembra intrattenere e attirare l'attenzione delle altre signore,
durante il momento del caffè. Il dipinto è stato eseguito all'aria aperta e la tecnica utilizzata qui da Lega
è quella dei Macchiaioli; il colore, grazie alla ricchezza delle sue tonalità, rende la vegetazione concreta
e le forme definite e naturalistiche; le macchie di colori sembrano disposte secondo un preordinato
telaio prospettico (i tralicci della pergola, le file dei mattoni nel pavimento, il muricciolo, i cipressi lontani)
Gli “italiani di Parigi”
Dopo l’esperienza dei macchiaioli, molti artsiti italiani decisero di andare a Parigi per perfezionare la loro
tecnica.
Dall’Italia partirono in tanti verso la capitale francese, in cerca di fortuna e di novità artistiche. Tra i primi
a emigrare il pugliese Giuseppe de Nittis (1846-1884), giunto in città nel 1867, unico italiano invitato a
partecipare alla prima mostra degli Impressionisti nello studio di Nadar nel 1874. In questo stesso anno
arrivava nella Ville Lumiére il veneziano e garibaldino Federico Zandomeneghi, già vicino ai macchiaioli
Signorini, Fattori e Lega. A Parigi Zandomeneghi avrebbe vissuto fino alla morte, nel 1917, conquistando
l’amicizia di Degas e accordando la propria tavolozza sui toni aspri e freddi di Renoir.
Attratti dalle mille luci della Ville Lumiére furono anche il macchiaiolo livornese Serafino De Tivoli, a Parigi
già nel 1855, folgorato da Courbet e dai pittori di Barbizon; nel 1873 piombava lì, come gli altri avido di
novità, il romano Antonio Mancini: ne avrebbe ricavato solo una grave crisi nervosa che lo costrinse a
riparare a Napoli; il livornese Vittorio Corcos arrivò invece nel 1880 con la sua pittura elegante,
formalmente impeccabile, e lì maturando quel salto di stile che lo avrebbe reso celebre in Italia; ripetuti
furono i soggiorni dello stesso Signorini, il profeta della macchia, ma tutt’altro che pittore di provincia.
Ai tre magnifici “Italiani di Parigi” – Boldini, De Nittis e Zandomeneghi – e al nutrito drappello di
connazionali che cercarono fortuna oltralpe.
Giuseppe De Nittis
Nato a Barletta il 25 febbraio del 1846, rimasto orfano sin dall'infanzia, De Nittis, dopo il suo apprendistato
presso il pittore barlettano Giovanni Battista Calò, si iscrisse nel 1860 all'Accademia di Belle Arti di Napoli
sotto la guida di Mancinelli e Smargiassi, ma si mostrò disinteressato alle nozioni ed esercitazioni
accademiche, per cui quattro anni più tardi fondò la Scuola di Resìna, corrente italiana sul tema del
realismo. Nel 1867 si trasferì a Parigi dove conobbe Ernest Meissonier e Jean-Léon Gérôme e sposò due
anni più tardi Léontine Lucile Gruvelle, che influenzerà notevolmente le scelte sociali ed artistiche del
marito. Toccò il culmine della sua fama all'Esposizione Universale di Parigi del 1874 dove espose undici
delle sue tele. Morì nel 1884 a Saint-Germain-en-Laye, colpito da un fulminante ictus cerebrale. È sepolto
a Parigi, nel cimitero di Père-Lachaise
Colazione in giardino
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 81x117 cm
Datazione: 1883
Locazione: Barletta, Museo Civico,
Pinacoteca De Nittis
Quest’opera si riallaccia a un tema caro alla
cultura impressionista (Colazione sull’erba di
Manet e Colazione dei canottieri di Renoir).
I protagonisti sono la moglie Leontine e il figlio
Jacques, entrambi ritratti al tavolo della
colazione mattutina, nel giardino di casa,
con il terzo posto, quello dell’artista stesso,
lasciato vuoto, come accadrebbe a chi,
Beneventi Giulia 5^I – 26 novembre 2011 - Pagina 3 di 6
volendo fare una foto ricordo, si allontana momentaneamente. Siamo in una tranquilla mattina d’estate:
vuole rappresentare il momento magico della colazione, lontano dai tumulti e dalle vicende della città;
Leonine guarda con aria materna il figliolo intento a gettare qualche briciola alle anatre che
gironzolano in giardino.
L’artista mette in risalto gesti semplici con pennellate veloci con cui sono definiti i riverberi di luce (che si
vedono su posate, bicchieri..) conferendo all’opera il senso di immediatezza espressiva di questo ritratto
di famiglia. Il linguaggio del pittore si sofferma sulla delicatezza dei rapporti tonali, sul gioco delle
ombre.La composizione è equilibrata e bilanciata.
Federico Zandomeneghi
Federico Zandomeneghi nasce a Venezia nel Giugno 1841, da una famiglia di scultori di ispirazione
classico-canoviana.
Nella città lagunare il pittore dal 1856 studia all'Accademia di Belle Arti,da dove prende le basi
(soprattutto per quanto riguarda l'uso del colore)che lo caratterizzeranno nel corso della sua evoluzione
artistica .
Da subito la sua vocazione patriottico- rivoluzionaria si fece sentire: nel 1860 partecipò al seuito di
Giuseppe Garibaldi alla spedizione dei mille in Sicilia.
Nel 1862 Federico si trasferisce a Firenze dove l'artista finirà la sua formazione pittorica entrando in
contatto con il fervente ambiente dei macchiaioli; strinse amicizia soprattutto con Diego Martelli, del
quale fu ospite a Castiglioncello, e con Beppe Abbati . Per i successivi 12 anni, fino alla sua decisiva
partenza per Parigi, il pittore veneziano conoscerà un periodo di stabilità artistica che lo vedrà orbitare
tra gli ambienti macchiaioli e Venezia, periodo nel quale l'artista si ispirerà al naturalismo ma anche alla
rappresentazione dei sentimenti e dei quadri di figura.
Il 2 Giugno del 1874 è una data fondamentale per Zandomeneghi, poichè segnerà l'inizio di un nuovo
periodo artistico del pittore che gli porterà il maggior riconoscimento dai contemporanei fino ai giorni
nostri. in questa data Zandomeneghi si trasferisce a Parigi, dove resterà tutta la vita e dove conobbe
Degas con il quale legò una ‘litigiosa’ amicizia e grazie al quale fu coinvolto nel clima della Parigi
impressionista, dei teatri e dei boulevards, delle discussioni tra artisti nei caffè. Così Federico si avvicinerà
al piccolo gruppo degli impressionisti.
A Parigi prende casa in rue de la Victoire, dove nel 1875 sarà suo ospite Fattori e dove lo verrà a trovare
successivamente l'amico Diego Martelli. La presenza di Diego Martelli a Parigi, nel 1878 – 79, fu
fondamentale per rassicurare il titubante pittore nelle sue scelte estetiche e liberarlo dall’isolamento
culturale.
Nel 1879 aderisce completamente al movimento impressionista partecipndo alla quarta mostra degli
impressionisti, e rimarrà aderente ai canoni di questo movimento parigino per un periodo molto lungo.
Il 31 dicembre 1917 Zandomeneghi verrà trovato morto ai piedi del suo letto, appena tre mesi dopo la
morte del suo grande amico Degas, ed era ormai già un pittore dimenticato.
Place d’Anvers
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 102x136cm
Datazione: 1880
Locazione:Piacenza, Galleria Ricci Oddi
Concepito secondo un meditato
impianto prospettico,che ricorda la
fotografia (esperienza con Degas),
definito in profondità dal doppio filare
di alberelli, il dipinto descrive una
situazione quotidiana di piccola
borghesia:nell’ariosità di un pomeriggio
primaverile, madri e bambinaie portano
a spasso i bambini nel quartiere di
Montmartre. La pennellata è a piccoli
tocchi accostati e intrisi di luce, l’artista
comincia ad interessarsi ad una nuova
tecnica impressionista: il puntinismo.
Beneventi Giulia 5^I – 26 novembre 2011 - Pagina 4 di 6
PUNTINISMO E DIVISIONISMO
Si diffusero in maniera parallela: il primo in Francia, il secondo in Italia
•
La tecnica del Pointillisme consentiva di ottenere la massima luminosità accostando i colori
complementari ma rivelava anche un interesse scientifico cerca di rendere l’effetto della luce
attraverso la scomposizione del colore, il colore non viene impastato sulla tavolozza ma è steso a
piccoli punti o sottili tratti.
Infatti, con tale tecnica l'artista si prefiggeva di applicare la scomposizione e l'acquisizione
"naturale" dei colori a livello retinico secondo le ultime scoperte scientifiche.
Secondo tale principio, sarà la retina dell'osservatore a dover ricomporre tonalità e sfumature
derivate dalla pittura "per punti", come avviene fisiologicamente quando guardiamo un bosco e,
le mille tonalità di verde delle foglie e delle piante ci appaiono distinte da vicino, mentre
tenderanno sempre più ad "unificarsi" per tonalità omogenee se le si osserverà da lontano.
Il metodo del Puntinismo fu applicato in via sperimentale dagli Impressionisti, ma non fu sviluppato
sistematicamente e scientificamente fino a Seurat e Signac che, basandosi sul principio della
scomposizione del colore nei suoi elementi di base, provarono a sperimentare, nella realtà,
applicandoli alla pittura, i principi ottici relativi alla luce ed al colore di Chevreul.
•
Divisionismo: in Italia l'approdo dell'applicazione sulla tela dei colori puri, non è legata
all'applicazione di nuove scoperte scientifiche, ma all'evoluzione dello stile antiaccademico della
Scapigliatura Lombarda che per la tecnica pittorica caratterizzata da contorni sfumati, colore
spumoso, forte contrasto chiaroscurale, la viene accostata all'Impressionismo, da cui se ne
diversifica per l'acuta sensibilità e l'intimismo dell'interpretazione.
Dal punto di vista tecnico cercano di realizzare gli stessi risultati, non attraverso puntini accostati,
ma filamenti irregolari che si accostarsi o si sovrappongono, secondo una prassi che si evolverà
verso il dinamismo futurista.
L'arte dai divisionisti viene interpretata come una via di salvezza, per cui si estende ad ogni aspetto
della vita; la natura è percorsa da forze vitali, in cui l'artista si rifugia e che interpreta con
sottolineature diverse, accentuandone il significato simbolico evocativo, che si concretizza nelle
nuove tecniche.
Per questo, accanto ai soggetti naturalistici e simbolisti, il Divisionismo a differenza del puntinismo
viene applicato anche a tematiche sociali
Georges Seurat
Georges-Pierre Seurat, considerato il massimo esponente della corrente del Neo-Impressionismo, nasce
a Parigi nel 1859.
Di agiate origini borghesi, il giovane Seurat può seguire le sue naturali inclinazioni, dedicandosi agli studi
artistici.
Nel 1875 segue i corsi di scultura di Justin Lequien, tre anni dopo si iscrive all'École des Beaux-Arts di Parigi,
dove studia con Henri Lehmann.
Pittore colto e sofisticato, si reca in luoghi di grande interesse paesaggistico, all''isola de La Grande Jatte,
nei boschi di Pontaubert dove dipinge all'aria aperta opere ancora legate al naturalismo impressionista,
ma dove già si intravvedono i germi del "puntinismo"
Rifiutando i delicati effetti della pittura impressionista, ottenuti con pennellate irregolari, elabora una
tecnica innovativa più "scientifica", il Puntinismo, in base alla quale su fondo bianco applica piccole e
ordinate pennellate di colore puro.
Nel 1883 partecipa per la prima volta al Salon, ma l'anno dopo, poiché non viene ammesso, espone alla
mostra organizzata dalla Société des Artistes Indépendants, dove presenta la prima delle sue grandi
composizioni: Une baignade à Asnières (1883-84).
Nel 1890 Searat espone in un trattato i principi teorici della sua pittura.
Nel 1891 muore improvvisamente a soli trentadue anni dopo aver gettato le basi per la nascita del
Fauvismo e del Cubismo, sino al Surrealismo.
Beneventi Giulia 5^I – 26 novembre 2011 - Pagina 5 di 6
Bagno ad Asnieres
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 201x301.5 cm
Datazione: 1884
Locazione: National Gallery, Londra
Opera rifiutata ed esposta al salon degli indipendenti.
Mette in risalto l’immobilità assoluta, il silenzio, i gesti
vengono quasi bloccati: c’è una luminosità cristallina e ogni
elemento viene ridotto a una forma geometrica. I soggetti
sono
appartenenti alla vita contemporanea parigina: in primo piano è rappresentato il momento di svago di
alcuni operai lungo la Senna mentre in lontananza si vedono il ponte ferroviario e la periferia industriale
di Clichy. La grande luminosità è ottenuta attraverso questa nuova tecnica che alterna ampie di stesure
di colori puri in contrasto, con rapidi tocchi intrecciati: l’erba è rappresentata come un fitto reticolo, con
svirgolettate di rosa, arancio, verde.
Una domenica pomeriggio sull'isola della Grande-Jatte
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 207x308 cm
Datazione: 1883-1885
Locazione: The Art Institute, Chicago
L’artista ha tracciato una griglia geometrica
che raccoglie con ordine e precisione tutte e
figure; la donna con l’ombrello rosso e la
bambina al suo fianco costituisce l’asse
centrale che divide il dipinto in due parti uguali
ed è inoltre l’unico personaggio in posizione
frontale (essendo il perno compositivo attorno
al quale ruota tutta la scena).
La composizione è un intreccio di linee verticali
e orizzontali (le ombre sul prato); per spezzare
questa monotonia, l’artista ha inserito anche delle linee oblique. Il colore è scomposto in una fitta trama
di punti disposti con precisione scientifica: tutto è rigorosamente matematizzato. Per ottenere questa
grande luminosità applica il contrasto dei complementari con i colori puri.
Secondo alcune interpretazioni questa tela ha un carattere fortemente parodistico e critico sulla società
borghese del tempo.
Giuseppe Pellizza da Volpedo
Giuseppe Pellizza (Volpedo, 28 luglio 1868 – Volpedo, 14 giugno 1907)
era figlio di agricoltori, frequentò la scuola tecnica di Castelnuovo Scrivia dove apprese i primi rudimenti
del disegno. Grazie alle conoscenze ottenute con la commercializzazione dei loro prodotti, i Pellizza
entrarono in contatto con i fratelli Grubicy che ne promossero l'iscrizione all'Accademia di Belle Arti di
Brera dove fu allievo di Francesco Hayez e di Giuseppe Bertini. Espose per la prima volta a Brera nel 1885.
Terminati gli studi milanesi, Pellizza decise di proseguire il tirocinio formativo, recandosi a Roma, dapprima
all'Accademia di San Luca poi alla scuola libera di nudo all'Accademia di Francia a Villa Medici. Deluso
da Roma, abbandonò la città prima del previsto per recarsi a Firenze, dove frequentò l'Accademia di
Belle Arti con Giovanni Fattori come maestro.
Beneventi Giulia 5^I – 26 novembre 2011 - Pagina 6 di 6
Alla fine dell'anno accademico ritorna a Volpedo, allo scopo di dedicarsi alla pittura dal vero attraverso
lo studio della natura. Non ritenendosi soddisfatto della preparazione raggiunta, si recò a Bergamo, dove
all'Accademia Carrara seguì i corsi privati di Cesare Tallone. Nel 1889 visitò Parigi in occasione
dell'Esposizione universale. Frequentò poi l'Accademia Ligustica a Genova. Al termine di quest’ultimo
tirocinio, ritornò al paese natale, dove sposò una contadina del luogo, Teresa Bidone, nel 1892. Da quello
stesso anno, cominciò ad aggiungere "da Volpedo" alla propria firma.
Il pittore in questi anni abbandona progressivamente la pittura ad impasto per adottare il divisionismo. Si
confrontò così con altri pittori che usavano questa tecnica, soprattutto con Giovanni Segantini, Angelo
Morbelli, Vittore Grubicy de Dragon, Plinio Nomellini, Emilio Longoni.
L'improvvisa morte della moglie, nel 1907, gettò l'artista in una profonda crisi depressiva. Il 14 giugno del
1907, non ancora quarantenne, si suicidò impiccandosi nel suo studio di Volpedo.
Il quarto stato
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 293x545 cm
Datazione: 1896-1902
Locazione: Museo del Novecento, Milano
Quest’opera ebbe un travagliato percorso creativo: Pellizza gli dedicò dieci anni di studi e fatiche e
quando lo espose alle Quadriennale di Torino, non ottenne il successo sperato. Ciononostante esso è
diventato una della opere simboliche del XX secolo: non solo raffigura una scena di vita sociale,
lo sciopero, ma costituisce un simbolo: il popolo(pacifico e composto), in cui trova spazio paritario
anche una donna con il bambino in braccio, sta avanzando verso la luce; rappresenta la consapevole
avanzata sociale della classe popolare, supportata dai principi di uguaglianza del socialismo di Turati
(doveva intitolarsi infatti “il cammino dei lavoratori”).
La scena è ambientata nella Piazza Malaspina di Volpedo (cittadina piemontese).
La tecnica utilizata è quella del divisionismo; vi sono piccole pennellate con una forte dominazione di
toni verdi, marroni e rossastri che riflettono i colori degli abiti dei braccianti, mentre le ombre sono blu
punteggiate di rosso. Tutti i personaggi sono stati studiati dal vero (l’artista realizzò diversi schizzi per cui
posarono i contadini e la moglie Teresa).