1 TESTI MOSTRA”KAZI NJEMA! (Buon lavoro!) LAVORARE A SUD

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1 TESTI MOSTRA”KAZI NJEMA! (Buon lavoro!) LAVORARE A SUD
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TESTI MOSTRA”KAZI NJEMA! (Buon lavoro!) LAVORARE A SUD DEL SAHARA”
CHE SUCCEDE SOTTO IL SAHARA?
“Le persone non se ne vanno a cuor leggero dalle loro terre di origine. Se lo fanno, è più perché
sono scacciate dal loro paese che perché sono attratte dal Nord.
In questo momento il surplus di migranti dai paesi poveri deriva dalle guerre e dalla povertà, come
nella regione dei Grandi Laghi.”
Joseph Ki-Zerbo, storico burkinabé, da “A quando l’Africa?”
Così come fecero nel recente passato tanti italiani, ogni anno milioni di persone lasciano famiglie,
amici, luoghi natii per compiere veri e propri “viaggi della speranza” in occidente.
La motivazione primaria di tanti migranti risiede spesso nell'umana ispirazione a migliorare le
proprie condizioni materiali di vita.
Come afferma il grande storico burkinabè nella citazione riportata, per queste persone la spinta più
forte resta quella della povertà, della fatica di sopravvivere, di tirare avanti a causa di un lavoro
avaro di risultati. Ed allora, quali lavori sono abbandonati nella speranza di un futuro migliore per i
figli?
Proprio per fare luce su queste realtà nelle diverse installazioni della mostra è proposta una rassegna
delle attività quotidiane presenti nei villaggi e nelle periferie urbane di diversi stati a sud del Sahara.
“Kazi njema! Buon lavoro!", non è tuttavia un elogio dell'accattonaggio o della povertà, ma della
voglia di vivere e gioire, nonostante tutto, posseduta da piccoli e grandi, uomini e donne, di questa
fetta di umanità.
LAVORARE NEI VILLAGGI
“Che cos'è il lavoro? Il pensiero tradizionale africano sul lavoro ci porta a tre significati
principali:
1) il lavoro come sofferenza e fardello imposto alla natura dalla difficile condizione dell'uomo;
2) il lavoro come libera, volontaria e conscia attività dell'uomo al fine di assicurarsi una base di
esistenza ed un miglioramento di condizioni di vita;
3) il lavoro come opera, professione, frutto di un lungo sforzo ed apprendimento specializzato per
rispondere a specifici bisogni della vita (es. il fabbro, l'artigiano, l'allevatore, il muratore, ecc…).”
Mabenga Jonas, docente universitario congolese, da “L'Africa che canta la vita”
La concezione tradizionale del lavoro è distante dalla logica economica occidentale della
prestazione di beni o servizi contro una ricompensa.
Tre sembrano essere gli elementi caratteristici fondamentali:
- L'economia di villaggio si basa sul lavoro manuale
È la forza umana che coltiva la terra, le savane, le foreste, che trasporta carichi sulla testa o dietro la
schiena e guida mezzi di trasporto, dalle biciclette ai carretti, alle piroghe.
- Un lavoro in comune rende l'impegno più leggero
Le attività agricole sono spesso in gruppi, perché l'organizzazione del lavoro prevede il massimo di
uomini possibili per lavorare il massimo di superficie possibile.
- Il lavoro segue l'andamento del tempo
La stagione secca è dedicata alle lavorazioni delle savane e delle foreste; la stagione delle piogge è
il periodo delle coltivazioni.
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LAVORARE LA TERRA
“Per raggiungere il suo nuovo pezzo di terra, dall'altra parte di Thabai, Mugo doveva camminare
per le strade polverose del villaggio.
[…] Ora il sole si era levato: ombre d'alberi, di capanne e di uomini erano lunghi e sottili sul
terreno.
“Come va, stamattina?” gli gridò Warui, emergendo da una delle capanne.
“Bene”. E come al solito Mugo avrebbe proseguito, ma Warui sembrava aver voglia di parlare.
“Si attacca la terra di buon'ora?” “Si”.
“È quello che ho sempre detto. Và quando la terra è soffice. Che il sole ti trovi già là e non
sarà dura. Ma se ci arriva prima di te, mm.”
Ngugi Wa Thiong’o, scrittore keniano, da “Un chicco di grano”
"Taglia e brucia" è una delle tecniche di coltivazione più diffusa in Africa.
I contadini arrivano in un campo, tagliano arbusti e piante e iniziano a coltivare.
Non utilizzano né concimi chimici né animali. Finché il terreno è in grado di produrre, lo sfruttano.
Poi lo abbandonano spostandosi su terreni più fertili. Una tecnica che ha funzionato per secoli, ma
che oggi è entrata in crisi.
La crescita della popolazione e la maggiore densità di abitanti porta a sfruttare i terreni e a limitare
gli spostamenti. Ecco quindi crescere la tendenza moderna alla monocultura, dalle arachidi del
Senegal al cacao della Costa d'Avorio ed al thè del Kenya.
Oh Creatore
Che mi creasti nel grembo di mia madre
Non mettermi di fronte al dolore
Mostrami il campo del bestiame
Così che possa coltivare la terra
E nutrire il gregge
Canto Dinka (Sudan)
DONNE DI VILLAGGIO
“Oh Dâman, madre mia,
Tu che mi portasti su la schiena….
Tu che mi allattasti……
tu che guidasti i miei primi passi,
tu che per prima mi apristi gli occhi
ai prodigi della terra, penso a te...".
"Oh Dâman, madre mia,
tu che asciugasti le mie lacrime,
tu che rallegrasti il mio cuore,
tu che sopportasti con pazienza i miei capricci,
come vorrei ancora sentire il tuo calore,
essere bambino accanto a te.
Donna semplice, donna della rassegnazione...".
"Donna dei campi, donna dei fiumi,
madre mia, penso a te".
Camara Laye, scrittore guineano, da “A mia madre”
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La donna di villaggio si alza alle cinque del mattino e va ad attingere l'acqua; poi fa uscire i polli,
sveglia gli altri della famiglia, scopa il cortile, prepara il fuoco.
Porta al marito l'acqua per lavarsi, prepara i bambini per la scuola; quindi porta le mucche al
pascolo; mette a seccare il raccolto, infine va al campo per lavorarvi sino al tardo pomeriggio.
Sulla strada di ritorno, con tutta la sua mercanzia in testa, un bambino per mano o sul dorso, si
ferma al corso d'acqua per lavarsi, fare il bucato e pulire gli attrezzi domestici.
Una volta a casa, sbuccia, taglia, lava, pesta quanto occorre per la cena; mentre il cibo cuoce, va a
riprendere le mucche e i polli.
Che giorno, quando l’aria del mattino non risuona
dei pestelli che schiacciano il grano.
Che giorno, quando tenti invano di udire
se stanno setacciando la farina.
Che giorno, quando chi intende si sveglia
all’ombra della fame.
Canto Yoruba (Nigeria)
BAMBINI NEI CAMPI
Nei villaggi fra tutti i lavori svolti dai bambini, il più comune rimane quello agricolo o domestico
all'interno della famiglia, quando la famiglia ha terra o altri strumenti a sua disposizione.
Andare a prendere l'acqua, lavorare nei campi, accudire il bestiame al pascolo, curare i bambini più
piccoli sono attività quotidiane per moltissimi di loro.
Il lavoro in famiglia può essere gravoso quando costringe i bambini a lavorare per molte ore,
imponendo un sacrificio troppo pesante al loro corpo. Di certo sarebbe meglio che i ragazzi
andassero a scuola, ma quando mancano maestri e libri, oppure i soldi per pagarla, la bottega del
padre o la cucina della madre è l'unica vera scuola esistente.
È grazie all’acqua del corpo che si tira l’acqua del pozzo. (Proverbio Haussa, Nigeria)
L’uomo vive del suo sudore.
Nessuno raccoglie dalle api, senza che venga punto. (Proverbio Tutsi, Ruanda)
Senza sacrifici non si guadagna nulla.
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LAVORARE IN CITTÀ
“A Kinshasa meno del 10% della popolazione ha un lavoro regolare.
Tutti gli altri appartengono all'esercito di quelli che “si arrangiano”: disoccupati che ricorrono
“all'articolo 15” per sopravvivere. L'espressione, nata durante gli anni settanta, significa appunto
l'arte di arrangiarsi.
Uomini e donne, adulti e giovani, analfabeti e intellettuali si dedicano a ogni genere di attività che
possa rendere qualche franco. Si trasformano in venditori ambulanti, lustrascarpe, facchini ai
mercati, venditrici di arachidi o legumi, conduttori di carretti…”
Louis Kalonji, giornalista congolese di “Afrique Espoir”
Tutte quelle attività definite come “settore informale”, perché caratterizzate dalla loro marginalità
rispetto alla legge e all'ufficialità, si possono riunire in tre grandi categorie:
I traffici
Comprendono tutto il commercio di importazione e di esportazione, dal tessile all'elettronica, alle
lattine di succo di frutta. L'abbigliamento costituisce un settore non trascurabile, con i vestiti usati
dei paesi del Nord che si trovano riciclati sui mercati.
Il subappalto non ufficiale
Piccole imprese di artigianato lavorano in nero per committenti stranieri, con salari da miseria e
condizioni di lavoro deplorevoli per le donne ed i bambini che vi lavorano.
L'economia popolare
Composta dall'insieme di “piccoli mestieri”: falegnami e sarti di quartiere, ristoratrici di strada,
riparatori di biciclette, piccoli commercianti ambulanti.
DONNE DI CITTÀ
“Avanzi maestosa, più che regina,
e nei tuoi occhi riflessa sta una forza
a te solo conosciuta.
E vai, macinando miglia
ingoiando polvere caricando pesi
coltivando sogni.
E vai con passo fermo,
segnando tappe per capitoli nuovi
di un libro antico.
E continui ad andare,
instancabile venditrice di speranza.
Non importa se la pioggia
inzuppa le tue ossa,
se il sole brucia l'anima tua
se la polvere impasta il sudore”.
Elisa Kidanè, poetessa eritrea, da “Nei tuoi occhi”
Le donne delle città eseguono le mansioni più faticose e meno retribuite lavorando in proprio:
venditrici di frutta e verdura, di acqua, di medicinali, distillatrici di alcol di manioca.
I pochi spiccioli di ogni sera costituiscono il minimo indispensabile per togliere la famiglia dalla
miseria più totale. Per migliorare le loro condizioni le donne avrebbero bisogno di finanziamenti,
spesso concessi solo a due condizioni pesanti, soprattutto per le più povere: dimostrare di possedere
fondi sufficienti e dare un bene in pegno.
Tuttavia le donne si organizzano e per superare queste difficoltà ricorrono alle “tontine”, delle
mutue di auto aiuto per prestare piccole somme di denaro all'interno di piccoli gruppi.
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“Sono diventata una donna commerciante
e ho venduto l’anima al fiume Kasai
per trovare i soldi
con cui sfamare i miei figli.
Che sofferenza, povera me!”
Da “Femme commerçante”, successo di M’Pongo Love, cantante congolese
BAMBINI IN CITTÀ
“ Sono nata in campagna, nei pressi di Fatick, il villaggio è povero perché non piove mai. Non
c'era abbastanza da mangiare, non c'erano soldi e non c'era dea lavorare.
A otto anni ho lasciato i miei genitori e la mia famiglia composta da quindici persone per andare a
lavorare da una zia alla periferia di Dakar. Prima ho fatto il porta a porta, poi ho cominciato a
lavorare come bonne (la baby sitter, n.d.r.) per curarmi dei suoi bambini, poi ho cominciato a
lavarle i piatti, i panni sporchi, e tutto dalle otto di mattina alle otto di sera, quando andava bene.
Mi pagavano 2000 Cfa al mese (meno di tre euro, n.d.r.).
Oumy Ndir, sindacalista senegalese, di Jeunesse Action
In Senegal, come in molti paesi africani, il lavoro dei bambini è sempre esistito.
Soprattutto nelle campagne esso era considerato come un'iniziazione all'età adulta.
Oggi nelle città il lavoro dei bambini rappresenta una fonte di reddito indispensabile alla
sopravvivenza di molte famiglie, impoverite dalla crisi economica e dalla disoccupazione,
caratterizzate spesso da un tasso di analfabetismo elevato tra gli adulti.
Parcheggiatori, lustrascarpe, camerieri, fattorini, lavavetri, venditori di sacchetti di plastica, sono tra
le attività più svolte dai bambini.
Anche in Africa cresce infine il fenomeno dei ragazzi di strada che chiedono l'elemosina.
SOLDI E LAVORO
“Vivere in questo mondo
senza un lavoro
è un gran peso per la tua famiglia.
Nessuno ti darà retta,
né i giovani, né gli adulti
e neppure gli anziani.
Oh vita!
E non fartene una colpa
se gli altri hanno una macchina,
se gli altri hanno una casa e tu no.
Oh vita!
L'esistenza è la prigione di chi è venuto al mondo”.
Remmy Ongala, cantante congolese, da “Problemi”
La prima cosa che colpisce chi, da occidentale non turista, passeggi per le strade delle grandi città
africane è il movimento.
La stragrande maggioranza delle persone si muove alla ricerca di qualche soldo per arrivare a fine
giornata. Giovani, donne, persone prive di un mestiere stabile, si inventano attività economiche
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transitorie e mutevoli: dal venditore di mobili ai riparatori di biciclette; dal taxista abusivo alla
venditrice di sigarette e di frittelle; dal lavaggio delle auto alla custodia nelle aree di parcheggio,
sino talvolta alla guida turistica, al venditore ambulante di oggetti di artigianato locale o di utensili
per la casa.
[…] accidenti a chi ha inventato il denaro,
[…] effettivamente, nel nostro paese,
da qualche tempo il denaro ha preso il posto della morale
[…] eppure ne vogliamo quel tanto per vivere
e far vivere la famiglia.
In “Il vaglia”, di Sembène Ousmane, scrittore e cineasta senegalese
GIOVANI SENZA LAVORO
“Così tante persone istruite senza lavoro.
Senza gli stipendi degli insegnanti,
uccidiamo l'educazione.
Questa è la vera realtà.
[…]
Intanto nel rap
troviamo un po' di felicità,
ma un sacco di problemi.
A volte mi ubriaco
per superare le sofferenze.
[…]
Ogni cosa finirà, ma non la corruzione.
Un giorno andremo alla sede del governo
a protestare dal Presidente
così gli racconteremo la vera realtà.”
2 Proud, rapper tanzaniano, da “La vera realtà”
In Tanzania la musica rap è legata all'immagine del giovane sveglio, impegnato e onesto, che vive
alla giornata e si muove ai margini della legalità, libero dai pregiudizi e dalla morale dei
benpensanti, ma al tempo stesso impegnato e onesto.
I testi delle canzoni affrontano in modo diretto i problemi del popolo, con un intento spesso
educativo. Nei brani, cantati in lingua swahili conditi da espressioni inglesi, vengono fornite
indicazioni per prevenire la malaria e l'Aids; vengono denunciate in modo diretto le superstizioni
della tradizione popolare, le mancanze della classe politica, l'eredità culturale del colonialismo.
QUANDO IL LAVORO NON BASTA
“Questi franchi che abbiamo raccolto, cioè questa miseria, ma che rappresenta tutto il nostro
tesoro, noi te li diamo oggi, non perché tu faccia sparire questo denaro, ma perché noi
auspichiamo che questo franco diventi dieci franchi e che ciò possa esserti utile. E ti rinnoviamo
tutti i nostri migliori auguri perché tu riesca nel tuo progetto”.
Alain Henry, economista camerunense, da “Tontines et banques au Camerun”
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Spesso il successo imprenditoriale è dovuto a una capacità di auto-organizzazione non solo
individuale, ma anche collettiva.
Determinante diviene allora la capacità di ottenere finanziamenti, sia presso la famiglia sia da amici.
Spiega un falegname:
"Quando mettete il denaro in banca è come se lo conservaste voi stesso: quando andate a chiederlo,
non ve lo si rifiuta. Invece, quando fate investimenti presso parenti o amici, essi sono più o meno
implicati nella gestione di questo denaro. Possono dire di “no”, se giudicano che quel che ne farete
non sarà un bene per voi. Sono dei parenti, mentre la banca è un estraneo."
Questo controllo sociale dell'uso del risparmio è sistematico in certe “tontine”, delle società in cui i
soci effettuano dei versamenti periodici; la somma raccolta viene attribuita a turno a ciascuno dei
partecipanti.
Ogni membro di queste banche per i poveri è ben cosciente che un beneficio offerto non è mai
perduto; il beneficiario si sente infatti moralmente obbligato a sdebitarsi non appena gli si
presenterà l'occasione.
FUGA DAL LAVORO
“Ogni anno oltre centomila Senegalesi entrano nel mercato del lavoro e ingrossano l'elenco dei
candidati all'immigrazione legale o clandestina. Nei porti il settore della pesca è in crisi. Una
cattiva gestione delle risorse ittiche ha distrutto il settore. Decisi a tentare la fortuna altrove,
giovani pescatori si ammassano sulle piroghe e vogano verso le Canarie. Alcuni le raggiungono,
altri affondano. Il loro slogan, “Barça ou barsar”, Barcellona o morte” (l'al di là in wolof).
Nelle regioni agricole ricoperte di campi d'arachidi, la migrazione prevede le rotte di terra nella
lunga marcia verso il Magreb ed il rischio della traversata del Mediterraneo.”
Le Figaro, quotidiano francese, 1 marzo 2007, edizione on line
I cambiamenti climatici, l'avanzamento della desertificazione, l'invasione di prodotti agricoli
occidentali sussidiati dai governi, la concorrenza di imprese multinazionali, sono alcuni fattori che
hanno messo in crisi le tradizionali economie familiari di sussistenza.
Sono soprattutto i giovani che fuggono dai villaggi, perché anche quando guadagnano soldi con un
mestiere, è su di loro che la grande famiglia confida l'onere di allevare, nutrire, mandare a scuola
nipoti, fratelli e cugini.
Così, in una fase di precarietà come quella attuale, per molti giovani uomini la migrazione
clandestina diventa una strategia per la sopravvivenza.
COME SOPRAVVIVERE?
“Bisogna proprio constatare che questa zattera africana alla deriva, per quanto sembri ridicolo,
porta circa 800 milioni di persone. Non tutte sono scheletri famelici, sfuggiti dai campi della morte.
Nontutte vivono della sola carità internazionale. La sopravvivenza di questo pianeta nero, a
supporre che vi regni solo la miseria, è ad ogni modo un problema teorico e pratico.
Chiunque ci rifletta in buona fede non può fare a meno di porsi la questione del mistero di questa
sopravvivenza.”
Serge Latouche, sociologo francese, da “L'altra Africa.”
Chi è povero?
Le principali lingue africane non hanno parole per indicare il povero nel senso economico del
termine. l riferimenti alla miseria non rinviano immediatamente alla mancanza di denaro, ma
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all'assenza di sostegno sociale. Le parole utilizzate per tradurre povero significano in realtà orfano..
La soluzione per uscirne, la vera risorsa, sono gli altri. Da qui il proverbio "Non è povero chi non ha
da mangiare ma chi non ha nessuno".
Il tempo per le relazioni
Pertanto gli incontri, le visite, le discussioni prendono molto tempo, perché tutti i legami sono
pensati più o meno sul modello della famiglia allargata. Aiutarsi ed informarsi, donare e ricevere,
dare e prendere in prestito occupano gran parte della giornata. In questo modo le scadenze passano
in secondo piano e se c'è l'urgenza di finire un'ordinazione si può sempre lavorare di notte o farsi
aiutare da un collega non occupato.
La povertà, quando non coincide con la miseria che deturpa la dignità delle persone e
delle comunità, è ricchezza per i popoli. Sono povero quando non pongo il lavoro o la
crescita come fini a se stessi, quando riesco a stabilire che il valore della persona non
dipende dal suo portafoglio, ma dal posto insostituibile che occupa nella comunità o nella
famiglia. La persona vale perché è “per noi”.
Jean Léonard Touadi, politico italo-congolese
IL FUTURO È A SUD
“Sono, gli africani, i napoletani del mondo: e, come questi, eccellono nell'arte di arrangiarsi, nel
genio di trovare espedienti che sono al tempo stesso soluzione ai problemi e sberleffo a chi li ha
creati.
Se si potesse trasformare in prodotto nazionale lordo la capacità che hanno gli africani di
inventare, riciclare, adattare se stessi e le cose, di superare gli ostacoli con una soluzione trovata
guardandosi intorno, allora sì che l'Africa sarebbe ricca, ricchissima.”
Pietro Veronese, giornalista, da “Africa. Reportages”
L'arretratezza tecnologica, la povertà, il divario digitale, ci inducono a non considerare gli africani
nostri contemporanei, ma uomini e donne che vivono ancora in un tempo ormai andato.
Tuttavia le esperienze esposte di “economia bricolage”, per arrivare sazi al giorno dopo, possono
essere considerate veri e propri laboratori del futuro. Almeno due sembrano essere gli stimoli di
riflessione per le ricche società occidentali:
Il rapporto con l'ambiente
Di fronte ai mutamenti climatici globali, c'è da chiedersi se questi popoli non siano più preparati di
noi a un domani di scarsità, di risorse più limitate e più condivise, dunque meno disponibili per
tutti.
La qualità della vita
Porre le persone e gli affetti al centro della giornata, dedicare tempo alle relazioni prima di ogni
altra occupazione, prima del lavoro e delle ricchezze, non è forse ciò che dà senso ad una vita?
La strada non dà mai consigli al viaggiatore. (Proverbio Tutsi, Ruanda)
Nella vita ognuno deve saper arrangiarsi.