Prose II. Lettere e scritti vari - ISBN 88-7916-277-7 - LED
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Prose II. Lettere e scritti vari - ISBN 88-7916-277-7 - LED
SOMMARIO Introduzione (di Gennaro Barbarisi) Tavola delle abbreviazioni Criteri editoriali 13 19 23 I LE POLEMICHE LINGUISTICHE (1756-1760) 1. La polemica Parini-Bandiera 27 1. Lettera intorno al libro intitolato I Pregiudizj delle Umane Lettere di A. Bandiera. Giuseppe Parini all’abate Pier-Domenico Soresi (1756) 2. Postille alla risposta del p. maestro Alessandro Bandiera alle critiche mosse al Gerotricamerone (1757) 2. La polemica Parini-Branda (1760) 1. Lettera al Branda 2. Avvertimento 3. Risposta alla seconda lettera del Branda Nota ai testi 27 48 55 55 89 91 122 II PROSE LETTERARIE E ACCADEMICHE (1759-1764) 1. 2. 3. 4. 5. Novella (data e autore incerti) Discorso che ha servito d’introduzione all’Accademia sopra le Caricature (letto il 15 febbraio 1759) 131 Discorso sopra la Poesia (1761) Lettere del conte N. N. ad una falsa divota. Tradotte dal francese (1761 ca.) Sopra la Carità (letto il 4 giugno 1762) 152 163 137 175 6 6. SOMMARIO I dialoghi sulla Nobiltà 1. Dialogo sopra la Nobiltà (1762) 2. Della Nobiltà. Dialogo (non oltre il 1764) Nota ai testi 187 187 207 219 III INTERVENTI CRITICI (1761-1796) 1. Prefazione al Femia di Pier Jacopo Martello (1761) 229 2. 3. 232 4. Prefazione alle Poesie di Carlo Antonio Tanzi (1766) Quadro dell’Istoria moderna dalla caduta dell’Imperio d’Occidente fino alla Pace di Vestfalia del sig. cavalier di MEHEGAN (1767) In nome di Pasquale Paoli (1769) 238 250 5. 6. Sulle Poesie di Giuliano Cassiani (dopo il 1770) Su Ferguson e Raffaello (1776) 256 257 7. Sul poema Della coltivazione de’ monti di Bartolomeo Lorenzi (1778 ca.) Parere sulle Favole di Gaetano Perego (gennaio-febbraio 1796) 260 262 8. Nota ai testi 264 IV CONTRIBUTI ALLE RIFORME E ALL’ORGANIZZAZIONE DEGLI STUDI E DELLE ACCADEMIE (1767-1796) 1. I compiti del Regio Visitatore (1767) 275 2. Per un’Accademia di Belle Arti in Milano (1767) 1. Arti creative e mestieri 2. Avvertenze intorno al Segretario d’un’Accademia di Belle Arti 277 277 284 3. Le Costituzioni della Regia Accademia di Mantova (1767) 291 4. Per la Cattedra delle Belle Lettere 296 296 298 1. Schema di una trattazione sulle Belle Arti (1769) 2. La buona Eloquenza (1769) 3. Delle cagioni del presente decadimento delle Belle Lettere e delle Belle Arti in Italia (1769) 4. Per la Cattedra biennale di Belle Lettere (1769) 5. Discorso recitato nell’aprimento della nuova Cattedra delle Belle Lettere dall’abate Giuseppe Parini Regio Professore nelle Pubbliche Scuole Palatine di Milano (6 dicembre 1769) 6. Piano dell’ordine e metodo dell’insegnamento e indicazione dei libri elementari (1770) 299 301 304 316 SOMMARIO 5. Per la riforma dei libri e dell’istruzione 1. Piano per la riforma dei libri elementari scolastici (ottobre 1774) 2. Frammento di una trattazione sull’istruzione in forma di catechismo (1774) 6. Per l’Accademia di Agricoltura 325 325 347 348 1. Le Costituzioni fondamentali della Reale Accademia d’Agricoltura in Milano – Avvertenze preliminari alle Costituzioni (1771/72-1776) 2. Le Costituzioni fondamentali dell’Accademia Reale d’Agricoltura (1776-1777) 7. 7 348 351 Avvertenze della Società Patriotica per i Socj Corrispondenti nazionali (1780) 355 8. Princìpi seguiti in 17 anni di insegnamento (1786) 359 9. Insegnamento e direzione del Centro di Brera (1791-1792) 360 360 363 1. Parere sull’insegnamento all’Accademia (agosto 1791) 2. Insegnamento e direzione (agosto-settembre 1791) 3. Biennalizzazione del corso e riduzione dell’orario (fine 1791 - inizio 1792) 4. Avvertenze relative al Sopraintendente delle Scuole Pubbliche di Brera (fine 1791 - inizio 1792) 10. Libertà e cultura nella Cisalpina 1. 2. 3. 4. L’autonomia della Municipalità (21 luglio 1796) La libertà dell’arte (1796) Sulla moralità del teatro (1797) Esito del secondo concorso per la riorganizzazione dei teatri (25 luglio 1798) 5. Giudizio sulla dissertazione di Melchiorre Gioia (28 agosto 1798) Nota ai testi 364 365 366 366 367 369 370 372 373 V FRAMMENTI SPARSI 1. Pensieri 401 2. Frammenti 404 Nota ai testi 408 VI LE FESTE DI MILANO PER LE NOZZE ARCIDUCALI (1771) 1. Descrizione delle Feste celebrate in Milano […] Nota al testo 411 433 8 SOMMARIO VII SOGGETTI PER ARTISTI (1778-1790) 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Soggetto per il telone del Teatro grande alla Scala (1778) Soggetto per il sipario del nuovo Teatro di Novara (1779) Palazzo di Corte (1778) Il giudizio di Paride: dal Palazzo di Corte a Taxispalais (1780) Palazzo Greppi (1780) Palazzo Confalonieri (1778-1780) Palazzo Belgiojoso (1782) Villa Reale – Nuovo Palazzo Belgiojoso (1790) Nota ai testi 437 441 444 497 500 525 526 536 561 VIII EPISTOLARIO (1763-1798) 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. A S.A.S. amministratore della Lombardia austriaca duca di Modena Francesco III d’Este (1763) Al maresciallo con Gian Luca Pallavicini – 17 agosto 1765 A Paolo Colombani – 10 settembre 1766 Ad Antonio Greppi (13 settembre 1768) All’abate Pellegrino Salandri – 12 dicembre 1768 A Saverio Bettinelli – 10 maggio 1769 Al conte Wilczeck (settembre-ottobre 1769) Al conte Carlo di Firmian (autunno 1769) Al Principe di Kaunitz – 16 dicembre 1769 All’abate Pellegrino Salandri – 2 gennaio 1770 Al Principe di Kaunitz – 7 aprile 1771 A don Giuseppe Croce – 8 aprile 1771 A don Giuseppe Croce – 11 aprile 1771 A Maria Teresa d’Asburgo – 23 luglio 1771 Al dottor Giuseppe Paganini – 13 luglio (1773) Al conte Carlo di Firmian – 5 dicembre 1773 A Girolamo Ferri – 16 gennaio 1774 Destinatario ignoto – 30 gennaio (1774) Al dottor Giuseppe Paganini – 9 agosto (1774) Ad Angelo Mazza – 14 agosto 1774 Al dottor Giuseppe Paganini – 8 settembre (1774) Al dottor Giuseppe Paganini – 12 settembre (1774) Al dottor Giuseppe Paganini – 25 settembre (1774) 599 599 600 601 601 603 604 608 609 610 611 612 612 613 614 614 616 617 617 618 619 621 623 SOMMARIO 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 61. Al dottor Giuseppe Paganini – 1 ottobre (1774) Ad Antonio Greppi (17 agosto 1775) A don Angelo Teodoro Villa – 16 gennaio 1776 Al conte Carlo di Firmian – 21 luglio 1776 Al conte Wilczeck (1776) All’abate Gioachino Pizzi, Custode generale d’Arcadia – 17 maggio 1777 Al conte Durante Duranti – 17 aprile 1778 Al marchese Giovan Battista d’Adda – 6 giugno 1778 Ad Antonio Greppi (17 giugno 1778) A Saverio Bettinelli – 24 febbraio 1779 A Saverio Bettinelli – 27 febbraio 1779 A Pietro Secco Comneno (giugno 1779) Al conte Antonio Greppi (gennaio 1780) Al conte Gian Rinaldo Carli – 22 aprile 1780 Al conte Carlo di Firmian – 26 dicembre 1780 A Carlo Amoretti, segretario della Società Patriotica – 2 gennaio 1781 Al conte Corniani – 15 giugno 1781 All’arciduca Ferdinando d’Austria (1783) Al conte Wilczeck (1783) All’arciduca Ferdinando d’Austria – 17 settembre 1783 A Carlo Castone della Torre di Rezzonico (1783) Destinatario ignoto (Pietro Verri?) – 13 aprile (1784?) Al dottor don Giacomo Rezia – 20 marzo 1788 Ad Antonio Mussi, oblato – 10 novembre (1788) Alla contessa Silvia Curtoni Verza – 22 gennaio 1789 Alla contessa Silvia Curtoni Verza – 25 febbraio 1789 Alla contessa Silvia Curtoni Verza – 12 marzo (1789) Al cardinale Angelo Maria Durini (1791) A Giambattista Bodoni – 18 novembre (1791) Al conte Wilczeck (marzo-aprile 1792) Al conte Francesco Pertusati sopraintendente alle Fabbriche Camerali – 9 agosto 1792 Al conte Wilczeck (1793) Al consigliere Pompeo Signorini – 8 novembre (1793) Al conte Francesco Pertusati (giugno 1795) Al marchese Febo d’Adda 23 giugno (1795) A Giuseppe Bernanrdoni – 11 novembre (1795) A Diodata Saluzzo – 12 febbraio 1797 Al ministro degli Affari Interni Ruggero Ragazzi – 2 luglio 1798 Nota ai testi 9 626 627 628 629 629 631 632 633 634 635 635 636 637 637 638 639 639 640 640 642 642 643 644 644 645 647 649 650 651 652 653 653 654 654 655 655 656 657 658 10 SOMMARIO IX ATTI PERSONALI E D’UFFICIO (1767-1798) 1. Eredità Caspani (21 settembre 1767) 707 2. Promemoria del Sacerdote Giuseppe Parini […] (26 luglio 1771) 707 3. Dichiarazione a favore di Giosuè Bianconi (29 febbraio 1784) 711 4. Dichiarazione a favore di Girolamo Appiani (9 dicembre 1787) 711 5. Dichiarazione di servizio (7 marzo 1798) 712 6. Ricorso (31 dicembre 1798) 712 7. Testamento (15 ottobre 1798) 713 Nota ai testi 716 X APPENDICE 1. 2. Scritture di dubbia attribuzione 1. Per la Cattedra di Eloquenza 2. Elogio di Vincenzo d’Adda 723 723 727 Documenti vari 730 1. Delle cagioni del presente decadimento delle Belle Lettere e delle Belle Arti in Italia, e di certi mezzi onde restaurarle (Reina) 2. Protocollo degli Affari Correnti di S. E. il R. Consultore Albuzzi (settembre 1791) 3. Relazione del consigliere Bovara sull’insegnamento del Parini (dicembre 1791) 4. Inventario della biblioteca del Parini (17 agosto 1799) 3. Testimonianze sui manoscritti 1. Francesco Reina a Diodata Saluzzo (29 maggio 1801) 2. Francesco Reina a Diodata Saluzzo (22 luglio 1801) 3. Lettera del ministro dell’Interno Francesco Pancaldi a Carlo Amoretti, dottore dell’Ambrosiana (2 maggio 1801) 4. Lettera di Carlo Amoretti al ministro dell’Interno Francesco Pancaldi (17 maggio 1801) 5. La dispersione dei manoscritti nella corrispondenza Gian Giacomo Trivulzio - Carlo Rosmini (1799-1801) 6. Lettera dell’avvocato Luigi Bramieri all’amico p. Pompilio Pozzetti (1802) 730 735 738 742 751 751 751 752 753 754 755 Nota ai testi 756 Indice dei nomi citati dal Parini 767 INTRODUZIONE 13 INTRODUZIONE Il Parini, è noto, in età avanzata si prese oculatamente cura di tramandare un’immagine netta e coerente della propria attività poetica, consapevole del significato che essa avrebbe assunto per l’altissima professionalità e perfezione artistica, a coronamento di un secolo in cui, al contrario, i versi avevano dilagato con troppa facilità in ogni campo: se nel suo lungo percorso poteva aver lasciato l’impressione di un certo predominio dell’occasionalità, alla fine prevalse la preoccupazione per l’omogeneità e organicità del proprio corpus poetico, fondate oltre che sul rigore morale su un’originale ricerca formale, perseguita con costanza e consapevolezza delle proprie capacità e dell’importanza sociale della sua missione di poeta. Fu così che sotto la sua guida il prediletto allievo Gambarelli raccolse e pubblicò il «libro delle odi», opportunamente riordinate e ritoccate non solo per l’incontentabilità dell’artista ma anche in considerazione dei tempi mutati rispetto al momento della loro composizione; inoltre, si accinse a metter mano anche alle numerose disperse, procedendo col concorso del poeta ad una drastica selezione, ritenuta più che mai necessaria di fronte ad argomenti ora divenuti inopportuni o addirittura imbarazzanti ed a un gran numero di sonetti spesso frettolosi e puramente occasionali. Poi le cose andarono a modo loro: le rime sparse rimasero nel cassetto, il Giorno non giunse mai a termine, e il quadro complessivo di tutta, o quasi, la produzione venne offerto soltanto postumamente dall’edizione Reina. Se queste furono le preoccupazioni del Parini per la conservazione della propria produzione poetica, nulla di simile egli pensò mai per quel- 14 INTRODUZIONE la prosastica, in massima parte legata a situazioni contingenti o a fini pratici, frammentaria e dispersiva, estranea, salvo le poche eccezioni degli anni dei Trasformati, ad intenti artistici, valida soprattutto come documento di un impegno didattico, civile, culturale, esercitato, dopo le prime esibizioni giovanili, con un crescente credito di prestigio. Impensabile, quindi, l’idea di una raccolta: l’unica vera tentazione si era affacciata al tempo delle lezioni alle Scuole Palatine, preparate con cura per la dettatura, com’era d’uso, e quindi quasi naturalmente predisposte per dar luogo alla loro pubblicazione e metter mano a quel manuale didattico, che a lui stava a cuore, ma che, nonostante le buone intenzioni, non avrebbe mai portato a compimento. Tutto il resto non era materia da riprendere in mano. Ma, come non bastasse, alla sua morte i parenti pensarono al resto, e, vuoi per ignoranza, vuoi per avidità, vuoi infine per la preoccupazione di non lasciare testimonianze compromettenti l’immagine edificante dell’uomo integerrimo, non persero tempo a porre all’incanto buona parte del patrimonio, e a distruggere il rimanente, infierendo principalmente su quanto sembrava poter costituire il maggior pericolo, ossia il carteggio; ma, come non bastasse, scomparse quasi totalmente le lettere dei corrispondenti, molte di quelle che rimasero del Parini o seguirono la sorte delle altre o furono disperse fra varie mani o addirittura sottratte agli archivi, col risultato che ancora in tempi recenti se ne son perse inspiegabilmente le tracce. È storia nota, come è nota la tenacia con cui a suo tempo Francesco Reina dal carcere ove si trovava nei mesi del riflusso austro-russo si preoccupò di acquistare tutto il salvabile: una vicenda chiarita anche nei successivi sviluppi nell’ultima appendice a questo volume. Ma rasentano l’incredibile le perdite, che si susseguirono dopo la sua morte e persino in tempi recenti, a cominciare dalle carte dell’Accademia dei Trasformati, possedute dagli eredi di Francesco Carcano, e dalla vendita di libri e manoscritti da parte di Antonio Reina, erede del fratello Francesco, e poi di seguito: 4 lettere dell’archivio Greppi di Casate, che sembravano esser confluite nell’Archivio di Stato di Milano, viste e pubblicate dal Mazzoni nel 1925; 1 lettera ad Angelo Mazza, non più reperibile nel Fondo Micheli-Mariotti di Parma; 1 lettera al Wilczeck all’Archivio di Stato di Milano, di cui Giulia Bologna nel 1969 pubblicò il fac-simile; le Avvertenze della Società Patriotica nel fondo Secco Comneno presso l’Ospedale Maggiore di Milano, pubblicate dal Pecchiai nel 1917. Per non parlare di lettere finite in Inghilterra e in America, e di al- INTRODUZIONE 15 tro ancora, di cui diamo notizia nelle Note ai testi, coerentemente col principio cui ci siamo attenuti di risalire sempre e comunque agli originali e alle fonti prime dei testi pubblicati. È pur vero che il Parini stesso affermò di non avere «molta corrispondenza di lettere», di esser soggetto a una «invincibile mia pigrizia a scriver lettere» (pp. 601, 655), e che il Reina ricordò «che astenevasi dal commercio epistolare, non amando che la purità delle sue lettere fosse stuprata da qualche mascalzone», ma quel che c’è rimasto, tenuto conto delle sue relazioni private e delle funzioni pubbliche da lui rivestite, lascia purtroppo supporre che molto sia andato irrimediabilmente perduto. In compenso, possiamo qui vantare qualche modesto ricupero: 2 lettere al Firmian e altri 4 documenti relativi all’Accademia di Brera e ai compiti del Parini, rinvenuti presso la Biblioteca Braidense; le inedite Costituzioni della Regia Accademia di Mantova, presso l’Archivio di Stato di Milano. Un modesto segnale, che potrebbe, chissà!, far sperare in qualche altro futuro fortunato ritrovamento. In ogni caso, come è noto, il Fondo Reina fu donato da Cristoforo Bellotti alla Biblioteca Ambrosiana di Milano nel 1910, e costituisce la base fondamentale dell’edizione di tutta la sua produzione. Si tratta di un vasto materiale, sistemato a suo tempo dal Reina, ma poi riordinato e distribuito in cartelle dal Mazzoni in vista della sua edizione: un lavoro benemerito, anche ai fini della conservazione, che tuttavia (parlo delle prose) risente dei limiti di un criterio archivistico soggettivo, che talvolta confonde il significato e la destinazione di singoli frammenti e ne rende arbitraria la collocazione, come vien confermato dalla loro sistemazione nel pur meritorio volume delle opere del 1925, cui fino ad oggi si sono rifatti tutti gli studiosi. Le sezioni nelle quali abbiamo distribuito tutte le prose del Parini finora reperite rispecchiano i diversi aspetti della sua attività, con la sola eccezione delle lezioni, raccolte nel precedente volume. Se è presumibile che poco sia sopravvissuto della sua presenza all’Accademia dei Trasformati e degli interventi critici (che potrebbero essere comparsi anonimi su riviste o in altre sedi occasionali), si può dire che quel che rimane (e certamente è soltanto una parte, visti anche gli illustri destinatari dei contributi) della sua collaborazione coi governi della città soprattutto in materia di riforme scolastiche e istituzionali, ma non solo, costituisce una vera sorpresa. Se si leggono questi scritti nel loro insieme, s’impongono subito all’attenzione da un lato un impegno civile e una volontà ri- 16 INTRODUZIONE formatrice non inferiori a quelli degli intellettuali illuministi inseriti nella gestione dello stato, e dall’altro il prestigio di cui godette sia come poeta sia come uomo di cultura, capace di recare un contributo competente anche nella lunga opera di consulenza. Ed è nota la sua autorevolezza nel guidare la mano degli artisti nelle decorazioni degli edifici civili, in grande sviluppo nell’ambito della trasformazione neoclassica della città promossa dal governo austriaco: un’autorevolezza che gli consentiva persino di discutere e modificare le scelte dei committenti, fossero essi l’Arciduca o il principe di Belgioioso. Del resto, quanta importanza il Parini attribuisse alla funzione pubblica svolta per più di tre lustri (grazie anche alla fiducia riposta in lui dal conte di Firmian) fu da lui stesso sottolineato in due promemoria rivolti al conte Wilczeck nel 1776 e nel 1783, per richiamare l’attenzione sulla propria situazione economica. La carriera era iniziata all’indomani della pubblicazione del Mezzogiorno, fra il 1766 e il 1767, con alcune consulenze al Supremo Consiglio di Economia, che toccano delicati problemi come l’organizzazione del lavoro nelle fabbriche e la distinzione fra istruzione artistica e professionale, ed era proseguita senza soluzione di continuità: i piani per l’Accademia delle Belle Arti di Mantova e per l’Accademia di Agricoltura e Manifatture; la nomina a poeta e a revisore di testi del Teatro Ducale nel 1768 e alla fine dello stesso anno la redazione della «Gazzetta di Milano» svolta per tutto l’anno seguente, quando subentrò l’assegnazione dell’insegnamento di Belle Lettere alle Scuole Palatine, svolto anche dopo il trasferimento nel palazzo di Brera (1773) e la fusione col Regio Ginnasio (1786); la stesura nel 1770 del Piano per l’ordine e il metodo dell’insegnamento e l’indicazione dei libri «elementari» per lo studio dell’eloquenza; la stesura dell’Ascanio in Alba per le nozze arciducali nel 1771 e la Descrizione delle relative feste; la partecipazione, dal 1774, alla commissione per la riforma dei libri «elementari» scolastici, e nel 1775 alla commissione esaminatrice presso le scuole di retorica, umanità e grammatica di Cremona e Como; l’assegnazione nel 1776 dell’insegnamento presso l’Accademia di Brera e la collaborazione con Cesare Beccaria alla stesura del Piano e delle Leggi di un’Accademia di Agricoltura e Manifatture (la futura Società Patriotica, per la quale egli poi si occupò, tra l’altro, anche del conio del sigillo, della patente, del regolamento per i soci corrispondenti). A questo si erano sempre aggiunti, come da lui stesso dichiarato, l’esame di manoscritti e la correzione di testi governativi, il parere sui libri scolastici, le varie consulenze, di INTRODUZIONE 17 cui non ci sono rimasti i documenti, la presenza in varie commissioni di concorsi. Completa questo denso panorama di attività professionali la collaborazione con gli artisti di Brera, particolarmente intensa dopo la dettatura del soggetto per il telone del Teatro alla Scala nel 1778, e che lo vide impegnato per un paio d’anni nel Palazzo di Corte, e poi successivamente nei Palazzi Greppi e Confalonieri (1780), nel Palazzo Belgioiso (1782), nel Nuovo Palazzo Belgioioso (poi Villa Reale, 1790): un lavoro che andava oltre la semplice dettatura dei soggetti, concepiti all’interno di un discorso unitario secondo criteri di decoro morale e con intenti celebrativi di modelli di vita esemplare, e che prevedeva una costante presenza al fianco degli esecutori, come si può dedurre dalla lettura sincronica dei testi e delle relative immagini. Accanto ai primi interventi polemici, alle poche prose creative, a qualche scritto critico, quindi, troviamo un nutrito gruppo di frammenti e documenti legati all’attività dell’uomo pubblico (e potrebbero essere ancora di più), che si presenta in una dimensione superiore a quella comunemente considerata dalla critica, concentrata sulla centralità dell’opera poetica e, se mai, sui possibili rapporti esistenti fra quella e alcune prose, e quindi attenta a ricostruire unilateralmente il suo percorso. Un caso a sé è rappresentato dal Dialogo sopra la Nobiltà, la cui stesura attribuiamo con una certa sicurezza al 1762, ossia al periodo in cui era già in fase avanzata la composizione del Mattino: non più un esercizio accademico ma la precisa scelta di campo della polemica antinobiliare condotta su due diversi registri, che segnò una svolta decisiva nella sua produzione. Dall’insieme degli elementi qui raccolti, con un ampio corredo di dati e documenti integrativi distribuito nelle Note ai testi, mi sembra si possano ricavare alcune importanti riflessioni. Innanzi tutto, è evidente che la sospensione della serie dei tre poemetti, come erano previsti nel progetto iniziale, fu determinata da molteplici cause, che non si possono ridurre all’incontentabilità del poeta: il Mezzogiorno non fu accolto col medesimo entusiasmo del Mattino, forse per l’impressione di una certa ripetitività ed eccessiva insistenza sul tema; il celebre saggio di Pietro Verri sul «ridicolo», a parte i risentimenti personali, coglieva in profondo i limiti della satira ai fini del miglioramento dei costumi; infine, e soprattutto, in quel 1766 la vita del Parini stava prendendo una nuova direzione, grazie anche al sostegno di nobili come il conte Greppi e il conte di Firmian, ed egli incominciava ad intravedere la realizzazione della 18 INTRODUZIONE sua lontana aspirazione all’insegnamento (proprio allora gli pervenne l’offerta di una cattedra a Parma). Ora egli aveva responsabilità pubbliche ed ai giovani che stavano per essergli affidati egli doveva indicare valori positivi da perseguire, come l’educazione attraverso il culto delle lettere e delle arti, e non era più il tempo dello scherno e della derisione: si verificò così quel passaggio da Giovenale a Chirone, già rilevato sia dalla critica letteraria sia dall’artistica. Ma c’è di più. Parini divenne in breve un uomo importante nella città, rispettato non soltanto per la sua statura di poeta, ma anche per quel che significava in tutti i campi civili e culturali nei quali operava, agendo parallelamente nella medesima direzione che era stata indicata dal gruppetto di filosofi, ora dispersi e in vario modo delusi o inseriti in compiti amministrativi. Tutto incominciò a cambiare con la morte di Maria Teresa e un paio d’anni dopo del Firmian, quando si avvertirono gli effetti del giuseppinismo, fino a quel 1786 che gli fece temere anche per il proprio sostentamento. Era l’anno della Caduta, ed erano già maturati i tempi per una ripresa del progetto poetico abbandonato e per un inasprimento della satira contro una classe non da riformare ma da disprezzare per il suo invecchiamento fisico e sociale, alla quale contrapporre la propria immagine incorrotta da consegnare alle generazioni future. Seguì poi il breve periodo cisalpino, con i tre scritti qui raccolti, che documentano la coerente difesa dei vecchi princìpi alla luce della nuova realtà: la libertà, la moralità, l’educazione. Gennaro Barbarisi (SEGUE) PROSE LETTERARIE E ACCADEMICHE 131 II.1 NOVELLA Baccio pittore dipigne sotto al bellico dell’Agnoletta, sua moglie, un agnellino. Indi la lascia e va in Francia. Ella si gode con Masino pittore anch’egli. Baccio ritorna e trova al suo agnellino cresciute le corna. S’accorge d’essere stato beffato e per lo meglio si tace. [data e autore incerti] E’ fu già in una delle nostre città d’Italia un dipintore, il quale, oltrechè molto valoroso uomo era nell’arte sua, era stato dalla amica fortuna con sì bella moglie accompagnato e di sì onesti e leggiadri costumi, che per tutto a) la città se ne dicean le maraviglie; non essendovi alcuno di que’ che conoscevan costei, il qual non invidiasse oltramodo la sorte di messer Baccio, che tale era il nome del dipintore, e non disiderasse d’aver per sua la mogliera di lui, che l’Agnoletta si domandava. Ora avvenne che, facendosi dal re di Francia il real palagio sontuosamente b) dipignere ed adornare, furon colà da ogni parte del mondo chiamati i più conosciuti pittori e d’altre sorte artefici che ci avesse. Perchè a messer Baccio ancora, che de’ più chiari era e famosi, convenne risolversi d’abbandonar per qualc’anno la moglie, non parendo a lui bene, per suoi onesti riguardi, di menarsela in Franza con seco. Della qual cosa, benchè ella molto ne lo ricercasse, non le volle però mai Baccio acconsentire, forte temendo non l’asprezza del cammino a lei, che donna era, fosse per recar troppo danno, e comechè egli l’amasse più de’ suoi occhi medesimi, e bramasse oltre ogni creder di aversela accanto, pur risolvè d’andar solo, volendo piuttosto averla viva e sana da lunge, che vicino in continui disastri e fatiche. Laonde giunta la primavera e venuto il dì che egli avea per la sua partenza determinato, nè sapendosi ancor dalle braccia dell’amata moglie disciorre, andava indugiando e intertenendosi. Ma alla fine, pensando che pur una volta gli conveniva andarsene, affardellò le sue bagaglie e, la mattina a buon’otta levatosi, con grandissimo rammarico prese congedo dall’Agnoletta, la qual tuttavia, piagnendo e querelandoa) b) tutto] corretto su tutta sontuosamente] aggiunto in interlinea 132 PROSE LETTERARIE E ACCADEMICHE si, non trovava riposo, e, gettataglisi al collo, il baciava e lo strigneva sì teneramente, che a Baccio, che già carica avea la balestra, venne voglia di torsene una buona satolla avanti il partire. Perchè, distesala sulle lenzuola, e scaricate due o tre some, già le sì staccava dal seno, quando, veggendo quivi presso de’ pennelli tinti di vari colori, gli venne un pensiero, che egli subito si determinò di condurre ad effetto. Prese egli adunque di que’ pennelli e, tinti negli accomodati colori, a mogliera, che ancor co’ panni levati si stava, due o tre dita sotto al bellico dipinse un sì bello e candido agnellino, che vivo e vero sarebbe stato da ognun reputato, parendo quasi che egli si pascesse delle lussureggianti erbette che intorno al vicin fonte dell’Agnoletta sorgeano. Nè ebbe appena Baccio finito di fare un così bel lavorio, che, rivoltosi alla moglie, che tutta strabiliata si stava, le disse: «Bocca mia dolce, tu ti puoi ben di leggieri accorger di ciò, di che io con cotesto agnello dipinto ti voglio avvertire; cioè, che tu vogli tale a me conservarti per l’avvenire, essendoti lontano, qual fosti per lo passato mentre che io ti era vicino, perocchè io vorrei che così candida fosse la tua fede verso di me, quale è quest’agnellino, che io costaggiù ti dipinsi. Guarti adunque, che per verun costo colla bianchezza di lui a) la tua onestà non venga macchiata; perciocchè, se io al mio ritorno tale il troverò quale or te lo lascio, io t’arò sempre per quella fedel moglie che finor mi se’ stata; ma, se allo ’ncontro qualche forestiero montone tu lascerai cozzare con quello, e in alcun modo il brutterà, oltrecchè offenderai grandemente l’amor che io ti porto, non mi avrai più per quel sì dolce marito che finora stato ti sono». Allor l’Agnoletta, postasi un cotal pocolino in cagnesco, e mostrandosi di essersi per le parole di lui adirata, così, mezzo ridendo, gli disse: «Gnaffe marito mio, e’ si par ben che tu abbia in molto conto mogliata, che tu le fai coteste raccomandazioni e le metti così fatte guardie alla porta. Ben ti starebbe il dovere che io non isgridassi a’ lupi, e che io gli lasciassi entrar in vece nel mio ricinto, e che e’ ti manucassono tutta affatto questa bestiuola, e che e’ disertassono tutto quanto il tuo [podere], senza [che io] b) dessi pure una boce. Ma buon per te, che io non son di cotal buccia, e che io non son donna da tanto, altramente te lo so dir io se tu te l’aresti ben guadagnato. Ma vatti pur con Dio, chè al tuo agnellino a) b) di lui] aggiunto in interlinea Sono integrazioni proposte da Reina e accolte dagli editori: il ms. è lacerato NOVELLA 133 non mancherà nè da mangiar nè da bere, e io mi porterò in modo che tu al tuo ritorno non te n’abbi punto a dolere». E, detto che ella ebbe queste parole, si tacque. Onde messer Baccio, poichè tutto era pronto al partire, dettele alcune altre cose, la baciò in fronte e, dalle braccia di lei, che al collo gli s’era strettamente aggavignata, discioltosi, non senza lagrime si dipartì; e l’Agnoletta si rimase la più dolente femmina che mai si vedesse. Nè sarebbe agevole a dire quanto ella per cotal partenza s’addolorasse tuttavia, e ne fosse divenuta inconsolabile, siccome colei che amava il marito suo quanto mai donna altr’uomo facesse. Oltre a questo ella si dette con tanto studio e diligenza a guardare l’animaletto, che Baccio sotto al bellico dipinto le avea, sicchè, nonchè toccarsi colla mano in quella parte, ma nè men colla camicia medesima osato ella avrebbe; e dimodo, e con istecchi e con cuscinetti alle bande maestrevolemente adatti, ne sostentava gli altri panni, che e’ non poteano collo smuoversi, che ella faceva, guastargliele punto. Nè pur di questo contenta, ella non si sarebbe addotta, per tutto l’oro del mondo, a strignersi punto punto lo scheggiale, o le stringhe della gonnella; sicchè ella ne andava così scomposta e sciamannata, che tutte le amiche sue la stimavano gravida veggendole il ventre, per tanti arnesi sotto gonfio e rilevato. Perciò, tutte augurandole un bel figliuolo, le metteano la mano in sul grembiule, e chi si facea le croci, e chi dicea: «maschio», e chi soggiugnea: «di qui a due mesi»; di che ella, benchè nol dimostrasse fuora, arrovellava ed istizziva, temendo che elle non guastasser le lane al coperto agnellino. Ond’ella, tra per non porsi a cotal risico, tra per la sua continova malinconia, fuggiva il più che poteva i crocchj e le brigate, alle quali veniva ben di spesso invitata a cagion della sua grande bellezza, piacendo vieppiù agli amorosi giovani costei, benchè incolta e mal composta, che qualunque altra ben adorna e strebbiata. Ma pure accadde che, essendo ella una fiata ita a un paio di nozze, che si facevano non guari lontano dalla sua casa, ella si abbattè a tavola dirimpetto a un giovinetto pittore anch’egli che Masino era detto. Costui, che era un bel garzonaccio di sedici in diciott’anni, co’ capegli biondi e un pa’ d’occhi brunotti e furfanti che arebbono trivellato una montagna, e oltre a ciò sì babbusco, tarchiato e rubesto da reggere a ogni fatica, diede in modo nell’umore all’Agnoletta, che ella non facea altro che guatarlo sottecchi, di che essendosi egli avveduto, siccome colui che era bambin da Ravenna e una forca che l’arebbe calata al Piovano Arlotto, cominciò a fare il medesimo con esso lei, e in guisa che e’ la fece innamorar talmente del fatto suo, che ella non si ricorda- 134 PROSE LETTERARIE E ACCADEMICHE va più punto del povero Baccio. E, perciocchè sotto alla tavola non si facevan tenere i piè nella bigoncia, e Venere e Bacco tuttavia gli riscaldavano, cominciarono tosto a giucar de’ piedi e a sogghignare, e ad arrossare. Infine, o che e’ fosse il destin loro, o come la si andasse la cosa, e’ si guastaron così ben l’un dell’altro, che d’indi in poi procuraron di vedersi ogni giorno. E, perchè in Masino la passion delle mutande cresceva dopo essere arrivato a parlarle, le serrò di maniera il basto addosso, ch’egli ebbe paglia in becco d’altro che di parole. Quantunque però l’Agnoletta fosse oltre misura cotta di Masino, e le pizzicasse ben ben la rogna tra le cosce e ’l bellico, pure a mal in corpo si conduceva a far torto al suo marito, che tanto per lo addietro aveva amato. Ma, perciocchè il disidero per la continua dimestichezza cresceva, e le donne son per natura mobili e incostanti, e poichè, siccome è il proverbio «Chi due bocche bacia, l’una convien che gli puta», ella si dimenticò totalmente di Baccio e tutta si diede in preda a Masino, il quale, poichè ebbe intinto una volta il suo pennello nello scodellino dell’Agnoletta, la chiarì ch’egli avea così buona mano e così dolce maniera a) nel pingere allo scuro quanto Baccio, e forse più. Così madonna, mentre che il marito suo in Francia dipingea de’ quadri, ella faticava in Italia a far lor le cornici. E tanto ella s’affaccendò in questo suo giuoco, che quantunque procurasse di non guastar l’agnello dipinto, pur, perciocchè e’ non si potea far di meno, dopo aver cominciato a lisciarsi e indi a sbiancare, alla fine si cancellò in modo, che e’ non se ne vedea più nulla. Della qual cosa l’Agnoletta ebbe tanto dolore, e ne fece tanto rammarichio, che mai quanto in vita sua; e molto più quando il marito le diede novella, come egli in capo a un mese o in quel circa sarebbe stato a vederla; del che vi so dir io s’ella n’ebbe la vecchia paura. Onde un dì, voltasi a Masino, gli disse: «Vezzo mio, tu sai bene a che stato io son condotta per amor tuo, che io non pur ti ho fatto dono di me medesima, ma ancora mi son posta a cotal pericolo, che io non so come trovar via d’uscirne. Or ti si conviene, se tanto amore a me porti quant’io a te, di b) far sì che io n’esca di questo unguanno; altramente io veggio posta a gravissimo risico non sol questa vita, che nulla m’importerebbe, ma il mio onore medesimo, che più di questa m’è caro. Non vedi tu che, col tanto fregar che noi abbian fatto, l’agnellino se n’è ito pe’ fatti suoi (in ciò dicendo, levossi la gonnella, e gliele mostrò). Uh a) b) e così dolce maniera] aggiunto in interlinea di] aggiunto in interlinea NOVELLA 135 trista a me! che dirò a Baccio quando e’ tornerà a casa, che certo non può star molto? che risponderò io, quando e’ cercherà dove sia ito l’agnello? credi tu che e’ vorrà creder che e’ se ne sia dileguato da se medesimo? non lo fece egli di colori impiastricciati con colla soda e tegnente? e dopo questo non gli diede egli un’altra mano? uh uh poverina me che dirò io?». E in questo dir le cadeano dagli occhi tante lagrime che Masino se ne sentiva tutto commosso. Ma alla fine non potendosi ritener dalle risa, le disse: «Che di’ tu, pazzerella? e non son io pittore? dunque non credi tu, che io sappia così ben fare un agnello come tuo marito? suvvia fatti animo, chè io te lo rifarò meglio di Baccio a); sai pur che buon pennello io ho, e come e’ tratteggia bene». Si rallegrò tutta l’Agnoletta a così fatte parole, che le rimessero l’anima in corpo; e ita a prender de’ pennelli e de’ colori, volle che egli incontanente la desiderata pittura facesse. Ma egli, che si sentiva di adoperar altro pennello che ella non gli avea recato, volle prima correre una lancia, acciocchè egli, aspettando dappoi, non avesse a guastar l’opera fatta di fresco. E poichè egli ebbe allentato lo straccale all’asin suo, intanto che l’Agnoletta si rimetteva dalla fatica, le pinse di nuovo al sito medesimo un sì bello animaletto, che tutto somigliava a quello di Baccio: e perchè costui era più scaltrito del fistolo, gli pinse in cima al capo anche un paio di cornicini. Del che quantunque monna Agnoletta si fosse avveduta, pur pensando che anche quel di Baccio le avesse, non ne pensò più là; e non saziandosi di ringraziarlo, gli faceva le più amorevoli carezzoccie che mai gli avesse fatte. Ma non passarono cinque o sei dì, che per lo arrivo di Baccio dovettero intralasciar questa lor tresca. La qual cosa, benchè molto dolore arrecasse a madonna, non però molto rincrebbe a Masino, che, avendosi fatto come giovin ch’egli era un’altra innamorata, omai poco si curava di questa che gli dovea mancare. Ma Baccio non giunse appena alla sua casa, che volle veder come si stesse l’agnello, e, veduto che egli avea le corna, rimase sì maravigliato e fuor di sè, che non sapea quel che e’ si facesse. Pure, alla fine tornato in sè e accortosi della beffa, si volle morir di dolore, e detta una carta di villanie all’Agnoletta, poco mancò che e’ non la discacciasse di casa, se non che ella, e con iscuse e con lagrime e con moine, seppe imbecherarlo sì bene, che Baccio siccome uomo di facile contentatura, le a) meglio di Baccio] meglio di ‹tuo marito› Baccio 136 PROSE LETTERARIE E ACCADEMICHE perdonò, amando meglio che le corna si stessero sotto alla camicia della moglie rimpiattate, che porsele col romor da sè medesimo in sulla testa. Masino però, siccome un ragazzo che aveva il cervello sopra la berretta, poco stimando la propria e l’altrui reputazione, andava per tutti i chiassi raccontando l’avvenimento e facendone le sghignazzate; onde la moglie di Baccio ne andava per la bocca d’ognuno, e non più l’Agnoletta, ma, dall’agnello, l’Agnelletta a) era chiamata. (SEGUE) a) Agnelletta] ‹Agno[letta]› NOTA AI TESTI 219 NOTA AI TESTI II. PROSE LETTERARIE E ACCADEMICHE II.1 Novella BAM, S.P. 6/5 X.5, apografo calligrafico, 8 carte cucite insieme, di mm 200 × 280, numerate a matita da Mazzoni da 68 a 73; l’inchiostro è omogeneo; poche le correzioni o le aggiunte in interlinea, con sviste tipiche di chi sta ricopiando. Reina, IV, pp. 223-234; Bellorini II, pp. 1-8; Mazzoni, pp. 659-665. Sulla scorta di Reina («Aveva egli nella giovinezza imitati gli antichi prosatori Italiani con modi bensì propri e leggiadri, ma che risentivansi un po’dell’antica sintassi, come ognuno sa, non tanto amica della chiarezza», I, p. XLIII), Bellorini la giudica «opera giovanile» (II, p. 300), e così tutta la critica successiva. Molto controversa l’indicazione della possibile fonte, comunemente indicata nella novella X della seconda giornata delle Giornate delle novelle de’ Novizj di Pietro Fortini, come si indusse arbitrariamente dalla pubblicazione congiunta delle novelle di Fortini e Parini, apparsa nel 1812, a Milano, in soli dodici esemplari, con il titolo Lo agnellino dipinto. Novelle due di Pietro Fortini senese e di Giuseppe Parini milanese, con la seguente premessa dell’anonimo curatore: Si pubblicano queste due novelle a doppio oggetto. E perchè si vegga come uno stesso argomento siesi trattato da uno scrittore toscano del decimosesto secolo, e da uno scrittore lombardo del secolo decimottavo; e perchè i raccoglitori delle novelle italiane possano arricchire le loro serie con una novella ora per la prima volta pubblicata [corsivi dei curatori], e con un’altra che non si legge in verun altro luogo fuorchè nella voluminosa edizione milanese delle opere del celebre Parini. La novella di Pietro Fortini è la decima della Giornata seconda delle sue Giornate de’ Novizj, già rammentate dal Tiraboschi, e delle quali si conservano accurate copie in Toscana, in Milano, e altrove. Non meriterebbe essa la luce per le oscenità delle quali è imbrattata, ma può quasi dirsi che non venga resa di pubblica ragione, mentre la stampa di questo libricciuolo è fedelmente eseguita in numero di 12 soli esemplari. Nemmeno la novella del Parini è castigata quanto sarebbe desiderabile, ma sì l’una che l’altra servono allo scopo già divisato di sopra, e danno in oltre un curioso esempio di facilità e di trascuranza di stile per parte di un antico scrittore toscano, e di ogni grazia e adornatura di lingua per opera di uno scrittore lombardo de’ nostri giorni. Girolamo Tiraboschi, in una nota al capitolo sulle novelle di Matteo Bandello, aveva dato notizia di un manoscritto delle novelle di Fortini (G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Modena, Società Tipografica, 1772-1781; nell’ed. del 1796, la nota si trova nel t. VII, parte III, p. 1183): Presso l’eruditissimo sig. ab. Giuseppe Ciaccheri, professore e bibliotecario dell’Università di Siena, conservansi in un voluminoso codice ms. 220 PROSE LETTERARIE E ACCADEMICHE molte novelle con altre descrizioni, e con diverse poesie di Pietro Fortini Sanese, che visse circa la metà del secolo XVI. Ed egli ha voluto gentilmente mandarmene un saggio. La naturalezza, la grazia, e la facilità dello stile rendono assai pregievoli queste novelle. Ma l’empietà e le oscenità, di cui quasi in ogni parte sono macchiate, oscuran di troppo tai pregi. Allo stesso codice aveva attinto Antonmaria Borromeo, Notizia de’ Novellieri italiani, Bassano, [s.e. ma Remondini], 1794, che, però, nella sua scelta antologica aveva inserito un’altra novella del Fortini. Il testo del Fortini dell’Agnoletta, che non sappiamo neppure se fosse presente nel ‘saggio’ in possesso del Tiraboschi, venne quindi effettivamente edito per la prima volta nel 1812. D’altra parte, è stato dimostrato che il topos del pittore e dell’agnello è ricorrente nella tradizione novellistica, non solo italiana: vd. D. McGrady, The story of the painter and his little lamb, «Thesaurus. Boletin del Instituto Caro y Cuervo» 33 (septiembre-diciembre 1978), 3, Bogotà (Colombia), pp. 357-406. L’attribuzione della novella al Parini è fondata unicamente sulla presenza dell’apografo tra le sue carte, sui suoi giovanili interessi per la tradizione bernesca e vernacolare toscana, sulla presenza di modi tipici equivalenti nelle sue rime giovanili. Restano tuttavia molti dubbi da sciogliere, a cominciare da quelli riguardanti la natura del documento: una grafia completamente diversa da tutte le altre presenti nel Fondo Parini, un inchiostro molto sbiadito, un’impaginazione accurata che denota mano esperta, la ripiegatura dei fogli che potrebbe significare una provenienza esterna. Mancando l’autografo originale, resterebbe da stabilire chi e quando procedette alla copiatura. Se poi si considera la quasi nulla circolazione del testo di Fortini, vien da chiedersi su che cosa si sarebbe basato il Parini per la sua trascrizione, che, fra l’altro, rivela una sicura padronanza della sintassi boccacciana. Non potrebbe forse trattarsi piuttosto di un rifacimento anonimo trasmessogli da altri e da lui utilizzato come testo di lingua, al quale attingere per i propri scritti ironicamente toscaneggianti? Sulla novella, vd. D. Conrieri, Introduzione a Novelle italiane. Il Seicento. Il Settecento, Milano, Garzanti, 1982, p. XLI; R. Ricorda, L’Agnoletta e la pratica della riscrittura nella novellistica settecentesca, in G. Baroni (a cura di), Attualità di Giuseppe Parini: poesia e impegno civile, «RLI» 17 (1999), 2-3, pp. 501-509; S. Morgana, L’Agnoletta del Parini tra riscrittura e sperimentazione, in AA.VV., Studi vari di lingua e letteratura italiana in onore di Giuseppe Velli, II, Milano, Cisalpino, 2000, pp. 527-542, poi in Morgana 2003, pp. 213-229; Barbarisi 2005. La novella non compare nelle scelte di Caretti (1951), né in quelle di Zuradelli (1968, 1a ed. 1961); è ripresa soltanto da Bonora 1967, pp. 623-627. (SEGUE) DESCRIZIONE DELLE FESTE 411 VI.1 Descrizione delle Feste celebrate in Milano per le nozze delle LL. AA. RR. l’Arciduca Ferdinando d’Austria, e l’Arciduchessa Maria Beatrice d’Este. Fatta per ordine della R. Corte l’anno della medesime nozze 1771 La venuta in Milano di S. A. R. l’Arciduca Ferdinando Carlo d’Austria per assumere il governo della Lombardia austriaca, e le nozze del medesimo con S.A.R. l’Arciduchessa Maria Ricciarda Beatrice d’Este meritavano d’esser celebrate con quella pompa, che testificasse la grandezza dell’avvenimento e che, dando luogo al concorso del popolo, aprisse il pubblico animo e ne manifestasse la interna satisfazione e letizia. Ad amendue questi oggetti fu provveduto dalla Maestà della Imperadrice Regina Nostra Clementissima Sovrana, imperocchè, dopo aver essa stabilito che il dì quindici d’ottobre, in cui si solennizza il suo augusto nome, fosse quello dell’ingresso in questa metropoli e delle nozze del Real Figliuolo, ordinò ancora che ne’ giorni consecutivi si celebrassero pubbliche feste a spese del regio erario. Le quali feste, siccome per la sovrana munificenza e per lo zelo di chi le procurò e diresse, riuscirono d’universale contentamento, così si è giudicato opportuno di serbarne memoria col tesserne la breve Descrizione, che qui si presenta. Fra il giocondo commovimento di tutta la città animata dalla imminente venuta di Sua Altezza Reale, dai preparamenti che vedeva farsi, dalla straordinaria affluenza de’ forestieri che di giorno in giorno sopravvenivano, entrava uno spiacevole sospetto che, cessando il lungo sereno della stagione, non si venisse ad impedire lo sfogo del gaudio comune e la compiuta esecuzione delle feste ordinate. Il sospetto divenne disperazione, quando nel dì tredici si vide cambiare il bel tempo in una dirotta pioggia e questa continuare anche il dì quindici con minacce di lunga durata. Ma questo accidente medesimo fu cagione di più grata sorpresa, perchè nell’ora stessa che il Reale Arciduca giunse in Milano rasserenossi in un subito il cielo e tornò a risplendere il sole più chiaro che mai. 412 LE FESTE DI MILANO PER LE NOZZE ARCIDUCALI Giunse il Real Principe verso le ore ventitrè fra le acclamazioni d’infinito numero di persone che, avide di conoscerlo e di contemplarlo, inondavano tutte le vie per le quali doveva passare sino al Regio Ducal Palazzo, dove era aspettato da tutto il ministerio e da tutta la nobiltà, così nazionale come forestiera e quindi, dopo breve dimora, uscì congiuntamente alla Reale sua Sposa per avviarsi alla vicina chiesa metropolitana a ricever la benedizione nuziale. Questo lietissimo momento non lasciava luogo a desiderare altro spettacolo, offerendosene uno troppo grande ed affettuoso nella presenza de’ Reali Sposi, che venivano accompagnati dalle Loro Altezze Serenissime il sig.r Duca e i signori Principe e Principessa Ereditarj di Modena, e preceduti e seguiti dal numerosissimo corteggio de’ ministri, de’ cavalieri, e delle dame. Nondimeno le guardie nobili a cavallo e le guardie a piedi di S. A. R., le guardie a cavallo di S. A. Serenissima il signor Duca di Modena ed altri corpi di cavalleria e di fanteria che o stavano schierati in vaga ordinanza sulla piazza del Duomo, o assistevano di mano in mano al procedimento de’ Principi e del loro seguito; inoltre il gran numero de’ torchj, onde per il sopravvenir della notte risplendeva tutto il gran cortile del Palazzo Ducale e il portico posticcio, che quindi conduceva alla porta maggiore della metropolitana; finalmente la immensa folla del popolo spettatore, che fra le tenebre della cadente notte veniva rischiarata dalle grandi masse della luce versata per mille parti dalla quantità delle fiaccole: tutte queste cose contribuivano a render più sensibile la dignità della comparsa e formavano un magnifico accompagnamento di tutta la pompa. La Chiesa Metropolitana era superbamente addobbata. Gli smisurati piloni, che formano la croce della gran nave di mezzo, eran da capo a fondo coperti di dammasco cremisi, raccolto per tale uso da quasi tutte le chiese di Milano, ed ornati di festoni di frange e di fasce d’oro e d’argento. Negli intercolonnj fino a notabile altezza salivano degli archi accompagnanti l’architettura gotica del tempio fatti essi pure a rilievo di tocche d’oro ed argento, e sotto di essi camminava una specie d’architrave fatto alla stessa guisa. Da questo pendevano continue lumiere di cristallo portanti gran numero di candele accese; e sopra i detti archi e dintorno ai piloni fiammeggiavano varj ordini di doppieri. (SEGUE) NOTA AL TESTO 433 NOTA AL TESTO VI. LE FESTE DI MILANO PER LE NOZZE ARCIDUCALI VI.1 Descrizione delle Feste celebrate in Milano […] BAM, S.P. 6/5 IX.1, apografo, quaderno di mm 190 × 250, scritto con inchiostro marrone, numerato in blu dal Mazzoni, da p. 1 a p. 84 (pp. 1, 2, 82, 83, 84 in bianco); la scrittura è omogenea e sorvegliata, pochissime le cancellature. Sul retro di copertina compare la scritta: «L’Ab.e Parini si è l’Autore di questa descrizione». Il titolo occupa la p. 3. I titoli delle opere e dei balli sono sottolineati con inchiostro diverso (qui in corsivo). Bellorini II, pp. 45-72; Mazzoni, pp. 739-758. Reina pubblicò la Descrizione solo nell’edizione del 1825. Nello stesso anno il documento venne pubblicato in veste elegante anche dalla Società Tipografica dei Classici Italiani, cui l’aveva trasmesso proprio il Reina. Gli editori presentarono il volumetto come «spontaneo omaggio del cuore» all’imperatore d’Austria Francesco II e alla sua sposa, in occasione del loro arrivo a Milano. Un’edizione preparatoria della presente è stata allestita in Barbarisi 2000, pp. 3-18. Pur mancando l’attestazione dell’autografo, siamo sicuri che trattasi di opera del Parini, il quale ne conferma la paternità nel promemoria al Wilczeck del 1776 (vd. lettera VIII.28): Nelle nozze di S. A. R. volle il governo un dramma allusivo, da recitarsi alternando con quello dell’abate Metastasio; ed io lo composi ed assistetti all’esecuzione. Nella stessa occasione mi si comandò di fare una descrizione elegante delle feste nuziali; ed io la feci e la consegnai al segretario Trogher. Di queste due cose io non ebbi veruna rimunerazione […]. Il «dramma allusivo» è l’Ascanio in Alba. Vd. L. Nicora, I festeggiamenti a Milano per la promessa di matrimonio e le nozze di Maria Ricciarda Beatrice Cybo d’Este con l’Arciduca Ferdinando d’Austria, in AA.VV., Atti e memorie. Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, Modena, Aedes muratoriana, 1999, pp. 369-389. Per una lettura comparata della Descrizione delle Feste con le lettere coeve dei fratelli Verri, con il Diario inedito di Giambattista Borrani e con l’esposizione che ne fece la «Gazzetta di Milano», vd. i testi in P. Bartesaghi, Parini e le feste di Milano del 1771, Lecco, Stefanoni, 2001; G. Panzeri, Una festa dinastica a Milano: le ‘nozze arciducali’ del 1771 tra Ferdinando d’Austria e Maria Beatrice Ricciarda d’Este, tesi di laurea discussa presso l’Università degli Studi di Milano, a.a. 2003-2004, relatori E. Brambilla - C. Capra. Sulle differenze tra le descrizioni del Parini e di Pietro Verri, vd. G. Ricuperati, I lumi, gli intellettuali e la corte, in AA.VV., La corte nella cultura e nella storiografia. Immagini e posizioni tra Otto e Novecento, a cura di C. Mozzarelli - G. Olmi, Roma, Bulzoni, 1983, pp. 35-63. (SEGUE) (SEGUE) TELONE DEL TEATRO GRANDE ALLA SCALA 437 VII.1 [Soggetto per il telone del Teatro grande alla Scala] [1778] Apollo addita alle quattro Muse del teatro i modelli del bongusto nelle arti teatrali, fugando col suo splendore i vizj opposti alla perfezione di queste. Esposizione. Sopra un vago e luminoso gruppo di nuvole, le quali scenderanno dalla destra della tela alla sinistra ombreggiando la parte destra sottoposta ad esse, si vedrà un carro, tirato da quattro spiritosi e leggieri cavalli; sopra di quello sederà Apollo che, risplendendo di chiarissima luce, illuminerà tutta la composizione. Volgerà questi lo sguardo lieto e maestoso alle quattro Muse del teatro, situate alla parte sinistra sul piano della terra. Nello stesso tempo, piegandosi graziosamente col corpo e stendendo il destro braccio, mostrerà di parlare alle Muse e di additar loro con molto interesse alcuni busti d’uomini illustri, collocati nell’esteriore del Tempio dell’Immortalità che si vedrà sorgere alla destra di quelle. Intanto, per le fenditure delle nuvole che si stendono dietro del carro, scapperanno vivacissimi raggi, che andranno fra l’oscurità inferiore ad abbagliare e mettere in tumultuosa fuga varie figure, rappresentanti i vizj opposti alla perfezion del teatro. Dalla parte delle quattro Muse sorgeranno in bella disposizione varie piante di lauro, le quali, supponendosi che girino intorno a tutta l’estensione del Tempio, torneranno a comparire in distanza all’altro lato di questo. In tale lontananza potranno esser disposte in un gruppo le altre cinque muse e il cavallo Pegaso. La parte dove sono collocati i vizj sarà ingombra di piante selvagge ed indocili, che sorgeranno sopra un terreno incolto e dirupato. Lo spazio poi che venga a restare fra il Tempio e le nuvole, oppure sotto alle nuvole stesse, rappresenterà un ameno paesetto, per il quale serpeggerà l’acqua del fonte Aganippe, a cui voleranno intorno scherzando varj cigni. Le quattro Muse saranno: Melpomene musa della tragedia. Sarà di sembiante, di forme, d’atteggiamento serio ed augusto. Avrà abito ed acconciatura ricca e reale, coturni alle gambe, scettri e corone vicine a lei, pugnale nudo in mano. 438 SOGGETTI PER ARTISTI Talia musa della comedia. Avrà viso allegro e ridente, abito semplice, corona d’ellera in capo, specchio in mano. Erato musa delle rappresentazioni liriche. Avrà sembiante grazioso, occhi teneri, abito vago di colori e di forme, corona di mirti e rose in capo, lira in mano o vicina, amorino al fianco con arco, faretra, e facella accesa. Tersicore musa del ballo. Fisonomia gentile, corpo ed atteggiamento svelto, in atto grazioso, quasi di ballare; abito corto e leggiero; ghirlanda di varie piume in capo, e massime bianche e nere. Avrà una mano appoggiata ad un’arpa. Queste figure saranno collocate nell’ordine sopra indicato. Alcune saranno attentissime all’atto ed alle parole d’Apollo, ed alcun altra sarà in atto di volgersi guardando, o mostrando alla compagna i busti degli uomini illustri indicati da lui. I Vizj opposti verranno rappresentati in uno stuolo di donne baccanti, di satiri, di fanciulli, di capri, di uccelli notturni ec. in atto di fuggir dalla luce d’Apollo. Tra queste figure domineranno spezialmente: Il cattivo Gusto. Sarà un giovinetto nudo, di fisonomia stupida e di fattezze grossolane, con due grandi orecchie d’asino e una zampogna in mano. Sarà in atto di saltar giù fuggendo da un sasso rozzamente scolpito e rappresentante una figura con testa e crine da cavallo, viso e collo di donna, corpo e piedi d’uccello, coda di pesce. La Licenza. Baccante scapigliata, mezzo nuda, viso tinto di mosto, corona di viti in capo, tirso in mano. Sarà in atto di fuggire schermendosi con una mano dai raggi d’Apollo, che la percotono. La Scurrilità. Satiro, che fuggendo fa un movimento buffone; e colla bocca fa delle smorfie ad un fanciullo vicino a lui, mentre questi si tiene con una mano al viso una grande maschera caricata e ridicola. Tutta questa parte della composizione sarà aggruppata e ammassata a piacer del pittore. Se gli giova, potrà anche introdurvi un piccol palco, che cade per il tumulto di quelli che fuggono e caderanno con esso rotoli di scritti, maschere, e stromenti rozzi e imperfetti, come cembali, crotali, e simili. Svolazzerà sopra il detto palco una tenda, appesa irregolarmente ai rami degli alberi. Il Tempio dove si vedranno collocati i busti degli uomini illustri indicati da Apollo, sarà di forma rotonda, circondato da un portico. Nella parete, che apparirà fra gl’intercolonni di questo, vi saranno delle nic- Fig. 1 – Domenico Riccardi, Bozzetto del telone del Teatro alla Scala (Milano, Museo teatrale alla Scala). 440 SOGGETTI PER ARTISTI chie con busti. La prospettiva sarà condotta in maniera che all’occhio degli spettatori finti e reali si presentino almeno quattro degl’intercolonni; che si vedano distintamente le forme dei busti collocati nelle nicchie, e possano leggersi le iscrizioni poste nel piedestalo di questi. Nella nicchia più lontana si vedrà un busto rappresentante un uomo vecchio barbato, con panneggiamento greco. Nella base del piedestallo vi sarà scritto a caratteri d’oro SOPHOCLES. Nella nicchia seconda un uomo piuttosto giovane e sbarbato, con panneggiamento latino, e iscrizione ec. TERENTIUS. Nella terza un bel vecchio sbarbato, con panneggiamento nobile a piacere, e iscrizione: METASTASIUS. Nelle seguenti nicchie, che per la prospettiva saranno visibili, compariranno i piedestalli, ma senza busti sopra. L’architettura del Tempio potrà essere d’uno o più ordini, avvertendo però che vi sia conciliato colla grandiosità la maggior esattezza, semplicità, e purità possibile dell’arte. Sarà libero al pittore di scegliere il partito che più gli piace per questo lavoro, salve però le cose essenziali del soggetto, e i rapporti necessari alla integrità di esso. [Fig. 1] (SEGUE) (SEGUE) 444 SOGGETTI PER ARTISTI VII.3 [Palazzo di Corte] [1778] VII.3.1 S.A.R. ha ordinata la composizione di tre soggetti per le medaglie di tre stanze diverse, come pure la composizione dei soggetti per li sovraporte rispettivi delle medesime stanze. Per riguardo a questi ultimi sarebbe necessario d’intendersi col pittore per la convenevole grandezza delle figure, poichè dalla grandezza dipende il numero di queste, e dal numero la scelta de’ soggetti. Frattanto i soggetti per ciascuna delle tre medaglie sono i seguenti. Gabinetto di S.A.R. la Sig.ra Arciduchessa Medaglia 1. Amore e Psiche. Gli antichi nella favola degli amori di Cupido e di Psiche pare che fra l’altre cose intendessero d’insegnare che allora termina l’amore quando non resta più nulla da desiderarsi, e che il più dolce e costante solletico di quello sia il misterio. In questa medaglia vedrassi Cupido seduto sovra a) un gruppo di nuvole, tenendosi una parte del viso e delle membra ingombrata d’un sottilissimo velo. A lato di lui, portata dal vento Zefiro, e in atto di giugnere appena, comparirà Psiche. Le due figure si abbracceranno focosamente. Ma intanto che Psiche si sforza di scoprire il viso a Cupido, questi cercherà d’impedirnela, opponendosi colla mano e rivolgendo il viso da lei. Negli atti e nell’espressione Psiche mostrerà quanto è mai possibile l’amore, l’impazienza e la curiosità irritata dall’ostacolo. Cupido insieme all’affetto farà vedere anche la pena b) che uno ha di dover suo malgrado negar qualche cosa ad una persona amatissima. I moti dell’una saranno perciò più violenti, e quelli dell’altro risoluti bensì, ma nello stesso tema) b) A: sovra] sopra A: Cupido insieme all’affetto farà vedere anche la pena] e Cupido farà vedere, insieme all’affetto, anche la pena, Fig. 3 – G. Traballesi, «Amore e Psiche» (Milano, Palazzo Reale). 446 SOGGETTI PER ARTISTI po teneri ed affettuosi. La faretra si rovescerà a) dalle spalle di Cupido, in modo che ne caschino i dardi, oppure giacerà similmente negligentata in compagnia dell’arco sopra la nuvola. Il vento Zefiro avrà la forma d’un bel giovane coll’ali di farfalla e coronato di fiori. b) Sarà in atto ad un tempo di volare portando Psiche e di fermarsi al luogo del suo destino. Varj Genj potranno scherzare coerentemente all’azione. Alcuni spargeranno fiori, e qualche altro, sia opponendosi colle ale, sia ritenendo il velo, cercherà d’impedir sempre più che Psiche non vegga in volto c) Cupido. Volerà parimenti, secondo che torni meglio, intorno a Psiche una grande farfalla, antico simbolo di lei. In tutta questa pittura dominerà la più grande vaghezza possibile di colorito e di tinte. d) [Fig. 3] (SEGUE) a) b) c) d) A: si rovescerà] penderà rovesciata A: di fiori.] di varietà di fiori. A: in volto] il volto di In A la frase In tutta questa…e di tinte. è stata aggiunta posteriormente, con altra grafia NOTA AI TESTI 561 NOTA AI TESTI VII. SOGGETTI PER ARTISTI VII.1 [Soggetto per il telone del Teatro grande alla Scala] BAM, S.P. 6/5 VIII.9, autografo calligrafico, 2 bifogli grandi di mm 225 × 345, scritti a piena pagina. Apografo il titolo (la specificazione «del Teatro della Scala» fu aggiunta nell’interlinea da Reina). Sul primo bifoglio è trascritto il soggetto per il telone (Reina, V, pp. 3-8; Bellorini II, pp. 85-87; Mazzoni, pp. 891893), sulla prima facciata del secondo (le altre 3 in bianco) è ricopiata la lettera indirizzata dal Parini a Giovan Battista d’Adda il 6 giugno 1778 (vd. Nota VIII.31), l’autografo della quale, non conservato fra i manoscritti ambrosiani, è riprodotto in fac-simile nel volume Il Teatro della Scala dagli inizi al 1794 nei documenti ufficiali inediti dell’Archivio Borromeo Arese, Milano, Biblioteca Ambrosiana, 1929, tav. XIII. I 2 bifogli sono a loro volta contenuti all’interno di un altro bifoglio, di dimensioni minori (mm 185 × 245), sulla prima facciata del quale si legge la seguente lettera: Il Garbagnati si fa un piacere di rassegnare allo stimatissimo cittadino Reina la copia del soggetto eseguito sul telone del teatro grande alla Scala dalli fratelli Ricardi, e composto dal celebre abate Parini e vi ha unito anche la copia della lettera ch’egli ha scritto in ringraziamento della ricognizione datagli di 50. zecchini ossia d’una tabacchiera d’oro di detto valore. Si presenta con stima e consid.e Da casa 4 giugno 1801. La notte del 25 febbraio 1776 un incendio distrusse il Teatro Ducale di Milano. Poco dopo, esattamente il 7 marzo dello stesso anno, i palchettisti del Teatro Ducale elessero un gruppo di nobiluomini milanesi col preciso compito di condurre i lavori di edificazione di un nuovo teatro. Si trattava dei cosiddetti Cavalieri Delegati della Scala: il marchese Pompeo Litta, il conte Vitaliano Bigli, il duca Giovanni Galeazzo Serbelloni; come segretario fu scelto Gaetano Garbagnati. Li coadiuvarono altri nove soci, fra i quali il marchese Giovan Battista d’Adda. Nella seduta del 4 gennaio 1778, d’Adda fu incaricato di commissionare al Parini o a «qualunque altro a lui più benviso soggetto intelligente» l’argomento per il telone del teatro; nella seduta del 3 febbraio d’Adda lesse il testo del Parini, che fu «sommamente commendato e pienamente approvato» e affidato a Domenico Riccardi, che ne eseguì almeno tre schizzi. L’ultimo, conservato nel Museo della Scala, fu approvato definitivamente il 28 maggio. Sui soggetti, in generale, vd. W. Binni, La poesia del Parini e il Neoclassicismo (1955), in Id., Classicismo e neoclassicismo nella letteratura del Settecento, Firenze, La Nuova Italia, 1963, pp. 191-208; P. Frassica, Appunti sul linguaggio figurativo del Parini dal Giorno ai Soggetti, «Ae» 50 (1976), pp. 565-587; Savarese; Barbarisi 2000, pp. XI-XXIII (nello stesso volume, per la prima volta, ac- 562 NOTA AI TESTI canto ai testi dei soggetti sono riprodotte le realizzazioni dei pittori); L. Nicora, Giuseppe Parini dal Teatro Ducale alla Scala, in Barbarisi et al. 2000, II, pp. 911931; S. Morgana, Parini e il linguaggio figurativo neoclassico. Proposte di lettura dei Soggetti, in AA.VV., Storia della lingua e storia dell’arte in Italia, Firenze, Cesati, 2004, pp. 275-293. La collaborazione tra il Parini e il marchese d’Adda per il telone del Teatro alla Scala ha indotto l’ipotesi che il Parini fosse il «mentore della scelta dei temi» del ciclo di cinque tele e di alcuni affreschi, eseguito nel 1778 da Francesco Corneliani presso la villa di Giovan Battista d’Adda a Cassano d’Adda, con la traduzione pittorica di alcuni episodi del Pastor fido di G.B. Guarini. Vd. A. Morandotti, Francesco Corneliani, in M. Gregori (a cura di), Pittura a Milano dal Seicento al Neoclassicismo, Milano, Cariplo, 1999, pp. 316-317. Su Corneliani, vd. Nota VII.5. (SEGUE) NOTA AI TESTI 563 (SEGUE) VII.3 [Palazzo di Corte] In vista dell’insediamento a Milano dell’arciduca Ferdinando, subentrato a Francesco d’Este, duca di Modena e Reggio, capitano generale e amministratore della Lombardia austriaca, il conte di Firmian, nel 1769, per realizzare una sede degna, chiamò a Milano Luigi Vanvitelli, reso celebre dalla costruzione della Reggia di Caserta, da lui conosciuto nel 1753 a Napoli, dove per incarico di Kaunitz stava preparando il matrimonio di Maria Carolina, figlia dell’imperatrice, con Ferdinando IV di Borbone. Avendo Vienna avanzato riserve sul progetto per i costi eccessivi, Vanvitelli si ritirò e raccomandò il proprio allievo Piermarini, che dal 1770 al 1778 – mentre la famiglia arciducale risiedeva a Palazzo Clerici – portò a compimento l’opera di radicale trasformazione dell’antico Broletto dei Consoli del Comune, ampliato con sfarzo da Gian Galeazzo Visconti, e sede permanente del governatore spagnolo (vd. Fig. 2). Ai decori interni, protrattisi e continuamente arricchiti nel tempo, attesero i maggiori artisti: Knoller, Traballesi, Franchi, Albertolli, Callani, Levati, Appiani, Monticelli, Maggiolini. Il palazzo è stato gravemente danneggiato nel corso dei bombardamenti dell’agosto 1943. I soggetti per affreschi e ornati del Palazzo di Corte videro il Parini impegnato a più riprese, in corrispondenza con le commissioni affidategli dall’arciduca nelle diverse fasi di adattamento alle rispettive funzioni delle sale del piano nobile, nel quale si collocarono oltre all’appartamento arciducale (gabinetto per l’arciduchessa, stanze da letto per l’estate e per l’inverno, gabinetto dell’arciduca o terza stanza, sala da pranzo), le tre sale di rappresentanza con l’esposizione degli arazzi, e infine la grande sala per le udienze. Purtroppo, i manoscritti (autografi e apografi) non sono stati ordinati secondo questo schema cronologico, né secondo un preciso ordine logico. Tuttavia, esaminando attentamente le indicazioni dal Parini stesso sparsamente disseminate, è possibile perfezionare il quadro rispetto ai precedenti editori e ricostruire le diverse fasi degli interventi. In un primo tempo l’arciduca commissionò a Parini tre medaglie con i relativi sovraporti per tre stanze: il gabinetto dell’arciduchessa; la stanza da letto per l’estate; la «terza stanza». Parini dettò subito i soggetti per le medaglie, rinviando (come si legge nella conclusione della prima relazione) la descrizione dei soggetti per i sovraporti ad un secondo momento, dopo l’approvazione delle medaglie, la scelta dell’artista, l’indicazione esatta della misura delle figure. Questi i soggetti delle tre medaglie: 1. per il gabinetto dell’arciduchessa: Amore e Psiche; 2. per la stanza da letto per l’estate: Le Nozze d’Ercole divinizzato; 3. per la terza stanza: I riposi di Giove (VII.3.1). 564 NOTA AI TESTI Successivamente il Parini, come previsto, provvide a completare il progetto per le tre stanze con i soggetti per gli ornati nel modo seguente. – Per il gabinetto dell’arciduchessa quattro sovraporti: Le quattro doti principali, che contribuiscono alla felicità dell’Amore – La Sincerità, Il Pudore, La Fermezza, La Fecondità (VII.3.2). In un primo tempo il Parini aveva pensato alla rappresentazione allegorica di sei virtù: Continenza, Semplicità, Pudicizia, Fermezza, Sincerità, Fecondità, come si evince da un rapido appunto autografo (vd. qui sotto). – Per la stanza da letto per l’estate quattro piccoli scudi: Imprese di Ercole (VII.3.3); e quattro sovraporti: Piccoli Genj e Amorini (VII.3.4). – Per la terza stanza sei sovraporti: L’origine delle Belle Arti – La Poesia Epica e Lirica, La Poesia Drammatica, La Musica, La Danza, L’Architettura, La Scultura e la Pittura (VII.3.5); e quattro piccole medaglie: Gli effetti delle Belle Arti (VII.3.6). Di questi soggetti per sovraporti e piccole medaglie esiste anche un apografo calligrafico (BAM, S.P. 6/5 VIII.4), al quale fa seguito Il giudizio di Paride, causa di una divergenza di opinioni fra Parini e il committente, come accenna Reina: «Il giovane Arciduca ostinatamente voleva che vi si dipingesse nella sala di pubblica udienza il Giudizio di Paride; glielo dissuase egli, e vi sostituì una nobile favola adatta alla maestà del luogo» (Reina, I, p. XXI). Infatti, il Giudizio non venne qui eseguito, e fu alla fine sostituito da Il ritorno d’Astrea. Il Giudizio fu poi utilizzato da Knoller, come si vedrà (vd. VII.4), per Palazzo Taxis a Innsbruck. Ricapitolando, quindi, il progetto completo risultò nel modo seguente. Gabinetto dell’arciduchessa – medaglia: Amore e Psiche, G. Traballesi; – quattro sovraporti: Le quattro doti principali, che contribuiscono alla felicità dell’Amore, M. Knoller. Stanza da letto per l’estate – medaglia: Ercole divinizzato, M. Knoller; – quattro sovraporti: Piccoli Genj e Amorini, M. Knoller; – quattro scudi: Imprese di Ercole. Terza stanza – medaglia: I riposi di Giove, G. Traballesi; – sei sovraporti: L’origine delle Belle Arti; – quattro scudi: Gli effetti delle Belle Arti. In calce alla bella copia della medaglia di Minerva di Palazzo Greppi (vd. VII.3.7 e VII.5.2), si legge, in calligrafia autografa più affrettata, la seguente annotazione, preziosa per ricostruire la successione dei sei progetti dal Parini studiati dopo i primi tre: «Composizioni fatte per S.A.R. dopo le prime. | Sala a mangiare. La Dea Salute ed ornati. | Sala da dormire. L’Aurora e sovraporte. | Prima stanza delle Tapezzerie. Frisso ed Elle. Sovraporte. | Seconda stanza. Giove fulminante. Sovraporte. | Terza stanza. L’apoteosi di Giasone. Sovraporte» (vd. NOTA AI TESTI 565 Nota VII.3.7). A questi se ne sarebbe poi aggiunto un ultimo, per la sala d’Udienza. Sala a mangiare – medaglia: La Dea Salute (VII.3.7), G. Traballesi; – due scudi: uno rappresenta Como, dio dei conviti, attorniato dai Lari, e l’altro il Genio buono con altri Piccoli Genj (VII.3.8); – undici bassorilievi: Puttini e Amorini in vari atteggiamenti graziosi (VII.3.9). Stanza da letto per l’inverno – medaglia: L’Aurora intempestiva (VII.3.10), M. Knoller; – sei sovraporti, distribuiti nel centro e nei due lati opposti della stanza in quest’ordine: Zefiro-Flora | Cefalo-Procri | Paride-Enone (VII.3.11). Decorazioni per le tre stanze degli Arazzi. Prima stanza degli Arazzi (arazzi compiuti dai Gobelins: La fuga di Medea, Giasone che doma i tori, Creusa vittima della vendetta di Medea) – medaglia (esecuzione non reperita): Frisso ed Elle (VII.3.12); – sovraporti (numero imprecisato): Puttini che scherzano con strumenti militari (VII.3.13), M. Knoller; – sei piccoli scudi accanto ai sovraporti: Storie di Cadmo, Minerva, Giasone (VII.3.14); – quattro cammei superiori: Giove, Apollo, Mercurio, Bacco; – quattro cammei di mezzo: Cibele, Giunone, Diana, Venere; – quattro cammei: Ercole, Teseo, Perseo, Minos. Seconda stanza degli Arazzi (arazzi compiuti dai Gobelins: Giasone s’impadronisce del vello d’oro, I soldati nati dai denti del serpente volgono le armi contro se stessi) – medaglia: Giove fulminante (VII.3.16), A. Monticelli; – sei sovraporti: Storie di Fineo, Giasone, Medea (VII.3.17), G. Traballesi; – sei piccoli scudi: Eroi antichi (non ben definiti); – quattro cammei superiori: Chirone, Euristeo, Esculapio, Giano (VII.3.18); – quattro cammei di mezzo: Bacco, Ercole, Castore e Polluce, Romolo; – quattro cammei inferiori: Teseo, Perseo, Minos, Enea. Terza stanza degli Arazzi (arazzi compiuti dai Gobelins: Sposalizio di Giasone e Creusa, Giasone giura fedeltà a Medea) – medaglia: L’apoteosi di Giasone (VII.3.19), M. Knoller; – sovraporti (numero imprecisato): Puttini con armi e vasi (VII.3.20), M. Knoller; – quattro cammei: Baccanti (VII.3.21); – quattro cammei: La Virtù, L’Onore, La Pace, La Vittoria (VII.3.21); – quattro cammei: L’Agricoltura, La Popolazione, Le Lettere, Le Arti e il Commercio (VII.3.21); – quattro cammei con teste coronate (VII.3.21). Nell’esecuzione, la seconda e la terza stanza vennero invertite (e così sono oggi conservate dopo i restauri). 566 NOTA AI TESTI Infine, venne richiesta a Parini la decorazione della Sala d’Udienza, che fu così concepita: – medaglia: Il ritorno d’Astrea (VII.3.22); – sei cammei: Puttini e fauni (VII.3.23); – sei sovraporti: Le virtù che accompagnano La Giustizia – La Clemenza, La Discrezione, Il Premio, Il Gastigo, La Fermezza, La Prontezza (VII.3.24), M. Knoller. Su Palazzo di Corte, sugli artisti che vi operarono e sulle loro realizzazioni, vd. AA.VV., Civiltà di Lombardia. La Lombardia delle Riforme, Milano, Electa, 1987; E. Colle, Il palazzo Reale di Milano: fonti storiche e inventari per una destinazione museale, «Castello Sforzesco - Rassegna di studi e di notizie» 17 (1993), pp. 57-98; E. Colle - F. Mazzocca (a cura di), Il Palazzo Reale di Milano, Milano, Skira, 2001, in part. F. Mazzocca, Le decorazioni, i dipinti e le sculture, pp. 161206; F. Mazzocca - A. Morandotti - E. Colle, Milano neoclassica, Milano, Longanesi, 2001, in part. F. Mazzocca, Palazzo di Corte (o Arciducale), poi Palazzo Reale, pp. 131-152; Il Neoclassicismo in Italia da Tiepolo a Canova, catalogo della mostra di Palazzo Reale (2 marzo - 28 luglio 2002), Milano, Skira, 2002. Sulla scuola artistica di Brera, vd. AA.VV., Mostra dei Maestri di Brera (1776-1859), catalogo della mostra, Milano, Permanente, 1975; vd. inoltre i contributi (con relativa bibliografia) di F. Valli, A. Oldani, C. Nenci, in Barbarisi et al. 2000, II, pp. 993-1064. Su questi artisti e su quelli che lavorarono a Villa Belgiojoso, poi Reale (vd. VII.8), vd. E. Bianchi, Biografie degli artisti, in Mazzocca - Morandotti - Colle, Milano neoclassica cit., pp. 599-637. Giocondo Albertolli (Bedano, Canton Ticino, 1742 - Milano 1839), formatosi nella Parma di Ennemond-Alexandre Petitot (1727-1801), cominciò la sua attività a Milano nel 1774, e dal 1776 al 1812 fu professore di ornato presso l’Accademia di Brera. Vd. Samek 1959b, pp. 545-548; P. Mezzanotte, s.v., in D.B.I., 2, 1960, pp. 759-760; A. Gonzalez-Palacios, Disegni di Giocondo Albertolli, «AI» 4 (1971), pp. 24-33; G. Beretti, Giocondo Albertolli. Le volte per il Palazzo Ducale di Milano e la «nuova maniera d’ornare», «Castello Sforzesco Rassegna di studi e di notizie» 21 (1997), pp. 55-98; E. Colle, Giocondo Albertolli. I repertori d’ornato, Cinisello Balsamo, Silvana editoriale, 2002. Andrea Appiani (Milano 1754-1817) intervenne con affreschi a Palazzo Greppi e lavorò con Traballesi nel Palazzo di Corte, ove, accanto a Giuseppe Levati, eseguì pannelli a tempera per la sala degli Arazzi. A lui il Parini indirizzò il sonetto Fingi un’ara, o Pittor. Viva e festosa (Mazzoni, p. 397; vd. il disegno esecutivo di Appiani in Barbarisi 2000, pp. 155 e 157) e l’ode Te di stirpe gentil (Mazzoni, pp. 513-514), rimasta incompiuta al v. 14. Vd. Samek 1959a, pp. 548572; A. Ottino Della Chiesa, s.v., in D.B.I., 3, 1961, pp. 616-620; H. Honour, The Italian Empire Style, «Apollo» 80 (1964), 31, pp. 226-236; A. Zanchi, Andrea Appiani, Bologna, Clueb, 1995; F. Mazzocca, Andrea Appiani, in Gregori (a cura di), Pittura a Milano dal Seicento al Neoclassicismo cit., pp. 323-324. Di un certo interesse per la riproduzione di materiale in parte inedito del Fondo Custodi della Bibliothèque Nationale di Parigi, G.L. Mellini, Dalle carte di Francesco Reina per la biografia di Andrea Appiani, «Lab» 10 (1986), pp. 103-127 (a NOTA AI TESTI 567 p. 112 si legge, tra l’altro, il seguente giudizio: «Lagnasi da principio il Parini spezialmente della povertà delle sue [dell’Appiani] invenzioni»). Gaetano Callani (Parma 1736-1809) frequentò l’Accademia di Belle Arti di Parma. Nel 1774 incontrò Anton Raphael Mengs (1728-1779) e, nello stesso anno, in collaborazione con il Franchi, lavorò a Milano nella decorazione della sala delle Cariatidi (finita nel 1776), disegnata dal Piermarini. Il 21 maggio 1775 fu nominato dalla Corte parmense «pittore e scultore di corte». L’11 settembre 1794 ricevette dal granduca di Toscana Ferdinando III il diploma di professore all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Lasciò Milano nel 1780 e con il cognato, Agostino Gerli (1744-1817), pittore ornatista, si recò a Roma. Tornato a Parma, riprese la sua attività di insegnante all’Accademia. Vd. Samek 1959b, pp. 599601; P. Ceschi Lavagetto, s.v., in D.B.I., 16, 1973, pp. 732-734; E. Riccomini, Gaetano Callani e il neoclassicismo cattolico, in AA.VV., L’arte del Settecento emiliano. L’arte a Parma dai Farnese ai Borbone, catalogo della mostra di Parma, Bologna, [s.e.], 1979, pp. 169-184; R. Losagni, s.v., in Dizionario biografico dei parmigiani, Parma, P.P.S. editrice, I, 1999, pp. 795-797. Giuseppe Franchi (Carrara 1731 - Milano 1806) si formò prima a Parma (1755-1757), poi a Roma nell’ambiente del Winkelmann. Nel 1776 accettò la nomina di professore alla Cattedra di Scultura alla Accademia di Brera, diventata operante nel 1778, e si trasferì a Milano, dove divenne consigliere d’arte di Ferdinando e di Massimiliano d’Austria. Un riferimento al Franchi e al pittore Martin Knoller, che il Parini presentò come garanti del proprio costante impegno per le belle arti e la letteratura, è nella lettera del 1783 al Wilczeck (vd. VIII.42). Nella polemica del 1776 su Ferguson e Raffaello, alla quale partecipò indirettamente anche il Parini (vd. III.6 e relativa Nota), vennero attribuite al Franchi alcune lettere la cui paternità fu poi smentita. Tra il Parini e il Franchi i rapporti furono cordiali: lo scultore carrarese scolpì il busto del poeta, da questi conservato nel proprio studio, successivamente collocato in una nicchia presso l’aula in cui il Parini aveva insegnato (Vicinelli, ill. 14), e ora visibile nel porticato esterno del primo piano del Palazzo di Brera. Vd. Samek 1959b, pp. 597599; F. Mazzocca, Giuseppe Franchi, in F. Mazzocca - A. Morandotti (a cura di), La Milano del Giovin Signore. Le arti nel Settecento di Parini, Milano, Skira, 1999, p. 221; C. Brook, s.v., in D.B.I., 50, 1998, pp. 96-98. Martin Knoller (Steinach, Tirolo, 1725 - Milano 1804) si formò prima a Innsbruck, poi a Vienna. Tra il 1755 e il 1758 e tra il 1760 e il 1761 soggiornò a Roma ed entrò in contatto con Winkelmann e Mengs. A Napoli incontrò il conte Carlo di Firmian, che, divenuto ministro plenipotenziario a Milano, lo invitò nel capoluogo lombardo, dove cominciò a svolgere un’intensa attività pittorica, che non gli impedì di lavorare anche in Germania (Monaco di Baviera) e in Austria. Ogni estate Knoller si recava in Tirolo per decorare chiese e palazzi; a Innsbruck, fra il 1785 e il 1786, eseguì affreschi nel palazzo del conte Thun und Taxis. Nel 1792 fu nominato professore aggiunto alla Cattedra di Disegno dell’Accademia di Brera, dove insegnò fino alla morte. Vd. E. Baumgartl, Martin Knollers Werke für die Grieser Stiftskirke. Martin Knoller (1725-1804) als Denkenmaler, «Die Schlern» 62 (1988), pp. 32-56; Id., Zum Palazzo Reale in Mailand in späten 18. Jahrhundert. Martin Knollers Arbeiten im Dienste der 568 NOTA AI TESTI habsburgischen Herrschaftsallegorie, «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst» 41 (1990), pp. 123-146; F. Mazzocca, Parini, Knoller, Appiani. I nuovi esiti del neoclassicismo a Milano, in Mazzocca - Morandotti (a cura di), La Milano del Giovin Signore cit., pp. 134-147 e 221, 233, 235. Giuseppe Levati (Concorezzo 1739 - Milano 1828) lavorò dapprima nella falegnameria del padre nel paese natale e a Milano poi. Qui si formò come pittore di architetture e di ornati con Antonio Agrati e Giuseppe Vincenzi, detto il Comaschino. Fu tra i primi ad adottare il nuovo stile introdotto da Agostino Gerli, che divenne tipico delle decorazioni neoclassiche, e ottenne committenze presso numerose famiglie altolocate (Mellerio, Borromeo, Litta). Autore di disegni ornamentali, poi utilizzati dal Maggiolini, fu professore di prospettiva all’Accademia di Brera dal 1802 all’anno prima della sua morte. Suoi gli ornati dipinti della prima e della terza sala degli Arazzi nel Palazzo di Corte di Milano. Vd. Samek 1959a, pp. 544-545; S. Righini Ponticelli, Agostino Gerli e le decorazioni di Palazzo Mellerio, in AA.VV., Palazzo Mellerio. Una dimora nobiliare della Milano neoclassica, Cinisello Balsamo, Silvana editoriale, 1996, pp. 68-97; E. Bianchi, Villa d’Adda, poi Villa Borromeo d’Adda, Cassano d’Adda, in Mazzocca - Morandotti - Colle, Milano neoclassica cit., pp. 261-272. Giuseppe Maggiolini (Parabiago 1738-1814) si impiegò inizialmente come garzone presso la falegnameria del Monastero di Sant’Ambrogio della Vittoria, nei pressi del paese natale, dove aprì successivamente un laboratorio personale. Per interessamento di Giuseppe Levati cominciò a lavorare per la Corte asburgica e collaborò agli addobbi per le feste delle nozze arciducali del 1771. Ricevette ed eseguì commissioni a Genova, Parma, Vienna e Pietroburgo. Spesso si avvalse di disegni di Levati, Gerli, Albertolli e Appiani, e li tradusse in intarsi policromi. Alla morte, la sua bottega fu continuata dal figlio Carlo Francesco e da Cherubino Mezzanzanica. Vd. Samek 1959b, p. 615; E. Colle, «Dipingere coll’intarsiatura in legno»: appunti sul mobile intarsiato lombardo, «Castello Sforzesco - Rassegna di studi e di notizie» 22 (1995), pp. 105-146; F. Capobianco, s.v., in The Dictionary of Arts, XX, London, 1996, p. 90; E. Colle, Il Ducato di Milano: decorazioni d’interni e manifatture, in Il Neoclassicismo in Italia da Tiepolo a Canova, catalogo della mostra di Palazzo Reale (2002) cit., pp. 339-367. Angelo Monticelli (Milano 1778-1837) fu allievo dell’Appiani. Nel 1821, in seguito al deterioramento del primo sipario della Scala, quello realizzato da Domenico Riccardi su indicazioni del Parini, preparò il secondo sipario raffigurante Le Arti e le Scienze che concorrono al perfezionamento del teatro italiano (bozzetto nel Museo teatrale della Scala). L’affresco del Giove fulminante nel Palazzo di Corte di Milano venne a lui attribuito da G. Vandoni, Illustrazione storico artistica dei Reali Palazzi di Milano, Milano, 1863 (citato da Mazzocca, Le decorazioni, i dipinti e le sculture cit., pp. 181 e 204). Ignota la data dell’esecuzione; dato il precario stato di conservazione dell’affresco, non è possibile valutare fino a che punto Monticelli abbia rispettato le indicazioni del Parini. Sul sipario, vd. G. Barigazzi, La Scala racconta, Milano, Rizzoli, 1984, pp. 38-39. Giuliano Traballesi (Firenze 1727 - Milano 1812), dopo aver ottenuto il primo premio nel concorso dell’Accademia di Belle Arti di Parma nel 1764, con un soggetto di argomento storico, si stabilì a Milano nel 1765, grazie all’interessa- NOTA AI TESTI 569 mento di Giocondo Albertolli. Divenne professore di pittura presso l’Accademia di Brera, dove insegnò per volontà del Kaunitz dal 1776 al 1807. Lavorò alla decorazione dei grandi cantieri neoclassici, di committenza sia pubblica sia privata. Vd. Samek 1959a, pp. 531-534; M.C. Bandera Viani, Profilo di Giuliano Traballesi, «AC» 76 (1988), 725, pp. 119-138; 726, pp. 177-196; S. Coppa, Giuliano Traballesi, in G. Briganti (a cura di), La pittura in Italia. Il Settecento, I, Milano, Electa, 1990, p. 883; F. Mazzocca, Giuliano Traballesi, in Gregori (a cura di), Pittura a Milano dal Seicento al Neoclassicismo cit., in part. pp. 51-58, 319-320. VII.3.1 BAM, S.P. 6/5 VIII.13, pp. 11-18, autografo anepigrafo calligrafico, 2 bifogli grandi di mm 220 × 333, scritti a piena pagina su 4 facciate (l’ultima solo nel terzo superiore). Si tratta sicuramente della bella copia dei primi tre soggetti commissionati a Parini per le medaglie di tre stanze (vd. la prima medaglia in Reina, V, pp. 35-37; Bellorini II, pp. 102-103; Mazzoni, pp. 900-904, con l’inserimento del foglio volante, di cui vd. VII.3.5). Una prima redazione (A), anch’essa in scrittura calligrafica autografa, della medaglia 1 (Amore e Psiche) per il Gabinetto dell’arciduchessa, è conservata su un bifoglio grande, uguale ai precedenti, scritto a piena pagina sulla prima facciata e 6 righe della seconda (BAM, S.P. 6/5 VIII.13, pp. 19-20), di cui vengono registrate in apparato le varianti (questo foglio fa da cartelletta ad altri, numerati da 21 a 30). In alto, l’annotazione del Reina: «IV. Soggetti per il Palazzo di Corte». Una prima redazione (A), anch’essa in scrittura calligrafica autografa, della medaglia 2 (Le Nozze d’Ercole divinizzato), per la stanza da letto per la state è conservata su un bifoglio grande di mm 220 × 333, scritto su piena pagina nella prima facciata e su gran parte della seconda (BAM, S.P. 6/5 VIII.13, pp. 33-34), di cui vengono registrate in apparato le numerose varianti. Sulla redazione definitiva della seconda medaglia, qui riportata nel testo (vd. Reina, V, pp. 39-41; Bellorini II, pp. 104-105; Mazzoni, pp. 901-902), è esemplato l’apografo che figura in BAM, S.P. 6/5 VIII.6, pp. 15-16. Una prima redazione (A), anch’essa in scrittura calligrafica autografa, della medaglia 3 (I riposi di Giove), per la terza stanza è conservata su un bifoglio grande di mm 305 × 210, scritto su piena pagina nella prima facciata e gran parte della seconda (BAM, S.P. 6/5 VIII.13, pp. 45-46), di cui vengono registrate in apparato le numerose varianti. Questo bifoglio raccoglie, come in una cartella, diversi altri fogli, numerati da p. 47 a p. 70 (vd. VII.3.5 e VII.5.4). Vd. la terza medaglia in Reina, V, pp. 42-45; Bellorini II, pp. 106-108; Mazzoni, pp. 902-903. (SEGUE) (SEGUE) EPISTOLARIO 599 VIII.1 [A S.A.S. amministratore della Lombardia austriaca duca di Modena Francesco III d’Este] [1763] L’Abate Parini sendo per far l’edizione di un suo Poemetto nominato il Mattino, dimanda la privativa | dell’edizione per tre anni, colla | proibizione all’introdurlo, e venderlo | stampato fuori di Paese. VIII.2 [Al maresciallo conte Gian Luca Pallavicini – Bologna] Eccellenza Il D.r Becelli al suo ritorno da Bologna ha lusingato fortemente l’amor proprio dell’autor del Mattino coll’annunciargli che un Personaggio illustre, di cui la miglior parte di Milano si rammenta ancora con piacere e con sentimenti di gratitudine e d’ammirazione la giustizia, l’umanità, la munificenza, e la magnificenza, ha fatto qualche conto della sua Operetta, ed ha mostrato di desiderarne il seguito. Io non ho potuto resistere a un così potente solletico della gloria letteraria, e coll’occasione del pubblicarsi il Mezzogiorno, Poemetto consecutivo al Mattino, ho voluto procurarmi l’onore di presentarmi rispettosamente a V. E. in qualità d’Autore dell’una e dell’altra operetta, e di esporre al suo dilicato giudizio quest’ultima, sperando che V. E. voglia aver per lo Mezzogiorno quella generosa condiscendenza che mi viene detto aver Lei dimostrato per lo Mattino. Niuna cosa è più atta ad empir di consolazione e di coraggio l’animo degli Scrittori, quanto il vedere al nostro tempo grandi personaggi mostrare un generoso interesse anche per gli talenti più mediocri. V. E. si distingue fra gli altri, perchè, sebbene la finezza del suo gusto mi debba collocare in un mezzano posto tra i poeti d’Italia, nondimeno la sua magnanimità le fa avere tanta cura di me, quanta si potrebbe sperare da quelli che mi sono di gran lunga superiori. Quindi è ch’io serberò eternamente nel mio cuore que’ vivissimi affetti di compiacimento e di riconoscenza, co’ quali ora ho l’onore di protestarmi col più umile ossequio. Di V. E. Um.mo Div.mo e Obb.mo Serv.re Giuseppe Parini Mil.o 17 Agosto 1765. 600 EPISTOLARIO VIII.3 [A Paolo Colombani – Venezia] Fu per errore che esibii a V. S. Riv.ma il mio Mezzodì. II Sig.r Graziosi m’avea scritto, raccomandandomisi per esso. Come io tardai molto a rispondergli, mi dimenticai del cognome, e scambiai Graziosi in Colombani. Tuttavia non mi dolgo di questo equivoco, avendo io la medesima stima per lei, che ho per il Sig.r Graziosi. Quanto alla mia Sera, io ne ho quasi dimesso il pensiere; non che non mi piaccia di compiere i tre Poemetti da me annunciati, ma perchè sono stomacato dell’avidità e della cabala degli stampatori. Non solo essi mi hanno ristampato in mille luoghi gli altri due; ma lo hanno fatto senza veruna participazion meco, senza mandarmene una copia, senza lasciarmi luogo a correggervi pure un errore. Questa Sera è appena cominciata; e io non mi son dato veruna briga di andare avanti, veduto che non ne posso aspettare il menomo vantaggio; e probabilmente non proseguirò, se non avrò stimoli a farlo. Aggradisco le proposizioni di lei, e su questo proposito le rispondo che sarebbe mia intenzione di fare un’edizione elegante di tutte e tre i poemetti qualora l’opera fosse compiuta. Se Ella adunque si risente di farla, io mi esibisco di darle la Sera terminata per il principio della ventura Primavera, e insieme gli altri due poemetti corretti in molti luoghi, e migliorati. Il prezzo che io ne pretendo senza speranza di dibatterne uno zero è di cento cinquanta zecchini, da pagarsi un terzo alla conchiusione del contratto, e il restante al consegnarsi del manoscritto a). Se Ella non è di ciò contenta non s’incomodi a scrivermi più oltre. Io mi sono indotto a risponderle in grazia della pulitezza con cui Ella mi scrive. Così non ho fatto con molti altri librai, e fra questi con due o tre veneziani, i quali hanno ardito di farmi le esibizioni che fannosi a’ compositori d’almanacchi, alle lett[er]e vigliacche de’ quali io non piglierò mai il disagio di rispondere. Farò il possibile per promulgar l’esito del suo Giornale. E con tutta la stima mi protesto di V. S. Riv.ma Dev.mo e Obb.mo Ser.re Giuseppe Parini Milano, 10 7.bre 1766. a) Il prezzo che io ne pretendo…manoscritto] segnato a fianco con tratto di evidenziazione EPISTOLARIO 601 VIII.4 [Ad Antonio Greppi – Milano] [13 settembre 1768] Sig.r D. Ant.o stimatiss.o Ella ascriva alla troppa gentilezza delle sue offerte e alle circostanze della mia fortuna la mia impertinenza nell’incomodarla. Oggi deve partire per Vienna il Piano degli Studj. Non vi è dunque tempo da perdere perchè io possa profittare de’ Suoi graziosi uficj. La supplico adunque di volere stamattina adoperarsi a mio favore presso la nota persona, sperando io che, qualora ancora non sia nominato il soggetto per la Cattedra d’Eloquenza in Pavia, non sia impossibile di stabilirla in Milano, come io desidero. È superfluo l’aggiungere molte parole per istimolare il suo cuore già naturalmente così benefico, massime a mio riguardo. Sono col massimo ossequio di V. S. Ill.ma dev.mo obb.mo serv.re Giuseppe Parini. (SEGUE) 658 EPISTOLARIO NOTA AI TESTI VIII. EPISTOLARIO VIII.1 [A S.A.S. amministratore della Lombardia austriaca duca di Modena VIII.1 Francesco III d’Este] ASM, Autografi Monti-Parini, cart. 178, autografo calligrafico, bifoglio di mm 170 × 230, scritto solo sulla c. 1r, senza data né destinatario; nel margine sinistro, d’altra mano, si legge: «21 Luglio S. A. S. accorda la privativa, e si dia Decreto al Reg.° Cap.no di Giusti.ia fatto come da minuta». D. Isella (Il Giorno, Parma, Fondazione Bembo - Ugo Guanda editore, 1996, I, pp. XXVI e XXXIII-XXXIV) ha pubblicato sia la richiesta di Parini per il Mattino sia l’autorizzazione del Fuentes per il Mezzogiorno. Al Regio Cap.no di Gius.a. Comendando il Ser.mo Amm.e l’applicazione e valore dell’Abate Giuseppe Parini, che con molto applauso di questo pubblico produsse già il leggiadro e sensato poemetto intitolato il Mattino, che ben si meritò l’accettazione e distinto agradimento d’ogni ordine di Persone, si compiace S. A. S. egualmente di sentire ch’esso Autore sia ora per fare l’edizione di un altro somigliante Poemetto intitolato il Mezzogiorno, e non dubitando S. A. S. che sia esso per riuscire dello stesso valore del primo, ha stimato di doversi prestare all’istanza che l’Autore le ha fatto per una privativa dell’edizione medesima, di modo che venga fatto argine all’inofficiosa avidità de’ stampatori sì nazionali che esteri, che per voglia di incompetente guadagno si fanno lecito ristampare e vendere l’opere degli Autori contro il loro buon piacere e defraudandoli di quell’aspettativa che a ragione loro compete di esitare li esemplari che a loro gravi spese ànno qui fatto istampare. Quindi è che dovendosi l’edizione del nuovo Poemetto intitolato il Mezzo giorno fare per commissione dell’Autore dallo stampatore e librajo Giuseppe Galeazzi, concede S. A. S. al medesimo la privativa ragione di stamparlo, di venderlo, e di farlo vendere in questo stato, proibendo perciò a qualsivoglia altro stampatore e librajo di questo medesimo stato la ristampa, e l’introduzione e vendita di edizioni forastiere, se per aventura si facesser, e ciò per il termine di tre anni dal giorno della diffidazione che a ciaschedun librajo verrà fatta, e ciò sotto la pena di cinquanta scudi d’applicarsi all’indenn[izz]azione dell’autore, oltre la perdita delli esemplari, che si trovassero di contravenzione. Ne fa però S. A. S. prevenire il Regio Capitano di Giustizia perché, inteso della Superiore Mente ed intenzione del Governo a favore del d.° Abate Parini, passi a far notificare alli stampatori e librai di questo stato la succennata difesa e proibizione di ristampare il d.° Poemetto e venderne edizioni forestiere dentro del d.° territorio e vegliando alla esatta osservanza contro de’ stampatori, per esiggere da essi la succennata pena a favore del prelodato Autore. 21 luglio 1765 Fuentes NOTA AI TESTI 659 Remigio Fuentes (1706-1778), fondatore dell’Accademia dei Filodossi (9 aprile 1733), in cui erano confluiti i membri della Colonia insubre dell’Arcadia scioltasi il 1732, Accademico Trasformato dal 6 giugno 1743, era membro della Segreteria di Governo e uomo di fiducia del ministro plenipotenziario conte Carlo di Firmian. Francesco III d’Este duca di Modena (1698-1780) fu dal 1753 amministratore e capitano generale della Lombardia austriaca, in seguito al patto nuziale fissato con Maria Teresa per la concessione della mano della nipote Maria Beatrice a uno dei suoi figli, come poi effettivamente avvenne nel 1771 con l’arciduca Ferdinando. VIII.2 [Al maresciallo conte Gian Luca Pallavicini] ASB, Archivio Pallavicini, busta 280, serie IIIa, autografo calligrafico, bifoglio di mm 342 × 220, scritto solo sulla c. 1r/v; sulla c. 1r figura in alto, centrale: «Eccellenza», seguito da spazio bianco; il testo della lettera comincia a metà pagina; anche sulla c. 1v la scrittura occupa la medesima parte della pagina, lasciando bianca la metà superiore; la firma del Parini si trova in basso a destra nella c. 1v; in alto a destra della c. 2v compaiono data, luogo, mittente e indirizzo. Incipit sporgente a sinistra, seguito da testo incolonnato con breve margine di rientro. Edito per la prima volta da A. Ostoja, Un autografo inedito del Parini diretto al Maresciallo Conte Gian Luca Pallavicini a Bologna, in Strenna storica bolognese, Bologna, tip. Parma, 1956, pp. 103-106: «[…] è forse l’unica lettera di Giuseppe Parini indirizzata a Bologna, ove all’inizio della sua gloria letteraria risulta così aver avuto i primi lettori ed ammiratori» (ivi, p. 103). Gian Luca Pallavicini (1697-1773), conte genovese, ambasciatore a Vienna, acquistò la fiducia di Maria Teresa e fu da lei nominato vicegovernatore di Mantova, e, nel 1745, ministro plenipotenziario della Lombardia, dove curò l’espletamento del censimento e il riordino delle finanze. Dal 1750 al 1753 fu governatore della Lombardia austriaca, succedendo al rivale Ferdinand Bonaventura von Harrach; in questo periodo ebbe come valido collaboratore Gabriele Verri. Nel 1753, sostituito da Beltrame Cristiani, si trasferì a Bologna, lasciando definitivamente Milano. Vd. A. Ostoja, L’archivio Pallavicini nell’Archivio di Stato di Bologna, «Notizie degli Archivi di Stato» 12 (1951), pp. 75-81; Id., Un cittadino ferrarese di elezione: il maresciallo Gian Luigi Pallavicini, statista e riformatore del Settecento, «Ferrara viva» 1 (1959), pp. 110-115; F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino, Einaudi, 1969, pp. 423-424; Capra 1987, passim; Capra 2002, pp. 50-52. VIII.3 [A Paolo Colombani] Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia, mss. It. classe X, codice 19 (6525), Lettere autografe d’illustri italiani, miscellanea in cui la lettera del Parini, imbraghettata a supporto cartaceo, è stata recentemente numerata a matita 148 e 149; autografo calligrafico, bifoglio di mm. 180 × 250, scritto a piena pagina solo sulla c. 1r/v; sulla c. 2v l’indirizzo: «Al Riv[eritissi]mo Sig. Sig.re Pron | Sig Paolo 660 EPISTOLARIO Colombani | Librajo in Venezia», con tracce di ceralacca. La data è apposta in alto a destra sulla c. 1r, con ampio spazio bianco tra intestazione e testo. Bellorini II, pp. 153-154, lettera I; Mazzoni, p. 981, lettera I. Il Parini utilizza qui il termine Mezzodì per indicare il Mezzogiorno, pubblicato a Venezia nel 1765 dal Colombani. Paolo Colombani (1722-1800), libraio ed editore veneziano, pubblicò opuscoli vari, stampò e diffuse diversi periodici. Il «giornale» di cui il Parini s’impegna ad annunciare l’uscita è assai probabilmente il «Giornale della Generale Letteratura d’Europa», costituito da annunci librari e recensioni dei più importanti scritti dei philosophes francesi, che Francesco Griselini (1717-1787) diresse presso il Colombani proprio negli anni 1766-1767 (su Griselini, vd. P. Preto, s.v., in D.B.I., 59, 2002, pp. 691-696). Contrasti tra il Griselini e il Parini si verificarono alla costituzione della Società Patriotica, quando per l’incarico di segretario, cui aspirava il Parini, venne scelto il Griselini (vd. Nota IV.6). Antonio Graziosi (1741-1818), libraio ed editore veneziano, accolse tra le sue edizioni, nel 1764, la traduzione del Saggio sopra l’uomo di A. Pope ad opera di Zaccaria Seriman, ripubblicò il Mezzogiorno nel 1766 e si distinse anch’egli per l’intensa attività pubblicistica. Si fece promotore della diffusione del «Corrier letterario» di Francesco Griselini, tra il 1765 e il 1768. Fra il 1763 e il 1765 a Venezia furono effettuate ristampe del Mattino e del Mezzogiorno anche ad opera degli editori Giambattista Pasquali (con indicazione di Milano, 20 gennaio 1764 per il Mattino, e 20 agosto 1765 per il Mezzogiorno) e Bortolo Baronchelli. Su Colombani, Graziosi e sull’editoria veneta del secondo Settecento: M. Infelise, L’editoria, in G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi (a cura di), Storia della cultura veneta. Dalla Controriforma alla fine della Repubblica, 5/1, Vicenza, Neri Pozza, 1985, passim; Id., L’editoria veneziana nel ’700, Milano, Angeli, 1989, in part. pp. 158-162 (per Graziosi) e 191-192 (per Colombani). VIII.4 [Ad Antonio Greppi] Lettera pubblicata per la prima volta da Mazzoni (p. 982, lettera II), sulla base dell’autografo allora giacente nell’Archivio Greppi di Casate, Raccolta d’autografi, con la scritta a tergo: «Per V. S. Ill.ma = Sig.r D. Antonio Greppi - Sig.r Sig. P.on Col.mo SS. MM. Milano, Ab.te Parini, 1768. 13 sett.re». La ricerca di questa Raccolta d’autografi presso la Villa Greppi di Monticello Brianza, l’ASM, l’Archivio Storico Diocesano di Milano e l’Archivio Comunale di Gualtieri (Reggio Emilia) non ha dato alcun esito. La segnalazione di un Fondo Greppi all’Archivio Segreto Vaticano, dove fosse eventualmente confluita la Raccolta d’autografi, non ha avuto riscontro positivo. Il Piano generale di riforma delle scuole, voluto dal Kaunitz, doveva pervenire a Vienna in tempo per essere approvato prima dell’inizio dell’anno scolastico 1768-1769. Il Parini aveva il compito di illustrarvi la parte relativa alla Cattedra di Eloquenza delle Scuole Palatine, il Beccaria invece era responsabile della Cattedra di Economia e Commercio. In questa fase si parlava ancora di Cattedra di Eloquenza e non di Belle Lettere. Il Parini chiese appoggio per la cattedra 661 NOTA AI TESTI di Milano al Greppi perché intervenisse presso il Firmian, ma la questione dell’organizzazione universitaria restò insoluta fino al 1769, quando, il 23 settembre, Firmian scrisse al Kaunitz: «Per la cattedra di eloquenza e di storia avevo in vista l’abate Parini e l’abate Villa. […] Se due devono essere queste cattedre, avrei proposto il primo per Milano ed il secondo per Pavia. Si tratta di due uomini di talento, conosciuti ambedue per qualche saggio dato al pubblico del loro sapere e pressati dal bisogno di un impiego» (ASM, Studi, p. a., Università di Pavia, cart. 376; vd. anche Vicinelli, p. 35). Antonio Greppi (vd. Nota VII.5.1-6), a cui il Parini era stato presentato da Teresa Fogliazzi (vd. Vianello 1933, p. 138), divenne suo grande protettore: a lui il Parini dovette il rapporto di fiducia con il conte di Firmian e i numerosi incarichi pubblici che ne seguirono. Il Parini fece pervenire al Greppi una copia del discorso di apertura della Cattedra di Belle Lettere con la seguente lettera di accompagnamento di Teresa Fogliazzi, datata 16 dicembre 1769 (la lettera si trova in ASM, Fondo Greppi, cart. 404, edita da L. Nicora, Giuseppe Parini dal Teatro Ducale alla Scala, in Barbarisi et al. 2000, II, p. 928): Sig. Compare ed amico Stimat.mo Il nostro abate Parini mi dà precisa comissione di trasmetterle la qui inchiusa Prolusione; pensi il mio caro Sig. Compare con quanto piacere l’addempio sapendo la stima e l’attaccamento ch’egli ha per lei, e l’amicizia ch’ella ha per questo stimabile Letterato. Con questa occasione poi godo anche il piacere di ramemo[ra]rle la mia sincera, e se vuole tenera amicizia. Spiacemi che gli affari lo trattenghino lontano per ora; pensi a rendersi a suoi amici il più presto possibile e mi creda fra questi coi sentimenti della più perfetta stima, e sincero attaccamento. Di Lei Sig. Compare stimat.mo Milano 16 xbre [dicembre] 1769 Devot.ma e obbligat.ma Serva Angiolini Fogliazzi Su Francesco Fogliazzi (Borgo San Donnino 1725 - Milano 1802), vd. G.B. Janelli, s.v., in Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Parma, Forni, 1978, p. 170 (rist. anast. dell’ed. di Genova, tip. Schenone, 1877); C.F. Gallotti, s.v., in D.B.I., 48, 1997, pp. 488-491; R. Lasagni, s.v., in Dizionario biografico dei parmigiani, Parma, P.P.S. editrice, II, 1999, pp. 775-777. Su Teresa Fogliazzi (1730-1792), vd. R. Farina, s.v., in Dizionario biografico delle donne lombarde (568-1968), Milano, Baldini e Castoldi, 1995, p. 463; C.F. Gallotti, s.v., in D.B.I., 48, 1997, pp. 491-492; R. Lasagni, s.v., in Dizionario biografico dei parmigiani cit., II, 1999, pp. 777-779. Su Gaspare Angiolini, vd. Nota VIII.22. (SEGUE)